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Esperienze di Premorte e Fisica Quantistica Anche la Scienza inizia a parlarne Francesco Albanese Permalink: http://www.francescoalbanese.com/?p=5455 http://www.francescoalbanese.com/?p=5462 Ogni religione ci assicura che qualcosa sopravvive alla morte, un qualcosa che possiamo chiamare anima. Ma le religioni fondano la credibilità dei loro dogmi su un atto di fede, e a molte persone questo non basta. La nostra mente deterministica e materialista richiede sempre e costantemente una sola ed unica cosa: prove. Dove sono le prove dell’esistenza dell’anima e della sopravvivenza alla morte? Per molti, se la Scienza non può dimostrare l’esistenza dell’anima, allora l’anima non esiste. Ma può davvero essere la Scienza il metro di misura della dimensione spirituale dell’essere umano? Cosa accade realmente dopo la morte? Dopo quell’istante che demarca il confine tra la vita e la non-vita? Tra l’esistenza della persona e la sua non-esistenza? Cosa accade dopo che il cuore ha dato il suo ultimo battito, e che l’ultima molecola di anidride carbonica è stata spinta fuori dai pol- moni? La medicina occidentale non ha dubbi: “dopo la morte, cessa irreversibilmente ogni fun- zione biologica dell’organismo, e prendono avvio i processi di autolisi e di decomposizione.” Quindi, dal momento della morte in poi, le cellule che costituiscono i vari tessuti dell’organismo vi- vente cominciano a staccarsi dai tessuti stessi e ad “autodigerirsi”, nella generale tendenza a ritor- nare a forme più semplici, meno organizzate, di materia. Il punto di vista della medicina occidentale ci lascia però con la sensazione di esserci persi qual- cosa per strada. Insomma, tutto il resto, dove è an- dato a finire? Dove è andata a finire la persona che amava passeggiare in riva al mare, che sorrideva davanti a un gesto gentile, o che scoppiava di rab- bia quando qualcosa non andava come voleva? Che fine hanno fatto i suoi ricordi, i suoi gusti, le sue attitudini, le sue paure? In altre parole, che fine hanno fatto la sua personalità, la sua mente, la sua coscienza? In linea di massima, ogni religione ci assicura che qualcosa sopravvive alla morte, un qualcosa che possiamo tout-court chiamare anima. La Scienza di matrice riduzionista, quella più organi- cista, tende invece a identificare la persona col suo cervello, e il cervello con la persona. Per questa Psicologo Clinico, Psicoterapeuta http://francescoalbanese.com/?page_id=588

Esperienze di Premorte e Fisica Quantistica

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Ogni religione ci assicura che qualcosa sopravvive alla morte, un qualcosa che possiamo chiamare anima. Ma le religioni fondano la credibilità dei loro dogmi su un atto di fede, e a molte persone questo non basta. La nostra mente deterministica e materialista richiede sempre e costantemente una sola ed unica cosa: prove. Dove sono le prove dell’esistenza dell’anima e della sopravvivenza alla morte? Per molti, se la Scienza non può dimostrare l’esistenza dell’anima, allora l’anima non esiste. Ma può davvero essere la Scienza il metro di misura della dimensione spirituale dell’essere umano?

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Esperienze di Premorte

e Fisica Quantistica Anche la Scienza inizia a parlarne

Francesco Albanese�

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Ogni religione ci assicura che qualcosa sopravvive alla morte, un qualcosa che possiamo chiamare anima. Ma le

religioni fondano la credibilità dei loro dogmi su un atto di fede, e a molte persone questo non basta. La nostra mente deterministica e materialista richiede sempre e costantemente una sola ed unica cosa: prove. Dove sono le prove dell’esistenza dell’anima e della sopravvivenza alla morte? Per molti, se la Scienza non può dimostrare l’esistenza dell’anima, allora l’anima non esiste. Ma può davvero essere la Scienza il metro di misura della dimensione spirituale dell’essere umano?

Cosa accade realmente dopo la morte? Dopo quell’istante che demarca il confine tra la vita e la non-vita? Tra l’esistenza della persona e la sua non-esistenza? Cosa accade dopo che il cuore ha dato il suo ultimo battito, e che l’ultima molecola di anidride carbonica è stata spinta fuori dai pol-moni? La medicina occidentale non ha dubbi: “dopo la morte, cessa irreversibilmente ogni fun-zione biologica dell’organismo, e prendono avvio i processi di autolisi e di decomposizione.” Quindi, dal momento della morte in poi, le cellule che costituiscono i vari tessuti dell’organismo vi-vente cominciano a staccarsi dai tessuti stessi e ad

“autodigerirsi”, nella generale tendenza a ritor-nare a forme più semplici, meno organizzate, di materia.

Il punto di vista della medicina occidentale ci lascia però con la sensazione di esserci persi qual-cosa per strada. Insomma, tutto il resto, dove è an-dato a finire? Dove è andata a finire la persona che amava passeggiare in riva al mare, che sorrideva davanti a un gesto gentile, o che scoppiava di rab-bia quando qualcosa non andava come voleva? Che fine hanno fatto i suoi ricordi, i suoi gusti, le sue attitudini, le sue paure? In altre parole, che fine hanno fatto la sua personalità, la sua mente, la sua coscienza?

In linea di massima, ogni religione ci assicura che qualcosa sopravvive alla morte, un qualcosa che possiamo tout-court chiamare anima. La Scienza di matrice riduzionista, quella più organi-cista, tende invece a identificare la persona col suo cervello, e il cervello con la persona. Per questa

�Psicologo Clinico, Psicoterapeuta * http://francescoalbanese.com/?page_id=588

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Scienza, tutti i fenomeni psichici sono un prodotto del cervello: è il cervello che crea i pensieri, è il cervello che crea i ricordi, è il cervello che crea le emozioni, è il cervello che crea la coscienza, e così via. Pertanto, morto il cervello, morta la persona, morta la coscienza (che è un po’ come dire che quando l’auto è parcheggiata non esiste più il gui-datore…).

Questa impostazione, adottata dalla Scienza fi-glia di Cartesio, deriva essenzialmente dall’aver applicato per secoli un modello dualistico-deter-ministico per la lettura e la comprensione del mondo. L’aver ampiamente provato che la stimo-lazione elettrica di specifiche aree cerebrali pro-duce altrettanto specifici fenomeni psichici (ad esempio l’evocazione di ricordi, o di odori), e l’aver ripetutamente constatato che lesioni di spe-cifiche aree portano alla perdita delle funzioni del corpo da esse controllate (ad esempio la vista, o il movimento), ha portato alla conclusione che siano le stesse aree cerebrali a produrre i fenomeni e le funzioni.

Ancora oggi si cade nello stesso equivoco, e si continua a ricercare, adesso con sofisticati sistemi di rilevazione come la PET o la fRMI, quale sia l’area cerebrale dell’amore, o della morale, o addi-rittura della coscienza, e così via. Ma il fatto che con tecniche di neuroimaging si sia in grado di ri-levare che determinati processi di pensiero acca-dono simultaneamente a cambiamenti metabolici in specifiche aree cerebrali, non dimostra affatto che i processi cerebrali siano generati da questi cambiamenti. In altre parole, l’osservare che le funzioni del cervello sono associate alla coscienza non equivale a dire che il cervello crei la coscienza (Laszlo, 2009). Allora, non c’è motivo oggettivo di pensare, né modo di verificare, che la mente, e so-prattutto la coscienza, nascano dalla materia, e con la materia muoiano.

Nonostante i racconti di esperienze NDE ripor-tati in tutto il mondo, e in tutti i tempi, condivi-dano similitudini che vanno al di là del sesso, della cultura, della religione e della razza, la Scienza ha sempre guardato con scetticismo a questi fenomeni. Così, la Scienza materialista con-tinua per la sua strada, sostenendo fermamente la propria posizione, secondo la quale, con la morte, finisce ogni attività biologica e mentale dell’orga-nismo. Come accade per un sofisticato televisore, stacchi la spina e finiscono le trasmissioni.

Ma sembrano esserci prove che confermano proprio il contrario.

ESPERIENZE DI PREMORTE

Le NDE (Near Death Experience), o esperienze di premorte, sono fenomeni vissuti da persone in coma, o dichiarate clinicamente morte. Alcune di queste ricordano la loro esperienza tra il momento della morte e il ritorno alla vita e riportano descri-zioni molto simili, accomunate da elementi ricor-renti (Moody, 1975; Elsaesser-Valarino, 2014):

1.   l’uscita dal corpo, un vero e proprio distacco dal corpo fisico, che raccontano di aver visto dall’alto, o dalla prospettiva dei soccorritori;

2.   l’attraversamento di un tunnel buio a velo-cità vertiginosa, alla fine del quale si trova una luce intensa e mai accecante;

3.   la sperimentazione di una gioia infinita; 4.   la sperimentazione dell’assenza di spazio e

di tempo; 5.   l’incontro con amici o parenti defunti, o altre

persone, venuti incontro per fare da guida, con le quali è possibile comunicare istanta-neamente e senza parlare;

6.   la ricapitolazione della propria vita, rivis-suta quasi istantaneamente, con gli stessi stati d’animo di allora, esperendo contempo-raneamente gli stati d’animo vissuti al tempo dei fatti dalle altre persone coinvolte;

7.   l’accesso a una conoscenza assoluta (sia dal punto di vista delle nozioni che della cono-scenza dei fatti passati e futuri, dell’intero Universo);

8.   la visione di una soglia, oltre la quale il ri-torno nel corpo sarebbe stato impossibile. E la scelta, o l’imposizione, di tornare in vita.

Di fronte a questi racconti, la Scienza dualista sorride: niente di concreto, niente da misurare, da pesare. Niente che obbedisca alle leggi che rego-lano il mondo che conosciamo. Niente che dimo-stri una sorta di sopravvivenza di qualcosa alla morte. Le NDE, dice questa Scienza, sono spiega-bili da più di una teoria basata su evidenze clini-che che ne giustificano l’esistenza, senza dover ri-correre a concetti metafisici come l’anima.

1.   La teoria più accreditata è quella delle alluci-nazioni, create dal cervello in risposta ai cam-biamenti metabolici che intervengono nel momento della morte: carenza di ossigeno o eccesso di anidride carbonica, o la sommini-strazione di farmaci o anestetici, come la ke-

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tamina, sarebbero i fattori scatenanti di rispo-ste cerebrali anomale, da cui scaturirebbero i vissuti tipici delle NDE.

2.   Un’altra teoria, anch’essa piuttosto accredi-tata, è quella dell’epilessia del lobo temporale: la fenomenologia che si manifesta durante una NDE non sarebbe altro che l’effetto di un’at-tività elettrica anomala dei lobi temporali del cervello, notoriamente associata alla perce-zione distorta degli eventi, ad allucinazioni articolate, a déja vu, alla perdita di memoria, all’aura epigastrica, fino all’attacco di panico.

Le teorie psicologiche, infine, suggeriscono che le esperienze vissute durante una NDE, benché appaiano del tutto reali, siano un artefatto della mente. In punto di morte, la mente metterebbe in atto dei meccanismi di difesa per “tutelarsi” dallo shock, e costruirebbe ciò che la persona, più o meno coscientemente, si aspetta di affrontare al momento della morte. I vissuti di derealizzazione e depersonalizzazione (tipici degli attacchi di pa-nico), anche questi sistemi di difesa dalla minaccia della morte, giustificherebbero alcuni aspetti delle NDE; mentre, nello specifico, l’esperienza del tun-nel non deriverebbe altro che dalla ricerca di con-forto nel richiamare alla memoria il vissuto dell’esperienza della nascita.

Nessuna di queste teorie, però, sembra essere soddisfacente. Si pongono infatti una serie di pro-blemi e di paradossi che fanno vacillare la loro pseudo-solidità:

•   Innanzi tutto, non dimentichiamo che si parla di teorie, e soprattutto che le teorie psicologi-che devono essere ancora sottoposte a veri-fica sperimentale.

•   Secondariamente, le NDE sono vissute allo stesso modo da persone morte in circostanze diverse, mentre la teoria delle allucinazioni potrebbe, al limite, adattarsi a circostanze specifiche (ad esempio, a tutti i casi in cui sono stati somministrati anestetici). •   Infine, ogni teoria focalizza soprattutto l’aspetto allucinatorio, trascurando il fatto che spesso chi ha vissuto una NDE è in grado di riferire dettagli su ciò che stava accadendo attorno al suo corpo, nell’arco temporale in cui risultava clinicamente morto.

Ma come possono i neuroni del cervello di una persona dichiarata clinicamente morta, e quindi priva di ogni attività fisiologica, scambiarsi infor-

mazioni elettrochimiche e generare nuove confi-gurazioni per creare nuove memorie? Come po-trebbe una persona dichiarata clinicamente morta vedere i medici affannarsi sul proprio corpo se la mente e la coscienza stessero realmente nel cer-vello?

NDE E FISICA QUANTISTICA

La teoria centrale della sopravvivenza alla morte ruota attorno al concetto di memoria quantica (Goswami, 2011). L’idea è che parte della nostra memoria sia non locale, vale a dire che non risieda localmente nel cervello, ma in “un luogo” privo di spazio-tempo. L’antico termine sanscrito per que-sto “luogo” è Akasha, quello più moderno è Campo Quantistico, quello più metafisico è Co-scienza. Secondo la filosofia dell’idealismo monista (Goswami e altri, 1993), è la Coscienza la base di tutta l’esistenza, non la materia: sia il mondo ma-teriale che quello mentale emergono dalla Co-scienza. La Coscienza perciò non è un epifeno-meno del cervello, ma quella base dell’esistenza che contiene tutte le possibilità di manifestazione (di ciò che è mentale e di ciò che è materiale), in-cluso il cervello stesso (Goswami, 2011). Non è al-lora il cervello a creare la Coscienza, in quella ca-tena di causalità verso l’alto in cui crede la Scienza dualistica, secondo la quale le particelle subatomi-che e le loro interazioni creano l’atomo, insiemi di atomi creano le molecole, insiemi di molecole for-mano le cellule, alcune delle quali sono neuroni, collettività di neuroni costituiscono il cervello e il cervello genera i processi mentali, tra cui la Co-scienza (Goswami, 2004). Il cervello non può creare la Coscienza, perché è solo un oggetto. E dato che, nell’ottica della fisica quantistica, gli og-getti sono solo onde di probabilità che “si materializ-zano” nel momento in cui con l’osservazione fac-ciamo collassare una funzione d’onda, è più cor-retto dire che è la Coscienza a creare il cervello (Goswami, 2015).

In vita, la Coscienza trova un correlato neuro-fisiologico nei processi quantistici coerenti di strutture cerebrali chiamate microtubuli, processi che sembrano regolare l’attività delle membrane sinaptiche (Hameroff e Penrose, 2014). Con la morte, e la conseguente cessazione dell’attività

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cellulare, l’informazione legata ai processi quanti-stici dei microtubuli si libera, venendo meno l’as-sociazione col corpo fisico. L’informazione non si disperde nel nulla, ma viene trasferita non local-mente alla Coscienza. Se questo è ciò che pos-siamo chiamare anima, allora la nostra anima è co-stituita dello stesso tessuto con cui è fatto l’uni-verso.

Lette attraverso le leggi che regolano il mondo dell’infinitesimamente piccolo, le esperienze ca-ratteristiche delle NDE acquistano un significato diverso da quello di essere mere allucinazioni o meccanismi di difesa del cervello contro la paura.

-   La visione del proprio corpo dall’alto, o dalla prospettiva dei soccorritori, può essere spiegata dal principio di non località: il soc-corritore guarda il corpo senza vita ed “ac-quisisce le informazioni” della scena, mentre la Coscienza fa collassare una realtà simile tra le tante possibili, in un fenomeno molto si-mile a quello della telepatia (Goswami, 2011).

-   Dopo la morte si verifica una transizione della Coscienza dal mondo materiale, che opera a una velocità inferiore a quella della luce, a un mondo che opera ad una velocità maggiore, quello spirituale, o superluminale. È molto probabile che questa transizione pro-duca un effetto tunnel (il tunnel descritto nei racconti), nello stesso identico modo in cui sembra prodursi quello che gli astrofisici chiamano buco nero (Wolf, 1998).

-   L’assenza di spazio e di tempo è una carat-teristica peculiare del Campo Quanti-stico/Coscienza. Il Campo anticipa lo spazio e il tempo, perché spazio e tempo emergono dal Campo. Pertanto “il ritorno” alla Co-scienza, al di fuori della materia, libera dal costrutto dello spazio e dal trascorrere del tempo.

-   L’assenza di spazio e di tempo che caratte-rizza il Campo Quantistico è anche la spiega-zione più plausibile della capacità di comu-nicare istantaneamente e senza parole di cui racconta chi ha sperimentato una NDE. Nel Campo, la trasmissione di informazione non avviene nel modo tradizionale in cui siamo

abituati a sperimentarla ogni giorno, ma in maniera non locale. Quindi non vi è alcuna trasmissione di informazione, alcun passag-gio diacronico da un punto ad un altro di qualche tipo di segnale in un determinato tempo. Piuttosto, ciò che si verifica è il cam-biamento sincronico dello stato quantico delle particelle.

-   Infine, la ricapitolazione della propria vita e l’accesso a una conoscenza assoluta equival-gono ad aver avuto accesso allo stesso campo di informazione che tutto contiene, che tra-scende ogni limite spazio-temporale, che col-lega non localmente ogni singola particella dell’Universo, in ogni luogo e in ogni tempo: il Campo Quantistico, o se preferiamo, l’Aka-sha.

CONCLUSIONI

Assieme ai racconti delle vite passate acquisiti mediante ipnosi regressiva, le esperienze di pre-morte sono una forte prova indiziaria del fatto che qualcosa sopravviva alla morte, sia che si voglia chiamare anima, spirito, o Coscienza. La Fisica Quantistica ci viene incontro nel fornire delle so-lide basi teoriche ai fenomeni che intercorrono nelle NDE, aprendo una concreta possibilità di let-tura alternativa, rispetto a quella data negli ultimi tre secoli, da Cartesio in poi, e che ha trovato ascolto esclusivamente nella sfera della religione e della spiritualità. Anche in questo caso si parla di teorie, certo. E per questo si parla di prove indizia-rie. Ma, allo stesso modo, di teorie si parla nel rite-nere che la Coscienza non sia altro che il risultato di qualche scarica elettrica in una matassa di neu-roni. La Scienza ha bisogno di risposte certe per poter costantemente demarcare i propri progressi, ma forse il progresso più grande sarebbe rappre-sentato dalla risposta sincera ad una sola do-manda: “Se non sappiamo esattamente cosa la Co-scienza sia, come possiamo parlare della sua morte?”

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Elsaesser-Valarino, E. (2014). Straordinarie Esperienze. Una breve saggio sulle esperienze transpersonali legate alla morte fisica. Barzanò: Edi-zioni Stazione Celeste.

Goswami, A. (2015). Comunicazione personale con l’autore. In “Dieci minuti con Amit Goswami”. Intervista di Albanese, F. Varignana (BO): 29 Marzo 2015. Su www.quanticamente.net/?p=132 e youtu.be/IjZoQ6yCuQo

Goswami, A. (2011). Physics of the soul. The Quantum Book of Living, Dying, Reincarnation, and Immortality. Charlottesville, VA: Hampton Roads Publishing Company, 2013.

Goswami, A. (2004). The Quantum Doctor. A Quantum Physicist Explains the Healing Power of the Integrative Medicine. Charlottesville, VA: Hampton Roads Publishing Company, 2011.

Goswami, A., Reed, R.E. e Goswami, M. (1993). The Self-Aware Universe. How Consciousness Creates the Material World. New York: Jeremy P. Tatcher/Putnam, 1995.

Hameroff, S. e Penrose, R. (2014). Consciousness in the universe. A review of the ‘Orch OR’ theory. Physics of Life Reviews, 11: 39–78

Laszlo, E. (2007). Science and the Akashic Field: An Integral Theory of Everything. Inner Traditions; 2nd edition. Trad. it: La scienza e il campo akashico. Connessione e memoria nel cosmo e nella coscienza: una teoria integrale del tutto. Milano: Urra, 2009.

Moody, R.A. (1976). Life after life. Investigation of a Phenomenon-Survival of Bodily Death. New York: Bantam. Trad. It.: La vita oltre la vita. Studi e rivelazioni sul fenomeno della sopravvivenza. Milano: Oscar Mondadori, 1977-2013.

Wolf, F.A. (1998). The Soul and Quantum Physics. In Rosen, E.J. (a cura di). Experiencing the Soul: Before Birth, During Life, After Death. Carlsbad, CA: Hays House, pp. 245-252