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Estratto il caso sindone non e chiuso

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Cos'è la Sindone? Chi è l'uomo che ne fu avvolto? Sono queste le domande a cui il libro tenta di dare risposta. Gli autori indagano, senza preconcetti e faziosità , sul suo mistero, un caso niente affatto chiuso con le risultanze del Carbonio 14, ma aperto, apertissimo e che rimarrà tale finché non si daranno risposte obiettive e condivise.

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IL “CASO SINDONE”NON È CHIUSO

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BRUNO BARBERISMASSIMO BOCCALETTI

IL “CASO SINDONE”NON È CHIUSO

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© 2010 Edizioni San Paolo s.r.l.Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)www.edizionisanpaolo.itDistribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)

© 2015 Periodici San Paolo s.r.l.Via Giotto, 36 - 20145 Milanowww.credere.itwww.famigliacristiana.it

Allegato a Credere di questa settimanaDirettore responsabile: Antonio RizzoloSettimanale registrato presso il Tribunaledi Alba il 23/10/2012, n. 4/12

Allegato a Famiglia Cristiana di questa settimanaDirettore responsabile: Antonio SciortinoSettimanale registrato presso il Tribunale di Alba il 7/9/1949 n. 5P.I. SPA - S.A.P. - D.L. 353/2003 L. 27/02/04 N. 46 - a.1 c.1 DCB/CN

Ricerca iconografica: Max MandelProgetto grafico: Angelo ZenzalariImpaginazione: Giuseppe Oggioni

Tutti i diritti riservati.

Nessuna parte di questo volume potrà essere pubblicata, riprodotta,archiviata su supporto elettronico, né trasmessa con alcuna formao alcun mezzo meccanico o elettronico, né fotocopiata o registrata,o in altro modo divulgata, senza il permesso scritto della casa editrice.

ISBN 978-88-215-9533-2

Un’edizione rilegataNuova edizione in brossura 2015

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La Sindone non teme l’esame.Teme solo di non essere esaminata.

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Prefazione

NUOVO APPELLODEL TESTIMONE SILENZIOSO

Ad ogni Ostensione della Sindone milioni di persone,credenti e non, si recano a Torino per vedere il misteriosoTelo. Ricordando solo le Ostensioni più recenti, oltre quat-tro milioni di pellegrini da ogni parte del mondo hannovarcato le porte del Duomo di Torino per venerare laSindone nel 1998 (l’Ostensione dell’era Internet) e nel2000 (l’Ostensione dell’anno del Giubileo). Nel 2010, laprima Ostensione del Terzo millennio ha richiamato aTorino oltre due milioni e mezzo di persone. La Sindoneveniva mostrata per la prima volta pubblicamente dopo ilpaziente lavoro di conservazione eseguito nel 2002: la ri-mozione delle toppe cucite dalle Clarisse di Chambéry inoccasione dell’incendio del 1532 e la ripulitura del Linodai residui di tessuto bruciato. Operazioni necessarie persalvaguardare la Sindone e assicurare alle generazioni fu-ture la possibilità di continuare ad ammirare questa im-magine unica e affascinante.

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Altri tre milioni e mezzo ne aveva registrati la celebreOstensione del 1978, al termine della quale la Sindonevenne sottoposta alle prove scientifiche più disparate.Per non parlare dei milioni di telespettatori che il 23 no-vembre 1973 poterono osservarne la prima immagine te-levisiva sui teleschermi di vari Paesi dell’Europa e del-l’America. Operazione ripetuta, in un certo senso, il 30marzo 2013, Sabato Santo, quando la Sindone è statamostrata al mondo in televisione per un’Ostensione te-levisiva straordinaria durante l’Anno della Fede 2012-2013. Papa Francesco ha voluto rendersi spiritualmentepresente attraverso un video-messaggio in cui ha invitatoa «venerare», a «lasciarsi guardare» dal Volto dellaSindone: «Lasciamoci raggiungere da questo sguardoche non cerca i nostri occhi ma il nostro cuore. Ascol-tiamo ciò che vuole dirci, nel silenzio, oltrepassando lastessa morte».Quasi certamente anche la prossima Ostensione por-

terà davanti alla Sindone milioni di pellegrini. Dinanzia tali cifre c’è da chiedersi, cristiani o no, credenti o no,“come mai” l’ormai celeberrimo Telo continui ad eser-citare un richiamo universale. Interrogativo intriganteche ne presuppone altri: cos’è l’immagine visibile sullaSindone? Chi è colui che ne fu avvolto?

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A queste due domande, che affaticano da secoli coloroche si accostano, in spirito non preconcetto o settario, alTelo, i due Autori tentano di dare una risposta, rivolgen-dosi soprattutto all’“uomo della strada”, a chi della Sin-done ha sentito parlare il più delle volte in modo pre-concetto o settario, per l’appunto, o non ne ha mai sentitoparlare. Loro presunzione è chiarire “sine ira et sinestudio” soprattutto i termini del “caso Sindone”, nienteaffatto chiuso dopo i risultati della datazione del Len-zuolo con il Carbonio 14. Ma aperto, apertissimo e cherimarrà tale finché non si daranno risposte “scientifiche”obiettive e condivise ai due interrogativi che abbiamo ac-cennato poc’anzi.Agli Autori piace pensare che il corretto atteggiamento

dinanzi all’immagine sia quello che dovrebbe avere chiun-que si trovi di fronte ad un mistero, uno dei tanti che cir-condano la nostra vita. Ossia curiosità e desiderio di sa-pere. Non di parteggiare.

Nuovo appello del testimone silenzioso

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Premessa

AUTENTICITÀ,TERMINE DECISAMENTE EQUIVOCO

Tutti coloro che si interessano della Sindone, siano essi

scienziati, storici, fisici, chimici o medici legali, scettici o

credenti, conoscitori profondi od orecchianti, indistinta-

mente, si pongono la domanda: “Vera o falsa?”. Un inter-

rogativo assai diffuso, espresso in termini banali, equiva-

lente di quell’altro che banale non è: “La Sindone di Torino

è autentica?”. Dove tale termine sta a significare che è “mi-

racolosa”, essendo impossibile costruirne un’altra eguale.

Chi non accetta l’autenticità (nell’accezione in cui equi-

vale alla “miracolosità”) entra, quasi automaticamente,

nella schiera di coloro che la considerano “falsa”. Del resto

moltissimi considerano acriticamente autentica la Sindone,

solo perché sono cristiani. Come tantissimi atei (o non cri-

stiani) la giudicano un falso, solo per il fatto di essere tali.

Facile prevedere che anche in occasione della prima Osten-

sione del XXI secolo il quesito di fondo agiterà la mente e

il cuore di molti visitatori che verranno a contemplare una

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delle immagini più inquietanti, scientificamente più studiate

della storia. E magari si daranno una risposta che potrebbe

incidere sulla loro vita spirituale.

La persistenza nei secoli dell’interrogativo fondamen-

tale sembra divenuta più assillante a seguito delle molte

certezze scientifiche acquisite nel ’900 in conseguenza de-

gli studi e delle ricerche sulla Sindone. Come se il molti-

plicarsi di risultanze teoriche e sperimentali pacificamente

condivise rendesse più urgente dar soddisfazione ad un mi-

stero rimasto a tutt’oggi senza risposta. L’assillante ri-

proporsi rende comunque evidente che il concetto di “au-

tenticità”, così puntigliosamente ricercato, non sia affatto

univoco ma assuma almeno tre significati diversi, tutti pa-

rimenti rilevanti.

Nella sua prima accezione autenticità può voler dire che

«l’immagine e le macchie impresse su quel Telo sono state

prodotte dal cadavere di un essere umano attraverso un

procedimento “naturale”, ossia senza l’intervento di un ar-

tista o l’utilizzo di tecniche e/o materiali per la sua produ-

zione». La tesi in contrario, dura a morire, viene da lontano.

Addirittura dalla fine del Trecento, quando Pierre d’Arcis,

vescovo di Troyes, per impedire ai canonici di Lirey, suoi

sottoposti, le Ostensioni che attiravano gran folla (e offerte),

arrivò a minacciarli di scomunica.

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Secondo il vescovo, infatti, non si trattava della vera

Sindone di Cristo, bensì di una sua raffigurazione, come

scrisse l’antipapa Clemente VII, chiamato a dirimere il

conflitto nella bolla del 6 gennaio 1390. Il vescovo affer-

mava anche di aver conosciuto il pittore (senza tuttavia for-

nirne il nome) attraverso il suo predecessore. Oggi, però,

sappiamo che così non è, non è mai stato, non costituendo

la Sindone un dipinto. Avrebbe evitato che qualcuno, nel

tentativo di dare una paternità all’immagine pittorica, la at-

tribuisse a… Leonardo da Vinci, che, come è noto, nacque

cent’anni dopo. Perché, nella storia della Sindone, è suc-

cesso anche questo.

A quella remota e perentoria affermazione di “opera fatta

da uomo” se ne contrappongono numerose altre che la de-

finiscono con il termine greco “acheiropoietos”, ossia non

di origine umana. I sostenitori della “Sindone = dipinto”

sono fioriti numerosi anche in secoli più recenti, ma la loro

voce sembra ormai definitivamente subissata da risultati

scientifici inequivocabili, oltre che dai numerosi tentativi

(falliti) di crearne in laboratorio una che si avvicini almeno

alla “complessità creativa” dell’originale.

Paul Vignon, scienziato e pittore dilettante, di cui avremo

modo di parlare diffusamente, osservò sin dall’inizio che in

nessuna parte del Lenzuolo erano visibili scaglie come ci si

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potrebbe invece aspettare da un telo dipinto e arrotolato. Le

tracce stesse non presentano contorni, sfumando nel tessuto,

senza soluzione di continuità. Conclusione? A tutt’oggi la

Sindone rimane (e sino a prova contraria) “acheiropoietos”

e in questo senso si può ben definire “autentica”.

Una seconda accezione del termine è di carattere storico.

Si parte dalla considerazione che sia i quattro Vangeli ca-

nonici (senza dubbio storici) sia alcuni di quelli cosiddetti

apocrifi (ritenuti non storici perché composti molto più

tardi), descrivendo la passione di Gesù (figura certamente

storica anch’essa) parlano di una Sindone, ossia di un len-

zuolo funebre usato per avvolgere il suo corpo dopo la de-

posizione dalla croce. Quella di Torino sarebbe quindi au-

tentica se veramente fosse un lenzuolo dell’epoca (non

necessariamente “quel Lenzuolo”) risalente al I secolo

dopo Cristo, usato per avvolgere un cadavere (non neces-

sariamente “quel Cadavere”). Come è noto, l’esame con il

Carbonio 14, al quale per una cognizione più approfondita

rinviamo il lettore, avrebbe decisamente escluso questo

tipo di autenticità, collocando il Telo di Torino tra il XIII

e il XIV secolo.

L’ultimo significato è quello prevalente, che sottinten-

dono quasi tutti coloro che si pongono il dilemma dell’au-

tenticità: «È forse questo il lenzuolo funebre di cui parlano

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i Vangeli, che duemila anni fa avvolse il corpo di Cristo cro-

cifisso?». In tal caso colui che viene anonimamente sempre

definito come l’Uomo della Sindone (impossibile aver cer-

tezza diretta della sua identità) e Gesù Cristo sarebbero la

stessa persona.

Finché il Telo fu solamente oggetto di culto (in pratica

fino al 1898, quando Secondo Pia, con le sue fotografie,

diede indirettamente il via ad una delle più appassionanti av-

venture scientifiche della storia), tale coincidenza non fu

mai sostanzialmente messa in dubbio, anche se nel merito

non c’è mai stata una presa di posizione ufficiale della

Chiesa. Ma la qualifica di “sacra” comunemente attribuita

alla Sindone, il moltiplicarsi delle Ostensioni, la prolifera-

zione di immagini che la rappresentano, la dicono lunga su

“Chi” milioni di fedeli (ma anche agnostici) vedano dietro

quelle impronte evanescenti.

A partire da quella fatidica data, vero e proprio spar-

tiacque della storia della Sindone, in virtù della quale nella

travagliata vicenda della Sindone si può parlare di un

“prima” e di un “dopo”, i due aspetti, devozionale e scien-

tifico appaiono inestricabilmente intrecciati. Anche se in

genere il primo è (e deve essere) considerato a sé stante, in-

dipendente da quello scientifico. La Sindone – e lo ribadì

il cardinale Anastasio Ballestrero nel presentare i risultati

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del Carbonio 14 – è un’icona. L’autenticità (ossia la grande

probabilità che il Telo sia quello che avvolse il Cristo) non

può che rafforzare la fede e dare a quell’immagine una

forza irresistibile, rendendola la prima e la più sublime di

tutte le icone.

Perché se è vero che la fede non dipende dalle immagini,

è anche vero che da esse ne esce rafforzata e talvolta ne sca-

turisce. Per usare le parole di Ballestrero «sappiamo tutti che

le immagini da un punto di vista religioso hanno un gran-

dissimo, diremmo, valore ed efficacia. Ma nella stragrande

maggioranza sono soltanto opera di uomini». Nel caso di

non autenticità «rimarrebbe una grandissima immagine

fatta da uomini, espressione di fede e sussidio per la pietà

e la fede del popolo cristiano». Commenta Giuseppe Ghi-

berti, biblista insigne: «In una foto (a me cara per l’imma-

gine e magari per chi me l’ha data) non c’è la persona

morta. Così pure nella Sindone. Per questo motivo la pro-

mozione di un movimento devozionale non si lascia con-

dizionare e non rimane in attesa dei referti scientifici, anche

se nutre verso di essi grande interesse».

Per concludere, ci si potrebbe rifare al concetto di au-

tenticità così come emerge dalle parole di uno dei “padri”

della sindonologia, il chirurgo francese Pierre Barbet, le cui

ricerche ed osservazioni fondamentali vengono spesso ri-

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chiamate in questo volume: «Cominciai con un certo scet-

ticismo ad esaminare le immagini esistenti sulla Sindone –

ricorda – ed ero del tutto pronto a negarne l’autenticità, se

non concordavano con la verità anatomica. Viceversa i fatti

sono andati via via raggruppandosi in un fascio di prove

sempre più convincenti. Non solo la spiegazione delle im-

magini era così naturale e semplice che le proclamava ge-

nuine. Ma altresì, se dapprima sembravano anormali, la spe-

rimentazione dimostrava che erano quali dovevano

veramente essere. Che non potevano essere diverse né quali

un falsario le avrebbe raffigurate. Così l’anatomia recava la

testimonianza della loro autenticità, in piena concordanza

con i testi dei Vangeli».

Qualunque sperimentazione tuttavia si vorrà effettuare,

non potrà mai esserci una risposta sicura al cento per cento

alla domanda se si tratta veramente del lenzuolo funebre che

avvolse il corpo di Cristo dopo la deposizione dalla croce.

Più concisamente Alan Adler, professore emerito dell’Uni-

versità del Connecticut, scomparso una decina di anni fa, af-

fermò che la scienza non è in grado di dimostrare l’auten-

ticità della Sindone come lenzuolo funerario di Cristo, ma

esclusivamente la sua non-autenticità. Infatti, mentre non

esiste un accettabile esperimento di laboratorio per provare

l’identità dell’immagine sul Telo, un’eventuale prova della

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sua origine pittorica sarebbe sufficiente per dimostrarne la

non autenticità.

A questo punto facciamo nostro l’interrogativo posto da

uno studioso nell’ottobre del 1987, ma pienamente valido

ancor oggi: «In una società scristianizzata come l’attuale, in

cui si è perso il senso della sacralità della vita, in cui a mag-

gior ragione si è smarrito il senso della sacralità della morte,

quale significato si vuole ancora attribuire ad un lenzuolo

funebre?… Oggi, in cui l’informazione viene trasmessa

sempre più per immagini, la Sindone può veramente costi-

tuire un testo-immagine di straordinaria efficacia emotiva».

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Capitolo I

AGLI ALBORI, TRA REALTÀ E LEGGENDA

«Il problema più grosso per chi crede nell’autenticità

della Sindone è che non esistono prove storiche che, secondo

la versione più favorevole, sia più vecchia di 650 anni. Essa

“salta fuori” di punto in bianco verso la seconda metà del

XIV secolo nel centro della Francia senza preavviso e senza

la minima spiegazione di come sia finita lì. Tanto il mistero

della sua precedente collocazione quanto il modo stesso

della sua apparizione depongono contro l’autenticità». L’opi-

nione espressa dagli Autori di un volume sulla Sindone, ap-

parso negli anni ’90 corrispondente a quella dei cosiddetti

“medioevalisti”, non manca di qualche verità. La storia della

Sindone si può suddividere, infatti, in due grandi periodi: il

primo, sostanzialmente oscuro, va dalle origini agli anni

cinquanta del Trecento, periodo in cui fa la sua comparsa

nella storia. E il secondo, in cui la “tracciabilità” storica della

Sindone appare ben definita, senz’ombra di dubbi o confu-

sioni, fino ai nostri giorni.

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Se abbondanti e storicamente incontrovertibili sono i ri-

chiami all’esistenza del Telo da quella data in poi, i tenta-

tivi di tracciare un percorso storicamente plausibile nei tre-

dici secoli precedenti si scontrano inevitabilmente con la

leggenda, dando robusto fiato ai medioevalisti di negarne la

pre-esistenza. Non che manchino flash ad illuminare que-

sti secoli “di buio profondo”, ma si tratta pur sempre e

solo di lampi improvvisi che illuminano in modo non coe-

rente e plausibile la scena storica. Dopodiché tornano im-

placabili le tenebre, lasciando spazio alle ipotesi, e per

giunta talvolta assai fantasiose.

Partiamo comunque dall’ultimo punto fermo riguardante

la Sindone costituito dal resoconto dei quattro “storici” di

fede che sono gli Evangelisti. Secondo Matteo «Giuseppe [di

Arimatea] prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e

lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare

nella roccia…». Gli fanno eco, praticamente all’unisono,

Marco: «[Giuseppe] allora, comprato un lenzuolo, lo depose

dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un se-

polcro scavato nella roccia» e Luca: «Lo depose dalla croce,

lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato

nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto».

Giovanni invece: «Allora [Giuseppe] andò e prese il corpo

di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza

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Agli albori, tra realtà e leggenda

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Sepoltura di Gesù. Giovanni Battista Della Rovere, olio su seta.(XVII secolo) Torino, Pinacoteca Sabauda.

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era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una

mistura di mirra e di aloe. Essi presero il suo corpo e lo fa-

sciarono con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giu-

dei per la sepoltura». Descrivendo il proprio arrivo di corsa,

prima di Pietro, alla tomba trovata vuota, Giovanni dice di

sé che «si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse

intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel se-

polcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato

sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un

luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era

giunto per primo al sepolcro, e vide e credette».

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Lirey

Torino

Atene

Istanbul(Costantinopoli)

Gerusalemme

Urfa(Edessa)

Chambéry

I VIAGGI DELLA SINDONE

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Situati all’altra estremità di quel ponte ideale che collega

il primo secolo al XIV, i primi “storici” della Sindone danno

un esempio di quella “concordia discors” che caratterizza i

loro scritti. Giovanni non usa infatti nemmeno la parola

“sindone”, preferendo il plurale “teli” e aggiungendo il ter-

mine “sudario” ossia un fazzoletto mortuario che può avere

svariati usi, tra i quali il più probabile sembra essere quello

di “mentoniera”, cioè di un fazzoletto arrotolato attorno al

viso e legato sulla sommità del capo allo scopo di tenere

chiusa la bocca.

Al di là di sporadici e vaghi accenni nei primi secoli che

testimoniano comunque la conservazione e la venerazione

dei teli funebri di Gesù, il richiamo più concorde degli stu-

diosi di storia sindonica va ad un altro reperto in cui la Sin-

done si identificherebbe, conosciuto sotto il nome di “im-

magine edessena” (da Edessa, l’attuale Şanliurfa, tra Turchia

e Siria). Secondo la tradizione infatti il Telo coinciderebbe

con il volto di Gesù impresso su un fazzoletto conservato

in quella città e abbondantemente citato anche da famosi

Autori, soprattutto di lingua greca.

Colpito da grave malattia ed essendo la fama dei miracoli

di Gesù giunta fino a lui, Abgar V Ukhama, re di Osroene

(piccolo regno a cavallo tra l’impero romano e quello dei

Parti), aveva inviato a Gesù il pittore di corte Anania con

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una lettera alla quale egli non avrebbe risposto ma, colpito

da tanta fede, si sarebbe lasciato ritrarre. Questa la prima

versione, che ha ben poco di “storico”. Un’altra riferisce in-

vece che Gesù inviò al re malato un fazzoletto con impresso

il suo volto. Tenuta in grandissimo conto da re Abgar e dai

suoi diretti discendenti, l’immagine dovette tuttavia essere

nascosta per sottrarla alle successive persecuzioni contro i

cristiani ad opera di un discendente di Abgar stesso. Sarebbe

rimasta ben celata nelle mura di Edessa almeno fino a

quando venne riscoperta in occasione dell’assedio delle

truppe persiane di Cosroe. Leggende a parte, l’immagine di

Edessa, altrimenti denominata Mandylion (ossia fazzoletto

o piccolo asciugamano, termine tuttora usato in alcuni dia-

letti italiani), godette di grande popolarità tra i cristiani. A

forma rettangolare aveva al centro un tondo con il viso del

Cristo e tutt’attorno una decorazione: ancora oggi ne esi-

stono diverse raffigurazioni realizzate in varie epoche.

Nel 944 sul trono di Bisanzio regna Romano I Lecapeno,

di origine armena. L’imperatore ritiene che la più venerata

delle immagini dell’antichità debba essere conservata nella

sua capitale, Costantinopoli, non a Edessa, tanto più che la

città all’epoca è in mano all’emiro. Ordina pertanto al suo

miglior generale Giovanni Curcuas di assediarla con l’eser-

cito imperiale. Tiene talmente al Mandylion, da promettere

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Il re Abgar con il Mandylion. Icona. Monastero di S. Caterina del Sinai.

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in caso di consegna spontanea, l’indulgenza, la liberazione

di 200 prigionieri arabi di alto rango e la consegna di dodi-

cimila denari d’argento.

Allettato dall’offerta, il califfo di Bagdad, Al Muttaqi, or-

dina all’Emiro di Edessa di consegnare la reliquia, contro

l’opposizione della minoranza cristiana della città. La reli-

quia arriva a Costantinopoli il 15 agosto (festa della Dor-

mizione della Vergine) nel tripudio generale, con la famiglia

imperiale al gran completo ad attenderla. Resta per breve

tempo nel Santuario Theotòkos (Madre di Dio) delle Bla-

cherne per essere collocata nella chiesa della Theotòkos

detta “del Pharos”, nel Palazzo imperiale Boucoleon, come

riferiscono concordemente cronache arabe, greche e siriache.

Un anno dopo, a Romano I succede il genero, Costantino

VII Porfirogenito, il quale conia monete d’oro con l’effige

del Mandylion e istituisce il 16 agosto la festa ufficiale. In

tale occasione, Gregorio il Referendario, alto dignitario in-

caricato delle relazioni tra l’imperatore e il patriarca, pro-

nuncia una celebre omelia, fondamentale per la compren-

sione della vicenda storica della Sindone, ritrovata nel 1986

negli archivi storici vaticani dallo storico Gino Zaninotto.

Gregorio parla infatti dell’impronta portata da Edessa e

«impressa dalle sole gocce di sudore dell’agonia, sgorgate

dal volto che è origine di vita, stillate giù come gocce di san-

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gue […] ulteriormente abbellita dalle gocce di sangue sgor-

gate dal suo stesso fianco».

Un particolare più che significativo, ai fini della presunta

coincidenza con il Mandylion, come afferma padre André Ma-

ria Dubarle, nella sua Histoire ancienne du Linceul de Turin.

Perché, non dimentichiamolo, la parte visibile del Mandylionera limitata all’effige del solo volto e non di tutto il corpo,

mentre il Referendario dimostra di aver visto altro. L’ipotesi

secondo cui il Mandylion non sarebbe altro che la Sindone pie-

gata in 8 parti fu avanzata da Ian Wilson, storico inglese, già

presidente della British Society for the Turin Shroud, e con-

divisa da diversi sindonologi, ma criticata dai medioevalisti.

Tra le obiezioni è che, se così fosse, sulla Sindone si no-

terebbe una differenza d’invecchiamento tra la zona del

Volto (esposta per un periodo più lungo) e le altre zone. «Se

davvero sono lo stesso oggetto – si chiede un Autore – per-

ché si fece quella mascherata? Perché nascondere l’esi-

stenza del Telo mediante una piegatura ottupla?». «Per gli

Ebrei come per i Cristiani – è la spiegazione – la Sindone

era un oggetto impuro. Solo con orrore si guarderebbe ad un

Telo insanguinato, che mostra le tracce della flagellazione

e della crocifissione. Non era possibile: un tale oggetto po-

teva solamente causare un sentimento di rifiuto. L’unico ri-

medio per conservarlo era trasformarlo in un ritratto».

Agli albori, tra realtà e leggenda

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