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PERCORSO DI FILOSOFIA ATTRAVERSO LA CULTURA Lo spazio dell’etica fra Oriente e Occidente

Etica

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P E R C O R S O D I F I L O S O F I A A T T R A V E R S O L A C U L T U R A

Lo spazio dell’etica fra Oriente e Occidente

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L’etica in filosofia

I comportamenti umani e le «leggi» a cui essi obbediscono (o dovrebbero obbedire) sono oggetto da secoli delle domande dei sapienti. L’Occidente ha una culla fondamentale per la nascita di queste domande, che è la Grecia. Quelle a noi più conosciute partono dal mondo ellenistico: le teorie di Epicuro, di Aristotele, Zenone e compagni sono ancora oggi oggetto di studi. Ai nostri tempi non si è smesso di chiedere «come mai»

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Perché ci interessiamo all’etica? Perché vorremmo sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato?

Ricercare criteri che consentano all’individuo di gestire autonomamente la propria libertà nel rispetto degli altri: che sia questa la missione?

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Lo spazio dell’etica è notevole nelle nostre vite. Anche se non ce ne rendiamo conto, tutti i giorni siamo costretti a prendere scelte. Esiste una base razionale (e non emotiva) dell’etica, su cui si può fondare una vera disciplina dell’esistere rettamente. Questo perché i sentimenti a volte fanno sbagliare (quello che è giusto quando sono arrabbiato, non lo è quando sono calmo). Per questo motivo è fondamentale sapere i perchè

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Pitagora

I pitagorici, con la dottrina della metempsicosi (trasmigrazione dell’anima), sostengono la purificazione e l’espiazione delle colpe originarie nell’anima umana. Bisogna quindi liberarla dal corpo, perché l’obiettivo è tornare a vivere fra gli dei. Pitagora introdusse il concetto del «retto agire» per farsi seguace del divino: la vita contemplativa, spesa al bene e alla conoscenza, è l’imperativo etico che permette di ritrovare la purezza divina.

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Sofisti

Per i sofisti la riflessione si concentra sull’uomo e non sulla physis, perché la base da cui si parte è la vita politica della città, caratterizzata dalla ricerca della verità nei rapporti intersoggettivi. A questo punto, la verità è relativa, perché non può essere sempre valida per tutti allo stesso modo. Il relativismo gnoseologico include anche la morale, in cui bene e male vengono rapportati al giudizio individuale. La distinzione fra vero e falso dipende dal rapporto del singolo con il mondo, quindi la verità, il bene sono soggettivi.

«L’uomo è misura di tutte le cose» Protagora

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Socrate

La virtù dell’anima è la sua stessa cura per Socrate, cioè l’attività conoscitiva. La conoscenza del bene, infatti, non può che far agire bene un uomo. Se l’uomo tende al maggior bene possibile, un’azione giusta costituirebbe un piacere ben più stabile rispetto a un piacere sfuggente o alla nefasta conseguenza che deriverebbe da un’azione ingiusta. Perciò l’anima dev’essere «ordinata», interiormente auto-dominata, affinché si possa parlare di felicità.

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Aristotele

Aristotele parla dell’etica nelle scienze pratiche, visto che, allo stesso modo della politica, riguarda l’agire dell’uomo in ambito privato. Gli uomini agiscono in vista di uno scopo, e il loro scopo è il bene. Esso non può essere il godimento fisico, perché altrimenti saremmo bestie. Non può essere neanche l’onore o il potere, «felicità» del tutto esteriori. Non si deve cercare il sommo bene in un oggetto o in una condizione, ma in un fare, agire secondo le virtù, che possono essere

etiche (pratiche-razionali che perseguono il giusto mezzo fra due

estremi) dianoetiche (della mente) Il più alto grado di virtù, e quindi di felicità, è la sapienza, cioè conoscenza dei principi primi.

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Epicuro

La missione di Epicuro è liberare l’uomo dalle sue paure più profonde, che lo rendono infelice.

1. non avere paura degli dei, essi sono indifferenti all’uomo

2. non avere paura della morte, perché finchè ci siamo noi, lei non può esserci, è un’esperienza che non potremo sentire

3. non avere paura del piacere e del dolore. Se l’essenza dell’uomo è materiale, il sommo bene è altrettanto materiale. Bisogna esercitare l’aponia e l’atarassia, e abbandonarsi al piacere, perché il dolore passa in fretta

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Stoici

L’appropriazione di se stessi è il punto chiave dell’etica stoica, nella quale è necessario vivere secondo natura, cioè perseguire il bene (ciò che conserva il nostro essere) e fuggire dal male (ciò che lo danneggia). La virtù è conservazione, il vizio è danneggiamento. Essi dipendono dalla nostra interiorità, perché esteriormente non hanno un valore in sè. Le cose malvagie vengono perciò chiamate «indifferenti che vanno respinte», le cose buone «indifferenti preferibili».

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In Oriente

Anche in Oriente le filosofie hanno dato molto spazio al tema dell’etica, creando spesso dei paralleli con dottrine a noi conosciute. Esistono «filosofie» come la Theravada (la "scuola degli anziani", da alcuni detta Hīnayāna, "veicolo inferiore"), che tratta più di filosofia personale, o anche il Mahāyāna o "grande veicolo", di impostazione più simile alla filosofia occidentale.

In Cina si sono sviluppate nei secoli varie scuole di pensiero molto diversificate, alcune delle quali, come la Taoista, hanno contribuito allo sviluppo di una visione del mondo naturalistica, altre, come la Logicista, hanno iniziato un interessante studio della logica (che non è però proseguito) in una maniera che ricorda la Sofistica. Il Confucianesimo ed il Taoismo hanno dibattuto sulla natura dello stato e della politica. Infine, i Naturalisti svilupparono il discorso sul monismo naturalistico e diedero le basi teoriche per il pensiero scientifico cinese.

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La Theravada è la forma di buddhismo dominante nell'Asia meridionale e nel Sudest, nonché la più antica. Identifica la causa dell'esistenza della sofferenza umana nell'attaccamento che causa il sorgere delle impurità mentali (la rabbia, la malevolenza, l'avidità e la presunzione). I theravādin credono che queste impurità abbiano la natura delle abitudini che sorgono dall'ignoranza di tutti gli esseri non illuminati. Essi sono legati al proprio corpo e ai sensi, e sono sotto l'influsso delle impurità; vi aderiscono a causa dell'ignoranza della verità. In realtà queste impurità non sono nient'altro che delle macchie che hanno contaminato la mente creando sofferenza e stress, rendendo difficile la reale vista delle cose; la cosa importante non è il corpo ma l’anima. I sensi vanno affievoliti a favore dell’interiorità raggiungendo lo stato del jhana, che poi porta al nibbana, la beatitudine perfetta, che consente di non dover rinascere ancora, caratterizzata dalla saggezza. Questo processo è reso possibile dalle «Quattro nobili verità», ossia affrontare il problema, la causa, e le soluzioni.

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Questa disciplina può ricordare sia la dottrina della metempsicosi pitagorica, sia la famosa reminescenza platonica, che ricordano l’idea ciclica dell’uomo che nasce, vive, muore e rinasce. Anche per la Theravada, la saggezza costituisce il più alto grado di virtù, proprio come Aristotele; e condivide il messaggio di discostarsi dalle passioni e dai sensi, come gli stoici o Platone.

Nei tempi moderni il buddhismo Theravada ha intrapreso sviluppi riconducibili nel modernismo, quale tentativo di adattare al mondo moderno i principi di base, prestando particolare attenzione al movimento ambientalista, al ritorno agli antichi o ai diritti delle donne.

L’etica nella Theravada è quindi presupposto fondamentale, se possiamo ragionare in termini «occidentali» - e un orientale non lo vorrebbe -

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Il Buddhismo Mahayana è diffuso in Vietnam, in India, in Tibet e in Cina. In questo tipo di buddismo è centrale l'importanza della figura del praticante buddhista, laico o monaco, che potendo raggiungere la meta del nirvāṇa vi rinuncia, per aiutare e convincere tutti gli esseri senzienti ad entrarvi prima di lui. La parola chiave qui è agire qui ed ora, e non riflettere. L'insegnamento della vacuità è fondamentale: poiché nessun fenomeno possiede una natura indipendente da noi, si può dire che tutto ciò che esiste è vuoto. L'esperienza della vacuità è la via che porta al cosiddetto "Risveglio". La vacuità non può essere conosciuta con il pensiero ordinario, convenzionale, ma richiede una riflessione particolare. L’obiettivo del Mahayana è avere una liberazione spirituale.

Eticamente questo significa non attaccarsi alle cose, scegliere l’altruismo

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Possibili paragoni

Facendo ricorso alle categorie filosofiche occidentali, la definizione più calzante per il Buddhismo potrebbe essere: pragmatismo dialettico con tendenze psicologiche. Le speculazioni intellettuali e la ricerca teoretica fine a sé stessa sono considerate uno spreco di tempo prezioso e in quanto tali possono essere d’intralcio al conseguimento del nirvana. La bontà di un metodo filosofico ed epistemologico si misura esclusivamente dai suoi risvolti pratici. Una metafora per comprendere come il Buddhismo sia pragmatico, è quella dell’uomo ferito da una freccia conficcata nella gamba. In preda a dolori lancinanti egli non perde tempo ad interrogarsi su chi l’abbia colpito, se sia giovane o vecchio, buono o cattivo, se l’abbia fatto intenzionalmente e perché; bensì con tutte le energie residue si sforza di estrarre subito la freccia. Si tratta di un problema concreto, urgente: la sofferenza è qui ed ora, occorre affrontarla. Di fronte a ciò, l’intelletto e la ragione sono soltanto degli strumenti utilizzabili a posteriori, mentre la realtà del dolore è un’evidenza originaria, come lo è la brevità della vita. Dal punto di vista occidentale, il pragmatismo si esprime così: la validità di un pensiero dev’essere giudicata da quello che si può fare con esso, dalla qualità di vita che ne risulta.

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Per il Buddhismo in generale la cosa fondamentale è che chi sa, tace. Il dire, il logos, ha una funzione esclusivamente terapeutica: può servire, essere utile, stimolare qualcuno affinché progredisca lungo il sentiero della salvezza, guarisca almeno in parte dalla sofferenza. Per il buddhista è infinitamente più importante sperimentare la non-permanenza e la non-sostanzialità dell’io individuale per mezzo di una corretta postura del corpo e di una giusta concentrazione della mente (e quindi dell’anima), piuttosto che far ricorso alla ragione e alla parola.

«Tutto ciò che è condizionato è impermanente: Cercate con

diligenza la vostra salvezza.» Buddha

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La dialettica degli opposti nella filosofia occidentale è presente sia con esiti razionalisti (Eraclito, Zenone, Hegel) che tendenti al misticismo, attraverso il superamento delle categorie intellettuali (Meister Eckart, Cusano, Bruno). Nel Buddhismo (in particolare nella tradizione Mahayana) essa viene spinta, di proposito, fino alle sue estreme conseguenze: il paradosso, la contraddizione, il nonsense. La dialettica è in funzione del pragmatismo, ossia diventa lo strumento attraverso il quale ragione ed intelletto confutano sé stessi, si riducono al silenzio favorendo concentrazione ed imperturbabilità. Gli esiti di questo metodo sono assai simili a quelli dello Scetticismo di Pirrone. Le aporie della ragione dialettica, il fatto che di ogni cosa si può affermare che essa è e non è, o negare che essa sia o non sia, legittimano il ricorso all’epokhé, la sospensione di ogni giudizio. Tutte le cose sono ugualmente in-conoscibili, in-differenti, im-ponderabili e in-decise: l’unica affermazione possibile è una negazione non-sintetizzabile, ovvero una negazione assoluta. In termini logici e linguistici essa si può esprimere premettendo una particella negativa tanto all’affermazione quanto alla negazione di uno stesso predicato, per esempio: "né questo cane è Buddha, né questo cane non è Buddha".

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«La mente precede tutti i suoi oggetti, La mente è la sorgente e il dominatore: fatte di mente

son esse; Se parli o agisci con mente impura,

Allora la sofferenza ti seguirà, Come la ruota lo zoccolo del bue.

La mente precede tutti i suoi oggetti, La mente è la sorgente e il dominatore: fatte di mente

son esse; Se parli o agisci con mente pura,

Allora la felicità ti seguirà, Come l’ombra che mai ti lascia.»

(Dhammapada, versi 1-2)

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Nel I secolo d.C. si fa spazio anche il Taoismo in Cina. Letteralmente significa «percorso», poi nei secoli ha iniziato a significare la via corretta o la «via naturale». Ma anche «mostrare» la via quindi «insegnare», «metodo da seguire». Non è mai stato una religione unitaria, ma una combinazione costante di insegnamenti fondati su rivelazioni originarie diverse. Esso prese forma gradualmente, integrando diverse correnti. Scaturisce da un movimento di pensiero nato dalla combinazione:

il patrimonio concettuale comune cinese ovvero il Qi, lo Yin e lo Yang lo sciamanesimo o magia wu, basato per lo più su danze frenetiche e stati estatici,

praticato maggiormente dalle donne. La Medicina Tradizionale Cinese non ha subito semplici influenze esterne da parte del taoismo: essa è totalmente basata sul principio dello Yin-Yang, dell'equilibrio delle due forze all'interno dell'organismo e dei loro cambiamenti ciclici (in caso di benessere) o delle loro alterazioni acute o croniche (in caso di malattia). Il Taoismo esalta la spontaneità, sostenendo che tutto avvenga spontaneamente senza un perché. Crede che esista un meccanismo di autoregolazione che può manifestarsi soltanto se non gli si fa «violenza». Qui il Taoismo denuncia la sua provenienza dalla classe contadina (per cui l'agricoltura, nonostante la cura, obbedisce ad orologi interni ed esterni, atmosferici, e per cui il vero motore sia la natura). Si cerca l’immortalità e il wu wei (agire senza agire)

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Il «Dio» presentato dal Taoismo è una sorta di Principio ordinatore unico ed immanente del mondo, come il Logos di Eraclito. La teoria della ricerca dell’immortalità non è troppo dissimile da quello che diceva Pitagora. C’è una sorta di personalismo in questa corrente: normalmente il termine Tao viene utilizzato come una entità stabilita. Ovviamente questa è un pratica erronea in quanto il Tao è ovunque, in tutte le cose ed in ogni tempo. Esso non è un qualcosa che ne escluda delle altre. Esso è la via, il corso della natura. La ricerca del Tao è la ricerca dell'essenziale che coinvolge tutti.

Questa visione è molto differente, per esempio, dall’etica cristiana. Il problema morale coinvolge quelli della salvezza dell’anima e del libero arbitrio; il credente appartiene a Cristo, mediante l’amore verso il prossimo. Solo nella fede il dono di Dio trova il suo senso.

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Wu wei- legge dell'agire senza agire Ad esempio i pianeti girano attorno al sole senza che facciano alcuno sforzo per girare, oppure il bambino cresce senza cha faccia alcunché perché ciò avvenga. Si può ricorrere alla analogia di un pino e di un salice sotto una tempesta di neve. Il primo è rigido e la neve si ammassa sopra di esso fino a spezzarlo, il secondo si piega a tal punto fino a far cadere la neve e rialzarsi. E’ una legge che predilige la spontaneità (ma non l’oziare). Non indica quindi il rimanere ozioso, senza far nulla, ma è piuttosto basata sul riconoscimento che l'uomo non è la misura e la sorgente di tutte le cose, ma lo è soltanto il Tao. La vita è vissuta bene solo quando l'uomo è in completa armonia con tutto l'universo e la sua azione è l'azione dell'universo che fluisce attraverso di lui.

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« L'uomo buono lo scopre (il Tao) e lo chiama buono. Il saggio lo scopre e lo chiama saggio.

Il popolo ne fa uso giorno per giorno e non ne sa nulla.

Non solo ognuno sente il Tao con modalità proprie, ma persino il Tao riflette il carattere della persona.»

Ta Chuan, verso 22

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Il Taoismo viene spesso descritto in correlazione oppure in contrasto con il Confucianesimo. Entrambe le correnti rappresentano il grande patrimonio culturale cinese. Ciascuno è efficace nel suo dominio, e si può essere, come definito da molti maestri, confuciani di giorno e taoisti di notte. La dottrina del Taoismo è strettamente legata alla tipica mentalità cinese. Tutto il nostro ragionamento si basa sulla legge di causa ed effetto, che opera come una successione. Qualcosa accade ora, perché qualcos'altro è accaduto allora. Ma i cinesi non ragionano tanto secondo questa linea orizzontale, che va dal passato al futuro, attraverso il presente: ragionano verticalmente, da ciò che è in un posto ora a ciò che è in un altro posto ora. Quindi un cinese non ragiona seguendo una ideale linea orizzontale di causa effetto ma, piuttosto, seguendo una linea verticale, cercando di connettere tra loro cose che sono in un posto ora ed in un altro posto ora. La domanda che si pongono è: «qual è il significato delle cose che avvengono insieme in questo momento?» Ragionano quindi secondo un concetto che potrebbe essere chiamato sincronismo.

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La base del Confucianesimo è che la virtù derivi dall’armonia nel rapporto con gli altri. C’è sempre il Li, traducibile con rito, ovvero quella serie di comportamenti e tradizioni che regolano i rapporti sociali e permettono la stabilità della società. A fianco del Li vi è lo yi, cioè la rettitudine, intesa come perseguimento del bene superiore. La differenza tra Li e yì è sottile: secondo il Li la ricerca del proprio bene particolare non è condannabile finché non entra in contrasto con le regole della società, ma per lo yi sarebbe preferibile la ricerca del bene comune. Fondamentale è anche il concetto di rén, la benevolenza, cioè la virtù di adempiere perfettamente ai doveri verso gli altri, che contiene quindi i nostri concetti di umanità, pietà, compassione. Da ciò deriva quindi la regola d'oro secondo il confucianesimo: non fare agli altri ciò che non vorremmo per noi. Di fronte all’ospitale universalismo dell’etica «compassionevole», come appare piccina la morale, che esclude-seleziona-discrimina in nome della mania di protagonismo di un ente particolare

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Confucio

Questo tipo di dottrina ha avuto enorme influenza sulla politica statale. Confucio infatti, il suo fondatore, nome reale «Maestro Kong» (551-479 a.C.), creò un sistema rituale e una dottrina morale e sociale, che si proponevano di rimediare alla decadenza spirituale della Cina, in un'epoca di profonda corruzione e di gravi sconvolgimenti politici ed economici. Confucio non volle mai, invece, trattare questioni soprannaturali e che trascendessero l'esperienza umana, se non «sociologicamente», come disse Max Weber. Non esiste la descrizione di un sistema filosofico coerente perché i suoi saperi sono stati tramandati dai discepoli e poi scritti nei «Dialoghi», cioè sue semplici conversazioni.

Successivamente, nei secoli, la dottrina venne accolta anche in Corea, Vietnam e Giappone.

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Confucio

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La trasmissione da maestro ad allievo, che spesso viene considerata tipica delle filosofie orientali, avviene attraverso dialogo e confronto, e non esclusivamente attraverso dogmi: basti pensare ai koan: enigmi, indovinelli da risolvere mediante ragionamento filosofico e non logico, poiché in un certo senso trascendono la logica. Proprio questa apertura mentale porta all'esistenza, nelle filosofie orientali, di diverse scuole senza che vi siano netti scismi: senza dogmi fissi, si accettano le teorie delle altre scuole come si accettano diverse teorie fisiche, finché una non si dimostra migliore delle altre.

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Aristotele dice che la phronesis di fronte alla scarsa applicabilità dei principi generali alle situazioni particolari, consente di prendere decisioni caso per caso. Una specie di «etica del viandante» (Galimberti) che, non disponendo di mappe, affronta la difficoltà del percorso volta per volta, con i mezzi al momento a disposizione. Questo è il nostro limite e in questo limite dobbiamo decidere per il bene o il male. Per quanto drammatica possa essere una scelta, la decisione etica è una decisione che fonda, che pone fondamenti, senza avere altro fondamento all’infuori di sé. In questo senso è un evento assoluto. E possibile realtà tragica

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Perciò bisogna seguire l’etica del «viandante» o l’etica dei principi, ossia seguire un precetto punto e basta? Questo è il dilemma di fronte al quale ci pone quest’era, della scienza, della tecnica, dell’agire. Quest’etica ha tagliato le connessioni con l’eterno, e le ha instaurate nella previsione del futuro. Noi ci affidiamo all’etica per prevedere cosa succederà, cosa sarà meglio fare, cosa sarà da evitare. Adesso il verbo potere è più forte di dovere, sui cui l’etica si fonda. L’umanità fa fatica a consegnarsi alle vecchie etiche, perché il tempo non è più iscritto nell’ordine naturale delle cose.

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Forse si potrebbe parlare di etica della virtù. Per essere morali, bisogna essere un certo tipo di persona, non agire in un tal modo. Si guarda alla persona e se predilige

1. l’egoismo: quando agisco per contribuire al bene personale

2. l’utilità: la virtù è quella che promuove il benessere generale, ossia la benevolenza.

L'Etica di Spinoza si conclude con questa frase: "tutte le cose belle sono tanto rare quanto difficili". La felicità non fa eccezione a questa regola: come tutte le cose belle, è difficile e rara; perciò pensare che si è pienamente felici deriva da una formidabile presunzione. La maggior parte dei filosofi ha sottolineato il carattere eccezionale della felicità, ed alcuni hanno addirittura dichiarato che essa è inaccessibile.

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L’importante è, in tutte le etiche di Occidente e Oriente, agire rettamente in vista di qualcosa. Quindi in sostanza non è del tutto corretto separare le due aree geografiche, almeno filosoficamente

«Auspico perciò che quell’antica sapienza compassionevole torni a fluire verso l’Europa e

produca una fondamentale mutazione del nostro pensare»

Schopenhauer