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Etiopia: Stato d’emergenza Corno d’Africa, fughe postcoloniali Aree di crisi, movimenti di persone, forme di protezione: la parola ai testimoni Enrica Mattavelli, Ciac onlus

Etiopia: Stato d’emergenza - Ciac Onlus · 2016-12-10 · Etiopia oggi: una crescita problematica Tra i migliori Stati Africani per tasso crescita del PIL (media 10% dal 2004) Tra

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Etiopia: Stato d’emergenza

Corno d’Africa, fughe postcoloniali

Aree di crisi, movimenti di persone, forme di protezione: la parola ai testimoni

Enrica Mattavelli, Ciac onlus

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Repubblica Democratica Federale Etiopeየኢትዮጵያ ፌዴራላዊ ዲሞክራሲያዊ ሪፐብሊክ

DIVISIONE FEDERALE:

9 Stati regionali su

base etnica

2 città-stato ad

amministrazione

Federale

Popolazione: 86.7

milioni

80 gruppi etnici-

linguistici

Oromo: 34 milioni

Amhara: 23 milioni

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Contesto storico

Impero etiopico (1270-1975)- «dinastia salomonide» che controllava un territorioche comprendeva le regioni di Tigrè, Amhara e Shewa. Altri regni, sultunati e poterilocali progressivamente annessi con la fondazione del Regno di Shewa, ad opera

di Menelik II nel 1889: (territori degli Oromo, il Tigrè e l'Ahmarà)

(1936-1941): occupazione italiana

1975: instaurazione del DERG (regime militare di ispirazione marxista)

1991: Governo di transizione guida EPRDF (Ethiopian People’s RevolutionaryDemocratic Front) che riunisce gruppi rivoluzionari anti-DERG(Amara NationalDemocratic Movement (ANDM), Oromo People’s Democratic Organization(OPDO), Southern Ethiopian People’s Democratic Front (SEPDF).

1995: Proclamata Repubblica Federale Democratica d’Etiopia (guidata da EPRDF)

«Federalismo Etnico»: costruzione di uno stato decentralizzato su base etnica:risposta alla richiesta di autonomie regionali. Si imdividuano specifiche «identità»etno-linguistiche(circa 80 gruppi) attorno alle quali sono stati definiti e disegnati iconfini regionali. Gli stati regionali hanno autonomia nelle politiche educative,

gestione delle risorse finanziare, etc.

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Etiopia oggi: una crescita problematica

Tra i migliori Stati Africani per tasso crescita del PIL (media 10% dal 2004)

Tra i principali beneficiari di aiuti finanziari donatori occidentali

Posizione strategica per investimenti esteri (Cinesi, Sauditi, Europei)

In prima linea nelle principali situazioni di conflitto nel Corno d'Africa

(Somalia o il Sud Sudan)

Siccità endemica in alcune aree del Paese, nel 2016 la più grave da 30

anni (1,2 milioni di persone colpite, oltre10 milioni necessitano di aiuti

umanitari per sopravvivere alla siccità nel 2016 (dati OMS)

Alta e diffusa insicurezza alimentare

80% PIL deriva da attività agricola

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Il legame con l’Italia: storico, geopolitico...

Partner politico prioritario dell’Italia e dell’Unione

Europea in Africa sub-sahariana (stabilità della

regione e sicurezza internazionale)

Collaborazione «post-coloniale»: A partire dalla

restituzione della Stele di Axum (aprile 2005), l’Italia

intende risarcire i debiti coloniali, si apre nuovo

capitolo nei rapporti fra i due Paesi.

Frequenti visite bilaterali:

Presidente della Repubblica Mattarella a marzo

2016 Presidente del Consiglio Matteo Renzi a luglio

2015 Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a gennaio

2016 Ministro degli Esteri etiopico Tedros Adhanom

a Milano a settembre 2015

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...ma soprattutto ECONOMICO

«Al di là delle ragioni storiche e geopolitiche che giustificano intensi rapporti bilaterali, vi sono oggi

concreti interessi economici per l'Italia in Etiopia. Il sostenuto trend positivo fatto registrare dal Paesenell’ultimo decennio (oltre 10% di crescita media del PIL dal 2004), l'apertura agli investitori

internazionali, il basso costo del lavoro, le dimensioni ragguardevoli del mercato (quasi 90 milioni di

persone), la disponibilità di fonti energetiche nazionali (idroelettriche), i collegamenti aerei diretti con

l'Italia e, non da ultimo, la presenza di una comunità italiana limitata ma ben inserita, rappresentano ipunti di forza su cui costruire rapporti economico-commerciali piu' dinamici»

(Rapporto Mercati esteri_Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, 2016)

Interscambio commerciale: 365 milioni di euro nel 2015 (di cui 307 milioni di nostro export).

L’Italia: 9° cliente e 5° fornitore a livello mondiale; il 2° partner commerciale, 1° fornitore e

3° cliente a livello europeo.

export: macchinari e apparecchiature, industriali. Seguono autoveicoli, rimorchi e

semirimorchi.

Importazioni: 2/3 nel settore agricolo (caffè, semi oleaginosi e altri prodotti di colturepermanenti) 1/3 terzo nelle produzioni conciarie e tessili.

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ONG Survival e Human Rights Watch: la diga Gibe III, costruita da Salini, metterebbe

in pericolo le vite di almeno 400mila persone insediati lungo il fiume Omo, in un tratto

di centinaia di chilometri a valle dell’invaso, fino al bacino del lago Turkana.

• Impatto ambientale sull’ecosistema (distruzione mezzi di sussistenza

pop.autoctone)

• Impatto sociale popolazioni Omo: trasferimenti forzati di popolazione, produzione

sfollati.

Grandi opere:

La Diga Gibe III sul fiume

Omo è il più grande

impianto idroelettrico

dell’Africa.

Costruita da una ditta

italiana Salini-Impregilo

Sostegno allo «sviluppo»?

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Etiopia: Paese sicuro?

Generalmente considerato Stato sicuro e dalle istituzioni stabili (nonostante

confini militarizzati, tensioni interne, movimenti indip., etc)

Storico ruolo di spicco e guida nell’Unione Africana

L’Etiopia è il paese africano che ospita il maggior numero di rifugiati, con

più di 734.000 rifugiati registrati, per lo più provenienti da Sud Sudan, Somalia ed Eritrea. (UNHCR, 2016)

Assume ruolo cruciale nel controllo dei flussi migratori illegali attraverso il

Corno d’Africa.

Mattarella nel campo profughi Teirkidi, a Kule (Eth)

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Processo di Khartum

Accordo generale siglato il 28 novembre 2015 dove tra i rappresentanti degli Stati

membri dell’Unione Europea, dei paesi del Corno d’Africa (Eritrea, Somalia, Etiopia e

Gibuti) e di alcuni paesi di transito (Sud Sudan, Sudan, Tunisia, Kenya ed Egitto).

Obiettivi:

Combattere il traffico di esseri umani, intervenire sui fattori scatenanti dell’emigrazione,

garantire dei percorsi più strutturati per chi emigra, assicurando tutela per le fasce più

vulnerabili e i richiedenti asilo.

Modalità dichiarate:

Scambio d’informazioni con assistenza tecnica.

Promozione dello sviluppo sostenibile nei paesi d’origine e di transito

Sviliuppo strategie comuni di lotta alle reti criminali che gestiscono il traffico di migranti,

Regolare (e ove possibile prevenire) i flussi migratori irregolari, creando centri d’accoglienza

che forniscano l’accesso al diritto d’asilo.

Esternalizzazione de controllo alle frontiere: collaborazione con i paesi di transito e di origineper il controllo delle frontiere Europee e arresto flussi irregolari

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Partenariato UE-Africa in materia di migrazione

Accordi bilaterali con Stati Africani riassumibili nella formula: finanziamenti in

cambio di controllo

profughi bloccati nel continente Africano, prima ancora di raggiungere la

sponda del Mediterraneo.

Paesi coinvolti: Etiopia, Libia, Mali, Niger, Nigeria, Senegal e Tunisia.

Domande di fondo:

Come si ha intenzione di regolare l’afflusso di migranti “forzati”, dichiarando di

garantirne i diritti umani, e contemporaneamente aprirsi a una collaborazione con i

loro Paesi d’origine?

Può uno Stato «fragile» essere considerato uno Stato sicuro?

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Stato Fragile

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (OCSE) fornisce la seguentedefinizione di Stato fragile: «Uno Stato è fragile quando non intende o non è in grado diassumere le necessarie funzioni per la lotta contro la povertà, la promozione dello sviluppo,la sicurezza della popolazione e il rispetto dei diritti dell’uomo».

Alto tasso di povertà e corruzione

Assenza servizi fondamentali per cittadini

Dipendenza aiuti umanitari

Instabilità ai confini e scontri persistenti (Eritrea, Sudan,Somalia)

Conflitti interni e spinte indipendentistiche(Ogaden: ONLF)

Tensioni interne: «minoranze» tra cui gruppi etnici maggioritari non rappresentati, senza equo accesso risorse

Governo autoritario: Scarse libertà civili, sistematica repressione del dissenso, no partiti opposizione, controllo mezzi di informazione e censura.

Sistema giudiziario dipendente dal governo

Sistematiche violazioni dei diritti umani, metodi violenti polizia federale, polizie e milizie «speciali», torture, uccisioni, sparizioni.

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Push factors: motivi di fuga dall’Etiopia

Instabilità e

conflitti persistenti

Siccità e

carestie

Scarsità o

diseguaglianze

nell’accesso a

risorse, cibo,

acqua

Land grabbing

(compagnie straniere)

Esproprio terre da parte

del governo

Trasferimenti forzati per

progetti sviluppo

Estrema povertà e

insicurezza

alimentare

Persecuzione

statale: su base

appartenenza

etnica e politica

Rigido

controllo

statale

Violenza di

genere/

domestica

Sfruttamento e

lavoro minorile

Violazioni diritti umani: Stato,

polizia

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Storia di F. (Ogaden, Stato regionale Somalo)

La polizia paramilitare etiope, insieme alla polizia locale è venuta più volte ad interrogarmi in negozio. Volevano sapere se aiutassieconomicamente o sostenessi l’ONLF. Mi minacciavano con le armi per farmi parlare. Mi chiedevano di dire dove fosse mio fratello,membro del movimento e di consegnarlo a loro. A volte venivano armati, mi costringevano ad uscire e mi lasciavano per ore sotto il soledicendomi: Dicci dov’è tuo fratello. Mi colpivano con il calcio e la canna dei fucili. Io rispondevo sempre che non sapevo nulla di miofratello, ma la polizia non mi credeva e continuava a pretendere informazioni dicendomi che dovevo collaborare con loro control’ONLF. Finché una sera all’inizio di maggio 2015 la polizia paramilitare ha fatto irruzione a casa mia mentre stavo dormendo. Mi hannoincappucciato e mi hanno legato le mani dietro la schiena e mi hanno caricato su una macchina. Ero sdraiato, bendato e non potevovedere dove mi portavano.Durante il tragitto in macchina mi prendevano a calci. Sono stato portato nel carcere chiamato “Ogaden”,un carcere che si trova a Giggiga . Quando sono arrivato in carcere mi hanno tolto il cappuccio, è stato allora che gli altri prigionieri mihanno detto dove mi trovavo. La cella dove mi trovavo, insieme ad altri prigionieri, era molto piccola, chiusa. Non c’erano finestre. Sonostato in arresto circa 5 mesi, ma ho perso la cognizione del tempo a causa del buio continuo. Quasi ogni giorno le guardie venivano aprelevarmi per interrogarmi. Mi portavano in una stanza più piccola, sempre all’interno del carcere, per torturarmi. C’erano diverse celleutilizzate per torture ed interrogatori. Mi gettavano addosso dell’acqua fredda e mi immergevano la testa nell’acqua. Oppure mifacevano inginocchiare e mi picchiavano con bastoni e manganelli sulle gambe e sotto i piedi. A volte mi prendevano a calci.Volevano sapere dove fosse mio fratello, come gli spedissi i soldi e i nomi di altri collaboratori. Erano informazioni che non sapevo fornireperché non ne ero al corrente, perciò le torture continuavano.Non so dire quanto tempo durassero le torture, perché quasi sempre ildolore era tale che perdevo i sensi. Per la maggior parte del tempo non ero cosciente. Spesso mi coprivano il capo con un sacco diplastica, in modo che mi sentissi soffocare, poi all’ultimo momento me lo toglievano. Una volta mi hanno colpito al volto con il calcio diun fucile, i denti mi hanno tagliato il labbro, ho ancora la cicatrice. Per i primi cinque mesi di detenzione la mia famiglia non sapeva dovefossi, né che mi stessero torturando. Non avevo possibilità di mettermi in contatto con loro, non gli era stato detto in quale carcere mitrovassi. Quando sono uscito dal carcere ho scoperto di essere stato detenuto per circa 5 mesi: quando sono entrato era maggio, e sonouscito alla fine di ottobre. Un giorno mi hanno comunicato che sarei stato trasferito in un carcere federale, la Kaliti Prison, ad AddisAbaba. Il carcere di Kaliti è un carcere dove si trovano molti detenuti politici.

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Storia di D. (Oromiya)

Mio marito, Mahamad Ali, era insegnante di biologia presso la scuola superiore (HighSchool) di Dire Dawa. Era membro del partito di opposizione Oromo National Congress(ONC). Organizzava gli scioperi e faceva propaganda distribuendo manifesti allapopolazione e affissione di slogan sui muri. Diverse volte la polizia è venuta a casa perintimare mio marito a cessare l’attività politica minacciandolo di gravi ripercussioni.Ungiorno la polizia è arrivata presso la nostra abitazione e ha arrestato mio marito. Lohanno ammanettato e lo hanno portato via. . Il giorno seguente la polizia è tornata acasa nostra dicendo che mio marito era scappato e chiedendomi dove si fossenascosto. L’unica cosa che so è che la polizia ha preso mio marito. Non so dove loabbiano portato quella sera, non so se l’hanno ucciso. Non trovando mio marito mihanno arrestata. Con percosse e schiaffi mi hanno portata presso la stazione di polizia diDire Dawa in stato di detenzione. Mi hanno messa in una cella buia, ogni ora venivano achiedermi dove fosse mio marito, ma io rispondevo di non saperlo, poiché loro loavevano preso. Sono rimasta nella stessa cella buia per dieci giorni, mi davano damangiare ogni due giorni. Dormivo sul pavimento. Sono stata percossa e violentata daipoliziotti. Mio zio, il fratello di mio padre, ha pagato 5.000 Birr (circa 500 euro) ad unaguardia per farmi scappare. Una notte, l’8/02/2009 verso le 4 circa quella guardia mi halasciato uscire e sono andata alla stazione dei treni. Qui ho trovato mio zio che mi haorganizzato il viaggio per Djibuti

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Crisi 2016: si rompe il silenzio

Rio 2016, L’atleta Oromo Feyisa Lilesa incrocia i polsi per sostenere le proteste

in corso in Etiopia

Oromo: grande

«minoranza»

35 milioni di persone

Gruppo etnico

maggioritario

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Proteste vs politiche di sviluppo federale e land grabbing

Proteste pacifiche iniziate nel novembre 2015 nella regione dell’Oromia quando la

popolazione (pastori, lavoratori agricoli e giovani studenti) chiede il ritiro del

progetto del nuovo piano regolatore della capitale Addis Abeba che prevedeva

una sua espansione in territorio Stato regionale Oromo (trasferimenti popolazione,

esproprio terre, etc.)

Dura repressione: La polizia spara sulla folla,

400 vittime di cui molti minori.

Arresti di massa: detenzioni e torture

Piano viene ritirato ma le proteste continuano

contro la violenta repressione.

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2016 La protesta si amplia

Malcontento storico della popolazione Oromo: istanze di riconoscimento politico,

culturale ed economico inesprimibili a causa repressione e annientamento di tutti

partiti Oromo di opposizione.

La protesta si estende alla regione dell’Amhara, abitata dalla seconda etnia del

Paese (29% della popolazione) che denuncia l’annessione di tre distretti alla regione

del Tigray, da cui proviene l’élite al governo.

Nuove Istanze:

Accesso alla terra Vs Land grabbing: agricoltori locali perdono la propria terra a

favore di grosse aziende straniere o subiscono trasferimenti forzati per piani di

sviluppo governativi.

Vs supremazia negli affari economici della minoranza Tigray e politici di persone

legate al partito della coalizione di governo(EPRDF-TPLF).

Repressione continua e sistematica: centinaia di vittime e decine di migliaia di arresti,

desaparecidos.

Human Rights Watch “Such a Brutal Crackdown” Killings and Arrests in Response to Ethiopia’s Oromo Protests, giugno 2016

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Ottobre 2016: Stato d’emergenza

Restrizione alla libertà d’espressione (accesso ad informazione, mezzi di comunicazione,

social media, censura radio e tv, chiusi vanali diaspora, arresti eabusi vs professionisti

media)

Chiusura vs NGOs, governi ed organizzazioni esteri

Restrizioni alla libertà di riunione, assemblea e protesta (divieto di protesta,

criminalizzazione di ogni forma di protesta anche pacifica –blocchi stradali, scioperi, etc-)

Arresti e detenzioni arbitrarie in assenza di processo regolare, procedura di «riabilitazione»

(arresti su larga scala, detenzione per alcune settimane o mesi, maltrattamenti e torture,

rilascio su condizioni)

Controllo e restrizione dell’accesso all’educazione: militarizzazione scuole

Limitazioni al movimento dei rifugiati (divieto abbandono campi profughi, non presenti regioni Amhara e Oromia)

(Human Rights Watch, Legal Analysis of Ethiopia's State of Emergency, 31 October 2016)

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Chi riesce a mettersi in viaggio: Sudan,

Libia...

Rischio arresto e trattenimento indefinito in centri di detenzione

sovraffollati

Sequestri ad opera di bande libiche e trafficanti

Tratta e traffico di esseri umani

Sfruttatmento lavorativo, prostituzione, riduzione in schiavitù

Detenzione

Maltrattamenti, trattamenti inumani e degradanti, violazioni dei

diritti umani

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In Italia

Settembre-ottobre 2016 si è registrato un aumento del 60% nell’arrivo di

cittadini Etiopi (non rientrano tra le principali nazionalità)

Hotspot: uso della forza da parte della polizia durante il rilevamento delle

impronte digitali, testimonianze di abusi simili.

Beca, giovane etiope di 19 anni, ha raccontato ad Amnesty International di

un suo amico che era con lui in un centro di accoglienza in Sicilia: “Un mio

amico cercava di fare resistenza e mi ha detto che l’hanno preso a pugni e

calci. Dopo che ha dato le sue impronte digitali, è stato riportato nella stanza

e mi ha raccontato cosa era successo”

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Non chiamiamoli «migranti economici»

Migrazioni da Corno d’Africa ed Etiopia sono migrazioni forzate.

Hanno ragioni innanzi tutto politiche o umanitarie prima che economiche:

sottrarsi a guerre, regimi dittatoriali, persecuzioni, torture, fame e povertà

endemiche dovute alle scelte dei regimi da cui si cerca di scappare.

I cittadini etiopi fuggono per una molteplicità di ragioni: governo autoritario

e repressivo, scarsa rappresentanza politica, mancato riconoscimento

anche gruppi maggioritari, disparità nell’accesso alle risorse naturali ed

economiche, land grabbing, esproprio terre e trasferimenti forzati, disastri

ecologici legati a piani di sviluppo.

Italia ed Europa sono responsabili nel riprodurre i push factors: collaborare,

perpetuare e legittimare governi repressivi a fronte di condizioni

commerciali favorevoli e per garantirsi il controllo dei flussi migratori.

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Responsabilità

E’ necessario riconoscere:

Le responsabilità degli stati Europei e dell’Italia:

Collaborare e legittimare e regimi autoritari

Chiudere ogni canale di ingresso regolare, impedire la fuga attraverso l’esternalizzazione

dei controlli alle frontiere

Prendere parte allo sfruttamento economico, ambientale di intere aree Paese mettendo a

rischio la vita di intere popolazioni (land grabbing, accordi commerciali, importazione

prod.agricoli, grandi opere, etc)

Di conseguenza, deve essere riconosciuta la natura politica di queste migrazioni, le cui

cause rispecchiano le categorie della protezione internazionale o umanitaria.

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Riferimenti

Farnesina, Info Mercati Esteri, Etiopia 2016 http://www.infomercatiesteri.it/quadro_macroeconomico.php?id_paesi=11

Financial Times, The Great Land Rush. Ethiopia, the billionaire’s farm, Marzo 2016, https://ig.ft.com/sites/land-rush-investment/ethiopia/

UNHCR, 2016. Alto Commissario Filippo Grandi in Etiopia per il 26esimo Summit dell’U.A. https://www.unhcr.it/news/alto-commissario-filippo-

grandi-in-etiopia-per-il-26esimo-summit-dellua.html

Giacomo Zandonini, Repubblica, 25 marzo 2016. Etiopia, quella diga che minaccia 400 mila persone lungo il fiume Omo,

http://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2016/03/25/news/etiopia-136266761/

Corriere delle Migrazioni, marzo 2015. Processo di Khartoum:sapete cos’è? http://www.corrieredellemigrazioni.it/2015/03/24/processo-di-

khartoum-sapete-cose/

Agenzia Habeshia: Il Migration compact costruisce altri muri, non ponti, aprile 2016 http://www.vita.it/it/article/2016/04/27/agenzia-habeshia-

il-migration-compact-costruisce-altri-muri-non-ponti/139165/

Freedom in the World, 2016, Ethiopia https://freedomhouse.org/report/freedom-world/2016/ethiopia

Human Rights Watch, giugno 2016 “Such a Brutal Crackdown” Killings and Arrests in Response to Ethiopia’s Oromo Protests

https://www.hrw.org/report/2016/06/16/such-brutal-crackdown/killings-and-arrests-response-ethiopias-oromo-protests

East Online, La protesta degli Oromo e degli Amhara scuote l’Etiopia, ottobre 2016 http://www.eastonline.eu/it/opinioni/sub-saharan-

monitor/protesta-oromo-amhara-etiopia