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EUROPA E STATI UNITI DAL 1850 AL 1914
Francia
La Francia dal Congresso di Vienna al 1848
Dopo il Congresso di Vienna (1814-1815) fu riportata al potere in Francia la dinastia dei Borbone
(Luigi XVIII; 1814-1824) che governò il paese fino al 1830 quando una rivolta borghese e liberale*
sostituì il re Carlo X di Borbone (1824-1830; reazionario* e conservatore*) con Luigi Filippo
(appartenente ad un ramo cadetto della stessa famiglia dei Borboni). Il nuovo re, sostenuto dalla
media borghesia e noto per le sue idee liberali, avviò una serie di moderate riforme in senso
costituzionale e parlamentare. Nel 1848 però una nuova insurrezione scoppiata a Parigi costrinse
Luigi Filippo all’abdicazione*. Gli insorti, per lo più di idee repubblicane, democratiche* e radicali*
e tra i quali questa volta figuravano anche i ceti popolari (operai e piccola borghesia), diedero vita
ad un governo provvisorio repubblicano che decise le svolgimento di nuove elezioni a suffragio
universale. Dopo un periodo di instabilità caratterizzato dal conflitto tra i ceti popolari parigini e i
ceti rurali, un nuovo tentativo di insurrezione, nuove elezioni e, infine, l’emanazione di una nuova
costituzione, fu eletto come Presidente della Repubblica un nipote di Napoleone Bonaparte (figlio
di un fratello), Luigi Bonaparte. Costui era sostenuto dai banchieri, dalla borghesia industriale, dalla
media borghesia e dall’esercito, forze desiderose di ristabilire in Francia l’ordine e la pace sociale.
Napoleone III
Nel 1851 Luigi Bonaparte diede vita ad un Colpo di Stato* allo scopo di trasformare il proprio potere
in senso autoritario*. Un successivo plebiscito* sancì la conferma dei suoi rafforzati poteri e poi, nel
1852, un ulteriore plebiscito approvò la sua decisione di assumere il titolo di Imperatore dei Francesi
con il nome di Napoleone III. Il nuovo imperatore cercò di favorire in Francia lo sviluppo
dell’industria tramite la costruzione di nuove ferrovie e si impegnò inoltre a rafforzare la posizione
della Francia in Europa e nel mondo. La politica estera di Napoleone III però non ebbe successo.
Fatale fu per lui la guerra franco-prussiana (1870-1871) conclusasi con la resa della Francia e la
restaurazione della repubblica. Gli ultimi anni della sua vita (morì nel 1873) li trascorse prima come
prigioniero dei tedeschi e poi in esilio in Inghilterra.
La terza repubblica
Subito dopo la fine della guerra e la restaurazione della repubblica scoppiò a Parigi una nuova
sommossa popolare (1871) che proclamò l’instaurazione della Comune e cioè il tentativo di creare
uno stato a carattere democratico e socialista*. Gli obiettivi e le idee degli insorti però non erano
unitari (oltre ai socialisti c’erano gruppi radicali ancor più libertari e di tendenze anarchiche* e
gruppi nazionalisti* principalmente interessati a liberare la Francia dalla sopraggiunta occupazione
prussiana). Il governo repubblicano legittimo, rifugiatosi a Versailles, represse nel sangue la Comune
e, nel 1875, diede vita ad una nuova costituzione che dava ampi poteri al Presidente della
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Repubblica. L’episodio della Comune fece molto scalpore in Europa e diffuse la paura del
Comunismo*.
Negli anni successivi e fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la vita politica della Terza
Repubblica Francese (1870-1940) fu caratterizzata dalla contrapposizione di due schieramenti:
• Repubblicani (socialisti, radicali e repubblicani moderati): favorevoli alle riforme sociali,
pacifisti e anticlericali*
• Conservatori (chiesa cattolica e alti ufficiali dell’esercito): nazionalisti e revanchisti* (in
relazione agli esiti della guerra franco-prussiana e all’occupazione tedesca dell’Alsazia e della
Lorena) e schierati in difesa del papa contro il neonato Regno d’Italia.
Germania
Bismarck e l’unificazione tedesca (1848-1871)
Come per l’Italia anche per la Germania il periodo 1848-1870 fu interessato dal processo di
unificazione nazionale. Prima dell’unificazione il territorio della Germania era caratterizzato dalla
suddivisione in una serie di vari stati e città autonome unite, dal punto di vista commerciale,
dall’unione doganale (Zollverein) creata nel 1834. Lo stato più grande e che da solo ospitava i 2/3
dei tedeschi, era il Regno di Prussia, nel nord del Paese, caratterizzato da tendenze conservatrici* e
illiberali e che aspirava ad assumere il controllo di tutti gli stati germanici nell’ambito di un unico
grande stato federale. Contrari alle aspirazioni della Prussia erano la Francia (che temeva la
formazione di un grande stato sui propri confini orientali) e l’Impero austriaco (che aspirava ad
assumere il controllo degli stati germanici al pari della Prussia). A realizzare l’unificazione tedesca
furono il re di Prussia Guglielmo I e il suo cancelliere* (primo ministro) Ottone von Bismarck. Due
furono le tappe fondamentali:
1866: guerra austro-prussiana: la Prussia sconfigge l’Austria e annulla la sua influenza in
Germania; viene creata una confederazione degli stati tedeschi del nord controllata dalla
Prussia e una lega degli stati tedeschi del sud;
1870: guerra franco-prussiana: la Prussia sconfigge la Francia e causa la caduta di Napoleone
III; i tedeschi occupano le regioni dell’Alsazia e della Lorena; Guglielmo I viene proclamato
Imperatore del Reich Tedesco (1871)
La Germania di Bismarck
Nel periodo 1861-1889 la scena politica tedesca fu dominata dalla figura del cancelliere Bismarck.
La sua politica fu caratterizzata da un atteggiamento prudente e moderato sul fronte estero mentre
su quello interno cercò di rafforzare il potere centrale dello Stato contrastando duramente:
le tendenze autonomistiche locali;
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l’indipendenza delle istituzioni ecclesiastiche tedesche (sostenute dal papa e dal partito
cattolico)
le aspirazioni riformiste* dei socialisti.
La Germania di Guglielmo II
Nel 1888 divenne imperatore Guglielmo II. Il nuovo sovrano decise di togliere a Bismarck l’incarico
di cancelliere non condividendone la prudente linea politica estera e imputandogli la colpa per il
rafforzamento elettorale di socialisti e cattolici. La Germania dei tempi di Guglielmo II, come già in
parte quella dell’epoca di Bismarck e di Guglielmo I, si caratterizzava per i seguenti aspetti:
Forte e rapido sviluppo industriale con creazione di «cartelli»* (cioè di gruppi di poche
grandi imprese che controllavano interi settori industriali monopolizzandone* la produzione
e imponendo i propri prezzi) e di banche miste* (banche che prestavano soldi alle grandi
imprese che volevano espandersi ricevendone in cambio, oltre che gli interessi, la possibilità
di controllarne le decisioni più importanti). L’alleanza di cartelli e banche miste influenzava
fortemente la politica tedesca;
Politica commerciale protezionista* (limitazione delle importazioni finalizzata a favorire in
Germania le vendite dei produttori tedeschi);
Forte peso politico dell’esercito i cui ufficiali facevano parte della ricca aristocrazia terriera
prussiana (gli junker*)
Volontà di potenza e mire espansionistiche (nazionalismo e teorie pangermaniche*)
A partire dal 1898 Guglielmo II diede ordine di rafforzare la marina da guerra tedesca con il duplice
obiettivo di:
Difendere i traffici commerciali marittimi tedeschi tramite una flotta militare che fosse
all’altezza di quella britannica (che allora era la più grande del mondo)
Favorire, tramite le commesse* statali, i guadagni delle industrie tedesche del carbone e
dell’acciaio, principali fornitrici dei materiali necessari alla costruzione delle navi
Regno Unito
Il Regno Unito tra il 1850 e il 1914: un periodo di tranquillità sociale e ampie riforme
Il periodo compreso tra il 1850 e il 1914 fu caratterizzato in Inghilterra da una notevole tranquillità
sociale. Tale situazione fu favorita da vari fattori:
L’atteggiamento moderato e non reazionario* del partito conservatore inglese che fu
disposto ad approvare varie riforme e che non si oppose alle richieste di molti affinché lo
Stato intervenisse al fine di migliorare le condizioni dei ceti sociali più poveri
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Notevole sviluppo di vari settori industriali (siderurgico, meccanico -costruzioni navali-,
tessile –cotone-) che permise l’incremento della prosperità generale e consentì il
miglioramento del tenore di vita* delle classi lavoratrici
Ciò permise l’approvazione di varie riforme di tipo sociale e democratico:
Riduzione dell’orario di lavoro giornaliero degli operai
Progressivo allargamento del suffragio*
Istituzione di scuole elementari pubbliche e laicizzazione* dell’insegnamento di base,
superiore e universitario
Legalizzazione e riconoscimento delle trade-unions* e degli scioperi non violenti
Istituzione di varie forme di assicurazione e assistenza sociale per i lavoratori
In questo contesto nacque, nel 1906, il Labour Party (partito dei lavoratori o Partito Laburista),
sostenitore di idee socialiste e democratiche (riformista* e non rivoluzionario*).
Politica estera: neutralità, rafforzamento dell’Impero e questione irlandese
La situazione di pace sociale interna e l’assenza di forti scontri tra i partiti permisero al Regno Unito
di mantenere una posizione di neutralità rispetto a gran parte dei conflitti del tempo in Europa.
Allo stesso tempo fu possibile all’Inghilterra dedicarsi al rafforzamento del suo vasto Impero
coloniale oltreoceano.
Un problema notevole che però si dovette affrontare fu quello dell’Irlanda, paese agricolo a
maggioranza cattolica che era sottoposta al governo di un viceré britannico, ad un sistema di
tassazione gestito dalla chiesa anglicana e che chiedeva una maggiore autonomia, o anche
l’indipendenza, dal governo di Londra. Le ambizioni irlandesi e le richieste di indipendenza si
rafforzavano ogni volta che una crisi agricola colpiva le già precarie condizioni dei contadini e dei
braccianti dell’isola ed erano ostacolate dall’opposizione della minoranza protestante locale
appoggiata dal governo di Londra. Dopo varie lotte, anche violente, sostenute dagli indipendentisti
cattolici irlandesi, l’isola divenne prima un dominio semiautonomo (1921) e poi uno stato a sé con
piena sovranità (1949). Rimase invece a far parte del Regno Unito (come lo è tuttora) la regione
settentrionale dell’Ulster a maggioranza protestante.
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Impero austro-ungarico
Uno stato economicamente arretrato
L’economia dell’impero austro-ungarico si caratterizzava per uno scarso sviluppo industriale
dovuto ai seguenti fattori:
Scarsità di materie prime
Sviluppo ridotto di vie di comunicazione moderne
Grande fertilità di molte zone dell’Impero che rendeva l’agricoltura la forma base
dell’economia
Di conseguenza:
La borghesia industriale e commerciale era poco numerosa e non aveva la forza per
rivendicare per sé maggiori diritti (riforme liberali, costituzione, parlamento) e potere (al
massimo i borghesi potevano partecipare alla vita dello Stato nel ruolo di personale
amministrativo)
Tutto il potere era concentrato nelle mani dell’imperatore e dell’aristocrazia dei
proprietari terrieri. Tuttavia la nobiltà terriera, ostile all’introduzione nei propri
possedimenti di più moderni mezzi di sfruttamento della terra, non era in grado di vivere
con il solo reddito fondiario e, per mantenere il proprio tenore di vita, era costretta a trovare
impiego nella burocrazia* statale e nell’esercito.
Uno stato politicamente arretrato
La debolezza della borghesia e la parallela forza di aristocrazia e imperatore determinarono uno
scarso sviluppo di forme politiche di tipo costituzionale. Il parlamento, che pure fu istituito nel
1861, era un organo censitario (cioè formato da deputati per la maggior parte appartenenti ai ceti
sociali più ricchi) e aveva scarsissimi poteri.
Al mantenimento del potere nelle mani dell’imperatore e dell’aristocrazia contribuiva anche la
chiesa cattolica che era ostile alle idee liberali. Alla chiesa erano affidate il controllo della scuola e
della censura*.
Uno stato etnicamente diviso
L’impero austroungarico comprendeva un miscuglio di nazionalità divise dalla lingua, dalla religione
e spesso in lotta tra loro. Oltre agli austriaci (di lingua tedesca) e agli ungheresi, che erano le due
etnie dominanti (insieme costituivano il 44% della popolazione), c’erano cechi e slovacchi
(popolazioni slave; 16%), polacchi (10%), ruteni (8%) e inoltre romeni, croati, serbi, sloveni, italiani
(che assieme costituivano il 22% della popolazione).
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Nel 1867, per rispondere alle richieste ungheresi di maggiore autonomia rispetto a Vienna, fu loro
concessa l’istituzione di un proprio autonomo parlamento. Comuni restavano l’imperatore, garante
dell’unità dell’impero, e il governo che si occupava della politica estera, della difesa e delle finanze.
Le diverse etnie dell’impero avevano diversi obiettivi politici:
Austriaci: erano favorevoli all’accentramento del potere e contrari ad ogni forma di
federalismo; alcuni auspicavano l’unificazione con il Reich tedesco
Ungheresi: volevano il federalismo* e un’espansione dell’impero verso est in funzione
antirussa
Slavi del sud: volevano l’indipendenza o l’unificazione con la vicina Serbia al fine di creare un
grande stato slavo
Polacchi, croati: volevano il federalismo o l’indipendenza
Stati Uniti d’America
Gli Stati Uniti d’America fino al 1860
Due aspetti particolari caratterizzavano gli U.S.A. nel XIX secolo:
1. La progressiva espansione territoriale verso ovest (il west) che portava anno dopo anno
all’annessione di nuovi territori e alla creazione di nuovi stati via via inseriti all’interno
dell’Unione. Tale espansione avvenne sottraendo terre ai nativi americani, al giovane stato
del Messico (indipendente dalla Spagna dal 1821) e alle potenze europee che controllavano
ancora vari territori in Nordamerica (Spagnoli, Francesi e Inglesi)
2. La divisione economica del paese in due zone: il nord industrializzato e il sud agricolo
(cotone, tabacco, canna da zucchero). Queste due zone avevano interessi economici diversi
a cui corrispondevano due diverse concezioni dello Stato e della politica:
Il nord era interessato a proteggere le industrie americane dalla concorrenza dei prodotti
stranieri e aveva ottenuto l’attuazione di una politica economica protezionista che
danneggiava però gli agricoltori del sud. Inoltre gli stati del nord erano favorevoli ad un forte
potere centrale. Il partito che esprimeva queste posizioni era il partito federalista.
Il sud era molto interessato all’espansione verso ovest (nuove terre da coltivare), all’impiego
della schiavitù e all’autonomia dei singoli stati rispetto al potere centrale. Il partito che
esprimeva queste posizioni era il partito democratico-repubblicano
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Lincoln e la guerra di secessione (1861-1865)
Con la progressiva inclusione nell’Unione di sempre più Stati del West, si faceva via via più forte il
contrasto tra il nord industriale e il sud agricolo circa l’utilizzo dei nuovi territori, circa l’opportunità
o meno di estendervi la schiavitù, circa la distribuzione dei terreni pubblici e circa il mantenimento
o meno del protezionismo. Nel 1860 fu eletto Presidente Abramo Lincoln. Costui sosteneva:
Il mantenimento del protezionismo
La distribuzione a basso costo dei nuovi terreni tra i coloni
La non estensione della schiavitù nel west e la progressiva eliminazione di essa in tutti gli
Stati Uniti
Al programma di Lincoln gli Stati del sud decisero la secessione* e nel gennaio del 1861 crearono gli
Stati confederati d’America. Scoppiò allora la guerra di secessione (1861-1865) che si concluse con
la vittoria degli unionisti del nord. Tra il 1865 e il 1870, attraverso vari emendamenti* apportati alla
costituzione del 1787, la schiavitù fu abolita in tutto il paese. Lincoln intanto, pochi giorni dopo la
fine della guerra, fu assassinato da un fanatico sudista.
Nel 1866 un gruppo di ex-ufficiali confederati fondò il ku klux klan, un’associazione razzista volta a
difendere la supremazia bianca con ogni mezzo, non escluso il delitto.
Gli U.S.A. dopo la guerra di secessione (1865-1914)
Finita la guerra il sud agricolo fu interessato da un profondo processo di trasformazione della
proprietà agricola: i grandi latifondi*, resi meno redditizi a causa della scomparsa della schiavitù,
furono suddivisi in parti più piccole che furono vendute o affidate agli ex-schiavi con contratti di
mezzadria*. Nel nord invece fu potenziata ancor di più l’industria grazie alle grandi risorse naturali
del west (tra cui il petrolio), ad un rapido sviluppo tecnologico e al protezionismo.
Una delle principali iniziative che favorì il potenziamento dell’industria statunitense fu l’incessante
costruzione di ferrovie che arricchì l’industria siderurgica (produzione di ferro e acciaio). Si
formarono allora degli immensi trust (cioè gruppi di imprese collegate che avevano il monopolio*
del mercato) come la United States steel corporation (corporazione dell’acciaio degli Stati Uniti) e la
Standard oil company (raffinazione e trasporto del petrolio) di John Rockefeller. Moltissima
manodopera a basso costo fu fornita alle industrie americane da milioni di immigrati europei che,
soprattutto tra il 1860 e il 1900, si concentrarono come masse operaie nelle grandi città industriali
del nord del paese. La crescita di queste città fu rapidissima come pure lo fu quella del contrasto tra
ricchezza e povertà, quella della corruzione, della criminalità e della delinquenza giovanile.
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Impero russo
Tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX la Russia si presentava fortemente arretrata sul piano
economico, sociale e politico. In particolare erano evidenti le seguenti caratteristiche:
Sul piano economico:
• Prevalenza dell’agricoltura. I grandi latifondisti, pur proprietari di estese quantità di terreno,
praticavano un’economia basata sullo scambio di beni in natura ed erano perciò privi di
capitali da reinvestire nelle attività industriali.
• Scarso sviluppo dell’industria. La produzione era svolta per lo più a domicilio dai contadini
durante la sosta invernale delle attività agricole. Solo alcune produzioni, come quelle
metallurgiche, si svolgevano in vere e proprie fabbriche.
Sul piano sociale:
• Perdurante presenza di strutture sociali di tipo medievale come la servitù della gleba (il
contadino, totalmente sottoposto al proprietario terriero, era legato alla terra e poteva
essere comprato e venduto dal padrone insieme ad essa). Il contadino pagava in natura al
padrone il canone d’affitto del suo terreno.
• Assenza di una forte classe borghese
Sul piano politico:
• Autocrazia (cioè il dispotismo o potere assoluto del sovrano, lo zar)
• Grande peso politico della chiesa ortodossa
• Regime poliziesco e repressione di ogni forma di dissenso e di diffusione di idee riformiste
• Nazionalismo
Idee politiche e riforme in Russia alla fine dell’800
Alla fine dell’800 era assai diffusa in Russia l’idea di una particolare missione del mondo slavo, e
specialmente russo, opposto radicalmente al mondo latino-germanico «pervertito» e reso infelice
dal razionalismo e dalla civiltà industriale. Questa idea era condivisa sia dai conservatori che dai
democratici che la interpretavano modo diverso:
• Conservatori (o slavofili): interpretavano la missione dei popoli slavi in senso nazionalistico
e panslavo* e non erano intenzionati ad accettare mutamenti in senso democratico o
liberale
• Democratici (o occidentalizzanti): erano favorevoli a mutamenti di tipo democratico e
liberale come stava avvenendo nel resto d’Europa. Ma erano convinti che in Russia,
diversamente che negli altri paesi, fosse stato possibile realizzare un salto rivoluzionario da
una società agricolo-feudale ad un società socialista senza passare per una fase capitalistica
e liberale dominata dalla borghesia. Per questo i democratici russi erano particolarmente
estremisti e filo-rivoluzionari. Tra loro figurava il movimento dei populisti, particolarmente
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incline ad una lotta politica basata sul terrorismo, e i seguaci di Michail Bakunin teorico
dell’anarchia* che sosteneva la distruzione di tutte le istituzioni (religione, famiglia, stato) e
la proprietà collettiva per la realizzazione di una società egualitaria.
Per venire incontro ad alcune richieste di democratizzazione lo zar Alessandro II, nel 1861, abolì la
servitù della gleba. Nonostante questa riforma, però, la condizione economica dei contadini non
migliorò.
Terrorismo e repressione
All’epoca di Alessandro II la politica zarista nei confronti dell’opposizione democratica divenne
fortemente repressiva e ciò determinò l’incremento del terrorismo che culminò nel 1881 con
l’uccisione dello stesso zar. Ancor più dure furono le misure antidemocratiche, antiliberali e
poliziesche adottate dal nuovo zar Alessandro III le quali si accompagnarono a feroci pogrom*
antisemiti.
L’industrializzazione
Nell’ultimo decennio dell’800 l’industrializzazione del paese fece qualche progresso grazie
soprattutto agli investimenti di capitali stranieri, specialmente francesi (imprenditori europei che
aprivano fabbriche in Russia attirati dal basso costo della manodopera e dalla politica protezionista
adottata nel paese). La diffusione delle industrie riguardò però solo alcuni settori (ferrovie,
estrazione del ferro e del carbone) e alcune ristrette zone del paese (Mosca e Pietroburgo). Si formò
allora un ceto proletario operaio non numeroso ma fortemente attratto dalle idee rivoluzionarie.
Nascita del partito socialdemocratico
Nel 1898 fu fondato il Partito operaio socialdemocratico russo che ben presto si divise al suo interno
in due gruppi:
• Bolscevichi (maggioritari), favorevoli ad una rivoluzione e capeggiati da Lenin
• Menscevichi (minoritari), favorevoli al riformismo parlamentare e ad una lotta elettorale
tradizionale
La rivoluzione del 1905 e l’istituzione della duma
Nel 1905, dopo che a Pietroburgo una pacifica dimostrazione popolare che chiedeva delle riforme
in senso costituzionale fu repressa dall’esercito, scoppiò in tutto il paese una violenta rivolta contro
lo zar Nicola III che si trovò costretto a concedere l’istituzione e l’elezione di un parlamento, la duma.
Alla nuova assemblea, però, furono assegnati poteri limitati che non intaccavano la supremazia
assoluta dello zar.
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Italia
Gli anni immediatamente seguenti all’unità d’Italia furono caratterizzati dal predominio di una
classe dirigente formata da esponenti e rappresentanti degli industriali del nord e latifondisti del
sud. Questi ceti erano gli unici ad avere il diritto di voto (limitato al 2% della popolazione) ed erano
favorevoli ad una politica economica di tipo protezionista (che portò ad un contrasto con la Francia)
e ad una espansione coloniale dell’Italia.
A governare il paese fu, all’inizio, la coalizione della destra storica erede delle idee di Cavour. Dal
1876 andò invece al potere la sinistra storica che aveva tra i suoi obiettivi:
La riduzione delle tasse
L’aiuto al mezzogiorno
L’allargamento del suffragio
L’istituzione di una scuola elementare laica, gratuita, pubblica e obbligatoria
Il primo Presidente del Consiglio appartenente alla sinistra storica fu Agostino Depretis.
Agostino Depretis (presidente del consiglio nei periodi 1876-1879 e 1881-1887)
Principali provvedimenti presi al tempo di Depretis:
• 1877: riforma scolastica; viene istituito l’obbligo scolastico della durata di due anni
• 1880: abolizione della tassa sul macinato che danneggiava i ceti più poveri
• 1882: allargamento del suffragio dal 2% della popolazione (620.000 circa) al 7% (2.000.000
circa)
• 1882: alleanza difensiva e militare con Austria e Germania (la Triplice Alleanza): l’Italia
rinunciava momentaneamente alle rivendicazioni territoriali su Trento e Trieste e riceveva
l’assenso delle altre due potenze nel caso di una espansione coloniale fuori dall’Europa;
inoltre i tre paesi si impegnavano ad aiutarsi militarmente in caso di attacco da parte di altre
nazioni e a restare neutrali nel caso che uno dei tre attaccasse altre potenze. In forza di
questa alleanza nel 1882 l’Italia acquisì il controllo delle coste dell’Eritrea (baia di Assab e
porto di Massaua) ma, nel 1887, fu costretta a rinunciare alla penetrazione verso l’interno
(sconfitta del contingente italiano a Dogali da parte degli abissini)
Nel 1878 intanto, Vittorio Emanuele II morì suo figlio Umberto I divenne il nuovo sovrano.
L’industrializzazione e la nascita dei movimenti operai e contadini di ispirazione socialista
Il periodo 1873-1895 fu caratterizzato da una profonda crisi economica mondiale che colpì sia
l’industria che l’agricoltura. Essa comportò numerosi licenziamenti, la riduzione dei salari, dure
repressioni ai danni dei sindacati* ed estesi fenomeni di emigrazione dall’Europa verso il continente
americano.
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In Italia fu particolarmente grave la situazione dell’agricoltura. Ciò comportò da un lato un processo
di rafforzamento dell’industria e, dall’altro, l’estensione di moti contadini e operai che
rivendicavano riforme volte a migliorare le condizioni dei ceti proletari. Inizialmente (1864-1874) i
movimenti di protesta si caratterizzarono per la loro ispirazione anarchica (Bakunin era in Italia nel
periodo 1864-1867). Successivamente prevalsero le idee ispirate al socialismo marxista che
portarono alla nascita, nel 1892 del Partito dei lavoratori italiani che poi, nel 1895, prese il nome di
Partito Socialista Italiano. I socialisti italiani (tra cui figuravano Antonio Labriola e Filippo Turati)
sostenevano la necessità di una rivoluzione così come immaginata da Marx ma credevano anche
nell’utilità e nella necessità di una preliminare fase di riforme di tipo sociale e democratico. I più
significativi episodi di protesta furono quelli dei contadini siciliani (i Fasci dei lavoratori siciliani,
1891-1894) e quello dei lavoratori delle cave di marmo della Lunigiana (1894).
L’Italia di Crispi e Giolitti
Tra i Presidenti del Consiglio italiani che incisero di più nella vita del paese tra il 1887 (fine del
governo di Depretis) e la Prima Guerra Mondiale figurano Giovanni Giolitti e Francesco Crispi.
Francesco Crispi (Presidente del consiglio nei periodi 1887-1891 e 1893-1896)
Esponente della sinistra storica si convertì progressivamente dalle idee garibaldine e mazziniane a
quelle filo-monarchiche e autoritarie. Durante il suo primo governo fece approvare l’abolizione delle
pena di morte ed estese il diritto di sciopero. Il suo secondo mandato invece si caratterizzò per una
politica interna fortemente repressiva (invio dell’esercito in Sicilia e Lunigiana, scioglimento
temporaneo del Partito Socialista -1894-) e per una politica estera aggressiva e colonialista (fallita
invasione dell’Etiopia; sconfitta del contingente italiano ad Adua nel 1896).
Giovanni Giolitti (Presidente del consiglio una prima volta nel 1892-1893 e poi, quasi
ininterrottamente, dal 1903 al 1914)
Diversamente da Crispi, Giovanni Giolitti non considerava le proteste operaie e contadine solo
come una minaccia all’ordine pubblico da reprimere con la forza ma come il sintomo di un
malessere economico che lo Stato e il Governo avevano il dovere di curare e risolvere. Allo stesso
tempo credeva che il governo, nella contesa tra padroni e salariati, dovesse svolgere la funzione di
mediatore. Inoltre riteneva necessario tentare di coinvolgere nelle scelte del governo gli elementi
più moderati del Partito Socialista. In politica estera invece, sotto la spinta dei nazionalisti,
continuò la politica espansionista e coloniale di Depretis e Crispi. Questi i principali provvedimenti
dell’età giolittiana:
1903-1904: leggi per la regolamentazione del lavoro delle donne e dei fanciulli, sulla
vecchiaia, l’invalidità e gli infortuni
1911: dichiarazione di guerra alla Turchia e annessione della Libia (di fatto riguardò solo la
zona costiera poiché all’interno la popolazione continuava la sua resistenza all’occupazione
italiana)
1912: suffragio universale maschile eteso a quanti sapessero leggere e scrivere e avessero
più di 21 anni e a quanti avessero più di 30 anni, avessero compiuto il servizio militare a
prescindere dal grado di istruzione.
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Da Umberto I a Vittorio Emanuele III
Nel maggio 1898, quando presidente del consiglio era Antonio Di Rudinì e dopo un periodo di
tumulti popolari causati dall’aumento del prezzo del pane, scoppiò a Milano una sommossa e uno
sciopero generale con l’erezione di barricate. Contro i manifestanti il governo decise di utilizzare la
cavalleria e vari reparti dell’esercito al comando del generale Fiorenzo Bava Beccaris che fece
demolire le barricate a colpi di cannone causando la morte di un centinaio di persone. Il re Umberto
I, dopo questi fatti, premiò il generale con un’alta onorificenza militare. A distanza di due anni, il 20
luglio 1900, a Monza, il re cadde vittima di un attentato ad opera dell’anarchico italiano Gaetano
Bresci giunto appositamente dagli Stati Uniti, dove era emigrato, per vendicare in questo modo i
fatti di Milano del 1898. Divenne allora re Vittorio Emanuele III.
Nuove forze politiche italiane tra la fine dell’800 e la Prima Guerra Mondiale
Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale le forze politiche italiane più importanti erano costituite dai
Socialisti e dai Liberali (eredi degli elementi più moderati della sinistra e della destra storica). Nuove
forze però si andavano formando alle ali estreme della sinistra e della destra e nell’ambito dei
cattolici. In particolare:
Cattolici: non si organizzarono da subito come partito; la loro partecipazione alla
competizione elettorale ebbe inizio quando papa Pio X (1903-1914) fece cadere il divieto alla
partecipazione politica stabilito dal papato all’epoca dello scontro tra il nuovo regno d’Italia
e la Santa Sede;
Sindacalisti rivoluzionari: non erano un partito di tipo parlamentare; essi credevano
nell’azione diretta degli operai sciolta da ogni legame con i partiti e con il governo; attraverso
lo strumento dello sciopero generale* intendevano favorire lo scoppio della rivoluzione
Radicali: schierati a sinistra dei liberali avevano idee anticlericali e antiaustriache e
spingevano per riforme di tipo democratico
Conservatori e Nazionalisti: schierati a destra dei liberali si opponevano a riforme di tipo
democratico ed erano favorevoli a misure autoritarie e repressive contro gli scioperi; alcuni
erano clericali; i nazionalisti erano antiliberali e antidemocratici e si opponevano alla lotta
tra le classi che ritenevano la causa di un indebolimento della nazione; essi auspicavano una
serie di guerre espansionistiche di tipo coloniale che avrebbero dovuto risolvere il problema
dell’emigrazione e distogliere il proletariato dalle sue aspirazioni di tipo socialista.