20
LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA CAPITOLO 5

Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

  • Upload
    dlm7

  • View
    227

  • Download
    0

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

Citation preview

Page 1: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA,

EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE

D’EMERGENZA

CAPITOLO 5

Page 2: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

67

Cedric Price

Nel passato, soprattutto a livello teorico, personalità e movimenti dell’avanguardia architet-

tonica si sono interessati ed appassionati alle grandi potenzialità che offre un’architettura

leggera e mobile.

Basti pensare alle glorificazioni delle macchine delle avanguardie futuriste e costruttiviste o

ai sistemi urbani di Cedric Price dall’obsolescenza breve e programmata, fino alle deliranti

macrostrutture del gruppo inglese degli Archigram,

autori di proposte altamente innovative di unità di

abitazione semoventi o interi edifici, simili a giganteschi

ragni che si aggirano per le città concepite, anche

queste, su principi di tale mobilità, modificabilità,

smontabilità e trasformabilità, come la nota “città che

cammina” del 1964.

L’interesse per un’architettura caratterizzata dalla

temporaneità delle opere risale a molto tempo fa, quando

particolari strutture, anche di notevoli dimensioni, venivano concepite secondo criteri della

leggerezza, economicità, facilità di montaggio e smontaggio. I ponti a struttura reticolare in

legno, illustrati da Palladio nel suo trattato “I quattro libri dell’architettura”, sono esempi

molto significativi a riguardo, così come il Palazzo di Cristallo di Joseph Paxton, realizzato

nel 1951 in occasione dell’Esposizione Universale di Londra.

Una proposta di Casa Mobile appare per la prima volta nella manualistica italiana nelle edi-

zioni dell’Hoepli 1910.

Si tratta di una riproduzione in piccola scala di un’abitazione unifamiliare, ad una

elevazione, opportunamente sezionata in un numero di parti avente dimensioni tali da poter

essere trasportate su ruote, compatibilmente con la viabilità dell’epoca. Bisognerà attendere

gli anni trenta per dare avvio, nel nostro Paese, alle prime ricerche su strutture smontabili e

trasportabili; ricerche condotte nell’ambito del programma di intervento per il

ripopolamento delle colonie fasciste, durante l’occupazione etiopica.

Capitolo

5

Page 3: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

68

Crystal House

Intanto, negli anni venti, in Francia, Le Corbusier profetizzava la diffusione della “casa

macchina” e ideava la “Maison Voisin”, prototipo di una nuova tipologia di unità abitativa,

frutto dell’integrazione del concetto di alloggio minimo e quello di automobile.

Negli Stati Uniti, sin dai primi decenni del ‘900, vengono portate avanti innumerevoli

sperimentazioni sul tema della casa concepita come insieme di più parti assemblate, tra

queste si ricordano le cosiddette “case portatili Hodgson”, prodotte negli Stati Uniti a

partire dal 1982:

erano costruzioni a struttura lignea, eseguite con particolare sistema costruttivo che ne con-

sentiva la costruzione in fabbrica a sezioni.

Ogni sezione, larga 1,80 m era composta da cinque parti separate (due pannelli parete, due

pannelli copertura, un pannello pavimento), che venivano unite insieme sul posto. le

diverse sezioni, affiancate, venivano successivamente collegate per mezzo di un particolare

sistema a cunei.

Simili a queste sono le abitazioni in legno prodotte dall’agenzia Aladdin, articolate come

veri e propri Kits abitativi da ordinare su cataloghi; o i modelli abitativi realizzati negli anni

‘30 dalla General Houses Corporation, fino ai prototipi “House of tomorrow” e “Crystal

House”, presentati alla Century of Progress Exihibition di Chicago del 1933. La prima,

proposta dai fratelli Keck, era realizzata con telai metallici e pareti vetrate e dotata di un

sistema di riscaldamento e condizionamento dell’aria autonomo. La seconda unità abitativa

era invece caratterizzata da un particolare sistema strutturale che ne permetteva un facile e

veloce montaggio.

Com’era già accaduto con l’auto del futuro, nel 1927 Buckminster Fuller pensò bene di

cimentarsi nella “casa del futuro”, la 4-D Dymaxion House. E anche stavolta, nonostante

l’interesse destato agli inizi, si

ritrovò con un fiasco. In un’epoca in

cui quasi tutte le abitazioni avevano

ancora latrine esterne, Fuller ideò un

bagno di plastica fuso in un solo

pezzo, che riuniva tutti i sanitari in un solo metro quadrato e 1/2. Un altro congegno

avrebbe riunito insieme macchina da scrivere, calcolatrice, telefono, radio, fonografo,

fotocopiatrice, e perfino la TV. Un ennesimo aggeggio avrebbe lavato e asciugato i panni in

Page 4: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

69

A sinistra: modello di 4-D Dymaxion House, 1927. A destra: wichita house completata e bidone contenitore, 1946

tre minuti. All’inizio contemplò l’idea di una abitazione di forma esagonale, che, per

risparmiare sull’uso del terreno, era sospesa in aria, sorretta da cavi appesi ad un pilone

centrale, nel cui interno viene inserito l’impianto elettrico e le tubazioni di alimentazione e

distribuzione dell’aria e del calore e apposite lenti per utilizzare la luce ed il calore solare.

La forma delle stanze avrebbe seguito le diagonali dell’esagono.

Le pareti sarebbero state trasparenti, i pavimenti in gomma rigida e la struttura portante

sarebbe stata il alluminio.

Con lo stesso principio si sarebbero dovute erigere delle torri di 10 appartamenti (munite di

turbina eolica in cima per l’elettricità).

La sua intenzione era fabbricare questi alloggi in serie come le automobili, con dei tocchi

personali, e trasportarli con elicotteri. Durante la II Guerra Mondiale, in cui occorrevano

alloggiamenti immediati per le truppe, Fuller propose un modello di semplicissima

costruzione, chiamato Dymaxion Dwelling Machine, che poteva essere spedito ovunque

dentro un... barattolo e montato in poche ore. Un prototipo di 11 metri di diametro fu

finalmente costruito a Wichita nel 1946. Pur basandosi su principi simili ai precedenti,

invece che esagonale era rotondo, e anche il tetto era curvo. Le pareti non erano più

trasparenti, ma anch’esse d’alluminio, e l’impiantito di legno.

In realtà la Dymaxion House non avrebbe mai potuto essere qualcosa di più di una novità di

Page 5: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

70

Casa pieghevole

breve durata e, a quel tempo, fu forse azzardato da parte di Fuller pensare che avrebbe

potuto cambiare la tradizione del costruire.

In tutta la sua opera infatti si può scorgere la realizzazione di proposte architettoniche

futuriste ed una continua ricerca di soluzione abitative improntate su l’utopismo

tecnologico.

Il nome Dymaxion deriva da “Dynamic and Maximum Efficiency”, termini che

sottolineano il carattere avvenieristico del suo lavoro.

Nel 1948 Fuller e i suoi allievi ebbero l’idea di una casa pieghevole, lunga 25 piedi, e alta e

larga 8 piedi, da poter trainare come una roulotte. Una volta dispiegata, avrebbe potuto

ospitare confortevolmente sei persone, con camera da letto, soggiorno, cucina e perfino due

bagni. Sfortunatamente, mancavano muri e tetto.

Lo studio si può considerare come la prima idea di container, ampiamente utilizzato nel

settore del trasporto delle merci ed adottato successivamente anche dalla Protezione Civile.

La sua ricerca prosegui in questa direzione, fino ad arrivare, nel 1949, alla realizzazione di

un nuovo prototipo della Dymaxion House, nota con il nome di “Wichita House”, composta

da unità estremamente leggere da assemblare sul posto.

A differenza del vecchio modello, la casa è di forma cilindrica, con cupola.

Si tratta di una struttura in alluminio che si sviluppa su una superficie di 100 mq, con pianta

circolare di 12 mt. di diametro e di un peso inferiore a tre tonnellate.

I tremila pezzi che la costituiscono, raccolti in un unico contenitore cilindrico di acciaio,

potevano essere trasportati su un camion corredato di un braccio meccanico che avrebbe

consentito ad una decina di persone di montarla in due giorni.

Page 6: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

71

Wichita House recentemente restaurata

Le ricerche e le sperimentazioni che si susseguirono negli anni ‘30 e ‘40, basate sul

principio della transitorietà, mobilità, flessibilità, smontabilità, e dell’interazione con il

territorio e con l’ambiente, sono state effettuate sopratutto per conto delle forze armate o di

enti di protezione civile interessati ad edifici per utilizzazioni temporanee, in relazione alle

calamità naturali o a situazioni di emergenza, come quella verificatasi in occasione dello

scoppio della seconda guerra mondiale.

Il conflitto mondiale lascio infatti, tra le altre conseguenze, una grave crisi di alloggi dovuta

all’inattività edilizia del periodo bellico, al ritorno dei veterani e all’incremento di

matrimonio e natalità. Wilson Wyatt, nel 1946,

propone il Veterans’ Emergency Housing Act,

che prevedeva notevoli agevolazioni per i

produttori di case prefabbricate ad uso

temporaneo, ma nonostante ciò il programma

non ebbe il successo sperato e la produzione di

queste abitazioni non superò il 9%.

Il pubblico era diffidente nei confronti di queste

nuove tipologie abitative anche a causa del

cattivo ricordo delle case prefabbricate realizzate

durante la guerra, molto spesso con mezzi di fortuna e quindi inaffidabili.

Un esempio significati dell’impegno di progettisti e costruttori europei del dopoguerra sul

problema delle abitazioni è, senza dubbio, l’opera del francese Jean Prouvè.

In seguito a ricerche progettuali e sperimentazioni produttive, iniziate già negli anni trenta

su costruzioni industrializzate con prevalente impiego in lamiera di acciaio, Prouvè era in

grado di seguire tutte le fasi relative al progresso edilizio: progetto, produzione, trasporto,

montaggio, smontaggio.

Jean Prouvè è uno degli architetti che hanno basato le loro elaborazioni progettuali su un

approccio spiccatamente tecnologico, imperniando il loro lavoro sulla ricerca dei sistemi e

dei processi più idonei a soddisfare le richieste e le esigenze di un’utenza proiettata verso

modelli di vita e di comportamento non statici e cristallizzati ma dinamici e flessibili.

Prouvè, in particolare, propone soluzioni progettuali innovative progettando e

sperimentando l’impiego di componenti e semilavorati industriali per la produzione di

Page 7: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

72

Schizzo di Jean Prouvè

Papillon 6x6. Jean Prouvè

costruzioni per l’emergenza.

Il modulo abitativo, conosciuto come il Pavillon 6x6, è realizzato con una struttura di

lamiera in acciaio, piegata, composta di due mezzi portali collegati ad una trave reticolare

di colmo.

La copertura metallica si appoggia su puntoni in lamiera piegata ed è completata con una

controsoffittatura.

Il pavimento in legno, sollevato da terra, è sostenuto da una intelaiatura metallica.

Gli elementi di chiusura verticale sono

costituiti da pannelli in legno con anima

in alluminio, Anche se in alcune soluzioni

sono proposti anche pannelli metallici.

L’unità abitativa è stata concepita per

rispondere alle richieste di 450 abitazioni

provvisorie, avanzata dal Ministero della

Ricostruzione francese.

Il Pavillon, oggi restaurato, viene impiegato come mostra itinerante, con lo scopo di offrire

un’occasione di confronto con un manufatto edilizio concepito per essere reimpiegabile ed

adattabile a situazioni diverse e con i conseguenti aspetti progettuali, produttivi e costruttivi

ad esso connessi.

Transitorio-durevole, montabile-smon-

tabile, adattabilità abitativa: sono i para-

metri guida della sua attività progettuale,

volta al soddisfacimento delle esigenze

che ancora oggi costituiscono i temi

fondamentali dell’abitabilità transitoria

contemporanea.

Le tipologie a cassettiera, la copertura ad

ombrello o il tetto-trattino, caratteristico

delle abitazioni progettate per i climi

tropicali, sono soltanto alcune delle proposte mirate al benessere ed alla adattabilità

funzionale.

Page 8: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

73

Papillon 6x6 nella fase di restauro. Jean Prouvè

La Maison du Peuple di Cliché. Francia

Nel 1937 la Maison du Peuple di Clichy, in Francia, segna una data storica: l’edificio,

progettato con gli Architetti Beaudouin e Lods, è un meccano tecnologico ad assetto

variabile, interamente realizzato in officina, con lamiera d’acciaio pressopiegata e montato

a secco in cantiere.

Una delle figure più interessanti di architetti che si sono interessati allo studio di idonee

soluzioni dei problemi legati all’edilizia

provvisoria e Karl Koch.

Nel 1945 Koch progetta in

collaborazione con gli architetti

Callender e Jackson, la casa pieghevole

Acorn, concepita per una produzione di

serie da realizzare completamente in

officina.

Il progetto, di concezione rivoluzionaria per i tempi, partiva dall’idea di realizzare una casa

pronta all’uso e che costasse meno di una casa analoga costruita con metodi tradizionali.

L’originalità consisteva nel fatto che la casa, completa e ripiegata su se stessa, caricata su

un rimorchio e trasportata sul luogo prefissato, doveva soltanto dispiegata, facendo ruotare

le pareti ed il tetto su apposite cerniere e avvitando i punti di contatto. Si evitavano così gli

imballaggi dei vari

componenti, riducendo anche

al minimo il lavoro da

eseguire sul posto, che

consisteva soltanto nella

preparazione di otto piccoli

scavi per la posa dei plinti di

fondazione in calcestruzzo.

Ripiegata, la casa misurava

2,40 m di larghezza, 6,90 di lunghezza e 2,70 di altezza.

Negli anni ‘50 Andrew Geller comincia a progettare le sue “Beach Houses”: si tratta di

piccole abitazioni per vacanza, di minimo impatto ambientale e dall’architettura

Page 9: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

74

La casa pieghevole Acom di K. Kock

Beach Houses. Andrei Geller

avveniristica.

Facili da montare ed altrettanto facili da smontare alla fine della stagione. Il prototipo di

queste case è la “A-Frame” houses, conosciuta con il nome di Reese House.

A questa seguono le case-palafitte

Pearlroth House e Hunt House,

quest’ultima progettata in collaborazione

con Irving Hunt; la Lynn House, la Jossel

House e la Eileen Hunt House.

Nel ventennio compreso tra la metà degli

anni ‘60 ed i primi anni ‘80 si manifesta,

sia in Europa sia negli Stati Uniti, una

notevole fioritura di idee, progetti e

prototipi sperimentali entusiasmo che coinvolge i progettisti del periodo, sempre più

interessati ad una architettura svincolata dai canoni classici dell’oggetto di architettura

solido, conficcato nel terreno e destinato ai posteri immutato ed immutabile.

Alla base di questa nuova tendenza non vi è soltanto una motivazione di tipo funzionale,

legata al problema delle emergenze abitative,

ma una vera e propria rivoluzione ideologica

che coinvolge la società occidentale agli inizi

degli anni sessanta.

Si fa sempre più forte l’esigenza di un nuovo

stile di vita, svincolato dei tradizionali canoni

comportamentali e dai modi di vita consueti.

Un bisogno innovativo profondo, portatore di

istanze di libertà, autodeterminazione, mobilità, che rilanciano la tradizione nomadica

americana.

Tutto ciò ha una incidenza non indifferente sul pensiero architettonico del periodo,

influenzando le produzioni di numerosi progettisti, artefici di opere

fortemente innovative, concepite sui principi di totale mobilità.

Le esperienze condotte in questo periodo nell’ambito delle case ad assetto variabilediedero

una forte spinta all’innovazione dei processi costruttivi e delle tecnologie della

Page 10: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

75

Reese House. Fase di

montaggio e in una foto storica

Lynn House. Foto d’epoca

modificabilità.

Le esperienze condotte in questo periodo nell’ambito delle

case ad assetto variabile diedero una forte spinta

all’innovazione dei processi costruttivi e delle tecnologie

della modificabilità.

Questa tendenza, largamente influenzata dai lavori di Fuller,

ma in netto contrasto con la sua impostazione legata al mito

della macchina, della produzione industriale e delle

tecnologie avanzatissime, è basata sull’utilizzo di materiali e

tecnologie estremamente povere, per realizzare nuove

immagini urbane in cui l’abitazione ha sempre più un

carattere di provvisorietà; dalle intuizioni di Le Corbusier, con

il “casier à bouteilles” alle visioni utopistiche degli Archigram

con “Plug-in city”, da Paul Rudolph con i “mattoni abitati” a Moshe Shafdie con l’habitat

di Montreal, alle cellule ipersofisticate di Kisho Kurokawa, l’idea di un architettura che si

costruisce e ricostruisce continuamente come un

organismo vivente formato da cellule spaziali ad

obsolescenza programmata prodotto in serie

dall’industria, è stata ad un passo dal trasformarsi da

utopia a realtà.

La crisi energetica,soprattutto quella petrolifera,ed

ambientale che ad inizio anni 70 investe un po’ tutti i

paesi industrializzati e con essa la fine dell’illusione

di una crescita tecnologica senza limiti ed a basso

costo, porta ad un notevole ridimensionamento delle

ricerche sull’habitat provvisorio e più in generale sui

manufatti ad uso temporaneo.

Abbandonate le ipotesi più utopistiche, la ricerca

tecnologica si indirizza verso risposte concrete a esigenze della gente; il problema viene

quindi ricondotto ai settori che, verosimilmente, gli sono maggiormente propri, in cui

Page 11: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

76

Pearlroth House, Dune Road, Westmpton, NY 1958

Kurokama cellule abitative

la provvisorietà è una condizione ineluttabile: primo fra tutti l’emergenza.

Le sperimentazioni architettoniche europee

propongono soluzioni che sviluppandosi

dall’estetica del container, fanno propri

concetti quali la geometria variabile,

l’ampliabilità, la scomponibilità, la

modificabilità, la flessibilità,

l’integrabilità.

Di esempi di manufatti interamente

realizzati in fabbrica che, una volta giunti

sul luogo della calamità e posizionati sul terreno, modificano, con sistemi di cerniere e

carrelli, il loro aspetto, spesso con consistenti aumenti di volume abitabile, il panorama

progettuale degli anni ’70 ne offre molteplici.

Vanno sicuramente ricordati: la casa pieghevole in plastica di K.A. Rohe, la casa mobile di

M. Schiedhelm, le unità abitative di Alberto Roselli e Marco Zanuso (entrambe frutto di

una sperimentazione promossa dalla Fiat, insieme ad altri sponsor, e presentate al Museum

of Modern Art di New York, nel 1972), il “tilted box” di Kisho Kurokawa, vincitore nello

stesso anno del Concorso Misawa.

Interessanti sono anche le ricerche promosse, un po’

ovunque in Europa, all’interno di scuole ed università,

come la proposta dello studente Wilfred Lubitz alla

Werkkunstschule di Krefeld in Germania, basata proprio

sull’ampliabilità del container, del modulo trasportato; è

una casa perfettamente attrezzata, composta da due

container aggregabili, dotati di pareti ribaltabili che dalla

posizione verticale nella fase di trasporto assumono quella

orizzontale di copertura, consentendo in fase di esercizio un incremento di 1/3 del volume.

Le due unità-container, trasportabili per via di terra e di mare, sono tra loro complementari;

l’una dotata di attrezzature fisse, bagno, cucina e letto, l’altra di attrezzature mobili per il

soggiorno pranzo.

Sul finire degli anni ‘70, contemporaneamente a concorsi di progettazione, si iniziano ad

Page 12: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

77

Kurokama Ingresso “tilted box”

organizzare, soprattutto in Inghilterra e Stati

Uniti, conferenze internazionali sulla tematica dei

manufatti provvisori da impiegare in caso di

emergenza, e più in generale sui problemi della

relief culture, una sorta di cultura della Protezione

Civile.

In particolare sono importanti da annoverare

quella tenutasi ad Istanbul nel 1977, organizzata

da The Scientific and Technical Research Council

of Turkey e dal Buiding Research Institut, in cui,

per la prima volta, in un assise internazionale, è

sancita la formulazione strategica dell’intervento

di soccorso abitativo in aree disastrate,

individuando l’esigenza di un’organica

correlazione revisionale tra tempi, modalità e

caratteri dell’intervento in riferimento al tipo, alle dimensioni, alla natura stessa dell’evento

e l’International Conference on Disaster and Small Dwelling tenutasi ad Oxford, l’anno

successivo.

In quest’occasione il tema centrale della conferenza è proprio lo Shelter after disaster,

inteso come ricovero, copertura di primo soccorso, in grado di proteggere i sinistrati dal

momento del disastro fino alla sistemazione in un alloggio temporaneo.

Particolarmente interessante è la conclusione cui giunge il prof. Ian Davis, direttore fin dal

1973 del “Disaster and Settlementy Unit” dell’University College di Oxford, che tende a

scoraggiare lo sviluppo di ulteriori ricerche nella direzione delle tipologie chiuse,

dell’oggetto finito, per indirizzare invece gli sforzi verso possibili strategie progettuali

tendenti all’impiego libero di sistemi ed attrezzature aperte ed autonome.

I risultati di queste conferenze portano, sul finire degli anni ’70, al superamento della logica

dell’oggetto finito, del manufatto che, interamente assemblato in officina, una volta

posizionato sul luogo della calamità consente solo configurazioni tipo “lager”, in cui manca

totalmente l’articolazione tra i singoli manufatti ed una logica integrazione di questi ultimi

con l’ambiente circostante.

Page 13: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

78

Si passa in maniera graduale di sistema, con la progettazione di sistemi residenziali

integrati composti da unità funzionali, morfologicamente e tecnologicamente differenti tra

loro, dove i requisiti quali aggregabilità e modificabilità, ritenuti indispensabili,

garantiscono la possibilità di molteplici configurazioni insediative, capaci di rappresentare

la complessità dell’abitare e l’adattabilità al luogo ed alle esigenze dell’utenza.

Dunque “concepire l’insediamento provvisorio non come insieme risultante della

provvisorio non come insieme risultante della sommatoria di singoli manufatti eterogenei

ma come sistema integrato di unità funzionali complementari in grado di costituirsi come

habitat.

Esempi emblematici di questo nuovo approccio alla problematica dei manufatti temporanei

per l’emergenza, sono gli esiti di sue ricerche progettuali condotte in Italia tra gli anni ’70

ed ’80, da docenti dell’area della Tecnologia dell’Architettura e finanziate, novità non

trascurabile, dal mondo della produzione. Il Ca.Pro Provvisorie progettato nel 1978 dal

gruppo Donato, Guazzo, Platania, Vittoria su commissione della Tecnocasa ed il Sapi,

Sistema abitativo di pronto impiego, nato quattro anni dopo più tardi, nel 1982, da un’idea

di P.L. Spadolini, con i finanziamenti del gruppo industriale IRI-Italstat.

Nel progetto Ca.Pro l’obiettivo principale era riuscire a ottenere livelli prestazionali

massimi sia in fase di esercizio che di trasporto, quindi a far corrispondere a fasi di

massima concentrazione dei volumi, una fase, quella di utilizzo del manufatto, di massima

espansione degli stessi. Sostanzialmente si trattava di avere volumi trasportati che non

fossero delle scatole vuote, ma tutt’altro degli organismi in grado di generare altro spazio

utile in quantità sufficiente da soddisfare le esigenze dello standard abitativo desiderato. In

definitiva il Ca.Pro tende a coniugare gli aspetti positivi del container con quelli della

tenda, generando un manufatto composto da elementi rigidi di sostegno e di contenimento

delle attrezzature, derivati appunto dal container e corrispondenti ai moduli di trasporto, e

di elementi di chiusura, di tamponamenti degli spazi autogenerati derivati dalla tenda con

caratteristiche di massima leggerezza e flessibilità.

Se il progetto Ca.Pro non è riuscito a pervenire alla fase della sperimentazione su prototipi,

quindi non è stata possibile una reale verifica delle prestazioni effettivamente rese, esito

ben diverso ha avuto il Sapi che, progettato nel 1982 da P.L. Spadolini, è stato

effettivamente realizzato,ed è ancora oggi considerato da alcuni responsabili della

Page 14: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

79

Progetto Sapi. Prelievo del modulo

Protezione Civile, come il fiore all’occhiello degli alloggi provvisori per l’emergenza

disponibili in Italia.

Il progetto, in cui sono chiaramente riconoscibili riferimenti alle proposte fatte

nell’immediato dopoguerra da Jenneret e Prouvè con l’Emergency Housing e da Rudolph

con l’alloggio per studenti sposati, mira a conciliare perfettamente la massima qualità

ambientale desiderabile

con i limiti dimensionali imposti dai mezzi di trasporto, per ottenere un’unità edilizia in

grado di concentrare in una tutte le fasi dell’emergenza successive alla prima.

L’idea innovativa è di non trasportare volumi vuoti, ma moduli attrezzati ampliabili in fase

di esercizio in grado una volta giunti sul luogo della calamità di aumentare, con semplici

operazioni manuali, il volume abitabile.

Molto simile al Sapi come esito figurativo e nell’idea di una configurazione variabile in

fase di esercizio, il progetto proposto nel 1986 da un altro docente dell’area della

Tecnologia dell’Architettura, Marco Zanuso: il Sistema Spazio.

Si tratta di un modello base impacchettato in 120x240 cm, espandibile sia sui lati lunghi, a

destra e sinistra, che sul tetto; gli elementi di chiusura sono realizzati in pannelli sandwich

in fibra di legno impregnato con espansi e

rivestimento melaminico.

A partire dalla fine degli anni ’80 nella

progettazione di manufatti temporanei per

l’emergenza, in conseguenza ai grossi cambiamenti

che più in generale stavano investendo il mondo

dell’architettura, si iniziano a prendere in

considerazione nuovi requisiti, fino ad allora

considerati marginali; requisiti come

l’autocostruzione, secondo il principio del “do it yourself”, ossia la possibilità di un’attiva

partecipazione, nella realizzazione in sito degli insediamenti provvisori, delle stesse vittime

della calamità, l’utilizzo di materiali riciclati e riciclabili, facilmente reperibili, di

tecnologie “povere”, utilizzabili ovunque in qualunque contesto senza l’impiego di

macchinari complessi e manodopera specializzata.

Si passa quindi lentamente dai sistemi dispiegabili ed integrabili, interamente realizzati in

Page 15: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

80

Paper Log Houses. Fase di montaggio. Shigerun Ban

officina ed in grado, una volta giunti sul luogo della calamità, di modificare la propria

configurazione con consistenti aumenti di volume, ai kit da assemblare in sito con l’utilizzo

di macchinari semplici e tecnologie povere.

Sintesi di tutto ciò, è il progetto della Paper Log House, la casa dei tronchi di carta, che nel

1995, il giovane architetto giapponese Shigerun Ban, realizza per i terremotati di Kobe.

Un alloggio provvisorio estremamente innovativo progettato nella logica di una

ricostruzione dei manufatti

permanenti estremamente

rapida, capace di ridurre

notevolmente, magari a pochi

mesi, i tempi di permanenza

nelle case provvisorie; ma

innovativo e perché no atipico

anche perché fortemente

caratterizzato da requisiti quali

l’utilizzo di materiali riciclati e

riciclabili, cassette di birra, tubi

di cartone, sacchetti di sabbia, e di una tecnologia estremamente povera in grado di

garantirne la realizzazione in poco meno di sei ore e, soprattutto, senza l’utilizzo di

manodopera specializzata e macchinari pesanti.

Ban inizia a lavorare nell’ambito dell’emergenza e ad ipotizzare l’utilizzo del cartone e più

in generale di materiali riciclati per la realizzazione di case provvisorie intorno al 1994

quando l’UNHCR, l’alto commissariato delle Nazione Unite per i rifugiati, lo coinvolge in

un progetto per il Ruanda.

Il problema delle Nazioni Unite riguarda la fornitura di un adeguato supporto per i teli in

Pvc che erano stati dati ai rifugiati come riparo.

Inizialmente le popolazioni locali, avendo ottenuto solamente le tende di quattro metri per

sei senza alcun elemento di sostegno, avevano secondo logica utilizzato dei pali di legno,

ricavati dalle foreste vicine; causando nel giro di pochi mesi un rapido disboscamento della

zona.

A questo punto, l’UNHCR, nel tentativo di evitare ciò, fornisce alle migliaia di rifugiati dei

Page 16: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

81

Paper log Houses. Fase di

montaggio ed assonometria

tubolari in alluminio da utilizzare sostituzione del legno.

Il tentativo, però, fallisce miseramente; la popolazione, ormai alla fame, preferisce vendere

l’alluminio considerato in quelle zone un materiale pregiato,

ritornando all’utilizzo di pali di legno.

Ban, sollecitato a trovare una soluzione, avvalendosi della

collaborazione della Ove Arup in Gran Bretagna e della

Svizzera, propone l’uso di tubi di cartone da realizzare

direttamente sul posto, con l’uso di carta riciclata e di un

macchinario sufficientemente piccolo.

Il progetto tuttavia si arena immediatamente, causa il

catastrofico terremoto che nel gennaio del 1995 colpisce la

città di Kobe in Giappone.

Ban decide di sospendere momentaneamente la sua attività in

Ruanda per recarsi sul luogo della calamità, con la

convinzione che l’utilizzo dei tubi di cartone possa, anche in

questo caso, essere utile.

In particolar modo, il progettista giapponese prende a cuore

la problematica di una piccola comunità vietnamita che non

volendosi allontanare dalla sua originaria zona di residenza,

per timore di perdere il posto di lavoro e quella integrazione che con grossa fatica aveva

conquistato nella chiusa società nipponica, continuava a vivere nelle tende sistemate nei

parchi in condizioni assolutamente inaccettabili;con allagamenti nei giorni di pioggia e

quasi 40 gradi in quelli di sole.

La soluzione, che Ban ipotizza è perfettamente esplicitata nelle sue parole: “Per ovviare

drasticamente a questa precarietà ho pensato ad un edificio da realizzare a mie spese,

seguendo criteri ed offrendo soluzioni differenti rispetto ad altri tipi di abitazioni

provvisorie.

Ho immaginato delle case esteticamente accettabili a basso costo, di facile e rapida

costruzione, realizzate con materiali termoisolanti, semplici da smontare e riciclabili.

E così è nata l’idea della Log House di carta, o casa di tronchi di carta, con la base

Page 17: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

82

Paper Log Houses. Vista

Paper log houses. Casette di birra usate come fondazioni

composta da casse di bottiglie di birra

riempite con sacchetti di sabbia, una

tenda come tetto e le pareti, appunto,

di carta.

Credo che la Log House potrà

risolvere i numerosi problemi che

ogni Ente locale ha finora incontrato

nelle situazioni di emergenza.

Infatti è assai semplice procurarsi i

materiali, quando e quanto è necessario, come è avvenuto in Ruanda, dove i tubi di carta

sono stati prodotti in loco, con una macchina non troppo grande e facile da trasportare.

La superficie di ogni unità, 16 metri quadrati, è stata adottata seguendo l’esempio delle

tende che l’ONU ha messo a disposizione dei rifugiati africani, anche se in quel clima si

vive perlopiù all’aperto e le dimensioni erano quindi in funzione di nuclei familiari di

cinque persone.

Qui a Kobe alle famiglie con prole cresciuta sono state destinate due log house di carta,

ciascuna di sedici metri quadrati, affiancate in modo da sfruttare come spazio comune,

protetto da una copertura,

l’intercapedine di due metri

ricavata fra le due unità”.

Risulta evidente, quindi, dalle

sue stesse parole che il progetto

è fortemente caratterizzato da

requisiti quali la riciclabilità,

l’utilizzo di materiali e tecniche

costruttive povere, in grado di

garantire economicità, rapidità

di realizzazione del manufatto e soprattutto, l’impiego nella costruzione di personale non

specializzato, magari delle stesse vittime della calamità.

Tutte le ventuno Paper Log House realizzate a Kobe, ad un costo di circa 250.000 yen per

unità, furono messe in opera da volontari, perlopiù studenti di architettura, in tempi che non

Page 18: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

83

Paper Log Houses. Vista

superavano le sei ore.

Le dimensioni di un singolo alloggio sono di

sedici metri quadrati, distribuiti su di una

pianta quadrata di quattro metri per quattro,

secondo uno standard previsto dall’ONU.

Morfologicamente il progetto è estremamente

semplice, secondi un’immagine classica

dell’architettura; un parallelepipedo con una

apertura posizionata simmetricamente su

ognuno dei quattro prospetti e sormontato da un tetto spiovente.

Per le fondazioni ma forse, vista la provvisorietà dell’intervento, è più lecito parlare di

basamento, Ban utilizza una serie di cassette di plastica per lattine di birra, sistemate con il

lato maggiore lungo tutto il perimetro del quadrato e riempite con sacchetti di sabbia al fine

di garantire una maggiore stabilità.

Il pavimento è affidato ad un tavolo di legno, poggiato su tubi di cartone lunghi quattro

metri e sistemati orizzontalmente su una serie di travi rompitratta in legno.

Tra un tubo e l’altro viene sistemato un sottilissimo nastro di spugna impermeabile per

evitare, ove possibile, la risalita dell’umidità dal terreno.

Tutti i tubi di cartone utilizzati nel progetto hanno le stesse dimensioni, per diametro e

spessore, 108 e 4 millimetri, e vengono preventivamente spalmati con poliuretano liquido

per garantirne una perfetta impermeabilizzazione.

Nello spessore rimasto tra il pacchetto pavimentato, travi, tubi, tavole, e le cassette di birra

viene posizionata una fascia in legno laminato, elemento di fissaggio per i tubi della parete

esterna.

Quest’ultima viene montata a piè d’opera, con i tubi incollati a pressione l’un l’altro,

bloccati con l’utilizzo di un tondino d’acciaio da sei millimetri, ed in seguito, sistemata,

grazie ad appositi giunti, sulla fascia di base. Porta e finestre, in compensato, sono aggiunte

in un secondo momento, collegando direttamente, con viti e bulloni, i telai ai tubi.

Ultimate, le pareti sono chiuse superiormente da una sorta di cornice, su cui viene avvitata

una fascia in legno laminato, di circa quarantacinque cm, per il posizionamento dei giunti di

base della copertura.

Page 19: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

84

Progetto CLEA. Vista dall’alto

Quest’ultima è formata da due tende, una posizionata orizzontalmente come soffitto, l’altra

a falde, con funzione di tetto, in modo da creare una camera d’aria per migliorare il comfort

all’interno dell’alloggio.

I prototipi realizzati a Kobe hanno subito nel corso degli anni alcune piccole modifiche

necessarie a migliorarne le prestazioni.

In Turchia, ad esempio, dove sono stati

utilizzati in seguito al devastante

terremoto del 1999, i tubi di cartone delle

pareti esterne sono stati riempiti con carta

riciclata, per incrementare il più possibile

l’isolamento termico.

Particolare interessante è che l’operazione

di riempimento è stata eseguita

direttamente sul posto e con l’ausilio

spontaneo dei tanti bambini vittime del

terremoto.

Su un principio molto simile, la

possibilità di avere un manufatto per uso

temporaneo sotto forma di un kit di montaggio da assemblare interamente in sito con

tecnologie semplice e l’utilizzo di manodopera non specializzata, si basa il progetto

C.L.E.A. ( Casetta in Legno per Emergenze Abitative) nato nel 1999 dalla collaborazione

tra la Cispel Toscana, da sempre impegnata in interventi di protezione Civile, l’INRL,

l’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Legno del CNR e l’Arsia (Arsia è l’Agenzia

Regionale per lo Sviluppo Agricolo Forestale).

L’idea di partenza è di giungere alla realizzazione di un alloggio provvisorio, da utilizzare

in caso di emergenza e non, di dimensioni non inferiori ai quarantacinque-cinquanta mq, ed

in grado di consentire un passaggio pressoché immediato dalla tenda o da una prima

sistemazione di fortuna ad una soluzione abitativa funzionale per un periodo medio lungo.

Il risultato è un manufatto che, nonostante esteticamente ricordi molto i prefabbricati

leggeri in legno, è caratterizzato da un’estrema facilità e rapidità di montaggio e

smontaggio; la struttura modulare, costituita da soli 120 elementi e facilmente stivabile in

Page 20: Evoluzione Della Prefabbricazione (20pag.)

LA MEMORIA, EVOLUZIONE DELLA PREFABBRICAZIONE D’EMERGENZA

85

Progetto CLEA

un container di sei metri, può essere montata e smontata da quattro persone non

specializzate, magari la stesse vittime della calamità, coordinate da un sovrintendente, in

poco meno di una giornata; più precisamente dieci/dodici ore per il montaggio, sei/otto ore

per lo smontaggio.

Tutti i moduli utilizzano pannelli autoportanti e coibentanti con scaglie di legno per le

pareti esterne, le tegole realizzate con materiali compositi legno/plastica per la copertura

spiovente

le travi di fondazione in legno massiccio e quelle di copertura in lamellare sono composti

da elementi il cui peso non supera i

quarantacinque kg; il tutto per renderli

facilmente maneggiabili da due persone

senza l’utilizzo di mezzi meccanici di

sollevamento.

L’attrezzatura indispensabile per il

montaggio e successivo smontaggio del

kit è riducibile a due avviatori a batteria o

ad aria compressa, due ponteggi mobili

piccoli, alti non più di due metri, una

livella e delle viti autofilettanti a testa

conica autofresante.

Altra grossa particolarità del progetto

C.L.E.A. è il tipo di materiale impiegato; si tratta per un buon ottantacinque % di legno,

logica conseguenza di una progettazione affidata all’IRL-CNR, utilizzato sotto forma di

legno massiccio, legno lamellare incollato e pannelli a base di legno, ma di un tipo

decisamente anomalo: il legno così definito, a fine vita.

C’è infatti da parte dei progettisti, la chiara volontà di recuperare i legnami derivati

dall’attività di manutenzione del patrimonio boschivo toscano, circa il 40 % della superficie

regionale; utilizzando così un materiale di recupero, senza dover impiegare speciali risorse

ma valorizzando materiali altrimenti destinati alla distruzione.