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FABIO BAGNI: “L’EMOZIONE NEL MINIBASKET” (CATEGORIA “PULCINI”) Premessa Per entrare immediatamente nel vivo dell’argomento ritengo doveroso, da parte di noi Istruttori, chiederci se abbiamo veramente la certezza di riuscire ad accogliere in palestra i nostri bambini con le loro emozioni. La nostra tendenza è di ricondurre le emozioni, giustamente, in senso positivo, soprattutto quando sono piccoli, come, ad esempio, l’euforia di entrare in palestra, l’emozione e la voglia di affrettarsi a raccogliere il pallone. L’emozione è anche vederli carichi prima della lezione, però esistono anche delle emozioni che emergono, senza che ce ne accorgiamo, dall’interno del nostro gioco, mentre i bambini stessi giocano. Vorrei a tal proposito citare un semplice esempio: nella lezione precedente, nel gioco “a spingersi”, in un momento del gioco stesso, il relatore ha chiesto ad un bambino se aveva paura ed il bambino gli ha risposto che effettivamente ha avuto paura. Certamente i bambini vanno accolti nelle varie aree, area affettiva, area emotiva, ma vanno anche accolti con le loro paure, nei loro momenti di rabbia. Nel giocare a prendersi, ad esempio, soprattutto quando i bambini sono piccoli, si presuppone che un bambino sia felice di prendere un altro, ma può esistere anche la paura di essere preso. La prima forma di gioco, il giocare a rubarsi il pallone, presuppone un contatto e quindi l’aver paura di subire questo contatto con un altro bambino o vedersi rubare il pallone sono situazioni in cui un bambino può vivere l’insuccesso accompagnato da tristezza e da rabbia. Fattori del gioco come la difesa e la collaborazione di squadra nascono da emozioni e da un senso di fiducia tra compagni. Molti dei giochi che noi Istruttori proponiamo sono caratterizzati anche dalle emozioni, da noi verbalizzate perché il bambino deve essere accolto in palestra offrendogli la consapevolezza che la palestra è un luogo dove può sbagliare e dove ha il diritto di essere soddisfatto di realizzare un canestro. Sbagliare, però, non deve esser sinonimo di paura, altrimenti la conseguenza è che i bambini non vengono a giocare la partita forse perché temono che la loro prestazione possa risultare negativa, perché certi bambini sono passivi e non giocano mai a rubarsi la palla, forse perché hanno paura del contatto o di sperimentare l’insuccesso. Personalmente, ad esempio, gradirei una frequente comunicazione tra i bambini, soprattutto quando sono piccoli e quindi è opportuno dedicare del tempo a questo scopo, anche se può costituire un problema ritagliare i relativi spazi perché in palestra il tempo è ancor più tiranno. Quanto tempo dedichiamo ai nostri bambini? Sicuramente in misura insufficiente, perché è limitato il tempo che i bambini hanno per entrare in palestra e raccontarci qualcosa, perché i genitori, spesso, lasciano il bambino tipo palla da bowling e la mamma con la stessa rapidità lo riconduce a casa lasciandogli insoddisfatto il desiderio di narrarci qualcosa. Mi rimbalzano nuovamente in mente i giochi proposti precedentemente da Marco Tamantini: sono propedeutici ad altri giochi sotto pressione. Cito un esempio. Nelle partite di minibasket, basta che il primo bambino sbagli il primo tiro, poi il secondo e poi paradossalmente più è alto il bambino, più continua a sbagliare e serpeggia in tribuna un malumore di sottofondo che produce sempre dei messaggi negativi che “passano”. Il bambino li ascolta e commetterà ancor più errori e questo dipende dal suo stato emotivo che è in crisi. Come dire, i bambini sotto pressione non sanno giocare ed è giusto che sia così, cioè è impossibile avere dei bambini capaci di gestire le emozioni. A mio avviso, a fronte di una sconfitta è giusto che i bambini piangano, perché è la giusta reazione. E’ inopportuno il pianto se quest’ultimo deriva da una sensazione di non valere; il messaggio sbagliato è: “piango, ho perso, sono arrabbiato, perché non valgo niente”. No! Se un bambino è triste perché ha perso, è giusto che si sfoghi con un semplice pianto. Il problema è tutto ciò che segue il pianto, come, ad esempio, se arriva il genitore e gli intima di non piangere mentre al bambino viene spontaneo piangere. I bambini, invece, devono esser accolti anche nelle occasioni di queste manifestazioni di emozioni. 67

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Page 1: FABIO BAGNI: “L’EMOZIONE NEL MINIBASKET” · Molti dei giochi che noi Istruttori proponiamo sono caratterizzati anche ... paese, perché non si parlano, non hanno il tempo per

FABIO BAGNI:

“L’EMOZIONE NEL MINIBASKET”

(CATEGORIA “PULCINI”)

Premessa

Per entrare immediatamente nel vivo dell’argomento ritengo doveroso, da parte di noi Istruttori,chiederci se abbiamo veramente la certezza di riuscire ad accogliere in palestra i nostri bambinicon le loro emozioni. La nostra tendenza è di ricondurre le emozioni, giustamente, in sensopositivo, soprattutto quando sono piccoli, come, ad esempio, l’euforia di entrare in palestra,l’emozione e la voglia di affrettarsi a raccogliere il pallone. L’emozione è anche vederli carichiprima della lezione, però esistono anche delle emozioni che emergono, senza che ce neaccorgiamo, dall’interno del nostro gioco, mentre i bambini stessi giocano. Vorrei a tal propositocitare un semplice esempio: nella lezione precedente, nel gioco “a spingersi”, in un momento delgioco stesso, il relatore ha chiesto ad un bambino se aveva paura ed il bambino gli ha risposto cheeffettivamente ha avuto paura. Certamente i bambini vanno accolti nelle varie aree, area affettiva,area emotiva, ma vanno anche accolti con le loro paure, nei loro momenti di rabbia. Nel giocare aprendersi, ad esempio, soprattutto quando i bambini sono piccoli, si presuppone che un bambinosia felice di prendere un altro, ma può esistere anche la paura di essere preso.La prima forma di gioco, il giocare a rubarsi il pallone, presuppone un contatto e quindi l’aver pauradi subire questo contatto con un altro bambino o vedersi rubare il pallone sono situazioni in cui unbambino può vivere l’insuccesso accompagnato da tristezza e da rabbia.Fattori del gioco come la difesa e la collaborazione di squadra nascono da emozioni e da un sensodi fiducia tra compagni. Molti dei giochi che noi Istruttori proponiamo sono caratterizzati anchedalle emozioni, da noi verbalizzate perché il bambino deve essere accolto in palestra offrendogli laconsapevolezza che la palestra è un luogo dove può sbagliare e dove ha il diritto di esseresoddisfatto di realizzare un canestro. Sbagliare, però, non deve esser sinonimo di paura, altrimentila conseguenza è che i bambini non vengono a giocare la partita forse perché temono che la loroprestazione possa risultare negativa, perché certi bambini sono passivi e non giocano mai arubarsi la palla, forse perché hanno paura del contatto o di sperimentare l’insuccesso.Personalmente, ad esempio, gradirei una frequente comunicazione tra i bambini, soprattuttoquando sono piccoli e quindi è opportuno dedicare del tempo a questo scopo, anche se puòcostituire un problema ritagliare i relativi spazi perché in palestra il tempo è ancor più tiranno.Quanto tempo dedichiamo ai nostri bambini? Sicuramente in misura insufficiente, perché è limitatoil tempo che i bambini hanno per entrare in palestra e raccontarci qualcosa, perché i genitori,spesso, lasciano il bambino tipo palla da bowling e la mamma con la stessa rapidità lo riconduce acasa lasciandogli insoddisfatto il desiderio di narrarci qualcosa.Mi rimbalzano nuovamente in mente i giochi proposti precedentemente da Marco Tamantini: sonopropedeutici ad altri giochi sotto pressione.Cito un esempio. Nelle partite di minibasket, basta che il primo bambino sbagli il primo tiro, poi ilsecondo e poi paradossalmente più è alto il bambino, più continua a sbagliare e serpeggia intribuna un malumore di sottofondo che produce sempre dei messaggi negativi che “passano”. Ilbambino li ascolta e commetterà ancor più errori e questo dipende dal suo stato emotivo che è incrisi. Come dire, i bambini sotto pressione non sanno giocare ed è giusto che sia così, cioè èimpossibile avere dei bambini capaci di gestire le emozioni. A mio avviso, a fronte di una sconfittaè giusto che i bambini piangano, perché è la giusta reazione. E’ inopportuno il pianto sequest’ultimo deriva da una sensazione di non valere; il messaggio sbagliato è: “piango, ho perso,sono arrabbiato, perché non valgo niente”. No!Se un bambino è triste perché ha perso, è giusto che si sfoghi con un semplice pianto. Il problemaè tutto ciò che segue il pianto, come, ad esempio, se arriva il genitore e gli intima di non piangerementre al bambino viene spontaneo piangere. I bambini, invece, devono esser accolti anche nelleoccasioni di queste manifestazioni di emozioni.

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PROPOSTE PRATICHE

“Felici senza palla”Suddividere il campo in: Metà campo “T” e metà campo “F”.

! Muoversi liberamente in una metà campo manifestando la propria felicità.! Al segnale “Cambio”, diventare tristi e trasferirsi nell’altra metà campo (tristezza è sinonimo

di lontananza; felicità è esser tutti vicini).! Regole: esser felici si deve correre vicino agli altri, ma senza toccarsi. Toccarsi comporta la

perdita di un punto e diventare arrabbiati.

Nella metà campo “T” essere triste significa essere arrabbiato, per cui ci si deve muovere con dei“passi pesanti”.Nell’altra metà campo, la “F”, essere felice significa “esser leggero” e quindi saltare.Quando si è tristi si devono mantenere i compagni distanti, lontani, quindi non esser vicini aicompagni. Nella metà campo dove sono felici, devono cercare un compagno ed imitare i grandi, cioè darsi il“cinque” e poi abbracciarsi; la regola è essere vicini, ma attenzione a non toccarsi. Dalla partedove sono tristi, dare sempre il “cinque” e una pacca sulle spalle, ma allontanarsi.

Variante: a coppie (a due a due vicini).

Suddivisione a terzetti, in una metà del campo.Muoversi liberamente per la metà del campo. Lo scopo è segnare. Quando l’Istruttore (!) chiamaun numero, chi viene chiamato sceglie un compagno e cominciano a muoversi correndo vicinimentre l’altro compagno, che “è antipatico”, deve correre lontano.Quando l’Istruttore (!) chiama un numero, praticamente chi viene chiamato deve scegliere ilcompagno con cui vuole correre assieme e da chi deve scappare.

Riflessioni

Abbiamo giocato con le emozioni e nel farle riconoscere con lo spazio e con il tempo (anche se informa non diretta), con le capacità senso-percettive, con gli schemi motori ed i bambini sonoriusciti a riconoscerle. “Se sono felice mi sento leggero, se sono triste mi sento pesante ecammino pesante”: Ritengo importante sottolineare un episodio: tre bambini hanno detto “siamo tutti e tre del 2003”.Questa è un segnale positivo; significa che i bambini si conoscono e posso assicurare che moltevolte i bambini in palestra non sanno nemmeno se il compagno che si trova di fianco è dello stessopaese, perché non si parlano, non hanno il tempo per il senso di identificazione. Il riconoscersi tuttie tre del 2003 conferisce un senso di sicurezza e forse se un bambino non fosse stato del 2003ma un po’ più grande, sarebbe stato investito del ruolo di leader.

Tutti con palla

! Palleggio libero per il campo. Muoversi in palleggio, palleggiare piano con tutte e

due le mani, poi forte, poi cercare di “calmare il palleggio” e poi di nuovo forte. ! “Far litigare i palloni” = Palleggiare come quando si è arrabbiati.

! Palleggiare con i pugni, “fare i dispetti al pallone”; c’è chi lo caccia, chi lo lancia

(ognuno esprime il proprio stato d’animo), qualcuno può anche non voler arrecare nessundispetto al pallone.

!Muoversi sempre in palleggio; far conoscere il proprio pallone ad un compagno.

! A coppie, uno di fronte all’altro, far girare il pallone attorno al corpo, alla testa, alle

gambe. I bambini giocano a raccontarsi ciò che a loro piace, tutte le notizie personali. Nelfrattempo devono spostarsi. Al segnale dell’Istruttore (!), passare la palla e cercare unaltro compagno. Scambiarsi il pallone prima di partire.Questo è un gioco che sicuramente ha un senso ad inizio anno, perché l’Istruttore haimpartito la disposizione di giocare e raccontare: mentre giocano, raccontano ciò che

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riguarda il più delle volte loro stessi, con frasi del tipo “chi sono“, “come mi chiamo”, “dadove vengo”, etc.

Questi giochi abituano a tenere la testa alta, sia pur senza enfatizzare alcun aspetto tecnico, peròil fatto che debbano presentarsi li spinge a doversi guardare negli occhi e quindi a muoversi con latesta alta.

!(L’Istruttore assegna un numero a tutti i bambini, da 1 a 8)

Muoversi liberamente in palleggio. L’Istruttore chiama un numero, chi viene chiamato tira acanestro e dopo che ha tirato deve correre a prendere i suoi compagni e gli altri devonoscappare con il pallone nell’altra metà del campo.

L’idea è palleggiare inserendo il palleggio da una situazione tranquilla ad una situazione in cui sideve evitare di essere preso. Ad un bambino ho chiesto perché non palleggiasse e lui ha risposto:“perché ho paura di perdere il pallone”. Questo non significa che la sua risposta è giusta, peròevidentemente la si può leggere in questo senso: “Io mi sento più sicuro in questo gioco se, vistoche non devo essere preso, stringo il pallone e scappo”. Il problema è sulla regola: non si può farecosì!

Disposizione come da Diagramma 1.

L’attaccante (1) deve, al via dell’Istruttore

(!), correre in palleggio e toccare il cono.

Appena ha toccato il cono, deve tornare

indietro, mentre X deve correre per cercare

di toccare (1). Se lo tocca, cambio fila.

Diagramma 1

Variante: togliere i coni. Invece di toccare il

cono e tornare indietro, l’attaccante avanza

fin dove vuole e poi torna indietro. Più

avanza e più si dimostra coraggioso. Totò

diceva: “Coraggio ce l’ho. E’ la paura che

mi frega!”

L’attaccante può scegliere di essere furbo,

oltre che quanto essere coraggioso.

Certamente più si avvicina più rischia di

esser preso. (Diagramma 2).Diagramma 2

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Considerazioni.

Questo gioco induce ad un’importante riflessione: spesso ai bambini s’impartisce l’indicazione diandare a canestro velocemente ed invece essi si muovono più lentamente, perché saleprepotentemente alla ribalta la tensione della sfida. Il gioco precedente era eccitante in quantopermeato dall’emozione dell’essere preso; ora, invece, è protagonista il palleggiare “in funzione di”e più lo ripetono e più aumenta il livello del rischio.La fiducia deve essere conquistata. Così come un bambino, che si è posto l’interrogativo di tornaresubito indietro, va accolto, in quanto deve rimanere nel gioco.

Domanda: <<Si può stabilire un minimo di distanza di percorrenza?>>.Risposta: <<Si può anche fissarla, è normale che poi il bambino scopra un escamotage. E’importante, nello spiegargli il gioco, di fargli capire che è stimolante avanzare, l’andare oltre, cosìnon gli si crea una paura. Stimolarlo con frasi del tipo “Più gli vai vicino, più dimostri di essercoraggioso”. Si possono anche inserire una serie di step: se sono bravi, si può rendere più“rischioso” il gioco. Si possono inserire, se sono piccoli, 3 o 4 coni: se si tocca il primo, si tornaindietro e si guadagna un punto, se si tocca il successivo, si conquista due punti e così diseguito>>. In questo modo si sposta l’attenzione sul gratificante. L’aspetto importante è che ilbambino si concentra più sul “prendo 3 punti” che sul “lui mi tocca”. L’importante è spostarel’attenzione sulle loro motivazioni.Se il cacciatore è veloce e chi attacca è lento e quest’ultimo propende per la scelta di tornareindietro, significa che è un bambino intelligente. Se gli si chiede, quando sono più grandi, dileggere l’avversario e la risposta è stralunata, significa che da bambino non gli è stato maiproposto alcun gioco che lo stimolasse a “leggere” le situazioni>>.

“Fidarsi oppure no del compagno”

Attraverso questo gioco si può verificare se

ci si può fidare del proprio compagno.

Disposizione come da Diagramma 3. (1)

avanza in palleggio e può scegliere di non

fidarsi del suo compagno (X) e quindi

tornare indietro e tirare a canestro, oppure

scegliere di fidarsi del suo compagno e

passargli il pallone. (X), se si fida del

compagno, gliela ripassa affinchè vada a

canestro. (X), è vero che riceve la fiducia,

però è anche un po’ furbetto. Se si fida, gli

passa la palla, se non si fida, quando ha il

pallone, può scegliere di tirargliela o di

rubargliela e quindi di andare al tiro. Diagramma 3

Considerazioni.

Il fidarsi è alla base del passaggio. Si possono proporre gare di fiducia: fidarsi di passare il palloneed il compagno come si comporta? Lo ripassa? Questa è sicuramente un’incognita! Spesso a questa età è difficile riscontrare la “benevolenza” in quanto trattasi della fase piùegocentrica che esista.Si può anche, ma questa è una ipotetica progressione, lavorando sul passaggio, considerare che(1) scelga se ricevere o meno il pallone. Si passa pertanto da un aspetto emotivo ad un aspetto discelta nel momento in cui s’inserisce la sfida: “guadagna il punto chi segna prima”. Sicuramentecomincia ad manifestarsi una collaborazione più intensa a livello di squadra.La scelta è mirata in funzione dei giocatori. Si passa da un aspetto emotivo, in una progressione,ad una situazione di scelta. Se (X) può scegliere se chiamare o meno il pallone, sicuramente

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potrebbe fare la scelta. E’ più facile cercare il canestro. In questo contesto non si può nonriconoscere che i bambini giocano con questi tipi di emozione, come ad esempio nella gara di tiro,ove c’è sempre il bambino che si fa da parte per far passare davanti il compagno che si trovadietro.

Disposizione su due file come da

Diagramma 4.

(2) esegue slalom in palleggio tra i

coni e deve toccare (1), che cerca

nel frattempo di realizzare più

canestri possibili. (1) smette di tirare

a canestro quando arriva (2).

Variante: se (1) viene toccato,

cambio ruolo.

Diagramma 4

A coppie, nel cerchio di centro campo, schiena

contro schiena, passaggi consegnati con

torsione del busto e chiedere al compagno

cosa che gli piace e lo diverte (Diagramma 5).

Certi bambini sono espansivi e raccontano

tutto, altri che sono più introversi e non

raccontano niente. I bambini vanno accolti con

il loro carattere e con i loro tempi.

Al segnale dell’Istruttore (!), chi ha il pallone

attacca e l’altro difende.

Certamente non si “accoglie” il bambino se è

sufficiente che passi la palla, in questo modo

si accoglie soltanto il gioco, per cui si deve

spostare l’attenzione sulla coerenza.

Diagramma 5

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Variante: aggiungere una fila di bambini,

seduti a terra, ad un angolo di fondo campo,

come da Diagramma 6. A l segnale

dell’Istruttore (!), chi ha il pallone attacca

passandolo allo stesso Istruttore (!) e

ricevendolo di nuovo; chi non ha il pallone

corre a liberare il primo della fila all’angolo di

fondo campo, il quale si alza da terra e corre

a difendere. In quest’ultimo gioco il fatto di

andare e far alzare un compagno ha una

valenza di rinforzo.

Diagramma 6

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