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FAMIGLIE CATALANE E SPAGNOLE IN SARDEGNA SERGIO SERRA Il 14 giugno 1323 la flotta catalano-aragonese approdò in Sardegna per prenderne possesso. L’isola era stata concessa dal papa Bonifacio VIII al re Giacomo II d’Aragona. Questi dovette affrontare una guerra contro la repubblica di Pisa, che si era impadronita di gran parte del territorio. Il principe Alfonso d’Aragona, che guidava la spedizione pose l’assedio a Cagliari e, in contrapposizione alla città fortificata, il “Castello di Cagliari”, edificò una città, denominata Barceloneta, dove si accamparono le sue truppe e che raggiunse i 3.000 abitanti. Fu il primo insediamento catalano in Sardegna. Dopo un lungo assedio i Pisani si arresero e dovettero lasciare il Castello di Cagliari dove si trasferirono i Catalani con le loro famiglie. Cagliari divenne una città catalana. Nel nord della Sardegna i Catalani s’impossessarono di Alghero, espulsero i Sardi che l’abitavano e anch’essa divenne una città catalana. Per stimolare l’immigrazione in Sardegna furono concesse sia franchigie sia salvacondotti a coloro che avevano commesso dei reati. Si promosse anche la costituzione di colonie di Catalani di religione ebraica esentandoli dalle imposizioni doganali per il commercio. Essi erano mercanti, artigiani, medici, alcuni ottennero alti incarichi e divennero molto ricchi. Si stabilirono nelle città di Cagliari, Sassari, Oristano e Alghero dove avevano un quartiere a loro riservato denominato giuderia. Nella prima metà del secolo XV, quando Cagliari comprendeva circa 10.000 abitanti, la giuderia raggiunse circa 1.000 unità, ad Alghero 800, a Sassari 300, ancora di meno ad Oristano dove abitavano la strada denominata sa ruga de sos Judeos. Contribuirono al finanziamento della spedizione catalana e alle guerre per la conquista della Sardegna, fecero prestiti all’erario, finanziarono la costruzione di opere difensive come la Torre degli Ebrei ad Alghero. Gli ebrei rimasero in Sardegna fino al 1492, quando furono espulsi da tutti i territori spagnoli. Alcuni, per rimanere, si convertirono al cristianesimo e diversi, in seguito, ottennero la nobiltà come i Comprat, i Bonfill, i Carcasona, i quali ultimi raggiunsero alte cariche ecclesiastiche. Rimangono ancora alcuni cognomi di origine ebraica, che subirono delle trasformazioni, come Nathan (divenuti Naitana), Manahem (Manai), Farsìs (Farci).

Famiglie Catalane e Spagnole in Sardegna Nel XIV-XVIII Sec

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Page 1: Famiglie Catalane e Spagnole in Sardegna Nel XIV-XVIII Sec

FAMIGLIE CATALANE E SPAGNOLE IN SARDEGNA

SERGIO SERRA

Il 14 giugno 1323 la flotta catalano-aragonese approdò in Sardegna per prenderne possesso. L’isola era stata concessa dal papa Bonifacio VIII al re Giacomo II d’Aragona. Questi dovette affrontare una guerra contro la repubblica di Pisa, che si era impadronita di gran parte del territorio. Il principe Alfonso d’Aragona, che guidava la spedizione pose l’assedio a Cagliari e, in contrapposizione alla città fortificata, il “Castello di Cagliari”, edificò una città, denominata Barceloneta, dove si accamparono le sue truppe e che raggiunse i 3.000 abitanti. Fu il primo insediamento catalano in Sardegna. Dopo un lungo assedio i Pisani si arresero e dovettero lasciare il Castello di Cagliari dove si trasferirono i Catalani con le loro famiglie. Cagliari divenne una città catalana. Nel nord della Sardegna i Catalani s’impossessarono di Alghero, espulsero i Sardi che l’abitavano e anch’essa divenne una città catalana.

Per stimolare l’immigrazione in Sardegna furono concesse sia franchigie sia salvacondotti a coloro che avevano commesso dei reati. Si promosse anche la costituzione di colonie di Catalani di religione ebraica esentandoli dalle imposizioni doganali per il commercio. Essi erano mercanti, artigiani, medici, alcuni ottennero alti incarichi e divennero molto ricchi. Si stabilirono nelle città di Cagliari, Sassari, Oristano e Alghero dove avevano un quartiere a loro riservato denominato giuderia.

Nella prima metà del secolo XV, quando Cagliari comprendeva circa 10.000 abitanti, la giuderia raggiunse circa 1.000 unità, ad Alghero 800, a Sassari 300, ancora di meno ad Oristano dove abitavano la strada denominata sa ruga de sos Judeos. Contribuirono al finanziamento della spedizione catalana e alle guerre per la conquista della Sardegna, fecero prestiti all’erario, finanziarono la costruzione di opere difensive come la Torre degli Ebrei ad Alghero.

Gli ebrei rimasero in Sardegna fino al 1492, quando furono espulsi da tutti i territori spagnoli. Alcuni, per rimanere, si convertirono al cristianesimo e diversi, in seguito, ottennero la nobiltà come i Comprat, i Bonfill, i Carcasona, i quali ultimi raggiunsero alte cariche ecclesiastiche.

Rimangono ancora alcuni cognomi di origine ebraica, che subirono delle trasformazioni, come Nathan (divenuti Naitana), Manahem (Manai), Farsìs (Farci).

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Giacomo Amat, viceré di Sardegna nel 1507

Nel secolo XIV Cagliari ed Alghero, ben fortificate, furono i punti di forza per il possesso della Sardegna. La completa sottomissione dell’isola fu lunga e difficile, per circa un secolo i Catalani dovettero combattere contro i Sardi del regno d’Arborea e i loro alleati genovesi, in particolare contro i Doria. Nell’opera di conquista i re d’Aragona furono aiutati dai nobili del loro regno, che comprendeva Aragonesi, Catalani, Valenzani e Maiorchini, che furono compensati con la concessione di feudi. Alcuni di essi ebbero vasti feudi, come i Carròz, gli Alagò, i Cervellò, i Centelles, gli Erill, i Castellvì, altri anche un solo paese, o “villa”. A metà del Trecento vi erano una settantina di feudi, alla fine del sistema feudale, nella prima metà del secolo XIX, erano più di cento.

Si può contare che circa 250 famiglie nobili catalane si stabilirono in Sardegna. Tra le piu importanti ricordiamo le famiglie Alagò, Aragall, Arquer, Aymerich, Brondo, Cardona, Carillo, Dedoni, Ferraria, Flors, Gualbes, Masones, Montanyans, Montcada, Nin, Olives, Otger, Ram, Rosellò, Sisternes, Torrella, Zapata, Zatrillas. Nelle chiese e negli antichi palazzi possiamo ancora vederne gli stemmi nobiliari.

I Catalani ricoprivano le più importanti cariche civili, ecclesiastiche e militari a cominciare da quella di viceré del Regno di Sardegna che spesso era riservata a famiglie imparentate con la famiglia reale.Sarebbe troppo lungo soffermarci sulle singole famiglie e dipanarne i legami genealogici: ognuna di esse merita uno studio monografico e rinvio a quanto ho pubblicato. Tra le famiglie di maggior prestigio spiccano quella degli Alagò, marchesi di Villasor, e dei Castellvì marchesi di Laconi, che si disputarono a lungo il privilegio di essere a capo del “braccio” del parlamento sardo che riuniva la nobiltà. Agli altri “bracci” appartenevano l’alto clero e i rappresentanti delle città.

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Alcune famiglie inizialmente appartenevano al ceto mercantile, poi investirono i loro capitali nell’acquisto di feudi, ottennero la nobiltà e col passare del tempo titoli nobiliari sempre più elevati. Ricordiamo, in tal senso i Brondo, mercanti di origine maiorchina, che nel 1594 acquistarono i villaggi di Villacidro e di Serramanna e quindi nel 1616 ottennero il titolo di conte di Serramanna e nel 1629 quello di marchese di Villacidro. Analogamente gli Aymerich, che esercitavano l’attività commerciale, nel 1486 acquistarono il villaggio di Mara e nel 1637 ottennero il titolo di conte. S’imparentarono con i Castellvì ed ereditarono i titoli di marchese di Laconi e di Grande di Spagna.

Tra i personaggi di spicco delle famiglie nobili catalane possiamo annoverare Salvatore Aymerich che, nel 1535, insieme ad altri nobili, s’imbarcò nella flotta radunata a Cagliari dall’imperatore Carlo V contro Tunisi e fu nominato Governatore del forte della Goletta, il vescovo Nicolò Canyelles che intorno al 1566 introdusse la

Portale della villa Zapata con lo stemma di famiglia

stampa in Sardegna, Sigismondo Arquer, intellettuale e autore di una descrizione della Sardegna che, accusato d’eresia, finì sul rogo nel 1571, il medico Giovanni Tomaso Porcell che studiò e contrastò l’epidemia di peste che si era diffusa a Saragozza nel 1564, i giuristi Giacomo Olives e Giovanni Dexart, l’umanista Monserrat Rossellò che, agli inizi del Seicento, raccolse molti preziosi volumi attualmente conservati nella biblioteca universitaria di Cagliari, l’arcivescovo di Cagliari Ambrogio Machin, Gran Maestro dell’Ordine Mercedario.

Alcune famiglie nobili di origine catalana sono ancora presenti in Sardegna come Amat, Aymerich, Canelles, Roger, Roich, (in catalano Roig), Sanjust, Santa Cruz, Simon, Vacquer. Naturalmente, oltre le famiglie nobili, specie nelle città, si stabilirono famiglie della borghesia, funzionari, notai, medici, mercanti, che avevano nelle loro mani i traffici commerciali, in particolare del grano, del sale, del corallo, e artigiani riuniti in corporazioni di arti e mestieri denominate confrarias. La cultura catalana permeò la Sardegna in particolare per quanto riguarda la lingua, le manifestazioni religiose, come quelle della Settimana Santa, la pittura, l’architettura civile e religiosa, la legislazione, la gastronomia. Ancora oggi permangono testimonianze notevoli di questa eredità catalana e si possono ammirare numerose chiese e abitazioni di stile gotico-catalano.

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A un periodo di contrasto e di diffidenza tra i conquistatori catalani ed i Sardi successe, a partire dalla fine del secolo XV, un periodo di collaborazione e di compenetrazione. Le famiglie catalane, a cominciare da quelle nobili, si imparentarono con le famiglie sarde e si andò formando una società sardo-catalana.

I Catalani di Alghero furono decimati dalle pestilenze che imperversarono nei secoli XVI e XVII e la città fu ripopolata dai Sardi che ne appresero la lingua.

Ancora oggi ad Alghero si parla catalano, permangono usi e tradizioni ed è assai vivo il legame con la Catalogna.

Alla fine del XV secolo l’unificazione dei regni d’Aragona e di Castiglia attraverso il matrimonio di Fernando e Isabella non produsse sostanziali modifiche in Sardegna e si continuò a parlare catalano per oltre un secolo. Il processo d’ispanizzazione cominciò nel Seicento, la lingua castigliana sostituì gradualmente il catalano, furono inviati nell’isola viceré, vescovi,

Diploma di cavalierato concesso a Baldassarre Ripoll nel 1607

funzionari spagnoli. Ciò produsse un contrasto con la nobiltà sardo-catalana che pretendeva che le più alte cariche fossero riservate ai naturales, cioè a coloro che, sia pure di origine catalana, erano nati in Sardegna. Il contrasto raggiunse il suo apice nella seconda metà del secolo: nel giugno del 1668 fu assassinato il marchese Agostino di Castellvì, capo della nobiltà locale e, un mese dopo, la sua morte fu vendicata con l’uccisione del viceré Manuel de los Cobos, marchese di Camarasa.

I grandi feudi passarono in mano a importanti famiglie come Borgia, Bou Crespi, Pimentel, Rodriguez Fernandez, Osorio, Silva, che non risiedevano in Sardegna e incaricavano della loro gestione degli amministratori. Nella seconda metà del Settecento i feudi di donna Maria Josefa Pimentel, principessa di Anglona, si estendevano su circa un quarto dell’isola.

Tra le famiglie nobili provenienti da varie regioni della Spagna ricordiamo de Cespedes, del Sorribo, Moros y Molinos, Pilares, Ravaneda, Tizon. Alcune, come Diaz, Gutierrez, Martinez, Quesada, Rodriguez, Salazar, Villa Santa, sono ancora presenti in Sardegna. Tra di esse si distinse la famiglia Quesada, residente a Sassari, che si divise in vari rami che ottennero i titoli di marchese di San Sebastiano, marchese di San Saturnino, conte di San Pietro, di cui restano ancora dei bei palazzi.

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Giuseppe Zatrillas, conte di Villasalto,scrittore sec. XVII

Nell’ultimo quarto del secolo XVI le coste sarde furono oggetto delle scorrerie dei pirati arabi che depredavano i villaggi e riducevano in schiavitù gli abitanti. Per contrastare tali azioni si edificarono lungo tutto il perimetro dell’isola un centinaio di torri, solitamente in vista l’una con l’altra, al fine di avvistare le navi nemiche e contrastare lo sbarco degli assalitori. Si costituirono anche dei corpi di soldati e cavalieri Sardi, denominati miliziani, agli ordini di nobili, o aspiranti tali, che ne sostenevano le spese. L’insicurezza dei mari produsse la diminuzione degli scambi commerciali e molti ricchi mercanti e armatori preferirono investire

Giovanni Maria Canelles, sindaco di Cagliari nel 1713

i loro capitali nell’acquisto di feudi. Mentre nel periodo catalano la Sardegna era un anello centrale nella rotta delle isole che allacciava le Baleari e la Sicilia all’oriente, nel periodo spagnolo, in seguito alla scoperta dell’America, si trovò in una posizione emarginata.

Come si è detto la cultura e la lingua spagnola si sostituirono a quella catalana.

In molti centri dell’isola ancora oggi si possono leggere numerose lapidi e iscrizioni in spagnolo. Si istituirono le Università di Cagliari e di Sassari e i Sardi non furono più costretti a sostenere notevoli spese per frequentare le università di Salamanca, di Pisa, di Bologna. Furono stampate in Sardegna molte centinaia di opere in spagnolo di carattere giuridico, religioso, letterario. Tra gli autori più noti ricordiamo l’algherese Antonio de lo Frasso, autore di un poema sulla battaglia di Lepanto pubblicato il 30 novembre del 1571, dopo meno di due mesi dallo scontro navale del 7 ottobre 1571 in cui la flotta cristiana sconfisse

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quella turca. Egli è pure autore del poema Los diez libros de fortuna de amor, pubblicato nel 1573. Ricordiamo pure Jacinto Arnal de Bolea, autore del romanzo El forastero, pubblicato nel 1636, Giuseppe Delitala Castelvì autore del poema Cima del monte Parnaso Español, pubblicato nel 1672, e Giuseppe Zatrillas, marchese di Villaclara, autore del romanzo Engaños y desengaños del profano amor, pubblicato nel 1687, e di un elogio in rima a Suor Ines de la Cruz pubblicato nel 1696.

Carlo Sanjust, conte di S. Lorenzosec. XIX

In architettura alla semplicità delle linee dello stile gotico-catalano subentrò lo sfarzo del barocco spagnolo, di cui troviamo un esempio significativo a Sassari nella facciata del duomo di S. Nicola.

Agli inizi del Settecento il regno di Sardegna fu coinvolto nella guerra di successione spagnola. Parte della nobiltà, in particolare quella di tradizione spagnola si schierò a fianco di Filippo V, mentre il nuovo ceto nobiliare sardo, propenso a un cambiamento, parteggiò per l’arciduca Carlo d’Austria. Dopo alterne vicende nel 1720, con la pace dell’Aia, il regno di Sardegna fu assegnato a Vittorio Amedeo II di Savoia il quale s’impegnò a non mutarne lo status quo, in particolare per quanto riguardava i diritti feudali delle famiglie spagnole. Dopo la fine del regime feudale molti titoli nobiliari legati ai feudi Sardi furono ereditati dalle famiglie residenti in Spagna, che ancora oggi ne fanno uso, come quello di principe d’Anglona, quello di duca di Mandas, quelli di marchese d’Albis, di Bonanaro, di Cea, di Conquistas, di Nules, di Orani, di Siete Fuentes, di Soleminis, di Torralba, di Villacidro, di Villasor, quelli di conte di Osilo, di Serramanna.

Nel Settecento in Sardegna si continuò a parlare lo spagnolo, le disposizioni dei viceré sabaudi erano scritte in italiano e in castigliano. Solo nell’ultimo quarto del secolo fu introdotto lo studio dell’italiano ma ancora ai primi dell’Ottocento troviamo atti notarili e parrocchiali scritti in spagnolo.

I legami tra la Sardegna e la penisola iberica durarono quattro secoli e hanno lasciato tracce profonde. Nella lingua sarda troviamo un gran numero di parole catalane e castigliane, e permangono cerimonie religiose di derivazione spagnola; ancora oggi a Sassari si svolge la processione votiva dei Candelieri, che risale alla metà del Seicento, alla quale partecipano nei loro abiti di foggia spagnola i componenti le antiche corporazioni di arti e mestieri, chiamate gremi.

Nonostante le lotte e i contrasti del passato si può concludere che i movimenti migratori portano a un arricchimento culturale e facilitano la reciproca conoscenza tra i popoli.

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Albero genealogico della famiglia Canelles