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incontri in Libreria, n. 10 - aprile 2011 Ufficio comunicazione istituzionale Italiani che hanno fatto l’Italia: Enrico De Nicola

fascicolo de nicola

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Ufficio comunicazione istituzionale

Italianiche�hanno�fatto�l’Italia:

Enrico�De�Nicola

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A cura dell’Ufficio comunicazione istituzionale del Senato della Repubblica.

© 2011 Senato della RepubblicaFinito di stampare nel mese di aprile 2011 presso il Centro riproduzione documenti.

La presente pubblicazione è edita dal Senato della Repubblica. Non èdestinata alla vendita ed è utilizzata solo per scopi di comunicazioneistituzionale.

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Nell'ambito delle manifestazioni per i 150 annidell'unità d'Italia l’Ufficio comunicazione istituzio-nale del Senato organizza presso la Libreria in viadella Maddalena 27 un programma di incontri daltitolo “Italiani che hanno fatto l'Italia".

L'iniziativa ha l'obiettivo di far conoscere allenuove generazioni importanti personalità del nostroPaese protagoniste dei lavori dell'Aula di PalazzoMadama.

Le personalità a cui sono dedicati gli incontrisono state scelte tra quelle che hanno ricoperto ilruolo di senatori a vita o di Presidenti del Senato efanno riferimento oltre che al mondo della politica,anche a quelli della cultura, dello spettacolo e delleattività produttive.

Agli incontri partecipano le scuole secondarie diII grado che visitano il Senato.

L’appuntamento del mese di aprile 2011, a 60anni dall’elezione alla Presidenza del Senato dellaRepubblica, è dedicato a Enrico De Nicola.

Per ricordarne la figura questa pubblicazionecontiene il messaggio del Capo provvisorio dello

Italiani�che�hanno�fatto�l’Italia

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Stato letto durante i lavori dell’Assemblea costituen-te (15 luglio 1946), il discorso di insediamento a Pre-sidente del Senato del 5 maggio 1951 e un interven-to durante i lavori dell’Assemblea di Palazzo Mada-ma sul disegno di legge Provvedimenti a favore della

città di Napoli (3 marzo 1953). Il fascicolo si completa con la prefazione di Gio-

vanni Spadolini al volume “Enrico De Nicola,discorsi parlamentari” edito dal Senato della Repub-blica.

Sono anche riportate la prima pagina dei quoti-diani Il Giornale d’Italia del 29 giugno 1946 e La

Stampa del 2 ottobre 1959.

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Enrico�De�Nicola

Enrico De Nicola nacque a Napoli il 9 novem-bre 1877.Laureatosi in giurisprudenza, divenne ben pre-sto uno dei maggiori penalisti napoletani.Nel 1907 fu eletto nel consiglio comunale diNapoli. Fu poi deputato dalla XXIII alla XXVI legisla-tura (dal 1909 al 1924)Fu Sottosegretario di Stato per le Colonie nelMinistero Giolitti (27 novembre 1913 - 19marzo 1914) e poi Sottosegretario di Stato peril Tesoro nel Ministero Orlando (19 gennaio

1919 - 23 giugno 1919. Fu eletto Presidente della Camera dei deputati il 26 giugno 1920(XXV legislatura) e fu confermato nella stessa carica anche nellalegislatura successiva. Ripresentatosi, dopo molte esitazioni, alle elezioni per la XXVII legi-slatura, fu eletto deputato il 6 aprile 1924, ma non prestò giuramen-to.Nella XXVIII legislatura fu nominato senatore (2 marzo 1929). Si ritirò a vita privata fino al 1944.Fece parte della Consulta Nazionale. Il 28 giugno 1946 fu eletto Capo provvisorio dello Stato. Dal 1° gennaio al 12 maggio 1948 fu il primo Presidente dellaRepubblica italiana. Il 1° giugno 1948 divenne senatore a vita. Fu eletto Presidente del Senato il 28 aprile 1951. Il 24 giugno 1952 l'Assemblea del Senato accolse le sue dimissioni. Il 23 gennaio 1956 venne nominato Presidente della Corte costituzio-nale. Dimessosi dalla carica riassunse il 26 marzo 1957 le funzioni disenatore.Morì nella sua casa di Torre del Greco il 1° ottobre 1959.

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Messaggio�delCapo�provvisorio�delloStato.

PRESIDENTE. Do lettura delmessaggio che il Capo provvi-sorio della Repubblica italianarivolge alla Nazione: (Si leva in piedi - Si alzanopure i Ministri, i Deputati e ilpubblico nelle tribune. Gridaripetute di: Viva la Repubblica!- Vivissimi, prolungati, reitera-ti applausi). “Giuro davanti al popolo italia-no, per mezzo della AssembleaCostituente, che ne è la direttae legittima rappresentanza, dicompiere la mia breve, maintensa missione di Capo prov-visorio dello Stato inspirando-mi ad un solo ideale: di servirecon fedeltà e con lealtà il mioPaese. Per l'Italia si inizia un nuovo

periodo storico di decisivaimportanza. All'opera immanedi ricostruzione politica esociale dovranno concorrere,con spirito di disciplina e diabnegazione, tutte le energievive della Nazione, non esclusicoloro i quali si siano purifica-ti da fatali errori e da antichecolpe. Dobbiamo avere la coscienzadell'unica forza di cui disponia-mo: della nostra infrangibileunione. Con essa potremosuperare le gigantesche diffi-coltà che s'ergono dinanzi anoi; senza di essa precipiteremonell'abisso per non risollevarcimai più. I partiti - che sono lanecessaria condizione di vitadei governi parlamentari -dovranno procedere, nelle lotteper il fine comune del pubblicobene, secondo il monito di ungrande stratega: Marciare divi-si per combattere uniti.

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La grandezza morale di unpopolo si misura dal coraggiocon cui esso subisce le avversi-tà della sorte, sopporta le sven-ture, affronta i pericoli, trasfor-ma gli ostacoli in alimento dipropositi e di azione, va incon-tro al suo incerto avvenire. Lanostra volontà gareggerà con lanostra fede. E l'Italia - rigene-rata dai dolori e fortificata daisacrifici - riprenderà il suocammino di ordinato progressonel mondo, perché il suo genioè immortale. Ogni umiliazioneinflitta al suo onore, alla suaindipendenza, alla sua unitàprovocherebbe non il crollo diuna Nazione, ma il tramonto diuna civiltà: se ne ricordinoColoro che sono oggi gli arbitridei suoi destini.Se è vero che il popolo italianopartecipò a una guerra, che -come gli Alleati più volte rico-nobbero, nel periodo più acutoe più amaro delle ostilità - glifu imposta contro i suoi senti-menti, le sue aspirazioni e isuoi interessi, non è men veroche esso diede un contributoefficace alla vittoria definitiva,sia con generose iniziative, siacon tutti i mezzi che gli furonorichiesti, meritando il solennericonoscimento - da chi avevail diritto e l'autorità di tributar-

lo - dei preziosi servigi resicontinuamente e con fermezzaalla causa comune, nelle forzearmate - in aria, sui mari, interra e dietro le linee nemiche. La vera pace - disse un saggio -è quella delle anime. Non sicostruisce un nuovo ordina-mento internazionale, saldo esicuro, sulle ingiustizie che nonsi dimenticano e sui rancori chene sono l'inevitabile retaggio. La Costituzione della Repubbli-ca italiana che mi auguro siaapprovata dall'Assemblea, colpiù largo suffragio, entro il ter-mine ordinario preveduto dallalegge - sarà certamente degnadelle nostre gloriose tradizionigiuridiche, assicurerà alle gene-razioni future un regime disana e forte democrazia, nelquale i diritti dei cittadini e ipoteri dello Stato sieno egual-mente garantiti, trarrà dal pas-sato salutari insegnamenti,consacrerà per i rapporti eco-nomico-sociali i principi fon-damentali, che la legislazioneordinaria - attribuendo al lavo-ro il posto che gli spetta nellaproduzione e nella distribuzio-ne della ricchezza nazionale -dovrà in seguito svolgere edisciplinare. Accingiamoci; adunque, allanostra opera senza temerarie

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esaltazioni e senza sterili scora-menti, col grido che erompe dainostri cuori pervasi dalla tri-stezza dell'ora ma ardenti sem-pre di speranza e di amore perla Patria: Che Iddio acceleri eprotegga la resurrezione d'lta-lia!".

Roma, 15 luglio 1946.ENRICO DE NICOLA.

(L'Assemblea saluta la fine delmessaggio con vivissimi, pro-lungati, ripetuti applausi).

I pagina del quotidiano Il nuovo Giornale d’Italia

del 29 giugno 1946.

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Insediamento�del�Presidente.

PRESIDENTE. (Si leva in piedi.Segni di vivissima attenzione).Onorevoli Colleghi, l'onore chemi avete conferito è abbrunatoper la fine del primo Presidentedel Senato della Repubblica,che io non ho la pretesa disostituire ma al quale ho l'or-goglio di succedere. Mi sareisottratto ad un compito supe-riore alle mie modeste energiese il grande Scomparso, con lasua vita operosa, non mi aves-se ammonito, anche di là dallatomba, che in talune congiun-ture rinunziare — per assapora-re le gioie del beatus ille quiprocul negotiis — significa

disertare.Io non so assumere di fronte aVoi un impegno più solenne epiù sacro di questo: che duran-te l'esercizio delle mie arduefunzioni mi inspirerò in ogniistante agli insegnamenti cheerano dettati da Chi, con altez-za e con purezza di intenti,obbediva a una severa discipli-na intellettuale e morale.Oggi è troppo tardi perché unacommemorazione possa averequel carattere di inattesa,immediata, improvvisata rievo-cazione delle doti eccezionalidella mente ricca di pensieri edell'animo organicamente lega-to alla bontà di Colui che ci halasciato in un dolore che nontrova conforto e in uno smarri-

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mento spirituale che non è age-vole vincere —, ed è troppo pre-sto perché una commemorazio-ne possa avere la interezza diuna degna biografia e la sereni-tà di un complesso giudizio. Manel riprendere le sedute dopo ilnostro lutto — mentre ripassanei nostri cuori un'onda di tri-stezza — possiamo ricordare gliomaggi che, associando all'am-mirazione la riconoscenza,sono stati tributati alla memo-ria dell'insigne uomo politicoche seppe meritare le lodi efuggirle.Nei pochi giorni che sono tra-scorsi da quello in cui fummocolpiti dalla ferale notizia, sisono levate da ogni parte vocicommosse per scolpire i segnipiù notevoli della personalità diIvanoe Bonomi : la vita illibata,avida soltanto di modestia e diumiltà —, la povertà leggenda-ria —, l'ardente passione per laverità, che Egli onorò pratican-dola —, l'invitta costanza nelfare il bene non per mostrare difarlo ma perché gli sarebbestato impossibile fare diversa-mente —, la ricerca appassiona-ta degli studii, che Egli appro-fondì con diligenza e raccolsecon coscienza —, il pacato equi-librio nelle polemiche che nonaccendevano ma scioglievano i

rancori—, la cordialità semplicee schietta, per cui era difficileconoscerlo e non amarlo —,l'eloquenza, come la sua paro-la, perché leggerlo era quasiascoltarlo: limpida, precisa,senza opulenze verbali, senzaarabeschi rettorici, senza quellesuperfluità che un sommo lette-rato della mia città definiva gliornamenti e i ricami dello stile—, un vigore logico, una criticapenetrante, una inimitabilefinezza di analisi, che rivelava-no il pregio precipuo dell'ora-tore e dello scrittore: la probità—, la luminosa carriera politica,che culminò nella direzioneprima di importanti Ministeri,poi del Governo, infine di que-st'Assemblea, nella quale elevòla carica al più alto livello didignità —, spettatore, mai atto-re, avrebbe detto un argutoparlamentare, nella rincorsa alpotere —, i benefìcii cospicuiche con la sua opera saggia esilenziosa assicurò allo Statoperché fa molto chi fa bene ciòche fa —, l'altezza dei fini chediede sempre particolare valorealle sue lotte -, l'amore filialeverso la Nazione, che Egli servìin tutte le trincee, civili e mili-tari —, l'indomita energia cheEgli consacrò alla causa dellalibertà e recentemente alla

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rinascita democratica del Paese—, gli ostacoli e i sagrifizii del-l'ultimo ventennio, che diven-tarono alimento alla sua fede —, le amarezze e i disinganni, chenon valsero mai a inasprire lasua parola —, la serenità stella-re della vita e la serenità stoicadella morte.Ma Egli non è morto nei nostricuori e non morrà nel nostroricordo, ci offrirà in ogni occa-sione il solo consiglio vera-mente efficace: l'esempio, gui-derà sempre i nostri passi, ciadditerà i nostri doveri in que-sta ora buja e perigliosa dellastoria, ci ordinerà di fare olo-causto, quando occorra, deinostri più aspri contrasti sul-l'altare della Patria, ci trasmet-terà ammaestramenti utili efecondi per i lavori della nostraAssemblea.Il Senato compie ora un trien-nio di vita nella sua «primacomposizione» —, per usare unalocuzione che attingo da unadisposizione transitoria dellaCostituzione e per non ripeterela parola classica — «legislatu-ra» — che l'Assemblea Costi-tuente per ragioni tecniche nonvolle espressamente riprodurree che dovrà essere però sosti-tuita, almeno nella prassi parla-mentare, da una formula che

indichi l'iter delle due Camerefra una composizione e l'altra.Siamo in grado di dare, adun-que, un giudizio obiettivo deiprimi esperimenti pratici di unadelle più importanti innovazio-ni costituzionali.Mantenuto fermo il sistemabicamerale, perché la duplicitàdei Corpi deliberanti rappresen-ta una garanzia di equilibrio, dimoderazione e di freno nelregime parlamentare — «accan-to alla molla che spinge il pen-dolo che regola e rende il motouniforme», come fu detto auto-revolmente allorché fu intro-dotto nello Statuto Albertino —, l'adozione della nuova formadi composizione — l'elettiva —ha realizzato nel 1948, nellaricorrenza di un secolo, il votodel conte di Cavour. Il Senatoha avuto così con la Camera deiDeputati comuni le origini e,per indefettibile conseguenza,pari i diritti sia nella funzionelegislativa, che prima era ridot-ta (per la precedenza riservataall'unica Assemblea elettiva inuna parte importante della legi-slazione), sia nella funzionepolitica, che prima era quasiinesistente (per la inefficaciacostituzionale dei voti delSenato e per la scarsa rappre-sentanza dei senatori nel

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Governo).Ma appunto per ciò con lainnovazione del 1948 si affron-tò un duplice pericolo : che iconflitti fra le deliberazionidelle due Camere diventasserogravi e insolubili; che il Senatosi tramutasse «in un inutiledoppione» della Camera deiDeputati. Orbene, possiamoconstatare che il primo pericoloè stato superato come si preve-deva e si sperava — cioè rimet-tendo la soluzione di quei con-flitti alle consuetudini costitu-zionali (salvo nei casi più graviil ricorso al giudizio popolaremercè lo scioglimento delleCamere e l'istituto del referen-dum) — e ancora meglio sipotrà superarlo in avvenire conopportune riforme regolamen-tari delle Assemblee nell'ambi-to della Costituzione e con unacollaborazione più intima fra idue rami del Parlamento. Maper scongiurare definitivamen-te il secondo pericolo occorreperfezionare e tutelare il fun-zionamento del Senato, prov-vedendo anzitutto — di accordocol Governo — a una razionaledistribuzione del lavoro legisla-tivo al fine di rendere a Voipossibile l'esame ponderato ditutti i disegni di legge senzainvalicabili limiti di tempo che

impongano discussioni affret-tate e, peggio ancora, approva-zioni integrali.Se prima di porre termine almandato di cui siete stati inve-stiti dalla Costituzione o dalcorpo elettorale detteretenorme organiche e definitiveche garantiscano sempre più ilprestigio e assicurino il regola-re svolgimento dei lavori diquesta Assemblea, Voi avreteconquistato un grande titolo dibenemerenza nella storia delParlamento italiano.Per l'opera Vostra quotidiana —che diventa ogni giorno piùvasta e può essere snellitaanche col lavoro, suscettibile diritocchi, di perfezionamenti e disviluppi, delle Commissioniparlamentari — basterà il Rego-lamento — patrimonio comunedi tutti i partiti —, che io Viprometto di interpretare confedeltà e di osservare con rigo-re. Ma occorre anzi tutto quelsenso di austera educazioneparlamentare, di cui Voi avetedato finoggi testimonianze nondubbie al Paese, verso il qualedobbiamo volgere incessante-mente i nostri sguardi per ren-derlo più consapevole del lavo-ro che compiamo, per ravvivar-ne — con l'ausilio prezioso dellastampa, a cui invio il mio grato

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saluto — l'interesse ai nostridibattiti, per rinvigorirne lafiducia nelle nostre istituzionidemocratiche. Se il limite ditempo per la lettura dei discor-si è tassativamente fissato edeve essere severamente rispet-tato, il limite di tempo allalibertà della parola — più chedalla norma regolamentare, cheprescrive l'obbligo dellacostante aderenza dello svolgi-mento delle idee all'argomentoche si tratta — deve essereimposto a noi da noi stessi,memori dell'aureo precetto diun brillante scrittore: «Quandosi discute di cose serie occorreessere brevi».Ma poiché ho fatto accennoalla prima composizione dellanostra Assemblea mi sia con-sentito di chiuderlo con unsaluto — certamente a Voi assaigradito — a tre anziani nostriColleghi, che ci danno oggi — e,come mi auguro, ci darannosempre — lustro con i loro nomie autorità con la loro parola: aBenedetto Croce, che da oltremezzo secolo irradia nel mondola luce inestinguibile della cul-tura italiana ; a Vittorio Ema-nuele Orlando, gloriosovegliardo senza vecchiaia, per-ché ha saputo riportare per lui eper noi una grande vittoria

anche sul tempo; a FrancescoSaverio Nitti, che è ritornato inPatria, dopo le dure esperienzedel volontario esilio, col senti-mento generoso dell'oblìo nelcuore e con l'invocazione acco-rata alla concordia e alla soli-darietà nazionale sulle labbra.Riprendiamo i nostri lavori tra-endo lena dalla perseverantefatica di Luigi Einaudi — checonsacra alla direzione dellagiovane Repubblica italiana itesori della sua mente e dellasua dottrina — e proponendocitutti di conseguire, sia pure conmezzi diversi, un fine comune:di restituire all'Italia — strazia-ta dal dolore di una disfattaincolpevole, dalle delusioni diun contributo, prima applaudi-to e poi non sempre e non datutti riconosciuto, alla fasedecisiva e vittoriosa della guer-ra mondiale, dalla umiliazionedelle condizioni di una pacegiudicate — e non soltanto danoi — immeritate ed ingiuste —il posto che le spetta nel mondoper la sua civiltà, per la sua sto-ria, per le sue glorie che sonosorpassate talora dalle suesventure.Forse il destino la condannò auna prova suprema perchérivelasse ancora meglio le sueinesauribili virtù —, come le ha

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già rivelate, in brevissimotempo, nell'opera di risurrezio-ne da un cumulo di rovinemateriali e morali, cioè inun'opera gigantesca che hasuscitato la sorpresa e l'ammi-razione degli stranieri e chespesso non è stata giustamentevalutata da noi. Essa sapràritrovare le sue tradizioni edemergerà dalla tempesta rige-nerata e fortificata : questa è edev'essere la nostra fede, per-ché credere nel successo anela-to è condizione essenziale perottenerlo.Io posso valutare, per un'anticaesperienza, tutte le responsabi-lità che assumo con la presi-denza di questa alta Assemblea.Non ho altra ambizione chequella di rendermi meritevoledella fiducia che mi avetedimostrato con una larghezzadi suffragi che per l'esercizio dideterminate funzioni politicheè necessaria — soprattutto perChi si trovi non al di sopra maal di fuori dei partiti — non perappagare meschine vanità per-sonali ma per dare autorità alposto che si occupa e per impri-mere un carattere di insospetta-bile imparzialità all'opera che sicompie. Appunto perciò — forse— nel Paese dove le istituzionirappresentative ebbero la loro

culla è diventata tradizionedella Camera dei Comuni (nellaquale soltanto, com'è noto, ilPresidente è elettivo) che lospeaker sia investito nella suacarica — alla quale sono con-nessi eccezionali poteri — daivoti di due grandi partiti fra cuil'Assemblea è stata ed è divisa.Io conto sulla autorevole colla-borazione dei Colleghi dellaPresidenza che così luminoseprove hanno già dato di abilitàtecnica e di infaticabile zelo esulla indulgenza a cui aveteavuto la bontà di abituarmi.Spero di potere dire allorchécederò il seggio ad altri piùdegno di me: ho fatto ciò cheho potuto.Con i sentimenti di gratitudineverso di Voi — che non tenteròinvano di esprimere con leparole — e di dedizione al dove-re — che darà volontà al miointelletto e forza al mio animo—, io Vi invito, onorevoli Colle-ghi, a proseguire i nostri lavori.(Prolungati, vivissimi, generaliapplausi. Calorosi applausidalla tribuna della stampa edalle altre tribune).

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Sul� disegno� di� legge� e� laproposta� di� legge:� «Prov-vedimenti� a� favore� dellacittà� di� Napoli»� (2277);«Provvedimenti� specialiper� la� città� di� Napoli»(1518)� (d'iniziativa� deisenatori�Porzio�e�Labriola).

DE NICOLA.Onorevoli colleghi, io mi man-terrò rigorosamente nei limiti diuna succinta dichiarazione divoto, dicendo soltanto ciò che ènecessario ed in poche parole,per non ripetere male ciò che èstato detto in discorsi talorainfiammati di un'eloquenzasenza rivale, per non demerita-re anche da questo seggio dellavostra generosa indulgenza, pernon incorrere in un severorichiamo del Presidente allabrevità, per tenere fede ad un

aureo precetto goethiano spessonegletto: occorre trattare informa concisa un argomentoimportante. Mi sarà facileadempiere questo dovere perchémi propongo due soli scopi: fis-sare la portata dei disegni dilegge che ci accingiamo a vota-re; formulare un augurio cheracchiude due fervidi inviti. E lalettura per me insueta delladichiarazione varrà a dare allamia parola quel carattere diserenità che nella improvvisa-zione l'ardente passione filialeper la mia città natale potrebbeviolare. Il disegno di legge del Governoe la proposta di iniziativa parla-mentare dei colleghi Porzio eLabriola obbediscono, in misuradiversa, a due ordini di necessi-tà contingenti: delle necessitàdeterminate dalla guerra, di cuiNapoli, come l'onorevole Mar-

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concini attesta nella sua ammi-revole relazione - sono sueparole «ha sofferto il peso dila-niatore e stroncatore»; dellenecessità preesistenti e soprav-venute. Ma né l'uno né l'altrahanno la pretesa di risolvere ilproblema della economia -meglio si direbbe: della miserianapoletana - che fu sempreimpostato come problemanazionale, sia per il debito che ilnuovo Regno aveva assuntoverso la città di Napoli, la qualeaveva compiuto rinunzie altret-tanto onorevoli quanto penosesull'altare della unificazioneitaliana come dimostrò con datistatistici inoppugnabili unafalange di scrittori insigni, daFrancesco Saverio Nitti, semprevivo nella nostra memoria, percitare il primo, a Guido Dorso,per citare l'ultimo - sia per l'in-contestabile documentata affer-mazione che la proprietà immo-biliare napoletana, come tuttala proprietà immobiliare meri-dionale -, paga - nella suapovertà per ragioni di configu-razione geografica, di clima, disuolo, più di quanto può e diquanto deve, senza possibilità, adifferenza della proprietà mobi-liare, di evasioni fiscali, sia perla straordinaria influenza chel'ex capitale di un regno, nella

quale si riassume la storia delMezzogiorno, che fu definito laterra delle grandi sventure e deigrandi pensieri, esercita oggi,sotto tutti gli aspetti, sulla vitadella Nazione. Questa dichiarazione chiara eprecisa è necessaria per evitarefunesti equivoci, per dissipareillusioni ingannatrici, perdisperdere speranze audaci, perrisparmiare alle facili esaltazio-ni il desolante corollario dirapidi scoramenti. Non abban-donandosi a sogni fantastici,non si avranno amari risvegli. Le necessità derivate dagli ulti-mi eventi bellici, bombarda-menti aerei nella prima fasedella guerra, sistematica, van-dalica devastazione nellaseconda fase, sono paurose.Dopo le sventure, il ricordo chene resta è un'altra sventura. I danni subìti dalla città diNapoli vi sono noti; ve nerisparmio, perciò, una ennesimaenumerazione. Le necessitàsopravvenute, che si colleganoalle precedenti e alle preesisten-ti, vi sono egualmente note; sipossono riassumere nella con-clusione che si trae dall'ampiarelazione espositiva del sindacoLauro, che fa rabbrividire: ilcomune di Napoli ha una massadi debiti e un disavanzo annuo

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che sono la prefazione del falli-mento, e non ha oggi la possi-bilità di offrire una qualsiasigaranzia per contrarre nuovidebiti e di affrontare con leentrate ordinarie le spese ordi-narie di fine mese. A varie di tutte codeste necessi-tà si è già provveduto, come hadimostrato, nel suo analiticodiscorso, l'onorevole Gava; apochissime può provvedere laCassa per il Mezzogiorno; allealtre provvede adeguatamente,con i necessari aggiornamenti,la proposta di legge Porzio-Labriola, sulla scorta dellerichieste formulate col votounanime dell'ex Consigliocomunale, e provvede in granparte il disegno di legge gover-nativo. In ogni caso, non tuttele difficoltà saranno superate, sìda non poter soffocare il gridoche in una riunione dei Parla-mentari residenti in Napoli,come molti Colleghi hannoricordato nei giorni scorsi,eruppe dal fondo del mio animoesulcerato dinanzi alla visionedella mia città flagellata datante calamità, e che ancoraoggi è sulle labbra di tutti inapoletani: «Napoli muore!». E mi astengo da confronti, chevalgono soltanto ad acuire lasensazione della propria squal-

lida ed ingiusta inferiorità. Leg-gete, vi prego, nella ponderatarelazione dell'onorevole Mar-concini, le tabelle comparative,in tutti i rami, tra la Campaniae le due più industri Regioni delSettentrione, fra Napoli e duecittà che sono legittimamentel'orgoglio del Settentrione: colsentimento di solidarietà nazio-nale che vi domina ne restereteatterriti. Io non voglio abbandonare lanota di obiettività che mi sonoimposto, e non affronto perciòindagini che inasprirebbero ildibattito senza migliorarne leconclusioni. Costato, non giudi-co. Da una parte, si è affermato,in sostanza, che il disegno dilegge governativo concepitosenza gioia dopo la presenta-zione della proposta di leggedegli onorevoli Porzio e Labrio-la e venuto alla luce alla vigiliadella convocazione dei comiziper la elezione della Camera deideputati (che mi auguro, con-sentitemi la parentesi, sia laCamera della concordia, siapure della concordia discorde,mai, come direbbero gli inglesi,la Camera della collera) - nonpossa essere amato come l'en-fant de l'amour: dall'altra, si èautorevolmente affermato cheda tempo il Governo aveva già

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iniziato studi per l'avvenire diNapoli. Comunque sia, se la proposta dilegge Porzio - Labriola - a cuidarò con docile fretta il miovoto favorevole - non saràapprovata, darò il mio consensoal progetto di legge presentatodal Governo, il quale non devedolersi delle critiche che furonomosse, perché vi è spesso piùbontà nella critica che nellalode: consenso un po' imbron-ciato per quel che esso non con-cede e grato per quel che essoconcede, perché rappresenta unprimo passo sulla via da percor-rere per conseguire due finalità:alleviare la situazione, chel'onorevole Marconcini nonesita a definire «tragica», in cuisi trova la città di Napoli, eroi-ca nella sua rassegnazione (cheGiustino Fortunato additavacome la più difficile fra le virtùumane ma che, io aggiungo,non deve essere interpretatacome «abdicazione»), con unasaggezza nella moderazione chetalvolta fu giudicata ignavia,nel culto costante e fervido perla libertà e per l'ordine; allonta-nare pericoli assai più gravi, peri quali può ripetersi con unopportuno adattamento - e voiintendete quale il motto famo-so... «C'est ne pas le boulangi-

sme qui est redoutable: c'est lemécontentement». Io ho parlato finora di necessitàcontingenti determinate in granparte da eventi eccezionali: maresta «la questione meridionale»sollevata fin dagli albori dellavita unitaria italiana: in essaPasquale Villari inserì una spe-cifica «questione napoletana».Molti autorevoli studiosi del-l'angoscioso problema, in pagi-ne pervase di sconfinato amoree dense di soda cultura - con laquale la erudizione degli altridiventa nostra - si sono datempo scagliati contro la insi-stenza monotona e sgradita concui si sono invocate leggi spe-ciali per il Mezzogiorno d'Italiache hanno dati frutti assaimagri, se è vero che dopo unaquarantina di provvedimentiper la sola città di Napoli, ricor-dati nel suo discorso dall'onore-vole Marconcini, due altre pro-poste sono venute ora indiscussione per segnare neppu-re una mèta ma una tappa: DeViti De Marco considerò le leggispeciali «un tozzo di pane» e lebollò come una «mistificazioneed un errore»; Giustino Fortu-nato insistette con indomitaenergia perché il Mezzogiornoreclamasse non leggi specialima leggi organiche ed istituzio-

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nali di carattere generale; Gio-vanni Amendola - che vedevanel Mezzogiorno il baluardodello Stato italiano - deplorò «lalitania di problemi che forma-vano argomento di una ponde-rosa e trita letteratura»; i piùmoderni e più battaglieri meri-dionalisti hanno ripudiato «unacarità statale» e «un paternali-smo burocratico». Ma è necessario essere esplicitie non creare confusioni a pro-posito del disegno e della pro-posta di legge che sono statitestè discussi in questa AltaAssemblea. È vero che la que-stione meridionale non si risol-ve «con opere pubbliche a basepolitica» come molti anni orsono fu detto; ma non è menvero che quelle opere pubblichesono indispensabili ed urgentisoprattutto per i danni che l'ul-tima guerra ha arrecato allacittà di Napoli: rinunciarviequivarrebbe a perpetuare unasituazione di palesi ingiustizie edi spaventevoli pericoli. Rimane ben fermo, peraltro, checon i provvedimenti speciali perlavori pubblici non si risolve laquestione del Mezzogiorno, cherimane chiuso nella sua tristez-za economica e, in specialmodo, non si risolve il proble-ma della città di Napoli che non

ha più coraggio nel triste pre-sente né fiducia nell'oscurodomani. Il problema del Mezzogiornoresta ancora il più grave e com-plesso problema della vitanazionale e dovrà essere risolu-to con un organico programmadi riforme restauratrici e rigene-ratrici di ordine economico,politico e sociale e, soprattutto -come reclamava AntonioGramsci e reclamò nella nostraultima seduta l'onorevole Fede-rico Ricci - doganale e fiscale,suggerite da una savia intuizio-ne, approvate non con consensifreddi e caritatevoli ma consentimento di acceso patriotti-smo, attuate con implacabilevolontà. Se la memoria mi resta fedele,sembrano di ieri le parole pro-nunziate dal conte di Cavourche profetizzava: «Il Mezzogior-no sarà la fortuna d'Italia», e sulletto di morte non dimenticava«quei poveri napoletani, cosìintelligenti», «che non possonoessere modificati ingiuriandoli»(prima di lui Pietro Collettaaveva scritto: «È fatalità per leprovince meridionali la ingiu-stizia dei giudizi altrui»); sem-brano di ieri le parole pronun-ziate da Giovanni Giolitti che,presentando al Parlamento uno

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dei suoi Ministeri, quando icontrasti sembravano più pro-fondi e più crudeli, proclamava:«Non è soltanto una necessitàpolitica ma è un dovere nazio-nale rialzare le condizioni eco-nomiche del Mezzogiorno»;sembrano di ieri le parole pro-nunziate da Luigi Luzzatti chedal banco del Governo, da cuidettava giudizi che sembravanoaltrettanti oracoli, vaticinava:«Quale sarà l'avvenire del Mez-zogiorno, tale sarà l'avvenired'Italia»; sembrano di ieri leparole pronunziate da GiustinoFortunato che, amando la terrameridionale come si ama unapersona viva, ammoniva: «IlMezzogiorno, sappiatelo pure,sarà la fortuna o la sciagurad'Italia»; non sembrano, masono di ieri, ora per ora, leparole pronunziate a Napolidall'onorevole De Gasperi:«Sappiamo che le nostre spe-ranze per il risollevarsi dellaNazione sono tutte riposte nelMezzogiorno e nelle sue magni-fiche possibilità di ripresa». Ètrascorso quasi un secolo e lasoluzione della questione meri-dionale - affidata dal conte diCavour ad un programma vastoe concreto, non circoscrittoentro la esecuzione di lavoripubblici più o meno importanti

- suscita ancora lunghe discus-sioni, mirabolanti proposte, fal-laci promesse, apocrife lusinghee resta qual'era - fra grandezzadi ricordi e magìa di speranze -al tempo della redenzione ita-liana. È venuta l'ora di affron-tarla con avvenimenti non fati-cosi, parziali e lenti, ma energi-ci, integrali e celeri, prima chesia troppo tardi: e voi sapeteche «troppo tardi» è una realtàche nella storia può essere fata-le. Al punto a cui siamo giunti, misia concesso (ripentendo lafrase accorata di un grande par-lamentare francese) di scenderefino alla preghiera, per scongiu-rarvi di esaudire due voti, cheformulò con cuore di napoleta-no e con sentimento di respon-sabilità di italiano: 1) che si fac-ciano seguire alla lunga serie didisposizioni le quali fino allaultima proposta del Governohanno - come scrive autorevol-mente l'onorevole Marconcini -«carattere particolare e parzialenel senso che non sono dirette arisolvere in radice il complessoe vasto problema di Napoli» e«rappresentano soltanto fattoridi richiami» leggi definitive dicarattere generale e integrale, lequali cementino l'unità fra ledue parti d'Italia (che Thiers

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ebbe il torto di considerareingiustamente, per un'incom-prensione iniziale, talora altez-zosa ed oramai superata, comecondannate a vivere, se nonavverse, estranee) e creino nelMezzogiorno che - come dissiin un mio discorso trent'anni orsono - è così accarezzato e cosìcalunniato, così studiato e cosìpoco conosciuto ed è stato defi-nito da una grande rivista eco-nomica inglese «la Cenerentolad'Italia» condizioni di vita su diun piano di assoluta eguaglian-za fra tutti gli italiani, stretti inun solo anelito, in un'atmosferadi mutua tolleranza, di recipro-ca assistenza e di intima colla-borazione; 2) che non sia meri-to dei meridionali - i quali nonpossono utilmente «fare da sé»,perché non attesta sempre laverità uno dei proverbi cheEnrico Ferri soleva ripetere «chifa da sé fa per tre», come hadovuto riconoscere nella suaesemplare probità di studiosoGaetano Salvemini, modifican-do senza orpelli un'antica opi-nione (il che torna a suo onore)e aderendo a quella sostenutasempre da Giustino Fortunato -, ma sia merito dei settentriona-

li di promuovere e di compiere,con lodevole e concorde volere- suaviter in modo, fortiter in re- quell'opera ardua e proficua dicui furono i primi, convinti,ostinati assertori due uominipolitici non meridionali Fran-chetti e Sonnino - tracciandodopo profonde indagini, conprovvido pensiero, con ponde-rata parola un programma,rimasto inattuato, per il solennericonoscimento degli indefetti-bili diritti dei deboli e dei sacridoveri dei forti. Si tratta di sapere ciò che sivuole. La nostra ferrea volontàeguagli la nostra fede operosa:e la risurrezione del Mezzogior-no, col centro radioso di Napo-li, non potrà mancare. E di ciòposso essere garante: ché ilpopolo napoletano - che io amopiù della mia vita e ne sono ria-mato - non si renderà mai col-pevole dell’ingratitudine e del-l'oblìo che - purtroppo - attra-verso incessanti delusioni hapotuto conoscere ed ha dovutosubire. (Vivissimi applausi.Molte congratulazioni).

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Il tavolo è lo stesso; la poltrona,stile rinascimento, anche. Lamalinconia dei vecchi docu-

mentari della “SettimanaIncom” si unisce con le testimo-nianze della cronaca, o dei

Enrico�De�Nicola.�Discorsi�parlamentariPresentazione di Giovanni SpadoliniSenato della Repubblica - 1991

I pagina del quotidiano La Stampa

del 2 ottobre 1959.

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superstiti. La Costituzione dellaRepubblica fu firmata lì, oltrequarant'anni fa il 27 dicembre1947, nella stanza di rappresen-tanza del Capo provvisoriodello Stato, Enrico De Nicola,che sarebbe divenuta la stanzadi rappresentanza del Presiden-te del Senato, e la sala della«supplenza».Quattro firmatari, a cinquegiorni di distanza dalla chiusu-ra dei lavori della Costituente,nel palazzo di Montecitorio:sopraffatti dall'Inno di Mameli,il 22 dicembre. Il Capo delloStato, che in quel momentodiventava, sia pure per pochimesi, Presidente della Repubbli-ca, appunto De Nicola, con lostesso stile riservato, discreto,sobrio, eccezionalmente punti-glioso in materia di cerimonialee di riguardo alla sua persona. IlPresidente del Consiglio, AlcideDe Gasperi, che aveva saputosuperare con mano maestra leore difficili del trapasso framonarchia e repubblica, e giàguidava una nuova fase politi-ca. Il Presidente della Costituen-te, Umberto Terracini, cheaveva raccolto l'eredità di Giu-seppe Saragat dopo palazzoBarberini e mantenuto lo stessostile di obiettività e di superiori-tà che gli permise, quale mili-

tante comunista, di rivendicaresempre la sua identità ebraica.Infine, come controfirma, ilGuardasigilli, Giuseppe Grassi,interprete di quel filone di libe-ralismo giolittiano meridionaleche non si era mai piegato alleabdicazioni dei Sarrocchi.De Nicola arrivò alla bibliotecadirettamente dal suo studio pri-vato, lo stesso che ancora vieneriservato a palazzo Giustinianial Presidente del Senato. Unastanza non grande la biblioteca,che a sua volta immette negliappartamenti di rappresentanzadell'antico palazzo dei mercantidell'Egeo trasferitisi a Roma allafine del Cinquecento, nella stra-da cara alle audacie e agliscambi dei banchieri pontifici.Una biblioteca come si usavanouna volta, col ballatoio checonsente di adire a un'altraserie di volumi attraverso unascaletta molto ripida e scomoda.I palchetti non pieni. Nella partebassa, immediatamente accessi-bile, quasi tutta la raccolta, inpelle, delle Leggi e decreti delRegno d'Italia: con l'edizionespeciale del Rendiconto.Più singolari le scoperte sopra ilballatoio. Le Journal officiel dela République française, cheabbraccia press'a poco tutti glianni centrali del fascismo, è

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rilegato con la testata in italia-no: secondo lo stile dell'epoca.Qualche annata del Foro italia-no. E ancora la ripresa dellaGazzetta Ufficiale del Regnod'Italia, non dal 1861 e neanchedal 1871 ma dal primo trimestre1875, prova della fatica neces-saria per allogarsi a palazzoMadama dopo la liberazione diRoma, dopo la breccia di PortaPia.Dalle finestre si vede la via Giu-stiniani, un po' meno formico-lante di gente che ai tempi di DeNicola. Il palazzo, prima di pas-sare all'amministrazione delSenato negli anni '30, accom-pagnò le grandezze e le sfortu-ne della massoneria. E conservaqualcosa di segreto e di miste-rioso, che spiega l'insofferenzadi Enrico De Nicola verso quel-le stanze accigliate e severe,rispetto alla sua Torre del Greco.Su un leggio molto alto e rico-perto di broccato, la copia,naturalmente fotostatica, dellaCostituzione. Con quelle quattrofirme. È il ricordo di quell'Italiavirtuosa: un'Italia proba, in cuiil senso dello Stato era altissi-mo. E il confine fra Stato. e vitaprivata fermo e preciso.Ripenso alla casa di De Gasperiin via Bonifacio VIII; ripensoalla casa di un patriota laico

che sarà presidente del Senatoper pochi mesi, e mesi di furore,Meuccio Ruini. Esempi e model-li per le generazioni di oggi eper quelle che verranno.La Repubblica. Il sogno di gene-razioni di combattenti e di mar-tiri. Mi torna in mente un'inter-pretazione severa, scabra e forseun po' riduttiva, che era propriadi De Gasperi. Sempre con unfondo di educatore, di professo-re arcigno e un tantino scontro-so. La Repubblica comecoscienza della cosa pubblica,delle «cose di tutti», contro gliarcana imperii della monarchia.L'aveva detto, il futuro firmata-rio del patto costituzionale, nelmaggio '46 rivolgendosi ai cit-tadini della basilica di Massen-zio con un tono ammonitorio.«L'impegno solenne, definitivoper voi e per i vostri figli, è diessere preoccupati per la cosapubblica più di quanto nonfoste fin qui. La Repubblica è lapiena consapevolezza che que-sta cosa pubblica è vostra e solovostra»,«Solo vostra». C'era sempre ilcattolico terrorizzato dalloStato etico, dallo Stato hegelia-no.

* * *De Nicola non amava DeGasperi. E viceversa. Due origi-

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ni; due formazioni culturali epolitiche diverse. Una linea diobiettività e di imparzialità nelprimo, che lo portava ad aggi-rare tutti gli scogli della «guerrafredda», a considerare tutti ipartiti allo stesso titolo, adescludere discriminazioni ointerdetti (di qui la costantesimpatia di Togliatti che loavrebbe voluto presidente dellaRepubblica dopo il mandato dicapo provvisorio dello Stato).Dall'altra parte, in De Gasperiuna passione politica potente eprepotente che spingeva a iden-tificare gli interessi dell'Italiacon quelli del mondo occiden-tale, che rendeva prioritarial'inserzione del nostro paese nelconcerto delle nazioni dopo lalunga separazione degli annifascisti, che congiungeva inti-mamente la religione dellademocrazia con la salvaguardianon solo formale delle istituzio-ni libere, minacciate dai ricor-renti colpi di stato dell'Est cul-minate, ancor prima del 18aprile I948, nella tragedia diPraga.Sullo sfondo: il dramma dellavecchia generazione liberale,che aveva vinto la prima guerramondiale, di fronte alla pesan-tezza delle condizioni del Trat-tato di pace.

Quel Diktat che tutta l'Italiacrociana, e Benedetto Croce perprimo, sentì come un'umiliazio-ne ai valori del Risorgimento,come una smentita agli sforzidella cobelligeranza e delriscatto italiano, prolungatosinella lunga lotta, e sanguinosalotta, contro il nazi-fascismo.Una fedeltà patriottica di anticostampo, con una vena di orgo-glio e di risentimento, diciamocosi, alla Sonnino: l'Italia chenon ammetteva di essere consi-derata alla stregua della Germa-nia nazista, che rifiutava lalogica implacabile della «resasenza condizioni».Da quando salì le scale di Palaz-zo Giustiniani e installò inquell'edificio di pertinenza delSenato la sede provvisoria delCapo dello Stato (il «piccoloQuirinale» che tale è rimastonella leggenda nazionale), DeNicola non voleva assoluta-mente farsi carico della respon-sabilità della ratifica del Tratta-to di pace. E lo dimostra il testodei pieni poteri di cui era statomunitol'ambasciatore, Meli Lupi diSoragna il 7 febbraio 1947 perla firma del Trattato di pace.C'era una frase conclusiva deldocumento che era del seguen-te tenore. «A tale scopo conferi-

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sce all'ambasciatore d'ItaliaMarchese Antonio Meli Lupi diSoragna Pieno Potere e ogninecessaria autorità con riservadi ratifica da parte dell'Assem-blea Costituente».Perché De Nicola aveva indica-to specificamente «ratifica daparte della Costituente» e non siera limitato alla generica riser-va d'uso della ratifica stessa?Qualcuno aveva creduto ad unaimprecisione di linguaggio, deltutto incompatibile col rigoreprotocollare dell'uomo. In realtàDe Nicola sapeva cosa faceva edoveva avere idee chiarissimein materia. E l'idea chiarissimaconsisteva nel fermo propositodi non partecipare alla ratificadel Trattato di pace.Sennonché agli inizi di quel set-tembre 1947, apparve chiaroche le potenze ex-nemiche nonavrebbero tollerato mai quellaanomalia e quella rinuncia. Unatelefonata da Parigi, da partedell'ambasciatore Quaroni,aveva eliminato ogni dubbio:«la ratifica da parte del sologoverno sarebbe stata respinta».In particolare i sovietici, già alcorrente delle resistenze delpresidente De Nicola, avevanopreso posizione in modo fermoe pesante. Il pericolo che ilritorno definitivo allo stato di

pace fosse rimandato indefiniti-vamente era dunque reale.Nodo non facile da sciogliere.De Nicola era noto per la suaintransigenza e per la suainflessibilità; cortese nellaforma era durissimo nellasostanza. Uomo portato allostudio delle procedure piùancora che del diritto, era por-tato a identificare nella proce-dura tutto.Invano il ministero degli Esteribombardava Palazzo Giustinia-ni di memorie una più sapientedell'altra. Il no che giungeva dalpiccolo Quirinale era assoluto:il presidente De Nicola nonavrebbe ratificato mai il Tratta-to di pace. La materia non era diquelle su cui fosse possibile uncompromesso.Il compromesso fu invece rea-lizzato dalla sapienza di MarioToscano, il giovane consulentestorico del ministero degli Affa-ri Esteri, che poi lo documentòin un saggio stampato e ancheristampato nella Nuova Antolo-gia. La formula finale di transa-zione non cedeva nella sostan-za ma solo nella forma giacchéda essa risultava che il governoaveva deciso di procedere allaratifica del Trattato di pace manon si diceva che il governoaveva ratificato.

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Uno di quei giri di frase cheerano sufficienti ad appagare lasuscettibilità e le impuntaturedell'eminente uomo di Stato.

* * *Chi si recava nello studio di DeNicola sul corso Umberto - lànell'antico Rettifilo di Napolisorto a consacrare le glorie del-l'Italia unita - trovava, a indi-cargli la porta del grande avvo-cato, una sola e semplice targadi ferro smaltato bianco: «avv.Enrico De Nicola». Il Presidenteconfidava agli intimi di nonaverla mai voluta cambiare daoltre sessant'anni, dal giornocioè in cui aveva cominciato ·lasua carriera di giovane «uomodi legge», erede della grandetradizione giuridica e umanisti-ca delle genti meridionali, inter-prete coerente di una fedeltàalle tradizioni associata al cultodei nuovi valori di libertà.All'ombra di quella targa schivae riservata, un'intera vita si eradispiegata: una vita di lottepolitiche combattute con unsenso antico di inimitabiledignità, una vita di dedizione edi sacrifici nelle massime magi-strature dello Stato, una vitaspesa per tutte le cause che fos-sero di equilibrio e di concilia-zione, contro ogni estremismo,contro ogni faziosità (compresa

la presidenza del Senato repub-blicano, in cui succedette a Iva-noe Bonomi).In pochi uomini le virtù e anchei limiti dell'Italia liberale siriflessero come in Enrico DeNicola. Deputato per la primavolta nel pieno splendore del-l'Italia giolittiana, in quelle ele-zioni del 1909 che gettarono lebasi dell'impresa di Libia e delsuffragio universale, De Nicolaconservò sempre del giolittismol'alta ispirazione ideale, il sensodei limiti e della misura, la ripu-gnanza a tutti quei modelliastratti del liberalismo meridio-nale che non mancarono spessodi avallare degradanti compro-messi con la dittatura (a comin-ciare dal filone salandrino).Presidente della Camera neglianni difficili e tempestosi cheandarono dal 1920 al 1924 eche videro il naufragio - pertanta parte voluto e premedita-to - dello Stato liberale, sioppose alla dittatura anche seall'inizio con qualche timidezzae preferì appartarsi dalla vitapolitica piuttosto che ratificarel'umiliazione degli istituti par-lamentari e il fatale passaggioallo Stato totalitario.All'ombra della targa di CorsoUmberto, l'«avv. Enrico DeNicola» contrastò il fascismo

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con la dignità che era conformeal suo modo di vita: senza maicompiere un atto che fosse diservilismo o di cortigianeria,senza mai uscire da quell'impe-gno di silenzio che era, di persé, per un vecchio notabilecome lui, condanna della ditta-tura.La sua candidatura alla guidadel nuovo Stato italiano sortodalla liberazione nacque cosìdai fatti, da un'indicazione cuila Costituente rese omaggio mache il paese aveva anticipatocol suo istinto infallibile. Neigiorni oscuri del governo diBari quando tutto sembravafranare nell'anarchia e un sot-tufficiale del «GMA» contavapiù di un maresciallo d'Italia -forse nessun uomo rese allacausa della restaurazione delloStato, dello Stato unitario eliberale, i servizi di quest'anticocombattente dell'unità e dellalibertà.Con un prestigio mai scosso dauna parola di rancore o di ven-detta, con un senso di «missio-ne» al disopra della mischia cherappresentava quasi una suaseconda natura, d'intesa conCroce, De Nicola suggerì allaMonarchia vacillante la tesi,costituzionalmente ineccepibilee politicamente opportuna,

della Luogotenenza; scongiuròla torbida manovra di Badoglioin favore di una Reggenza (Reg-genza per un principe bambino,e riparato in Svizzera) cheavrebbe aperto in Italia unasituazione di tipo balcanico;permise un primo, e sia pureembrionale, ricostituirsi degliorganismi rappresentativi invista della «normalizzazione»istituzionale e costituzionale.Capo provvisorio dello Stato,rappresentò di fronte al mondola dignità di un'Italia che senti-va di non aver perduto la guer-ra (se la guerra era stata guerradi libertà) e lacerava idealmentele catene del «Diktat», condizio-ne della futura associazioneatlantica; costituì, di fronte adun'opinione pubblica sconvoltae divisa, la garanzia che nessu-na sopraffazione sarebbe statatollerata, che nessun colpo dimano sarebbe stato legittimato.Presidente della Repubblica neimesi del «putsch» di Praga, finìper autorizzare, nonostante ilsuo imparziale distacco e la suaobiettività quasi ostentata, tuttequelle misure di governo e dimaggioranza necessarie a fron-teggiare ogni possibile minacciaalle istituzioni.Laico quanto poteva esserlo unantico sottosegretario di Giolit-

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ti, non oppose mai le vecchiepregiudiziali anticlericali allanecessaria inserzione dei catto-lici nello Stato e favorì quellelinee di equilibrio e di compro-messo necessarie a evitare dila-ceramenti di coscienza consopraffazioni di parte (chi hadimenticato la sua «mediazione»per il giuramento dei vescovi?).Giurista e costituzionalistacome pochi altri ve ne furono,animato da un senso vigile egeloso dello Stato di diritto,seguì ora per ora la nascitadella Carta costituzionale e sioppose per oltre dieci anni atutte le deviazioni e a tutti i tra-visamenti: fino a rinunziare acariche altissime, come la presi-denza della suprema Corte,piuttosto che cedere su questio-ni di principio (che solo agliorecchianti apparivano di pun-tiglio). La raccolta dei suoi«Discorsi parlamentari», a curadel Senato della Repubblica conintroduzione di Piero Craveri(introduzione che non manca disostare anche sui difetti e limitidell'uomo), è un documentoimportante per la storia delnostro Senato.Alla nascente Repubblica il vec-chio De Nicola seppe impartireuna lezione di stile e di dignitàche non dovrebbe essere mai

dimenticata. Anche là operò lalezione della targa di CorsoUmberto. Il gentiluomo, da cuisi sprigionava un senso di natu-rale aristocrazia, preferì rinun-ciare alle sale del Quirinale efissare la sua residenza in quelpalazzo Giustiniani, che avreb-be potuto rimarginare più facil-mente le ferite del referendum efavorire una conciliazione dellecoscienze.In tutti gli atti, piccoli o grandi,della sua presidenza provvisoriafu di esempio ai cittadini, dimonito ai successori.Limitò la casa civile e militare apochi funzionari; rinunziò allescelte personali dei propri colla-boratori attingendo dai ranghidell'amministrazione; introdus-se una distinzione fra «privato»e «pubblico» che parve a taluniostentata e puntigliosa, ma chefu insegnamento per il paese.Quali esempi! Non volle maiavvalersi della «franchigia diStato» per rispondere alle lette-re che fossero indirizzate perso-nalmente a Enrico De Nicola;pagò di tasca sua benzina eautista per i pochi viaggi checompì da Roma a Napoli; nonentrò una sola volta nelloscompartimento ferroviarioriservato; aborrì dal fasto e dalcerimoniale, sicuro di avere in

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sé, nella sua dignità, una forzamorale superiore a tutte lepompe esteriori.Si è talvolta ironizzato, da partedegli spiriti sprovveduti, sullesue «manie». Si trattava, in real-tà, di vere intransigenze del-l'animo. Nutrito a un'alta visio-ne della vita, fedele ai grandimodelli del passato, nonammetteva tutto ciò che fossevolgarità o improvvisazione.Alieno da ogni pompa e da ogniretorica, incline a preferire iriposi di Torre del Greco allepubbliche magistrature, attri-buiva alle questioni di «proto-collo» e di «precedenza» quelvalore sostanziale che talvoltahanno, per alimentare in unpopolo il rispetto dei valori piùintimi e profondi su cui riposa -e deve riposare - l'autorità (spe-cie nei regimi di democrazia).Per cui l'uomo che aveva sem-pre rifiutato tutti gli onori eabbandonato tutte le caricheera capace di determinare veretempeste se come avvennerecentemente in uno spettacolodi beneficenza al San Carlo di

Napoli - gli era riservata unapoltroncina aggiunta, anzichèquella cui il suo rango gli davadiritto.Chi l'ha conosciuto non potràmai dimenticare il suo sorriso,la sua conversazione inegua-gliabile, la sua grande e natura-le bontà. Umanista vero, nonvolle mai raccogliere le suearringhe in volume, consegnòraramente il suo pensiero insaggi organici e definitivi.Liberale e cattolico insieme,ebbe il senso dei limiti chenascono da una visione religio-sa del mondo, mosse sempre daun pessimismo profondo. Forseciò spiega quella vena di malin-conia che lo accompagnò inogni momento, quella specie diluminosa tristezza che affioravadai suoi occhi. Ricca di onori,circondata da un affetto e dauna devozione popolare chenon ebbe eguali, la sua fu -soprattutto - la vita di un «sag-gio» antico: chiusa nel segretodella solitudine.

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