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Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di personalità
Vincenzo MANNA Medico, Psichiatra, Psicoterapeuta Direttore f.f. UOC DSM ASL ROMA 6 [email protected] cell. +39 333 36 25 218
ASPETTI CLINICI FONDAMENTALI DEL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA'
La definizione diagnostica del Disturbo Borderline di Personalità (DBP) inserito nell’Asse II del DSM III dell’American
Psychiatric Association (1) è stata caratterizzata dall’intento di distinguerlo dal disturbo schizotipico di personalità (2). Il
preteso impianto diagnostico ateoretico, cui s’ispirava il DSM III, non si è dimostrato, in realtà, tale. I criteri diagnostici del
DBP sono, infatti, un insieme non del tutto coerente di tratti e di comportamenti, evidenziati e studiati con differenti e non
sempre compatibili orientamenti clinici (3). Selezionare alcuni criteri diagnostici provenienti da diverse impostazioni
teoretiche e cliniche di studio aveva l’intento di permettere una valutazione più obiettiva e condivisibile per clinici con
orientamenti teorici e impostazioni differenti. Gli otto criteri diagnostici selezionati nel DSM III sono risultati
numericamente pochi e, sostanzialmente, astratti e semplicistici, al punto di non permettere al clinico di cogliere il nucleo
psicopatologico del DBP (4-5).
I criteri del DSM III R (6) per il DBP hanno fatto riferimento a cinque diverse aree diagnostiche: 1. diffusione d’identità
con stati d’animo disfunzionali come labilità dell’umore, rabbia intensa e incontrollabile, sensazione di vuoto e noia; 2.
relazioni interpersonali disturbate come relazioni interpersonali caratterizzate da ipervalutazione, idealizzazione e
successiva repentina svalutazione; 3. paura d’abbandono reale o immaginario; 4. comportamento impulsivo; 5.
comportamento autodistruttivo e suicidario. Secondo Stone (3), questi criteri diagnostici derivavano dagli studi di
Kernberg su identità, impulsività, vuoto e noia, nonché dagli studi di Gunderson su relazioni interpersonali intense e
instabili, impulsività, rabbia, autolesività, instabilità emotiva, paura e disagio in condizioni di solitudine e/o abbandono (7-
13).
ASPETTI SINDROMICI DEL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA’
L’insieme dei sintomi, utilizzati come criteri, proposti per la diagnosi del DBP dal DSM III e dal DSM III R, risultano
provenire da diversi orientamenti teorici e clinici alla psicopatologia. Essi si sono dimostrati poco utili sia in ambito clinico
sia in ambito di ricerca, per la scarsa coerenza interna. Una serie di criteri diagnostici con più forti correlazioni reciproche
risulta essere più razionale dal punto di vista teorico e più utile in ambito clinico e terapeutico. Lo studio del DBP, tanto in
ambito psicologico e familiare quanto nella ricerca di correlati genetici e neurobiologici, necessita di cluster di sintomi,
con un’intrinseca validità di costrutto (construct validity).
Gli interventi terapeutici farmacologici per dimostrare la loro efficacia hanno bisogno, per esempio, di valutare variazioni
obiettivabili di tratti comportamentali, con una coerente struttura interna.
Gli otto criteri diagnostici per il DBP, proposti dal DSM III, sono stati raggruppati in tre cluster, in uno studio su un
campione di 465 pazienti borderline (14). Secondo questi Autori, le relazioni costanti e coerenti tra i criteri diagnostici,
raggruppati in cluster, avrebbero potuto indicare la presenza di fattori ezio-patogenetici sottostanti comuni, indicando,
consensualmente, possibili target terapeutici (15). Un primo raggruppamento di criteri diagnostici (cluster), il cluster degli
impulsi, comprende l’impulsività in due o più aree, nonché il comportamento autolesivo. Un secondo cluster, il cluster
degli affetti, include i sintomi correlati alla labilità affettiva, alla rabbia impulsiva e alle relazioni interpersonali instabili,
caratterizzate da ipervalutazione, idealizzazione e svalutazione. Il terzo cluster, il cluster dell’identità, è composto dai
criteri d’Asse II riguardanti la diffusione d’identità, le sensazioni di vuoto e noia, e la scarsa tolleranza della solitudine.
TAB. 1 Cluster sintomatologici del disturbo borderline di personalità
A. Cluster degli impulsi
l. Impulsività
2. Ricorrenti tentativi di suicidio ed episodi d’autolesionismo
B. Cluster degli affetti
3. Rabbia inappropriata, intensa e/o incontrollata
4. Relazioni interpersonali intense ed instabili
5. Labilità dell’umore ed instabilità affettiva
C. Cluster dell’identità
6. Disturbo d’identità
7. Sentimenti cronici di vuoto e di noia
8. Scarsa tolleranza alla solitudine con tentativi frenetici di evitare l’abbandono
Tali cluster hanno origine non teoretica ma empirica e risultano essere dotati di validità interna evidente. La diffusione
d’identità si correla direttamente alle sensazioni di vuoto. La scarsa tolleranza alla solitudine si correla significativamente
al bisogno di rapporto e sostegno interpersonale.
Il cluster degli affetti evidenzia il coesistere in questi pazienti di rabbia, labilità emotiva, espressioni interpersonali di
collera irragionevole. Inoltre, gli atti impulsivi, riguardanti cibo, alcol, droghe e sesso promiscuo si correlano alle azioni
suicidarie e autolesive. Il cluster dell’impulsività include comportamenti veri e propri, quindi, variabili nel tempo, e non
solo aspetti pervasivi e costanti di personalità. Invece, il cluster sindromico affettivo si presenta com’espressione di
un’insufficiente modulazione degli affetti con instabilità emotiva. Il cluster d’identità si correla, significativamente, ad
aspetti più costanti nel tempo, di strutturazione problematica dell’identità personale. Nell’analisi del paziente borderline i
comportamenti impulsivi sembrano non essere parte della struttura di personalità, ma, piuttosto, comportamenti
sintomatici fluttuanti nel tempo.
Un paziente necessita di cinque degli otto criteri per la diagnosi DSM-III-R di DBP. Egli potrebbe, perciò, essere
classificato come “borderline” con un numero variabile dei sintomi e dei cluster citati.
I pazienti, cui più frequentemente è diagnosticato un disturbo borderline di personalità, sono quelli che presentano i
sintomi psicopatologici prevalenti, raggruppati nel cluster affettivo ed in quello impulsivo.
Naturalmente, i pazienti con DBP più gravemente disturbati sono coloro che hanno i sintomi presenti in tutti e tre i
cluster. Questi pazienti presentano disturbi del comportamento (cluster degli impulsi), disturbi degli affetti (cluster
dell’instabilità affettiva), e disturbi d’identità (cluster d’identità).
I pazienti borderline meno gravi presentano sintomi afferenti al cluster degli affetti e/o dell’identità.
Il DSM IV (16) definisce il DBP come una modalità pervasiva d’instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di
sé e dell’umore con una marcata impulsività, comparse nel corso della prima età adulta e presenti in vari contesti, come
indicato da cinque o più dei seguenti elementi:
1. sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono;
2. un quadro di relazioni interpersonali instabili ed intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi
d’iperidealizzazione e svalutazione;
3. alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili;
4. impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto, quali spendere, sesso, abuso di
sostanze, guida spericolata, abbuffate;
5. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o comportamento automutilante;
6. instabilità affettiva dovuta a marcata reattività dell’umore (p.es. episodica intensa disforia, irritabilità o ansia che di
solito durano poche ore e soltanto raramente più di pochi giorni);
7. sentimenti cronici di vuoto;
8. rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia (p.es. accessi di ira, rabbia costante, ricorrenti scontri
fisici, etc.);
9. ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress.
L’ideazione paranoide è stata aggiunta tra i criteri diagnostici, nel DSM IV (17). L’inclusione di una sintomatologia simil-
psicotica è stata materia di controversia tra gli studiosi sin dalla stesura del DSM III (2,11,18). La versione originaria di
questo criterio includeva numerosi e diversi sintomi della serie psicotica, quali: idee di riferimento, ideazione paranoie,
distorsioni percettive ipnagogiche, allucinazioni, distorsioni delle immagini corporee (19).
La definizione accettata dal DSM IV pone l’accento solo sui sintomi dissociativi e sull’ideazione paranoie, stressandone
la natura reattiva. Il criterio “episodi simil-psicotici occasionali e transitori con illusioni intense” risulta essere, secondo i
criteri dell’IC-10, caratteristico del disturbo schizotipico di personalità, anziché del DBP (20). Gunderson et al. (10-13)
sostengono, tuttavia, che questo criterio differenzi significativamente il DBP dal disturbo schizotipico, sulla base di studi
pilota. Secondo quest’ottica, le anomalie cognitive e percettive riscontrabili nel disturbo schizotipico risultano essere più
stabili e durature, rispetto a quelle brevi, transitorie e reattive dei pazienti con DBP (10, 21).
La risposta terapeutica, dopo tempi sufficientemente prolungati, ottiene, in primo luogo, alcuni cambiamenti nel
comportamento impulsivo, seguiti da un qualche controllo della modulazione degli stati d’animo, e, infine, cambiamenti
graduali e progressivi negli aspetti dell’identità.
EZIOLOGIA DEL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ
Eterogeneità eziologica e patogenetica del DBP.
I fattori eziopatogenetici coinvolti nell’insorgenza del disturbo borderline di personalità erano ricercati in una prospettiva
restrittivamente psicologica, sino circa venti anni fa.
Secondo Masterson e Rinsley (22) per esempio, la psicogenesi del DBP era dovuta alle madri che interferivano con i
bisogni dei propri figli, impedendo loro di raggiungere una condizione di autonomia emotiva e di matura
individualizzazione.
Masterson aveva evidenziato che le madri dei pazienti con DBP erano state, di frequente, a loro volta, affette da DBP e
aveva sostenuto che il disturbo fosse psicologicamente “trasmissibile”.
Altri autori hanno sostenuto una trasmissibilità non psicologica ma genetica, giacché un numero elevato di madri (più
elevato di quanto prevedibile) dei pazienti con DBP, presentano lo stesso disturbo (23).
Altri studi hanno evidenziato nelle famiglie di soggetti affetti da DBP una predisposizione familiare verso lo spettro dei
disturbi affettivi (24-25). Non esistono, però, prove per sostenere che per tutti i pazienti con DBP tale fattore familiare sia
rilevante. Alcuni studiosi hanno evidenziato la presenza di una patologia affettiva familiare soltanto in una percentuale di
pazienti con DBP. Tale fattore può, perciò, rappresentare un fattore aspecifico, in quanto comune nelle famiglie con
soggetti affetti da altri disturbi di personalità (26-27).
Negli ultimi anni le ipotesi ezio-patogenetiche sono state orientate diversamente. Le cause del DBP sono state cercate
nelle varie forme d’abuso infantile intrafamiliare, sul piano psicologico, fisico e/o sessuale.
Numerosi ricercatori ritengono che l’ambiente familiare caratterizzato da episodi d’abuso sia un elemento specifico nelle
storie di pazienti borderline, non altrettanto comune nelle vite di pazienti con altri disturbi di personalità, se si esclude il
disturbo antisociale di personalità (28).
Molti soggetti borderline ed antisociali hanno la tendenza a mettere in atto, in età adulta, proprio quei comportamenti
che, durante l’infanzia, hanno maggiormente contribuito allo sviluppo di un disturbo di personalità. I soggetti abusati in
età infantile potrebbero, infatti, sviluppare cronici sintomi d’irritabilità e rabbia. Questi individui in età adulta, spesso
compromettono, con la loro impulsività ed aggressività, le situazioni lavorative e le relazioni affettive. Le difficoltà
coniugali e la perdita dell’impiego diventano “eventi di vita” ulteriormente stressanti che peggiorano la condizione clinica
di questi soggetti con disturbi di personalità (29).
Nella patogenesi del DBP si sommano e s’intersecano diversi fattori: una componente genetica e costituzionale, la figura
materna eccessivamente opprimente, una storia d’abuso in epoca infantile nell’ambito familiare. L’importanza relativa di
ognuno di questi fattori, nella storia clinica d’ogni specifico paziente con DBP resta ovviamente da stabilire.
E’ opportuno esaminare i dati clinici e di ricerca relativi da un lato ai traumi infantili e dall’altro ai correlati neurobio logici.
Traumi infantili
Molti pazienti con DBP hanno subito gravi traumi psicologici nei primi anni di vita. Storie d’incesto sono relativamente
frequenti tra le donne con DBP ricoverate (3, 30-31). In alcuni studi, tale frequenza varia dal 33% al 70%, in pratica, da
due a quattro volte superiore rispetto alla frequenza osservata negli studi epidemiologici sulla popolazione generale (32).
Esistono alcune evidenze (30) che dimostrano una frequenza d’incesto più elevata nelle pazienti con DBP e disturbo
antisociale, rispetto a donne con altri disturbi di personalità. Qualora altri studi epidemiologici confermassero tali dati, su
campioni più numerosi, verrebbe suffragata l’ipotesi di un rapporto causale tra comportamenti incestuosi tra
padri/patrigni e figlie, disturbo da stress post-traumatico cronico e lo strutturarsi di un disturbo antisociale e borderline di
personalità.
Le violenze subite da parte di un genitore potrebbero facilitare l’insorgere di un quadro clinico persistente o cronico con
irritabilità e rabbia particolarmente evidenti (30-33). I maschi sembrano essere vittime di tali abusi infantili più
frequentemente delle femmine. L’incesto genera solitamente rabbia e senso di colpa, mentre, la violenza genera rabbia
intensa, e, solo raramente, senso di colpa. Un quadro di DBP, che consegue a questi fattori patogenetici, presenta una
forte tendenza alla violenza eterodiretta anziché all’autolesionismo. I maschi che hanno subito abusi fisici e che
sviluppano un DBP, presentano spesso diversi comportamenti antisociali. E’ frequente, in psichiatria forense, una tale
combinazione di fattori patogenetici, nella biografia di famosi pluri-omicidi e serial killer, cui era stato diagnosticato un
sottostante DBP, spesso associato con comportamenti antisociali (34).
A livello fenotipico gli effetti d’ereditarietà e ambiente culturale non possono essere separati, se non a fini euristici. In
alcune società l’incesto è molto raro (35). Varia da cultura a cultura anche la tolleranza del comportamento impulsivo e
aggressivo. Il DBP potrebbe essere proporzionalmente meno frequente, per esempio, in certe società asiatiche, in cui i
comportamenti incestuosi sono impediti e puniti fortemente.
In queste culture, temperamenti geneticamente più miti potrebbero essersi sommati, nel corso delle generazioni, ad
un’educazione dei bambini meno violenta, con effetti di minore incidenza del DBP.
In questa prospettiva, i soggetti con un numero sufficiente di fattori di rischio che hanno sviluppato un DBP nella nostra
cultura, avrebbero potuto avere uno sviluppo diverso se fossero stati educati in un differente ambiente socio-culturale,
magari sviluppando altri e diversi quadri psicopatologici, ma non il DBP.
Per verificare il ruolo causale di tali fattori culturali nell’esordio del DBP sarebbe opportuno un lavoro epidemiologico,
condotto in nazioni con diverse culture.
Disturbi del tono dell’umore
Il rapporto tra BPD e disturbi del tono dell’umore è stato ripetutamente studiato. Va sottolineato che è importante tenere
nel giusto rilievo non solo l’eterogeneità eziologica, ma anche la variabilità dei campioni esaminati in questi studi. Nel
gruppo di pazienti con DBP che ha partecipato ad uno studio di follow-up (P.I.-500) le storie d’abuso erano scarsamente
presenti, mentre un disturbo affettivo tra parenti di primo grado era invece piuttosto frequente e circa l’8,5% dei pazienti
con DBP ha sviluppato, dopo vari anni dalla dimissione, una malattia affettiva unipolare o bipolare (25, 36). In oltre la
metà di un campione di pazienti australiane è stata riscontrata una storia d’incesto. Includendo anche l’abuso fisico e le
estreme umiliazioni, da parte di chi avrebbe dovuto prendersi cura di loro in età infantile, il fattore “abuso” era presente
nella storia di circa il 90% dei pazienti (3, 30, 35). In questo studio, la presenza di una malattia affettiva grave è stata
rilevata in un numero limitato di parenti di primo grado dei pazienti con DBP, inoltre, nei pazienti con disturbi depressivi,
era difficile dirimere l’effetto patogenetico dei fattori biologici dall’effetto degli eventi stressanti di vita. In Giappone, hanno
evidenziato che tali pazienti presentano comportamenti suicidari aggravati dalla solitudine e/o dalla lontananza dagli
stretti legami familiari oppure in rapporto al rifiuto subito in una relazione sentimentale, diversamente da entrambi i gruppi
dei pazienti con DBP già citati (37). Inoltre, in Giappone è raro riscontrare una storia d’abuso fisico o sessuale
nell’infanzia di questi pazienti con DBP. Queste considerazioni dimostrano come diversi studiosi tendono ad attribuire
diversa rilevanza a differenti fattori eziopatogenetici coinvolti nelle genesi del DBP, anche in funzione della diversa
cultura di provenienza. Nessuna teoria del quadro causale del DBP sarà possibile formulare fino a quando non si riuscirà
ad allontanarsi da orizzonti di ricerca ristretti, valutando i campioni raccolti in diverse società e culture. Un consistente
numero di pubblicazioni tratta il complesso problema del rapporto tra la patologia affettiva e il DBP (37). La comorbidità
tra DBP e disturbo affettivo è talmente frequente da aver indotto numerosi studiosi a formulare l’ipotesi che il DBP
rappresenti solo una forma cronica e sottosoglia di disturbo affettivo. I pazienti con DBP e distimia hanno bisogno di un
più alto numero di ricoveri e manifestano una maggior frequenza di sintomi di scissione, sintomi suicidari, dipendenza e
noia, rispetto ai pazienti con DBP che non manifestano distimia concomitante (38). Tal evidenza ha portato questi
studiosi alla conclusione che il DBP è eziologicamente eterogeneo ed include, probabilmente, diverse varietà di disturbi
depressivi e di personalità, con differenti livelli di funzionamento socio-lavorativo e d’outcome.
Comportamenti aggressivi ed impulsivi
Una delle principali caratteristiche sintomatologiche del DBP è rappresentata dalla rabbia inappropriata, intensa ed
incontrollata. Questa rabbia può presentarsi con diverse espressioni cliniche, come: ostilità omnipervasiva, esplosioni di
rabbia transitoria ed incontrollabile, permalosità eccessiva. Secondo alcuni studiosi, tale aggressività potrebbe avere
correlati rilevanti di tipo neurologico (39).
L’ambiente clinico è sicuramente indicato per esaminare i tratti comportamentali costanti ma non per valutare i tratti
comportamentali episodici, secondo Gardner e Cowdry (40).
Lo studio del flusso ematico cerebrale e l’utilizzo della metodica PET (positron-emission tomography) per ovvi motivi
clinici ed etici, non sono stati applicati su pazienti con DBP, in un momento d’esplosione di rabbia. Ciò nonostante,
recenti studi in letteratura sull’aggressività prendono in considerazione la sintomatologia aggressiva presente nei
soggetti affetti da DBP.
In uno studio su 128 carcerati violenti, Merikangas (41) ha enucleato tre fattori principali alla base del comportamento
aggressivo: 1. il fattore pulsionale (drive), 2. la suscettibilità allo stimolo (soglia) e 3. la capacità d’inibizione della risposta
(controllo). Alti livelli pulsionali, bassa soglia di reazione e incapacità d’inibire la risposta aggressiva erano tutti fattori
associati a più frequenti atti di violenza. Era, talora, evidente una suscettibilità patologica che induceva a rispondere in
modo aggressivo anche a minacce minime.
Frequentemente sono presenti epilessia, anomalie bioelettriche cerebrali e altri segni di danno cerebrale. Simili anomalie
sono state evidenziate da Andrulonis et al. (42) nel loro campione di pazienti affetti da DBP, costituito in prevalenza da
giovani maschi, con episodico disturbo del controllo degli impulsi, rappresentato, soprattutto, da aggressività impulsiva.
Applicando il suo modello di “information processing” per l’aggressività, Huesman (43) sostiene l’ipotesi dell’esistenza di
stili di comportamento aggressivo (copioni compor-tamentali) acquisiti nell’infanzia e tendenti a resistere ad ogni
cambiamento.
Alcuni soggetti, inoltre, dopo aver subito violenze o dopo esserne stati diretti testimoni, diventano aggressivi e
presentano la tendenza ad evocare risposte aggressive negli altri, con atteggiamenti di derisione o di minaccia,
difendendosi, così, dalla paura latente evocata dal rapporto sociale e rinforzando, in se stessi, la convinzione acritica che
“gli altri sono sempre pericolosi” (44).
Se non è criticato questo tipo d’apprendimento reiterato può costruire una modalità d’interpretazione delle comunicazioni
sociali tendenzialmente persistente, che induce al comportamento aggressivo.
I soggetti con DBP, soprattutto quelli che hanno subito violenze fisiche o sessuali, tendono a reagire a stimoli sociali
neutri, interpretati come potenzialmente pericolosi, con comportamenti aggressivi subitanei volti a prevenire e/o punire
atteggiamenti altrui potenzialmente negativi, in una sorta di cortocircuito comportamentale, ispirato ad una sorta di
filosofia di vita del tipo “chi aggredisce per primo si salva”.
In alcune situazioni, tale modalità di risposta impulsiva ed immediata, acquisita per apprendimento e, probabilmente,
condizionata da fattori neurobiologici, può condurre a comportamenti gravemente violenti. Fra i 285 pazienti “borderline”
inclusi nello studio P.I.-500, quattro maschi avevano ucciso una o più volte nel periodo di follow-up.
Il comportamento aggressivo è un comportamento arcaico, volto alla sopravvivenza dell’individuo, controllato da strutture
cerebrali filogeneticamente antiche. Ciò nonostante presenta una sua intrinseca complessità declinandosi in diversi
aspetti, secondo Valzelli (45). L’aggressività territoriale, quella competitiva, quella predatoria, quella protettivo-materna, e
quella protettivo-difensiva possono essere significativamente differenti sul piano psico-comportamentale e
neurobiologico. Nell’ambito di ciascuno di questi aspetti possono essere coinvolte diverse strutture cerebrali, con alcune
specificità per un tipo particolare d’aggressività, ma anche con alcune sovrapposizioni neuro-funzionali tra le diverse
forme d’aggressività.
L’aggressività protettivo-difensiva è particolarmente rilevante nello studio dei soggetti con DBP. Questa forma
d’aggressività è evocata dall’attacco, reale o presunto, di un avversario. In laboratorio si studia dopo aver somministrato
stimoli dolorosi o avversivi ad animali da esperimento solitamente ristretti in coppia in un unico ambiente. L’aggressività
protettivo-difensiva solitamente si presenta con intensità sproporzionata allo stimolo offensivo (l’accesso di rabbia
reattiva del paziente con DBP), ma, anche, con la tendenza ad aggredire non chi direttamente reca un’offesa, ma spesso
solo chi n’esprime un innocuo equivalente simbolico.
Nei soggetti con DBP gli abusi subiti nell’infanzia potrebbero plasmare nel sistema nervoso una circuitazione paleo-
archi-corticale, in costante preallarme, predisposta a reagire sul piano comportamentale, in tempi rapidissimi e con
modalità eccessive, a minacce reali o presunte. Le strutture neurologiche correlate funzionalmente a questi pattern
d’attivazione e reattività del Sistema Nervoso Centrale (SNC) sono state studiate, negli ultimi decenni, con risultati
interessanti sul piano euristico e clinico.
FATTORI GENETICI E STUDI SULLE FAMIGLIE
Negli studi sulla famiglia, se una maggior prevalenza di un disturbo psicopatologico si manifesta nei parenti naturali dei
probandi, portatori di tale disturbo, ne viene confermata la familiarità (46). Gli studi sulla famiglia non differenziano i
fattori ambientali da quelli genetici. La ricerca di tale differenziazione richiede altri metodi e campi di ricerca, come gli
studi su gemelli o sulle adozioni.
Alcuni ricercatori hanno svolto studi sulla famiglia per verificare se il DBP è più frequentemente nelle famiglie di pazienti,
in cui qualche componente è affetto da DBP. Questi studi (23, 47-50) hanno evidenziato anche una maggiore frequenza
in queste famiglie d’altri disturbi del controllo degli impulsi. In tutti questi studi è stata evidenziata una maggior
prevalenza di DBP tra i componenti delle famiglie di pazienti con DBP.
I parenti di primo grado di pazienti con DBP sono stati messi a confronto con i parenti di primo grado di pazienti con altri
disturbi di personalità e con i parenti di primo grado di pazienti schizofrenici maschi (51). L’instabilità affettiva cronica e
l’impulsività cronica sono risultate significativamente più evidenti nei parenti di pazienti con DBP rispetto ai gruppi di
controllo. Questi Autori hanno suggerito, perciò, per gli studi futuri, un esame più approfondito dei tratti comportamentali
di base anziché la mera diagnosi di DBP. Vari studi hanno evidenziato una prevalenza del disturbo borderline di
personalità nei parenti di primo grado, del paziente designato.
Gli studi familiari hanno evidenziato, inoltre, nelle famiglie dei pazienti con DBP più alta incidenza di:
· schizofrenia (52);
· disturbi affettivi (25);
· abuso di sostanze e personalità antisociale (10).
In sintesi diverse osservazioni cliniche rilevanti hanno dimostrato che:
1. il DBP si manifesta più frequentemente nelle famiglie di pazienti con DBP, che nelle famiglie di pazienti affetti da
schizofrenia, disturbo bipolare, distimia, personalità schizotipica o antisociale;
2. nelle famiglie di pazienti con DBP c’è solo un aumento lieve della prevalenza di schizofrenia;
3. nei parenti di primo grado di pazienti con DBP si manifestano frequentemente tendenze all’alcolismo e all’abuso di
sostanze;
4. la maggior parte delle prove non evidenzia un rapporto specifico fra DBP e disturbo affettivo, tranne che per pazienti
borderline con storia di concomitante depressione maggiore.
Studi su gemelli, adozioni e analisi di segregazione.
Torgersen (27), in uno studio su gemelli, ha valutato il peso dei fattori genetici nello sviluppo del disturbo di personalità
schizotipico e/o borderline. Le diagnosi psicopatologiche dei gemelli erano state effettuate in accordo con i criteri del
DSM-III. Il clinico in fase diagnostica non sapeva del carattere di monozigosi o dizigosi dei gemelli. Su 69 probandi con
diagnosi di disturbo di personalità, solo dieci presentavano un DBP. I risultati non sembrano sostenere un’eziologia
genetica del DBP. Infatti, nessuno dei tre rispettivi gemelli monozigoti di probandi con DBP e solo due dei sette rispettivi
cogemelli dizigoti presentavano il DBP.
Altri efficaci metodi di ricerca, utilizzati per evidenziare il contributo rispettivo dell’ereditarietà e dell’ambiente nell’ezio-
patogenesi dei disturbi psicopatologici, sono rappresentati dagli studi sulle adozioni (53). Sono stati effettuati diversi studi
specifici, con differenti metodologie.
Negli “studi della famiglia naturale degli adottati problematici” vengono confrontati i parenti naturali di figli adottivi
patologici, con il gruppo di controllo, di parenti naturali di figli adottivi non patologici. La diversa prevalenza fra i parenti di
famiglie naturali e di controllo fornisce una valutazione dei fattori genetici e ambientali.
Negli “studi sugli adottati” sono confrontate le prevalenze di un disturbo fra figli adottivi nati da genitori patologici e non
patologici.
Negli studi “cross-fostering” i figli adottivi, nati da genitori patologici, sono confrontati con i figli adottivi, nati da genitori
non patologici, ma cresciuti con un genitore adottivo affetto dal disturbo in esame (53). Gli studi sulle adozioni hanno
evidenziato l’importanza dei fattori genetici nell’eziologia dell’alcolismo, tuttavia, prove meno consistenti sono state
raccolte per sostenere che anche il disturbo antisociale di personalità sia geneticamente trasmesso. Non è stato ancora
pubblicato alcuno studio sulle adozioni che abbia valutato con rigore scientifico genitori o figli adottivi con diagnosi di
DBP. L’adozione di figli di genitori borderline avviene frequentemente. Soprattutto alla madre borderline è spesso negata
la tutela dei propri figli. In un campione di gemelli dello stesso sesso, Torgersen (27) ha studiato, in differenti disturbi di
personalità, il ruolo svolto da fattori ereditari e ambientali. Il fattore denominato “impulsività-aggressività” fu considerato,
da quest’autore, fattore ambientale, derivante dal contesto familiare e educativo, nonché dal modello culturale di
riferimento, più che da fattori genetici.
I quattro principali modelli genetici dell’ereditarietà (autosomico dominante, autosomico recessivo, poligenico e legato al
cromosoma X) sono stati sottoposti ad analisi di segregazione. Questi modelli sono stati applicati nella ricerca della
comparsa di malattia psichiatrica, nei parenti di primo grado, di pazienti con DBP. Nessuno di questi modelli è stato
validato nel confronto tra prevalenze ed incidenze attese e osservate di fratelli/sorelle o figli con psicopatologia in atto.
Queste considerazioni non vanno considerate come definitive. Esse rilevano la necessità d’ulteriori studi su gemelli e
adozioni, alla ricerca del ruolo dei fattori genetici nell’ezio-patogenesi del DBP. Va rilevata la più alta incidenza di DBP
nelle famiglie di pazienti con DBP. Rimane ancora incerta la presenza di uno specifico fenotipo, quale espressione della
patologia ereditata nel DBP. Una critica più radicale alla ricerca di correlati genetici del DBP va fatta, in quest’ambito, al
concetto diagnostico stesso di DBP. Probabilmente esiste una specifica ereditarietà per aspetti sintomatici specifici, quali
impulsività, instabilità emotiva, disturbi dissociativi, aggressività, ma non per il DBP, in quanto tale. Ciò non dovrebbe
portare alla conclusione di una ininfluenza dei fattori genetici nella ezio-patogenesi del disturbo. Al contrario, dovrebbe
far riflettere i clinici sulla stessa esistenza del DBP, in quanto entità nosografica. Probabilmente, il futuro della ricerca
genetica, in questo settore, ma anche in tutto l’ambito diagnostico psichiatrico, ci fornirà informazioni rilevanti e
rivoluzionarie. In quelle che attualmente consideriamo entità nosografiche psichiatriche potrebbero svolgere un ruolo
specifico diversi quadri eziologici genetici. D’altronde, non è improbabile che uno stesso danno genetico possa
contribuire alla vulnerabilità specifica per diversi disturbi psicopatologici, nosograficamente distanti nelle convenzioni
diagnostiche, che sono oggi largamente condivise, in ambito clinico.
I dati di ricerca, attualmente disponibili, sembrano maggiormente orientati a sostenere l’ipotesi che gli eventi traumatici,
quindi i fattori ambientali, svolgano un ruolo ezio-patogenetico nell’insorgenza del DBP (54). Diverse evidenze
scientifiche dimostrano che la presenza di uno o più genitori affetti da psicopatologia può associarsi significativamente
ad episodi d’abuso infantile. In breve, numerose prove raccolte indicano che il DBP consegue all’aver vissuto la propria
infanzia con genitori affetti da una patologia mentale. La malattia psichiatrica genitoriale, l’instabilità affettiva e i
conseguenti comportamenti traumatizzanti sarebbero, in questa prospettiva, elementi predittivi di un significativo disturbo
dello sviluppo nell’infanzia e nell’adolescenza e, quindi, di un conseguente disturbo borderline di personalità, nell’età
adulta. Non va, comunque, sottovalutato, anche in quest’ambito di ricerche, il ruolo della vulnerabilità specifica e delle
basi genetiche che a questa vulnerabilità possono essere sottese.
DISFUNZIONI CEREBRALI CORRELATE AL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA’
Le disfunzioni cerebrali, presenti nel DBP, includono:
· i danni cerebrali neurologici;
· i deficit neuropsicologici;
· la specifica neuro-biologia del disturbo con lo studio delle anomalie neuro-comportamentali e delle alterazioni del
funzionamento cerebrale, in risposta al trattamento.
L’associazione fra personalità borderline e disfunzioni cerebrali è stata valutata, con diversi metodi di ricerca
sperimentale, su pazienti e gruppi di controllo. Alcuni studi hanno confrontato la prevalenza di danni cerebrali, in pazienti
con DBP, confrontandola con la prevalenza, di tali danni, in pazienti con altre diagnosi. Altri studi hanno utilizzato
tecniche investigative e diagnostiche specifiche, per verificare la presenza di una disfunzione cerebrale nei pazienti con
personalità borderline.
Presenza di disfunzioni cerebrali in pazienti con DBP rispetto ad altri pazienti
Alcuni dati preliminari hanno suggerito la presenza di un danno cerebrale nel 29% delle femmine e nel 56% dei maschi
affetti da DBP (42). Questo gruppo di pazienti con “danno d’organo” poteva essere distinto in due sottogruppi. Un
sottogruppo, con disfunzioni cerebrali minime, includeva pazienti con anamnesi positiva per il disturbo da deficit
dell’attenzione e per le difficoltà d’apprendimento. Un secondo sottogruppo includeva pazienti che avevano danni
cerebrali conseguenti o correlabili ad epilessia, traumi ed encefaliti.
In uno studio, i pazienti borderline con “danno d’organo” presentavano:
- esordio precoce della malattia;
- frequenti acting out;
- alta incidenza d’abuso di sostanze in famiglia.
Questo studio riguardava un gruppo di pazienti resistenti al trattamento, trattati in aperto, in cui non era stato previsto un
gruppo di controllo (55).
In uno studio di follow-up sono stati studiati pazienti con DBP e pazienti con diagnosi di schizofrenia, secondo i criteri
previsti dal DSM-III, accoppiati per sesso ed età (56). La percentuale di pazienti con DBP, maschi e femmine, che
avevano avuto un danno cerebrale, era sostanzialmente sovrapponibile alla percentuale riscontrata in precedenza (42). I
pazienti schizofrenici avevano meno danni cerebrali, rispetto ai pazienti con DBP (56).
Andrulonis e Vogel (57) hanno studiato l’incidenza di “danno d’organo”, confrontando i pazienti con DBP, con due gruppi
di controllo, uno costituito da pazienti con schizofrenia e uno costituito da pazienti con disturbi affettivi. I pazienti con
personalità borderline presentavano un danno d’organo nel 40% dei maschi e nel 14 % delle femmine. Solo il 25% dei
pazienti schizofrenici e solo i1 7% dei pazienti con disturbi affettivi avevano segni, sintomi o storie di danno cerebrale
acquisito. La prevalenza di danni cerebrali, riscontrata nei borderline maschi rispetto alle femmine, non fu evidenziata nei
gruppi di controllo, che non avevano differenze legate al sesso.
Soloff e Millward (58-59) hanno esaminato un gruppo di pazienti selezionati con l’Intervista Diagnostica per Borderline
(60), a confronto sia con pazienti con diagnosi di depressione maggiore sia con pazienti con diagnosi di schizofrenia. Gli
elementi significativamente più frequenti tra i soggetti con DBP risultarono essere le complicazioni prenatali, con un
17,8% dei pazienti con DBP vs 0,05% dei pazienti schizofrenici e 4,8% dei soggetti di controllo depressi. Questo studio
non manca di qualche significativo “bias”, cioè l’assenza di un’osservazione in cieco, un’eccessiva fiducia nei dati raccolti
in modo retrospettivo e criteri diagnostici poco definiti, per i disturbi dello sviluppo neurologico.
Un gruppo di pazienti, affetti da un disturbo borderline di personalità, ricoverati in un ospedale per veterani, è stato
studiato da Van Reekum e collaboratori (39). Secondo questo studio retrospettivo 1’81% dei pazienti con DBP, rispetto
al solo 22% dei pazienti di controllo (P<0,0001), presentava una storia certa di ritardo dello sviluppo (44% dei pazienti
con DBP) oppure di danno acquisito al Sistema Nervoso Centrale (58% dei pazienti con DBP). Nell’ambito del “ritardo
dello sviluppo” erano inclusi: il disturbo da deficit dell’attenzione, il disturbo dell’apprendimento e gli altri ritardi dello
sviluppo mentale. I danni al SNC acquisiti includevano gli effetti di traumi, le crisi epilettiche e altre lesioni del SNC, quali:
tumori; idrocefalo; encefalite. Questo studio presenta risultati largamente simili a quelli di Andrulonis et al. (42) e
presenta, anch’esso, dei limiti metodologici legati alla mancanza di un disegno in cieco e di uno studio dei fattori che
potrebbero aver influenzato la scelta del campione e la disponibilità dei dati anamnestici necessari.
La comorbidità tra DBP ed epilessia è stata studiata (61-62). Mendez et al. (63), in uno studio su quest’associazione,
hanno esaminato pazienti ricoverati presso l’University Hospital of Cleveland, negli anni fra il 1981 e il 1987, in seguito a
tentativi di suicidio, per overdose. Il 45,5% dei pazienti epilettici presentava un DBP, contro il 13,6% dei soggetti di
controllo (P<0,0l). Una maggior prevalenza di psicosi (P = 0,06) ed una minor capacità d’adattamento (P<0,05) è stata
evidenziata, nel gruppo di pazienti epilettici, rispetto al gruppo di controllo. L’incidenza di depressione e disturbi
dell’umore era sostanzialmente sovrapponibile nei due gruppi.
Studi neurologici prospettici del disturbo borderline di personalità
Uno studio ha rilevato una maggior presenza d’anomalie bioelettriche cerebrali all’elettroencefalogramma (EEG) in
soggetti con DBP, rispetto a soggetti di controllo depressi (64). Un altro studio ha evidenziato una prevalenza d’anomalie
all’EEG in pazienti borderline, rispetto a soggetti di controllo distimici (65). Una più marcata prevalenza d’anomalie
bioelettriche cerebrali è stata riscontrata in altri studi che hanno confrontato pazienti con DBP e pazienti con altre
diagnosi psichiatriche, incluse le diagnosi di Asse II (66). La prevalenza delle anomalie bioelettriche cerebrali, di
qualsiasi natura ed entità, nei soggetti con DBP, è risultata variare dal 18,8% al 59% (66). Anomalie bioelettriche più
specifiche o gravi sono state registrate in percentuali incluse tra il 13% (66) ed il 41% (64). Nei pazienti borderline non
sono stati evidenziati specifici aspetti, per sede o natura, delle anomalie EEG. Inoltre, non è conosciuto il tipo di
relazione esistente tra queste anomalie bioelettriche cerebrali e le alterazioni psico-comporlamentali tipiche del paziente
con DBP.
La prevalenza di crisi epilettiche parziali complesse è stata studiata da Cowdry et al. (64) in una popolazione di pazienti
con DBP. La raccolta di prove cliniche, a favore del fenomeno epilettico, ha supportato un’interpretazione, in senso ezio-
patogenetico, delle anomalie bioelettriche cerebrali, presenti nei soggetti con personalità borderline, secondo questi
autori.
La ricerca d’anomalie cerebrali strutturali in pazienti con DBP è stata effettuata con la metodica della tomografia
computerizzata (TC) (67-68). Snyder et al. (69) hanno esaminato le TC di pazienti con DBP senza riscontrare anomalie
anatomiche. Schulz (68) ha confrontato le TC di pazienti con DBP, di un gruppo di pazienti schizofrenici e di una
popolazione normale di controllo. Il volume dei ventricoli cerebrali dei pazienti schizofrenici è risultato significativamente
maggiore, rispetto agli altri due gruppi. In particolare, i soggetti con DBP e i soggetti normali di controllo non
presentavano differenze significative. In uno studio in cieco, Lucas et al. (70) hanno studiato pazienti con DBP e soggetti
di controllo normali, senza evidenziare differenze significative nelle dimensioni dei ventricoli cerebrali, né altre variazioni
anatomiche, degne di nota. Solo in un piccolo gruppo di pazienti con DBP, sottoposto ad esame TC, van Reekum et al.
(39) hanno evidenziato una più alta presenza d’anomalie. La mancata rilevazione alla TC di segni patologici, nei soggetti
con personalità borderline, non esclude la possibilità che nel DBP è presente una sottostante patofisiologia cerebrale.
Molti altri disturbi cerebrali, spesso associati al disturbo borderline di personalità, quali gli esiti di danno cerebrale su
base traumatica, l’epilessia, il disturbo da deficit dell’attenzione, i disturbi dell’apprendimento non presentano specifici
quadri patologici alla TC.
Sono stati condotti studi più sofisticati d’approfondimento diagnostico neurofisiopatologico. Chapin et al. (71) hanno
studiato i tempi di reazione, confrontando fra loro pazienti con DBP e pazienti affetti da altre quattro diverse psico-
patologie. In questo studio i pazienti con DBP presentavano risultati, significativamente diversi, dai pazienti schizofrenici
e dai pazienti con disturbo schizotipico di personalità. I tempi di latenza dei soggetti con DBP differivano
significativamente da quelli dei pazienti schizotipici e da quelli dei soggetti di controllo normali. I dati raccolti, su pazienti
con DBP, non differivano da quelli raccolti, su pazienti con depressione maggiore. Gli autori hanno, quindi, concluso che
i soggetti con personalità borderline hanno pattern neurofisiopatologici diversi dai soggetti schizotipici.
Kutcher et al. (72), studiando la P300 e altri potenziali evocati cerebrali a lunga latenza, hanno dimostrato, nei pazienti
con DBP e nei pazienti schizofrenici “disfunzioni di neuro-integrazione acustica”. I pazienti con DBP presentavano una
latenza della P300 più lunga con un’ampiezza più bassa. Questi dati sono stati evidenziati nei soggetti con DBP e nei
soggetti schizofrenici, in contrasto con quanto registrato nei soggetti normali, nei depressi e nei pazienti con disturbi di
personalità non borderline. Questi dati non identificano spazialmente la disfunzione cerebrale e non chiariscono il
significato delle affinità neuro-biologiche tra DBP e schizofrenia.
Gardner et al. (73) hanno esaminato, in aperto, un gruppo di donne con DBP, valutando i segni neurologici minori, in
confronto con soggetti normali di controllo. Il gruppo di soggetti con DBP aveva più numerosi ed evidenti segni
neurologici minori rispetto ai soggetti sani di controllo (P<0,02). Una differenza significativa tra i soggetti con DBP (65%)
e i soggetti di controllo (32%, P<0,05) è stata evidenziata, utilizzando un cut-off di due o più segni neurologici minori.
(74-75)
In sintesi, gli studi sui correlati neuro-biologici del DBP suggeriscono la presenza di una disfunzione cerebrale, lieve, non
focale, in assenza di grossolane alterazioni strutturali anatomiche. I dati raccolti sono, comunque, non sufficienti per
permettere una chiara interpretazione dei risultati. Saranno opportuni ulteriori e più sofisticati studi, con l’utilizzo di
tecnologie più sensibili, nell’esplorazione del funzionamento cerebrale, in quest’ambito di ricerca, nel futuro.
Studi di neuropsicologia del DBP
Pochi studi sono stati effettuati alla ricerca dei correlati neuro-psicologici del DBP. Cornelius et al. (55) li hanno studiati,
escludendo dal loro campione di pazienti con DBP, i pazienti in cui era verosimile riscontrare una “organicità manifesta”
ed i pazienti con deficit intellettivo. In questi pazienti, affetti da DBP “non organici”, le prove di memoria, linguaggio,
funzionamento motorio e visuo-spaziale sono risultate normali. Tali risultati non devono meravigliare, considerati i criteri
d’inclusione nello studio del campione esaminato. I disturbi clinici dei pazienti con DBP non suggeriscono la presenza
d’anomalie motorie, del linguaggio, della memoria e del funzionamento visuo-spaziale. Al contrario, ciò che è più
evidente, nei pazienti con DBP, è l’impulsività, il comportamento auto-mutilante, l’instabilità emotiva ed affettiva. Tali
comportamenti suggeriscono un coinvolgimento funzionale, nella loro genesi, delle regioni limbiche e frontali.
Van Reekum et al. (39) hanno studiato un gruppo di l0 soggetti con DBP, somministrando una serie di tests
neuropsicologici. I risultati, interpretati in cieco rispetto alla condizione di DBP, hanno evidenziato, su nove pazienti che
avevano completato la batteria di tests, che ben sette presentavano segni neuropsicologici di deficit frontale. I deficit
ineludevano: impulsività; bassa elasticità cognitiva; insufficiente autocontrollo; tendenza alla perseverazione. Questi dati
sono stati ottenuti mediante Wisconsin Card Sort (76), Trails B (77), test della Figura Complessa di Rey Osterreith (78).
Gli altri test neuropsicologici somministrati non hanno dato risultati patologici. Questi dati, in conclusione, sembrano
confermare la presenza di deficit neuropsicologici, correlati alla regione frontale.
Studio della correlazione tra danno cerebrale e DBP.
La forza dell’associazione tra disfunzioni cerebrali e disturbo borderline di personalità può essere valutata, utilizzando i
criteri di causalità formulati da Hill, nel 1965, (79) vale a dire:
· forza dell’associazione;
· coerenza dei risultati;
· specificità causale;
· rapporto temporale;
· gradiente biologico;
· plausibilità biologica;
· risultati sperimentali e clinici.
Gli studi epidemiologici, le ricerche neurofisiopatologiche e neurologiche, i test neuropsicologici evidenziano una
possibile associazione tra danno cerebrale e disturbo borderline di personalità. Una larga percentuale degli studi
effettuati ha evidenziato una disfunzione cerebrale in un largo numero di pazienti con DBP. Ad oggi manca la certezza di
un rapporto causale specifico. La complessità delle variabili e delle loro interazioni, sin qui evidenziate, giustificano,
almeno in parte, le diverse ipotesi patogenetiche avanzate. Deficit cerebrali specifici sono stati ipotizzati nell’ezio-
patogenesi d’altri disturbi psicopatologici, come il disturbo antisociale di personalità e la schizofrenia. Lo studio del
rapporto temporale tra disfunzione cerebrale e successivo esordio del DBP richiede studi prospettici, attualmente non
disponibili, nella letteratura scientifica internazionale. È verosimile, inoltre, che il disturbo del controllo degli impulsi,
associato, per esempio all’abuso di sostanze, possa indurre, nei pazienti con DBP, danni cerebrali organici o traumatici.
In tal caso, la presenza di disfunzioni cerebrali potrebbe conseguire al disturbo e non causarlo. Ciò nonostante, i danni
cerebrali potrebbero accentuare i tratti di carattere e, probabilmente, potrebbero necessitare di un trattamento integrato
multimodale, specifico e personalizzato (80-85).
L’esistenza di un gradiente biologico, per cui ad un aumento delle disfunzioni cerebrali si associa un aumento della
gravità del DBP, è stato evidenziato solo da van Reekum et al. (39) che hanno correlato direttamente il numero di
disfunzioni cerebrali con il punteggio ottenuto alla DIB (Intervista Diagnostica per Borderline), nel loro campione di
pazienti studiati.
La plausibilità biologica dell’ipotesi per cui una disfunzione cerebrale può indurre effetti comportamentali è già acquisita
in base ai numerosi studi sul danno traumatico cerebrale, sull’epilessia e sulle alterazioni dello sviluppo neuro-cognitivo.
Numerose scale di valutazione clinica del DBP, per esempio, presentano un significativo “overlapping” con quelle
utilizzate per valutare gli effetti comportamentali dei danni cerebrali (86-87). I dati degli studi neuro-psicologici indicano la
presenza di deficit frontali e, soprattutto, del sistema orbito-limbico-frontale. Questo dati sono, sostanzialmente, in
accordo con gli effetti evidenziati in seguito a danno traumatico cerebrale (88) ed in rapporto al disturbo da deficit
dell’attenzione (89-91). Per esempio, la descrizione clinica fornita da Cummings (92) sugli effetti comportamentali delle
lesioni orbito-frontali è molto simile al comportamento dei pazienti con DBP. “Lesioni in questa regione sembrano
separare i sistemi di controllo frontali dall’input limbico, dando come risultato una sindrome di comportamenti disinibiti, in
cui gli impulsi sono agiti senza alcuna considerazione delle loro conseguenze, e, in cui si manifestano azioni antisociali e
con labilità emotiva molto evidente”. È, quindi, verosimile che una disfunzione del sistema orbito-limbico-frontale (93-95)
possa essere considerato il principale fattore ezio-patogenetico del DBP, almeno in una sottopopolazione di soggetti con
personalità borderline.
Le verifiche sperimentali, sul ruolo svolto dalla disfunzione cerebrale nell’ezio-patogenesi del disturbo borderline di
personalità, sono fortemente limitate da fattori etici. In alcuni studi osservazionali clinici, l’uso di diversi trattamenti
farmacologici ha indotto a considerazioni significative, anche in termini d’interpretazione ezio-patogenetica. Alcuni
studiosi hanno evidenziato l’efficacia del metilfenidato su un paziente con disturbo borderline di personalità e
consensuale disturbo da deficit dell’attenzione (96). In uno studio controllato, altri studiosi hanno evidenziato un
miglioramento soggettivo e comportamentale, in un gruppo di pazienti con disturbo da deficit dell’attenzione, in età
adulta, dopo analogo trattamento (97). In un altro studio clinico randomizzato in doppio-cieco è stato evidenziato un
miglioramento clinico, somministrando carbamazepina, su 16 soggetti, di sesso femminile, con DBP (64). Una verifica
sperimentale specifica potrebbe derivare da studi che correlassero i miglioramenti della disfunzione cerebrale con il
miglioramento del funzionamento comportamentale. In analogia con quanto provato per il disturbo antisociale di
personalità, disturbo frequentemente sovrapposto al disturbo borderline di personalità (98), i risultati di questi studi
osservazionali, dopo somministrazione di trattamenti farmacologici, dimostrano come la disfunzione cerebrale svolga un
ruolo patogeneticamente rilevante nel disturbo borderline di personalità (99).
Ruolo ezio-patogenetico delle disfunzioni cerebrali nel determinismo clinico del DBP
I risultati di numerosi studi in letteratura scientifica suggeriscono che le disfunzioni cerebrali possono influire
significativamente sui comportamenti psico-patologici del DBP, inducendoli o aggravandoli. L’ipotesi che le disfunzioni
cerebrali possano determinare i comportamenti psico-patologici può essere sostenuta sulla base degli studi effettuati
sulle lesioni orbito-frontali (92). E’ plausibile, comunque, che, per indurre stabili cambiamenti comportamentali, le
disfunzioni cerebrali debbano interagire con fattori legati all’ambiente ed all’apprendimento (93-95). Quest’interazione
risulta, ovviamente, di difficile studio, senza adeguati studi prospettici, che permettono, contemporaneamente, la
valutazione, qualitativa e quantitativa, delle disfunzioni cerebrali, dei fattori ambientali e dei fattori d’apprendimento
implicati.
Ciò nonostante, nei pazienti con DBP, disturbi cerebrali e deficit cognitivi sono stati, ripetutamente, evidenziati ed
andrebbero sempre ricercati, nella pratica clinica. Tali anomalie neuro-funzionali potrebbero essere, frequentemente,
riscontrate nei pazienti con più gravi disturbi comportamentali.
Queste considerazioni ezio-patogenetiche hanno, infatti, evidenti implicazioni clinico-terapeutiche Linehan (100). La
riabilitazione comportamentale dei pazienti con DBP dovrebbe, infatti, permettere modificazioni clinicamente rilevanti dei
deficit cognitivi e comportamentali, d’ogni paziente. Un trattamento farmacologici, specifico e personalizzato, dei disturbi
neuro-biologici sottostanti risulta, in questa prospettiva, opportuno e necessario. I pazienti con deficit dell’attenzione ed
iperattività (101) potrebbero giovarsi dell’assunzione di metilfenidato e psicostimolanti. I pazienti con disturbo epilettico
potrebbero essere trattati con carbamazepina ed altri antiepilettici, stabilizzatori dell’umore (99).
La prevenzione degli “acting-out” e dei più importanti disturbi impulsivi, in soggetti con disturbi cerebrali ad alto rischio,
potrebbe avvalersi dello specifico trattamento del disturbo cerebrale, associato con opportuni interventi psico-
educazionali sulla famiglia e/o psicoterapeutici, utilizzando strumenti d’intervento fruibili, anche da chi presenta
limitazioni cognitive evidenti.
NEURO-BIOLOGIA DEL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ.
L’ipotesi di un’eziologia neuro-biologica del disturbo borderline di personalità sottintende che nell’individuo ci siano dei
fattori endogeni, su base genetica o acquisiti, che provocano disfunzioni cerebrali e, di conseguenza, specifici disturbi
comportamentali.
Una visione dell’uomo, che non tenga conto dell’influenza esercitata sul comportamento sia da fattori ambientali sia da
fattori costituzionali, è sicuramente riduttiva e semplicistica.
Di seguito saranno esaminati i dati ottenuti dalla ricerca scientifica, sui fattori genetici implicati nell’eziologia del disturbo
borderline di personalità, ma, anche, i dati sulle disfunzioni cerebrali acquisite che possono svolgere un ruolo ezio-
patogenetico sull’insorgenza del disturbo.
Verranno, inoltre, considerati i marker biochimici, che potranno rivelare eventuali fattori patogenetici comuni fra DBP e
altri disturbi psicopatologici, suggerendo i possibili meccanismi fìsiopatologici sottesi al DBP. Ciò può contribuire alla
comprensione di come fattori genetici o acquisiti possano interagire nello sviluppo del DBP.
Alcuni segni patologici minori di tipo neurologico sono stati associati alle anomalie comportamentali, nei pazienti con
DBP da Gardner et al. (73).
Anomalie del potenziale evocato acustico P300 nel DBP sono state correlate all’aggressività impulsiva, che si osserva
nel DBP (102). Il potenziale evocato acustico P300 sembra essere in rapporto con il processo d’elaborazione cognitiva
degli stimoli (103). Non è stata, però, dimostrata una specificità di questo dato neuro-fisiologico nel differenziare i
pazienti affetti da DBP dai pazienti con altri disturbi di personalità o con altri disturbi affettivi. Ulteriori studi saranno
necessari per determinare se le alterazioni del P300, riscontrate nei pazienti con DBP, siano conseguenti all’espressione
clinica del disturbo oppure rappresentino un vero e proprio marker di vulnerabilità (104). Una latenza P300,
particolarmente lunga, si correla con l’incapacità di strutturare risposte condizionate a stimoli ambientali specifici. Tale
anomalia nei soggetti con DBP potrebbe essere correlata a difficoltà nell’apprendimento operante, in altre parole,
nell’acquisizione di nuovi e diversi repertori comportamentali, in risposta a stimoli ambientali già conosciuti, una sorta
d’incapacità a modulare i propri comportamenti condizionati, spesso appresi in età infantile. Inoltre, potrebbe essere alla
base del fenomeno di ricerca di sensazioni nuove e forti (sensation seeking) (105-106), un aspetto presente in molti
pazienti con DBP, soprattutto in quelli che manifestano comportamenti antisociali.
In uno studio sui potenziali evocati, in soggetti normali che cercano sensazioni forti sono state evidenziate variazioni
marcate, in funzione dell’ampiezza e dell’intensità dello stimolo, della componente acustica evocata N1/P2 (107).
Quest’aspetto neuro-fisiologico potrebbe essere correlato al “bisogno di nuove ed eccitanti sensazioni”, alla riduzione
d’interesse veloce per stimoli ripetuti e, quindi, ad un’elevata tendenza a sperimentare noia. Probabilmente, molti dei
pazienti ciclotimici e con diagnosi di Cluster-B, in Asse II, potrebbero presentare simili correlati neuro-fisiologici,
considerato che tendono a mostrare analoghe modalità di ricerca di sensazioni.
Il comportamento dei pazienti con DBP è condizionato, principalmente, dall’ultima impressione sensoriale, insorta in un
rapporto interpersonale, piuttosto che da tutto il vissuto precedente (3). E’ come se essi vivessero in un eterno presente
reattivo, senza le modulazioni comportamentali normalmente dettate dalla memoria affettiva. Anni di rapporti amorevoli
con un partner possono, in un solo istante, essere rimossi dalla memoria ed il soggetto, con DBP, può reagire all’ultima
interazione sociale interpretata, a torto o a ragione, come disturbante, con un’esplosione di rabbia incontrollata.
Un soggetto con DBP si comporta come se i rapporti tra memoria a breve e memoria a lungo termine, soprattutto per
quanto attiene ai rapporti interpersonali ed affettivi, fossero gravemente deficitari. Le conoscenze sul processo di
memorizzazione e sui sistemi neuronali coinvolti sono ancora molto parziali e ben lontani dal fornirci strumenti di
interpretazione del comportamento dei soggetti con personalità borderline (108).
Il funzionamento mnesico è regolato da vari ormoni, alcuni dei quali sono rilasciati in seguito ad esperienze avversive,
che attivano, per esempio, i recettori noradrenergici all’interno del complesso amigdaloideo (109). Le esperienze
traumatiche del passato potrebbero lasciare tracce mnesiche, talmente forti nella memoria emozionale d’alcuni pazienti
con DBP, da indurre, in seguito a successivi stimoli, che evocano anche solo lontanamente tali esperienze, risposte
comportamentali incongrue. Sarebbe minimizzata la rilevanza di successive esperienze gratificanti, indipendentemente
da quanto intense e costanti possano essere state.
Ciò potrebbe essere l’espressione, quindi, di un disturbo primitivo del sistema omeostatico di gratificazione, dei soggetti
con DBP, che potrebbero essere affetti, in altre parole, da una “disedonia” di fondo (110).
Le caratteristiche della memoria emozionale ed i comportamenti connessi indicano nell’amigdala e nel sistema limbico,
in generale, la regione cerebrale più direttamente coinvolta, nelle varie manifestazioni cliniche del DBP.
La procaina e.v. attiva le strutture del lobo temporale e del sistema limbico, in pazienti con malattie affettive, DBP e
soggetti normali di controllo, provocando distorsioni cognitive e sensoriali, una maggior increzione di cortisolo ed
aumento dei ritmi rapidi elettroencefalografici nei lobi temporali (111).
Nel gruppo con DBP non è stata evidenziata alcuna significativa correlazione tra il grado di attivazione EEG, indotta dalla
procaina, e il grado di miglioramento indotto dalla successiva somministrazione di carbamazepina. La procaina potrebbe
essere uno strumento farmacologico di valutazione della funzionalità del sistema limbico. I dati scientifici in nostro
possesso non permettono, però, di sapere se tale strumento può differenziare specificamente il DBP dagli altri disturbi di
personalità.
Una sovrapposizione diagnostica tra disturbi del lobo temporale, crisi epilettiche parziali e DBP è stata frequente, in
passato. Analogamente il disturbo da personalità multipla ha ricevuto diagnosi di DBP e, a volte, di manifestazioni di crisi
epilettiche parziali.
La personalità multipla può essere efficacemente differenziata dalle crisi epilettiche parziali, utilizzando la Dissociative
Disorders lnterview Schedule (112). Il disturbo da personalità multipla non è, semplicemente, un disturbo del lobo
temporale. I pazienti con crisi epilettiche parziali però, talvolta, soddisfano i criteri diagnostici per il DBP e/o per il disturbo
da personalità multipla. Questa constatazione rende ancora più difficile determinare, se la presenza di un disturbo del
lobo temporale, almeno in un sottogruppo di pazienti con DBP, non possa avere una specifica importanza patogenetica
(42). In quest’ottica, il DBP, il disturbo da personalità multipla e le crisi epilettiche parziali complesse potrebbero avere
alcuni fattori patogenetici ed alcuni correlati neuro-biologici in comune, senza che questo faccia perdere ad ognuna di
queste condizioni cliniche la sua specificità.
La personalità multipla sembra essere indotta da gravi episodi d’abuso e rappresenta una “scissione” estrema, affine, ma
non sovrapponibile, a quanto avviene nel DBP.
Le crisi epilettiche parziali possono essere conseguenza di un trauma cranico, ma non sempre tra trauma e sindrome
comiziale esiste un nesso di causalità. Così l’esistenza di una correlazione patogenetica tra DBP e disturbi, anatomici o
funzionali, del lobo temporale è possibile, sebbene non clinicamente rilevata con sufficiente frequenza.
Il sistema limbico è parte del più complesso sistema di risposta allo stress limbico-ipotalamo-ipofisi-surrenalico (LIIS)
(113). Il coinvolgimento del sistema neuroendocrino LIIS è stato evidenziato, in risposta allo stress acuto, ma, anche, in
relazione ai disturbi depressivi (114).
Considerato il livello di stress, sopportato e indotto, dai soggetti con DBP, gli steroidi e i peptidi implicati nel sistema
neuro-endocrino LIIS potrebbero presentare variazioni significative, anche se non sono stati studiati, specificamente, in
questi pazienti.
I gangli della base, precisamente, caudato e putamen, sembrano contribuire al cosiddetto “habit” o sistema di memoria
procedurale (115). Tali strutture neuro-biologiche sembrano svolgere un ruolo centrale nel processo di memorizzazione
dei pattern cognitivo-comportamentali, non verbali, che includono le convinzioni non criticate e le identificazioni formatesi
nell’infanzia.
Prove cliniche e sperimentali sostengono che il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) è associato alla funzione di tale
sistema mnesico (116-117). Una comorbidità per il DOC è stata evidenziata, in alcuni pazienti con BPD. In tali soggetti,
le convinzioni irrazionali sembrano esercitare un evidente effetto sui processi di pensiero razionale. Nei pazienti
anoressici e bulimici, possono essere esempi di tal effetto, la distorsione irrazionale e non criticabile dell’immagine
corporea, nonché la paura dei cambiamenti, che, su tale immagine corporea, possono essere indotti, da variazioni delle
loro abitudini alimentari.
I soggetti con DBP, sessualmente, fisicamente e verbalmente abusati negli anni dell’infanzia, tenderebbero, in questa
prospettiva a strutturare “habit”, pattern cognitivo-comportamentali di percezione e di reazione, conseguenti alla loro
condizione di vittime degli abusi. Tali “habit” possono essere fortemente disadattivi nei rapporti interpersonali, nel corso
della vita. Ciò nonostante, questi soggetti sono così acriticamente e fortemente legati alle loro distorsioni cognitive, da
accettare raramente interpretazioni del reale più adeguate.
Negli ultimi anni, sono stati proposti approcci terapeutici volti a riprogrammare il sistema mnesico abitudinario, di questi
pazienti, con nuovi strumenti di trattamento, che includono la somministrazione di farmaci serotoninergici e forme
specifiche di terapia cognitiva e di gruppo. In particolare la terapia di gruppo s’ispira a quanto acquisito dai gruppi d’auto-
mutuo-aiuto, orientati al controllo di specifici impulsi disturbanti, come per gli Alcolisti Anonimi.
Il suicidio e l’aggressività sono, spesso, associati a bassi livelli di serotonina nel SNC. La serotonina è uno dei neuro-
trasmettitori coinvolti nella modulazione dell’inibizione comportamentale. Un deficit di serotonina è associato solitamente
a disinibizione comportamentale (118-119).
La clorimipramina e la fluoxetina, per esempio, sembrano migliorare i sintomi di DOC. Ciò ha aumentato l’interesse per
lo studio di tale neurotrasmettitore anche nel DBP (120). I pazienti bulimico-anoressici spesso presentano tratti di tipo
ossessivo-compulsivo, ed entrambe tali sindromi sono presenti in alcuni sottogruppi di pazienti con DBP.
L’aggressività impulsiva, con tentativi plurimi di violenta auto ed etero diretta, è tipica dei pazienti con DBP. Alcuni
pazienti con DBP manifestano una riduzione dell’aggressività dopo la somministrazione di farmaci, che accrescono i
livelli di serotonina, come clomipramina, SSRI e, indirettamente, carbamazepina (99).
Le donne con DBP, spesso, manifestano distimia e disforia, con tendenza alla depressione e all’irritabilità, durante la
fase premestruale. Le donne con disturbi alimentari possono manifestare sintomi bulimici o anoressici, più intensi, in fase
premestruale. Ulteriori studi sul coinvolgimento funzionale del tono serotoninergico centrale, in funzione del ciclo
mestruale, potrebbe fornire risultati interessanti sui correlati fisio-patologici di tale fenomeno.
Deficit neurologici aspecifici, incluso il disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività, ed eventi stressanti infanti li, quali
abusi verbali, fisici o sessuali, sembrano svolgere un ruolo ezio-patogenetico nella genesi del DBP. Alcuni fattori
prenatali, inoltre, sembrano in grado di predisporre al DBP. L’abuso cronico, nell’infanzia, può lasciare tracce mnesiche
emotive e indurre risposte comportamentali stereotipate, per mezzo d’effetti attivanti sul SNC, tanto marcati e resistenti
alle terapie, quanto lo sono quei disturbi comportamentali, che originano da fattori organici.
La sintomatologia clinica, d’alcuni pazienti con disturbi di personalità, non presenta affinità con i quadri psicopatologici
d’Asse I. Non è irrazionale ipotizzare, però, alla luce della più recente letteratura scientifica sull’argomento, che, almeno
alcuni sintomi, presenti in un sottogruppo di soggetti con disturbo di personalità, possano essere patogeneticamente
correlati ai disturbi mentali maggiori (121).
I disturbi psico-comportamentali presenti nel DBP sembrano correlarsi funzionalmente, almeno in parte, con il sistema
limbico, che in circostanze normali funziona come un filtro emozionale, attraverso cui passano stimoli e risposte (122).
Un sistema limbico eccessivamente reattivo, in risposta a stimoli interpersonali minimi, che possono essere vissuti come
stressanti o come minacce all’incolumità personale, può sollecitare risposte comportamentali estreme, di tipo aggressivo
auto ed eterodirette. Le interpretazioni psicologiche non sempre sono in grado di interpretare queste reazioni improvvise
ed estreme, a stimoli spesso poco significativi, ma aiutano a definire, in modo relativamente utile e preciso, le modalità di
interazione sociale, che innescano tali risposte impulsive. Le frustrazioni infantili possono essere più o meno rilevanti, sul
piano ezio-patogenetico, nella genesi del DBP, in rapporto ad un substrato neuro-fisiologico più o meno anomalo. Una
vulnerabilità neuro-biologica di fondo, sostanzialmente correlata ad un deficit funzionale del sistema omeostatico di
gratificazione, la “disedonia” (110), può essere alla base del DBP. Un disturbo del sistema di memoria procedurale,
sembra svolgere un ruolo in tale vulnerabilità, nella modulazione di risposte comportamentali del tipo “tutto-o-nulla”
tipiche del disturbo borderline di personalità. Ulteriori ricerche potrebbero facilitare, in futuro, la diagnosi di DBP, con
markers più specifici, la sottotipizzazione dei pazienti, nonché la predisposizione di trattamenti integrati più efficaci, in
un’ottica bio-psico-sociale.
COMORBIDITA’PSICHIATRICA E MARKERS NEURO-BIOLOGICI DEL DISTURBO BORDERLINE DI
PERSONALITA’
Diversi indici neuro-biologici sono stati studiati alla ricerca di possibili markers del disturbo borderline di personalità. I
risultati di tali studi presentano importanti implicazioni, sul piano diagnostico, interpretativo e terapeutico. La presenza di
markers neuro-biologici comuni a diversi disturbi psico-patologici induce a formulare l’ipotesi della presenza di
un’analoga pato-fisiologia alla loro base. Ciò non può non indurre ad una radicale revisione del concetto di diagnosi in
psichiatria. Inoltre, la conoscenza dei meccanismi neuro-biologici, alla base di diversi quadri psico-patologici, potrebbe
facilitare la ricerca di nuovi approcci psico-farmacologici e terapeutici integrati, per il loro trattamento.
Sono stati effettuati studi che hanno utilizzato tre diverse metodologie di ricerca nello studio dei markers neuro-chimici e
neuro-biologici nel disturbo borderline di personalità. La metodologia più diffusamente utilizzata è stata quella
d’investigare la prevalenza di questi markers, in vari gruppi di pazienti, con diversa psicopatologia in atto, confrontandola
con la loro prevalenza nei soggetti con personalità borderline (121-123). Un’altra metodologia di ricerca ha utilizzato i
risultati degli studi psico-farmacologici, osservazionali e clinici, per comprendere la fisio-patologia del disturbo borderline
di personalità (40). In ultimo, sono stati predisposti specifici trattamenti sperimentali psico-farmacologici nella ricerca di
tali markers del DBP (124).
Riassumeremo, in breve, l’utilizzo dei markers neuro-chimici e neuro-biologici nella ricerca delle possibili associazioni
ezio-patogenetiche tra DBP ed altri quadri psico-patologici.
Disturbi del tono dell’umore
Il rapporto tra disturbo borderline di personalità e disturbi del tono dell’umore, è stato, probabilmente, quello più studiato.
I markers neuro-biologici più ricercati si sono avvalsi dello studio del test di soppressione al desametazone (DST), dello
studio del sonno, nonché dell’efficacia di specifici stimoli farmacologici.
In pazienti con DBP, il test di soppressione al DST ha una sensibilità piuttosto bassa, variabile da circa il 10% all’85% e
una specificità che varia dal 37,5% al 92,3 % (121). I problemi tecnici e i criteri di selezione del campione di studio,
quando si utilizza il test di soppressione al DST, rendono la valutazione dei dati, così raccolti, circa questo marker neuro-
biologico, poco affidabili nella valutazione dei pazienti borderline. I pazienti borderline hanno, spesso, disturbi alimentari
e/o disturbi da abuso d’alcol e droghe che inficiano la validità dei risultati ottenuti al test.
I disturbi affettivi, soprattutto la depressione maggiore, si correlano ad una diminuzione della latenza del sonno REM. La
comorbidità tra DBP e depressione maggiore si correla a significative anomalie della latenza e dell’intensità dei
movimenti oculari rapidi (sonno REM). Tale ambito di ricerca sembra confermare l’affinità fisio-patologica esistente tra
disturbi affettivi e disturbo borderline di personalità. Tale associazione non è stata, però, confermata con l’utilizzo d’altri
marker biologici, come il DST e le risposte a stimoli farmacologici specifici (123).
Gli studi sperimentali con l’utilizzo tests psicofarmacologici non hanno dimostrato una significativa associazione tra il
disturbo borderline di personalità e i disturbi affettivi. Alcuni studi, su pazienti con DBP, non hanno evidenziato alcuna
risposta dei sintomi depressivi al trattamento con triciclici. Un solo studio ha dimostrato una certa risposta dei sintomi
affettivi al trattamento con inibitori della monoaminossidasi (99). Non risulta, comunque, verificato che esista un rapporto
tra le risposte dei sintomi bersaglio e il tipo di farmaco utilizzato.
Sindromi schizofreniche
Diversi markers neuro-biologici sono stati studiati nella ricerca della comorbidità tra schizofrenia e disturbo borderline di
personalità. In particolare, lo studio del tracciato oculare di inseguimento visivo (smooth pursuit eye tracking), i potenziali
acustici evocati, l’elettroencefalografia computerizzata ed il dosaggio della monoaminoassidasi piastriniche.
In alcuni studi, sono stati evidenziati in soggetti con DBP potenziali evocati a lunga latenza acustica P300 simili a quelli
registrati in individui schizofrenici (125). Questo marker biologico differenziava significativamente i pazienti con DBP dai
pazienti depressi di controllo.
Alcuni studi hanno evidenziato un coinvolgimento del tono dopaminergico nell’ezio-patogenesi del DBP. Una risposta
disforica alle amfetamine è stata evidenziata da Schulz et al.(101). Effetti analoghi sono stati registrati dopo
somministrazione di metilfenidato da Lucas et al. (70). Dati clinici attendibili hanno evidenziato l’efficacia dei neurolettici,
a basso dosaggio, sui sintomi psico-patologici, dei soggetti con personalità borderline.
In sintesi, alcuni risultati sembrano sostenere che potrebbe esistere un’associazione significativa, sul piano fisio-
patologico tra schizofrenia e DBP. Un rapporto tra queste due entità nosografiche, sul piano ezio-patogenetico, potrebbe
coinvolgere anche alcuni sintomi della sintomatologia schizotipica. Ulteriori studi sono necessari per chiarire i rapporti
esistenti tra questi diversi quadri sindromici.
Disturbi del controllo degli impulsi
Il disturbo borderline di personalità si associa, spesso, ad un disturbo del controllo degli impulsi (10). Una diminuzione
del release di prolattina, in risposta al trattamento con fenfluramina, è stata evidenziata in pazienti aggressivo-impulsivi
(118-119). I risultati ottenuti in questo gruppo di pazienti suggeriscono la presenza di una riduzione del tono
serotoninergico centrale. Questa riduzione del tono serotoninergico centrale è indirettamente confermata dall’efficacia
clinica del litio versus placebo e desipramina (124,126). Il litio tende a diminuire l’aggressività, la rabbia e i
comportamenti etero ed autoaggressivi impulsivi. Al contrario, la desipramina tende ad aumentare tali sintomi (126).
Probabilmente, il trattamento con sali di litio potrebbe avere un effetto terapeutico, sugli aspetti impulsivi del DBP,
modulando il tono serotoninergico. La carbamazepina, farmaco antiepilettico, ma, anche, stabilizzatore dell’umore, è
risultata efficace nel contenere gli aspetti comportamentali di perdita del controllo sugli impulsi, tipici del DBP.
In conclusione, non è ancora possibile stabilire chiare correlazioni fisio-patologiche tra disturbi psicopatologici d’Asse I e
disturbo borderline di personalità, sulla base dei markers neuro-biologici, sino ad oggi studiati. In futuro, tale approccio di
ricerca dovrebbe permettere anche di comprendere le fluttuazioni della sintomatologia di questi pazienti. Inoltre,
variazioni dei diversi marker biologici potrebbero essere correlati agli eventi ambientali stressanti, inclusi i traumi infantili
ed i conseguenti quadri dissociativi, oltre che a condizioni di vulnerabilità e predisposizione, geneticamente determinati.
CRITICA AL CONCETTO DI DIAGNOSI IN PSICHIATRIA.
Una domanda provocatoria: esistono le malattie mentali? Una seconda domanda provocatoria: il concetto di diagnosi in
medicina ed in psichiatria ha lo stesso valore euristico? In Medicina una diagnosi clinica presuppone la conoscenza dei
fattori ezio-patogenetici e di decorso clinico di un disturbo, con chiari correlati organici, fisio-patologici ed anatomo-
patologici (tavolo autoptico). A tutt’oggi, in Psichiatria una diagnosi clinica nasconde la mancata conoscenza dei fattori
eziologici e patogenetici della malattia, nonché, una sostanziale incapacità di predire il decorso nel tempo, di un disturbo,
che non ha chiari correlati patologici organici. Il concetto di comorbidità in Medicina presuppone la presenza nello stesso
paziente, con sovrapposizione temporale, di due o più specifici quadri patologici (aventi specifiche ezio-patogenesi, fisio-
patologia, decorso, prognosi, etc.). La diagnosi psichiatrica è, per sua natura, una descrizione sindromica, un insieme di
sintomi, raggruppati convenzionalmente in specifici disturbi, nosograficamente rilevanti, sulla cui ezio-patogenesi,
decorso, prognosi etc. poco ancora sappiamo. La comorbidità in Psichiatria nasce dal sovrapporsi, nello stesso paziente,
di segni e sintomi sufficienti per porre diagnosi, presenti in diverse entità nosografiche psichiatriche, che restano
convenzionalmente identificate. Lo sviluppo della ricerca in campo psico-biologico e psico-farmacologico ha evidenziato
variazioni di parametri largamente sovrapponibili in disturbi mentali nosograficamente distanti. Numerosi studi neuro-
morfologici, neuro-fisiologici, neuro-endocrinologici e d’andamento inter-generazionale delle malattie mentali depongono
per una continuità patologica tra i diversi disturbi dello spettro schizofrenico. I disturbi d’ansia ed i disturbi dell’umore
potrebbero essere interpretati come entità distinte o come un fenomeno dimensionale unico. Da un lato è possibile
evidenziare l’esistenza di dimensioni patologiche trans-sindromiche, dall’altro l’approccio categoriale non permette di
cogliere le similarità sintomatologiche parcellari tra sindromi diverse che potrebbero sottendere comuni meccanismi
patogenetici. “Le categorie diagnostiche in psichiatria erano null’altro che ampi cesti che contenevano una varietà di
sindromi più o meno collegate tra loro, non certo entità patologiche genuine” (127). Si è passati da un approccio
diagnostico/ terapeutico rigidamente categoriale (depressione / antidepressivo; ansia / ansiolitico, psicosi / antipsicotico)
ad un approccio dimensionalistico che tende a non considerare come entità reali le categorie diagnostiche psichiatriche
(ipersemplificazioni del reale), considerando i diversi sintomi autonomamente, in un continuum trans-nosografico. Negli
ultimi anni si va, perciò, verso una visione psicopatologica disfunzionale, cambiando l’approccio diagnostico a favore di
una visione dimensionalistica dei disturbi mentali, anziché rigidamente categoriale.
CRITICA DEL CONCETTO DI EZIOLOGIA IN PSICHIATRIA.
Nel concetto di “eziologia” di un disturbo in Medicina e, ancor più, in Psichiatria vi sono diverse questioni implicite e date
per scontate, ma che invece devono essere sempre prese in considerazione nella pratica clinica.
La prima considerazione generale va riferita al concetto stesso di causalità. In termini epistemologici già da molti anni il
mondo scientifico, soprattutto nell’ambito della fisica teoretica (relatività, teoria quantistica) ha messo in crisi il concetto di
spazio-tempo e di causalità lineare. Senza entrare in sottili disquisizioni fisico-filosofiche, una concezione della causalità
in termini di linearità di relazione tra un agente causale (eziologico) ed un effetto conseguente (malattia) è messo in crisi
dalla clinica quotidianamente. Non sempre, forse mai, l’esposizione allo stesso agente patogeno induce quadri clinici
perfettamente sovrapponibili in due soggetti diversi. Ciò dipende, ovviamente, dal complesso rapporto che viene a
crearsi tra un agente patogeno, spesso esogeno ed ambientale, ed organismo inteso come sistema organico, con
specifiche caratteristiche geneticamente determinate, in relativo equilibrio omeostatico (salute). In Medicina, la malattia,
intesa come perdita dell’equilibrio omeostatico bio-psico-sociale dell’individuo, nasce dall’interazione complessa tra
fattori esogeni e fattori endogeni, in un determinato ambiente. In Psichiatria, il modello concettuale, cui ci si riferisce più
diffusamente nella teorizzazione ezio-patogenetica dei disturbi mentali, prevede l’interazione complessa di fattori
ambientali esogeni (agenti stressanti) con le capacità adattive dell’individuo (vulnerabilità). L’esposizione allo stesso
agente stressante può indurre effetti psicopatologici diversi in soggetti diversi, analogamente a quanto avviene negli altri
ambiti clinici, studiati dalla diverse branche mediche. Ogni condizione ambientale può divenire più o meno stressante sul
piano psico-patogenetico, in rapporto alla specifica sensibilità di soglia del soggetto. Non solo, ma lo stesso stimolo
soggettivamente stressante può avere diversa valenza psico-patogenetica, nello stesso individuo, in tempi diversi oppure
in contesti diversi. Lungi dal considerare il rapporto eziologico come relazione lineare tra un evento antecedente ed un
disturbo mentale conseguente, bisogna approcciare con estrema cautela l’universo dei rapporti che intercorrono tra
stimoli ambientali, più o meno soggettivamente stressanti, e malattie mentali, cui si è più o meno vulnerabili.
I problemi legati alla ricerca e alla discussione dell’eziologia di una condizione psico-patologica diventano,
obiettivamente, inestricabili se vi è un’estrema difficoltà nel verificare, se tale quadro patologico esiste come entità a se
stante. La ricerca eziologica è ulteriormente ostacolata dalla definizione stessa del quadro clinico psico-patologico, in
senso clinico e diagnostico-nosografico. Se “esiste in sé”, come definire o delimitare il quadro patologico, in modo
soddisfacente? Come si può cercare le cause di qualcosa se non sappiamo di cosa si tratta e, soprattutto, quando non
sappiamo se è una cosa sola? Paradossalmente la ricerca delle cause di una condizione clinica, volta a stabilire e
definire la condizione clinica medesima, si è dimostrato essere un metodo molto utile in ambito medico. La ricerca
d’eventi antecedenti e di correlazioni passate e presenti, nonché la previsione di andamenti evolutivi futuri, aiuta a
definire più precisamente le ipotesi ezio-patogenetiche, a dirimere raggruppamenti sindromici disomogenei, associati
casualmente, ma anche a strutturarne altri, inizialmente poco evidenti. Comunque, nella ricerca di fattori eziologici del
DBP ci sono delle intrinseche difficoltà, in assenza di un costrutto teoretico e di un metodo esterno di validazione. Si
crea, infatti, una certa circolarità tra quale aspetto specifico della psicopatologia borderline è considerato fondamentale,
nella definizione del disturbo, e quali fattori causali sono privilegiati nella ricerca e nella selezione del campione di
individui, definiti come borderline.
Gli studiosi che definiscono il DBP, stressandone gli aspetti clinici affettivi, trovano più evidenti meccanismi affettivi alla
base del disturbo. Coloro che definiscono il DBP, sottolineandone i sintomi dissociativi ed i comportamenti autolesivi,
sono più inclini ad evidenziare in senso patogenetico le esperienze di abuso sessuale infantile come fattore causale
principale del disturbo. Chi definisce il DBP come un disturbo da perdita del controllo sugli impulsi, tende a considerare
come principale fattore patogenetico la stessa impulsività, evidenziando con più enfasi i rapporti tra sintomi clinici e loro
correlati neuro-biologici.
Il paziente borderline può far emergere le contraddizioni ed i conflitti esistenti, in senso clinico ed interpretativo, tra
formazione e prassi clinica ad indirizzo biologico ed approcci clinico-terapeutici di ispirazione psicologica, non solo tra i
diversi membri dell’equipe psichiatrica, ma anche stressare, in questo ambito, la vulnerabilità specifica del singolo
terapeuta.
Il tentativo scientifico-nosografico di catalogare ed interpretare, in senso ezio-patogenetico, il DBP facilita, più del solito, il
confliggere d’atteggiamenti interpretativo-terapeutici di diversa impostazione teorica. Trattare la conflittualità e
contraddittorietà intrinseca alla patologia borderline induce, quasi contagiosamente, conflittualità tra gli operatori
psichiatrici di diversa formazione clinico-terapeutica, e confusione negli operatori con doppia formazione, medica e
psicoterapeutica. Questa conflittualità psichiatrica coinvolge da un lato gli aspetti clinico-terapeutici a orientamento
biologico, che considerano i fattori genetici e costituzionali le cause principali delle malattie mentali, privilegiando gli
interventi curativi farmacologici, dall’altro la formazione di ispirazione psicologica, che, assiomaticamente, interpreta i
disturbi mentali come conseguenti ad esperienze esistenziali negative e, quindi, gli interventi psicoterapeutici, quali
fondamentali metodi di cura.
L’esagerata dicotomia tra ognuna di queste posizioni teoretiche tende a sostenere un’interpretazione ezio-patogenetica
riduzionistica del disturbo borderline, sia nell’ottica neuro-biologica, sia in quella psico-socio-ambientale.
Tale dicotomia porterà gli operatori psichiatrici di diversa formazione, nel migliore dei casi ad un confronto dialettico, con
tendenza ad una progressiva “sintesi” inclusiva di diverse interpretazioni, nel peggiore dei casi all’enunciazione di “verità”
inconciliabili ed alla conflittualità esplicita.
Un’ulteriore considerazione critica va avanzata alla assegnazione, in ambito psichiatrico, di una causa specifica ad
eventi o comportamenti non specifici. La medicina ed ancor più la psichiatria si configura come una clinica della
complessità. Ogni essere umano è, per sua natura unico ed irripetibile nelle sue caratteristiche squisitamente individuali,
tanto genetiche che esperienziali. Ogni esperienza di vita è particolarmente complessa e ricca di sfumature, largamente
soggettive. Gli esseri umani sono, per loro natura, molto versatili e capaci di notevole adattamento. Le nostre esperienze
di vita sono esperite all’interno di una complessa rete di rapporti interpersonali, in contesti socio-culturali diversi ed
estremamente variabili. Gli stessi psichiatri non possono esimersi dal partecipare della natura umana, in un determinato
contesto sociale e culturale, nonché in una complessa relazione interpersonale con il paziente, su cui proporre diagnosi
e ricerche ezio-patogenetiche, non scevre da preconcetti e da errori prospettici ed interpretativi.
Ipotizzare semplicisticamente che un evento qualsiasi o un fattore costituzionale qualsiasi è causa di un qualsiasi
aspetto del comportamento umano, è, in sé, fuorviante. Nonostante la consapevolezza della intrinseca complessità,
sottesa al comportamento umano, è pur sempre vero che la clinica psichiatrica, ma anche la scienza nella sua interezza,
tende a isolare il meccanismo mediante il quale un “fattore eziologico” è il necessario e sufficiente antecedente di un
determinato disturbo psico-comportamentale. La questione di una causalità lineare è ovviamente molto più problematica
per le “scienze” del comportamento rispetto ad altri settori della ricerca scientifica e della stessa prassi medica, in altri
settori della clinica. Se un qualsiasi fattore eziologico fosse necessario e sufficiente per indurre il DBP si dovrebbe
correttamente affermare che in ogni paziente affetto da disturbo borderline di personalità dovrebbe sempre essere
riconoscibile la presenza di tale fattore causale. L’inversione dell’ordine dei fattori risulta, nella pratica clinica,
impossibile. Non si può, cioè, sulla base della diagnosi di DBP prevedere quale specifico fattore eziologico lo abbia
causato, in tutti i pazienti riconosciuti come affetti da una personalità borderline.
La presenza per esempio di un disturbo affettivo può essere condizione necessaria ma non sufficiente per l’insorgere di
un DBP, tant’è che non tutti i pazienti con disturbi affettivi sviluppano una personalità borderline. Il disturbo affettivo
potrebbe essere una concausa, in senso ezio-patogenetico, quindi uno dei fattori implicati nella genesi del DBP, in un
sottogruppo di pazienti, ma non può essere considerato “tout court” il fattore causale, forse neanche in un singolo
paziente.
Tali considerazioni possono essere riproposte con la stessa validità per i traumi infantili, i disturbi del controllo degli
impulsi ed i correlati neuro-biologici. In altri termini, il DBP può essere eziologicamente correlato al disturbo affettivo
maggiore, al trauma infantile, al discontrollo degli impulsi, alla disedonia, senza che uno solo di tali quadri sindromici
possa essere considerato il fattore eziologicamente specifico per il BPD.
In questa ottica, ha più senso parlare di concause diversamente combinate tra loro che possono contribuire in soggetti
con specifica vulnerabilità all’insorgere di un DBP.
Paul Meehl (128) ha studiato questi aspetti delle eziologia del DBP enfatizzando il concetto di “forte influenza”.
L’assenza dei fattori eziopatogenetici suddescritti rende improbabile l’insorgenza di un DBP. La loro presenza non è
necessaria e sufficiente ad indurre sicuramente e direttamente un DBP, ma aumenta fortemente la probabilità di
un’insorgenza del disturbo borderline.
La ricerca sull’eziologia del DBP deve coinvolgere, perciò, una serie di fattori concausali, che possono contribuire,
parzialmente, con maggiore o minore incisività, sullo sviluppo del disturbo borderline.
Qualsiasi teoria eziologica deve, inoltre, tenere in debito conto il principio cognitivo-comportamentale, secondo cui i
comportamenti gratificanti e/o rinforzati diventano abituali e stabili, talora quasi indipendentemente dalle condizioni di
stimolo, che li hanno generati. Alcuni comportamenti, apparentemente disadattivi, come l’infliggersi ferite superficiali
multiple o i disturbi dell’alimentazione possono rispondere ad una disturbo di fondo di tipo disedonico, ma anche essere
considerati soggettivamente, nel tempo, come efficaci meccanismi di riduzione delle tensioni, non più legati alle
condizioni specifiche, che ne hanno prodotto, in origine, l’insorgenza.
La varietà delle ipotesi eziologiche si correla alla varietà delle terapie logicamente conseguenti a ciascuna di queste
impostazioni teoretiche.
La dicotomia tra le diverse teorie eziologiche del DBP sembra ripercorrere in termini clinici l’annosa disputa filosofica tra
ciò che è innato e ciò che è appreso, nell’ambito del comportamento umano, normale e patologico. E’ ovvio che ciò che
ogni essere umano è e diventa viene determinato tanto dalle diverse esperienze esistenziali, quanto da fattori
costituzionali e genetici. La dicotomia innato-appreso si esprime, perciò, nella diversa valenza che viene data ai diversi
fattori ezio-patogenetici suddescritti su particolari aspetti clinici del DBP.
In termini puramente logici, una plausibile teoria eziologica dovrebbe chiarire il rapporto causale tra fattori ezio-
patogenetici e sintomi del DBP, fornendo prove scientificamente valide di tale rapporto. La diversa gravità dei fattori ezio-
patogenetici presenti dovrebbe, inoltre, indurre diversi livelli di gravità del disturbo, secondo un continuum dimensionale
prevedibile. Una teoria ezio-patogenetica completa dovrebbe anche dare razionali spiegazioni della variabilità di decorso
del DBP. Infine, l’efficacia clinica degli approcci terapeutici dovrebbe essere comparabile e correlabile, logicamente, ai
fattori eziologici ipotizzati.
Diversi autori hanno prodotto dati clinici che corroboravano i loro assunti assiomatici di partenza rispetto all’ezio-
patogenesi del DBP.
Van Reekum e coll., studiando i rapporti tra neuroscienze e quadro clinico del DBP, hanno proposto un’analisi
particolarmente suggestiva ed obiettiva. (39)
La trasmissione genetica del DBP non è stata provata scientificamente. Ciò nonostante, sulla base di studi effettuati
negli U.S.A. su gemelli separati (129), che hanno studiato l’ereditarietà del temperamento e di tratti della personalità o di
predisposizioni comportamentali, tra i quali l’esposizione al rischio e la prudenza (avoidance) è emersa una certa
influenza genetica, alla base di alcuni tratti comportamentali, che svolgono un ruolo nello sviluppo del DBP. In altre
parole, probabilmente non esiste una genetica del DBP, ma esiste un genetica di fattori comportamentali, più elementari,
dal cui sommarsi deriva il DBP.
Alcune disfunzioni cerebrali si verificano più frequentemente nei soggetti con DBP, rispetto alla popolazione di controllo.
Ciò si correla all’importanza del ruolo patogenetico svolto dall’impulsività e dalla perdita del controllo sugli impulsi, nel la
genesi del DBP.
Van Reekum et al. (39) hanno precisato, comunque, nei loro studi su quest’argomento, che le prove scientifiche anche in
questo settore restano insufficienti.
130Altri studiosi hanno sottolineato nei pazienti con DBP l’importanza relativa dei comportamenti di tipo impulsivo, quali
aggressività, autodistruttività, disturbi della condotta sociale, disturbi della condotta alimentare ed abuso di sostanze.
Zanarini et al. (19) hanno, inoltre, evidenziato l’importanza relativa dei substrati biochimici e neurofisiologici dei tratti
maladattivi di personalità, come l’impulsività, nell’ezio-patogenesi del DBP, come suggerito anche da Soloff (130).
I soggetti con disturbo borderline di personalità presentano difficoltà nel controllo degli impulsi, ma anche iperreattività a
stimoli apparentemente irrilevanti e scarsa modulazione delle espressioni emozionali. Tali sintomi possono presentare
specifici ed autonomi substrati biologici, sostanzialmente non differenti dai substrati biologici che controllano quegli stessi
comportamenti, anche in soggetto sani (3, 131-132).
Molti studi sui fattori ezio-patogenetici ambientali sottesi al DBP utilizzano come prove gli studi retrospettivi.
I rischi della falsificazione retrospettiva sono alti (37, 133-135) con alti rischi di ipersemplificazione. L’ingiustificata e
popolare ipotesi sull’abuso, come fattore principale nella genesi del DBP, suggerisce un semplice e diretto rapporto tra
abuso subito e personalità borderline. Tali interpretazioni ezio-patogenetiche risultano sicuramente le più diffusamente
accettate fra tutte le altre ipotesi attualmente proposte dagli studiosi.
Le prove che identificano nell’abuso il principale fattore ambientale in grado di indurre o facilitare l’insorgere di un DBP
sono forti, molto più dei fattori in origine ipotizzati, ma non adeguatamente verificati in ambito clinico, da Masterson
(136).
Il persistere di forti adesioni alle ipotesi interpretative di Masterson e la scarsa rilevanza data all’abuso infantile,
nell’ambito della ricerca di fattori ambientali alla base del DBP, insegna quanto sia umano prediligere il pensiero astratto
sistematico alla ricerca operativa sul campo, che fornisce dati reali, ma parziali, anziché visioni d’insieme rassicuranti,
ma meno aderenti alla realtà.
L’ipotesi dell’abuso infantile, come fattore eziopatogenetico ambientale del DBP non è immune da critiche, soprattutto
riguardo alla specificità del rapporto che intercorre tra abuso e genesi delle personalità borderline. Non tutti i soggetti con
DBP hanno subito abusi infantili e non tutti i bambini che hanno subito abuso sono divenuti, da adulti, soggetti borderline.
Abuso è un termine troppo aspecifico che può includere esperienze traumatiche molto diverse, per tipo, durata ed
intensità soggettiva dell’esperienza. Inoltre, gli eventi traumatici hanno diversa risonanza affettiva, in soggetti diversi ed
in contesti diversi (25, 131, 137). L’episodica violenza subita da un bambino o da un adolescente, può essere meno
destruente dell’ambiente affettivo-relazionale in cui queste violenze vengono perpetrate, avvelenato da abuso di alcol e
droghe, trasgressioni, violenze ripetute, inversione del ruolo genitore-figlio, trasformazione di una figura familiare
protettiva in una fonte di pericolo e di allarme, relazioni affettive e sessuali caotiche. In questi contesti familiari disturbati
e disturbanti, l’interiorità del bambino che ha subito violenza viene irrimediabilmente segnata. Non esistono più relazioni
interpersonali sicure, né figure di riferimento e rifugio. Non si può fuggire ai propri pensieri ed ai propri sogni, che
ripropongono continuamente, nella mente del bambino la scena della violenza, tutte le sue conseguenze reali o
immaginarie, il senso di colpa, la confusione, l’autoaccusa, la vergogna, il senso di indegnità, l’autocondanna.
L’abuso infantile o adolescenziale può non essere episodico, ma protrarsi per tempi ed in ambiti diversi. L’abuso può,
quindi, influire sia sullo sviluppo di personalità, sia sull’insorgere di sintomi specifici. L’ipotesi dell’abuso è suggestiva
soprattutto perché correla gli eventi infantili con i sintomi e la personalità adulta. Uno degli effetti dell’esposizione ad
eventi stressanti, singolo o ripetuti, significativi per l’individuo può essere rappresentato dalle esperienze simil-psicotiche
transitorie, legate allo stress. Ciò si correla alle alterazioni cognitive e alle esperienze dissociative dei pazienti borderline,
con qualche affinità con la sindrome post-traumatica da stress.
Il problema della specificità resta in ogni caso ancora aperto. Non tutti i bambini violentati divengono poi borderline.
L’abuso infantile associarsi anche ad altri quadri psicopatologici. Alcuni studi hanno mostrato che una percentuale
variabile tra il 25 % ed il 50% delle pazienti affette da patologia psichiatrica ha subito violenza sessuale o fisica in età
infantile e/o adolescenziale (138-148). L’abuso in se stesso, senza qualifiche ulteriori, non è sufficiente a giustificare
l’insorgere specificamente di un disturbo borderline.
Sarebbe, perciò, necessario studiare il rapporto esistente tra le caratteristiche del trauma (tipo, intensità, frequenza, età
d’inizio e durata degli abusi, rapporti con la figura specifica del responsabile dell’abuso) con specifici quadri clinici
psicopatologici (134,135,137,149).
A prescindere da questioni nosografiche è probabile che tutti o quasi i bambini vittime di abusi che hanno superato una
specifica e, forse, individuale soglia di violenza, coercizione, intrusività e durata, sviluppino impulsività, comportamenti
autolesivi, instabilità nelle relazioni affettive, labilità di umore, episodi dissociativi post-traumatici e problemi di identità.
D’altro canto non tutti i bambini che hanno subito violenza sviluppano necessariamente un disturbo psichiatrico
clinicamente rilevante o un disturbo borderline di personalità. Tali soggetti sono meno vulnerabili allo stress, in pratica
con migliori capacità d’adattamento e migliori capacità di recupero dopo eventi traumatici. I meccanismi che possono
svolgere tali funzioni potrebbero avere base genetica, ma esprimersi anche nella capacità di stabilire una relazione con
un’altra persona, che ha fornito un sostegno, un attaccamento ed un accadimento sufficiente a compensare la violenza e
l’abbandono subito.
In tal senso, nella ricerca delle basi ezio-patogenetiche della personalità borderline può essere necessario prendere
nella giusta considerazione il rapporto reciproco esistente tra basi biologiche del comportamento e fattori esperienziali.
Il problema metodologico principale con cui bisogna confrontarsi in questo tipo di ricerca è quello della falsificazione
retrospettiva.
Le tracce mnesiche subiscono vari gradi di distorsione. I pazienti borderline tendono a idealizzare e a svalutare le figure
sociali principali di riferimento. L’esperienza pratica con questi pazienti insegna che spesso le loro critiche ed i loro
rancori, comprese quelle rivolte al terapeuta, sono ingiustificate e distorte. Qual è il grado d’attendibilità di questi pazienti
nella rievocazione d’eventi, emotivamente significativi, ma avvenuti 20 o 30 anni prima? Probabilmente molti pazienti
borderline non hanno trascorso un’infanzia terribile con i loro genitori, anche se la descrivono soggettivamente come
tale. Le distorsioni mnesiche diventano perciò estremamente rilevanti.
I limiti metodologici succitati, circa la ricerca dei fattori eziopatogenetici ambientali, sottesi all’insorgere di una personalità
borderline, sono presenti, evidenti e rilevanti negli studi psicoanalitici.
Le varie teorie psicoanalitiche proposte da Kernberg (150-155), Masterson (136), Rinsley (156), e Adler (157) ipotizzano
gravi disturbi dello sviluppo, prevalenti nella fase (18-30 mesi d’età) di separazione-individuazione.
In sintesi, la psicopatologia della madre non permetterebbe, secondo queste interpretazioni, una sana separazione /
individuazione e non permetterebbe lo sviluppo di un’introiezione autoconsolatoria. In conseguenza di ciò, le componenti
libidiche e aggressive delle rappresentazioni del sé e dell’oggetto non verrebbero integrate. Le emozioni negative, in
quest’ottica, non possono essere tollerate. Ne deriverebbe un fragile senso d’identità e il persistere di difese primitive
(scissione e identificazione proiettiva) nella vita adulta.
Purtroppo non è mai stata portata alcuna prova sperimentale e scientifica a sostegno di tali complesse interpretazioni
psicoanalitiche. Nessuno ha mai dimostrato che i pazienti borderline hanno effettivamente avuto una problematica fase
di separazione-individuazione, né che tale gruppo di pazienti n’abbia avuto in maniera significativamente diversa rispetto
ai pazienti con altri problemi psichiatrici. Nessuno ha mai dimostrato scientificamente che le difficoltà incontrate a 18-30
mesi d’età sono stati più rilevanti nella genesi del disturbo borderline rispetto a esperienze stressanti successive. Il
paradosso, in questo tipo di studi, è rappresentato non dal fatto che le prove raccolte siano dubbie o contraddittorie, ma
che non sia presentata né ricercata nessuna prova diversa dalla ricostruzione psicoanalitica di ricordi e rievocazioni
anamnestiche del paziente adulto A tal proposito Gedo (158) scrive: “Quando ci si impegna a stabilire una serie di
assunti teorici, l’uso potenziale dei dati osservabili si restringe a un esercizio paragonabile all’indossare vestiti ‘pret a
porter’ con l’idea che siano fatti su misura”.
Sulle cause sociali e culturali della condizione borderline molto è stato detto, sebbene, ancora una volta, poco è stato
dimostrato scientificamente rispetto alla specificità dell’eventuale rapporto causale. Le nuove condizioni sociali che
riducono e conflittualizzano i rapporti tra genitori e figli, la perdita di coesione durata dell’istituto familiare e delle altre
istanze sociali, più stabili e rassicuranti in epoche e società diverse da quella occidentale moderna, non possono essere
chiamate semplicisticamente a giustificare l’insorgere del DBP. L’apparente aumento del numero di soggetti con
personalità borderline può, però, dipendere dalla perdita delle capacità familiari di contenimento ed integrazione dei
sintomi che costituiscono il quadro borderline. L’odierna perdita di senso dei valori sociali e del valore sociale
dell’individuo è un dato di facile constatazione. Tuttavia, forse da sempre, ogni generazione ha guardato alla
generazione successiva come fonte di deterioramento dei valori tradizionali. Sebbene le condizioni sociali non sono
cause specifiche dello sviluppo del DBP, la perdita dei valori sociali fondanti è, contemporaneamente, causa ed effetto
dell’instabilità delle famiglie, della perdita di un solido e condiviso senso morale e della inconsapevole legittimazione
dell’egoismo. Tali condizioni possono predisporre la nostra gioventù a sintomi e comportamenti di tipo borderline (159-
162).
Il DBP resta storicamente figlio della cosiddetta “schizofrenia pseudonevrotica” (52), così definita per inquadrare
nosograficamente quei pazienti “difficili”, che durante la psicoterapia peggioravano (163-164). Parte della popolazione
borderline è stata inquadrata, in questa categoria diagnostica, quindi, sulla base degli strumenti terapeutici dei clinici.
Non va sottovalutata, in questa prospettiva una componente iatrogena, ma non un fattore eziologico propriamente detto,
nella genesi del fenomeno borderline.
Sulla base dei dati anamnestici e d’evoluzione clinica del DBP possono essere distinguibili due principali sottogruppi di
soggetti con personalità borderline: I. coloro che hanno subito abusi nell’infanzia e nell’adolescenza, affetti da una sorta
di disturbo post-traumatico da stress cronico, con particolari aspetti temperamentali e caratteriali; II. coloro che
presentano un rapporto stretto tra disturbi del tono dell’umore e sintomi borderline nell’adolescenza e nella prima parte
dell’età adulta e che normalmente presentano una sintomatologia in regressione entro la quarta decade di vita. Tutti i
fattori ambientali incidono, comunque, su esseri umani, frutto di una lunghissima e complessa evoluzione biologica. Va
sempre considerato, perciò, con attenzione il ruolo svolto dalla neuro-biologia nella patogenesi dei sintomi, in ogni
soggetto affetto da personalità borderline, come in ogni altra condizione psicopatologica (165-174).
CONCLUSIONI
In conclusione si può ipotizzare l’esistenza di quattro possibili modelli ezio-patogenetici per il disturbo borderline di
personalità.
I. Un danno cerebrale, prevalente a livello della regione orbito-limbico-frontale, potrebbe causare un disturbo del
controllo degli impulsi, instabilità emotiva ed affettiva, disfunzioni cognitive specifiche ed una vulnerabilità allo
scompenso psicotico. La condizione neuro-biologica predisponente potrebbe dipendere da danni anatomo-funzionali
(175), disfunzioni cognitive ed iperattività limbica, con o senza crisi epilettiche (64), oppure ad alterazioni neuro-chimiche
monoaminiche, coinvolgenti il tono serotoninergico e dopaminergico cerebrale (176). La sintomatologia clinica, sociale e
interpersonale, verrebbe, comunque, modulata, successivamente, da fattori sociali, educativi e traumatici (177-187).
II. I pazienti con DBP potrebbero convivere nella loro infanzia con altri membri della famiglia, spesso i genitori stessi, con
il medesimo disturbo. Ciò esporrebbe i pazienti a comportamenti disturbanti quali l’abuso di sostanze, l’instabilità delle
figure genitoriali, la conflittualità espressa tra genitori, nonché episodi di ‘abuso fisico e/o sessuale. Comportamenti di
questo genere possono alterare persistentemente lo sviluppo psico-sessuale normale ed indurre modelli
comportamentali disfunzionali attraverso l’apprendimento per imitazione. L’insorgere di una personalità borderline
potrebbe conseguire, in tale prospettiva ad un disturbo dello sviluppo del paziente per esposizione a comportamenti
aggressivi, messi in atto da membri della famiglia, con analogo disturbo dello sviluppo. Paradossalmente, lo sviluppo di
tale disturbo di personalità potrebbe essere adattivo al contesto familiare in cui il paziente è vissuto in età infantile e
adolescenziale.
III. Il disturbo borderline di personalità è da considerarsi alla stregua di un disturbo di controllo degli impulsi, con aspetti
di predisposizione genetica. Lo scarso controllo degli impulsi faciliterebbe il rischio di danni cerebrali, traumatici o da
abuso di sostanze, che, a loro volta, possono peggiorare il preesistente disturbo di controllo degli impulsi (188) con
conseguenti e secondari deficit cognitivi. In alcuni pazienti, la disfunzione cerebrale potrebbe non dipendere da un
precedente disturbo del controllo degli impulsi, svolgendo, in questa sottopopolazione di pazienti con DBP il ruolo di
causa principale ed organica dell’impulsività. I comportamenti impulsivi e gli aspetti cognitivi connessi, in assenza di
capacità d’autocontrollo e modulazione nei rapporti interpersonali, indurrebbero ripetuti fallimenti nelle relazioni affettive
e sociali, associandosi in seguito, a depressione, rabbia ed episodi dissociativi.
IV. La strutturazione evolutiva della personalità potrebbe necessitare di un livello minimo di funzionamento cognitivo, e
quindi, di un livello minimo di integrità funzionale del SNC. Qualsiasi fattore esogeno o endogeno sufficiente ad indurre
danni cognitivi, superiori a questo livello minimo di funzionamento, potrebbe indurre lo sviluppo di una personalità
borderline. Infatti, i danni cerebrali, in soggetti con precedenti elevati livelli di funzionamento, influiscono poco sui
comportamenti e sulla strutturazione di personalità rispetto a quanto gli stessi insulti cerebrali possano influire nel caso di
individui in età evolutiva e con minori capacità cognitive. Una predisposizione genetica, la contemporanea presenza di
un disturbo affettivo o di una vulnerabilità psicotica, ma anche le conseguenze di un’esperienza traumatica, episodica o
ripetuta nel tempo, potrebbero condurre allo sviluppo di una personalità borderline (189-198).
Tali ipotesi interpretative possono non essere reciprocamente alternative. Si può, cioè, ipotizzare che sussistano nel
singolo paziente diversi fattori neuro-biologici di predisposizione e diversi fattori ambientali, educativi e traumatici, che
abbiano svolto un loro specifico ruolo nella genesi del disturbo di personalità. Razionalmente, non tutti i pazienti con lo
stesso disturbo “finale” di personalità devono, perciò, necessariamente presentare una sequenza rigida di fattori
predisponenti, causali o concausali rispetto allo sviluppo psicopatologico (199-201). La condizione di personalità
borderline potrebbe essere, perciò, generata da fattori diversi in soggetti diversi, sebbene i principali fattori patogenetici,
implicati in questo sviluppo psicopatologico, possano essere riconosciuti tra quelli trattati in questa breve rassegna.
Un’interpretazione causale lineare è semplicistica e riduttiva nelle scienze fisiche, alla luce delle più moderne
teorizzazioni scientifiche, che trattano, ormai, di causalità circolare. In medicina ed ancor più in psichiatria la ricerca di
una causalità rigidamente lineare risulta, nei fatti, anacronistica e lontana dalla realtà clinica.
Tali considerazioni conclusive risultano essere gravide di conseguenze cliniche sia sul piano diagnostico sia sul piano
terapeutico. Ulteriori sforzi vanno riservati alla valutazione obiettiva dei risultati terapeutici ottenuti con l’applicazione di
strumenti di intervento sia psicoterapeutici sia farmacologici, in una ottica ampia di tipo bio-psico-sociale (202-210).
Summary
In the last few years, many clinical and experimental studies investigated the role of different factors in the etiology and
pathogenesis of the Borderline Personality Disorder (BPD). In the search of the BPD etio-pathogenesis the relative
importance of biological, psychological and social factors were evidenced by different Authors, with divergent theoretical
approach to the mental disease. So, childhood life events, childhood sexual and physical abuse, affective disorders,
impulse disorders, dissociative disorders, post-traumatic aspects of the behaviour and organic brain dysfunctions were
considered important factors in the genesis of the personality disorder. The role and the significance of selected
neuropsychiatric abnormalities in the etiology of borderline personality disorder seems related strongly to the theoretical
point of view of the different Authors. The interaction of heredity and childhood environment results relevant in the
genesis of the BPD. Behaviours analogous to frontal lobe dysfunction in children with attention deficit/hyperactivity
disorder and in patients with BPD were evidenced. In this update review, a psychobiological theory of borderline
personality disorder is presented in the light of the hedonic homeostatic dysregulation (dysedonia). Some critical
considerations about diagnostic validity in psychiatric illness and a heuristic approach to the etiology of the human
psychopathology were also proposed
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