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l a b i r i n t i collana di nar r a t i v a p e r l a scuola media Ferenc Molnár a cura di Tommaso Mainenti I ragazzi di via Pál Excerpt of the full publication

Ferenc Molnár I ragazzi di via Pál

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mediaFerenc Molnár

a cura diTommaso Mainenti

I ragazzi di via Pál

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Copyright © 2006 Esselibri S.p.A.Via F. Russo 33/D80123 Napoli

Azienda con sistema qualità certificato ISO 14001: 2004

Tutti i diritti riservati.È vietata la riproduzione anche parzialee con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazionescritta dell’editore.

Titolo originale: A Paal Ùtcai FiukAutore: Ferenc Molnár

Traduzione e adattamento: Tommaso Mainenti

Prima edizione: febbraio 2006

ISBN 88-244-7874-3S 286 - I ragazzi di via Pál

Ristampe8 7 6 5 4 3 2 1 2006 2007 2008 2009

Questo volume è stato stampato presso«Officina Grafica Iride»Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)

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Grafica di copertina: Gianfranco De AngelisIllustrazione di copertina: Aldo Amati

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L’autore■

Ferenc Molnár, pseudonimo di Ferenc Neumann, nacque a Budapestil 12 gennaio 1878. Il padre era un medico, ebreo di nascita. Le dispo-nibilità finanziarie della famiglia gli permisero di frequentare il liceoa Budapest e poi di trasferirsi a Ginevra, in Svizzera, per studiare leg-ge. In questo periodo, oltre a seguire gli studi di diritto, incominciò acomporre musica, si occupò di pittura, scrisse versi. A diciotto anniritornò a Budapest, dove preferì seguire la carriera giornalistica. In-cominciò quindi a collaborare con “Il diario di Budapest”, uno dei piùdiffusi quotidiani ungheresi del tempo.Nel 1900 pubblicò il suo primo romanzo, La città affamata, e l’annosuccessivo un altro romanzo, Storia di una barca senza padrone, chenarra le delusioni amorose di una ragazza. Frequentando, come tantiintellettuali del suo tempo, i circoli culturali di Budapest, conobbe ildirettore del Teatro Comico che gli commissionò una commedia conla quale inizierà la carriera di scrittore di teatro che l’avrebbe fattoconoscere in tutto il mondo.Nel 1907 uscì a puntate sul “Giornale della domenica” il romanzo chelo avrebbe reso famoso: I ragazzi di via Pál, la storia di due bande diadolescenti che a Budapest si contendono uno spazio per giocarvi.Nel 1910 pubblica il suo capolavoro teatrale Liliom, portato in scenacome musical a Broadway.Durante il primo conflitto mondiale fu corrispondente di guerra perun gruppo di giornali ungheresi, manifestando nei suoi articoli sim-patie nazionalistiche. Dopo la guerra, in seguito alla dissoluzione del-l’impero austro-ungarico, gli orrori della politica antisemita dellaGermania di Hitler, alla quale l’Ungheria si era alleata, gli fecero intui-re il pericolo che correva, essendo ebreo. Decise allora di partire, nel1939, con la fedele segretaria Wanda Bartha, per gli Stati Uniti, stabi-

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lendosi prima ad Hollywood e poi a New York, dove le sue commedieebbero subito notevole successo.Raccontò le vicende legate alla sua partenza nel romanzo Addio, amo-re mio, pubblicato nel 1947. Non ritornerà mai più in Europa, dove, inseguito agli esiti della seconda guerra mondiale, l’Ungheria era di-ventata uno Stato socialista nell’orbita dell’Unione Sovietica.Morì a New York, il 2 aprile 1952. Molte delle sue opere sono stateadattate da celebri autori, fra i quali Tom Stoppard e Arthur Miller, siaper il teatro sia per il cinema.

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L’opera■

I ragazzi di via Pál è il romanzo più noto di Ferenc Molnár, quello chelo renderà celebre in tutto il mondo. Raccontando il più grande scon-tro mai narrato fra due bande di adolescenti per la conquista di unluogo dove giocare, l’autore, già all’inizio del Novecento, affronta il temadella mancanza di spazi per lo svago nelle grandi città.Protagonisti sono due gruppi di adolescenti che si contendono l’uni-co spazio libero nel deposito di una vecchia segheria a vapore: i ra-gazzi di via Pál, guidati dal serio e scrupoloso Boka, con una bandierae un unico soldato semplice che si chiama Nemecsek, e le CamicieRosse comandate dal forte e feroce Feri Áts, spalleggiato dai prepo-tenti e violenti fratelli Pastzor. Il contrasto culmina in una dura batta-glia a colpi di proiettili di sabbia, in zuffe paurose con spade e lance dilegno che vedrà vincitori i ragazzi di via Pál e sconfitti e delusi gliavversari delle Camicie Rosse. Ma come tutte le vittorie anche questaavrà un caro prezzo.Durante lo scontro finale Nemecsek, l’unico soldato semplice, pur es-sendo ammalato di polmonite, scappa da casa per offrire il suo gene-roso aiuto ai compagni. Il suo sacrificio si rivelerà, però, inutile: mori-rà qualche giorno dopo, mentre il campo sarà destinato dai legittimiproprietari alla costruzione di un altro palazzone.Le ragioni del grande successo de I ragazzi di via Pál fin dalla suapubblicazione a puntate sul “Giornale della domenica” risiedono nel-la straordinaria attualità dei temi affrontati: la mancanza di spazi aper-ti nelle grandi città, la scoperta di valori morali e comportamentalispesso ignorati, soprattutto dagli adulti, quali la lealtà, l’onestà, il co-raggio, la generosità, il senso dell’onore, della giustizia e la fede in unideale. L’eroe positivo è Ernõ Nemecsek, un biondino minuscolo, esi-le, ma coraggioso e generoso, che paga con la vita il desiderio di ri-

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scatto e d’accettazione sociale, esaltando la morale del dovere ad ognicosto, dell’impegno al massimo delle proprie forze, dell’importanzanon tanto del risultato, quanto dell’azione in sé.Altro personaggio positivo è János Boka, nel ruolo di comandante,che, con la sua onestà e correttezza, la bontà d’animo e la sensibilità,insegna come il senso di appartenenza al gruppo sia fondamentale. Alui spetta, alla fine del romanzo, il compito di mostrare quanto siadoloroso capire il senso vero della vita, quando l’età dei giochi finiscee ci si trova di colpo di fronte ad una cruda realtà che non dà scampo,come la morte del suo caro amico.La storia ci fa vivere l’evoluzione collettiva dei ragazzi di via Pál.Nemecsek, da bambino piagnucoloso e pauroso, diventa coraggioso egeneroso tanto da risultare risolutivo nello scontro finale; Boka, sem-pre più sicuro di sé, acquista coscienza di quale prezzo nella vita spes-so si deve pagare e che nel mondo non tutti gli uomini sono uguali;Geréb, invidioso e geloso tanto da tradire vigliaccamente i compagni,si riscatta nello scontro finale, dopo aver riconosciuto di avere sba-gliato e aver chiesto umilmente perdono; Feri Áts, il temutissimo capodelle Camicie Rosse, lotta da impavido ma è capace di riconoscere imeriti degli avversari, soprattutto quando questi si mostrano corag-giosi e leali. Nel finale lo ritroviamo, afflitto, davanti al portone dellacasa di Nemecsek morente, consapevole di essere anche lui responsa-bile della morte ormai prossima dell’avversario.Il tono del romanzo è prevalentemente malinconico, commovente,perché si avverte sempre, anche nei passaggi più leggeri, il presenti-mento dell’imminenza di una conclusione triste. La fine dei giochi,infatti, significherà la fine dell’adolescenza, dell’età spensierata deisogni, tutta istintività, e il passaggio ad un’età più matura, meditativa,consapevole e riflessiva.Al contrario dei ragazzi, nei quali si eleva la grandezza d’animo e la pu-rezza di sentimenti, gli adulti che compaiono nel racconto mostranotutti i loro limiti. Molnár li descrive egoisti, con poco cuore, senza scru-poli: il venditore davanti alla scuola, il bidello, il padre di Gereb, il clientedel padre di Nemecsek, i proprietari del campo sono l’immagine di quegliuomini che, attaccati ai loro interessi, sono indifferenti a tutto il resto.

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Ne I ragazzi di via Pál Molnár non si propone apertamente uno scopoedificante; ma, con un tono patetico che induce a commozione, affidaai fatti stessi valori morali e comportamenti che vanno al di là dellastoria e dei giovani protagonisti. Questo libro può essere considerato,infatti, un romanzo di formazione, in quanto è chiaro l’intento di pre-sentare modelli di virtù che possano formare cittadini esemplari. InItalia, alla fine dell’Ottocento, avevano avuto molto successo due ro-manzi, Le avventure di Pinocchio di Collodi e Cuore di De Amicis, cheproponevano gli stessi intenti pedagogici.

TOMMASO MAINENTI

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Capitolo primo■

Era l’una meno un quarto quando, sopra la cattedra dell’aula di StoriaNaturale, come a premio della lunga attesa, dopo numerosi e noiositentativi, nella fiamma incolore della lampada di Bunsen (1) apparveuna splendida striatura verde-smeraldo. Si dimostrava così, come ilprofessore aveva affermato, che quella certa composizione chimicaaveva il potere di colorare di verde la fiamma.Ripeto, era l’una meno un quarto. Ma proprio in quel momento trion-fale, si alzò dal cortile del caseggiato accanto il suono di un organinoche ebbe così il potere di distrarre l’intera scolaresca che fino ad allo-ra era stata attentissima all’esperimento.Era una bella giornata di marzo e dalle finestre spalancate la musica,portata sulle ali della dolce brezza primaverile, aveva invaso l’aula inmen che non si dica. Era un’allegra canzone ungherese, che l’organinodiffondeva a tempo di valzer viennese, non badando al tempo o alritmo. Tutta la scolaresca fu presa da una gran voglia di ridere e, anzi,già qualche ragazzo più audace non poté trattenersi dal ridere.Nella lampada di Bunsen vorticava gaiamente la striscia di fuoco ver-de: ma erano attenti ancora ad ammirarla soltanto i ragazzi del primobanco; gli altri guardavano fuori della finestra i tetti delle case vicinee, più lontano, sotto il sole caldo, l’orologio del campanile sul cui qua-drante, per loro consolazione, la lancetta maggiore era prossima adincontrarsi col numero dodici.

(1) Bunsen: Robert Wilhem von Bunsen,chimico tedesco del secolo scorso, inven-tore della “Lampada o becco di Bunsen”,un bruciatore a gas tuttora in uso per gli

esperimenti nei laboratori di chimica; conesso si può regolare la combustione ri-cavando una fiamma di colori e tempe-rature diversi.

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Dalla finestra entravano nell’aula anche altri rumori che non avreb-bero dovuto interessare i ragazzi. I cocchieri (2) dei tranvai a cavallosuonavano il corno; in un cortile vicino, una servetta cantava una can-zone diversa da quella dell’organino.Ormai l’irrequietezza era in tutta la classe. Alcuni ragazzi si misero asistemare i libri; altri, più ordinati, pulivano le penne.Boka chiuse il piccolo calamaio tascabile rivestito di pelle rossa, checon un meccanismo ingegnoso non lasciava mai gocciolare l’inchio-stro, eccetto che in tasca. Csele riunì le pagine volanti che sostituiva-no i libri: perché Csele essendo un elegantone non intendeva portar ascuola sotto il braccio i libri, come invece gli altri: così aveva con sésoltanto le pagine necessarie ripiegate con molta cura nelle varie ta-sche. Csónakos, nell’ultimo banco, sbadigliò spalancando le mascellecome un ippopotamo che si annoia. Weisz si rovesciò le tasche dellagiacca, spargendo sul pavimento tutte le briciole del kiffel (3) che avevasbocconcellato pian piano dalle dieci all’una senza levarselo di tasca.Geréb prese a stropicciare (4) i piedi sul pavimento, come chi non nepuò più d’alzarsi, mentre Barabás, smesso ogni ritegno, dopo aver stesosulle ginocchia sotto il banco la tela cerata (5) per porvi i libri in ordi-ne di larghezza, tirò la cinghia con tale violenza che il banco fece unoscricchiolio e lui stesso diventò rosso.Insomma tutti stavano preparandosi a uscire: soltanto il professoresembrava non accorgersi che ormai mancavano cinque minuti soli altermine della lezione. Ciò è tanto vero che, a un tratto, girando lo sguar-do mite sulle teste di quei ragazzi, disse:«Che cosa c’è?».Allora si fece un gran silenzio. Un silenzio di tomba. Barabás allentòla cinghia; Geréb tenne fermi i piedi; Weisz rimise in ordine le suetasche; Csónakos si mise una mano sulla bocca, e l’ultimo sbadigliolo terminò dietro il palmo allargato; Csele smise di riordinare i fogli;

(2) cocchieri: conduttori di carrozze a ca-valli.(3) kiffel: piccolo dolce, simile alla brioche.(4) stropicciare: strofinare, sfregare.

(5) tela cerata: stoffa resa impermeabilecon uno strato di gomma o vernice perimpedire il passaggio dell’acqua.

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Boka si ficcò in tasca il bel calamaio rosso; tanto in fretta, tuttavia, daavvertire lo scolare d’una goccia dell’inchiostro turchino.«Che c’è?» ripeté il professore.Ma ormai tutti erano immobili ai loro posti.Allora il professore guardò verso la finestra dalla quale continuava adentrare il suono allegro dell’organino, come se quel suono avesse vo-luto affermare ch’esso non era tenuto a sottomettersi alla disciplinadella scuola.Anche così, però, il professore, con uno sguardo severo nella probabi-le direzione dell’organino, disse:«Csengey: chiudi la finestra».Csengey, il piccolo Csengey, il primo della fila, si alzò subito e, mo-strando un visetto tutto serio, si avviò per eseguire l’ordine del pro-fessore.In quel momento, Csónakos si sporse dall’estremità del proprio ban-co e sussurrò a un biondino:«Attenzione, Nemecsek!».Nemecsek, con la coda dell’occhio, sbirciò prima dietro di sé e poi aterra e vide rotolare una pallottolina di carta vicino a lui. La raccolse ela spiegò. Su un lato del foglietto c’era scritto: «Passa a Boka».Il biondino sapeva che quello era soltanto l’indirizzo: la vera comuni-cazione doveva trovarsi dall’altra parte del foglio. Ma, da ragazzo edu-cato e scrupoloso qual era, non si sarebbe mai messo a leggere unalettera indirizzata ad altri. Così, ricombinò (6) la pallottolina, aspettòil momento più giusto e, a sua volta, si sporse nello spazio tra due filedi banchi, sussurrando: «Attenzione, Boka!».Ora fu Boka a guardare sul pavimento, ch’era la via ordinaria per latrasmissione delle comunicazioni. E, infatti, la pallottolina stava arri-vando.Sulla parte che il biondo e onesto Nemecsek non aveva voluto leggereper rispetto alle leggi dell’onore, c’era scritto: «Alle ore quindici as-semblea generale al Campo. Elezione del Presidente. Comunicare».

(6) ricombinò: riformò.

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Boka si mise in tasca il biglietto, e diede un ultimo strattone alla cin-ghia dei libri. Era l’una. Il campanello elettrico prese a suonare, e cosìanche il professore si rese conto che la lezione era finita. Spense lalampada di Bunsen, assegnò il compito e si ritirò nel gabinetto di Sto-ria Naturale tra gli animali imbalsamati e gli uccelli impagliati, i qua-li, quando si apriva la porta, spiavano nell’aula coi loro occhietti vitreie inespressivi mentre in un angolo, nel più dignitoso dei silenzi, stavaritto il mistero dei misteri, l’orrore degli orrori: uno scheletro umanoingiallito.In un baleno (7) tutti gli scolari uscirono dall’aula e si precipitaronogiù per lo scalone a colonne con una corsa sfrenata, rallentando unpo’ soltanto all’apparire dell’alta figura di un insegnante. Ma non ap-pena l’insegnante scantonava (8) , i ragazzi ricominciavano ad anda-re come il vento e a schiamazzare.Dal portone la folla degli scolari si rovesciava sulla strada come unafiumana, una parte a destra e una parte a sinistra. Se passava qualcheprofessore, si vedevano sollevare dalle teste cappelli e berretti.Tutti si avviavano, affamati e anche stanchi verso le loro case, sullastrada soleggiata. Come tanti piccoli prigionieri tornati in libertà, al-l’aperto, con tanta aria e tanto sole, intontiti camminavano quasi bar-collando, e comunque come se andassero a disperdersi alla ricercadelle loro singole dimore, nella città chiassosa e tutta un movimentoche per essi altro non era che una gran confusione di carri, di carroz-ze, di tranvai a cavallo, di negozi e labirinti di strade.Csele, fermatosi sotto il portone d’un casamento (9) accanto alla scuo-la, contrattava con astuzia col venditore di torrone, il quale aveva au-mentato vergognosamente (10) i prezzi. Un pezzetto di torrone, in tuttii paesi del mondo costava un soldo. Non poteva costare di più. Percapir meglio la questione, si deve sapere che ciò che il venditore didolciumi stacca con un solo colpo di coltello dalla massa bianca co-

(7) In un baleno: in un attimo, in un lam-po.(8) scantonava: svoltava rapidamentedietro un angolo.

(9) casamento: grande edificio di abita-zioni popolari.(10) vergognosamente: senza pudore, overgogna.

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sparsa di nocciole rappresenta un «pezzetto di torrone»: proprio ilpezzetto che costa un soldo. Poi si deve anche sapere che tutto quelloche si vende a quel banco sotto il portone costa un soldo: il soldo èl’unità di prezzo. Un soldo tre susine candite; un soldo tre mezzi fichi,o tre mezze noci, o tre prugne: tutta roba candita infilzata in uno stec-chino. Un soldo un grosso pezzo di liquirizia, un soldo le caramelled’orzo. E un soldo, anche la cosiddetta «delizia dello studente», giàbell’e pronta in cartoccio dove si trova il miscuglio più delizioso del-l’universo: noccioline, uva passa, pezzetti di caramelle, mandorle, pol-vere della strada, frammenti di carrube, e almeno un paio di mosche.Come si vede, per un soldo il cartoccio dello studente offrenumerosissimi prodotti così dell’industria come del mondo vegetalee del regno animale.Csele contrattava perché il venditore del torrone aveva rialzato i prez-zi. Gli studiosi di economia sanno benissimo che i prezzi di taluni ge-neri possono aumentare se il commercio di essi espone a determinatirischi. Per questo costano molto care quelle certe qualità di tè asiaticoche i carovanieri trasportano attraverso lande (11) infestate (12) dabanditi. Questi rischi li dobbiamo pagare noi che viviamo in Europa.Il venditore di torrone e d’altri dolciumi che sapeva, poveretto, di cor-rere il pericolo d’essere scacciato dalle vicinanze della scuola, e anzicapiva che quella soluzione non doveva neppur essere tanto lontana,aveva per dire così acquisito il senso degli affari. Egli sapeva inoltreche, malgrado tutto, i suoi dolci non potevano addolcirgli il sorriso indirezione dei professori che gli passavano davanti da convincerli asmettere di vedere in lui il nemico degli scolari.«I ragazzi spendono tutto il loro denaro da quel pasticciere italiano»,era la frase che pronunciavano i professori.E così, il dolciere italiano, col presentimento che i suoi affari nelle vi-cinanze del ginnasio non sarebbero durati tanto in là, voleva, primadello sfratto (13) , guadagnare almeno qualcosa, accrescendo i prezzi.

(11) lande: territorio pianeggiante arido,sabbioso.

(12) infestate: depredate.(13) sfratto: allontanamento, cacciata.

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E lo disse chiaro a Csele:«Prima, sì, costava tutto un soldo. D’ora in avanti, tutto costerà duesoldi».E mentre diceva a queste parole, in uno stentato ungherese, agitava,irato col mondo, il coltello. Geréb suggerì sottovoce a Csele:«Buttagli il berretto tra i dolci. È uno strozzino (14)».A Csele l’idea piacque. Come sarebbe stato bello veder volare a destrae a sinistra i canditi, con grande divertimento per i compagni di clas-se. Geréb, come lo spirito del male, continuava a soffiare all’orecchiodell’amico le «parole della tentazione»:«Via, getta il berretto sui dolci… È uno strozzino!».Csele si tolse il berretto e lo guardò.«Proprio questo? Così nuovo!» disse, più a sé che agli altri.Geréb aveva fatto quella proposta alla persona meno adatta. Csele eraun damerino (15) e a scuola, lo abbiamo visto, portava non i libri ditesto, ma le pagine staccate dai libri di testo.«Ti rincresce?» gli domandò.«Sì, mi rincresce» rispose Csele. «Ma non credere che sia un codardo(16). Non ho paura. Mi dispiace per il mio berretto. Se vuoi, butto suidolci il tuo berretto».Cose del genere non si potevano proporre a Geréb, perché rasentava-no l’ingiuria. Difatti, si offese e disse:«Se ci vuole il mio berretto, lo getto anche da me. Quell’uomo, ti ripe-to, è un vero strozzino. E se hai paura, vattene!».E con un gesto d’ira, che rivelava le sue intenzioni battagliere, si strap-pò con violenza il berretto dal capo. Stava per mandare all’aria con unsol colpo tutti quanti i dolciumi posati sul tavolinetto, quando qual-cuno alle sue spalle, gli afferrò la mano…Una voce grave, quasi di uomo, gli disse:«Che fai?».Geréb si volse. E si trovò a faccia a faccia con Boka.

(14) strozzino: chi presta denaro richie-dendo un interesse molto alto. Qui indi-ca colui che vende a prezzi esagerati.

(15) damerino: ricercato nel vestire e le-zioso nei modi.(16) codardo: vile.

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«Che fai?» gli domandò daccapo Boka, guardandolo tranquillo conserietà.Geréb brontolò qualcosa, come un leone quando fissa negli occhi ildomatore. Si rimise in testa il berretto e alzò le spalle.Boka gli disse a mezza voce:«Lascia stare quell’uomo. A me piace il coraggio, ma qui è fuor di luo-go… Vieni».Si levò di tasca la mano destra tutta macchiata d’inchiostro, l’altral’aveva ancora al braccio di Geréb, gliela offerse per la riconciliazione.Dal calamaio l’inchiostro blu scuro gli era colato in tasca senza che sene accorgesse. Ma nessuno ci badò. Boka sfregò la mano sul muro,sporcando il muro senza per questo pulirsi la mano.Boka prese a braccetto Geréb e insieme s’avviarono per la strada lun-ga. Csele, l’elegantone, era rimasto presso il dolciere, e lo sentironoper un po’ ancora mentre diceva all’italiano, con triste rassegnazionee con la voce accorata del rivoluzionario sconfitto:«E va bene. Se ormai tutto costa due soldi, mi dia due soldi di torro-ne».Csele aprì il suo bel portamonete verde. Il dolciere sorrise, e forse pensòa quel che poteva succedere se il giorno dopo avesse portato il costodel torrone a tre soldi. Ma se pensò a questo modo, la faccenda dovet-te apparirgli come in un sogno. Come se uno sognasse che di punto inbianco il valore di un fiorino si moltiplicasse per cento.Con il coltello diede un colpo secco al «blocco» del torrone, e la scheg-gia che ne derivò l’avvolse in un pezzetto di carta. Csele la guardò conun po’ di amarezza.«Ma è più piccola delle altre volte!» protestò.L’altro, diventato insolente (17) per il successo ottenuto, rispose sog-ghignando:«Costa di più… Dunque, devo darne di meno».E si volse verso un altro cliente che, istruito dalla scenetta del compa-gno a cui aveva assistito, aveva già pronti in mano i due soldi.

(17) insolente: arrogante, maleducato.

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Il venditore, così, riprese a tagliare. Con gesti stravaganti, e vibrando ilcoltello sulla dolce massa biancastra, pareva il gigantesco carnefice(18) delle favole medievali che, con una mannaia (19) lunga un pal-mo, decapita creature umane minuscole con la testa non più grossad’una nocciolina.«È una vergogna» si sfogò Csele rivolgendosi al nuovo cliente. «Noncapisci che è un vero strozzino?».E si ficcò in bocca il torrone tutto quanto, compresa la carta che v’erarimasta appiccicata. Perché se la carta non si poteva lì per lì staccare,la si poteva tuttavia leccare. «Aspettatemi!» gridò verso Boka e Gerébche si stavano allontanando; e si mise a correre per raggiungerli.Li raggiunse all’angolo, e con loro infilò la via Pipa per poi arrivare invia Soroksári…Procedevano tutt’e tre a braccetto. Boka in mezzo, intento a spiegarqualcosa, calmo, serio, come di solito. Aveva quattordici anni, e potevaancora dirsi, a guardarlo in viso, un fanciullo, o un adolescente appe-na. Ma se parlava, subito gli si sarebbero dati alcuni anni di più. Lasua voce era profonda, tranquilla, seria. E quel che diceva era come lasua voce. Raramente gli uscivano di bocca delle sciocchezze; si capivache non era portato affatto alle monellerie e al gusto delle birichinate.Non prendeva mai parte ai piccoli litigi e si rifiutava persino di far dagiudice se a ciò lo invitavano. Si rendeva conto che dopo la sentenzauno dei litiganti rimane sempre amareggiato e riversa il rancore sulgiudice. Tuttavia, se la disputa (20), inasprendosi, assumeva propor-zioni tali da minacciare di finire dinanzi ai professori, allora interve-niva per persuadere e quindi per rappacificare. E, alla fine, il pacierenon corre mai il rischio di attirare su di sé il rancore dei contendenti.Insomma, Boka era in tutto e per tutto un ragazzo assennato (21),saggio. Facile prevedere che nella vita avrebbe saputo tenere con ono-re il suo posto, senza raggiungere una posizione brillante.

(18) carnefice: boia, esecutore di condan-ne a morte.(19) mannaia: grossa scure con un lun-go manico.

(20) disputa: discussione.(21) assennato: giudizioso.

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Per rincasare, ripiegarono dalla via Soroksári in via Köztelek. In que-sta strada piuttosto stretta, il sole splendeva dolcemente. Dalla Mani-fattura dei Tabacchi, che occupava tutto un lato della strada, venivaun leggero ronzìo. Sulla via Kóztelek c’erano in quel momento soltan-to due persone: Csónakos e il biondino Nemecsek.Quando Csónakos scorse i tre a braccetto, si cacciò tutto felice duedita in bocca ed emise un fischio così potente da parer che fosse ilfischio d’una locomotiva. Era una sua specialità, quel fischio. Nessu-no poteva gareggiare con lui in tutta la quarta ginnasio; anzi, diciamomeglio: non esistevano che pochissimi nella scuola intera che sapes-sero fare quel fischio da cocchiere. Forse soltanto Cinder, presidentedel Circolo Letterario degli Studenti, sapeva fischiare con altrettantapotenza. Ma Cinder, da quando era stato eletto presidente, aveva smes-so di esibirsi, senza più osare di mettersi le dita in bocca: chiaro checiò sarebbe risultato incompatibile (22) con la dignità della sua cari-ca, per la quale, nel pomeriggio di tutti i mercoledì, aveva il diritto distar seduto in cattedra accanto al professore di lingua e letteraturaungherese.Csónakos, dunque, fece sentire uno dei suoi celebri fischi. I tre ragazziraggiunsero lui e il biondino e tutti insieme stettero in gruppo in mezzoalla strada.Csónakos si rivolse a Nemecsek. Gli chiese:«A loro non l’hai ancora raccontato?».«No», rispose il piccolo Nemecsek.Gli altri domandarono in uno stesso momento:«Che cosa?».Invece del biondino rispose Csónakos:«Anche ieri, al Museo, hanno fatto einstand (23)».

(22) incompatibile: inconciliabile.(23) einstand: parola tedesca che, nel si-gnificato attribuitole dai ragazzi diBudapest, significa letteralmente “fermo”,“presa di possesso”, “imposizione di co-mando”, con l’affermazione di forza, so-pruso e prepotenza da parte di chi la pro-

nuncia e della sua disponibilità anche adarrivare alle mani, pur di avere ragione.In tedesco, invece, significa “entrata inservizio”, “parità di punteggio” (nel ten-nis), oppure indica “acquisizione di gradimilitari”.

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I ragazzi di via Pál

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«Chi?».«I Pásztor. I due fratelli Pásztor».Seguì un lungo silenzio.Bisogna sapere che la parola tedesca einstand ha un significato tuttospeciale nel gergo (24) dei ragazzi di Budapest. Quando un ragazzo nesorprende un altro, più debole di lui, a giocare alle palline o ai penni-ni, e vuol portargli via ogni cosa, ecco che pronuncia la parola einstand.Con questa brutta parola tedesca il ragazzo più forte dichiara che lepalline e quant’altro diventano un suo bottino di guerra, ed è pronto,conseguentemente, a venire alle mani contro chi volesse opporglisi.Perciò la parola einstand è in un tempo solo dichiarazione di guerra eproclamazione di stato d’assedio, affermazione di violenza, di pirateria;insomma, il diritto del più forte.Csele fu il primo ad aprir bocca. Il delicato Csele esclamò inorridito:«Hanno fatto einstand!».«Sì sì», confermò il piccolo Nemecsek, con una cert’aria d’importan-za, accorgendosi dell’impressione (25) che la notizia aveva prodottosui tre compagni.Geréb proruppe (26):«Ormai non è più possibile sopportare affronti (27) simili. È un belpezzo che io dico che bisogna far qualcosa. Ma Boka arriccia sempreil naso. Invece, se non ci muoviamo, quelli lì finiranno per picchiarci».Csónakos si ficcò due dita in bocca: stava evidentemente per espri-mere con un gran fischio la contentezza di cui si sentiva invaso. Per-ché lui era sempre pronto ad aderire con entusiasmo a qualunque ri-volta.Boka gli tenne ferma la mano.«Non frastornarci (28)!» gli intimò (29).Poi, serio serio, Boka domandò al biondino:«Dunque, com’è andata questa storia?»

(24) gergo: linguaggio convenzionale,terminologia specifica.(25) impressione: turbamento, agitazio-ne.

(26) proruppe: intervenne bruscamente.(27) affronti: offese, oltraggi.(28) frastornarci: confonderci, intontirci.(29) intimò: ordinò.

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capitolo primo

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«Dell’einstand?».«Naturale. Quand’è successo?».«Ieri nel pomeriggio».«Dove?».«Al Museo».I ragazzi chiamavano così il grande giardino del Museo Nazionale.«Raccontaci com’è andata, con esattezza. Proprio quel che è successo.Perché se dobbiamo far qualcosa contro di loro è necessario sapere laverità precisa».Il piccolo Nemecsek si eccitò tutto, sentendosi nella parte di protago-nista in un avvenimento di molta importanza. Cosa che gli capitavararissimamente, essendo una quantità trascurabile. Non contava nien-te per nessuno; era come il numero uno che non moltiplica e non di-vide, non modifica il risultato di un’operazione aritmetica. Nessunobadava a lui. Appariva insignificante, così piccolo, magro, debole…Proprio per questo, forse, svolgeva sempre la parte della vittima. Quan-do prese a raccontare, i ragazzi, accostando le teste, gli si strinserointorno.«Dunque» disse «nel pomeriggio siamo andati al Museo, Weisz, io,Richter, Kolnay e Barabás. Prima volevamo giocare a palla in viaEszterházy, ma la palla l’avevano quelli dell’Istituto Tecnico e non cel’hanno voluta prestare. Allora Barabás ha fatto questa proposta: “An-diamo al Museo e lì potremo giocare alle palline, contro il muro”. Cosìsiamo andati tutti al Museo e abbiamo cominciato a giocare alle pal-line proprio sotto il muro dell’edificio. Ciascuno di noi, questo era ilgioco, doveva tirare una pallina, e se riusciva a colpire una di quelleche era già sul terreno, tutte le palline diventavano sue. Avevamo tira-to uno dopo l’altro, vicino al muro c’erano già quindici palline e fraqueste due più grosse di vetro. A un tratto, Richter esclama: “È finita.Vengono i due Pásztor”. E, infatti, dall’angolo abbiamo visto spuntarei due Pásztor. Venivano avanti a testa bassa, con le mani in tasca, ecosì lentamente che tutti ci siamo proprio spaventati. Non contavamolto che noi fossimo in cinque, perché quei due sono tanto forti daaverla vinta anche con dieci come noi. E del resto non si poteva nean-che dire che noi fossimo in cinque perché appena c’è in aria qualche

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labir

in

ti

collanadi

narrativa

perla

scuolamedia

Leggere per conoscerenuovi mondi e per riflet-tere su cose già conosciu-te. Leggere per perdersinei labirinti dell’immagi-nazione e, attraverso lafinzione letteraria, capirei problemi del mondo checi circonda. Leggere per

“sentirsi convinti che ognilibro degno di questo no-me rappresenta una con-centrazione, un compen-dio e una forte semplifica-zione di cose complicate”.

(H. Hesse)

I ragazzi di via PálUscito a puntate sul “Giornaledella domenica” di Budapestnel 1907, I ragazzi di via Pálè il romanzo più noto delloscrittore ungherese FerencMolnár.Due bande di adolescenti sicontendono, in città, uno spa-zio all’aperto in cui potergiocare.Il piccolo Nemecsek, un ra-gazzino esile ma ricco di co-

raggio e di generosità, sacri-ficherà la vita per il proprioonore. E nell’animo di giovi-netto del “comandante” Boka,luminoso esempio di rettitu-dine e di correttezza, balenerà“l’idea di ciò che veramenteè la vita. Una vita di cui tuttisiamo servi, che ci costringea lottare talvolta con serenità,ma talvolta con grandetristezza”.

I S O 1 4 0 0 1 2 0 0 4

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Teresa
Timbro