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PERIODICO della FIDAart N. 2 - Febbraio ANNO 2016 FIDAart

FIDAart N.2 2016 Stefano Cagol

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Rivista di arte e di cultura

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In copertina: STEFANO CAGOL, EVOKE PROVOKE (THE BORDER), 2011, Kirkenes, Norvegia

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Copyright FIDAart Tutti i diritti sono riservatiL’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare

Intervista ad un artista Stefano Cagol

News dal mondo

pag. 4

pag. 5

pag. 6-19

Felix Gonzalez-TorresPolitiche culturali

Editoriale Un’economia per l’1%

pag. 22-23

pag. 20-21

L’arte

Mercato dell’arte? Alighiero Boetti

All my life

FIDAartsommario02Febbraio 2016, Anno 5 - N.2

Storia dell’arte pag. 24-25Cara, vecchia Moka

pag. 30

pag. 28

pag. 32

pag. 31

pag. 29

Colonna, 1968

Omaggioadalighieroboettinovegenna-ioduemilasedici, 2016

Addizione, 1974

Mappa, 1989

Rosso Gilera-Rosso Guzzi, 1967-1972

ALIGHIERO BOETTI

ALIGHIERO BOETTI

ALIGHIERO BOETTI

ALIGHIERO BOETTI

Omaggio a ALIGHIERO BOETTI

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EDITORIALE

“UN’ECONOMIA PER L’1%”A metà gennaio 2016 è stato pubblicato il rap-porto annuale “Un’economia per l’1%” pro-dotto dalla ONG britannica Oxfam, una delle più importanti confederazioni internazionali specializzata in aiuto umanitario e progetti di sviluppo composta da 17 organizzazioni di Pa-esi diversi che collaborano in oltre 90 paesi per individuare soluzioni durature alla povertà e all’ingiustizia. I suoi rapporti analizzano la di-stribuzione-concentrazione della ricchezza nel mondo e nelle diverse società fotografandone disuguaglianze e ingiustizie. I dati riportati nel corposo studio sono dram-matici perché confermano una tendenza in atto da anni, anche nel nostro Paese, che è esatta-mente il contrario di quanto la gente ritiene giusto e, volendo usare una parola ormai de-sueta, coerente con il concetto di democrazia.il rapporto documenta che si è allargato il di-vario tra i più ricchi del pianeta e il resto della popolazione: nel 2015 l’1% della popolazione mondiale è arrivato a possedere più del re-stante 99%. Negli ultimi sei anni la ricchezza dei primi è cresciuta di 500 miliardi di dollari, arrivando a 1.760 miliardi di dollari. Di contro, la metà della popolazione mondiale - 3,6 miliar-di di persone - ha visto contrarsi il proprio pa-trimonio del 41%, circa 1.000 miliardi di dollari in meno, nonostante il forte incremento demo-grafico (400 milioni di nuovi nati).Oggi, 62 ultramiliardari possiedono una ricchez-

za equivalente a quella della metà più povera del mondo (vedi grafico in basso). Nel 2010 la stessa cifra era distribuita tra 388 ultramiliarda-ri, ciò significa che la ricchezza si è finita nelle mani di in un numero sempre più ristretto di persone che detengono il potere economico.Anche in Italia si registra una crescente concen-trazione nelle mani di pochi: i dati del 2015 di-mostrano come l’1% più ricco degli italiani sia in possesso del 23,4% della ricchezza nazionale netta e come anche l’incremento della ricchez-za, dal 2000 al 2015, sia stato distribuito iniqua-mente poiché più del 50% è andato a beneficio del 10% più ricco degli italiani. I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri diventano sempre più poveri, in tutto il mon-do, sviluppato e non sviluppato. Non scanda-lizziamoci, quindi, se siamo e saremo sempre più invasi dai poveri di tutto il mondo.Qualcuno potrebbe chiedersi cosa c’entri tutto ciò con l’arte e gli artisti. La risposta è semplice: gli artisti, che hanno goduto in passato di qual-che privilegio, svolgono oggi un ruolo più mar-ginale e passivo in una società governata dal denaro che è diventata sempre più ingiusta. La notizia qui a fianco è la dimostrazione di come questa concentrazione abnorme di ricchezza abbia prodotto un sistema mercantile malato di speculazione che si è appropriato del lavoro degli artisti, utili idioti sfruttati da una finanza amorale interessata solo a investire per incre-mentare i propri profitti.

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POLITICHE CULTURALI

FELIX GONZALEZ-TORRES (1957-1996) “Untit-led” (L.A.), 1991, caramelle verdi avvolte sin-golarmente in cellophane, infiniti ingombri che variano con l’installazione, peso ideale 22,7 kg. (vedi foto a lato). Stimata dai 5 ai 7.000.000 di dollari, ha realizzato all’asta di Christie’s New York del novembre 2015 un prezzo di $ 7.669.000 (euro € 7.140.000). Le caramelle utilizzate per il lavoro possono va-riare a seconda dell’interpretazione, però sono accompagnate da un certificato di autenticità firmato dalla Fondazione dell’artista, il post-minimalista cubano Gonzalez-Torres. Gay, mor-to di AIDS nel 1996, aveva creato l’installazio-ne nel 1991, l'anno in cui era scomparso il suo partner sieropositivo.La storia personale di Torres è stata sicuramen-te drammatica, ma le 'note sul lotto' pubblicate da Christie sono imbarazzanti per il loro dispe-rato tentativo di magnificare "l'opera". «La ricca gamma dell’opera indimenticabilmen-te-bella che Felix Gonzalez-Torres ha creato durante la sua breve, ma brillante carriera di nove anni, è a dir poco sconcertante. In questo, uno dei suoi famosi pezzi con caramelle versa-te, un peso ideale di 23 kg (o Libbre 50) di lu-cide caramelle avvolte nel cellofan e disperse sul pavimento della galleria. Una disposizione scintillante di colore, consistenza e forma, “Un-titled (L.A.)” brilla e riflette la luce ambientale circostante, mentre la sua tavolozza trattenuta e la forma scultorea invocano abilmente le ri-gide geometrie del Minimalismo. Gli spettatori possono partecipare ai lavori scegliendo una caramella per sé stessi, e la struttura del pezzo si evolve gradualmente nel tempo secondo la quantità di modifiche delle caramelle»....«Una struggente, opera metaforica,“Untitled” (LA) evoca la fragilità della vita e il notevole ta-

lento dell’artista per la creazione di gioia in un momento di dolore”... “invoca la caducità della vita e della sua inevitabile decadenza, un con-cetto che doveva pesare sull’artista data la sua sieropositività. Tuttavia, poiché il lavoro può es-sere rifornito in qualsiasi punto, per quanto si tratti di perdita diventa anche di perpetuazione e di cambiamento. La bellezza scintillante del-le caramelle cellofanate è indimenticabilmente bella e la natura partecipativa del pezzo è a dir poco profonda».Diciamo subito che non si può non apprezzare i sentimenti che hanno mosso Torres e che parte delle cose scritte, soprattutto sulla “bellezza e bontà” delle caramelle, possono essere sotto-scritte da tutti, però una banale domanda sorge spontanea: perché pagare 7,67 milioni di dollari per 23 chili di comuni caramelle verdi incellofa-nate che si possono acquistare a 100 dollari in qualsiasi negozio di dolci?

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Intervista a STEFANO CAGOL

In basso: ICE MONOLITH, 2013, installazione, bloc-co di ghiaccio, 200x150x50 cm, naturale processo di fusione durato 72 ore, ripresa video, Venezia

A lato: THE BODY OF ENERGY (OF THE MIND), 2015, progetto transnazionale, videocamera a infrarossi, azioni partecipative, Folkwang Museum, Essen

«..non ho più dipinto dopo l’Accademia…» Questa risposta spiega bene quale sia l'idea di arte di Stefano Cagol e come, seppur laureato a Brera, consideri la pittura solo una fra le tante opzioni che stanno di fronte a chi voglia esprimersi senza vincolarsi ad un unico linguaggio. Così il suo noma-dismo, geografico e culturale, fa parte del suo modo d'essere in quanto motivato a partecipare a tutto ciò che avviene nel mondo. Insomma, un artista del nostro tempo, curioso e aperto a tutte le esperienze quando utili a trasmettere i concetti che ha in testa, impegnato sui grandi temi sociali ed ecologici per portare un suo punto di vista personale, comunicatore («l’arte è comunicare») e sensibile a tutto ciò che è pubblico poiché esperto delle regole di una società massmediatica sempre alla ricerca di nuovi stimoli e provocazioni. L’artista incarnato da Cagol non è tanto un creatore di manufatti, quanto un produttore di idee, di concetti e, conseguentemente, di azioni a valenza artistica finalizzate a stimolare delle risposte emotive e mentali negli spettatori coinvolti, direttamente o indirettamente. Diversamente da molti artisti ripiegati sull'autoreferenzialità della propria disciplina convinti dell'inutilità di relazionarsi con gli altri, Cagol si potrebbe definire un operatore culturale militante proiettato verso l’esterno che ambisce a incidere sulla realtà attraverso la sua pratica artistica. Convinzione che gli fa onore, parti-colarmente oggi, in tempi di disimpegno etico che sconfinano in una colpevole indifferenza, (se non connivenza). Non tutte le sue opere, però, si muovono sulla linea di un concettualismo simbolico, virtuale, ermetico perché, quando si confronta con opere tridimensionali, Stefano si dimostra arti-sta capace di realizzare sculture e installazioni monumentali caratterizzate da rigorose composizioni dinamiche di sapore architettonico, attente al contesto e raffinate nei materiali.Paolo Tomio

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THE COW LOLA, 2010, installazione, 6 pelli di diversi animali, rasatura, colori acrilici, dimensioni ambien-tali, Facoltà di Scienze Cognitive, Rovereto

Quando hai cominciato a interessarti all’arte?

È un’attrazione che hai dalla nascita e consolidi crescendo. Da piccolo a scuola, quando vivevo in Svizzera, mi dicevano che ero portato verso le materie artistiche: penso siano capacità, sen-sibilità che uno ha dentro di sé, caratteristiche intrinseche nel carattere di una persona. La vita mi ha portato a seguire gli studi artistici presso l’Istituto d’Arte a Trento e successiva-mente all’Accademia di Brera a Milano, ma ho proseguito lungo questa strada quasi alla cie-

ca, attraversando momenti in cui il futuro non era per nulla chiaro, in cui non ero sicuro di fare l’artista. All’inizio è solo un sogno, non tanto di fare l’artista, ma almeno un lavoro creativo. Poi improvvisamente accadono, uno dopo l’altro, degli avvenimenti e scattano delle situazioni, e inizi a pensare che la tua strada possa veramen-te essere quella dell’arte. Anche se non è mai facile proseguire. Forse la scintilla scatenante, è stata il periodo dell’Accademia in cui ho avuto la possibilità di frequentare un amico artista coreano, Che Wo Seung, con cui ho condiviso un appartamento per due anni e che mi ha aiutato a focalizzare meglio le cose. In quel momento stavo speri-mentando tutto, installazioni, pittura, ribel-

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WHITE FLAGS, 2005, performance, abito disegnato da Jaana Parkkila, 10 bandiere bianche alle dita, bandierine bianche, ed.di 1000, 51° Biennale di

Venezia - Esposizione Internazionale d'Arte, Venezia

In basso WAR GAME, UNCLE SAM (made in china), 2007, ky dancer, tessuto, ventole, 8x4x1 m

Kunst Merano Arte, Collezione privata BZ

landomi verso la specializzazione in un campo preciso. Un altro fatto importante è avvenuto all’ultimo anno di accademia nel ’93, quando sono stato tra i 110 selezionati (uno per corso) su 5.000 studenti per la prima edizione della mostra “Salon Primo” e ho avuto la possibilità di esporre un mio lavoro in una galleria privata di una città così prestigiosa come Milano. Ri-tengo questo abbia scatenato in me quel desi-derio edonistico di esporre, di essere al centro dell’attenzione: l’artista ha un bisogno estremo d’esprimersi e l’arte gli offre questa possibilità.

Quali sono state le correnti artistiche e gli artisti che ti hanno influenzato?

All’Accademia con Antonio d’Avossa, mio pro-fessore del corso di Storia dell’Arte, ho trat-tato per un anno intero Marcel Duchamp, un vero apripista nell’intendere un nuovo modo di fare arte, e per tutto l’anno successivo Joseph Beuys, l’unico artista capace di dare vita a un partito politico, quello dei Verdi, grazie alla sua visionaria e anticipatrice sensibilità ecologica. A questi aggiungerei Andy Warhol perché anche lui ha dato una forte chiave di svolta nella storia dell’arte producendo qualcosa che non a caso è stato definito come un movimento. La Pop Art ha dato vita a delle vere e proprie icone, pur proponendo qualcosa di comune, di diffuso: la portata delle sue opere è di una forza critica im-pressionante verso la società seriale. Poi Nam Jun Paik e Bill Viola.

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HORIZON IV, 2004, video mini DV, 60 sec.Le mie opere devono sempre esprimere un contenuto, un concetto, innescare riflessioni nell’osservatore. Prima di tutto penso a cosa voglio affrontare urgenze e contraddizioni dell’oggi, poi queste prendono forma.

Quali tecniche utilizzi abitualmente?

Uso tutto quanto mi serve per affrontare le idee che voglio trasmettere. E’ importante lo spazio e il tempo. Uso svariate modalità e mezzi, an-che immateriali come un raggio di luce o un blocco di ghiaccio che si fonde, o effimere come un’azione partecipativa e totalizzanti come un viaggio, quale ad esempio è stato il progetto “The Body of Energy”. Infine fisso tutto in ope-re fotografiche, opere video, installazioni, light

Perché hai iniziato a interessarti all’arte pubbli-ca?

L’arte pubblica amplifica l’opportunità di comu-nicare. I luoghi pubblici sono quelli a cui ambi-sco maggiormente perché non sono nel chiuso di un museo o di una galleria, ma sotto gli occhi di tutti, chiunque può entrare in contatto con la tua opera. Questo rapporto aperto con l’os-servatore non è semplice, e va tenuto presente quando si crea un’opera di questo tipo. L’arte pubblica è molto potente, e molto stimolante.

Le tue opere rientrano in quella che si definisce “arte concettuale”?

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THE END OF THE BORDER (of the mind), 2013 progetto transnazionale, furgone, scritte adesive,

generatore, faro da 7000 W, Diga del Vajont

box... Quindi offro prima di tutto sensazioni, ma anche opere in senso tradizionale.

Qual è il tuo rapporto con le tecnologie?

Gli artisti hanno sempre utilizzato tutti i mez-zi a disposizione, sperimentandone di nuo-vi. Ora siamo nell’era della tecnologia e trovo giusto che gli artisti se ne servano. Io lo faccio, ho sempre avuto grande dimestichezza con la tecnologia. Dopo i primi computer con 64 K di memoria negli anni Ottanta, nel 1993 ho avuto il mio primo Macintosh Apple…Ricordo sempre con piacere “Generazione Me-dia”, la mostra a cui ho partecipato alla Trienna-le di Milano nel ’97 con un’opera video. C’era-no, tra gli altri, anche Loris Cecchini, Marcello Maloberti, Massimo Bartolini, e tra i curatori Paolo Rosa di Studio Azzurro. Si respirava qual-cosa di speciale nell’aria, un mutamento in atto,

reale, perché la tecnologia stava diventando accessibile. E noi, noi del ’69, abbiamo vissuto proprio in prima persona lo svilupparsi delle tecnologie attuali. Fin dai primi computer e dal-le prime videocamere VHS, di qualità davvero ridicola rispetto ad ora, ma che permettevano già di girare filmati a casa, di catturare la realtà, di trasformarla, senza dover accedere a mez-zi inavvicinabili. Certamente quello è stato un momento particolare, di cambiamento.

Realizzi anche quadri e sculture più tradiziona-li?

Le mie sculture sono soprattutto monumenta-li: “Tridentum”, una scultura di 16 tonnellate di acciaio all’ingresso sud della città di Trento, e

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NOVUS ATLAS, 2012, installazione permanente, ac-ciaio inox, luci LED, 300x900x40 cm, mappa antica di Martino Martini, 50x70 cm, Istituto Martini Mez-zolombardo

Sei interessato a un “messaggio” nell’opera?

Assolutamente sì: a me piace agire attraverso l’arte perché è una valida valvola di ribellione non violenta, che ti permette di evidenziare le asimmetrie della società. I miei messaggi attra-versano la politica, l’ecologia.

Come si motiva artisticamente il tuo continuo viaggiare?

Credo che questa mia attitudine al viaggio na-sca dal fatto che da ragazzino, dai 5 ai 15 anni, ho vissuto in Svizzera, a Berna, con la mia fa-miglia. Quindi finita l’Accademia ho vinto una borsa di studio di post-dottorato del Governo canadese e sono stato sei mesi a Toronto per svolgere una ricerca in video arte alla Ryerson

“Novus Atlas”, una scultura di quasi dieci me-tri in acciaio inox e luci al LED realizzata per la sede dell’Istituto Martino Martini di Mezzolom-bardo. Invece, non ho più dipinto dopo l’Accademia, fino ad ora, ma non fisso limiti…

Ritieni di rappresentare nelle tue opere concetti o emozioni? Chi osserva un’opera deve essere colpito, deve sentire muoversi qualcosa dentro. Questo ef-fetto può essere provocato dai contenuti o dall’estetica, ma le due componenti non posso-no essere slegate tra loro nella mia opera.

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FLU GAME, 2008, installazione, scarti di polimeri industriali, scritta adesiva, dimensioni ambientali

Courtesy Mart

University: ora è usuale specializzarsi all’estero, ma nel ’98 era stata una scelta per me molto importante.In un’epoca in cui si naviga digitalmente, il mio viaggiare anche fisico assume ancora maggio-re valore ed è entrato a far parte del metodo creativo di numerosi progetti artistici, tanto da renderlo un tratto distintivo della mia ricerca. Prima ci sono state Toronto, New York e Miami, quindi Tokyo nei primi anni Duemila e la serie di diari per immagini che caricavo quotidiana-mente online su siti dedicati, quando ancora non esistevano i social network e la sovra-espo-sizione dei selfie. Poi nel 2006 c’è stato il primo progetto transnazionale, “Bird Flu Vogelgrip-pe”, partito da Trento per arrivare alla 4° Bien-nale di Berlino, seguito da “Power Station” che per la 1° Biennale di Singapore ha attraversato i diversi quartieri dell’isola. Nel 2013 il raggio di luce di “The End of the Border” ha “superato” e sovrastato la Diga del Vajont, alla presenza dei media nazionali, ed è stato portato fino ai confini artici tra Norvegia e Russia, passando per Oslo e per sei stati euro-pei. L’ultimo progetto itinerante si è spinto fino

a Gibilterra ed è durato sei mesi, incentrato sul tema dell’energia.

Nel corso della tua carriera, hai conosciuto mol-ti artisti nazionali e internazionali?

Beh, sono vent’anni che frequento artisti ed è impossibile elencarli tutti, sono veramente troppi… Vediamo un po’ … posso ricordare Michael Snow e Bruce Elder incontrati a Toronto, Ka-terina Sieverding e Christian Jankowski in Ger-mania, Marina Abramovic, Maurizio Cattelan, Tobias Rehberger, Santiago Sierra fino a Rudy Stingel e Urs Fischer a New York, quindi Lars Ramberg in Norvegia, Wim Delvoye, Kendell Geers e Jota Castro in Belgio, a Londra Josef Ko-suth…Ad esempio quando io ho partecipato alla Bien-nale di Venezia nel 2013 nel Padiglione Nazio-nale delle Maldive eravamo 17 artisti interna-

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In alto: FIGHT OR FLIGHT, 2011, stampa su PVC150x150 cm, Collezione L’Ozio, Amsterdam

EVOKE PROVOKE (THE BORDER), 2011, installazione site specific, 16 bandiere, parole in norvegese, sami e russo, N. 6: 200x300 cm, N. 10: 120x180 cmKirkenes, Norvegia - Pikene på Broen

zionali (Egitto, US, UK, Cipro, Libano, Svizzera, Austria, Grecia, Maldive, Danimarca, Germania, Italia) invitati a riflettere sui temi del cambia-mento climatico: interessantissimo!

Alla luce delle tue esperienze negli altri paesi, come ti sembra il panorama degli artisti italia-ni?

Grandissime le potenzialità, ma il sistema ita-liano nel complesso non riesce a sostenere con coerenza l’arte nazionale e manca una vera e propria politica a riguardo.

E degli artisti trentini rispetto al panorama ita-liano?

Se penso a un artista trentino, penso sempre a Fortunato Depero e alla sua capacità di es-

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TRIDENTUM, 2011, installazione permanente d’arte pubblica, acciaio, 16 ton, 4.00x16.00x10.00 m

A22, Trento-sud, Trentosere parte del sentire del suo tempo, di essere protagonista del panorama nazionale e oltre, con una ricerca stupefacente, senza limitazio-ni nell’uso di molteplici media e della grafica, tanto da farlo finire sulle copertine a New York. Non molti altri trentini sono stati all’altezza del loro tempo. A lui ho dedicato la mia tesi a Brera nel ’93.Parlando dell’oggi, proprio attraverso la glo-balizzazione, il centro si svuota di valore, non è strettamente necessario, e anche operare al meglio nei margini, ai confini, può certamente essere una nuova opportunità…

Segui la “politica culturale” trentina? Pensi che si possa fare di più per il settore artistico?

Viaggio molto, ma torno sempre in Trentino, che dichiaro sempre essere la mia base. Mi reputo fortunato perché questo territorio è privilegia-to nell’ambito artistico per la straordinaria con-centrazione di musei e istituzioni, come Mart, Museion, Kunst Merano Arte, Arge Kunst… Mi piace definire i musei come “fabbriche di ener-gia culturale” e sono sicuro che provenire dal Trentino abbia favorito la mia carriera, anche se non vuol dire che il successo qui piova dal cielo. Oggi c’è un numero altissimo di soggetti coinvol-ti nel sistema dell’arte, mentre sono veramen-te pochi quelli che riescono a fare qualcosa di signiificativo. In questa realtà contemporanea altamente mediatica in cui viviamo, siamo con-

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LIES, 2005,spazio stampa Lambda, silicone, perspex, dibond, 100x125 cm

In basso: RAT LIFE, 2008, cioccolato, mandorle, ve-leno per topi

In alto: GUINEA PIG. R.I.P., 2008, spille, diam.2 cm, 10 combinazioni di parole, edizione di 1000

A destra: COMUNICARE SENZA COMUNICARE 2012, installazione site specific, banner, PVC,

14 m x 60 cm, Facoltà di Lettere e Filosofia, Trento

tinuamente bombardati da informazioni prove-nienti da ogni angolo del pianeta, l’importante è trovare un modo personale per raggiungere gli altri, per colpire nel cuore seguendo il pro-prio istinto, ma l’assurdo rischio di questo mon-do pieno zeppo di comunicazione è proprio non avere niente da dire.

Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori?

Sono un amante del bello. Ma l’estetica serve per dare forma ai contenuti, che vengono pri-ma di tutto.

Chi è, oggi, l’artista?

Penso che l’artista dovrebbe assumere un ruolo ben definito all’interno della società, per poter-la influenzare con la sua visione anticipatrice. La capacità sta proprio nel crearsi dei varchi, delle brecce attraverso cui entrare nella società e avere la forza di farsi sentire. La mia speranza è che l’arte smetta di essere un’entità tenden-zialmente a circuito chiuso per divenire qualco-sa di veramente rivoluzionario negli animi delle persone.

E, per finire, cosa è per te l’arte?

L’arte è comunicare.

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STEFANO CAGOL

E’ nato a Trento. Ha studiato a Berna, all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, alla Ryerson University di Toronto con un progetto post-dottorato attraverso una borsa di studio del governo canadese.Cagol è artista vincitore del premio VISIT della fondazione germanica RWE (2014), partecipante al Padiglione Nazionale delle Maldive alla 55. Biennale di Venezia (2013), vincitore del Premio Terna 02 per l’arte (2009).Tra 2014 e 2015 ha presentato il suo progetto The Body of Energy (of the Mind) alla Bergen Kunsthall in Norvegia, al Museo MAGA di Gallarate, al Folkwang Museum di Essen in Germania, al Museo Madre di Napoli, al Museo Maxxi a Roma, al Museion a Bolzano, alla Kunst Halle Sankt Gallen in Svizzera e allo ZKM di Karlsruhe. Mostre e progetti personali sono stati realizzati a CLB-Collaboratorium a Berlino; alla Barents Art Triennale 2013; ZKM, Karlsruhe; Laznia Centre for Contemporary Art, Danzica; Museion, Bolzano; Westergasfabriek Cultuur Park, Amsterdam; Kunstraum Innsbruck; alla chiesa di San Gallo come evento collaterale della 54. Biennale di Venezia; Manifesta 7 (evento parallelo); NADiff, Tokyo; 4. Biennale di Berlino (progetto speciale); 1. Biennale di Singapore (evento satellite); Platform, Londra; Mart – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto.Le mostre collettive includono Waterscapes: The

Politics of Water presso Kumho Museum e Pohang Museum in Corea del Sud; Portable Nation alla Fondazione Pescheria-Centro Arti Visive, Pesaro; la 2. Xinjiang Biennale a Urumqi, China; Time Code a White Box art center, New York; Twenty for One alla 5. Biennale di Mosca; Alpenrepublik alla Kunstraum Innsbruck; Abschiedsausstellung: Jan Hoet al MARTa Herford; Eurasia al Mart – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Rovereto; Zoo Logical all’Harry Malter Park di Ghent; Nuovo Spazio Italiano presso la Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento; Generazione Media alla Triennale di Milano.Cagol è stato artist in residence a Momentum, Berlin; a USF, Bergen, Norvegia; Drake Arts Center, Kokkola, Finlandia; VIR Viafarini-in-residence, Milano; BAR international, Kirkenes, Norvegia; International Studio and Curatorial Program (ISCP), New York; Leube Group Art Program, Gartenau; Künstlerhaus, Salisburgo; borsista presso l’ICP – International Center of Photography, New York.Ha realizzato letture, tra le altre, presso la Sala Napoleonica dell’Accademia di Brera a Milano per Internature e alla Goldsmiths University per Critical ways of seeing. Ha vinto la menzione speciale al Premio Francesco Fabbri (2013), il premio Targetti Art Light (2008), il premio Murri Public Art (2008). È stato shortlisted per Art & Ecology International Artists Residency di RSA – Royal Society for Arts, Londra, e MapXXL mobility program di Pépinières Européennes pour Jeunes Artistes di Parigi.Ha vinto gare per la realizzazione di opere permanenti d’arte pubblica con Novus Atlas al Polo Martino Martini di Mezzolombardo su commissione dalla Provincia autonoma di Trento e con Tridentum alla porta di Trento Sud su commissione della A22 Autostrada del Brennero. Hanno parlato della sua partecipazione al Padiglione Nazionale delle Maldive della 55. Biennale di Venezia, tra gli altri: The New York Times, BBC, Huffington Post, Rai, Kunst Bulletin (dedicando l’editoriale e la copertina). Le seguenti riviste, tra le altre, gli hanno dedicato approfondimenti: Contemporary, Londra; Eine, Vienna; Flash Art, Milano; Monopol, Berlino.I seguenti editori hanno pubblicato le sue monografie: Skira, Charta, Revolver Publishing. Le sue opere fanno parte delle seguenti collezioni pubbliche, tra le altre: Apt Global, Museo MA*GA di Gallarate, Museion - Museo di Arte Moderna

photo by © san gu (smach 2015)

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FIDAart copertina del N.2 20165

Periodico di arte e cultura della FIDAart

Curatore e responsabile

Paolo Tomio

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Tutti i numeri 2012-2013-2014-2015

della rivista FIDAart

sono scaricabili da:

www.fida-trento.com/books.html

Tutti i numeri 2012-2013-2014-2015

della rivista FIDAart

sono sfogliabili su:

http://issuu.com/tomio2013

FIDAart

e Contemporanea di Bolzano, ZKM di Karlsruhe, Mart - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, White Box di New York, Nomas Foundation, UniCredit Group, Terna.Mostre collettive: oltre duecento mostre collettive e progetti personali in Italia, Europa, Stati Uniti, AsiaMostre personali 2015 The Body of Energy (of the mind), CLB Berlin Collaboratorium, Berlin, Germany 2014 The Body of Energy (of the mind), project room, Museo MA*GA, Gallarate, Italy2012 Sensor: Stefano Cagol, ZKM | Museum of Contemporary Art, Karlsruhe, Germany Fight or Flight, L’Ozio, Amsterdam, the Nether lands2011 CONCILIO, Collateral Event at 54th Internatio nal Art Exhibition - la Biennale di Venezia, Chiesa di San Gallo, Venice, Italy Stockholm Syndrome (always with you), Priska C. Juschka Fine Art, New York City, USA2010 Salon: Stefano Cagol, International Studio & Curatorial Program (ISCP), New York, USA Undergo Alarms, Studio d’Arte Raffaelli, Trento, Italy2008 Guinea Pig, Priska C. Juschka Fine Art, New York City, USA2007 The Flu ID, NADiff – New Art Diffusion, Tokyo, Japan2005 Babylon Zoo, Oredaria Arti Contemporanee, Rome, Italy Atomicwerk, Forte Strino, Vermiglio, Italy Lies, Platform, London, UK2004 Irrational Exuberance, project room: video windows, Stefan Stux Gallery, New York, USA2000 Contemporanea: Stefano Cagol, MART – Museum of Modern and Contemporary Art, Trento, Italy Spider & Empire, Galleria Estro, Padova, Italy1999 The Cat’s Moon, Studio d’Arte Raffaelli, Trento, Italy1998 Entropia, Ryerson Gallery, Toronto, Canada1996 Disintegrazione, Galerie der Berchtold Villa, Salzburg, Austria Fattore Artificiale – Dirbtinis Faktorius, Arka Galerija, Vilnius, Lithuania1995 Sex-Net-Mort Nuclèaire, Künstlerhaus, Salzburg, Austria.www.stefanocagol.com

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MERCATO DELL’ARTE ?

ALIGHIERO BOETTI (1940-1994), Colonna, 1968 centrini di carta e ferro, 211x36x24 cm, Chri-stie’s Londra 2014, venduto a $ 3.880.000 (euro 3.058.000). Su uno dei centrini di carta l'arti-sta ha scritto: «Uno dei mille e mille fogli che compongono la colonna realizzata a Torino nel sessantotto, fuori e in silenzio dalla furiosa con-testazione. Alighiero e Boetti». E' stato uno de-gli artisti d'avanguardia italiani più interessanti e cosmopoliti, ignorato per un lungo periodo e finalmente riscoperto nelle aste internazionali dove sta registrando una crescita vertiginosa dei suoi prezzi. Certamente perché è riuscito a

coniugare le sue complesse invenzioni metodo-logiche e concettuali anche con una innovativa sensibilità per la componente estetica.Figlio di un notaio (conte e abbiente) e di una violinista, poi diventata ricamatrice, Alighie-ro Boetti nasce a Torino nel 1940 e muore di tumore a soli 54 anni. Sin dall’adolescenza svi-luppa numerosi interessi, dalla matematica alla musica, dalla filosofia all’esoterismo, dalle culture del Medio ed Estremo Oriente a quelle africane. Abbandonati gli studi alla Facoltà di Economia e Commercio, al principio degli anni ’60 realizza da autodidatta i suoi primi dipinti e disegni astratti; dopo un lungo soggiorno a Pa-rigi, tornato a Torino, nel 1967 esordisce con la sua prima mostra personale presso la galleria Stein. Nello stesso anno partecipa all'esposi-zione "Arte Povera" curata da Germano Celant, il nuovo movimento artistico a cui aderisce presenziando alle più significative esposizioni. Dopo due anni di 'sperimentazione' con mate-riali "poveri", nel 1969 si allontana dal gruppo per seguire altre strade più legate ai suoi inte-ressi. Poi dirà: «Sono andato da un fornitore di materiali da costruzione. E' stato emozionante vedere le cose meravigliose che erano lì! Vedere tutti quei materiali mi ha riempito di entusia-smo folle, alla fine si è rivelato nauseante!»Nel frattempo viaggia da Est a Ovest soggior-nando soprattutto in Afghanistan dove si reca più volte l'anno fino al 1979 quando il paese sarà invaso dall’esercito sovietico. A Kabul na-sce il primo arazzo con ricamati il centenario della sua nascita e la data presunta della morte Seguiranno centinaia di arazzi realizzati su suo disegno da abili (ed economiche) artigiane lo-cali, i più famosi sono di formati vari suddivisi in griglie in cui lettere accostate compongono frasi e giochi di parole in varie lingue (vedi a

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ALIGHIERO BOETTI, SCIOGLIERSI COME NEVE AL SOLE, 2010, arazzo su pannello di tela, 23x21,5 cm

ALIGHIERO BOETTI, EMME I ELLE ELLE E ... , 1970vernice a spruzzo su legno, 35x35 cm

ALIGHIERO BOETTI

lato e a pag. 31) e le "Mappe", planisferi del mondo nelle quali ogni nazione è tessuta con i colori della propria bandiera (vedi a pag.29). Negli anni successivi prosegue con la sua ricer-ca ispirata all'ideale di un'incondizionata libertà d'espressione e contrassegnata dallo sperimen-talismo sui temi di ordine e disordine, serialità, ripetitività e sui concetti del doppio e dell'iden-tità giungendo a firmare con il suo nome sdop-piato in "Alighiero e Boetti". Sono i tempi della serie dei "Viaggi postali", dei lavori a biro, dei video, delle scacchiere in legno e lamiera, dei disegni e dei collage, e molti altri ancora.Tutte le sue opere sono sempre precedute da uno studio progettuale che con il tempo diven-ta metaprogettuale perché l’artista non si pre-occupa più dell'oggetto artistico ma di inventa-re 'sistemi' che poi "sceglieranno" per lui. Anzi, privilegiando sempre più l'aspetto concettuale dell'atto artistico, perviene a un progressivo distacco della fase creativa da quella dell'ese-cuzione materiale, delegata, in parte o in toto, a suoi collaboratori. Molti arazzi, ad esempio, contengono scritte in lingua farsi liberamente scelte dalle ricamatrici. Proprio quest'ultimo aspetto è oggi particolarmente attuale nel suo aver messo in discussione il ruolo tradiziona-le dell’artista e lo stesso concetto di paternità dell'opera d'arte. «Prima di tutto preferisco pensare. Questa è la cosa fondamentale. Credo davvero che la manualità sia secondaria». Sicuramente, le opere di Boetti si distinguono da quelle più "basiche" degli altri artisti pove-risti e concettuali poiché sono caratterizzate da un raffinato canone classico geometrico-archi-tettonico e nascondono nella loro struttura una componente ludica, ironica o enigmatica, qua-si iniziatica, che intriga l'osservatore spinto a comprenderne i sofisticati meccanismi interni.

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ALL MY LIFE

“All My Life”. Tutta la mia vita, minuto per minuto. Questo deve essere stato il pensiero comparso allo studente giapponese, aspi-rante artista multimediale, Akira Ogawa il quale, due anni fa ha dato inizio a un ambiziosissimo progetto che, nelle sue intenzioni, do-vrebbe durare tutta la vita. L’idea gli è nata dopo aver visto i lavori dell’artista concettuale suo connazionale, On Kawara: è stata una folgorazione che gli ha aperto un mondo nuovo in cui la sua visione dell'arte e le sue competenze professionali potevano essere finaliz-zate a un’opera grandiosa quanto, e forse più, quella portata avanti da colui il quale Akira aveva elevato al rango di suo Maestro.Il 'Maestro' On Kawara, a partire dal 1966, aveva cominciato a dipin-gere quotidianamente dei piccoli quadri praticamente quasi uguali definiti "Today Series", sui quali dipingeva solo la data del giorno corrente (es.: “MAR.23.1974”, “MAR.24.1974” ecc.), scritta in bian-co su un fondo di colore monocromo. Nel corso degli anni il numero di questi “Date paintings” è arrivato a tremila e oggi rappresentano la sua biografia oggettivata in un sistema temporale. Qualcuno po-trà pensare che sia stata un’operazione un po' maniacale e ripeti-tiva ma, intanto, il suo dipinto “1.MAY.1987”, di 20x30 cm, è stato battuto da Christie nel 2014 per 4,2 milioni di dollari!Il giovane Ogawa, rimasto affascinato dall’esperimento che pazien-temente Kawara aveva ripetuto giorno dopo giorno fino alla sua morte avvenuta nel 2014, ha deciso di seguire le orme del Maestro utilizzando però per immortalare la propria vita una tecnica che gli era più congeniale: l'apparecchio fotografico digitale.Ogawa si era convinto, infatti, di non voler rappresentare lo scor-rere del tempo con il linguaggio astratto di un dipinto minimalista che riportasse solo la data, ma piuttosto di documentare oggettiva-mente con immagini tutti i minuti della sua intera esistenza “vista" attraverso i propri occhi. Una ripresa perpetua della realtà che co-stituisse l'archivio della sua esperienza terrena.Un esperimento mai tentato prima, sia perché nessuno ci aveva an-cora pensato, sia perché la tecnologia non aveva permesso fino ad allora, almeno ad un singolo privato, di risolvere i notevoli problemi connessi alla miniaturizzazione, alla qualità e quantità delle imma-gini e all’archiviazione di milioni di file ad alta definizione. La rivo-luzione è stata resa possibile dalla tecnologia degli occhiali digitali che incorporano un apparecchio fotografico digitale miniaturizzato che scatta un fotogramma ad alta definizione raccogliendo un'im-

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ALL MY LIFE AKIRA OGAWA

magine unica e irripetibile che racconta tutti i momenti dell'arco quotidiano, anche se assolutamente banali. L'obbiettivo studiato con un angolo ottico analogo a quello dell’occhio umano, è dotato di autofocus sul soggetto inquadrato ma anche di una profondità di campo che simuli perfettamente il tipo di visione dell’osservatore restituendo lo stesso tipo di percezione di chi indossa gli occhiali. Poiché il momento dello scatto è imprevedibile e non programma-bile, la qualità delle immagini è casuale, scentrata o poco dettagliata nonostante l’autofocus, oppure una serie di immagini mosse o, vice-versa, sempre uguali a sè stesse quando avvenute durante attività statiche a casa o in studio. Alcune cifre: l’apparecchio si attiva solo in presenza di luce e quando è indossato, inizia a scattare automa-ticamente una foto a colori ogni minuto, vale a dire 60 scatti l’ora; Nel frattempo, Akira ha cominciato a fotografare da due anni le sue giornate, speriamo abbastanza accattivanti. Le immagini giornalie-re così realizzate arrivano ad almeno un migliaio mentre ogni anno vanno dalle 500 alle 600mila con un impegno totale di memoria pari a 1.500-2.100 GB. Il valore connesso a questo progetto è tutto da interpretare: potreb-be essere un'idea semplicemente demenziale oppure diventare in futuro oggetto di culto da parte di chi voglia indagare l’altrui vita a fini ludici, scientifici o artistici, magari divenendo fonte di ispirazio-ne per altre nuove attività creative. L'artista arriva a ipotizzare che, in un domani non troppo lontano, tutti indosseranno un dispositivo elettronico che documenterà in tempo reale tutta la loro vita in un archivio virtuale parallelo. Se poi ci sarà qualcuno disposto a per-dere il proprio tempo per consultare miliardi di immagini è presto per dirlo; certo che, poter controllare in futuro la vera storia di certi personaggi che hanno cambiato, in bene o in peggio, la storia dell’u-manità, potrebbe essere interessante per studiosi e curiosi.L’artista ha presentato alla stampa specializzata una selezione ca-suale di immagini riprese nel corso di una sua giornata tipo, tra i milioni di file ormai accumulati e archiviati nel cloud (vedi immagi-ni). Nulla di inaspettato o eclatante ma, sicuramente, meno noiose e ripetitive dei "Date paintings" di On Kawara. Chissà che il giovane Akira Ogawa, del tutto inconsapevolmente, non abbia aperto una nuova strada che potrebbe trasformare radi-calmente il rapporto di ognuno di noi con il tempo facendoci perde-re il concetto di passato, presente e futuro.

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STORIA DELL’ARTE CARA, VECCHIA MOKA

Ci sono degli oggetti che fanno talmente parte della nostra vita che, pur usandoli quotidiana-mente, non ne abbiamo mai osservato bene la forma e, spesso, non conosciamo nemmeno come funzionino, ma sappiamo come si mon-tano e smontano anche senza guardarli. Il che significa che sono oggetti funzionali perfetti.Tra questi, Il manufatto italiano con il nome della città yemenita di Mokha (patria di un pre-giato caffè), più diffuso al mondo, 105 milioni di esemplari: la cara, vecchia e indistruttibile Moka. La cosiddetta “macchinetta” del caffè, la caffettiera di forma ottagonale inventata nel 1933 - ben 82 anni fa - dall’ingegnoso operaio fonditore Alfonso Bialetti e a lungo realizzata nel suo laboratorio di semilavorati in alluminio a Omegna, in Piemonte. Prima di allora, in casa, il caffè si faceva con la 'napoletana', la tradizio-nale caffettiera in cui l'acqua bollente scendeva per gravità passando attraverso il caffè macina-to posto nel filtro.

Il Bialetti, il quale, evidentemente, era una te-sta fina, sembra che abbia ricavato la sua ispi-razione osservando la moglie fare il bucato con la 'lisciveuse' (da liscivia, un detersivo a base di cenere), una sorta di caldaia in cui si metteva-no i panni, l’acqua e il detersivo, chiusi con un coperchio dotato di uno stretto tubo verticale; giunta ad ebollizione il vapore risaliva lungo il tubo, in cima si condensava e, riscendendo, si spargeva sui panni. Si tratta del principio fisico adottato nella Moka: l'acqua riscaldata provo-ca un aumento della pressione interna che co-stringe l'acqua calda a risalire nell'imbuto-filtro, ad attraversare la massa del caffè e arrivare lun-go il camino verticale nel bricco.La rivoluzionaria Moka che, in maniera sempli-ce ed economica, permetteva di ottenere “in casa un espresso come al bar”, come recitava lo slogan Bialetti, è uno dei simboli più riconosciu-ti ed esportati del Made in Italy (gli altri sono

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STORIA DELL’ARTE

la Fiat 500, la Vespa e la Nutella) e oggi diversi pezzi sono esposti presso la Triennale di Milano e al Museo Arte Moderna di New York.Il caffè, però, è sempre stata la bevanda pre-ferita degli italiani fin dagli anni del fascismo quando per la propaganda rappresentava il fervore attivo nazionalista e rimandava a terre esotiche da conquistare. Inoltre, l'Italia poteva contare su un’abbondante produzione di allu-minio, materiale nazionale elogiato dal fratel-lo di Mussolini, Arnaldo, il quale vagheggiava un'improbabile autarchia economico-industria-le: «il 20esimo sarà il secolo dei metalli leggeri, dell’elettricità e del petrolio». Anche se qual-cuno definisce la forma della Moka "Art déco" (detto anche Stile 1925), seppur ideata nel '33, è improbabile che il Bialetti, emigrato in Fran-cia giovanissimo, ma ritornato in Piemonte nel 1918, fosse stato influenzato da un'estetica così raffinata. La Moka, invece, è un esempio di otti-mo design poiché la sua forma molto particola-re discende dalle funzioni a cui deve assolvere, cioè di caldaia a pressione che deve convogliare l'acqua verso l'alto. Anche l'idea della caffettie-ra a pianta ottagonale nasce per aumentare la presa in caso di superficie bagnata. Infatti, poco è stato modificato nell’aspetto o nel funziona-mento dal modello originale del ’33 nel corso

degli anni (vedi il progetto storico a pag. 24) Inizialmente, infatti, la Moka era realizzata ar-tigianalmente e le vendite non superavano le 70.000 unità l’anno, ma a partire dagli anni ’50, con la conduzione dell’azienda del figlio di Al-fonso, Renato, grazie all’uso massiccio di cam-pagne pubblicitarie intensive, la Bialetti arriva a produrre 28.000 pezzi al giorno arrivando a vendere in totale oltre 105 milioni di pezzi. I fortunati cartoni storici della Bialetti a Carosello erano caratterizzati da un simpatico personag-gio creato da Paul Campani, l'omino coi baffi, caricatura dello stesso Bialetti, utilizzato ancora oggi nel marchio e sui prodotti. A causa della crisi per la crescente concorrenza dei produttori però, la Bialetti comincia a perde-re spazi di mercato, così nell'86 viene venduta alla Faema, nel '93 diventa della Rondine Italia e nel 2010 viene chiuso lo storico stabilimento di Omegna per spostarlo a Ploiești in Romania. L' anno scorso sono usciti i nuovi modelli (vedi in basso), uguali nella forma alla Moka classica ma sottoposti a un vivacissimo redesign cro-matico, per tentare di contrastare l’espansione delle caffettiere elettriche più richieste dai con-sumatori che, forse, decreteranno la fine di un oggetto popolare, economico, e bello perché intelligente..

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News dal mondo

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Colonna, 1968

Omaggioadalighieroboettinovegenna-ioduemilasedici, 2016

Addizione, 1974

Mappa, 1989

Rosso Gilera-Rosso Guzzi, 1967-1972

Febbraio 2016, Anno 5 - N.2

ALIGHIERO BOETTI

ALIGHIERO BOETTI

ALIGHIERO BOETTI

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Omaggio a ALIGHIERO BOETTI

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ALIGHIERO BOETTI, Colonna, 1968, centrini di carta eacciaio, 210x36x24 cm, Christie’s New York 2014 venduto a $ 3.916.380 (€ 3.058.000)

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ALIGHIERO BOETTI, Mappa, 1989, tappeto ricamato 116x217 cm, Christie’s Londra 2010, venduto a

$ 2.739.790 (€ 2.239.600)

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ALIGHIERO BOETTI, Rosso Gilera 60 1232 - Rosso Guzzi 60 1305, 1967-72, vernice industriale su metallo, 70x70 cm

Christie’s Londra 2014 venduto a $ 2.806.000 (€ 2.059.000))

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ALIGHIERO BOETTI, Addizione, 1974, arazzo a ricamo 138x149 cm, Christie’s Londra 2014

venduto a $ 2.806.680 (€ 2.059.500)

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PAOLO TOMIO, “OMAGGIOADALIGHIEROBOETTINOVE GENNAIODUEMILASEDICI”, 2016, arazzo, 89x63 cm

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