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Giovanni Artero IL PUNTO DI ARCHIMEDE Biografia politica di Raniero Panzieri da Rodolfo Morandi ai “Quaderni Rossi” Premessa 1. Panzieri “quadro” morandiano 1.La formazione e l'incontro con Morandi (1943-46); 2.La concezione morandiana del partito: unità e autonomia; 3.Il ruolo di cerniera del PSI e il contrasto Basso-Morandi; 4.La politica dei quadri; 5 Da Basso a Morandi; 6 L’eredità di Morandi 2. Politica e cultura (1944-49) 1 Due incontri fondamentali: Galvano Della Volpe e Ernesto De Martino; 2.La polemica contro il revisionismo e l'idealismo (1946-47); 3.La rivista “Socialismo” (1946-47) e l’Istituto di Studi socialisti (1947-48); 4 Il piano socialista; 5 Polemiche culturali del 1948-49; 6 Il corso universitario sulla “crisi del giusnaturalismo” (1948) 3. Il lavoro di base in Sicilia (1949-1953) 1 La politica meridionalista delle sinistre; 2 La Federazione di Messina (1950); 3 L'occupazione delle terre “punto di Archimede” (1950); 4 Il 29.Congresso e le elezioni regionali del 1951; 5 La Segreteria regionale siciliana (1952); 6 Il 30. Congresso e le elezioni politiche del 7 giugno 1953 4. L’attività organizzativa (1953-56) 1 La Sezione stampa e propaganda e la Commissione culturale; 2 Gianni Bosio e le “Edizioni Avanti!”; 3 ll 31. Congresso e le elezioni regionali siciliane del 5 giugno 1955; 4 Il viaggio in Cina (1955); 5 Il dibattito culturale del 1956 e l’ “Istituto Morandi”; 6 “Mondo Operaio” e il “Supplemento scientifico-letterario “ (1957-58) 5.Il controllo operaio (1956-59) 1 Il PSI nel 1956. Gli “Appunti per un esame della situazione del movimento operaio”; 2 Il 32. Congresso (Venezia, 1957); 3 La politica unitaria; 4 La concezione consiliare . I precedenti storici e l'attuazione dopo la liberazione; 5 Le “Tesi sul controllo operaio” (1958); 6 Il 33. Congresso (Napoli, 1959) 6. Il lavoro editoriale all’Einaudi (1959-63) 1 Progetti per il rinnovamento della cultura di sinistra (1959-60); 2 Altre proposte: libri su Trotskji e l’URSS; la “Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi” (1961-62); 3 Il “caso Fofi” e la fine di un progetto politico-culturale (1963) 7. I Quaderni Rossi nuovo "punto di Archimede" (1959-64) 1 Dal partito alla rivista e al gruppo (1959-61); 2 Il primo numero dei Quaderni Rossi (1961); 3 I fatti di piazza Statuto e la crisi dei Quaderni Rossi (1962-64)

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Giovanni Artero

IL PUNTO DI ARCHIMEDE

Biografia politica di Raniero Panzieri da Rodolfo Morandi ai “Quaderni Rossi”

Premessa

1. Panzieri “quadro” morandiano

1.La formazione e l'incontro con Morandi (1943-46); 2.La concezione morandiana del partito: unità e autonomia; 3.Il ruolo di cerniera del PSI e il contrasto Basso-Morandi; 4.La politica dei quadri; 5 Da Basso a Morandi; 6 L’eredità di Morandi

2. Politica e cultura (1944-49)

1 Due incontri fondamentali: Galvano Della Volpe e Ernesto De Martino; 2.La polemica contro il revisionismo e l'idealismo (1946-47); 3.La rivista “Socialismo” (1946-47) e l’Istituto di Studi socialisti (1947-48); 4 Il piano socialista; 5 Polemiche culturali del 1948-49; 6 Il corso universitario sulla “crisi del giusnaturalismo” (1948)

3. Il lavoro di base in Sicilia (1949-1953)

1 La politica meridionalista delle sinistre; 2 La Federazione di Messina (1950); 3 L'occupazione delle terre “punto di Archimede” (1950); 4 Il 29.Congresso e le elezioni regionali del 1951; 5 La Segreteria regionale siciliana (1952); 6 Il 30. Congresso e le elezioni politiche del 7 giugno 1953

4. L’attività organizzativa (1953-56)

1 La Sezione stampa e propaganda e la Commissione culturale; 2 Gianni Bosio e le “Edizioni Avanti!”; 3 ll 31. Congresso e le elezioni regionali siciliane del 5 giugno 1955; 4 Il viaggio in Cina (1955); 5 Il dibattito culturale del 1956 e l’ “Istituto Morandi”; 6 “Mondo Operaio” e il “Supplemento scientifico-letterario “ (1957-58)

5.Il controllo operaio (1956-59)

1 Il PSI nel 1956. Gli “Appunti per un esame della situazione del movimento operaio”; 2 Il 32. Congresso (Venezia, 1957); 3 La politica unitaria; 4 La concezione consiliare . I precedenti storici e l'attuazione dopo la liberazione; 5 Le “Tesi sul controllo operaio” (1958); 6 Il 33. Congresso (Napoli, 1959)

6. Il lavoro editoriale all’Einaudi (1959-63)

1 Progetti per il rinnovamento della cultura di sinistra (1959-60); 2 Altre proposte: libri su Trotskji e l’URSS; la “Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi” (1961-62); 3 Il “caso Fofi” e la fine di un progetto politico-culturale (1963)

7. I Quaderni Rossi nuovo "punto di Archimede" (1959-64)

1 Dal partito alla rivista e al gruppo (1959-61); 2 Il primo numero dei Quaderni Rossi (1961); 3 I fatti di piazza Statuto e la crisi dei Quaderni Rossi (1962-64)

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Conclusione

Marco Sacchi - Giovanni Artero

RODOLFO MORANDI E IL SOCIALISMO RIVOLUZIONARIO TRA LE DUE GUERRE

1. Origini e collocazione del Centro Interno Socialista; 2. Il rapporto partito - masse e fase democratica - fase socialista; 3. Il giudizio sull’Unione sovietica. Trockji e Morandi sulla burocrazia; 4. La politica di piano; 5. Il socialismo rivoluzionario nei Paesi fascisti; 6. Dagli anni '20 al crollo del movimento operaio tedesco; 7. Il socialismo rivoluzionario e i Fronti Popolari; 8. Il socialismo rivoluzionario di fronte alla guerra

Premessa

Su Raniero Panzieri molto è stato pubblicato, anche di recente, ma fino ad ora manca una sua biografia. Questo libro costituisce un primo tentativo di colmare la lacuna.

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Scrivendolo ci siamo resi conto della difficoltà di evitare ripetizioni e interpretazioni preconcette: se si è evitato di leggere ogni evento in funzione della stagione dei Quaderni Rossi riaprendo nuovamente un discorso su quell'esperienza, non per questo il lavoro è esente da chiavi interpretative come il rilievo dato al rapporto Morandi-Panzieri. Si è fatto però ampio ricorso a citazioni per consentire a chi legge di giudicare sulle fonti1.

Proprio lo studio di quel rapporto ci ha fatto scoprire il filone, trascurato dalla ricerca storica e dalla letteratura militante, del socialismo "rivoluzionario" antiriformista e antistalinista, che ha avuto un ruolo non secondario in una fase storica del movimento operaio. Si è aggiunta perciò una appendice sul pensiero di Morandi nel contesto del socialismo rivoluzionario degli anni '30, per comprendere gli sviluppi della sua attività politica ed elaborazione teorica nel dopoguerra.

Avendo operato Panzieri a livello sia nazionale che locale (Sicilia, Torino) e su vari fronti (politico-

1 Raccolte di scritti di Panzieri:

Dario Lanzardo (a cura di) “La ripresa del marxismo-leninismo in Italia”, Milano, 1972; Dario Lanzardo e Giovanni Pirelli (a cura di) “Scritti 1956-1960.La crisi del movimento operaio. Scritti interventi lettere, 1956-1960”, Milano, 1973; Sandro Mancini (a cura di) “Lotte operaie nello sviluppo capitalistico”, Torio, 1976; Stefano Merli (a cura di) “L'alternativa socialista: scritti scelti 1944-1956”, Torino, 1982; Stefano Merli (a c.di) “Dopo Stalin : una stagione della sinistra 1956-1959”, Venezia, 1986; Stefano Merli e Lucia Dotti (a c.di) “Lettere, 1940-1964” , Venezia, 1987; Stefano Merli (a c.di) “Spontaneità e organizzazione : gli anni dei Quaderni rossi, 1959-1964”: scritti scelti, Pisa, 1994

Monografie su Panzieri e i “Quaderni Rossi”:

“Raniero Panzieri e i "Quaderni rossi" Fascicolo monografico di “Aut Aut”, 1975, 149-150; Sandro Mancini “Socialismo e democrazia diretta : introduzione a Raniero Panzieri “, Bari,:1977; Franco Piro e Andrea Stuppini “Ricordando Raniero Panzieri “, Bologna , 1978; Attilio Mangano “L'altra linea : Fortini, Bosio, Montaldi, Panzieri e la nuova sinistra” Cosenza, 1992; “Ripensando Panzieri trent'anni dopo” : atti del Convegno : Pisa, 28-29 gennaio 1994, Pisa, 1995; “Morandi Basso Panzieri Lombardi... : culture anticapitalistiche nella storia e nell'esperienza del socialismo di sinistra” , Roma, 1997; Domenico Rizzo “Il Partito socialista e Raniero Panzieri in Sicilia : 1949-1955” , Soveria Mannelli, 2001; Guido Borio, Francesca Pozzi, Gigi Roggero “Futuro anteriore : dai Quaderni rossi ai movimenti globali: ricchezze e limiti dell'operaismo italiano”, Roma, 2002; Michele La Rosa,”Weber, Marx e Panzieri : ricerca sociologica e capitalismo: con tre saggi di Weber, Marx e Panzieri su lavoro e ricerca empirica , Milano, 2005; Paolo Ferrero (a cura di) “ Raniero Panzieri, un uomo di frontiera” ; Milano ; Roma, 2005.

Tesi di laurea:

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organizzativo, culturale, editoriale) non sarebbe stato possibile, con una esposizione rigidamente cronologica, che spezza la narrazione in singoli episodi, seguire il filo di attività che si sviluppano parallelamente su piani diversi. Si sono pertanto ragruppate le vicende secondo nuclei tematici, così da poterle descrivere nel contesto in cui si collocano.

1. “Quadro” morandiano

1La formazione e l’incontro con Morandi (1943-46)

Raniero Panzieri nasce a Roma il 14 febbraio 1921 da Alfredo e da Ines Musatti2, in una famiglia della classe media di origine ebraica convertitasi in conseguenza delle leggi razziali del 19383. Trascorre a Roma la giovinezza (salvo due anni a Napoli nel 1930-31) e vi termina gli studi al liceo classico “Terenzio Mamiani”. Non potendosi iscrivere all’Università per motivi razziali, segue i corsi

Giovanni Artero “La formazione del pensiero politico di Raniero Panieri”, rel. Norberto Bobbio, Torino : Università degli studi. 1971-72; Ernesta Giruzzi, ”Organizzazione di classe e rilettura del Capitale nel pensiero di Raniero Panieri” rel. Giorgio Galli, Milano : Universita degli studi, 1973/74 ; Maurizio Berte “Il pensiero di Raniero Panzieri : 1945-1964”; rel. Carlo Cincin, Milano : Università degli studi, 1975/1976 ; Maurizio Piana “Macchine e riproduzione del capitale : i "Quaderni rossi" e la verifica dei "Grundrisse" di Marx nella società a capitalismo maturo “; rel. Massimo Egidi, Torino : Università degli studi , Asher Daniel Colombo “L' operaismo italiano tra marxismo e nuove scienze sociali : l'elaborazione teorica, l'indagine empirica e gli interventi politici nell'esperienza di Raniero Panzieri e dei Quaderni Rossi”, rel. Bianca Beccalli, Milano : università degli studi, 1989

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di filosofia ad economia istituiti in Vaticano; si laurea però alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Urbino nel 1946 con la tesi “L’utopia rivoluzionaria nel settecento”, dedicata a Etienne Gabriel Morelly, avendo relatore Arturo Massolo4,

Per estrazione socio-culturale proviene dunque da quel ceto di studenti5 che negli ultimi anni del regime e durante la guerra, talvolta iniziando il percorso politico all'interno delle stesse organizzazioni fasciste, approdano all'antifascismo collegandosi col proletariato, che fu la base della Resistenza.

Roma, pur essendo priva della classe operaia dei centri industriali, possedeva comunque un patrimonio di lotte e organizzazione con una sua peculiare ricchezza6. Dalla fine dell'Ottocento si era formata una massa di contadini immiseriti fluttuante in dipendenza dal ciclo edilizio, caratterizzati dalla mobilità (di territorio, di cantiere, di mansioni), spesso protagonisti di agitazioni e influenzati da correnti anarchiche. All’altro polo della classe operaia vi erano i tipografi, che danno vita nel 1893 alla sezione socialista e alla Camera del lavoro: altamente specializzati, godono della sicurezza del posto di lavoro essendo la produzione fondata in prevalenza da commesse statali, e costituiscono l’ala moderata e corporativa del movimento. In epoca giolittiana e ancor più durante la prima guerra mondiale sorgono nuclei di piccola e media industria specie nel settore metalmeccanico, ed è su questo tipo “nuovo” di operaio che farà leva come alla propria base sociale il neo-costituito Partito Comunista. Negli anni del fascismo, che trasferisce gli operai dal centro alle periferie e alle borgate, si sviluppa soprattutto il settore dei lavoratori legati ai servizi (trasporti, gas) e il ceto impiegatizio.

A Roma nel periodo dell’occupazione si formano vari nuclei: quello comunista ufficiale, i comunisti cattolici, il gruppo “Bandiera Rossa”, i giovani socialisti facenti capo a Lelio Basso e Carlo Andreoni. Proprio con questi ultimi ha i primi contatti, tramite Franco Lombardi conosciuto probabilmente all’Università dove insegnava filosofia, il quale partecipò alla vita del PSI, su posizioni vicine a Silone, 7 fino alla scissione del 1947 e diresse il Centro di studi sociali, che cessò l’attività in questa occasione.

2 La madre era lontana parente del socialista massimalista veneziano Elia (1869-1936) e del figlio di questi, lo psicologo Cesare (1897-1989), anche lui attivo in campo socialista (Ved. R.Reichmann Vita e opere di Cesare Musatti, Milano, 1996-99). Raniero fu ospite di parenti materni a Torino nel gennaio-marzo 1942, e qui fu operato all'Ospedale Valdese.

3 Così Vittorio Foa in “Vittorio.Foa-Carlo Ginburg. Un dialogo”, Torino, 2000, pag. 54

4 Nel "Code de la nature" (1755) propugna l'abolizione della proprietà privata; a lui si richiama François Noel Babeuf, comunista agrario e organizzatore con Filippo Buonarroti della "Congiura degli eguali" (1795). Ved. W.Bernardi, Morelly e Dom Deschamps : utopia e ideologia nel secolo dei lumi, Firenze, 1979 ; su Massolo: “Il filosofo e la città : studi su Arturo Massolo” , Venezia, 1988

5 R.Zangrandi “Il lungo viaggio attraverso il fascismo” , Milano, 1962; C.F.Casula “Mondo studentesco e crisi del regime: il caso di Roma”, in “Quaderni della resistenza laziale”, n. 8 (1978);

6 G.Congi “L'altra Roma. Classe operaia e sviluppo industriale nella capitale”, Bari, 1977; A.Caracciolo “Roma capitale. Dal Risorgimento alla crisi dello stato liberale”, Roma, 1956

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Raniero lavora dopo la liberazione di Roma in questo Centro, che tentava di creare una tradizione di studi marxisti non egemonizzata dal togliattismo, mettendo insieme culture libertarie, riformiste, sindacaliste-rivoluzionarie, come si vede dal programma di una collana di marxisti classici ed eretici steso da Panzieri nel febbraio-marzo 19458, che include: Eduard Bernstein, Karl Kautsky, Antonio Labriola, Arturo Labriola, Georges Sorel, Hubert Lagardelle, Enrico Leone, Rodolfo Mondolfo, Werner Sombart, Heinrich Cunow, Karl Vorlander, Karl Korsch, George D. H. Cole, Georgij V. Plechanov, Nikolaj L Bucharin, Edward H. Carr, Max Eastmann, David Rjazanov, Auguste Cornu, Sidney Hook.

Si iscrive al PSIUP nel 1944, e il fatto che scelga la milizia socialista quando, per predisposizione generazionale, un giovane intellettuale era sospinto a gravitare nell'orbita comunista che offriva prospettive vincenti, strumenti di espressione, un solido quadro organizzativo e una ideologia compatta e rassicurante come una chiave universale, è dovuto agli spazi che il PSI offriva a personalità inquiete come la sua.9

Molti furono gli incontri che ebbe in quel periodo con intellettuali di area marxista come Delio Cantimori, Arturo MassoIo, Galvano Della Volpe, ed alcuni li approfondiremo, ma in questo capitolo analizziamo i suoi rapporti con gli esponenti politici socialisti e soprattutto con Rodolfo Morandi.

Morandi10, dopo aver diretto l’insurrezione nel nord Italia come presidente del CLNAI e membro dell’esecutivo della Direzione dell’Alta Italia del PSIUP, era andato a Roma nel luglio del 1945 per prendere parte al Consiglio Nazionale e vi era rimasto come membro della Direzione e, dal dicembre, segretario del Partito. Nel 1944 partecipava al terzo governo De Gasperi come ministro dell’Industria e commercio; dal settembre del 1945 inoltre, era direttore della rivista “Socialismo” e nel novembre dello stesso anno fondava l’Istituto di Studi Socialisti

7 E.Di Nolfo, G.Muzzi “La ricostruzione del PSI...”, in “Storia del socialismo italiano” a c. di G.Sabbatucci, Roma, 1981, vol. 5 “[riteneva che] il movimento socialista senza rinunciare ai suoi presupposti classisti, aveva assorbito l'esigenza liberale: fedele allo spirito del marxismo ma non irrigidito in una interpretazione dogmatica....ciò comportava per il PSIUP l'abbandono di atteggiamenti anticlericali e la ricerca di consensi fra i ceti medi...PSIUP e PCI avrebbero dovuto operare alleati ma distinti”. In quegli anni scrisse: “Borghesi o proletari?: parole agli intellettuali”, Roma,1944; “Socialismo e comunismo”, Roma,1945; “Cento anni d'insegnamento socialista”, s.l., 1945.

8 Ora in “L'alternativa socialista” Torino, 1982. Così si apre il testo: “Le contraddizioni della società moderna operano non soltanto su un piano economico, sociale e politico ma anche sul terreno delle ideologie, della filosofia, della scienza, della letteratura. Il pensiero marxista scopre e analizza queste contraddizioni, le porta alla luce della coscienza, apre casI la strada alla loro risoluzione, sia teorica che pratica. Ma questo pensiero, come è stato autorevolmente detto e ripetuto, non è un dogma ma una guida. Esso quindi deve essere esaminato, discusso, interpretato, sia per essere meglio compreso nella sua storica determinatezza sia per essere sviluppato alla luce delle nuove esperienze.” La collana non vide mai la luce.

9 E.Macaluso "Da cosa nasce cosa", Milano, 1997 "Se un uomo come Panzieri sta nel PSI anche nella fase di maggior comunistizzazione e stalinizzazione di questo partito, è perchè nel PSI aleggiava una storia nella quale la libertà aveva avuto un peso straordinario"

10 Sul suo pensiero e la sua attività negli anni '30 si veda l'appendice a questo volume

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Per comprendere l’influenza esercitata da Morandi sui giovani, riportiamo la testimonianza di Gianni Bosio, tanto più significativa in quanto espressa da un intellettuale che non gli era legato da vincoli di corrente: “Morandi... ha dalla sua il rigore con cui, dentro un binario prestabilito e fermo, egli cercava e riusciva a scavare nelle situazioni difficili, quasi anchilosate. Scarno, ma involuto, apparentemente oscuro, il suo discorrere (più che parlare e comiziare) tradiva uno sforzo continuo, strutturale, di vedere, precisare, rigirare le cose e coglierle nel punto nodale. Le parole e gli aggettivi altisonanti che qualche volta adoperava, li porgeva in maniera aspra, incerta: riunivano, malamente, quanto non riusciva a cogliere bene concettualmente e allora, nel parlare, le pause lunghissime e le maldestre operazioni per accendere una sigaretta, che lasciavano senza fiato l’uditorio...II seguito che ottenne tra i giovani è forse dovuto a questo sforzo di mirare all’essenziale con un linguaggio liso, rotto. Questo sbocciare ed erompere alla ricerca dentro le strettoie di una linea politica era la forza che muoveva il Partito e ricongiungeva Morandi ai suoi precedenti politici non così elementarmente unitari11

2 La concezione morandiana del partito: autonomia e unità

Volendo individuare l’apporto fondamentale di Morandi negli anni del secondo dopoguerra “se ne cercherebbe invano il senso in nuove originali intuizioni che, riallacciandosi alla sua elaborazione precedente, propongano un’ alternativa strategica all’ antitesi socialdemocrazia--stalinismo , ai limiti di fondo cui era soggiaciuta e soggiaceva la politica dei partiti operai in Italia; sotto questo aspetto, anzi . .. resta deliberatamente e rigidamente all’ interno della linea ufficiale”12. Questo perché, in un tempo di contrapposizioni schematiche, in un momento in cui l'inesperienza delle masse favoriva massicci fenomeni di delega, la sua elaborazione politica e teorica non trovò il supporto materiale per imporsi. Morandi tentò di crearla, perché comprendeva che “la maggior capacità d'iniziativa politica dimostrata dai comunisti nel triennio 1943-45 era correlativa alla loro maggior forza organizzativa, che I'una non poteva stare senza la altra”13 perciò la sua preoccupazione era di costruire un partito con una struttura leninista,

Ma Morandi benché costruisse un Partito con una struttura modellata su quella del P.C.I, fu sempre alla ricerca della ragion d’essere d’un P.S.l. autonomo, non a rimorchio dei comunisti. Il voto favorevole alla fusione espresso dal Consiglio nazionale nel luglio del 1946 era stato cancellato nell’ottobre dalle risoluzioni del Comitato Centrale a cui anch’egli contribuì.

La giustificazione dell’autonomia del P.S.I. tende talvolta in Morandi ad “astrattezze intellettualistiche, come quando crede di risolvere la distinzione fra i due partiti nelle funzioni distinte e complementari che essi sarebbero destinati ad assolvere rispettivamente sul piano internazionale e su quello nazionale”12. Nella polemica con Riccardo Lombardi all’inizio del 1949, mentre Lombardi sosteneva uno sganciamento dalle contrapposizioni di blocchi per accentuare l’elemento di iniziativa popolare nell’ambito nazionale, Rodolfo Morandi trova invece la giustificazione dell’esistenza del PSI nella sua tradizionale funzione storica come erede dei valori e della funzione progressiva svolta dal movimento operaio e democratico dal 1890 in poi “Un partito ha tanti buonissimi motivi d’essere che non siano quello di soddisfare a una posizione mentale. Sono delle esigenze storiche che determinano e condizionano la vita d’un partito, cioè delle

11 G. Bosio:”Diario di un organizzatore di cultura”, Milano, 1962, p. 64-65

12 A. Agosti: “Rodolfo Morandi. Il pensiero e l'azione politica”, Bari, 1971, p. 431

13 G. Manacorda, “II socialismo nella storia d’Italia”, Bari, 1966, p. 815

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esigenze che non si stabiliscono e non sono da prospettare sul piano della logica e dell’analisi dei concetti, bensì sul piano dell’ azione e delle circostanze di fatto” 14

La ricerca dell’autonomia in Morandi fu però sempre unita alla politica di unità coi comunisti nel lavoro di massa, che solo poteva mantenere aperta un’alternativa che non provocasse una frattura all’interno della classe operaia, e perché solo la presenza nelle lotte, la mobilitazione e organizzazione di massa potevano eliminare nel PSI il potere dei notabili, facendone un partito proletario.

La politica unitaria è stata una scelta imposta dalla divisione in due blocchi, dalla necessità di aderire ad uno di essi se non si voleva rappresentare una posizione minoritaria e marginale, e in questo senso fu subalterna allo stalinismo, ma ha evitato il pericolo corso da ogni movimento della sinistra non stalinista di essere centrifugato fuori dal movimento operaio e quindi di essere ridotto ad espressione di una polemica ideologica.

3 II ruolo di “cerniera” dal PSI e iI contrasto Basso-Morandi

La posizione che nel patto d’unità d’azione veniva assegnato al PSI rendeva però vano lo sforzo di dargli una base di classe e una funzione alternativa, tendendo anzi a specializzarlo in un settore di cerniera tra l’ala sinistra della borghesia e il PCI. La teoria della cerniera assegnava un ruolo tattico al PSI molto importante (”il naturale anello di congiunzione delle forze avanzate delle classi lavoratrici con tutti i democratici conseguenti” lo definì Morandi al Congresso di Milano del 1953); il Partito faceva politica contribuendo a incrinare il blocco vincente nel 1948, aveva un ruolo, poteva esprimere un dinamismo spregiudicato senza rompere l’unità di classe, anzi dando a questa dimensioni e alleanze che la sola presenza del PCI sarebbe stata insufficiente a coprire. Ma questa strategia lasciava al PCI !’ egemonia della classe operaia mentre il PSI diluiva la propria base in ceti intermedi di estrazione democratica che solo un’organizzazione rigida e le chiusure della situazione generale potevano tenere per allora a freno.

L'unica voce autorevole che si levò contro questo ruolo assegnato al PSI fu quella di Lelio Basso, fortemente critico rispetto alla politica di unità antifascista, ai condizionamenti imposti dalla partecipazione al governo tripartito e poi alla gestione morandiana del partito15

La sua concezione si caratterizza per il classismo unitario, giungendo fino a prospettare il partito unico della classe operaia (in ciò avvicinandosi a Lizzadri e differenziandosi da Nenni e Morandi) ma a ruoli capovolti: al Congresso di Genova del1948 aveva sostenuto, pur nel quadro di una professione di fede unitaria, che il PSI si distinguerebbe dal PCI perché pone in rilievo le “istanze del classismo” mentre il partito fratello sarebbe più sensibile alla “necessità” della “politica delle alleanze”, che era un modo chiaro di collocare il PSI a sinistra dei comunisti

4 La politica dei “quadri”

La proposta di Morandi consisteva invece in un mutamento qualitativo del partito, preliminare a qualsiasi discorso di strategia; e questo per evitare il velleitarismo “nello squilibrio tra linea politica e strumento operativo”. E lo strumento operativo necessario a sorreggere la linea politica trasformando il partito col rompere i “diaframmi rappresentati dalle ricerche astratte sulla funzione del partito” da gruppi dirigenti locali incapaci di esercitare il loro compito, dall’assenza di ogni

14 La polemica si svolse su “La Squilla”, organo della Federazione di Bologna del PSI e sull’ “Avanti!” nel dicembre 1948-gennaio 1949, ed è ora in R.Morandi “II Partito e la Classe”, Torino, 1958.

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tessuto connettivo che collegasse le federazioni, le sezioni, le istanze di base, fu da lui individuato nella formazione dei “quadri”.

“Secondo la concezione morandiana, un partito di massa è basato essenzialmente sul lavoro di un largo gruppo di quadri stabili, dirette a realizzare un costante contatto tra le organizzazioni di partito e la base, e tra il partito e le organizzazioni di massa... La sua intenzione era di organizzare un gruppo dirigente del partito con quadri professionali provenienti dalle file degli operai, dei contadini, dei tecnici. Il sistema dei funzionari nacque dallo sforzo di consentire al partito di avere dirigenti che provenissero dalla, classe operaia, che se non fossero stati funzionari di partito, non avrebbero avuto né la possibilità né il modo di emergere, di formarsi, di farsi largo nella selva delle

15 Nel 1950 Basso si dimette dall’Esecutivo, sopprime la rivista “Quarto Stato” ed esce anche dalla Direzione al congresso di Bologna; della lunga lettera di dimissioni del 13 settembre 1950, indirizzata a Nenni, riportiamo alcuni passi "...Mi sono sempre augurato che la ripresa della lotta politica si facesse sotto il segno di un partito unificato della classe operaia e tu sai quanto mi sia opposto alla rinascita del vecchio PSI....vi sono entrato convinto che fosse interesse che questo partito erede di una così importante tradizione..(..)..non fosse abbandonato agli opportunisti, ma venisse trasformato dal di dentro per poter giungere a quella unificazione organica che è sempre .stata una mia profonda aspirazione di militante. In altre parole non ho mai concepito l'unità d'azione come qualcosa di statico, e non ho mai accettato l'esistenza di due partiti come una realtà immutabile. Al contrario, ho sempre ritenuto che l'unità d'azione, oltre a rafforzare nel momento presente lo schieramento della classe operaia, con l'apportarvi le masse controllate dal Partito e i ceti che esso può influenzare anche semplicemente come alleati, dovesse però servire anche a far maturare i militanti socialisti sullo stesso terreno di lotta dei militanti comunisti.... In questo senso io ho operato in questi anni nel Partito, anche durante la mia Segreteria per migliorare i quadri, per migliorare l'attrezzatura organizzativa del Partito, per elevarne il livello ideologico, per farne cioè progressivamente un partito moderno. In altre parole non ho mai accettato la concezione che il partito socialista dovesse necessariamente corrispondere a partito disorganizzato, senza funzionari, con grandi Sezioni aperte a tutti i “bravi oratori” ...Molti socialisti hanno conservato la nostalgia di questo tipo di partito, che secondo me ha fatto il suo tempo.....nella prima Direzione eletta al Consiglio Nazionale del '45, io [sono] stato pressoché il solo a battersi risolutamente per la partecipazione dei socialisti agli organismi di massa, per la creazione di cellule di fabbrica, per la suddivisione delle mastodontiche Sezioni cittadine del Partito. .. I miei propositi erano:

a) per quanto riguarda la politica unitaria... ho considerato un'illusione che si potesse fare un'organica divisione del lavoro con i compagni comunisti, nel senso di lasciare ad essi quasi l'esclusiva della classe, operaia, riservando l'influenza. del Partito socialista. a quegli strati di lavoratori che si dimostrano più tetragoni all'influenza comunista, perché ritengo che il giorno in cui il nostro Partito perdesse anche quel residuo di influenza che ha nella classe operaia e vedesse diminuire fortemente la percentuale di operai fra i suoi, iscritti, finirebbe con lo scivolare su un terreno non classista e non unitario;

b) per quel che riguarda la prospettiva di unificazione futura, ritengo che sia molto difficile una unificazione con seria probabilità di riuscita fra elementi eterogenei, e perciò ho. sempre creduto che, trascurando di migliorare all'interno i quadri e la base del Partito per fame veramente “un partito nuovo”, si rendeva sempre più difficile l'unificazione organica...(...)..Per quel che mi riguarda, io sono sempre pronto a darti. la massima collaborazione, ma credo che un mio ritiro dalla Direzione giovi a render più facile una distensione...Resta il contributo personale che si può dare nel posto di lavoro che ci è assegnato. Ma l'esperienza mi ha dimostrato che, mentre la .Direzione mi assegnava un incarico di lavoro (Ufficio ideologico e culturale), mi metteva nelle

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cricche” 16

I quadri dell’apparato vengono dislocati da una federazione all’altra, inviati dal centro, oppure assorbiti nel lavoro direzionale secondo un preciso e organico programma17

“In due anni, dal 1950 al 1952, il partito compie uno sforzo di reclutamento e immissione di quadri professionali nella dirigenza; l'apparato esecutivo delle federazioni e quello nazionale centrale venne raddoppiato,giungendo ai 600 funzionari.18

Lo sforzo, principale fu diretto a potenziare e ammodernare la struttura organizzativa. La creazione di nuove sezioni territoriali e la loro articolazione in nuclei d'azienda, l'impianto di una vera e

condizioni di non concretare nulla di serio. ....In circostanze diverse dalle attuali, probabilmente io avrei portato tutto questo alla discussione pubblica del Partito. Ma sono troppe le considerazioni che oggi dissuadono dal farlo chiunque abbia senso di responsabilità..... Perciò pur non approvando gli attuali metodi della Direzione del Partito, non ho alcuna intenzione di presentare mozioni né comunque di organizzare lotte per modificare questa situazione, e ritengo che il contributo migliore ch'io possa dare sia quello di abbandonare il mio posto nella Direzione, perché credo che il mio allontanamento dai posti centrali servirebbe ad allontanare molti sospetti dei compagni che mi attribuiscono sempre le più tenebrose intenzioni, e probabilmente aprirebbe la via ad una distensione. D'altra parte il contributo come militante di base, come pubblicista, come propagandista, come avvocato continuerò a darlo, e quegli altri insieme che il Partito mi chiedesse, salvo uno: la rivista Quarto Stato, di cui ho deciso la sospensione per la fine dell'anno, anche per allontanare i sospetti che dietro la rivista vi possa essere lavoro di tendenza….. S'intende che se tu riuscissi a modificare l'atmosfera attuale, tu puoi contare in qualunque momento sulla mia collaborazione, a meno che tu non creda utile un'altra soluzione, che io considererei più logica e che risolverebbe probabilmente in tronco questa situazione. La soluzione è questa: se tutte le premesse che io ho posto in principio sono errate, e se il Partito socialista è ormai definitivamente fissato in una posizione di stanca retroguardia, siamo parecchi compagni che non ci sentiamo una particolare inclinazione per questo ruolo e che preferiremmo chiedere di essere iscritti al partito comunista, beninteso come militanti di base. lo mi rendo conto che questo fatto potrebbe avere degli spiacevoli riflessi nel Partito, e so d'altra parte che quando ci si iscrive ad un partito si contrae un vincolo verso i compagni che non si può poi spezzare in qualunque momento ed a proprio esclusivo arbitrio... Ad ogni modo ci tengo a riconfermarti che in nessun caso è mia intenzione aprire nel partito un nuovo capitolo di lotte, e che so essere un disciplinato militante di base.»

16 A.Agosti,. Morandi cit., pag. 459.. Questo in teoria, perchè secondo A.Benzoni.-V.Tedesco, “Il movimento socialista nel dopoguerra”, Padova, 1968, pag. 88 “Il nuovo apparato formato in quegli anni avrà anche per la sua provenienza essenzialmente piccolo-borghese, un rapporto autoritario-burocratico, di formula più che di sostanza con il concreto manifestarsi delle lotte dì classe. Non riuscirà cioè che in misura estremamente limitata a inserirsi organicamente e a interpretarle fedelmente, secondo l’impostazione potenzialmente libertaria sempre presente in Morandi. Diverrà di conseguenza una casta ristretta che dalla trasmissione corretta della linea trae il perpetuarsi del proprio potere”

17 Gli interventi servirono anche per imporre la linea della Direzione alle federazioni che sfuggivano al controllo politico o per schiacciare i fermenti autonomistici della base operaia, come a Torino, dove l'apparato stroncò l'organizzazione dei NAS della FIAT e di altri complessi che continuavano ad agire in autonomia di idee e di iniziative.

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propria organizzazione di partito nel Sud, la suddivisione degli organi direttivi provinciali in settori di lavoro, l'immissione nelle federazioni che denunciavano mancanza di quadri di circa 200 giovani funzionari, l'istituzione di uffici regionali destinati a controllare e coordinare l'attività delle strutture periferiche, furono i momenti salienti di un'azione che alla fine del '47 aveva conseguito risultati di rilievo: 80.000 nuovi iscritti e 970 sezioni costituite ex novo.

Al rinnovamento e potenziamento della macchina organizzativa si accompagnarono poi iniziative volte alla formazione di nuovi quadri, alla migliore utilizzazione delle energie intellettuali gravitanti nell'area socialista e all'incremento dell'influenza del partito nei settori della piccola e media borghesia più legati al processo produttivo. In tale prospettiva si collocavano l'avvio dei primi corsi della scuola centrale di partito, il censimento degli uomini di cultura aderenti al PSI, il nuovo impulso dato all'Istituto di Studi Socialisti (di cui era segretario Raniero Panzieri) e all'Ufficio Studi, alla cui direzione fu chiamato Massimo Severo Giannini, e la costituzione, promossa da Le!io Basso, del Gruppo Tecnici Socialisti

Sul piano organizzativo vediamo quindi scontrarsi due politiche cosiddette «unitarie», quella bassiana e quella morandiana, due concezioni del lavoro di massa. Da una parte un accelerato potenziamento e una marcata caratterizzazione rispetto al pci, in vista di una ripresa del progetto di partito unico, bloccato dall’offensiva saragattiana, che avrebbe certamente comportato, secondo Basso, una lotta per l’egemonia. Dall’altra un lavoro in profondità per ripulire il partito, impegnandolo nel movimento di massa, di cui il Fronte doveva essere l’espressione politica unitaria19

Il ritardo politico e organizzativo del partito obbligava il quadro morandiano a un continuo lavoro di ricupero e di riclassificazione, nel timore di non avere nelle mani uno strumento valido di lotta contro la socialdemocrazia e I'imperialismo. La parabola dei quadri morandiani rende bene la dimensione di queste lacune, da quella dei quadri tecnici che sono nella programmazione capitalistica, a quella dei quadri politici che hanno scelto il centro-sinistra, a quella della prima generazione del PSIUP, politicamente e teoricamente subalterni

I cinque anni di lavoro organizzativo di Morandi sono stati insufficienti, hanno richiesto il sacrificio di molte posizioni, hanno dovuto accettare lo status quo della divisione di compiti all’interno del movimento operaio, ma hanno avuto anche il merito di lavorare per trasformare un partito socialista vecchia maniera (nella mentalità dei militanti, nel modo di organizzare, nelle generazioni e nelle forze sociali che lo componevano) cercando di superare il ritardo storico e politico. Questo lavoro doveva essere preliminare a qualsiasi ulteriore e più originale discorso politico, che non correva il rischio di snaturarsi e degenerare nella misura in cui era ancorato a una struttura organizzativa rigida e a una collocazione del partito nelle lotte di massa

La valutandone storica è difficile ed “... è un compito che non può proporsi lo storico di oggi, perché occorrerebbe ricostruire pazientemente la trama dell’attività delle singole federazioni, dei singoli NAS, e i loro rapporti con il PCI e l’organizzazione sindacale di classe... In una trattazione

18 A.Landolfi, II socialismo italiano, Cosenza, 1977. Per G.Tolloy sono 500 (“Avanti!” dell’ 11novembre 1953)

19 S. Merli. “Il Partito nuovo di Lelio Basso : 1945-1946 “, Venezia, 1981; E.Giovannini Lelio Basso e la rifondazione socialista del 1947, Cosenza, 1980; G.Monina Il Movimento di unita proletaria (1943-1945): con due contributi su Lelio Basso e il PSI nel dopoguerra, in Annali Fondazione L. Basso, Roma, 2005

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dell’esperienza organizzativa di Morandi bisognerebbe valutare a fondo (attraverso testimonianze, corrispondenze, documenti di federazione) il valore di scuola di formazione politica che ebbe la sua direzione.»20

Al di là dei mutamenti imposti dalla situazione, la coerenza che salda i vari momenti della sua politica e che consiste nel tentativo, senza precedenti nella storia del movimento operaio, che aveva visto la rottura e la frantumazione delle sue organizzazioni, di imprimere una svolta nella prassi del movimento operaio senza rompere col suo tronco storico e organizzativo, nella consapevolezza che “il primo fondamentale atto di un rigenerato socialismo era il superamento del velleitarismo, nello squilibrio tra linea politica e strumento operativo, tra obiettivi di conquista e forse disponibili alla lotta; la sua vicenda si protrasse in uno sforzo duplice e tremendo di severi adeguamenti di linea e di infaticabile costruzione di forze, nella ricerca di un equilibrio realistico di proposta politica e di strumento esecutivo, di linea politica e di organizzazione di partito”21

5 Da Basso a Morandi

Tra il congresso di Firenze e quello di Roma (aprile 1946-gennaio 1947) Panzieri è più vicino all'intransigenza di Basso, che punta a una rottura immediata con Saragat.

Al congresso di Roma del gennaio 1947 Morandi rivolgerà un disperato appello ai delegati perché salvino la «causa del partito» dalle «conseguenze incalcolabili» della scissione. Panzieri è con Basso, sul quale anzi preme perché non si lasci coinvolgere negli ultimi disperati tentativi di compromesso.22 e rimane vicino a Basso nei primi mesi della sua segreteria.

Questo periodo è segnato però dalla delusione dei quadri che si erano buttati nella lotta con dedizione totale credendo che con l'uscita di Saragat la strada per un partito rivoluzionario della tradizione socialista fosse tutta in discesa e invece si scoprono senza più un ruolo tra una base di tradizione socialista che ritengono vecchia e piccolo-borghese e una classe operaia che li abbandona per il partito comunista, la cui crescente egemonia toglie spazio e iniziativa ai loro propositi unitari.

“È stata ancora una nostra illusione credere che, rotto un certo fronte al vertice, il Partito potesse assumere una autentica fisionomia proletaria e, quel che più conta, impostare decisamente un comportamento unitario.”23

20 A.Agosti, “Morandi” cit., pagg. 461 e 463

21 P.Ferraris, “Rodolfo. Morandi e la costruzione della componente socialista rivoluzionaria”, Biella [1965?], materiale a diffusione interna della Federazione biellese del PSIUP

22 Testimonianza di Basso a Stefano Merli: “A quell’epoca ci vedevamo, o perlomeno ci telefonavamo quasi tutti i giorni, magari soltanto per un saluto. Raniero mi era allora molto affezionato, ed io a lui, ma quando cominciarono le discussioni sul Fronte Popolare, ci trovammo subito su posizioni contrastanti. Non vorrei commettere errori di memoria, ma mi pare che Raniero fosse uno dei più duri nella posizione frontista e, vorrei dire, anche nella posizione stalinista. Non ammetteva che il PSI potesse avere una sua personalità distinta da quella del PCI...” In “Lettere 1940-1964” a cura di S.Merli, Venezia, 1987, pag.xiii

23 R.Panzieri a Mario Potenza, in “Lettere” cit., pag.19-21

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La crisi inizia durante la segreteria Basso, in conseguenza della sua gestione del partito: il distacco di questi quadri è dovuto al logorarsi del rapporto con la classe operaia, che per diverse ragioni portava il partito a biforcarsi in uno «sfrenato massimalismo» al vertice e in un «opportunismo» alla base e quindi ad uscire, suo malgrado, dal fronte di classe. Il momento di Morandi viene quando Basso non sa prendere una posizione decisa nella controversia sulla politica elettorale per il Fronte. Al congresso dell’Astoria del gennaio 1948 invece Morandi, rivendicando la scelta del Fronte e una impostazione non elettoralistica, sembra offrire ancora prospettive di lotta, come socialisti, in un vasto movimento popolare.24

Per l’immediato era una scelta che offriva un ruolo trainante al partito e una prospettiva ai quadri bassiani in crisi; mentre il loro ex leader si muoveva sulla difensiva e nell’ambiguità, accettando la segreteria di un partito che doveva gestire il Fronte, nel quale egli stesso non credeva. Tutti questi quadri in crisi alla ricerca di un leader saranno per il Fronte, per superare il «momento ancora negativo della lotta contro il riformismo e il “sinistrismo”», per spingere il partito a «restare fedele alla sua missione di partito di classe”

Nei pochi mesi dopo la sconfitta del 18 aprile che separano il congresso di Genova (giugno 1948), in cui la Sinistra perde la maggioranza a favore del Centro (Riccardo Lombardi, Alberto Jacometti, Ferdinando Santi, Vittorio Foa..), da quello successivo di Firenze (maggio 1949) in cui la riconquista, sembra che Panzieri “desse ormai per scontata l’illusorietà di un’ulteriore lotta all’interno del PSI e che contemporaneamente (e conseguentemente) avviasse contatti per un suo passaggio al PCI”, a stare all'ipotesi di Stefano Merli che si appoggia sulla testimonianza di Gastone Manacorda “Avrebbe voluto entrare nel PCI, ma a lui come probabilmente ad altri, fu consigliato di rimanere dove erano”.

In questo periodo assieme a Cardona prende l’iniziativa di una rivista, «Quaderni socialisti», di cui uscì un solo fascicolo, in funzione congressuale, motivata dalla preoccupazione che la sconfitta del Fronte potesse mettere definitivamente in crisi «ogni ulteriore prospettiva sulla linea finora seguita, e dare una parvenza di giustificazione ai suggerimenti di svolta radicale». Probabilmente dopo il 18 aprile 1948 condivise quei dubbi e quello scoraggiamento che travolsero diversi quadri e militanti del PSIUP testimoniata anche dal fatto che sembrò distaccarsi da ogni attività di vertice non intervenendo ai Congressi di Genova del 1948 e di Firenze del 1949

6 L’eredità di Morandi

Il 26 luglio 1955 muore Rodolfo Morandi, “La stima di cui Morandi era circondato, anche presso gli avversari, era fra l’altro, dovuta alla riluttanza a proporre la sua persona al Partito. Si può dire che egli fosse arrivato alla vicesegreteria portatovi più dai compagni di corrente che per propria volontà o desiderio, L’apparante distacco, che sembrava talvolta confinare colla riluttanza ad impegnarsi,

24 Testimonianza di G.Cardona a S.Merli., in “Lettere”, cit., pag.xvi, “…eppure fino alla vigilia del congresso, Morandi era indeciso se parlare o no; e fummo proprio noi (io e Raniero) a convincerlo ad intervenire. Il suo discorso fu per tutti noi una rivelazione, comprendemmo che la Sinistra aveva trovato finalmente un capo; l’alleanza col pci era l’occasione che gli permetteva di dare una concretezza politica alla esigenza unitaria che era vivissima in lui, ma si accompagnava ad una profonda sensibilità per i problemi del partito in cui militava e di cui andava assumendo l’effettiva responsabilità.

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insieme con un pudico o rattenuto calore, si accompagnavano a un rigorismo e a un controllo forse eccessivi, sino al punto da far apparire come calcolata ambizione quello che veniva concepito come dovere. Credo che Morandi sia riuscito a trasferire questa sua moralità ad alcuni collaboratori: Panzieri, ad esempio. Non a tutti, poro» Da qui nasce il timore dei compagni di Partito che alle ambizioni di alcuni dell’apparato morandiano si uniscano quelle tradizionali dei dirigenti della generazione di mezzo e che il fatto faccia ripiombare il Partito in una situazione caotica Nelle ultime ore Morandi ha chiamato intorno a sé i collaboratori più intimi. Ha raccomandato di stare vicino a Nenni: Certe volte si lascia prendere la mano.... A Nenni, che entrava In quel momento, ha fatto un gesto amichevole, come per dire “Stai attento.,,. A Panzieri, che ha trattenuto vicino al letto ha chiesto se fosse valsa la pena di aver adoperato così duramente la frusta. Panzieri ha risposto affermativamente”

Il rapporto con Morandi influenzò Panzieri anche dopo la sua scomparsa:25 ricordiamo la pubblicazione di lettere e scritti su “Mondo Operaio” durante la sua direzione della rivista, la costituzione dell'Istituto intitolato al suo nome, la cura dell'"Opera omnia".

Nel dicembre 1957 intreccia un’appassionata discussione col Fortini di “Dieci inverni”26che gli manifesta la “irrilevanza che, per me ma anche per tanti amici miei, ha avuto il pensiero e la prassi di Morandi;...” liquidando non solo dieci anni di lavoro di una generazione ma un metodo, che Panzieri ritiene esemplare. Gli risponde Raniero: “Non so rendermi conto della tua sordità verso l’opera di Morandi. [...]. Anzi non riesco a capire proprio nel contesto del tuo libro come possa mancare la considerazione di una esperienza così alta e così esemplarmente drammatica come quella di Morandi. Egli non ha obbiettivamente — come troppo sono pronti a riconoscere – preservato le condizioni di una ripresa socialista, salvando il partito ecc. - che è un discorso stupido e vile. Egli ha consapevolmente impegnato tutto il patrimonio della sua tensione rivoluzionaria nella confusa mischia della politica del movimento operaio italiano dopo il 1945, riuscendo a salvare non uno strumento materiale — il Partito, l’apparato – che non si è salvato, ma una condizione ideologica, una prospettiva.”27

Il «modello Morandi» diventa così il parametro sul quale tessere una continuità e sul quale ricostruire una nuova partenza. E su di esso Panzieri insiste con tenacia, nel carteggio con Fortini, con Scalia

Così scriveva un mese prima della scomparsa: «Ho intenzione di ristudiare seriamente Morandi ma ho l’impressione che quella feconda critica nel suo pensiero [si tratta dalla critica contro la concezione della fatalità dal socialismo, contro le “leggi”] si svolgesse su uno sfondo, e con un

25 R.Panzieri « “Un punto fermo nella visione ideologica di Morandi. La politica unitaria del PSI”, in "Avanti!", 27 luglio 1956; S.Merli Dopo Stalin, cit., pag.xvi:”Morandi è l'unico riferimento costante e esplicito, perché gli altri (Gramsci, Luxemburg, Lenin) sono legati a particolari momenti o sono circondati da riserve e distinguo ma neI complesso sono «storicamente determinati». Morandi no, e la pubblicazione dei suoi scritti viene da .lui definita «un avvenimento di eccezionale importanza per tutto il movimento operaio». Il movimento ordinovista, la rivoluzione d'Ottobre, la rivoluzione tedesca del 1918 sono grandi momenti della storia del secolo, ma non normativi per una transizione al socialismo nella continuità democratica nell'Italia del secondo dopoguerra”

26 F. Fortini “Dieci inverni : 1947-1957 : contributi ad un discorso socialista”, Milano, 1957

27 “Lettere” , cit., pag.112-115

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approda pragmatico che alla fine, con una ipertrofia del concetto di klask, vi si recuperasse ciò che si intendeva combattere; in parole povere gli schemi falsi (falsi rispetto allo sviluppo storico totale, anche se par avventura questo è dovuto solo all’avversario) rimangono tali anche se la classe operaia li ha fatti propri. Questo particolare processo di mistificazione (reale) sfuggiva, mi sembra, a Morandi e ciò lo ha portato a una concezione acritica dell’unità: che rimane sempre criterio e fine, ma che diversamente si realizza, cioè attraverso mediazioni critiche complesse e problematiche, se appunto ci si trova in quell’avvenuta mistificazione. Del resto questo abbaglio teorico in Morandi è storicamente comprensibile e può essere riportato alla “natura pratica” dell’errore, in questo caso al violento sforzo di svincolarsi dal democraticismo socialdemocratico: un errore dunque di generosità”.28

28 “Lettere”, cit., pag.408. A Luciano Della Mea, 24 agosto 1964. Il termine "klask" invece di classe era stato utilizzato da Morandi negli appunti stesi a Reggio Emilia per confondere la censura carceraria

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2.Politica e cultura

1 Due importanti incontri: Ernesto De Martino e Galvano Della Volpe

Nel settembre 1946 Panzieri viene inviato presso la federazione di Bari per collaborare con la locale corrente di sinistra in previsione del Congresso del gennaio 1947, che vede la scissione socialdemocratica. L’inserimento di Panzieri nella sinistra socialista barese gli fa approfondire la conoscenza della figura più rappresentativa di quel gruppo, Ernesto De Martino29, con cui era già entrato in contatto al Centro di studi sociali per la pubblicazione di Mondo magico.

De Martino, che nel 1941 aveva pubblicato da Laterza “Naturalismo e storicismo nell’etnologia”, tornato a Bari nella metà del 194530, era ancora in parte sotto l’influenza culturale di Croce. Il “marxista” Panzieri ebbe una grossa influenza su di lui nell'introdurlo alla letture dei “sacri testi”; dall’incontro delle loro culture ed esperienze De Martino scoprì la dimensione di classe, Panzieri rifiutò la condanna antistorica del mondo arcaico e popolare, cogliendo il rapporto tra gli aspetti utopici e escatologici presenti in Marx e il ruolo che svolgono i poveri come «messia collettivo».Tutti e due posero le basi di quel modo di fare politica e cultura che si chiamerà «conricerca» e «inchiesta», un metodo che reagiva al marxismo formale e citazionistico, alla separatezza dell’intellettuale, dava una base non ideologica all’impegno, e che darà un senso unitario a tutto il suo lavoro politico e culturale.

A Bari conosce e frequenta anche Aurelio Macchioro, cognato di Ernesto De Martino, futuro storico del pensiero economico e docente nelle Università di Modena e Padova, allora insegnante al liceo classico Orazio Flacco ed iscritto al PCI dopo la militanza azionista.31

L'altro importante incontro intellettuale fu con il filosofo Galvano Della Volpe32, approdato agli inizi degli anni '40 al marxismo al cui sviluppo in campo etico-politico contribuì con una serie di libri, iniziata dal "Discorso sull' ineguaglianza" nel 1943 e proseguita dalla "Teoria marxista dell1 emancipazione umana" (1945)» e dalla "Libertà comunista" (1946), conclusa con "Rousseau e Marx" (1957).

Il punto di partenza è Rousseau il cui individualismo, fondato sul concetto di persona, entra in

29 La bibliografia è molto vasta; su questo periodo vedere C.Pasquinelli ”Antropologia culturale e questione meridionale:E. De Martino e il dibattito sul mondo popolare subalterno negli anni 1948-1955, Firenze, 1977

30 Aveva militato nella Resistenza in Romagna nelle fila del “Partito di Lavoro” di Giusto Tolloy, confluito nel PSIUP nel 1945

31 "Panzieri mi colpì come uomo di cultura e uomo d'azione, anche lui intuiva che il keynesismo era diventato una posta in gioco nella disputa sui modi della Ricostruzione, sulla presenza della statualità nell'economia ecc e volle per la rivista Socialismo ch'io scrivessi sulla teoria keynesiana" Cfr.T.Maccabelli, L.Michelini "Intervista ad Aurelio Macchioro" in "Il pensiero economico italiano" 2002 n.1. pag. 13 . Di Macchioro vedere in particolare Studi di storia del pensiero economico e altri saggi, Milano, 1970; Studi di storia del pensiero economico italiano , Milano, 2006, oltre a studi su Pareto, M.Gioia, Sraffa, ecc.

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contraddizione con il concetto di uguaglianza sociale. Della Volpe mette a confronto le teorie dell'emancipazione umana di Rousseau e di Marx: quella di Rousseau viene ricondotta alle sue origini platonico-cristiane e giusnaturalistiche rispetto a cui ha il merito di averle laicizzate radicalmente; il suo limite consiste nel privilegiare la persona, che ha il suo obiettivo in una sorta di narcisismo spirituale o di autocontemplazione interiore.

Questi limiti ideologici, che rendono classista e borghese la concezione di Rousseau, vengono superati dalla teoria dell'emancipazione di Marx, che viene riscontrata nei suoi testi giovanili degli anni 1843-47 privilegiando quelli fortemente critici nei confronti di Hegel e ancora molto vicini al "naturalismo" e all'anticristianesimo di Feuerbach, sotto la cui influenza accentua il tema della soppressione dell'alienazione mediante il comunismo.

In primo piano è il tema della libertà egualitaria che, intesa come diritto di ciascuno al riconoscimento delle proprie capacità, ingloba in sé l'istanza individualistica della libertà civile. Quello che resta il punto teorico di maggiore impegno è la ricerca di una libertà egualitaria che superi, conservandole, le "libertà negative" del liberalismo33.

In Della Volpe “troviamo l' individuazione di quello che costituisce il punto nodale della problematica marxista ancora oggi: il problema del rapporto tra la democrazia borghese e le sue più avanzate espressioni ideologiche, e la democrazia socialista, colto nella documentazione testuale più appropriata: Kant e soprattutto Rousseau da un lato e il Marx dei testi su ricordati dall'altro" 34

Non è stato possibile stabilire in quale precisa occasione avvenne il loro incontro, che preluse alla chiamata a tenere un corso all'Università di Messina, ma negli anni 1946-47 la rilettura dei classici marxiani di Panzieri si muove nell'ambito dell’interpretazione di Della Volpe, come si vede da questi brani: “Una valutazione esatta del Marx filosofo,... deve soprattutto rifarsi al “Manoscritto economico-filosofico” e all’ “Ideologia tedesca” e insieme tener presente, come dato fondamentale, l’evoluzione della filosofia marxista che trova, per tutta la sua problematica, una compiuta risoluzione con la scoperta e l’ approfondimento delle nozioni di proletariato e di

32 Allievo di Rodolfo Mondolfo a Bologna e gentiliano, nel 1938 vinse una cattedra all'Università di Messina dove rimase per tutta la vita accademica. Da quella sede periferica diede vita alla sola scuola marxista i cui tratti ancora oggi sono riconoscibili: con lui si formarono, fra gli altri: Nicolao Merker, Mario Rossi, Lucio Colletti. La sua ricerca che puntava sugli aspetti logico-materialistici con una critica di tutte le forme di misticismo, romanticismo, umanitarismo cristiano o laico e la sua interpretazione del marxismo in chiave scientifica, anti-hegeliana e anti-idealista(in qualche modo parallelela a quella di Louis Althusser), contro la tradizione della continuità fra Hegel e Marx e della linea De Sanctis- Labriola-Gramsci, gli costarono l'emarginazione politica ad opera dei responsabili culturali del Partito comunista.

33 Su questo terreno Della Volpe si impegnò in un costante lavoro di revisione che nel tempo lo portò molto al di là delle posizioni degli anni Quaranta: dall'importanza che accorda al tema dei limiti del potere statale e della “legalità socialista”, al recupero di Kant, col principio che impone di considerare "l'uomo come fine e mai come semplice mezzo".

34 M.Rossi: “Galvano Della Volpe:dalla gnoseologia critica alla logica storica”, in “Critica marxista”, 1968 (I testi ricordati sono la “Questione ebraica” e la “Introduzione alla Critica della filosofia del diritto di Hegel”). Ved. anche M.Alcaro “Dellavolpismo e nuova sinistra”, Bari, 1977

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rivoluzione. Perciò il Manifesto è la conclusione coerente di tutta la ricerca de Marx filosofo, e ogni problema precedentemente prospettato e ogni soluzione proposta solo per essi ricevono il loro senso più pieno. Quando scrive la “Questione ebraica” e la “Introduzione alla Critica della filosofia del diritto di Hegel”, Marx non è ancora comunista in quanto non ancora è giunto all’affermazione del proletariato e dalla prassi rivoluzionaria come concetti autonomi. Il suo pensiero presenta perciò ancora alcuni residui idealistici, riscontrabili, ad esempio, in formule come quella celebre secondo la quale il proletariato è l’erede della filosofia tedesca... Tuttavia Marx già allora criticava a fondo gli “ideali della borghesia, e nella filosofia tedesca egli già vedeva additato un compito che era al di là della rivoluzione borghese. Esplicitamente poi, nel “Manoscritto”, in cui è consegnata la prima fase del Marx maturo, si afferma l’identificazione dell’uomo “umano” con l’uomo “sociale” e si presenta il problema nell’instaurazione dell’uomo “totale” come il problema del comunismo in quanto soppressione positiva della proprietà privata intesa come forma essenziale dell’alienazione dell’uomo. Trovando la risoluzione pia completa della sua ricerca, su un piano di storicismo assoluto, Marx fornisce allora anche il positivo compimento della critica, che già si andava delineando nella “Introduzione alla critica della Filosofia del Diritto” e nella “Questione ebraica” all’uomo astratto proiezione dal borghese, prodotto della società borghese. L’individualismo astratto è pero sempre da Marx fin dalla “Questione ebraica”, ricondotto alle condizioni della società divisa in classi, così come fin da allora ne è visto il superamento nella nozione del “reale individuo” (uomo umano o totale) “come ente generico”, ossia sociale. Si conferme cosi il significato positivo che ha avuto nella formazione di Marx il momento rappresentato dall’ introduzione alla Critica della Filosofia del Diritto e dalla Questione ebraica 35

E in un articolo di qualche mese successivo aggiunge “... L’errore di questi interpreti non consiste nell’accentuare l’importanza di quelle opere nella formazione di Marx ...ma nell’attribuire ad esse un significato “fisiologico” ravvisando il loro contenuto principale nell’ «idea della vera realtà dell’uomo” (Landshut e Mayer), nella ricerca di un “fondamento umano generale (idem), ecc. ecc. Per questo grossolano errore si conclude (sulla base magari, della premessa genericamente esatta di una continuità fra le opere giovanili e quelle della maturità) nell’ assegnare all' insieme del marxismo un carattere metafisico idealistico... A questa falsificazione si giunge facilmente, attraverso l’utilizzazione della terminologia delle prime opere giovanili (terminologia mutuata dall’hegelianesimo che perciò si presta spesso all'equivoco “filosofico”) e , insieme, ignorando la linea evolutiva che lega i diversi scritti e segna il progressivo abbandono da parte di Marx di ogni residuo ideologico”36

Nel 1948 partecipa al “Convegno di studi hegeliani-marxisti” tenuto all'Istituto di Filosofia del Diritto dell'Università di Roma e pubblicato sulla rivista “Il costume”. Erano presenti Della Volpe, che lesse una comunicazione su “L'equivoco ideologico del socialriformismo” , Arturo Massolo con la relazione ”Schema per una discussione sul rapporto Hegel-Marx”, Ugo Spirito, Sebastiano Timpanaro, il gesuita Gustavo Wetter.

E’ di quel periodo la traduzione del secondo libro del Capitale; nel 1955 per le “edizioni Avanti!” traduce gli scritti giovanili di Engels, peraltro mai usciti37 mentre, nello stesso anno, le “Edizioni

35 R.Panzieri “Osservazioni a un nuovo revisionismo” in “Socialismo”, n.5, maggio 1946

36 “II socialismo “umanista”in Francia” In “Socialismo", n. 1-2 gennaio-febbraio 1947. Parlando di interpreti si riferisce a Leon Blum, Guy Mollet, Maximilien Rubel

37 G.Bosio “Diario..” cit., pag. 64

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Rinascita” pubblicano “Le condizioni della classe operaia in Inghilterra", curata da Raniero, che considerava questo uno dei testi più importanti nello sviluppo del pensiero di Marx ed Engels.

2.2 La polemica contro il revisionismo e l'idealismo (1947)

Al 24° Congresso dal PSI, tenutosi a Firenze nell'aprile del 1946, il Partito socialista giunse in uno stato di divisione alquanto caotica, con la presentazione di numerose mozioni. I fautori dell'unità organica dei due partiti marxisti facevano capo alla rivista "Compiti Nuovi", diretta da Oreste Lizzadri; anche a sinistra, ma critico rispetto alla politica di unità antifascista e poi ai condizionamenti imposti dalla partecipazione al governo tripartito (DC, PCI, PSI), era Lelio Basso, che si distingueva dalla corrente “Iniziativa Socialista” per il classismo unitario. L’anticomunismo di "Iniziativa", nutrito dalla condanna sia della natura antidemocratica del PCI sia dalla politica di unità antifascista, doveva accostarlo alla corrente di "Critica Sociale", che si richiamava al riformiamo turatiano, ponendo così la discriminante sul piano dei rapporti coi comunisti. Il Congresso si chiuse con un compromesso tra le correnti, di cui nessuna aveva riportato la maggioranza assoluta.

Al successivo Congresso svoltosi a Roma nel gennaio 1947 le posizioni erano ormai cristallizzate e da entrambi gli schieramenti molti premevano per la scissione, che avvenne con la fondazione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (presto divenuto PSDI) sotto la guida di Giuseppe Saragat.

Il discorso di Saragat al Congresso di Firenze “operò come intervento decisivo per il cristallizzarsi dell'opposizione e finì anzi per conferire ad essa, sia pure estrinsecamente , la qualificazione politica". Il discorso fu centrato sulla difesa della “funzione storica del Partito” e sul rinvio dell'unificazione, perchè l'”autonomia della classe lavoratrice che si vuole contrapporre all1 autonomia del partito, non può nella situazione attuale, caratterizzata dall'esistenza di partiti totalitari essere difesa che dall'autonomia del Partito Socialista”38.Sul piano teorico Saragat sostenne che la democrazia, finchè era esclusivamente democrazia politica, non costituiva l'ultima forma di emancipazione umana. Essa non era completa, appunto perché subiva la limitazione di classe. Si trattava appunto di distruggere questa limitazione di classe e non il contenuto universale della libertà. Quanto alla dittatura del proletariato, essa era legittima e giusta dove non vi era altra alternativa. Avrebbe dovuto avere però soltanto un carattere transitorio e trasformarsi poi in una vera democrazia, al contrario di quanto era avvenuto in Russia, sia pure per ragioni obiettive quali il carattere minoritario della rivoluzione proletaria e la costante minaccia di invasione militare. Saragat deplorò poi che il partito socialista continuasse a essere turbato da manovre di carattere fusionista che ne mettevano in pericolo la funzione futura, che era quella di una "mediazione tra la pace e la guerra per il trionfo della pace", di una "mediazione tra la dittatura e la democrazia per il trionfo della democrazia”. Nella parte teorica del suo discorso Saragat si rifaceva alla interpretazione "umanistica" degli scritti giovanili di Marx che aveva dato nel 1936 in "L'humanisme marxiste", secondo la quale la lotta della classe operaia per la sua emancipazione trascende ogni fine di classe per mirare alla realizzazione degli ideali di universalità umana» dell'Idea di libertà, di democrazia liberata di tutte le deformazioni impostale dal capitalismo, e che ha come logica conclusione il rifiuto della dittatura del proletariato e l' affermazione di un generico populismo aclassista.

La critica di Raniero si appuntò proprio sull'utilizzazione "arbitraria e indiscriminata” fatta da

38 R.Panzieri “Osservazioni a un nuovo revisionismo”, in “Socialismo”, 1946, n. 5 (maggio); ora in “L’alternativa socialista”, Torino, 1982

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Saragat di alcuni scritti di Marx. "... il discorso di Saragat - scrive Panzieri -si presenta come un revisionismo assai eclettico... In questa ripetizione degli schemi revisionistici, il tono particolare è da indicare in un più accentuato e diffuso spiritualismo, mutuato particolarmente dall'austro--marxismo e che anche riecheggia il cosiddetto “umanismo” della prosa di Benedetto Croce...egli concepisce il proletariato come mero strumento per servire alla realizzazione di astratti valori "universali", i "valori" cui il socialismo deve rifarsi secondo Saragat, sono la democrazia e il liberalismo. Cosi il socialismo "umanista" di Saragat si inserisce ancora, naturalmente, sul tronco del vecchio revisioniamo - per il quale potrebbe indicarsi, approssimativamente, la derivazione Lassalle, Bernstein, Kautski, austromarxismo, neosocialismo, soclalismo umanista francese....Laddove il revisionismo di Bernstsin tenderà a condurre il movimento proletario sulla piattaforma dell'azione "legalitaria" della socialdemocrazia tedesca - e in genere il revisionismo sino alla fine della primi guerra mondiale era destinato a fornire l'arma ideologica per l'addomesticamento del movimento proletario mediante un controllo "dall'esterno" da parte della borghesia - il revisionismo più recente a partire dall' austromarxismo, riflette il tentativo della borghesia di conquistare dall1interno i partiti socialisti, servendosi della massa dì manovra e di assalto costituita dai ceti medi.”39

Panzieri è particolarmente attivo nella critica dell'idealismo e delle sue implicazioni umanistiche all'interno della cultura socialista, e non solo in occasione del discorso di Saragat, Subito dopo la scissione socialdemocratica, aveva scritto: «La divisione e la deviazione del movimento proletario, questo, in effetti, è lo scopo vero di ogni più o meno elaborato e modernizzato revisionismo 'umanista'. La falsificazione dottrinale per cui si ricorre alla 'nozione' dell'uomo per 'comprendere la nozione del proletariato rovesciando completamente la nozione di Marx e di Engels (...) risponde a un preciso intento politico: la deformazione del marxismo per dividere e indebolire la classe operaia»40

Nel marzo 1947 Panzieri esamina il problema dell’influenza di Croce nella sinistra: «Una prima indicazione sul significato concreto della nostra cultura attuale è stabilita dalla natura assai complessa dei rapporti che la legano al crocianesimo. L’opera crociana si pone confusamente per essa come costruzione ideologica riassuntiva dello sviluppo tradizionale, e ogni momento ulteriore si definisce per ciò o come vuota ripetizione o come ribellione. Ma si tratta di una ribellione che non soltanto non oltrepassa generalmente l’ambito dell’astrazione, ma, nel momento stesso che intende riferirsi ad una partecipazione immediata alla ‘realtà’ elude i motivi originali e vitali dello storicismo crociano (...) e finisce per esasperare il momento ideologico elementare, passivo (...)»41

Si può qui pensare anche ad una velata polemica nei confronti di una assimilazione dell’impianto storicista da parte del PCI, e non solo alla polemica contro la cultura della corrente socialdemocratica

2.3 La rivista “Socialismo” (1946-47) e l'Istituto di Studi Socialisti (1947-48)

39 R.Panzieri: Ibid.

40 R. Panzieri: “// socialismo «umanista» in Francia, cit., ora in “L’alternativa socialista”, Torino, 1982

41 R. Panzieri, “Cultura e coscienza storica”, in «Avanti!», 30 marzo 1947(ediz.Roma) e 6 aprile (ediz.Milano); ora in "“L’alternativa socialista”, Torino, 1982.

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Il primo numero della rivista, di cui Raniero fu segretario di redazione nel biennio 1945-7, apparve col sottotitolo “rivista mensile di cultura politica” nel marzo 1945, diretta da Giuseppe Saragat, direttore responsabile Tullio Vecchietti. Dal numero 5-6 (settembre-ottobre) è diretto da Rodolfo Morandi, mentre a partire dal 1946 viene formato un pletorico “comitato promotore” in cui erano rappresentate tutte le anime socialiste. L'effettiva direzione era affidata a un “Comitato di redazione” più ristretto42 con Panzieri segretario di redazione.

Nel biennio 1945-46 la rivista non esprime una precisa linea politica, essendo aperta a tutte le componenti del Partito; si può notare però che le collaborazioni della “destra” del partito cessano nel corso del 1946. Una caratterizzazione e una certa omogeneità è impressa dalla collaborazione di storici come Gastone Manacorda e Giacomo Perticone

Di argomento storico sono anche alcune recensioni di Raniero: “Herzen e il '48” nel numero 1-2 del 1946, in occasione dalla traduzione dello scritto “Dall' altra sponda” e “Nota sulla ideologia di Belinskij”. nel numero 7-8 (1946); la recensione al libro di Carlo Antoni “Ciò che è vivo e ciò che è morto nella dottrina di K.Marx” (n. 2, 1945) al volume di Giacomo Perticone “Le tre internazionali” (n. 6, 1946),43 . Vengono pubblicati anche estratti dalla "Ideologia Tedesca", tradotti da Panzieri, nei numeri 6, 7-8 e 9-10

Dall'aprile-maggio dal 1947 subentra come direttore, al posto di Morandi, Lelio Basso, mentre Panzieri conserva la carica di redattore; l'impostazione non muta sensibilmente, e i collaboratori della rivista sono gli stessi con una maggior partecipazione di Basso che scrive gli editoriali, e di "bassiani” come Laura Conti e Guido Seborga

Dai primo numero del 1948 Panzieri viene sostituito come redattore responsabile dallo scrittore Guido Seborga (pseudonimo di Guido Hess). Cambiata la Direzione del partito al Congresso di Genova, nel gennaio del 1949 a Basso subentra Alberto Jacometti44, e la rivista si avvale della collaborazione di Pieraccini, Virgilio Dagnino, Vittorio Foa, ecc.

Oltre alle recensioni sopra ricordate, Panzieri pubblicò i due importanti articoli da cui abbiamo estratto i brani riportati nel paragrafo precedente45

Nel novembre 1945 Morandi nella sua qualità di responsabile dell'Ufficio Studi del PSIUP fonda l'Istituto di Studi Socialisti, riprendendo l'idea di un centro che elaborasse l’intreccio tra problemi tecnico-produttivi e lotta per l'emancipazione della classe operaia, con lo scopo di impedire il riformarsi, sulla spinta delle necessità impellenti della ricostruzione, di ideologie produttivistiche ed

42 Comprende Pietro Battara, Antonio Borgoni, Ernesto de Martino, M.S. Giannini, Franco Lombardi, Tullio Vecchietti

43 Su "Società" (n. 3 del 1945) pubblica una recensione ai saggi di Delio Cantimori Note su utopisti e riformatori sociali “ dedicati a Babeuf, Saint-Simon, alla scuola sansiioniana, ai giacobini italiani, a Buonarroti e a Davide Levi, pubblicati dall'editore Sansoni e poi ristampati nel volume "Studi di Storia» dell' Einaudi.

44 R.Fiammetti “Alberto Jacometti dal primo dopoguerra alla stagione del centrosinistra”, “Il Politico”,1991,4.

45 “Osservazioni a un nuovo revisionismo”, in “Socialismo”, 1946, n. 5 (maggio) e “Il socialismo "umanista” in Francia” in “Socialismo”, 1947 , n. 1-2 (gennaio-febbraio)

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efficientistiche attorno alle quali si potesse coagulare la tradizionale egemonia padronale sul ceto medio intellettuale oltre che sulla stessa classe operaia, e di colmare quella deficienza programmatica che sembrava un retaggio della tradizione massimalista e riformista del periodo prefascista: «Importa dunque unire la competenza e la sensibilità politica, il che non tanto costituisce una questione individuale di preparazione, quanto un problema di collaborazione, per la migliore integrazione delle attitudini e inclinazioni dei singoli (...) Un grande partito, per essere strumento di azione progressiva nella società moderna, deve, come tutti noi sentiamo, colmare l'iato tra politica e tecnica»

Un aspetto particolarmente interessante e attuale della concezione del partito in Morandi è «il fastidio per le chiuse forme di vita politica, il bisogno di un partito moderno capace di saldare tecnica e politica, l'abbozzo di una costruzione che è già una nuova classe dirigente a livello di un processo sociale e produttivo complesso e avanzato" 46

I congressi avvenuti sotto l’ "egemonia morandiana", non essendo centrati sulla discussione delle mozioni congressuali vedono larga parte dal dibattito dedicata alle condizioni reali della lotte sociale o politica noi paese: "si trattava di fattori che concorsero a una verifica costante della validità dell'azione socialista nel paese, e che permisero al P.S.I. di prendere coscienza, con sufficiente rapidità del mutamento delle condizioni reali di sviluppo della società italiana”47

ln quegli anni si svolsero numerose conferenze o riunioni nell'ambito del Partito, su temi economici e sociali: il "Convegno nazionale dei Gruppi Tecnici Socialisti" (giugno 1947), la "Conferenza Economica Socialista" (novembre 1947), la "Conferenza Agraria Nazionale" (aprile 1952 e novembre 1957); ciò faceva parte dalla politica di riqualificazione e riorientamento dei quadri attraverso la convocazione di convegni di organizzazione e di studio. II “centro” di elaborazione e diffusione di temi economici e sociali, era appunto l’"Istituto di Studi Socialisti"

L'attività dell' Istituto viene limitata dopo il congresso dì Genova (giugno 1948) in cui prevale la corrente centrista “Riscossa socialista” (segretario Alberto Jacometti, con Riccardo Lombardi, Ferdinando Santi, ecc in Direzione).

Organi dell’Istituto sono prima il “Bollettino”, dal dicembre 1945 al 1947 (dal primo numero del 1947 succede a Morandi, come redattore responsabile, Panzieri), poi il mensile “Studi Socialisti» di cui uscirono sole due numeri (comitato di redazione Morandi, Panzieri, G. Pietranera, E. Rienzi; redattore responsabile Panzieri) e nel novembre-dicembre 1949 il quindicinale “Rassegna Socialista”, di cui uscirono cinque numeri» diretta da Vecchietti. Oltre a scrivere quasi tutti gli editoriali (firmati “filo rosso”), interviene con una relazione (”Significato, problemi e sviluppo del lavoro economico”) alla Conferenza Economica Socialista, pubblicata nel numero 14-18 del “Bollettino dell’ Istituto di Studi Socialisti.”48

46 R.Rossanda “Coerenza di Morandi”, in “Rinascita”, 1965

47 A.Landolfi “ Il socialismo italiano. Strutture, comportamenti, valori”, Roma, 1968, pag.94

48 E' interessante confrontare quali erano i fini che Morandi si proponeva: "L'Istituto non ha in vista solo di assicurare un diretto contributo alla direziono nell'esame e nello studio delle questioni o situazioni di fatto che sono il substrato delle riforme propugnate dal Partito, esso tende insieme a stimolare l'attività intellettuale del partito, sceverando gli elementi più qualificati. Esso potrà contribuire in misura decisiva alla integrazione dei quadri e alla migliore utilizzazione di quel patrimonio di uomini o di esperienze di cui è ricco il partito” [ “Relazione al 24. Congresso del PSI”

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Panzieri, che non amava le attività di vertice, era intervenuto per la prima volta ad un congresso nazionale nel 1948 (Roma 19-22 gennaio) rilevando che “i problemi che il Partito affrontava non erano problemi nuovi, essendo essi sulla linea dello sviluppo della politica unitaria che il Partito stesso da tanti anni perseguiva e una conseguenza logica dell’offensiva capitalista messa in atto dal Governo non solo a detrimento del proletariato ma anche di tutti gli altri strati democratici. Nel quadro di questa situazione gli organismi unitari quali i Consigli di Gestione, i Comitati della Terra e i Comuni Democratici costituivano gli organismi di difesa delle classi lavoratrici. Disse poi di ritenere erroneo il timore che il Fronte potesse esautorare il Partito, la cui funzione di strumento permanente di lotta non poteva essere messa in dubbio.”49

Dopo la sconfitta del “Fronte popolare” il 18 aprile 1948 condivise quei dubbi e quello scoraggiamento che travolsero diversi quadri e militanti del PSIUP testimoniata anche dal fatto che lascia l’Istituto di studi socialisti e il lavoro di partito, per un ritorno agli studi e per iniziare l’attività di insegnamento presso l’università di Messina, chiamatovi da Galvano Della Volpe. Non interverrà ai Congressi di Genova (1948) e di Firenze del 1949, riprendendo la frequentazione con quello di Bologna (1951)

2.4 Il piano socialista

La fondazione dell'Istituto Studi socialisti e della UNITS (Unione Tecnici Socialisti) va letta anche come lo sforzo di delineare l'intervento del partito “fondandosi sull'analisi della collocazione concreta, non solo politica, ma ideologica e culturale, delle diverse classi sociali e, attraverso questo approccio, di consolidare le radici del partito nella società civile, restituendogli quella sensibilità ai grandi temi programmatici che lo aveva caratterizzato nel corso della Resistenza e nel dopoguerra. ” 50

ora in “Democrazia diretta e ricostruzione capitalistica”, Torino, 1960, pag. 67] col giudizio dello stesso un anno dopo «l'attività svolta dall'Istituto di Studi Socialisti ha contribuito con precise anticipazioni, con la formazione di numerosi quadri che oggi lavorano in organismi di massa (ad esempio l'Ufficio Studi della C.G,I.L.), con il suo orientamento a realizzare quella maturazione di consapevolezza concreta delle questioni generali della vita nazionale da parte del movimento operaio che aveva costituito il suo scopo centrale” [“Intervento al congresso nazionale dei gruppi tecnici socialisti”, ibid., pag. 187-203] e col bilancio che dieci anni dopo traccia Panzieri: “...in questi ultimi anni, quelli che erano i problemi di più urgente applicazione dell'Istituto – i problemi di politica economica - si presentano in termini del tutto mutati per il profondo cambiamento intervenuto nella situazione politica e d'altronde vengono affrontati dal personale intellettuale e specializzato in modi che realizzano al più alto grado l’esigenza capitale di una stretta congiunzione con l’ azione delle forze di lavoro...... il metodo di lavoro la formula, la struttura, gli scopi stessi del vecchio Partito si presentano oggi non più aderenti alla realtà attuale, sebbene pienamente valida e confermata dallo sviluppo delle cose appaia l'ispirazione che l'aveva mosso” [““Note per la costituzione di un centro d'informazione culturale”, dattiloscritto, 1959]

49 F.Pedone “I congressi del dopoguerra”, Milano, 1968

50 R.Morandi “ Intervento al congresso nazionale dei gruppi tecnici socialisti”, ora in “Democrazia diretta e ricostruzione capitalistica”, Torino, 1960, pag. 187-203

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Punto critico di questa ricerca, legata alla attività di Morandi51 alla testa del Ministero dell'Industria (1946-1947), è rappresentato dal progetto del «piano socialista», sancito dalla decisione del Comitato centrale del 4-6 maggio 1947 di affidare a una commissione di esperti «la formulazione programmatica dei criteri nei quali si estrinsecava l'idea centrale della pianificazione, quale esigenza fondamentale della condotta economica».

Le linee generali del piano socialista erano state formulate dopo l'esclusione delle sinistre dal governo, considerata da Morandi non un incidente momentaneo, ma il prodotto combinato dell'offensiva padronale e delle debolezze della linea politica delle sinistre ma l'idea di piano si riallacciava al tradizionale orientamento di tutte le componenti socialiste a favore d'una «economia programmata» che si erano pronunciate a favore di un piano di ricostruzione dell'economia che disciplinasse, secondo criteri di razionalità e di interesse collettivo, l'utilizzazione delle scarse risorse di cui il paese poteva disporre.

Alla base della ripresentazione nel 1947 del “piano socialista” vi era l'autocritica verso la pratica ministeriale e la volontà di riprendere, attraverso il discorso sulla necessità di regolamentare l'economia della ricostruzione, l'idea dello sviluppo di forme di democrazia di massa, individuate nei Consigli di Gestione, tendenzialmente antagonistiche alla restaurazione capitalistica: “Compito nostro è non quello di formulare un piano possibilista sulla scorta degli elementi o dei dati offerti dalla situazione rigidamente costretta, alla quale non possiamo in nessun caso pensare di arrenderci. Ma è quello di introdurre nella valutazione delle nostre prospettive di azione fermenti di lievitazione del nostro domani.. Si tratta di inserire delle spinte di carattere sociale e politico…[il piano socialista] si fonda sul concetto di un’azione che, portata a svolgersi all’interno dagli ordinamenti capitalistici, è indirizzata nel senso di dislocare incessantemente l’equilibrio dal sistema fino al completo rovesciamento dai rapporti di classe. Esso si sviluppa come una manovra d'investimento dell’economia capitalistica che ne deve ridurre a spazzar via la resistenze. La sua caratteristica distintiva sta nel concepire le riforme di struttura a guisa di un'azione d'urto e come altrettante fratture del sistema”.52

D'altra parte l'azione di governo e le scelte generali compiute dal partito subito dopo la guerra, rendevano improponibile un recupero del “piano” sia a causa della preoccupazione di non creare dissensi a sinistra perchè questo indirizzo contrastava con quello del PCI, sia per l'affermarsi di una concezione gradualistica. Dopo il 1956 il gruppo sostenitore della «programmazione democratica» all'interno del PSI avrebbe riproposto il discorso di Morandi sul «piano» in chiave apertamente riformistica come un intervento statale regolatore della produzione e dello scambio che, rimuovendo gli squilibri più evidenti del sistema avrebbe favorito uno sviluppo produttivo di per sé favorevole alla causa del proletariato, con un'accentuazione neokeynesiana sul ruolo dell'espansione della spesa pubblica e dello sviluppo globale della domanda già presente in Morandi

2.5 Polemiche culturali del 1948-49

51 M.Battini ”R.Morandi ministro dell’industria” in “Rivista di storia contemporanea”, 1981, n.3

52 R.Morandi, “Piano economico e riforme di strutture”, in “Bollettino dell'Istituto di studi socialista”, n.s., nn. 14-18 nov.-dic. 1947; ora in “Democrazia diretta e riforme di struttura”, Torino 1975, p. 164. Si tratta degli interventi di Morandi alla prima conferenza economica del PSI (Roma, 8-9 novembre 1947).

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Il primo scritto di Panzieri che si ricollega a uno dei dibattiti del dopoguerra è l'editoriale di presentazione della rivista "Studi socialisti"del marzo 1948 "... il nostro lavoro si muoverà in netta opposizione a tutte le forme di utopismo in primo luogo, vorremmo dire a quell’utopismo “d’avanguardia", alla cui varia fioritura sul terreno dell’ideologia e della cultura ha dato impulso ultimamente l’affrettata e quasi improvvisa maturazione delle giovani generazioni. .. Lo storicismo al quale intendiamo così ubbidire in un concreto sforzo di lavoro ci impegnerà ugualmente a guardarci dall'errore - alla superficie soltanto diverso, malgrado la frequente dichiarata polemica, ma che una stessa radice storica e perciò una identica destinazione accomuna in realtà all'avvenirismo piccolo borghese - di un rinnovamento della cultura cercato esclusivamente o principalmente nel quadro della cultura tradizionale. Nessuno sforzo critico esercitato sulle vecchie ideologie, nessuna attenta e paziente analisi delle superstiti sovrastrutture rivolta a svelarne il carattere mitico, potranno rendersi effettivi ed operanti se non muovono dalla considerazione della lotta reale degli uomini e dei vari concreti momenti, se non si introduca a rottura e illuminazione del cosmo illusorio delle ideologie e dei concetti quell'elemento finora necessariamente estraneo e "massiccio" che è il movimento reale della storia…”53

E' da notare nell' editoriale l'impostazione della lotta su due fronti che in quegli anni si identificavano nel Politecnico Vittorini (gli avanguardisti) e nel riformismo accademico, nel marxismo ortodosso: “sia per gli uni che per gli altri il punto di partenza non è dato da una concreta analisi di classe, anche nell'attività teorica e in quella storiografica occorre sempre muovere dalle lotte e dai movimenti reali.. ... Panzieri servendosi del linguaggio di quegli anni .. avvisava che “un rinnovamento della cultura" poteva nascere solo da uno sforzo teorico-pratico di conoscenza-trasformazione del reale, e cioè da. un concreto contatto con la lotta di classe e della analisi, centrale per il marxismo della struttura della società capitalistica; appare quindi logica la sua conclusione: non c’è oggi possibilità di rinnovamento della cultura se non mediante la conquista di una concreta coscienza dell'attuale crisi di struttura. ”Si tratta di spunti e accenni ancora vaghi (e la rapida fine della rivista impedirà che vengano subito ripresi; sarà l'esperienza di Mondo Operaio nel biennio successivo alla crisi del 1956 a rappresentare un primo sbocco) eppure storicamente interessanti perché rivelano la reale possibilità in quegli anni di impostare il problema del rapporto politica-cultura ….da un punto di vista marxista rivoluzionario”54

In un altro dibattito si inserisce l’articolo “Scilla e Cariddi. La polemica culturale”55 . L’intervento prende lo spunto da due articoli di Ernesto De Martino, anch'essi apparsi sull"Avanti dell’agosto ‘49 (L'ignoranza non si addice ai marxisti) in cui si sosteneva che gli intellettuali cosiddetti progressisti rendono un pessimo servizio alla classe operaia quando la forniscono di armi teoriche arrugginite, o comunque inadeguate al livello raggiunto dalla cultura tradizionale Compito principale della cultura marxista è quello di effettuare non una generica azione di smascheramento di certi atteggiamenti mascherati della cultura tradizionale, ma una critica a fondo. che porti sui presupposti e sui principi delle ideologie tradizionali, in primo luogo delle ideologie borghesi contemporanee.

Inoltre, avverte De Martino, noi dobbiamo presentarci come smascheratori di certi atteggiamenti mascherati della cultura tradizionale non già perché crediamo che la cultura sia per la sua essenza

53 R.Panzieri “Filo rosso” in “Studi socialisti”, 1948, n.1 (marzo)

54 R.Luperini “Gli intellettuali di sinistra e l’ideologia della ricostruzione”, Roma, 1971, pag. 60

55 R. Panzieri “Scilla e Cariddi” in «Avanti», 22 settembre 1949

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"maschera”, “travestimento”, sovrastruttura apparenza e simili ma proprio perché la vera cultura non è mai stata non è non deve essere tutte queste cose e perchè nella società divisa in borghesi e proletari accade invece una indebita contaminazione ideologica dei beni culturali in rapporto ai pratici interessi derivanti da questa disumana divisione

Panzieri precisa che il rifiuto del marxismo volgare di ispirazione materialistico-positivista di De Martino trova la sua giustificazione nel rifiuto più profondo di qualsiasi revisionismo, e quindi anche di quello idealistico, cioè afferma l’autonomia e anzi la fecondità del marxismo anche per le correnti avversarie, che ricorrono alla cattura di elementi di esso per aggiornarsi e riempire le loro carenze.

Fin qui si resta nell’ambito della critica al revisionismo, della critica alla pretesa di completamento, di superamento del marxismo, che caratterizza la ripresa degli studi marxisti nel dopoguerra; ma si trasforma in pratica nella critica della cultura idealista, poiché mentre quest’ultima sopravviveva e poteva rappresentare un pericolo per il marxismo, il pericolo di un’interpretazione positivistica del marxismo era perlomeno remota.

Così tutto l’articolo (come quello pubblicato sull’Avanti di Milano del 6 aprile 1947 intitolato “Cultura e coscienza storica” e dedicato agli sviluppi della cultura piccolo-borghese post-crociana, che abbiamo prima citato a proposito della critica al revisionismo) è centrato sulla critica dell’ idealismo crociano. Il dibattito fu poi continuato con la pubblicazione su "Società” del settembre 1949 del saggio di De Martino “Intorno a una storia del mondo popolare subalterno” in cui "vi si affrontava correttamente la crisi dell'idealismo come insufficienza di strumenti d' analisi di una realtà sociale nuova e si prospettava una soluzione per il superamento delle contraddizioni insite nella formulazione antinomica politica-cultura, subordinando lo studio delle soluzioni anti-idealistiche alla necessità di una nuova impostazione della lotta di classe in Italia, e si prospettava la direzione unica della produzione intellettuale 56

Panzieri nella replica a Ernesto De Martino temeva, più che l'estendersi di posizioni eclettiche, il radicarsi di una impostazione storicistica ed idealistica nella cultura marxista: «(...) non è possibile istituire un genuino dialogo critico con la cultura tradizionale se non sfuggendo preliminarmente all'altalena delle contaminazioni materialistico-idealistiche con la cultura borghese. (...) In questo senso il processo di maturazione del marxismo è un processo interno ed 'autonomo' e il suo sviluppo teorico-culturale è in correlazione con il suo sviluppo pratico-politico. (...) Il materialismo storico si presenta sul piano teorico come salto e rottura, e il momento della continuità, che ad esso certo appartiene, va cercato in una zona più profonda, che non siano i legami ed i rapporti di filiazione diretta dalle ideologie.- La instaurazione del nuovo nesso — concretamente operante, non semplicemente asserito — teoria-prassi, sommuove e sconvolge tutti gli schemi teorici tradizionali e conduce ad una concezione completamente nuova della cultura, per la quale i rapporti dei suoi vari campi tra loro e con le attività pratiche vengono sottratti alla deformazione ideologica e finalmente restituiti ad una oggettiva, umana verità»57

2.6 Il corso universitario sulla “crisi del giusnaturalismo” (1949)

Nel novembre del 1948 Raniero Panzieri, su proposta di Galvano Della Volpe, ottiene l'incarico

56 G.Foleschi “Fermenti antidealistici. 1945-50”, in “Ideologie”, 1969, n.7

57 R. Panzieri “Scilla e Cariddi” , cit., ora in “L'alternativa socialista”, cit., pag.97-100

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dell'insegnamento di Filosofia del diritto all'Università di Messina, dove si trasferisce con la famiglia58 e tiene un corso, nell'anno accademico 1949-50, su "La crisi del Giusnaturalismo"59

Molto interessante anche al di fuori del campo specialistico è la premessa che si ricollega alla critica del giusnaturalismo e del diritto come espressione della volontà contenuta in vari testi marxiani: ".. il giusnaturalismo compie il suo ciclo logico e storico enucleando attraverso lo stesso processo di perfezionamento e di autocoscienza ideologica, gli elementi della propria dissoluzione della propria inconsistenza teorica e impossibilità storica. Alla fine del processo sarà appunto resa evidente la contraddizione fondamentale della dottrina, scaturente dal rapporto ambiguo con il suo presupposto storico, o, in altri termini, la sua ineliminabile falsità ideologica: la sua impotenza, cioè, a fondare veramente - così coma voleva il suo assunto - una filosofia del diritto, della società e dello Stato come filosofia dell’interesse e della volontà generale. Non diversamente, la costituzione francese del 1793, sviluppando coerentemente tutte le premesse democratiche ancora imperfettamente e con gravi limitazioni enunciate nella Costituzione dell’ 89, finiva per mostrare, nei termini più evidenti il carattere illusorio della eguaglianza par la nature e di una sovranità popolare costruita sui diritti individuali,dell’ individuo come sostanza e a priori, fondamentalmente come soggetto-oggetto della proprietà privata"

E’ qui evidente la ripresa della tesi marxiana della differenza tra emancipazione politica e emancipazione sociale (e "umana") che costituisce il nerbo teorico della "Questione ebraica". L’emancipazione politica, in quanto rende formalmente, convenzionalmente uguali liberi i "cittadini" dì fronte alla "legge” (o di fronte al lo State borghese ed al suo potere politico), indipendentemente dalle differenze sociali, conferma e sanziona queste differenze, e quindi lascia inalterata la servitù sostanziale (cioè economica e sociale) della maggioranza degli uomini. “La rivoluzione politica - scrive Marx - scioglie la vita borghese nei suoi elementi, ma senza rivoluzionare questi elementi e sottoporli alla critica. Essa tratta la società borghese, il mondo dei bisogni, del lavoro, dei privati interessi, dal diritto privato, come il proprio fondamento, come un presupposto e però come la propria base naturale"

Galvano Dalla Volpe aveva fatto un lavoro di critica dei concetti dei teorici della democrazia, Looke, Kant e soprattutto Rousseau, per dimostrarne la contraddizione interna. Rousseau nel "Discorso sull'origine della disuguaglianza" afferma la legittimità etica della proporzionalità di disuguaglianza fisica e disuguaglianza civile; e nel «Contratte sociale" istituisce una "uguaglianza morale legittima” fra gli uomini tale che questi “pur potendo essere disuguali di forza e di genio divengono tutti uguali per convenzione e di diritto". Della Volpe ne sottolinea l’individualismo astratto "Così la legittimazione delle "disuguaglianze o differenze "naturali” e empiriche degli individui... porta al tipo di eguaglianza-disuguaglianza che caratterizza i rapporti dello Stato democratico roussoiano; eguaglianza-disuguaglianza che è, infatti, il risultato dal concepire l'eguaglianza in funzione dalla libertà (= persona) ma non anche viceversa, appunto perchè la persona, con cui la libertà coincide, è quell’individuo ipertrofico, abnorme, che è la «persona originaria” del Diritto naturale", l'ipostasi di cui sopra".

Riportiamo ancora alcuni brani della "Premessa” : "... E’ innanzitutto da notare l'importanza del momento utopistico sempre presente nelle varie formulazioni giusnaturalistiche. ..

58 Si era sposato con Giuseppina Saija (Pucci) conosciuta all'Istituto di Studi Socialisti, nel settembre 1948. Nel 1949 ha la prima figlia, Susanna; seguono Davide (1951) e Daniele (1955).

59 Ora in Stefano Merli (a c.) “L'alternativa socialista: scritti scelti 1944-1956”, Torino, 1982, pag.115-131

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(...)..Storicamente interessante è il modo onde l'elemento utopistico subisce nel corso e nell'ambito dello sviluppo generale della dottrina, un caratteristico processo di generalizzazione, e, per così dire, di purificazione ideologica. Infatti, l’ingenua mitologia dello stato di natura, inteso materialmente dai primi teorici come luogo dei veri e ideali diritti dell'individuo e della specie, si presenterà alla fine, in Locke e in Rousseau, come una ipotesi utile alla determinazione pratica della dottrina. Tuttavia questo processo non è affatto valido a superare la caratteristica contaminazione implicita nella rappresentazione dello status naturae. Essa è infatti necessaria in queste ideologie per la formulazione di un ideale rivoluzionario che si presenta, sulla base delle reali aspirazioni, come ideale metastorico perché illusorio. Perciò il riferimento alla instaurazione di una nuova società, la condanna delle condizioni esistenziali, si presenta nella forma vagamente religiosa di un richiamo a quella età dell’oro che contiene implicita una garanzia mistica di realizzazione; è dunque proprio il mito che, nella astrattezza della ideologia paradossalmente assicura alla dottrina l'efficacia pratica. Evidenternente, è qui caratteristica la immobilità di questi temi fondamentali, Immobilità che si ritrova nelle idee stesse di natura e di ragione...(...)..Ora questo carattere del giusnaturalismo [che] deriva dalle stesse radici della dottrina, dal grado di sviluppo del processo storico, si trova naturalmente in contrasto con le esigenze della destinazione rivoluzionaria. E perciò, come dalla idea dello status naturae veniva ricavata una apparenza di movimento, di storicità mediante il mito dell'eterno ritorno cosi qui la "legge naturale” consente una sofisticata soluzione attraverso l’idea del progresso come perfezionamento metafisicamente garantito e quindi meramente illusorio. Analogo contrasto ritroviamo prendendo in considerazione gli elementi più strettamente platonico-cristiani e stoico-cristiani. Il principio neoplatonico secondo il quale “la vera eudemonia non risiede nell'azione ma nella conteplazione” minaccia continuamente l'individualismo giusnaturalistico, che intende porsi come espressione di atteggiamento attivo, rivoluzionario. E non meno utopistica e contradditoria in se stessa è la rappresentazione (ideologicamente di origine stoica) dell’automatico comporsi in una società armonica, dei comportamenti individuali unicamente affidati alla guida del particolare interesse, rappresentazione che è al centro della ricerca economica dai fisiocratici a Ricardo”

Durante l’anno accademico 1950-1951 Panzieri lascia l’insegnamento dedicandosi a tempo pieno al lavoro politico. Della Volpe cercò di sostenerlo, ma non potè vincere le resistenze accademiche del «barone» liberale Gaetano Martino: Panzieri si mise di fatto nella situazione di non ottenere l’incarico. Rottura quindi più che subita provocata, in quanto tutto il gruppo dei morandiani «considerava la continuazione degli studi un “lusso” e comunque una distrazione dalla lotta per rinnovare il partito e per immergerlo nell’azione di massa».

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3. Il lavoro di base in Sicilia (1951-55)

1 La politica meridionalista e la ricostruzione del PSI nel Mezzogiorno

La politica meridionalista delle sinistre nel dopoguerra da un lato si basava sull’organizzazione dei contadini poveri nel “Movimento per la rinascita del Mezzogiorno”60, dall'altro sulla pressione sui governi centristi perché considerassero la questione meridionale una grande questione nazionale. La risposta fu l'intervento straordinario della Cassa per il Mezzogiorno ed una limitata riforma agraria. Le ragioni del voto contrario adottato dalle sinistre in Parlamento furono non solo l'insufficienza quantitativa, ma il carattere stesso degli interventi volti a creare le infrastrutture senza operare sulle strutture produttive esistenti. Pur essendo concordi nell'avversare l'istituzione della Cassa, vi era una certa differenza tra i due discorsi, perché in quello socialista, ispirato da Morandi, si poneva l'accento sulla necessità dell'industrializzazione, mentre in quello di Amendola in primo piano stava la riforma agraria.

Quanto alla scarsa presenza del PSI nel Meridione, era un dato storico che risaliva alla formazione del partito, non risolto dai tentativi di riequilibrio in epoca prefascista (nomina di propagandisti, di responsabili regionali…) e dovuto al fattore strutturale della composizione prevalentemente agricola del proletariato meridionale.

Il triennio 1949-1951 è legato all’esperimento di Morandi, che dirige il settore Organizzazione e Quadri, di riorganizzare un partito salassato dalle scissioni di Saragat e poi di Romita e da una sconfitta elettorale e indebolito dalla sfiducia e abbandono di quadri. La prima fase della riorganizzazione riteneva necessario il distacco di quadri da organismi centrali o da situazioni che ne disponevano verso federazioni che ne erano prive, in modo da far circolare le esperienze e introdurre nuove energie

Nelle federazioni meridionali furono inviati funzionari provenienti dalle province del Centro-Nord, altri furono reclutati fra i giovani partecipanti alle lotte contadine e al Movimento di «Rinascita». Con tali innesti, nel ‘55 l’apparato meridionale era giunto a 106 funzionari con una media del 3,3 % per provincia. Le sezioni del Mezzogiorno e delle isole salirono da 1.500 nel 1952 a 2.150 nel 1954, con un aumento del 25 %. I comuni provvisti di sezione erano nel 1954 1.740 su 2.450. La struttura del PSI copriva quindi circa il 70% del territorio; positivo che !’incremento degli iscritti abbia interessato per l’80 % i giovani e le donne. La dinamica di quella espansione nei primi anni ‘50 risulta orientata verso i ceti urbani piuttosto che verso quelli rurali. 61

La vera linfa vitale per il PSI meridionale fu la confluenza del Partito d'azione che nel Mezzogiorno fu massiccia. Il PSI si ritrovò così nel suo seno il nucleo progressista del ceto intellettuale

60 Fondato nel 1950. Organo del Movimento fu il mensile “Cronache meridionali” diretto da Giorgio Amendola, Mario Alicata e per il PSI da Francesco De Martino

61Cervigni e Galasso “Inchiesta sul PSI nelle provincie meridionali” In “Nord e sud”, marzo 1956 , n.16

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meridionale che in breve tempo si fece spazio coprendo i vuoti creati dalle scissioni, qualificando con la sua preparazione e rigorismo morale il volto del partito .

Ma la tradizione personalistica del socialismo meridionale non venne dissolta dall'azione morandiana, i vecchi dirigenti riformisti e massimalisti, anche se a volte ritiratisi per l'età oppure emarginati dalla guida delle federazioni dai «funzionari», conservavano intatto il loro prestigio sociale, cui si aggiungevano i legami con i militanti contadini dei centri di provincia, che spesso erano l'anima stessa delle loro sezioni e dell' elettorato socialista locale.

2 Alla federazione di Messina

“Morandi pose a Lucio Luzzatto, il problema dell’inserimento «di una serie di quadri che hanno significato politico, ma non hanno esperienza di lavoro di massa» discutendo nome per nome. Discussero di Panzieri. «Morandi disse: ha preparazione teorica e culturale, ha fatto lavoro politico di corrente, dà un contributo saltuario non si sa bene con quale funzione, ma non ha mai fatto lavoro di massa; in questo modo, sradicato tra Roma e Messina, va sempre più nell’astratto. Faccia una esperienza di lavoro di base»62.

Panzieri diviene quindi uno dei " funzionari“ la cui “oscura epopea “ è stata celebrata da Gaetano Arfè: "Lo stipendio medio dei funzionari dei PSI oscillava tra un massimo di 45.000 e un minimo di 15.000 lire: un livello pari alle qualifiche operaie più basse. A fronte stava un orario di lavoro molto pesante, al ritmo di 10 ore al giorno compresa la domenica mattina..”63 facendo lavoro di base presso la federazione di Messina in via di ricostruzione, dopo la scissione del 1947 e la sconfitta del 1948, attorno a Antonino Lo Giudice64, che ne era il segretario, Gaetano Franchina di Tortorici, Enzo Messina.”medico della povera gente”.

Fu appunto Enzo Messina a contattare Panzieri e a convincerlo: ” si dimostrò riluttante a venire al partito; voleva studiare, produrre. Mi disse che si sentiva di poter dare un contributo culturale, ma temeva, nel caso avesse ripreso l’attività politica, di rimanerne completamente assorbito.”

62 Stefano Merli e Lucia Dotti (a cura di) “Lettere, 1940-1964” , cit., pag.xx

63 P.Mattera “Il partito inquieto: organizzazione, passioni e politica dei socialisti italiani dalla Resistenza al miracolo economico”, Roma, 2004 pag. 190

64 Così Lo Giudice, in D.Rizzo “Il Partito socialista e Raniero Panzieri in Sicilia: 1959-1955 ”, Soveria Mannelli, 2001: “quando Raniero giunse a Messina per un incarico presso la nostra Università, si mise subito a disposizione del Partito. Quasi immediatamente fece parte dell'Esecutivo di Federazione e ... si offerse di mantenere contatti con le sezioni cittadine, con gli altri partiti e perfino per visitare sezioni di provincia,.... A differenza di altri "dotti" del Partito, che predicavano restando in una sfera inaccessibile per i compagni operai, Raniero Panzieri in poco tempo era riuscito a comprenderli, a fraternizzare con loro e la sua presenza veniva richiesta dappertutto... trascurava il suo lavoro di docente per rendersi più utile al partito[..] fu la sua esperienza presso la Federazione di Messina la solida base da cui è partito. Faceva di tutto:l 'organizzatore, il propagandista, il moderatore, il pungolo che ci costringeva tutti ad una maggiore attività “

Lelio Basso : una biografia politica (1948-1958) / Roberto Colozza. - Roma : Ediesse, [2010

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Lo troviamo presente nel gennaio 1950 al convegno dei quadri della federazione di Messina, del cui esecutivo entra a far parte, uno dei convegni che si tenevano in tutte le province siciliane e che dovevano portare alla emarginazione del «partito degli avvocati» sopravvissuto alla scissione e alla espulsione di alcune clientele, e a far emergere una serie di dirigenti nuovi legati alle lotte contadine che stavano rianimando lo stanco e collassato partito siciliano.

Nelle intenzioni di Morandi l'inserimento nella federazione di Messina era la prima tappa di un percorso che doveva portare gradualmente Panzieri nella direzione del Regionale. La partecipazione alle iniziative per il riordino organizzativo del PSI rientrava nel quadro di una azione che interessava tutta Italia e che venne portata avanti anche in Sicilia con il convegno regionale del partito tenuto a Siracusa il 27-28 maggio, sotto la presidenza di Morandi che testimoniò così il suo impegno 65 nella organizzazione del partito in Sicilia; si concluse con la nomina della Giunta regionale per la Sicilia e di un esecutivo di cui Panzieri faceva parte quale delegato di Messina.

Il 23 ottobre 1950 Panzieri partecipa al convegno dei quadri siciliani, tenuto a Palermo alla presenza di Pietro Nenni e interviene nel dibattito parlando della situazione politica e sindacale della provincia di Messina. Il 9 novembre a Roma, alla conferenza nazionale di organizzazione, interviene trattando dei “Particolari aspetti delle lotte della classe lavoratrice siciliana” e viene nominato ispettore centrale del partito per la Sicilia. 66 Il problema di un responsabile regionale lo si risolse solo nel gennaio 1951, dopo il congresso di Bologna, portando Panzieri alla segreteria regionale. In preparazione del Congresso di Bologna predispone l'inserimento di nuovi quadri in alcune federazioni siciliane. Domenico Rizzo fu inviato da Catania67 a Enna, Libero Lizzadri da Roma a Catania, ecc.

65 D.Rizzo:“Il Partito socialista e Raniero..", cit. p. 20-21.“delegato al IV Convegno nazionale della Gioventù socialista tenutosi a Modena il 15 aprile del 1950, Morandi volle incontrarmi. In tale incontro mi comunicò che "il suo rappresentante in Sicilia", punto di riferimento del rinnovamento nell'Isola, era Raniero Panzieri, che insegnava all'Università di Messina, e che a lui mi sarei dovuto rivolgere per definire le più urgenti misure da prendere.(…). L'incontro rimane per me indimenticabile: oltre che per gli argomenti trattati e le decisioni prese, anche per l'accoglienza fraterna da parte sua e di sua moglie, docente, anch'essa presso l'Università di Messina, di Lingua tedesca

66 “L'organizzazione di partito in funzione dell'azione di massa: conferenza nazionale di organizzazione 9-10 novembre. 1950, Roma”, “Edizioni Avanti!, Roma 1950, pag.27; F.Pedone “Novant'anni di pensiero e azione..." cit., p. 293.

67 Sul "gruppo di Catania" e sulle sue posizioni politiche: "L'on. Agatino Bonfiglio, deputato socialista di Catania all'Assemblea regionale siciliana, esprime i suoi dubbi sull'opportunità delle misure organizzative prese dal suo partito: il rafforzamento del Comitato regionale siciliano (la cui direzione è stata affidata al compagno Raniero Panzieri professore dell' Università di Messina) e l'impegno di assicurare uno o più funzionari alle federazioni principali. Specialmente quest'ultima decisione che tende a dare una struttura moderna anche in Sicilia, non garba molto al Bonfiglio. Egli è contrario ai funzionari stipendiati, che definisce professionisti della politica. Dove se ne vanno l'idealismo e la sua purezza? E, così strutturato, che cosa distingue il Partito comunista da quello socialista? Le preoccupazioni di Bonfiglio, però, sono condivise da un numero ristretto di socialisti. [...] “ G. Calandrane, “Comunista in Sicilia”, Roma, 1972. pag. 151-152

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I tempi e i modi della operazione realizzata da Panzieri sono i seguenti68: prima fase: spingere i quadri e la base socialista a riqualificarsi davanti alle masse con la partecipazione incondizionata alle lotte popolari (nel feudo, nelle miniere, «per la pace», per l’autonomia siciliana ecc.).

E mentre il partito veniva depurandosi in questo modo dalle clientele, Panzieri passava alla realizzazione della seconda fase, che prevedeva la ricerca e la formazione di nuovi quadri nelle lotte, che avessero attitudine e capacità al lavoro di partito, per elevarli a posti di responsabilità e di controllo. Vengono quindi recuperati all’attività politica vecchi militanti o giovani che avevano abbandonato come Michele Russo; mentre vengono inseriti in posti di responsabilità nelle federazioni e nelle camere del lavoro decine di giovani dirigenti politici

Con l’allontanamento delle clientele assenteiste nelle lotte, l’apporto di giovani intellettuali (alcuni di provenienza azionista) e la fioritura di una nuova leva formatasi nell’azione di massa, si era modificata nel profondo la struttura e la politica del partito in Sicilia; al passivo dell’operazione, che pur aveva retto all’attacco reazionario, alla polemica socialdemocratica e alla polarizzazione che favoriva di per sé i comunisti, la sostanziale subalternità alle scelte sovietiche (le campagne «per la pace»).

3 L'occupazione delle terre (marzo 1950): punto di Archimede

Panzieri si impegnò principalmente nelle lotte per la terra del marzo 1950, che si svolsero soprattutto nella province di Palermo e di Messina69 in sintonia con le lotte per la terra delle altre regioni del Mezzogiorno, ma che furono aspramente criticate dal Comitato regionale del PCI70 che

68 Cervigni e Galasso “Inchiesta sul PSI…” , cit..

69 S. Miccichè “II sindacato in Sicilia 1943-1971”, Roma, 1980 : “Nel clima nuovo (dopo il 18 aprile 1948) che si sviluppa, vengono inferti gravissimi colpi in particolar modo al movimento sindacale, non solo perseguendone dirigenti e attivisti, ma anche strumentalizzando con estrema freddezza certi avvenimenti e certi fenomeni. Il movimento contadino ad esempio resta duramente colpito da quello "scandalo Usca" (autunno 1949) che si conclude con la condanna, per irregolarità contabili, del direttore regionale dell'Unione siciliana cooperative agricole [...]. Con lo "scandalo dell'Usca" e con le vendite di terra che precedono e seguono la riforma agraria si introducono tra le forze contadine, portatrici di un ruolo "trainante", elementi di confusione e divisione che nel tempo mostrano sempre più il loro peso” Secondo i dati pubblicati nel 1953 dal Comitato regionale di solidarietà democratica, furono denunziati e processati 3.185 contadini, inflitti 293 anni e 6 mesi di carcere e più di 7 milioni di lire di multa

70 Quelle lotte sono al centro del contrasto che scoppia tra la Federazione comunista di Palermo e la direzione regionale. A guidare la Federazione palermitana era un gruppo di giovani: il segretario, il venticinquenne Pancrazio De Pasquale, il ventitreenne Pio La Torre, ecc.; segretario regionale era Gerolamo Li Causi, da qualche tempo affiancato da quadri inviati da Roma. La Torre scrive: "Nella fase precedente avevamo trascurato l'esigenza importante di coinvolgere un capo autorevole come Li Causi nella nostra mobilitazione, anche per aiutarlo a dare direttive piu precise al resto delle province siciliane. Se in tutta la Sicilia il movimento avesse avuto, in partenza, chiarezza di obiettivi come avvenne a Palermo certamente avremmo avuto risultati piu importanti. Il dato che emerse allora fu una insufficiente preparazione della lotta nelle altre province siciliane. Ma invece di mettere sotto accusa i dirigenti delle federazioni che erano in grave ritardo, si apri

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escluse dalla direzione della federazione di Palermo Pancrazio De Pasquale, che ne era stato l'animatore. Pio La Torre71 partecipò attivamente alle lotte organizzate nella provincia di Palermo e in conseguenza di esse scontò un anno e mezzo di carcere.

Il 6 marzo, all'alba, dieci-dodicimila contadini si mettono in marcia per occupare i 10.000 ettari di terre incolte sui monti Nebrodi del messinese. Panzieri partecipa all'occupazione passando due settimane di cavalcate sui feudi con i braccianti e i contadini e di incontri con gabellotti e autorità prefettizie. Per tale azione politica Panzieri fu processato nel giugno del 1951 per istigazione dei contadini all'occupazione di terre e per l'occupazione stessa e assolto per insufficienza di prove.

Panzieri ritiene il movimento per l’occupazione delle terre «il nostro punto di Archimede»72, la base di una ritrovata identità socialista in questo nuovo «tentativo di rivoluzione democratica» dopo il Fronte, e ne difende l'autonomia e il significato politico. In contrasto con la tradizione teorica e politica del socialismo prefascista e del PCI, diffidenti verso le lotte contadine definite frammentate, inconsapevoli, spontanee e quindi sterili: “Se il nostro "punto di Archimede" è oggi il movimento contadino, il "tempo di ingranamento" (secondo l'espressione del compagno Morandi) è necessariamente lungo. Ma se questo è un problema politico noi dobbiamo calcolare il costo dei sacrifici maggiori che i compagni meridionali debbono sostenere per contribuire alle lotte comuni [...].Molti compagni [...] ritengono il movimento contadino, in modo particolare quello dell'occupazione delle terre, un movimento "spontaneo", cioè puramente economico.....Io penso che si debba tenere ben fermo questo punto: il movimento contadino è, politicamente, quello che è, cioè un tentativo di rivoluzione democratica. Ma su questo piano non è affatto un movimento puramente spontaneo ed economico. Esso avviva forme e obiettivi politici e ideologici non meno che economici, ad esempio l'amministrazione dei comuni, una diversa giustizia distributiva e fiscale, l'elevamento culturale, etc. E, insieme con tutto questo, esso avvia la formazione di

un'inchiesta contro il segretario della federazione,palermitana, Pancrazio De Pasquale". De Pasquale e La Torre volevano che il partito si dedicasse quasi esclusivamente all'occupazione delle terre. Scavalcando Li Causi, si erano collegati con due leaders napoletani, Amendola e Alicata, e come loro insistevano su un punto: il Pci doveva dedicarsi alle lotte e ai movimenti popolari e integrarsi in essi. Accusavano Li Causi e Robotti di preparare un partito parlamentare, impegnato più nelle manovre burocratiche di potere che nelle profonde mutazioni sociali. Ovviamente Li Causi e Robotti accusavano De Pasquale e La Torre di populismo e di movimentismo irresponsabile. Li Causi era per una distinzione tra partito e movimento di massa, sulla linea di Togliatti; De Pasquale e La Torre invece erano sulla linea Amendola-Alicata, cioè ritenevano che il partito dovesse identificarsi con il movimento. È eccessivo pensare a un Li Causi parlamentarista e a De Pasquale e La Torre come «movimentisti» ed è fuorviante immaginare uno scontro tra rivoluzionari e riformisti. Il punto centrale del dissenso è: continuare e intensificare le lotte contadine o attivarsi soprattutto in sede politica per l'attuazione della riforma agraria? Ciò comporta una diversa valutazione del ruolo del movimento e del partito. Si svolge una sorta di processo a De Pasquale, con imputato assente. Il giovane segretario provinciale viene inviato a Roma a frequentare la scuola quadri; in seguito sarà deputato nazionale, regionale e poi parlamentare europeo, ma non sarà piu dirigente del Pci a livello regionale. Bufalini, dirigente nazionale, viene mandato in Sicilia ad affiancare Li Causi

71 Comunisti e movimento contadino in Sicilia ,Roma,1980, Le ragioni di una vita; Bari, 1982

72 Questa metafora venne usata per la prima volta da Renè Descartes nella seconda “Meditazione metafisica” nel senso di punto da cui sferrare l'attacco

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determinate alleanze, imposte dalle condizioni storiche e ambientali, che ne fanno un movimento democratico conseguente, cioè che tende a superare il suo proprio ambito [...].Noi dobbiamo, insomma, uscire dall'indistinto nel valutare il movimento contadino. Dobbiamo ravvisare, caso per caso, la base economica e sociale, gli obiettivi, le forze. Dobbiamo, caso per caso, enuclearne il contenuto proletario e democratico, per sviluppare tutta la capacità politica di cui il movimento è capace. Soprattutto dobbiamo, per il movimento contadino, coordinare i vari movimenti, le diverse lotte, all'unico concreto obiettivo: la riforma agraria. Eviteremo così futili entusiasmi e ancor più sciocche delusioni. Avremo una base solida per la preparazione di quadri di partito e sindacali e soprattutto avremo chiara la principale base politica del nostro movimento. Avremo chiaro il sistema e la strategia del nostro nemico di classe, non meno del nostro sistema e della nostra strategia. Le nostre alleanze, innanzi tutto”.73

A conclusione dell'occupazione delle terre, il 23 aprile 1950, introduce il comizio della comunista Camilla Ravera

3.4 Il 29. Congresso e le elezioni regionali del 3 giugno 1951

Il 28 dicembre 1950 apre i lavori del congresso di Palermo in vista di quello nazionale di Bologna del gennaio del 195174. Nella sua relazione fissa, tra l'altro, nella autonomia regionale "l'istituto regionale attraverso il quale il partito [doveva] realizzare la sua massima espansione e la maggiore esperienza unitaria". Sempre in rappresentanza della Direzione, il 9 gennaio del 1951 Panzieri presenzia al congresso provinciale della federazione di Siracusa; il 12 a quello di Agrigento e il 13 di Messina.

Partecipa al 29 Congresso nazionale come delegato della federazione messinese. Nel suo intervento nel corso della seduta del 20 gennaio, dopo "essersi soffermato sulle lotte dei contadini siciliani che avevano avuto, quale importante risultato, l'introduzione nella legge di riforma agraria votata dall'Assemblea regionale siciliana di un articolo che per la prima volta in Italia limitava la proprietà terriera, e su quelle degli zolfatari di Enna, Agrigento e Caltanissetta, chiese che il partito ponesse la rivendicazione dell'autonomia siciliana al centro della propria azione politica, dando ad essa il significato di un permanente strumento di protesta di quella popolazione contro il Governo centrale e i governi regionali legati alla politica di quest'ultimo".75 Su proposta di Nenni, Panzieri venne eletto nel Comitato centrale e nella Direzione del PSI. "Sono rimasto commosso - dice Nenni - nell'avvicinare in Sicilia i contadini delle località ove si sono svolte le lotte, sentirmi ripetere

73 Appunti pubblicati in “L'alternativa socialista”, cit., pag. 183-184

74 Il Congresso di Bologna segna l’inizio della fase di più stretta unità d’azione con il PCI, che ebbe anche dei risvolti negativi, come testimonia Vittorio Foa (“Il Cavallo e la torre”, Torino, 1991 , pag.202) “persino un intellettuale. raffinato come Raniero Panzieri, futuro maestro dell' autonomia operaia, proprio Panzieri, che pure mi è alto alla memoria, mi offre il ricordo piu tido.di quella aberrazione collettiva. Una sera Lisetta tornò furiosa da una serata in casa di Carlo Muscetta, si era parlato di un compagno. sospettato. di eresia , Panzieri aveva detto: «È stato in prigione sotto il fascismo; non ci si può fidare»,.questa era una delle ,«verità» staliniste: se uno e stato in prigione puo essersi venduto alla polizia. Lisetta, che aveva degli avanzi di galera tra tutti i suoi parenti di ogni ordine e grado e che era stata lei stessa carcerata non aveva potuto sopportare “.

75 F.Pedone “Il socialismo italiano di questo dopoguerra”, Milano, 1968, pag.315

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il nome di questo giovane professore universitario sempre alla testa dei cortei e il primo a sfidare il fuoco della polizia. Ecco come la cultura si concilia con le lotte dei lavoratori"

Viene eletto, per la prima volta, nella Direzione nazionale, composta da 21 membri. Durante l’anno accademico 1950-51 lascia l’insegnamento universitario per dedicarsi a tempo pieno al lavoro politico e si trasferisce a Palermo. Alle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea regionale del 3 giugno 1951 il Blocco del popolo (comunisti, socialisti e indipendenti) passò dal 21% del 1948 al 31% ottenendo 30 seggi mentre la Democrazia cristiana retrocedeva dal milione di voti, pari al 48% a 666.000 (31%)

Le elezioni regionali furono la verifica del lavoro svolto in quei pochi mesi, in attuazione dei deliberati del congresso del Psi di Bologna e delle direttive di Morandi76, nonché dei risultati raggiunti dalle federazioni socialiste dell'Isola. Vennero eletti nella lista del Blocco del popolo 9 deputati socialisti. I neo-eletti deputati socialisti confermavano il rinnovamento che si andava attuando: infatti, solo tre erano i deputati uscenti, mentre gli altri sei erano eletti per la prima volta; tre di loro erano inoltre molto giovani.Panzieri scrisse un articolo di commento77

Il 24 giugno 1951 Panzieri interviene al Comitato centrale sul successo elettorale conseguito in Sicilia dal Blocco del Popolo, affermando che "l'andamento della campagna elettorale ha dimostrato che siamo riusciti a rovesciare la situazione del 18 aprile [... e che] sarebbe errato credere che il Blocco del popolo possa sostituire in Sicilia il Partito [...]. Oggi si pongono al partito problemi di orientamento verso il problema del Mezzogiorno [...]. La massa dei contadini che abbiamo nel Sud è una massa fortemente rivoluzionaria, ma può diventare una forza di disorientamento se le mancherà la guida del partito, specialmente nel Nord".

76 Così rievoca Domenico Rizzo in “:“Il Partito socialista e Raniero..", cit. : “ fui inviato a Enna, per assolvere la funzione di segretario della federazione;... Il partito, nel capoluogo, era quasi inesistente, aveva solo un paio di iscritti ed era ospitato nella sede di una vecchia cooperativa agricola, mentre c'erano nuclei di iscritti in una decina di comuni della provincia. Lavorai sodo, senza risparmi di energie, alla ricerca dei vecchi compagni e dei simpatizzanti, partecipando a tutte le iniziative e le lotte che i comunisti e i dirigenti sindacali dell'ennese organizzavano in quel periodo (lotte per la pace, lotte dei minatori). I risultati non si fecero attendere a lungo. Nel giro di pochi mesi, infatti, riuscii ad avere un esecutivo con elementi del capoluogo"

77 “Viva la Sicilia!” in l'Avanti!, 6 giugno del 1951: “Le votazioni siciliane sono una tappa importante di un duro cammino che il popolo siciliano aveva vigorosamente iniziato con le grandi lotte unitarie dei contadini, degli operai, degli intellettuali, dei ceti democratici, fin dal 1945, recando da allora un contributo grande e prezioso alla causa della rinascita democratica in Italia; un duro cammino, cosparso di molto sangue di figli del popolo, durante il quale s'era già affermata, con la vittoria del Blocco il 20 aprile 1947, l'incoercibile volontà di riscatto dell'isola dai pesanti vincoli dei rapporti semifeudali, del latifondo, dell'arretratezza economica, della disgregazione sociale in cui si riproducono e si moltiplicano da un secolo e mezzo le classi e i ceti sfruttatori e parassitari, i baroni di stirpe e di fatto, i gabelloti, la mafia, i banditi [...].La vittoria del Blocco del popolo significa che il popolo siciliano, rafforzato da una lotta, che non ha avuto tregua dal 18 aprile ad oggi, per la terra, per l'autonomia, per la pace, una lotta che anche sotto la tremenda pressione delle forze reazionarie è riuscita a salvare la conquista essenziale dell'istituto autonomistico, intende percorrere decisamente le vie segnate dallo statuto e dalla costituzione, intende compiere l'unità d'Italia, intende recare, con le sue meravigliose energie finalmente liberate, il suo inapprezzabile contributo alla causa del progresso e della pace.”

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Per l'elaborazione della linea politica del partito in Sicilia diede vita ad un bollettino della giunta regionale del Psi, Sicilia Socialista, di cui uscirono sei numeri dal 1951 al 1953.

Il 20-21 ottobre 1951 si riunisce a Roma il Comitato centrale; nel suo intervento afferma: II problema dell'autonomia siciliana che si articola nel quadro della lotta per la rinascita del Mezzogiorno non è affatto una forma di sterile regionalismo, ma, al contrario, rappresenta una spinta determinante e decisiva per la reale unificazione della nazione. Lo Statuto autonomo siciliano, infatti, impegna in primo luogo a risolvere direttamente la situazione di arretratezza economica, semi-coloniale, in cui versa la Sicilia. La piattaforma della autonomia siciliana è basata su questi due punti essenziali: Riforma agraria e movimento di rinascita; Lotta contro il riarmo e per una distensione internazionale. Fattore preminente per questa azione di rinascita del popolo siciliano deve essere la distruzione dei residui feudali, ossia la lotta per la riforma agraria, lotta che ha registrato negli ultimi tempi notevoli successi grazie al movimento contadino che è riuscito a porre con le spalle al muro i gruppi politici dirigenti dell'isola [...].La soluzione del settore industriale significa porre su basi concrete il problema della lotta contro la smobilitazione delle industrie in modo da dare agli operai obbiettivi concreti di produzione"11.

5 La Segreteria regionale siciliana (1952)

Nel novembre del 1951 Panzieri si trasferisce a Palermo con la famiglia78. Si dedica in particolare alla preparazione dello sciopero generale degli zolfatari: organizza il 26 gennaio del 1952 un convegno per i dirigenti delle federazioni di Agrigento, Caltanissetta ed Enna per popolarizzare la piattaforma di lotta degli zolfatari; nel Comitato Centrale del 25 febbraio fa

78 Testimonianza Pierina Gulotta in D.Rizzo “Il Partito socialista e Raniero..", cit. "Insieme ad altre ragazze cominciammo ad organizzare la sezione femminile giovanile del Partito. L'arrivo a Palermo del nuovo segretario regionale Raniero Panzieri e di sua moglie rappresentò un fatto di grande importanza: Capimmo che oltre all'organizzazione interna era importante la presenza nel territorio; era importante far sentire alle donne dei quartieri popolari - allora oltremodo poveri e degradati - una voce di riscatto e di speranza. In questi quartieri organizzammo metodicamente riunioni di caseggiato alle quali le donne partecipavano via via sempre più numerose ed attive prendendo coscienza dei loro diritti; curammo in lunghi pomeriggi l'alfabetizzazione dei bambini che, nella stragrande maggioranza, non avevano conosciuto le aule scolastiche. Ciò che insegnavamo loro fu molto meno di quanto via via noi apprendevamo, e toccavamo con mano la tragica realtà materiale e morale conseguente al sottosviluppo e alla guerra, realtà di cui in fondo avevamo solo conoscenza teorica”.

Un'altro testimone, E.Macaluso "Da cosa nasce cosa, cit., pag.80-81 "....fu uno dei socialisti più decisi nella direzione del centro-sinistra. Ho avuto con lui un'infinità di discussioni, anche a casa sua....Per come l'ho conosciuto io a Palermo, era un personaggio umanamente e intellettualmente affascinante, di solida formazione marxista, molto attento ai processi politici. Quando torna a Torino e studia i mutamenti intervenuti nella grande fabbrica, modifica radicalmente la sua posizione. Si convince che i rapporti tra i partiti e nei partiti sono pura tattica politica, che occorre viceversa ripartire da lì, dal cuore della produzione capitalistica. Tutto si può dire ma non che in questo cambiamento di prospettiva ci sia stato dell'opportunismo".

Un giudizio limitativo su Panzieri è espresso da G. Giarrizzo in Catania, Bari, 1986, pag. 284 "Negli anni siciliani Raniero Panzieri sapeva di De Martino e di Scotellaro, assai meno di Salvemini e De Felice"

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approvare un ordine del giorno a favore degli zolfatari in lotta e di un gruppo di braccianti e compagni arrestati.

A Palermo Panzieri non si dedica solo alla ristrutturazione del regionale del Psi, ma anche alla riorganizzazione di quella federazione, partecipando attivamente alle lotte dei lavoratori. Ecco come viene ricordato l'impegno politico di Panzieri in una testimonianza di Baldo Gulotta79: Panzieri è stato il primo dirigente socialista a sottolineare il ruolo che l'autonomia poteva avere per lo sviluppo democratico della Sicilia, in un contesto in cui nel Partito forti permanevano le riserve sullo strumento autonomistico e le preoccupazioni in ordine al pericolo che potesse essere utilizzato dalle forze della conservazione per consolidare, sia pure in forme nuove, la propria egemonia politica ed economica [...]. Nello stesso tempo ebbe ben presente i limiti strutturali del movimento contadino e per questo si sforzava di creare collegamenti con i nuclei operai, numericamente non molto significativi, della provincia. Ricordo a questo proposito, per la durezza della lotta durata oltre due mesi, lo sciopero del 1951 degli zolfatari dell'unica miniera della provincia di Palermo, quella di Lercara Friddi3, perché fu proprio per l'impulso di Panzieri che la federazione si impegnò moltissimo nella organizzazione dello sciopero, sostenendo tra l'altro concretamente gli zolfatari in ogni modo possibile. Molti furono a Palermo gli iscritti che ospitarono per più settimane i figli degli zolfatari, ridotti letteralmente alla fame e stremati dopo giorni e giorni di sciopero. . “

Anche per queste lotte degli zolfatari di Lercara il pretore di Messina, in data 22 aprile 1952, denunciò Panzieri accusandolo di "raccolta di offerte senza autorizzazione della polizia". Di questo "avviso di procedimento penale", Panzieri ne parlava ancora dieci anni dopo, ironicamente, come di una "spada di Damocle". Sempre nel 1951 partecipò alla organizzazione degli scioperi alla rovescia80 dei braccianti del corleonese nel quadro della lotta per la riforma agraria.

Nel febbraio 1952 fa uscire un numero di Sicilia Socialista dedicato ai compiti del partito nell'azione sindacale. Il 7 marzo organizza un convegno sindacale a Catania, alla presenza di Rodolfo Morandi, che conclude i lavori. Intanto venivano utilizzati i compagni disponibili inviandoli nelle federazioni organizzativamente più deboli. 81

In vista delle elezioni del 25 maggio 1952 per il rinnovo dei Consigli comunali della Sicilia, aveva fatto pervenire alle sezioni un numero di Sicilia socialista dedicato ai temi della rinascita e della autonomia, con elementi di propaganda per l'impostazione della campagna elettorale 17.

La Direzione del partito inviò nell'isola una serie di dirigenti per il periodo elettorale, tra cui Gianni Alasia (già segretario del Consiglio di gestione delle officine "Savigliano" di Torino, licenziato per rappresaglia politica). Il PSI si presentò ancora con liste unitarie insieme al PCI anche dove si applicava la proporzionale .

Nella riunione della Giunta regionale socialista del 9-10 giugno 1952 vennero discussi gli orientamenti e gli obiettivi politici da raggiungere e si elesse la segreteria regionale del partito e

79 Baldo Gulotta era responsabile provinciale dei giovani socialisti. Aveva partecipato intensamente alle lotte per la terra del marzo 1950; fermato per una settimana circa all'Ucciardone e rinviato a giudizio per i reati di "invasione di terre" e"istigazione a disubbidire alla legge e all'ordine tra le classi sociali", fu condannato in prima istanza col beneficio della sospensione a due mesi di reclusione.

80 G.Cantarano “Alla riversa. Per una storia degli scioperi a rovescio 1951-52”, Bari, 1989

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nella relazione affermò: "L'avanzata delle forze popolari è stata condizionata dalla giustezza della linea politica unitaria, dell'unificazione della azione sindacale di massa con l'azione politica [...]. La politica di distensione ha come presupposto politico il fatto che la De rappresenta il principale strumento della reazione [...]. [Occorre che i compagni svolgano] un'azione chiarificatrice in tal senso. Il nostro dialogo con la DC è sempre indiretto; è diretto invece al Paese"20. A conclusione dei lavori, venne votata una risoluzione che ribadiva “Le elezioni del 25 maggio hanno segnato un ulteriore balzo in avanti dello schieramento popolare. Circa 60 mila voti di aumento rispetto al 1951 e circa 240 mila rispetto al 18 aprile 1948 rappresentano il segno del progresso costante delle forze della pace, della rinascita, dell'autonomia della Sicilia. La politica delle alleanze, condotta senza angustie settarie e con spirito di lealtà nei confronti degli alleati, indica nella unità di tutte le forze democratiche la strada maestra per il successo della politica di libertà e progresso dell'isola. Notevoli gruppi della socialdemocrazia e del Partito repubblicano, personalità eminenti e correnti indipendenti hanno riconosciuto nell'alleanza popolare lo strumento più valido per la difesa della democrazia, della pace e dell'autonomia.

La Giunta regionale elesse segretario responsabile Raniero Panieri. I temi affrontati nella riunione della Giunta regionale siciliana furono alla base dell'intervento che Panzieri svolse ai lavori del Comitato centrale del Psi del 16 giugno 1952 in cui analizzò ancora una volta i risultati delle elezioni amministrative del 25 maggio.

A luglio la direzione nazionale lo nominò nella Commissione centrale di organizzazione e quadri

Il movimento per l’occupazione delle terre aveva risentito degli eventi drammatici (arresti, fermi, intimidazioni) conseguenti alle occupazioni del marzo 1950 e, anche se non rese pubbliche, delle decisioni del regionale comunista che portarono all’allontanamento di Pancrazio De Pasquale dalla Sicilia; solo dopo l’inserimento nella direzione regionale di Paolo Bufalini si pose in termini più chiari il problema della ripresa di quella lotta: nell’autunno del 1952 esplose in Sicilia un nuovo grande movimento d’occupazione di terre, provocato dal fatto che, dopo due anni dall’approvazione della legge di Riforma agraria (dicembre 1950), nell’isola neanche un ettaro di terra era stato distribuito ai contadini. La parola d’ordine lanciata dalla Cgil regionale, e sostenuta dall’Alleanza dei contadini, dalla Lega delle cooperative e dai due partiti di sinistra, era: “Tutta la terra del latifondo a tutti i contadini prima delle semine!”. Panzieri sensibilizzò le federazioni e le sezioni dell’Isola con un numero di Sicilia socialista, che aveva come titolo la parola d’ordine del comitato di lotta, in cui faceva una disamina delle iniziative per la terra in Sicilia ed illustrava i termini politici della ripresa di quelle lotte. Il movimento si sviluppò in tutte le province siciliane.

81 Sempre seguendo la testimonianza di Domenico Rizzo:“Il Partito socialista e Raniero..", cit: “Nei primi di marzo fui richiamato da Enna a Palermo... perché avevo ormai portato a termine il mio compito di dare un assetto stabile a quella federazione. Mi sostituì, nelle funzioni di segretario, il neo eletto deputato regionale Michele Russo. A Palermo venni chiamato a dirigere la federazione con l'incarico di vicesegretario e lavorai intensamente con Panzieri nella attuazione della linea politica che lui andava delineando. Segretario della federazione palermitana restava l'on. Francesco Taormina che rappresentava un legame profondo con la tradizione socialista turatiana, tradizione che doveva essere salvaguardata e valorizzata con la sua permanenza alla direzione di quella federazione. Fu un periodo di impegno totale anche per la ristrutturazione organizzativa della federazione e per la formazione di un nuovo gruppo dirigente: si lavorava permanentemente tanto che, non solo per mancanza di mezzi, si dormiva nei locali della federazione

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6 Il 30. Congresso e le elezioni politiche del 7 giugno 1953

Nel settembre del 1952 organizza la partecipazione a Genova di una delegazione siciliana alla manifestazione per il sessantesimo della fondazione del Partito. In preparazione del 30. Congresso nazionale, il 7 e l'8 dicembre 1952 partecipa al congresso provinciale di Ragusa, il 15 presiede il Congresso provinciale di Catania e il 28 quello di Agrigento mentre il congresso provinciale di Palermo si tiene il 20 e 21 dicembre 1952. La relazione mette in rilievo l'impegno dei socialisti nelle lotte per la terra, per il lavoro e per la pace, sottolinea le iniziative politiche prese in occasione del 60. anniversario nonché il raggiungimento dell'obiettivo della sottoscrizione per l'Avanti! ed il rafforzamento organizzativo con la creazione di nuove sezioni

A Milano, dall'8 all'11 gennaio 1953, ha luogo il 30. Congresso Nazionale del Psi, con la parola d'ordine della "alternativa socialista", basata "sulle fondamentali esigenze del progresso sociale, dell'ordine democratico, della difesa della pace.....sull'alleanza tra le classi lavoratrici e tutti i ceti e le categorie che aspirano al progresso, alla libertà, alla pace e all'indipendenza. comportando "la solenne riconferma della politica di unità popolare che ha nell'unità d'azione tra socialisti e comunisti il suo strumento". L'«alternativa socialista» era uno slogan elettorale più che una proposta politica articolata, ma toccava alcuni tasti cui militanti e simpatizzanti socialisti erano particolarmente sensibili, dai persistenti sentimenti anticlericali a una mai spenta vena massimalista e al patriottismo di partito. Un allegato della risoluzione rendeva noto che il partito si sarebbe presentato alle elezioni politiche con liste proprie. Nenni e Morandi furono riconfermati alle cariche rispettivamente di segretario e vicesegretario e Vecchietti alla direzione dell'Avanti! Nella direzione del partito, composta di 21 membri, Panzieri fu confermato per la seconda volta. Il suo lavoro nel Partito, come segretario regionale siciliano e poi come responsabile del settore culturale, incomincia a prendere quota nel quadro della politica di «alternativa socialista».

I delegati siciliani al congresso eleggono, in sostituzione della Giunta regionale, organo di coordinamento senza funzioni organizzative, il nuovo Comitato regionale siciliano che aveva poteri politico-amministrativi più ampi. Il Comitato era composto dai nove segretari delle Federazioni provinciali e da 32 membri (tra cui il pubblicista Michele Pantaleone, autore di inchieste sulla mafia) e il 27 gennaio del 1953 tenne la sua prima riunione per l’elezione dell’esecutivo, della segreteria regionale e l’attuazione delle direttive congressuali. Nella relazione introduttiva Panzieri afferma: “L’alternativa socialista è il risultato della capacità del Partito di applicare tutte le sue energie come elementi di guida e di lotta per il progresso e la pace, il risultato della liquidazione dei residui riformistici e socialdemocratici e di estremismi di sinistra, l’esaltazione obiettiva della funzione del Psi di innalzare, contro i tentativi di divisione, la bandiera dell’unità, che è diventata dal 1943 ad oggi il motivo predominante della politica del Partito. Anziché l’attenuazione dell’unità, la presentazione delle liste di Partito costituisce invece un rafforzamento dello schieramento unitario. In Sicilia occorre una specificazione maggiore del significato di tale tattica elettorale intesa come continuità e sviluppo della politica unitaria, che fu la tattica del Fronte popolare. L’alternativa socialista grava il Partito in Sicilia di compiti onerosi per le particolari possibilità di sviluppo che essa ha nel Mezzogiorno e perché in Sicilia ci troviamo di fronte all’autonomia regionale per quel che significa nei rapporti fra i ceti e sul terreno politico, giuridico e costituzionale”.

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Il Comitato regionale approva la decisione del Congresso nazionale di presentare liste di Partito che “vuol significare il naturale sviluppo della lotta unitaria, trasferendo la permanete unità di azione dei due partiti della classe operaia in una più larga lotta di popolo. Il Comitato regionale fa appello alle forze socialiste perché sostengano, in funzione di guida, il popolo siciliano che ha manifestato la sua coscienza democratica lottando contro la legge truffa” e conferma Panzieri segretario responsabile

Il 28 febbraio Panzieri riunisce i segretari delle federazioni siciliane assieme alla segreteria Regionale per un esame dei compiti del partito nell’isola in vista delle elezioni politiche del 7 giugno del 1953. Le indicazioni di lavoro furono comunicate alle federazioni e agli attivisti con il numero di marzo del 1953 di Sicilia Socialista, dal titolo Lotta proletaria per la libertà. In esso viene sottolineato come: [La legge truffa] vuole essere il mezzo per i democristiani per avere mano libera nel paese, per vincere la opposizione che in Italia, con sempre maggiore forza si leva, contro la politica di oppressione, di miseria, di guerra fatta dal 1948 fino a oggi [...].Nelle fabbriche, nelle miniere, nelle campagne, nella difesa dei diritti del lavoro si decide la lotta per far fallire i piani di governo per sopprimere la libertà, aggirando l’ostacolo della resistenza popolare. Questo tentativo di opprimere la libertà non è rivolto solo contro gli operai e i contadini, ma contro tutto il popolo italiano [...]. Ma c’è di più: la difesa tenace che le sinistre fanno all’indipendenza nazionale, contro il tentativo della De di vendere il Paese ai capitalisti americani, è appoggiata da tutti gli italiani che non vogliono lo straniero e che vogliono l’Italia libera e indipendente [...]. La lotta che oggi siamo chiamati a condurre non è solo la lotta per la vittoria di questo o quel partito, di questa o quella tendenza, ma è la lotta di tutto il popolo per la sua libertà. Ponendo al Paese l'alternativa socialista il nostro Partito vuole indicare a tutti che questa lotta ha una grande prospettiva di unità, di libertà e di pace per l'Italia intera.”

Panzieri, che nell'aprile era stato nominato anche responsabile nazionale della sezione centrale Stampa e Propaganda, imposta e coordina il lavoro di propaganda e organizzazione in Sicilia per le elezioni politiche del 7 giugno 1953, rifiutando, così come avrebbe poi fatto nel 1955 per le elezioni regionali e nel 1958 la candidatura offertagli dai compagni siciliani.

Le elezioni segnarono la sconfitta del progetto democristiano: per soli 57.000 voti non scattò la legge maggioritaria. I socialisti ebbero un notevole avanzata, passando da 46 a 75 deputati; anche in Sicilia il Partito socialista ebbe un buon risultato: 170 mila voti (7,45%); furono eletti alla Camera quattro deputati; al Senato uno. Dopo le elezioni politiche vi fu un ulteriore arricchimento della organizzazione di partito, con l'avvicendamento di nuovi quadri dirigenti. Contestualmente si andava arricchendo la corrente sindacale socialista all'interno della Cgil regionale con l'inserimento di sindacalisti siciliani rientrati da fuori

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4. L' organizzazione culturale (1953-56)

1 La sezione stampa e propaganda e la commissione culturale

Nel settembre 1953 Panzieri si trasferisce a Roma pur restando Segretario regionale per la Sicilia. Il trasferimento a Roma era la conseguenza della realizzazione delle prime tappe della sua operazione; pertanto poteva dedicarsi alla propaganda in campo nazionale e, contemporaneamente, curare le iniziative politiche del partito in Sicilia. In quel nuovo incarico dà vita a Propaganda Socialista, bollettino di orientamento della sezione, costituito da numeri monografici su temi di attualità82, che avrebbe diretto fino al n. 19/20 del 1955.

Le competenze della sezione fino all'agosto 1955 comprendono anche il settore culturale. In questo ambito organizza tre convegni: il primo, «Sulla difesa del cinema italiano» si tiene a Venezia il 4 e 5 settembre 1954. Il secondo, sul tema «Per la libertà della cultura» si svolge a Bologna l'11, 12 e 13 settembre 1954. Il terzo, sul tema «Rocco Scatellaro intellettuale del Mezzogiorno», si tiene a Matera il 6 febbraio 195583 introdotto da relazioni di Carlo Levi, Franco

82 Nella presentazione scrive: "Non altrimenti si giustifica la sua uscita se non per una esigenza che è scaturita via via più chiara e imperiosa nell'approfondimento compiuto dal Partito in questi anni della sua politica, cioè della politica unitaria, attraverso una maturazione che ha la sua validità profonda nel fatto di essere stata, prima che nelle idee nei programmi nelle definizioni concettuali, nella pratica sistematica dell'unità di azione, nella costruzione organizzativa quale vivo strumento di azione". I titoli sono: L'alternativa socialista, n. 1, aprile 1953; Donne italiane, n.2, maggio, con il supplemento "Per una vera Riforma agraria per la rinascita dell'agricoltura italiana"; Lottiamo contro la CED per la pace e l'indipendenza della Patria, n.3/4, maggio, con il supplemento "Per i diritti e la dignità degli statali per una pubblica amministrazione al servizio della democrazia"; Perché sono stati assassinati Ethel e Julius Rosemberg, n. 5/6, luglio-agosto; L'alternativa socialista per la rinascita del Mezzogiorno, n.7, settembre; No al governo Scelba, n. 8/9, marzo 1954; No alla CED, n. 10, maggio; L'emancipazione della donna nelle lotte per la pace e il riscatto italiano, n. 11/12, giugno; Contro il riarmo tedesco, contro i piani di guerra e di sterminio, si elevi la protesta dell'umanità minacciata, si esiga la distruzione, in tutti i paesi di tutte le bombe atomiche!, n 13/14, gennaio 1955; Nel decennale della Liberazione unità di popolo per difendere la libertà e la pace, per restaurare la democrazia, n. 15/16, marzo; Nella alternativa socialista: Rinascita e Autonomia per la Sicilia, n. 17/18, aprile, con il supplemento di V. Foa "II petrolio e l'industrializzazione della Sicilia"; Per una società di pace di libertà e di benessere uniamo la gioventù negli ideali del Socialismo, n. 19/20 maggio, con i supplementi "La posizione del Psi sulle leggi agrarie e sul piano Vanoni" e "II petrolio e l'industrializzazione dell'Abruzzo".

83 Nel PSI erano confluite correnti, provenienti in parte dal Partito d'Azione come già ricordato nel capitolo precedente, di formazione salveminiana, gobettiana e dorsiana, attente all'analisi della società nel Sud Italia, e fortemente intrise della tematica autonomistica. Questa tradizione meridionalista si saldava con quella socialista per il suo carattere antistatuale e per la rivalutazione dei momenti di autonomia della società civile; ed in questo senso, commentando il convegno su

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Fortini e Panzieri

Come punto di svolta nella politica culturale del PSI si può segnare il convegno di Bologna presieduto dal latinista Manara Valgimigli, introdotto da una relazione di Mario Bracci rettore dell'Università di Siena e concluso da Pietro Nenni. Il concetto su cui era imperniato, che la libertà non poteva «essere al servizio di interessi particolari», dopo la rigida subordinazione della cultura di sinistra al partito-guida era un punto né generico né ovvio. La mozione conclusiva proponeva la costituzione di un “centro permanente per la difesa della cultura aperta agli uomini della cultura democratica coi seguenti compiti 1) informare, mediante la pubblicazione di un bollettino e l'organizzazione di centri cittadini e provinciali, sulle ricerche che nel nostro paese si vanno compiendo sulla presente struttura delle organizzazioni culturali sollecitando e promuovendo tra gli studiosi indagini originali volte a darci un quadro complesso di istituzioni e di forme in cui si articola la vita culturale italiana, delle sue difficoltà e possibilità di sviluppo. 2) coordinare e potenziare le iniziative intese à difendere con gli strumenti dell’opinione pubblica e delle istituzioni civili la libertà della ricerca scientifica del lavoro artistico e culturale nello spirito della nostra Costituzione, contro le inframmettenze dell'autorità politica e amministrativa e di quante potenze tendono a ostacolare il libero sviluppo della cultura nazionale. Fra le prime due iniziative di tale Centro dovrebbe essere un largo referendum condotto con metodo rigoroso fra tutti gli uomini di cultura, destinato a raccogliere dati e proposte, a promuovere una inchiesta parlamentare e la convocazione di una costituente culturale italiana”

Nel breve scritto di presentazione del Convegno, Panzieri sottolinea che la condizione di persistente isolamento della cultura di sinistra si stava rivelando non solo come il prodotto dell'offensiva dell'avversario di classe, ma anche come sintomo di inadeguatezza a comprendere i

Scotellaro da lui organizzato, Panzieri poteva rivendicare a buon diritto (in “Cultura e contadini del Sud”, «Avanti». 20-2-1955) la stretta integrazione tra le due correnti, protestando contro le polemiche che provenivano dal suo corrispettivo nel PCI, Mario Alicata. Panzieri e Alicata prendono in mano la direzione culturale dei rispettivi partiti nel 1955 dopo essere passati attraverso un tirocinio nel Mezzogiorno ed essersi qui confrontati e scontrati, in sede di Movimento di Rinascita, sugli indirizzi della battaglia meridionalistica: nella convinzione (Alicata) che il capitalismo italiano fosse condannato alla stagnazione e che pertanto la rivoluzione democratica fosse compito del PCI; nella convinzione (Panzieri) che il «vecchio» equilibrio del blocco industriale-agrario era stato soppiantato dall'integrazione tra Stato e monopoli (il «fanfanismo») e che pertanto le tradizionali lotte meridionaliste dominate da una impostazione agitatoria (l'occupazione delle terre) risultavano ormai obsolete. Bisognava quindi darsi «nuove prospettive», esaltando il ruolo della classe operaia meridionale fino all' affermazione di un «nuovo potere», cioè ponendo anche al sud «i problemi del controllo operaio, costruendo dal basso un'alternativa di potere che parta dalla fabbrica». Il «nazional-popolare» Alicata si richiama «alla linea meridionalista di Gramsci e Togliatti. L'«operaista» Panzieri si richiama all'insegnamento di Morandi, chiedendo «la liquidazione definitiva della tendenza ad assegnare alle lotte dei lavoratori un valore puramente strumentale per delegare ai vertici il compito di fare politica», ed esaltando «l'apporto autonomo del mondo del Iavoro contro ogni affermazione paternalistica e di guida, sì che gli stessi operai siano gli autori del proprio riscatto». Il confronto-scontro tra Panzieri e Alicata si approfondisce sul “caso Scotellaro» e sul «caso Bosio». Le critiche di Alicata all' «autonomismo» della sociologia di Scotellaro (e di Ernesto De Martino) e allo «spontaneismo» e al «corporativismo» della storiografia di Bosio, tradivano il contrasto tra la politica culturale socialista e quella comunista

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nuovi fenomeni, i cambiamenti strutturali e sovrastrutturali, le trasformazioni che lo sviluppo del capitalismo italiano induceva nella composizione di classe della società civile. 84

Panzieri ben presto torna sull’argomento, come relatore a una sessione del Comitato Centrale interamente dedicata ai problemi del lavoro culturale. Si tratta di un importante punto di passaggio, perché la sua relazione tende a dichiarare chiusa una fase organizzativa ed a cercare di definire alcuni contenuti su cui fondare una politica culturale caratterizzata in senso socialista. Dopo il bilancio dell'attività svolta, Panzieri richiama il clima culturale della Resistenza, considerata come l'unico momento in cui il problema della transizione al socialismo si era posto con attualità; questo richiamo alla necessità di inserire i problemi della battaglia culturale all'interno di un rilancio delle capacità progettuali di tutto lo schieramento di classe, in grado di porre fine all'arroccamento degli anni della guerra fredda, rappresentava un elemento di grossa novità che introduceva una seconda considerazione, importante anche nello sviluppo successivo del pensiero di Panzieri: l'esigenza cioè di chiudere la tendenziale divaricazione tra l'analisi dei partiti e la effettiva condizione materiale del proletariato.

E' su questi temi che si realizza la trasformazione ideologica del PSI e la saldatura della tradizione socialista con tendenze ed orientamenti diversi da quelli comunisti. E non a caso, nel 1955, era proprio uno dei più convinti sostenitori della politica morandiana e del ruolo classista del partito come Raniero, a farsi fautore di uno nuovo rapporto tra partito e intellettuali, basato sul riconoscimento di una sfera di autonomia organizzativa per questi ultimi: «II partito, d'altra parte non ha etichette, né ricette culturali da prescrivere agli intellettuali. L'unità sostanziale, necessaria in senso profondo, dell'azione politica e dell'azione culturale, può essere affidata soltanto alla serietà e alla giustezza propria degli individui dell'una e dell'altra, e alla formazione della coscienza politica del militante: ogni sovrapposizione o confusione immediata di politica e cultura, ogni infantile presunzione di “guidare politicamente” l'attività culturale dei singoli o dei gruppi, è la negazione dei presupposti stessi del marxismo, e in pratica si traduce in una grave deformazione dell'azione socialista anche sul piano politico»85

Il discorso di Panzieri costituiva, per quella fase, una novità, non tanto per i contenuti quanto per la capacità di individuare nuovi interlocutori al di fuori delle componenti già organizzate all'interno della sinistra: il problema non era più soltanto di rivendicare la libertà del dibattito culturale nei confronti dell'avversario di classe (tema che era stato al centro del Convegno di Bologna l'anno precedente), ma di prefigurare nuovi spazi di discussione e una più dinamica articolazione per l'organizzazione della cultura nei confronti di chi rivendicava l'assunzione di questi temi anche come premessa di una battaglia da condurre all'interno delle istituzioni e degli organismi del movimento operaio.

Nelle nuove condizioni politiche rispuntavano i nodi principali del dibattito ideologico all'interno della sinistra. In quei convegni non emergevano ancora i connotati specifici del pensiero di Panzieri ma egli, riprendendo la tematica del primo Morandi, ne affermava i punti di partenza fondamentali: da un lato la specificità della cultura socialista portatrice dei valori di libertà di critica e di ricerca, dall'altro il suo carattere alternativo rispetto al dogma comunista della partiticità della scienza e della cultura. In un documento interno del settembre 195586, dopo aver giudicato positivamente il ruolo di anticipazione e di formazione di nuovi quadri dell'ISS, constata che “profondamente cambiati sono gli elementi che formano il campo della lotta culturale. Avanzamenti

84 R. Panzieri, // convegno per la libertà della cultura, «Avanti!» 5 settembre 1954.

85 R. Panzieri, L'attività dei PSI per la libertà della cultura, «Mondo operaio» n. 5; 5 marzo 1955

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notevoli sono stati realizzati in questa direzione dalle forze di sinistra. Pur attraverso oscillazioni tra ...capitolazione e infantile avanguardia, la spinta al rinnovamento ha investito nuovi settori della produzione culturale... in questo quadro la ripresa di un lavoro culturale avanzato da parte delle forze socialiste deve rispondere principalmente a questi compiti:

stabilire seri legami tra i socialisti che operano già in campo culturale

contribuire al rafforzamento, all'allargamento dell'influenza.. al superamento del settarismo degli organi culturali unitari

influire per una più attiva partecipazione alle lotte per la libertà.. da parte degli organi di massa e in primo luogo della CGIL

sostenere arricchire l'azione del PSI attraverso una più viva presenza nell'azione culturale, il ravvisamento di una tradizione imponente...il contributo al miglioramento della terza pagina..

- alla graduale realizzazione di tale programma dovrebbero assolvere un organismo autonomo che qui si propone di chiamare Centro di Informazione Culturale per sottolinearne la natura...di strumento iniziale, destinato a stabilizzare essenzialmente legami, conoscenze, scambi di esperienze

ll Centro dovrebbe inizialmente operare come unico gruppo di lavoro culturale, proponendosi una ulteriore articolazione per settori e periferica, soltanto in base alla acquisizione di precisi risultati di lavoro. Tale gruppo iniziale provvederà subito alla pubblicazione di un bollettino mensile ciclostilato”

Questa nuova linea tramite i convegni ebbe come risvolto operativo il recuperò di intellettuali e posizioni culturali emarginate dalla prassi stalinista, da Bosio a Pirelli, da Guiducci a Fortini....

2 Gianni Bosio e le “Edizioni Avanti!”

Se nella primavera del 1953 Raniero interviene su Gianni Bosio per farlo recedere, per «esigenze e interessi di partito» dal braccio di ferro con Giangiacomo Feltrinelli che imponeva controlli politici (per interposo PCI) sulla rivista «Movimento operaio», nell'ottobre sostiene in Direzione la nomina di Bosio alla direzione delle Edizioni Avanti! per il rilancio del suo progetto di valorizzazione della tradizione autoctona del socialismo italiano.

Alla notizia nel luglio 1955 che Panzieri è riconfermato al Settore culturale, scorporato della Stampa e propaganda affidata a Ruggero Amaduzzi, Gianni Bosio commenta87..”non si intende rielaborare ideologicamente i problemi, ma trasferire la linea politica del Partito nell’attività culturale: Geograficamente, l’azione dovrebbe investire il Partito e le forze democratiche, anche e senza i compagni comunisti: un revirement un po’ precipitoso”

Quando la Commissione Culturale del Partito, nel settembre 1955, stabilì di nominare una Commissione di contatto sull'attività globale delle “Edizioni Avanti" in aggiunta al collegamento di

86 R.Panzieri: “Note per la costituzione di un Centro culturale” dattiloscritto inedito in Archivio Istituto Morandi

87 G.Bosio “Giornale di un organizzatore di cultura”, Milano, 1962, in data 8 luglio 1955

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queste con la Sezione Stampa e Propaganda, Bosio richiese l’inserimento di Raniero "col quale abbiamo avviato e continuato questa attività in modo che la commissione attraverso l’informazione e l’esperienza di uno dei suoi componenti potesse veder subito, meglio e in concreto i nostri problemi”. La commissione risulta composta da Francesco De Martino, Eugenio Mazzali, Panzieri e Bosio88 “Lunga riunione con Panzieri. (che)....espone al Comitato di Redazione delle Edizioni Avanti! le molte idee che ha accumulato durante l' estate. Il comitato segue in maniera un po' scettica il fuoco di fila dei grandiosi progetti di Raniero che troppo spesso, almeno per il passato. sono rimasti allo. stadio di progetti. Essi suscitano molto spesso una forte dose di scetticismo per la esclusiva o apparente politicità con cui vèngono concepiti, disgiunti dalla considerazione sulla possibilità che ha il Partito di effettuarli. Panzieri dice che col nuovo anno Mondo Operaio uscirà in nuova veste e periodicità. Raniero, che dovrebbe sostituire Petronio, ha preparato un piano particolareggiatissimo che legge. Non ritiene che si debba ora discutere in quanto sormontano per importanza alcuni problemi pratici. (...) Seconda proposta: verrà rimesso in funzione l' Istituto Studi Socialisti Rodolfo Morandi dal quale dovrebbero essere editi dei quadernetti divulgativi di attualità politica. Lunga polemica sulla proposta. Se il partito ha scarsamente approfondito i temi della propria politica, se ignora quelli della propria ideologia, quelli dell' azione culturale, quelli della tecnica del porgere, come può inventare le spicciolature? In secondo luogo i compiti di un Istituto Socialista non possono essere quelli della Sezione Stampa e Propaganda, ma. quelli appunto di ogni buon Istituto che elabora e mette a disposizione anche per la propaganda quanto viene assunto per lo studio. La discussione si accende..... In questo dibattito emergono un po' tutti i motivi dell' alleanza temporanea che dura da più di due anni, con Raniero, che è stato ed è di stretta osservanza morandiana. Il “fare" in capo culturale è diventato, per l'attuale Direzione un elemento importante per muovere il Partito. Sul terreno dal fare la sola efficiente isola trovata da Raniero era appunto il nostro gruppo, che è sempre stato d' accordo sul fare. Il fare anche se partiva da posizioni contraddittorie, costringeva a decisioni e posizioni politiche di movimento che diluivano la rigidità della politica morandiana

Quello che è successo nel campo culturale deve essere successo in altri campi fino a portare il Partito su posizioni che oggi non si esita. a chiamare "bassiane". Questa tacita alleanza, i cui limiti e i cui significati riposti sono sempre stati, credo, ben chiari ad ambedue, è naturalmente costata non poco ed ha richiesto, per entrambi, l'ammorbidimento di certe posizioni. In particolare ha, fra l'altro, richiesto il continuo appoggio a Panzieri, anche quando l'astrattezza, l'artisticità delle sue posizioni, potevano diventare pericolosamente inclini ad essere aggirate con lo scherno. Ha comportato inoltre un sostanziale convogliamento delle sparse forze del Partito verso Panzieri, isolando quelle restie, magari amiche, per dare forza all’azione culturale...".

Luciano Della Mea ritiene che questo giudizio vada rettificato col senno di poi e scrive "In realtà più che ad una azione di partito e anzi di corrente proiettata nel lavoro culturale, sembrava che mirasse a una dilatazione o a un’apertura non a fini strumentali: il dibattito con i compagni raccolti attorno al periodico milanese "Ragionamenti" e il convegno per Rocco Scotellaro costituiscono forse un esempio di apertura nuova che non mi pare si possa proprio definire come diretta, oltre che a una migliore e più prestigiosa caratterizzazione culturale del PSI, al dialogo con le “forze democratiche”89

88 G.Bosio “Giornale ..”, cit., 2 settembre 1955

89 L.Della Mea “Panzieri tra Mondo Operaio e Quaderni Rossi” in “Eppur si muove”, Milano, 1970,pag.143-66

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4.3 Il 31. Congresso e le elezioni regionali siciliane del 5 giugno 1955

Il 31. Congresso, tenuto a Torino dal 31 marzo al 3 aprile 1955, è l'ultimo cui partecipa Morandi pochi mesi prima della improvvisa morte. Panzieri non interviene nel dibattito ma legge la risoluzione per le elezioni siciliane90 ed è rieletto per la terza e ultima volta nella Direzione.

Proprio alla vigilia del Congresso, nella città della FIAT, alle elezioni per il rinnovo delle Commissioni Interne il sindacato dei metalmeccanici socialcomunisti, la FIOM, per la prima volta perde la maggioranza, e i malumori della base operaia socialista insofferente del settarismo dei quadri stalinisti emergono da alcuni interventi congressuali

Il congresso di Torino si svolge all’insegna del “dialogo con i cattolici” che sarebbe sfociato nel centrosinistra. Lo stesso Morandi già dopo il 7 giugno 1953 prevedeva l’uscita del partito da una «opposizione pregiudiziale, rigida e preclusiva» per disporsi sul terreno «di un’azione manovrata», avrebbe però potuto portare avanti questo indirizzo nella unità interna e con i comunisti senza ripetere la parabola di Nenni. Il processo che porta al centrosinistra non ha uno svolgimento lineare e gli stessi punti comuni a tutto il partito: «via italiana al socialismo», «via pacifica», «dialogo con le masse cattoliche», “autonomia socialista” rimangono, almeno fino al successivo Congresso, formule a cui le correnti attribuiscono significati diversi. In questo periodo Panzieri aderisce alla parola d'ordine della «via italiana al socialismo», ma polemizzando con il concetto di «via parlamentare» cerca di costruire un'ipotesi di transizione al socialismo la cui democraticità si fondi non su meccanismi garantistici di stampo liberale, ma sulla autorganizzazione della classe a partire dai luoghi di produzione, recuperando in questa chiave la tematica consiliare ordinovista di Gramsci91.

Constatata la crisi irreversibile del frontismo, il PSI era impegnato in un recupero della propria fisionomia, in un processo di ripensamento con punti di riferimento obbligati: la polemica Lombardi-

90 F Pedone “I congressi del dopoguerra”, cit., “…preso atto del contributo dato dalle Federazioni siciliane del nostro Partito e dai deputati regionali socialisti per una legge elettorale che garantisse una giusta rappresentanza a tutte le forze politiche regionali di una certa importanza, invita i democratici, i repubblicani, tutti i socialisti isolani anche fuori del Partito a raccogliersi dietro la bandiera dell'alternativa democratica e socialista che autorevolmente e coerentemente è stata innalzata dal nostro Partito, dalla cui affermazione dipende in gran parte la possibilità di far fallire il disegno reazionario. Sottolinea come sia possibile concretamente rafforzare quella maggioranza che ha dato alla Sicilia, contro la volontà delle forze economiche e dei vari governi regionali, il diritto alla solidarietà nazionale, per portare l'isola al livello delle regioni più progredite, i limiti di 200 ettari alla proprietà terriera, la riforma agraria e amministrativa. Maggioranza che è la sola capace di mobilitare tutte le energie popolari, di fierezza e di dignità nazionale e necessarie per conservare alla Sicilia e all'Italia tutta la ricchezza inestimabile del petrolio, difendendolo dalla cupidigia del monopolio straniero e assicurare una rapida trasformazione economica dell'Isola. Il 31° Congresso impegna il Partito in Sicilia ad assumersi la responsabilità per la costituzione di una nuova maggioranza regionale che isolando le forze del blocco reazionario, liberi la DC dalla ipoteca delle destre e assicuri il consenso di tutte le forze democratiche e della grande maggioranza del popolo siciliano per una politica di autonomia e di pace”.

91 R. Panzieri, Azione di classe e lotta per la pace, in «Politica Socialista», a. I. n. 2, novembre 1956

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Morandi nel 1949 sull'autonomia del PSI, la riflessione di Morandi sull'economia di transizione, sul ruolo degli organismi di massa nel nuovo stato post-resistenziale; ad arricchire la riflessione socialista si aggiunge il dibattito sul controllo operaio, nato anche sull'onda dell'esperimento jugoslavo e polacco, come forma concreta del manifestarsi dal basso dell'egemonia operaia

Il primo esempio di fuoriuscita dal frontismo è gestito proprio da Panzieri come segretario regionale siciliano: alle elezioni del 5 giugno 1955, con l'abbandono del Blocco del popolo il PSI si presenta, a differenza delle precedenti consultazioni del 1951, con una propria lista che ottiene un grosso successo rendendo tecnicamente possibile l’apertura a sinistra da parte della DC e aprendo la prospettiva di un nuovo corso che mette in crisi la precedente maggioranza a Palazzo dei Normanni.

Dichiara a «L’Ora» di Palermo, “È superfluo aggiungere che nei confronti del problema di sottrarre la dc alla influenza della sua destra interna e di determinare un nuovo corso politico nella regione, la forza e la serietà del psi risiedono nel profondo e indissolubile legame del partito stesso con le masse popolari, legame temprato dalle durissime lotte unitarie di tanti anni; e tutti sanno che proprio in ciò è la differenza profonda e decisiva tra l’alternativa posta dal psi e le velleità dei socialdemocratici”

4 Il viaggio in Cina (1955)

Nel settembre 1955 una delegazione del PSI si reca in forma privata nella Cina Popolare, invitata da quel governo non ancora riconosciuto dall'Italia (anche se Nenni ha colloqui riservati prima della partenza con i vertici istituzionali) preceduta un anno prima, nel settembre-ottobre 1954, da una più ampia (Piero Calamandrei, Cesare Musatti, Antonello Trombadori, Ernesto Treccani, Carlo Cassola, Franco Fortini...). Della delegazione socialista faceva parte Raniero, che sotto l’influenza dell’avvenimento scrisse delle “Note di un viaggio in Cina". Schematico ed eccessivamente positivo se visto con gli occhi di oggi e con le attuali conoscenze, non è dissimile dalle esaltazioni acritiche dei tanti intellettuali "progressisti" che in quegli anni visitavano la Russia o più raramente la Cina92 ; ne riportiamo qualche passo:

[Ciu-En Lai espone la posizione della Cina Popolare in politica estera] “. .. Rivive nelle parole di Ciù quel tono di semplicità, quella serena assenza di superflua fierezza, e insieme la lucida consapevolezza dei compiti che gravano sulla Cina popolare nel processo di liberazione, di avanzamento dei popoli orientali ..... La personalità di Ciù sembra esprimere essa stessa con singolare efficacia il senso profondo della politica della Cina popolare, il suo enorme prestigio è nella sua formidabile semplicità. Evidentemente il suo forte è la diplomazia ma una diplomazia tutta affidata alla chiarezza e alla lealtà.. .. Mao confronta in modo illuminante le esperienze della rivoluzione cinese e le esperienze del movimento operaio italiano. Considera la forma e la politica unitaria del PSI come un elemento originale di enorme valore per il movimento operaio internazionale. Parla a lungo dell’ itinerario compiuto dalla rivoluzione cinese, e nelle sue parole è viva la coscienza perfetta di questa rivoluzione che riporta sulle scene uno dei più grandi popoli....che opera un rivolgimento radicale ...apre nuove prospettive all'avvenire del mondo, ma vuole risolvere ogni giorno i contrasti che suscita, intende evitare che vada disperso qualsiasi valore….Sorge spontaneo il confronto tra Mao e Ciù, personalità eccezionale, completa, che si affida interamente alla forza interiore, al pensiero il primo. Più nervoso, più complicato, più

92 Vedi P.Hollander Pellegrini politici : intellettuali occidentali in Unione Sovietica, Cina e Cuba, Bologna, 1984; P.Spriano "Visita guidata in URSS", in "Le passioni di un decennio", Roma, 1992

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diplomatico il secondo. Ma poi il confronto ti sfuma perchè troppo alta è la statura di Mao per consentirne uno qualsiasi .

La continuità e lo spontaneo rinnovamento di una tradizione di enorme ricchezza, che appaiono in aspetti diversi come la nota essenziale della nuova Cina, è anche la caratteristica architettonica e urbanistica di Pechino..” [dopo aver descritto la restaurazione della città vecchia e la costruzione di edifici con un'architettura semplice e moderna che creano un'armonica compenetrazione tra città vecchia e città nuova nei quartieri industriali, tra esigenze produttive e piena esplicazione della vita della popolazione operaia, così conclude ]: “... la naturale saldatura del vecchio col nuovo, il processo di espansione di tutti i valori della tradizione in forme spontanee e piene di slancio, la fioritura di tutti i rami del vecchio albero sono i tratti essenziali della realtà della nuova Cina”.

Note critiche sugli interessi esclusivamente "politici" di Nenni, indifferente agli aspetti concreti della vita cinese, ovviamente non comparvero sulla rivista del Partito, e solo in seguito, rinvenute fra le sue carte, vennero pubblicate da Merli93

4.5 Politica e cultura dopo il 20. Congresso. L'Istituto Morandi (1956)

La discussione sul rapporto politica-cultura, socialismo-verità nel 1956 è assai ricca di interventi e non è qui il luogo per farne la storia94 Lo sconvolgimento provocato dal 20. Congresso e dai fatti polacchi e ungheresi fa precipitare una situazione critica: il processo di liberalizzazione deve superare l’asservimento della cultura (la partiticità), liquidare miti politici e ideologici (sull’Urss e il marxismo-leninismo), ridare autonomia alla ricerca, restituendo il marxismo «alla sua originaria ed essenziale funzione di metodo di analisi antidogmatico, critico, scientifico».

Panzieri si muove ancora con l’intento di recuperare al partito non solo i «neomarxisti» di «Ragionamenti» e di «Opinione»95 ma anche gli intellettuali comunisti in crisi; in questo periodo precedente il congresso di Venezia del febbraio 1957 ritiene ancora che il partito socialista nella sua maggioranza possa coordinare e orientare il movimento culturale oltre il centrismo e il frontismo

Organizza un convegno sul tema “Azione politica e cultura” dal 4 al 7 gennaio 1957 al Circolo Pisacane di Roma, a cui parteciparono Giuseppe Petronio, Antonio Landolfi, Gianni Scalia, Paolo Vittorelli, Eugenio Scalfari.

Panzieri afferma che «per assicurare la restituzione del giusto rapporto tra politica e cultura non è

93 Pubblicate sul numero di novembre 1955 di Mondo Operaio. Le note "politicamente scorrette" sono in "L'Alternativa......", cit., pag. 265-274

94 La bibliografia del dibattito degli anni precedenti in “Ragionamenti”, novembre-dicembre 1955; G.Bosio “Iniziative e correnti negli studi di storia del movimento operaio. 1945-62” in “Il movimento operaio e socialista. Bilancio storiografico”, 1966; A Mangano “Origini della nuova sinistra : le riviste degli anni Sessanta “ , Messina Firenze - 1979

95 Rivista bolognese; la redazione era composta da F.Fortini, G.Scalia, R.Guiducci, M.G. Salvaco, E.Agazzi; "Ragionamenti" aveva invece sede a Milano condividendo parte dei redattori e della linea politica. Entrambe effimere, dopo il '56 il loro spazio fu parzialmente occupato dalla rivista di Giolitti "Passato e presente"

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affatto adeguata la formula corrente della 'circolazione delle idee' nel partito e negli organismi di massa, ma è necessaria la creazione di specifici strumenti rivolti, a tutti i livelli, alla verifica della realtà sociale, dell'azione di classe, che tende a modificarla, e delle sue strutture. Ciò rappresenta, accanto [sottolineatura dell'autore] alla democrazia interna agli organismi politici e sindacali, l'elemento indispensabile per garantire la continua apertura critica di un movimento di classe in termini di continuità democratica».

In un’altra sede afferma: «II problema dei rapporti tra politica e cultura non è un problema teorico, si tratta piuttosto di consapevolezza critica e di presa di posizione pratica; e può ormai essere sostituito dal problema della chiarezza, intransigenza e fermezza ideologica. All'esigenza di rinnovamento della cultura marxista, di nuove forme di rapporto tra responsabili politici e intellettuali, tra organismi politici e libera attività professionale, non si può rispondere solo con l'affermazione della necessità di una 'organizzazione culturale', di una distribuzione dei compiti o di una regolata funzionalizzazione. Per uno sforzo nuovo, cosciente della cultura di sinistra sono da rimuovere impedimenti, abbattere ostacoli, liquidare meccanismi burocratici e mitologismi ideologici. Si tratta di avere idee chiare e distinte sui problemi di fondo; sul rapporto, cioè critica-azione»96

Panzieri non si pone il problema della discussione teorica sui rapporti tra politica e cultura ma quello della possibilità di tradurre in istituti, in organismi culturali e in azioni culturali legate alla politica l'attività culturale. Le cause della crisi e inadeguatezza della cultura marxista rispetto ai mutamenti del capitalismo, le individua nella “.,..partiticità. della cultura intesa come direzione burocratica e estrinseca della cultura da parte degli organismi politici e come ripetizione di formule di immediata derivazione politica che si sostituiscono allo sviluppo autonomo nei vari campi della elaborazione e della creazione... riducendo la ricerca culturale a strumento tattico dell'azione politica e togliendo all’azione politica ... la sua verifica scientifica. Vi sono stati alcuni esempi di questa deformazione nel campo delle arti con la poetica del realismo intesa e praticata in modo deformato, volgare fino all'ottusità; sul piano ideologico generale con la ricerca di una ricostruzione del tutto artificiosa di linee tradizionali di sviluppo della cultura nazionale, ricerca che non nasceva su un terreno di analisi storico-critica, ma come ricalcalo di una politica..” con la conseguenza che ”...a partire dal 1953... nel momento in cui più fortemente si manifestava l'iniziativa delle forze capitalistiche sul terreno dei diretti rapporti di classe, con il ricorso accanto alle forme brutali del soffocamento dei diritti dei lavoratori e delle discriminazioni, all'uso di nuove tecniche nell'organizzazione del lavoro e dei processi produttivi, il contributo più largo di intellettuali qualificati, economisti, sociologi, tecnici, sarebbe stato indispensabile per adeguare l'azione sindacale alla nuova situazione”

Viene formulata la richiesta di nuove forme di rapporto tra responsabili politici e intellettuali cioè la richiesta dell’autonomia a tutti i livelli, pur nella riconferma della politica unitaria e vengono posti come obiettivi il ritorno al marxismo, alla sua carica critica e scientifica rivoluzionaria.: “...marxismo come critica dell’ideologia, come demistificazione da ogni assolutismo ideologico, politico..”, il “coordinamento dei gruppi di lavoro esistenti” (in contrapposizione alla concezione di guida e gerarchica) la “interdipendenza tra ricerca culturale e azione politica che non deve verificarsi solo a livello specialistico; cioè deve investire tutte le strutture del movimento di classe…a qualsiasi livello e innanzitutto a livello di base…dovunque sono, lavorano e vivono in modo associato le masse si deve stabilire questo rapporto di presenza autonoma della ricerca culturale, della permanente apertura critica a sostegno della lotta: affinché la lotta avvenga concretamente in termini di

96 R. Panzieri, Intervento in Politica e cultura. Cronaca di una discussione redazionale sui problemi attuali della cultura marxista, «Opinione», n. 1, maggio 1956.

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egemonia, di dominio scientifico della realtà, cioè di concreto potere . Non è fatto quindi di specialisti, ma è questione di ricerca fatta in comune dagli specialisti e dalle masse che direttamente sono interessate a questa tensione liberatrice”

La sua attività organizzativa in campo culturale fu complessivamente caratterizzata da due costanti: promuovere la costituzione di organismi autonomi di ricerca e di lotta per la libertà della cultura, da quello (proposto e mai attuato) al Convegno di Bologna del 1954, a un ipotizzato Centro d'informazione culturale", all’Istituto Morandi, e in secondo luogo aprire questi organismi agli uomini della cultura democratica "... dacchè marxismo è antidogmatismo rigoroso, capacità di demistificazione di tutti i momenti della cultura e di tutti i prodotti della cultura e dunque esso deve essere continuamente aperto al rapporto con impostazioni critiche, metodologiche e antidogmatiche di qualsiasi ispirazione, ugualmente orientate nel senso della costruzione collettiva e pianificata di una cultura intesa alla trasformazione liberatrice 97

Il 28 aprile 1956 viene costituita la “Fondazione Rodolfo Morandi” la cui funzione, eminentemente commemorativa, si apre a un largo ventaglio politico che va da Giorgio Amendola a Ugo La.Malfa. 98 Gli scopi sono "1) promuovere la pubblicazione degli scritti, anche inediti, di Moranti e studi sul suo pensiero e sulla sua opera e sui problemi ad essi legati;2) promuovere studi e pubblicazioni sulla storia dell' antifascismo, della resistenza e della liberazione; 3) organizzare convegni di studio sugli stessi temi 4) costituire una biblioteca specializzata nelle materie. L'associazione promuoverà opportuni accordi con l’lstituto Nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia, per coordinare le iniziative. In effetti solo il primo di questi obiettivi fu portato a temine. con la pubblicazione dei sei volumi delle “Opere” curati oltre che da Raniero. da Ferdinando Prat, Stefano Merli, Giovanni Pirelli, Angelo Saraceno presso le edizioni Einaudi dal 1958 al 1961.

Ma nel 1958 Pirelli e Panzieri la trasformano in Istituto Rodolfo Morandi, organismo finanziato in larga misura da Pirelli, che diventa un importante luogo di iniziative politico-culturali assunte aI di fuori delle istanze della sinistra ufficiale. Aperto a Milano, l'Istituto si sposterà, dal 1961, a Torino e nel suo ambito verranno concepiti i Quaderni Rossi99 .

4.6 "Mondo Operaio" e il “Supplemento scientifico-letterario”

Mondo Operaio nasce nel 1948 come organo della corrente di sinistra100 , si trasforma dal 1950 in rivista ufficiale del Partito. Nel 1954-55 nella direzione a Vecchietti succede Giuseppe Petronio, professore universitario di Letteratura italiana, cui nel 1956 subentra Francesco De Martino coadiuvato da un comitato di redazione101.Raniero viene chiamato a dirigere la rivista del partito dall'aprile 1957, dopo aver fatto parte del comitato di redazione dal gennaio 1956; Panzieri cura

97 R.Panzieri, relazione al Circolo Pisacane, ora in “Crisi..” cit. e in “Dopo Stalin”, cit.

98 Inviano lettere di adesione Franco Venturi, Leopoldo Piccardi, Jemolo, Ugo La Malfa, Leo Valiani, Cesare Merzagora (a titolo personale) Sandro Pertini, Roberto Tremelloni, Antonio Pesenti, Luigi Morandi (fratello), Angelo Saraceno, Norberto Bobbio, Giulio Pietranera, Gabriele Pepe, Giorgio Amendola, Oreste Lizzadri, Emilio Lussu, Franco Antonicelli, Pietro Nenni, Carlo Levi. Del Panzieri di questo periodo abbiamo una vivace descrizione in una lettera di Valiani a Franco Venturi (Lettere 1943-1979, Nuova Italia, 1999, p. 200) “E’ simpatico, dirige l’ufficio culturale, era fusionista e ora riconosce che Stalin commise delitti imperdonabili: afferma di aver creduto in buona fede che Trotski, Raik, ecc. erano dei traditori ma di sentire ora rimorso morale”

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solamente la rubrica “Filo rosso” (con questo nome aveva firmato molti articoli su "Studi Socialisti", sul Bollettino dell’ISSS e su “Propaganda socialista”, bollettino della Sezione Stampa e Propaganda) ma già prima, come responsabile della sezione stampa si era occupato di questioni inerenti al giornale, in documenti a diffusione interna al settore di lavoro

Nella relazione della Sezione Stampa e propaganda, presentata da Panzieri nel 1954 col titolo "Stampa d’informazione e giornale democratico” propone la formula del “giornale democratico", che “supera l’artificioso sdoppiamento tra stampa d' opinione" (organo ufficiale di un determinato partito destinato a un pubblico necessariamente ristretto) e giornale d’informazione (senza partito esplicito, per le masse popolari).Il giornale democratico deve essere “egualmente lontano dall’astrattismo accademico imperante nelle tradizioni di una cultura staccata dalla nazione come è la nostra vecchia cultura e dall’oziosa ricerca letteraria d'avanguardia.... Si registrano grosse lacune proprio in quei campi su cui più direttamente e facilmente potrebbe sollecitarsi l'incontro della cultura con il vasto pubblico e sviluppare la sua funzione critico-educativa: la scienza, la tecnica, l'economia …al giornale si presenta anzitutto il compito di esporre e discutere i problemi fondamentali della cultura e del suo incontro coi bisogni del popolo, della sua funzione sociale. E di esporre e discutere tali problemi, a cominciare da quello della istruzione e della scuola in genere, e dell'istituzione e dell’organizzazione della cultura in modo da provocare concretamente il diretto e pratico interesse dei lettori, suscitando in tal modo, intorno ai problemi di base, vaste e mature forze adeguate ad affrontare le soluzioni.”

La sua nomina a condirettore di Mondo Operaio avviene dopo il congresso di Venezia, ed è Panzieri stesso ad avanzare questa richiesta per riprendersi una libertà di azione102 .

Nominandolo condirettore della rivista ufficiale del partito forse si mirava a controllarlo ma Panzieri non ha nessuna intenzione di confermare «Mondo Operaio» nel ruolo di cassa di risonanza delle posizioni ufficiali del partito: un organo di un partito proletario non può essere un «bollettino delle

99 Stefano Merli in R. Panzieri, Lettere...,.cit, p.XXX abbozza una valutazione un po' delusa dell'Istituto Morandi. "Ho discusso a suo tempo con Giovanni Pirelli e Panzieri stesso (...). Sono dell'avviso (...) che questi progetti erano minati da una politicità assoluta e senza mediazioni, per cui la rivendicazione dell'autonomia della ricerca era un crinale difficile da tenere, in quanto poteva veicolare - come in effetti avveniva" sotto la spinta della sua personalità - un modo originale di far politica attraverso la corrente il che gli creava difficoltà alla lunga insormontabili (...). Essendo senza mediazioni l'intreccio tra attività culturale e lotta politica, è chiaro che lo strumento più congeniale a Panzieri, più idoneo alle sue illuminazioni e approfondimenti, risulta alla fine essere la rivista, la rivista di corrente, come voleva che fosse 'Mondo operaio' o di tendenza come sarà poi 'Quaderni rossi'; e la funzione dell'Istituto o vien meno del tutto o si subordina per garantire un minimo di supporto o di copertura alla vera bocca da fuoco che è la rivista

100O.Lizzadri “Il Socialismo italiano dal frontismo al centrosinsitra”, Roma, 1969: “[da] una intesa preliminare Morandi-Lizzadri, estesa poi a Nenni e Cacciatore e, dopo qualche riserva a Lelio Basso. A questi si unirono ben presto i giovanissimi: Alasia, Dosio, Lizzadri Libero, Valori, Di Pol, Venturini, Filippa, Sanna, Passoni, Cavalli ed altri, e tutti insieme, ricostituirono ufficialmente la grande sinistra con la pubblicazione di un settimanale «Mondo Operaio» diretto da Nenni.”

101 Composto, oltre che da Raniero, da Ruggero Amaduzzi, Lelio Basso, Gianni Bosio, A.Cirese, G.Fenoaltea, Guido Mazzali, Giuseppe Petronio e Tullio Vecchietti, cui si aggiungono dall’aprile 1957 C. Castagnoli, Luciano Della Mea, Carlo Muscetta e Raffaello Uboldi

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opinioni ufficiali» degli organismi dirigenti tanto più che il movimento operaio è in una fase di ripensamento e di ricerca e quindi in una situazione come questa l'unità del Partito si garantisce piuttosto attraverso il leale confronto delle posizioni anche diverse che non mediante il richiamo burocratico a etichette e discipline formali.

Fu così che «Mondo Operaio» "divenne una splendida cosa capace di accettare la pluralità di tutti gli apporti senza cadere nell'empirismo. Tutte le voci trovarono voce"( così Vittorio Foa). Ma questa formula aperta al dibattito e alla ricerca anche riguardo ai temi politici più scottanti, suscita subito perplessità e riserve. Infatti Nenni lo accusa di collocare «Mondo Operaio», con una tendenziosa direzione, «fuori della sua naturale funzione» e di fargli assumere quindi «l’aspetto di una rivista di corrente», specialmente con l’apertura di dibattiti che approfondivano la «frattura» sulle vie da percorrere dopo la crisi del centrismo e del frontismo.

Nei due annidi direzione di Panzieri la rivista vive una stagione di creatività che la fa uscire dal grigiore dei bollettini di partito. Compaiono temi nuovi e nuovi filoni di ricerca: la realtà del neo-capitalismo e il suo intreccio con lo Stato e il potere politico; la validità del marxismo verificata attraverso l'«inchiesta» sulla «nuova realtà industriale»; il rinnovo delle strutture e degli obiettivi della sinistra attraverso la strategia del «controllo operaio»; l'autogestione della ricerca e dell’elaborazione culturale. Muovendosi tra questi problemi, Panzieri semina stimoli, si collega con le forze emergenti, (sindacalisti, federazione giovanile, nuovi operai, intellettuali del «neomarxismo»), sollecita riflessioni, accelera processi nella crisi del sindacato e dello stesso PCI, con la specificità di una linea che non si struttura in corrente, secondo il vecchio metodo, ma si muove in modo unitario, lievitando soprattutto tra le avanguardie: ”Mondo Operaio…non pensava e non agiva in termini di corrente, cercava, pur subendo ovviamente i riflessi e i motivi del dibattito interno di partito, una nuova via per l'intero movimento operaio classista ricavando dal 20. congresso del PCUS e quindi dall'esperienza sovietica una lezione rivoluzionaria e non uno sbocco riformista”103

Ma l’innovazione più interessante è la pubblicazione del Supplemento scientifico-letterario che inizia nel giugno 1958 e termina nel dicembre dello stesso anno. Uscirono sette numeri, di cui tre doppi (di marzo-aprile; di giugno-luglio e di novembre-dicembre). Due supplementi sono monografici: quello del giugno-luglio che contiene la storia delle lotte in una fabbrica metalmeccanica piemontese nel 1950-51 scritta da Gianni Alasia e Domenico Tarizzo (“30 mesi alla Savigliano. Cronaca di fabbrica”) e quello del novembre-dicembre, dedicato a "Spartaco nella letteratura tedesca" curato da Paolo Chiarini (l'intero fascicolo di "Mondo Operaio" era dedicato agli spartachisti). I collaboratori del supplemento, oltre a Carlo Muscetta che si occupa specialmente della sua redazione furono Cesare Cases che pubblicò due saggi sulla letteratura, Pio Baldelli che si occupò di critica cinematografica, Giannantoni per la filosofia, Asor Rosa (con un'articolo su Italo Calvino). C. Castagnoli, A.Seppilli e L. Angeli che si occuparono dei problemi

102 “l'Avanti”, 6 marzo 1957, ed. milanese. Dopo aver ribadito che la sua appartenenza alla sinistra lo aveva portato a dare le dimissioni dalla Direzione per contribuire allo sviluppo di un’aperta dialettica di posizioni politiche nel partito, affermava “...neI senso di quest' impegno la mia nomina deve essere intesa come rispondente alla necessità di fare sempre di più della rivista del Partito un organo di formazione e di approfondimento dei temi d’azione del Partito, per il quale è indispensabile, accanto all’esposizione delle posizioni degli organi dirigenti, la presenza di ogni altra posizione di partito, anche critica e polemica.”

103 L.Della Mea,“Panzieri tra Mondo Operaio e Quaderni Rossi” , cit.

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dell'università e della scuola, in particolare dell'insegnamento scientifico

.L'iniziativa di allegare a «Mondo Operaio» un supplemento autogestito da intellettuali era il naturale sviluppo di una politica culturale che considera il partito come un «tramite», uno stimolo e un sostegno a iniziative intellettuali autogestite alle quali deve riconoscere lo statuto di «nuove istituzioni» del movimento operaio (accanto a quelle politiche e economiche), perché esse «già in se medesime prefigurano la giusta posizione della cultura in una società socialista»

«Il contributo che può. dare un supplemento scientifico-letterario sia nel proprio campo specifico sia sollecitando l'intervento degli intellettuali in tutte le questioni politiche e ideologiche non può essere demandato a nessuno. Esso innanzitutto favorirà quel processo di unificazione degli intellettuali marxisti che il paternalismo e la rozzezza dei burocrati ha gravemente compromesso e che oggi non può affidarsi che alla responsabilità, alla consapevolezza e all'autodisciplina degli intellettuali stessi»104

Il «Supplemento» esprimeva una linea di difesa dell'autonomia della cultura non fine a se stessa; senza nulla concedere ad una impostazione neo-liberale o garantista prendeva atto dei danni provocati dalla politica culturale degli anni della guerra fredda interpretando la parola d'ordine dell'«autonomia della cultura» come intervento diretto degli intellettuali che aveva un senso solo se indirizzato al conseguimento di obbiettivi politici, sintetizzati nell'articolo di commiato dalla condirezione di «Mondo operaio», come «sforzo di fondare le linee di un movimento di massa che, nella adesione consapevole alle condizioni strutturali e politiche del nostro paese fosse in grado di affermare un'autentica autonomia rivoluzionaria, i valori pieni - strumenti di lotta e non solo meta finale - della democrazia socialista»105

104 [non firmato ma R.Panzieri] “Punto e a capo”, Mondo Operaio, 1958, n.3-4 (marzo-aprile) . Questo il commento di Luciano della Mea: “nel primo editoriale…non si esce dai limiti del populismo, ma già allora in quel discorso c’era uno spunto utile: la constatazione che fino allora scarsissimi erano stati gli stimoli, le sollecitazioni, le richieste dal basso e ciò perchè era prevalsa la paura di sviluppare lo spirito critico delle masse "..non si puntava. sulla spontaneità delle masse nel fare cultura, nè ci si accontentava dei prodotti della cultura subalterna", sotto questo aspetto anzi la funzione degli intellettuali faceva tutt’uno con la funzione del partito di classe. come coscienza organizzata “ ( in L.Della Mea,“Panzieri tra Mondo Operaio e Quaderni Rossi”,cit.)

105 R.Panzieri “Da Venezia a Napoli”, in “Mondo Operaio” , 1958, novembre-dicembre

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5.Il controllo operaio

5.1 Il PSI nel 1956. Gli “Appunti per un esame della situazione del movimento operaio”

Il 31. Congresso (Torino, 31 marzo-3 aprile 1955) era avvenuto all’insegna dell’ ”apertura a sinistra”, del “dialogo con i cattolici” però unito alla conferma della politica unitaria coi comunisti, ma il 20. congresso del PCUS con le rivelazioni di Krusciov mette in movimento la situazione politica italiana e fluidifica un sistema bloccato aprendo una nuova fase politica dopo anni di stasi.

Nenni formulava una critica che investiva la sostanza stessa dal sistema sovietico, però senza traccia di analisi marxista. Alle parole seguirono l’incontro tra Saragat a Nenni e lo scivolamento del PSI verso la deriva socialdemocratica, ma par un breve periodo continuò a regnare una ambigua unanimità fondata sulla critica dello stalinismo e la richiesta di democrazia. Il PSI, che dal 1953 almeno subiva il ruolo subordinato cui era costretto dalla sconfitta del 18 aprile e dalla guerra fredda, è pronto a cogliere l'occasione soprattutto per il dinamismo del suo leader

Panzieri rende omaggio a Nenni per la prontezza e il coraggio con cui ha saputo orientare il partito e il movimento operaio liberandoli dalle «doppiezze» degli anni precedenti, in modo da incalzare lo stesso PCI, più preoccupato di salvare una continuità a tutti i costi e che si piegherà alla fine a un rinnovamento per gradi. La «frattura», avviene sulla politique d'abord, sul dinamismo politico di Nenni tutto giocato sulla politica di vertice, delle formule politiche pure, della apertura alla DC come della unificazione col PSDI per la formazione di una nuova maggioranza parlamentare; alle quali Panzieri contrappone «il problema reale» di un «radicale rinnovamento della articolazione del movimento operaio in termini di democrazia e di autonomia», finalizzato alla «alternativa di governo e di potere».

Nell'assenza quasi totale di organiche analisi strutturali sul processo di edificazione del socialismo in URSS, e di una analisi di classe sul tipo di organizzazione statale che era sfociata nel «culto della personalità»; su questo terreno, un'eccezione è costituita da Raniero Panieri che fu tra i pochi che, all'indomani del 20. Congresso, tentò di spiegare le «violazioni della legalità socialista» a partire dall'esame del rapporto tra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione nella società sovietica.

Nell'ambito del dibattito in preparazione del Congresso Panzieri in collaborazione con Ruggero Amaduzzi scrive gli "Appunti per un esame dalla situazione del Movimento Operaio" che vengono pubblicati nel numero di gennaio di "Mondo Operaio".

Gli "Appunti” parlano di processo di rinnovamento del movimento operaio “come restituzione dal metodo marxista ai suoi temi originari e come riconferma di alcuni principi fondamentali dal socialismo e come dissolvimento della cristallizzazione dogmatica della strategia, e quindi come arricchimento qualitativo del metodo stesso e dei suoi risultati” per cui "l'affermazione del processo attuale come rottura costituisce il solo modo di affermare la continuità storica del movimento" rottura intesa come «negazione dalla concezione del partito-guida, rivalutazione dei soviet o

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dell'autonomia culturale, ripresa della democrazia socialista, negazione dalla concezione dallo stato-guida, nuovi rapporti da stabilire tra gli stati socialisti, coordinamento del loro sviluppo economico".

Passando alla situazione italiana, l’ analisi individua come elementi di consolidamento del sistema "lo sviluppo della spesa militare in funzione dell’espansione dalla domanda effettiva e del sostegno di elevati livelli di produzione, l'estensione dell'interventismo statale in funzione di controllo e correzione degli elementi di perturbazione interna, del ciclo economico, e di limitazione dell'anarchia connaturata al sistema” e prosegue constatando l’imponente accelerazione dal processo tecnico e scientifico, la nuove forme di organizzazione dal lavoro in connessione con lo nuove tecniche produttive, la capacità di adattamento dell'ideologia borghese agli sviluppi dalla situazione per mezzo di nuove e più raffinate forme di mistificazione ideologica. Però il capitalismo non è in grado di eliminare le contraddizioni e negli «Appunti” viene sottolineato "l’aggravarsi dal contrasto tra industria e agricoltura, l’ aumento dal divario tra zone avanzate e arretrate, l’impoverimento assoluto (non nell'ambito di un singolo stato ma nella sfera d'influenza di ogni capitale nazionale) la instabilità permanente dal sistema»106

In un vuoto quasi assoluto della ricerca economica marxista in Italia, gli “Appunti", a differenza delle "Tesi", passarono quasi inosservati nel dibattito politico di quel periodo.

5.2 Il Congresso di Venezia (1957)

Dal 6 al 10 febbraio 1957 si svolge a Venezia il 32. Congresso nazionale, l'ultimo impostato su tesi e non su mozioni contrapposte, e si chiuse con un compromesso su una segreteria a cinque composta da Nenni, Basso, De Martino, Mazzali e Vecchietti. Nella Direzione vi erano otto rappresentanti della Sinistra, dieci "autonomisti”, tre “Bassiani”. Della Direzione precedente venivano a mancare, tra gli altri, Pertini, Luzzatto, Lussu, Panzieri.

Il Congresso non era stato vinto da Nenni, che però non aveva che da guadagnare tempo perché il PSI si trasformava lentamente, per la modificazione della base sociale, con una perdita di iscritti operai e la scomparsa dei Nuclei Aziendali Socialisti, mentre entravano nel Partito i ceti medi.

Era questa la conseguenza derivata dalla funzione di "cerniera" assegnata al PSI nella politica frontista, di cui abbiamo già parlato, ma anche dalla fusione nel partito di "Unità Popolare" (fondata nel 1953 da Parri e da ex-socialdemocratici) e dell’«Unione Socialista Indipendente" (costituita nel 1951 da ex-comunisti come Valdo Magnani e socialisti come Lucio Libertini). «Con Panzieri il problema di guadagnar tempo prese rilievo nei nostri discorsi….il solo modo di guadagnar tempo era quello di togliere Nenni dalla carica di segretario malauguratamente riaffidatagli a Venezia, assumere decisamente la direziono del Partito in espliciti termini di maggioranza, subire pazientemente gli inevitabili contraccolpi elettorali interni ed esterni del Partito. Posso dire di aver premuto molto, dove e con chi potevo, per questa soluzione. E da Panzieri, a nome anche di altri compagni dirigenti, ebbi l'incarico dì "esplorare" se Lelio Basso, nella ipotesi di una rottura del Comitato Centrale, fosse disposto ad assumere I’incarico di segretario dal Partito. Il sondaggio, a ben guardare, non poteva non avere esito negativo” 107.

106 R.Panzieri e R.Amaduzzi, “Appunti per un esame della situazione del movimento operaio” in “Mondo Operaio", n.1, 1957, pp. 30-36,

107 L.Della Mea “ Eppur si muove“ cit., pag. 155

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Nella seduta pomeriana di sabato 9 febbraio interviene partendo dal “dato fondamentale: oggi l'azione del movimento operaio si pone ovunque in termini di autonomia per la conquista del socialismo. Questa coscienza deriva dalla crisi dello stalinismo e dal crollo dei suoi capisaldi: i principi dello Stato guida e del partito guida. Il socialismo rifiuta il criterio della direzione dall'alto e dall'esterno del movimento operaio che viene così restituito al suo compito rivoluzionario..(..)..la crisi del movimento operaio comunista, configurata nello stalinismo, si contrappone dialetticamente alla crisi della socialdemocrazia, configurata nel riformismo opportunista. È vero che lo sviluppo storico negli ultimi dieci anni ha mostrato una capacità di adattamento del capitalismo, che nei paesi piu avanzati, grazie alla utilizzazione del progresso scientifico e tecnico è riuscito a conservare margini di espansione produttiva e ad attenuare. le conseguenze che l'anarchia del sistema comporta, senza. che la. cultura marxista, cristallizzata nel dogmatismo, lo avvertisse. Non per questo però, hanno cessato di aggravarsi le contraddizioni del capitalismo, che si manifestano nell'arco dell'intero sistema, nel contrasto fra paese e paese e, nell'ambito particolare di determinate zone, fra zone e zone, fra industria e agricoltura, fra città e campagna.. Né le illusioni suscitate. dal cosiddetto neocapitalismo e dal cosiddetto capitalismo popolare o di massa hanno impedito l'ulteriore lacerazione del tessuto sociale e la alienazione progressiva dell'uomo. Mentre si accentua la pressione egemonica dell'imperialismo americano, aggravato dal crollo del sistema coloniale inglese e francese, nei. paesi capitalistici europei ci si riduce sempre più al margine delle concessioni riformistiche.” Il Congresso espresse in proposito un vasto consenso, ma se si passa al problema delle prospettive dell'azione nell'immediato futuro “dubita che il dibattito si sia svolto con la necessaria chiarezza. ..(...)...Anzitutto ha respinto la tesi che la politica unitaria sia stata puramente e semplicemente caratterizzata dalla subordinazione ai principi dello Stato guida e del partito guida, nell'attesa mitica di soluzioni estere. Tale politica mirava a legare il movimento operaio, con la lotta, alla realtà nazionale. Donde l'azione di massa e la ricostruzione del Partito: uno sforzo politico nient'affatto disgiunto dall'obiettivo di riguadagnare la prospettiva di uno sviluppo democratico al movimento operaio italiano...(...)...La crisi del movimento operaio italiano, quindi. non deriva dai risultarti e dalle conseguenze del 20. Congresso del PCUS, bensì da una sua contraddizione interna, che si manifestò chiaramente già ne! 1953, - quando. di fronte al ritmo accelerato assunto dal processo di ricostruzione capitalistica, di fronte ai nuovi metodi del capitalismo, la reazione politica e sindacale del movimento operaio apparve viziata, deformata dal dogmatismo e dal massimalismo. Il compito presente è di ridare alla classe operaia un più alto potenziale di lotta, adeguato agli obiettivi socialisti perseguibili attraverso una lotta di classe in cui piena e integra sia la coscienza delle forze, dei metodi, delle tecniche dell'avversario da combattere e da battere. Si tratta di un salto di qualità, non di quantità...e la qualità si esprime e dovrà esprimersi nella capacità del movimento operaio italiano di attuare le trasformazioni economiche e sociali all'interno del sistema in cui si trova ad agire, nella continuità democratica, senza massimalistiche attese di soluzioni dall'alto e dall'esterno. Non esiste una distinzione tra fase democratica e fase socialista. La continuità democratica è tale in quanto si sviluppi nel socialismo. Il programma e l'azione per attuarla non vanno quindi posti in termini di governo o di alternativa di governo, bensi come prospettiva di potere per la classe operaia e per i ceti democratici Ciò comporta che il nostro programma si realizzi anzitutto nelle lotte del movimento operaio, attraverso una pianificazione di tali lotte, coll'obbiettivo immediato di controllare i rapporti produttivi all'interno delle singole strutture, e quindi con nuovi organismi necessari...... là dove ci si propone di rovesciare questo ordinamento per vie democratiche, e cioè attraverso una concreta, consapevole, cosciente acquisizione di potere all'interno dello stesso processo produttivo e nella società nazionale. Non si tratta solo di ottenere il controllo delle leve di governo, ma di creare, all'interno del processo produttivo, il potere nuovo della classe operaia, per la trasformazione economica e socilale. Questa è la base di una rinnovata azione rivoluzionaria fondata sulla

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democrazia.108

Spicca nel suo isolamento l'eterodossia dell'analisi condotta da Raniero che a differenza di tutti glialti oratori non datava la crisi del movimento operaio al 20. congresso ma al ritardo culturale di fronte al processo di ristrutturazione capitalistica, ai nuovi metodl del capitalismo. Nelle sue parole la «via italiana» cessava di definirsi in negativo alla luce della «via sovietica», diventando adeguamento delle forme di lotta al livello di sviluppo raggiunto dal capitalismo nazionale. Così la caduta della teoria della stagnazione non conduceva automaticamente alla scelta di un riformismo dall'alto, ma al contrario spingeva a radicare il movimento nei luoghi di lavoro, traendone inedte ipotesi di ricerca e nuove soluzioni. «Non si tratta soIo di ottenere il controllo delle leve di governo ma, di creare, all 'interno del processo produttivo, il potere nuovo della classe operaia, per la trasformazione economica esociale». Le tesi Panzieri si allontanavano troppo dall' elaborazione teorica del movimento socialista post-bellico per trovare una qualsiasi eco elle mozioni finali del congresso

Prima di Venezia il problema per Panzieri era quello di operare in termini di partito; dopo Venezia la costruzione del partito-strumento in campo culturale cede il posto alla ricerca autonoma degli strumenti per una politica che non è già più né quella della maggioranza nenniana né quella della minoranza di sinistra.

Scrive infatti a Gianni Scalia informandolo sulla sua posizione a Venezia: "Sono naturalmente, ovviamente, d’accordo su queste cose: 1) un’azione politica «interna» di Partito in termini di frazione ecc. per noi non ha senso. Mi pare che neppure valga la pena di discuterne tra noi. Il problema è di una azione politica «piena», che si muove, si articola, si «esemplifica», contemporaneamente, e senza doppiezze, all’interno e all’esterno del Partito, realizzandosi su tutti i piani come politica di classe, azione marxista critica; 2) c’è oggi per noi, urgente, un problema di nostra posizione politica nei confronti del Partito e c’è, altrettanto urgente, un problema di strumenti."

Panzieri non s'oppone alla manovra per escluderlo dalla direzione anzi cerca di ricavare il prezzo più alto in termini di «strumenti» per mettersi nella migliore situazione per il lavoro di organizzazione culturale autonoma». E il prezzo che fa pagare è l’incarico a ricostituire l’Istituto di studi socialisti e la condirezione della rivista teorico-politica del partito «Mondo Operaio». Ora Panzieri ritiene di avere messe le mani sulle leve che gli permetteranno di uscire del tutto dalle ambiguità e dalle manovre e quindi di essere nelle condizioni per “saggiare fuori di ogni investitura di gruppo le mie effettive possibilità e capacità in rapporto alla politica di classe che ci sta a cuore – scrive sempre a Scalia – e per fare la quale bisogna ricominciare da posizioni chiare e pulite”.

5.3 La «Politica unitaria»

In un bilancio dell'attività del partito e sua tra due congressi (dal 1956 al 1959)109, Panzieri mira a presentarsi come tradizionalista rispetto alle scoperte politiche di Nenni, alle sue «fughe in avanti» che scombussolano il partito e lo svellono dai tradizionali cardini della sua politica. Panzieri nel

108 “32. Congresso Nazionale”, Milano-Roma, 1957, pag. 249-252: sintesi. Il testo integrale in “Dopo Stalin”, cit., pag. 48-53

109 R.Panzieri “Da Venezia a Napoli”, in Mondo Operaio”, 1958, n.11-12. Ora in “La crisi ...”. cit. pag.223-229

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1956 non intende quindi «scoprire niente», bensì «riscoprire», ripulire e aggiornare una linea, e verificarla sul banco di prova della nuova situazione. Politica unitaria è il perno su cui ruota l'elaborazione di Panzieri, su quest'asse, stanno sia la specificità della sua polemica con Nenni e con i comunisti, sia la sua differenziazione rispetto alla corrente di Sinistra che svilisce la politica unitaria a unità d'azione, e rispetto allo stesso Foa e ai «sindacalisti», nei confronti dei quali ha pure un progressivo accostamento.

La "linea" iniziata dagli “Appunti” e dall'intervento al Congresso di Venezia si esprime anche come continuità e recupero critico di posizioni di lotta passate, di cui particolare importanza ha la politica unitaria, rilanciata dalla crisi delle due antitesi morte, lo stalinismo e la socialdemocrazia, per cui il partito socialista potrà far fronte alle «maggiori responsabilità» cui è chiamato, non invertendo la rotta e negando il suo passato, ma piuttosto attraverso «una piena, spregiudicata affermazione dei valori più profondi insiti nella sua tradizione e nelle lotte unitarie e nella politica che esso ha sostenuto nell'ultimo decennio». Il brano che segue è esemplare a questo proposito: “La rottura operata dal leninismo e dalla Rivoluzione sovietica aveva segnato inevitabilmente la linea di superamento tra capitolazione socialdemocratica e la fedeltà all' azione rivoluzionaria di classe. Ma presente sempre nel pensiero e nell'azione di Morandi era stata la consapevolezza critica, marxista, del carattere storicamente determinato dell'esperienza sovietica, cosicché la «indistruttibile solidarietà» con esso non poteva in nessun modo unirsi in «macchinale adesione» e doveva essa stessa piuttosto sospingere alla continuità della tradizione socialista e all'individuazione delle vie proprie del movimento operaio italiano, nella certezza critica di una anticipazione dell'intiero svolgimento della rivoluzione, di classe sul piano mondiale"110

Questa la reinterpretazione e il recupero critico che compie Panzieri: “La politica unitaria aveva come nucleo essenziale appunto il superamento della concezione dei partiti operai come formazioni chiuse, portatrici ciascuna di una propria “verità di classe", depositaria ciascuna di un immobile verbo marxista, cioè il superamento della deformazione dogmatica e burocratica dal partito quale rappresentanza ipostatizzata della classe. Le negazione di questa concezione metafisica, quasi religiosa antimarxista del partito proletario significava al tempo stesso affermazione di esso come funzione e strumento della classe, anzi del movimento della classe….(…)..”Lo sforzo di scavare più a fondo nei problemi aperti davanti al Partito, di ritrovare l’unità attraverso una autentica dialettica in cui le diverse posizioni fossero costrette ad approfondire e a dichiarare i propri motivi di fondo, non ci portava affatto – è questo il punto che più ci preme sottolineare, ad intellettualistiche »rivelazioni« di nuove ideologie, ma a ricercare innanzi tutto il filone più profondo e originale del socialismo italiano, come era andato definendosi nella storia davvero ricca e travagliata della ricostruzione del partito dopo la sconfitta subita dinnanzi al fascismo. Venivano così in piena luce i motivi dalla politica unitaria dal socialismo italiano, patrimonio ideologico originale del partito e della classe operaia italiana, non semplice rifiuto delle banalità «democratiche» della socialdemocrazia, non adesione alla versione staliniana dal movimento rivoluzionario, non ricerca di un accordo di vertice coi comunisti; ma sforzo di fondare le linee di un movimento di massa che, nell’adesione consapevole alle condizioni strutturali e politiche del nostro paese, fosse in grado di affermare un’autentica autonomia rivoluzionaria, i valori pieni – strumento di lotta e non solo per la meta

f inale - della democrazia socialista”.111

Ma una nuova concezione delle lotte, anche se non ancora una concezione strategica, appare: “... La via al socialismo potrà essere percorsa in Italia - e il movimento operaio esprimere la propria

110 R.Panzieri , in Avanti!”, 27 luglio 1956, Ora in Dopo Stalin, cit. pag. 80

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energia rivoluzionaria - solo attraverso una lotta che, per identificarsi con le ragioni dello sviluppo economico rifiutando i miti connessi delle alleanze indiscriminate, protestatorie e strumentali delle conquiste “parlamentari”, sarà tanto più aspra, direttamente recata dentro le struttura capitalistiche» 112.

5.4 La “concezione consiliare”. I precedenti storici e l'attuazione dopo la liberazione

Le “Sette tesi sulla questione del controllo operaio" di Libertini e Panzieri, che danno origine a una numerosa serie di interventi, repliche e dibattiti nel 1958 e ’59,113 rappresentano il più compiuto e maturo tentativo in quegli anni di dotare un'area del P.S.I., di un'attrezzatura di analisi e proposte che la ponessero al livello del capitale nelle sue forme più avanzate, nelle sue linee di tendenza, e le consentissero di combattere le posizioni riformistiche assunte dalla maggioranza del partito recuperando la concezione consiIiare di Gramsci e Morandi; il richiamo al primo cioè al movimento torinese dei consigli di fabbrica è esplicito nelle "Tesi" e nel dibattito; quanto a Morandi, viene ripubblicato lo scritto "I Consigli di Gestione sul piano della lotta” da «Studi Socialisti» 1948 una prima volta nel fascicolo commemorativo dedicatogli da "Mondo Operaio" nell'agosto del 1955, e poi sempre su questa testata nel 1957.

Dal ‘56 la concezione e l'esperienza del Gramsci consiliare del ‘19-'20 era divenuta un punto di riferimento storico e teorico "Il riferimento a Gramsci era giustificato dalla ricerca di ancoraggi storico-ideali nella direzione di una teoria di classe di fronte allo sbandamento post-staliniano e al parallelo accentuarsi di teorie democratiche e socialdemocratiche all’ interno del movimento operaio. Esso si ricollegava in quel momento politico, ricostituendo un arco di continuità nel ritmo di sviluppo dei C.L.N, dei Consigli di Gestione e in generale colla tematica morandiana dell’organizzazione di classe come forma di potere statuale di classe”114

"Una concezione consiliare o di democrazia diretta entra in Italia non tanto con Gramsci quanto con Morandi; una concezione del Consiglio che superi non solo la concezione del Partito e del potere del massimalismo, ma anche quella burocratica dell’ Internazionale Comunista, una concezione del Consiglio che vada oltre ai condizionamenti cui soggiacque Gramsci è teorizzata in Italia proprio da Morandi (non solo dal Morandi del ‘30 ) e poteva aversi in una situazione in un certo senso eccezionale; in una situazione in cui gli sviluppi monopolistici del fascismo toglievano ogni velleità di ruolo autonomo alle classi medie e alle loro proiezioni politiche, come pure alle velleità mediatorie e alle mistiche? dei partiti operai; in cui il peso della vecchia organizzazione e delle vecchie divisioni partitiche era stato dissolto nell'illegalità; in cui l'influenza della direzione staliniana nell’Internazionale Comunista, che non avrebbe certamente sopportato queste teorizzazioni, trovava mediazioni che ne smorzavano la presenza burocratica. Questa concezione

111 R.Panzieri “Da Venezia a Napoli”, in Mondo Operaio”, 1958, n.11-12. Ora in “La crisi ...”. cit. pag.223-229

112 R.Panzieri “Capitalismo contemporaneo e controllo operaio”, in “Mondo Operaio”, 1957, n.12

113 In “Mondo Operaio”, 1958, n.2. Ora in "La sinistra e il controllo operaie”, Milano, 1969

114 S.Merli “I nostri conti con la teoria della rivoluzione senza rivoluzione in Gramsci” in “Giovane Critica” n.17

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che entra in Italia col Centro Socialista Interno nelle forme e nei modi che la situazione sopportava, certamente non poteva sostenersi a lungo in questa purezza con il ritorno dopo il ‘45 dei partiti storici, con l'apparire sulla scena politica di ingenti masse diseducate alla lotta in una situazione politica internazionale che era quella codificata nella spartizione del mondo in sfere d’influenza; per cui questa concezione del potere dovette trovare modi di mediazione e di espressione diversi, fuori dalla politica parlamentare, che non nascessero da teorizzazioni "pure" ma cervellotiche e nello stesso tempo non mortificassero la sperimentazione spontanea in una subordinazione a diversi stadi d’organizzazione.

Dalla lotta per il C.L.N. - Consiglio sconfitta dall’antifascismo democratico” e dalla via «nazionale popolare si dovette passare al recupero dal momento consiliare nell’impostazione del rapporto trinitario masse-istituto di classe-partito, di cui la lotta per i Consigli di Gestione a livello della produzione e la lotta per un'organizzazione decentrata a livello del luogo di lavoro e in seguito la lotta per una concezione collettiva dell' organizzazione che respingesse la "democrazia" e l' "autonomia" socialdemocratiche e superasse nello stesso tempo i punti burocratici del centralismo, rappresentano le tappe attraverso la quali nella situazione italiana e internazionale ha dovuto passare e mediarsi una visione del potere come democrazia diretta»115.

“Le libertà proletarie saranno istituti che assicureranno una libertà non nominale ai lavoratori nel processo di produzione” afferma Morandi, cha ha presenti quelli che nello scritto su Bauer definisce "i vizi che la struttura burocratica del nuovo Stato (l'URSS) manifesta e le degenerazioni dal regime stalinista”. "Il nuovo sistema collettivo della produzione deve concepirsi largamente articolato nella società, per via dalla partecipazione diretta dai lavoratori alla sua gestione. L'esigenza della rivoluzione non è quella, infatti, di sostituire semplicemente lo Stato proletario alla categoria degli imprenditori capitalisti, ma di emancipare da ogni sudditanza sociale il lavoratore, sostituendo alla schiavitù capitalista un'attività libera, coscientemente prestata e partecipe dei suoi fini”. Nel periodo successivo alla Liberazione, quando lo scontro di classe doveva essere rinviato di fronte ai compiti nazionali della ricostruzione, Morandi concepì i Consigli “come la conferma di quella singolare forma di potere che la classe operaia s’era conquistata.. pur all’interno di una struttura capitalistica” 116 strumenti «di una concezione nuova dell’ industria come fenomeno sociale e forza collettiva del lavoro”, garantita dalle “energie spontanee della ricostruzione”- prodotti di uno specifico processo storico e sociale. Nulla di più lontano quindi “da un astratto istituto giuridico”, “Una partecipazione che veniva offerta sotto specie di collaborazione, ma non mai di una collaborazione che potesse essere accettata o respinta, a seconda dal piacere che ne avessero gli imprenditori.. rivendicata come un diritto conquistato nel sacrificio e nel sangue dalla classe lavoratrice del nostro paese (..). Noi ci troviamo qui di fronte a una questione di grande portata e complessità... Si tratta veramente di compiere una delle trasformazioni più radicali della struttura produttiva. Non è una di quelle riforme che si possano nettamente classificare: qui si tratta di trasformare proprio quella che è una condizione strutturale dal processo produttivo, all’interno e in tutte le sue possibili articolazioni, perché la meta alla quale la classe operaia sospinge la nostra società è un movimento delle forze economiche conseguito essenzialmente attraverso una democratizzazione del processo produttivo. ...si assicura cosi la democrazia su queste basi e la si radica nel fondo e nel sicuro”.117

115 S.Merli “Sui problemi della ricerca consiliare nel movimento operaio italiano”, in “Giovane Critica”

116 R.Rossanda “Coerenza di Morandi”, in “Rinascita”, 7 agosto 1965

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La via al potere operaio, al socialismo, si colloca dunque in un quadro che rompe lo schema classico lenininista, nel senso che consente già una presenza operaia nel cuore della struttura, e con una sua autonomia, e insieme respinge ogni tentazione socialdemocratica nel sottolinearne il carattere alternativo e negli elementi di prefigurazione di un diverso assetto sociale” 118.

La caratterizzazione che diede il PCI ai Consigli di gestione fu diversa da coma la intendeva Morandi: netta separazione cioè tra la lotta economica del proletariato e la lotta politica, la prima limitata all'interno della fabbrica, la seconda all'interno delle istituzioni antifasciste e democratiche. Questo carattere doveva portare i consigli di gestione a ripetere nelle aziende l'esperienza negativa che avrebbero vissuto nel governo i partiti operai. Così come era fallito il tentativo di condizionare con l'azione di governo i meccanismi dell'accumulazione capitalista, allo stesso modo !'esperienza operaia nelle fabbriche, "tollerata" dai padroni nella fase iniziale a causa delle enormi difficoltà organizzative in cui si svolgeva la produzione, doveva concludersi in una delusione allorché il padronato reinserito saldamente nella direzione dell'impresa, potè fare a meno di quella "collaborazione”.

Si inizia allora una nuova fase del processo di ristrutturazione dell' industria italiana, nel corso della quale il padronato restaura in pieno la libertà imprenditoriale per ristabilire su nuove basi il rapporto colla classe operaia. Sono quelli gli anni in cui sono importate le tecniche direzionali e di organizzazione del lavoro consolidatesi nelle economie capitalistiche più avanzate. I processi di meccanizzazione vengono completati, si avviano i processi di automazione, nasce la nuova “classe” dei tecnici, si sperimentano le prime forme di "human relation”.

I partiti operai non colgono la nuova realtà venuta avanti nel processo produttivo e nel rapporto padronato-classe operaia e si attestano sulla linea di difesa del vecchio rapporto che ci si illude di poter ricomporre. In realtà i Consigli di gestione entrano in una crisi che si risolverà con la loro definitiva liquidazione.

Saranno le modificazioni nella vita di fabbrica e nel mercato del lavoro, a portare allo svuotamento del potere sindacale istituzionalizzato: la sconfitta della CGIL alla Fiat nel 1955 da un lato chiuderà quel primo periodo di esperienze di potere e di ripiegamento entro le istituzioni, dall'altro aprirà un ripensamento che ebbe il suo momento più alto (preceduto da qualche fenomeno analogo come il «Convegno sullo sviluppo tecnologico” promosso nel 1956 dall’Istituto Gramsci) nelle “Tesi col controllo operaio” di Panzieri e Libertini.

5.6 Le "Tesi sul controllo operaio”

"Panzieri e io discutemmo con altri compagni, elaborammo e scrivemmo insieme le poche pagine delle "tesi" nel vivo dello scontro tra le diverse posizioni socialiste, per recare armi teoriche e politiche alla battaglia della nascente sinistra. Ma nello stesso tempo, era forte e dominante in noi la convinzione che l'offensiva socialdemocratica non potesse essere fronteggiata coll' immobilismo teorico e pratico sulle posizioni tradizionali; che si dovesse cominciare ad analizzare il nuovo quadro dello sviluppo capitalistico nel quale solo si spiegava l'insorgere di un cospicuo settore

117 R.Morandi “I Consigli di gestione per l'efficienza dell'economia italiana” Intervento al convegno del Comitato per il 2.Congresso internazionale dei Consigli di gestione. Ora in “Democrazia diretta.”, cit,pag.241

118 R.Rossanda “Coerenza...”, cit

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neoriformista, e fosse di conseguenza necessario ricercare nelle contraddizioni del sistema a un più alto livello le ragioni di una adeguata e avanzata lotta di sinistra; e infine, che una efficace strategia rivoluzionaria dovesse fare apertamente i conti, alla radice, con lo stalinismo e la crisi che intorno ad esso si era appena aperta nel movimento operaio internazionale. A questa complessa ispirazione si ricollegava tutta l'azione che Panzieri ed io conducevamo dentro e fuori il PSI, sulle colonne dell'Avanti! e sulle pagine di “Mondo Operaio” e di qui nacquero le "tesi" nelle quali ai saldarono, peraltro, l'esperienza di dirigente e di militante compiuta da Panzieri accanto a Morandi e la battaglia da me sostenuta contro lo stalinismo, da sinistra, attraverso lunghi anni" 119

Il contesto da cui prende le mosse il dibattito sul «controllo operaio” è una situazione in movimento dopo anni di stasi. Panzieri e Libertini, partendo da un lato dal rapporto democrazia-socialismo e quindi dal diverso ruolo che il partito deve avere nei confronti della classe operaia, dall'altro dall'analisi del capitalismo italiano, fissano i punti di partenza per una linea alternativa di potere di classe che fronteggi il pericolo di una unificazione socialista nel quadro di una possibile collaborazione di governo.

Il punto di partenza dell'analisi era condiviso da tutta la sinistra nel dopoguerra: l'impossibilità per il capitalismo e la borghesia di diventare classe nazionale, capace cioè di assicurare lo sviluppo della società nazionale nel suo insieme, per le caratteristiche che ha avuto lo sviluppo del capitalismo la Italia (creazione di singoli settori industriali che non si sono costituiti in mercato nazionale, rapporto coloniale con il Mezzogiorno, ricorso permanente alla protezione e al sostegno dello Stato, alleanza coi residui del feudalesimo).

Da questa tesi la sinistra aveva tratto la convinzione che tale ruolo democratico spettasse al movimento operaio e ai partiti che lo rappresentavano. Le “Tesi” rifiutano invece la strategia «gramsciana» di completamento della rivoluzione democratico-borghese, sostituendo all’immagine di un capitalismo debole o inefficiente quella dì un capitalismo espansivo, egemonico, “totalitario”, nei cui confronti le strategie fino allora seguite e prospettate appaiane insufficienti nella misura in cui propongono alleanze che non possono non diventare integrazioni, o mirano a difendere istituti democratico-parlamentari che per loro natura non possono essere il centro della lotta di classe. A questa strategia si contrappone quella del controllo operaio, valida a saldare nella struttura stessa della produzione il momento democratico al momento socialista offrendo “una continuità nei metodi di lotta politica prima, durante e dopo il salto rivoluzionario” e la garanzia dell’autonomia rivoluzionaria del proletariato contro le concezioni di “guida” (partito-guida, Stato-guida).

La fabbrica è vista come il terreno essenziale su cui si determinano i rapporti di forza fra le classi che poi si estendono a tutta la società; in questo ambito gli organi dello Stato sono visti come “comitato d’affari” della classe capitalistica, per cui s'assiste ad una compenetrazione sempre più stretta tra Monopolio e Stato, in cui il primo è portato ad avere un controllo più diretto sull’intera società attraverso l'azione statale che esso determina. Il parlamento è solo la sede dove si registrano e si ratificano i rapporti di forza fra le classi, che si sviluppano e si determinano al di fuori di esse, e l'economia resta "la sfera nella quale si producono i rapporti reali e ha sede la fonte reale del potere”. Da ciò si afferma che la via democratica al socialismo non coincide con la via parlamentare al socialismo: bensì via democratica significa «continuità nei metodi della lotta prima, durante e dopo il salto rivoluzionario ... nella fondazione di istituti di potere nella sfera economica,

119L.Libertini, introduzione a “La sinistra e il controllo operaio”, Milano, 1969,pag.5-6 55; Il testo delle "Sette tesi sul controllo operaio" è stato originariamente pubblicato in «Mondo operaio», a. XI, n. 2, febbraio 1958.

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istituti di controllo degli operai della fabbrica, del settore e dell' intero processo produttivo”120. Per quello che riguarda il rapporto tra classe operaia e partito, contro il riformismo e la burocratizzazione del potare si rivendica l'autonomia rivoluzionaria del proletariato, che «si concreta nella creazione dal basso... degli istituti della democrazia socialista” e nella restituzione del partito alla sua funziona di strumento della formazione politica del movimento di classe, cioè come “sollecitazione e sostegno delle organizzazioni nelle quali si articola l'unità di classe”. E' compito quindi della classe operaia l'equilibrato sviluppo economico, la modo da spezzare il potere dei monopoli, e la trasformazione dell'impresa pubblica da elemento di sostegno e di protezione dai monopoli a “diretto strumento dell'industrializzazione del Mezzogiorno e delle aree depresse”.

In sostanza la "Tesi" affermavano la possibilità per la classe operaia di rafforzarsi attraverso obiettivi di lotta che intaccassero il sistema capitalistico dall’interno; ma riducendo la complessità della stratificazione sociale alla fabbrica, non si vede il rapporto di funzionalità tra settori arretrati e avanzati dell'economia, e quindi dell'azione statuale non come semplice registrazione "politica” del potere economico, ma come momento di gestione complessiva dell'intera accumulazione. Non proponendo una reale alternativa di potere con organismi di controllo, espressione degli interessi non solo della classe operaia ma anche dei suoi alleati potenzialmente rivoluzionari, le “Tesi” non fondano un processo complessivo di dualismo di potere che investa, unificandole, la fabbrica e la società.

Nel PSI le forze che diverranno presto maggioritarie e che vareranno praticamente la formula del centro-sinistra, reagirono alla tematica sul controllo operaio riproponendo, su un ceppo teorico apertamente riformista, la necessità di una trasformazione dello Stato uscito dalla Resistenza, aI fine di operare sulle scelte imprenditoriali forme di controllo pubblico tese a far corrispondere quelle scelte alle necessità sociali della programmazione di uno “sviluppo equilibrato”. Di qui le proposte programmatiche di riforma dello Stato, che nella originaria concezione propria di Antonio Giolitti, prefiguravano una partecipazione diretta delle forze sociali (sindacali in primo luogo) negli organi della programmazione, entro i quali le particolarità delle singole forze sociali sarebbero divenute momento unilaterale da mediare con gli obiettivi dello sviluppo economico complessivo, nel superiore interesse dalla società.

Il PCI ebbe buon gioco a contrapporre alle “Tesi” la politica di controllo democratico dei monopoli, da esercitarsi nella sfera economica con le lotte sindacali, e nella società attraverso la lotta per la democratizzazione dello Stato e per la programmazione antimonopolistica, facendo di questi due momenti l'asse portante della strategia della riforme e, con l’attuazione dalla Costituzione, dell'avanzata democratica verso il socialismo121

Sempre su “Mondo operaio”, nel numero di novembre-dicembre, Panzieri e Libertini pubblicarono le “Tredici tesi sulla questione del partito di classe”, analisi critica condotta sia a livello storico – partendo dalla formazione della socialdemocrazia tedesca e dall’esame delle correnti del PSI prefascista - che sul piano teorico e organizzativo; questa proposta non ebbe però la risonanza e non suscitò il dibattito delle Tesi sul controllo operaio.

5.7 Il 33. Congresso (Napoli, 1959)

120 “1958: il dibattito sul controllo operaio” In “Giovane Critica”, n.24 (autunno 1970), pag. 32-35. Vedi anche “Organismi di potere e fronte antifascista”, ibid.

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Panzieri scrive in una lettera del25 ottobre 1958 a Libero Lizzadri, che aveva conosciuto in Sicilia e che si trovava allora a Mosca “..le nostre tesi sul controllo operaio vengono finalmente ampiamente riprese discusse e accettate anche dai compagni comunisti. Lo stesso rapporto di Togliatti all’ultimo C.C. accoglie problemi e tesi già da noi sviluppati.....Una posizione di sinistra non può essere valida soltanto nell'ambito del partito, deve essere valida nell' ambito dell'intero movimento operaio. D’altra parte, mi pare che, al di là delle divergenti apparenze, i temi che più ci assillano (funzione rivoluzionaria della classe operaia nei paesi capitalistici, lotta per la democrazia sostanziale e non soltanto per la democrazia formale, quindi ripresa offensiva dal movimento operaio, ecc.) si incontrino, per così dire, con gli sviluppi più importanti del movimento operaio nei paesi socialisti...Sono veramente convinto che la linea perseguita da Krusciov costituisce un rivolgimento formidabile..” E in una lettera alla stesso dal 7 novembre 1958 scrive “Qui la battaglia precongressuale è in pieno sviluppo; difficile fare previsioni, ma c'è un dato positivo, anzi molto positivo, che cioè la sinistra si va organizzando su basi serie...”.122 Rimane ancora, in questa fine '58, la sua fiducia negli strumenti tradizionali e nelle possibilità di ripresa rivoluzionaria dall’interno delle organizzazioni dal movimento operaio.

Al congresso di Napoli Panzieri interviene nella seduta del 17 gennaio 1959. Esordisce affermando che “resta una "questione essenziale” come elemento di dissenso dagli "autonomisti", di fronte alla quale le divergenze al loro interno, ad esempio tra Lombardi a Nenni, diventano secondarie, e "consiste nella separazione delle lotte unitarie di massa dall'azione strettamente politica, nella quale rifulgerebbe l'autonomia del Partito... Ed è precisamente da questa separazione che nasce e si giustifica il giudizio da noi formulato, di contadditorietà e di illusorietà della politica proposta dal compagno Nenni...E' dall'analisi stessa della situazione oggettiva nella quale oggi ci muoviamo che emerge in modo immediato la contraddizione insita nelle posizioni dei compagni "autonomisti” ... Ci troviamo oggi in presenza di una fase nuova della politica delle forze capitalistiche» caratterizzata dalla ricerca di un equilibrio diverso da quello tradizionale, che era fondato sull'alleanza industriali del Nord-agrari del Mezzogiorno: i caratteri nuovi nascono dalla più diretta egemonia dei monopoli, che tendono a esercitare in modo diretto il loro potere su tutta la società, secondo i modi caratteristici della loro azione. Si sommano e si fondono insieme così le vecchie caratteristiche del nostro capitalismo, tardivo o parassitario, incapace a reggere una ampia espansione produttiva o uno sviluppo democratico, e le esigenze attuali dalla potenze maggiori di

121 Da parte comunista Paolo Spriano criticò le Tesi in due articoli sull'Unità accusandole di "intellettualismo libresco" per aver espresso un'esigenza di controllo già sufficientemente contenuta nell'«attività attuale dei partiti e dei sindacati». La risposta di Panzieri e Libertini fu:«Nè i partiti né i sindacati si pongono e possono porsi in proprio, in prima persona, il tema di un'azione all'interno delle strutture produttive: essi possono solo stimolare questa azione, includendola organicamente nella propria politica» Un'altra accusa venne fatta, sempre sull'Unità, da Luciano Barca, alla quale i due replicarono su Mondo Operaio: «Dimenticando la funzione del partito, noi avremmo messo in seconda linea l'elemento politico generale, l'elemento cosciente. Le tesi ricadrebbero in un vecchio errore di oggettivismo, poggerebbero sulla vecchia ideologia della spontaneità...L'inganno che è alla base di queste osservazioni critiche risiede nella identificazione rigorosa e assoluta dell'elemento cosciente, politico generale nel partito. Al di fuori del partito non vi sarebbe verità politica, ma solo disintegrazione anarchica». I due risposero poi sulle pagine dell' Avanti! «A chi a questo proposito, qualifica queste osservazioni come reminiscenze gramsciane non aggiornate con la realtà, va replicato che se una analisi siffatta era viva nel pensiero di Gramsci, gli sviluppi ultimi del capitalismo l'hanno resa più valida e non certo meno valida"

122 In “Lettere...”, cit.

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rafforzare e di estendere dentro e fuori della fabbrica i controlli e le garanzie di potere, di porre cioè ogni momento la loro azione in termini di dominio integrale, totalitario, dal basso, delle strutture elementari e fondamentali fino alle strutture organizzative della società, alle strutture dalle stato......(....)...La condizione operaia, cioè la condizione di integrale alienazione dell'operaio nella fabbrica del monopolio, è dunque il posto di partenza di una situazione di controllo totalitario cha il grande capitale cerca di imporre a tutta la società........Se si vuole che la politica dell'alternativa risponda a un vero mutamento dalla situazione, bisogna che essa sia strumento della situazione, bisogna che essa sia strumento efficace per fronteggiare e rovesciare questa azione del capitalismo dei monopoli. Bisogna cioè che essa sia innanzi tutto tesa a rinnovare l'azione dal movimento operaio... Affermare ciò significa riconoscere che la forza decisiva capace di fronteggiare l'azione monopolistica è quella impegnata contro di essa in modo direttamente antagonistico: quella classe operaia che sola è in grado di prendere compiutamente coscienza del significato dell’integralismo del monopoli e di avviare quindi un rovesciamento del processo totalitario"

Respinge l'etichetta di "operaismo":123 “è essenziale il riconoscimento che le lotte operaie debbono finalmente oltrepassare i limiti settoriali, corporativi... partendo dall'azione di riconquista del potere democratico nella fabbrica si gettano le basi per una seria ricostruzione e rinnovamento della sinistra nel paese". Giunge così a definire la politica di alternativa "La politica dell'alternativa si pone come alternativa politica, globale, recata all'interno delle strutture, che tende innanzi tutto quel potere di classe che è sempre più direttamente economico e politico nello stesso tempo. Perciò la scissione dell'azione unitaria di massa e dell'azione politica "di partito" svuota la politica dell'alternativa di ogni serio contenuto. Sottolineando la scissione di questi due momenti, non si fa politica di rinnovamento, si continua anzi.., l'aspetto deteriore precisamente della deprecata politica frontista: non è di oggi la denuncia delle gravi conseguenze che sono derivate al movimento operaio negli anni passarti dalla incapacità di saldare le lotto rivendicative, che restavano spesso limitate negli obbiettivi, abbandonate alla frammentarietà, e gli obiettivi politici generali talora lasciati indeterminati, generici, veramente mitici, comunque sempre perseguiti con una azione politica generica, di vertice, elettorale. Per noi, viceversa, la costruzione dell'alternativa è superamento del carattere immediato e generico delle lotte rivendicative, integrazione costante ad esse di un elemento politico generale - sforzo cioè di collegare non strumentalmente le lotte e l'azione politica, dove compito del Partito è di sospingere il movimento operaio a muoverai sul terreno su cui si muove il suo avversario....Se è vero che nella lotta contro il capitalismo moderno - e questa è per noi la dura lezione di ogni giorno - deve essere esaltata la capacità di autonomia della classe operaia, e che l’'errore più grave è quello di affidare deleghe di azione politica a questo o a quel partito inteso come organismo staccato dalla classe, da questo stesso motivo nasce la nostra posizione nei confronti dei problemi attuali della democrazia socialista e dell'internazionalismo proletario il nostro netto rifiuto delle concezioni di guida»124

123 Nel novembre del 1958 aveva dovuto difendersi dall'accusa di «operaismo» rivoltagli da Emilio Sereni al Convegno del Comitato per la rinascita del Mezzogiorno sui “Problemi economico-sociali di Napoli”, per aver proposto «di creare attraverso la lotta dal basso una alternativa di potere» proclamando l'«inscindibilità della lotta economica da quella politica» e chiedendo la «liquidazione definitiva della tendenza ad assegnare alle lotte dei lavoratori un valore puramente strumentale per delegare ai vertici il compito di fare politica».

124 33. Congresso PSI , Roma-Milano, 1959, pag.353-358. Poi in Dopo Stalin, cit., pag.223-27. Al congresso prevalse la mozione "Autonomia" (Nenni, Lombardi) col 58% dei voti sulla "Sinistra" (Vecchietti, 32%) e "Alternativa" (Basso, 8%)

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Nel corso del '59 si svolgono il convegno sindacale a giugno e quello giovanile a dicembre. Nel commentarne i risultati, si compiace di una ritrovata autonomia di queste forze dai partiti in crisi e di una continuità con il pensiero e l'opera di Morandi: "In questa situazione noi troviamo la conferma della sostanza della politica unitaria, la necessità di ritrovare nel movimento reale le linee di superamento degli ostacoli tradizionali al nostro movimento operaio, delle sue deformazioni massimaliste e riformiste, di ritrovare slancio e prospettive rivoluzionarie. E troviamo nello stesso tempo l'invito a liquidare le vecchie incrostazioni nelle quali si è presentata e continua troppo spesso a presentarsi la stessa politica unitaria che ne era la negazione: vogliamo dire le incrostazioni di dogmatismo ideologico, di inerzia politica, di burocratismo nella organizzazione".

Svanita una proposta di mediazione su una condirezione con il vicepresidente del PSI Francesco De Martino, dopo il congresso di Napoli lascia «Mondo Operaio» per non subire una coabitazione; accetta ancora di essere eletto nel Comitato Centrale per la corrente di Sinistra sulla base di un' alleanza tattica ma, rinunziando agli incarichi di funzionario retribuito (responsabile della commissione cultura e del regionale siciliano, vicedirettore della rivista del partito), deve pensare a una soluzione personale al di fuori dell' apparato e a questo scopo, tramite Giovanni Pirelli, inizia ad aprile la collaborazione con la casa editrice Einaudi

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6. Lavoro all’Einaudi (1959-1963)

6.1 Progetti per il rinnovamento della cultura di sinistra

La collaborazione alla casa editrice si svolge nell’arco temporale di quasi cinque anni (aprile 1959-novembre 1963). Viene assunto nell'aprile 1959 in qualità di redattore interno, su proposta di Giovanni Pirelli125 che faceva parte del consiglio di amministrazione ed era anche azionista. E’ accolto con una certa diffidenza da una parte degli «einaudiani»126. Le difficoltà dell’inserimento, che sconvolgeva ruoli e riti consolidati, era originata sia dalla scarsa attitudine al lavoro editoriale di Panzieri, che non sentiva il problema dell’editoria come strumento di politica culturale ma solo quello della politica come intervento immediato, sia dal fatto che egli portava in casa editrice una cultura diversa, entrando quindi in urto con il gramscismo prevalente

Così la casa editrice scopre di aver acquisito non un redattore, ma un consulente. Il suo ufficio era quasi in permanenza occupato da giovani che venivano a trovarlo e il portiere aveva il suo da fare a pilotare i visitatori verso quello che fu chiamato «l’ufficio politico»127 anche se, soprattutto nel primo periodo, il suo impegno organizzativo e propositivo è evidente.

Gli incontri organizzati a Milano con Pizzorno e Momigliano,128 e la riunione successiva del 24

125 Appartenente alla famiglia di industriali lombardi, militò negli anni ‘40-‘50 nel PSI, dove conobbe Panzieri di cui finanziò le iniziative. Curatore delle “Lettere di condannati a morte della resistenza” e autore di racconti ("L'altro elemento. Quattro romanzi", Einaudi, 1965). Ved. D. Weill-Menard Vita e tempi di Giovanni Pirelli , Milano, 1994, pp. 123 sgg. “Nel 1955 Giovanni Pirelli entra nel Cd’A dell'Einaudi e quando ci fu la trasformazione della casa editrice in una società per azioni divenne un azionista di rilievo....ma non ha mai lavorato da Einaudi....partecipava alle riunioni editoriali, alle famose riunioni del mercoledì. È stato Giovanni Pirelli a mettere in contatto Raniero Panzieri con alcuni collaboratori di Einaudi e a caldeggiare il suo ingresso in casa editrice”. Ved. anche la lettera di Panzieri a Pirelli del 22 marzo 1958, in Panzieri, Lettere 1940-1964, cit., pp. 132-33. Per i rapporti precedenti di Panzieri con la casa editrice, e in particolare per il suo ruolo nella edizione delle Opere di Rodolfo Morandi, ved. Raniero Panzieri e la casa editrice Einaudi, a cura di Luca Baranelli, in «Linea d'ombra», n. 12

126 Nella lettera del 12 maggio 1959 alla moglie «Merluzzi lessi in frigorifero» definiva i redattori Einaudi, indicando nel solo Calvino un possibile interlocutore. In “Lettere 1940-64”, cit., pag.195; Più in generale, sull'ambiente torinese: a M.A.Salvaco, 30 ottobre 1959 "Qui freddo, smog e monopolio" in "Lettere..", cit., pag. 231; ad A. Asor Rosa, 17 dicembre 1959, in "Lettere..." cit, pag. 248, ironico : "per questa volta ti risparmio le consuete descrizioni del campo di concentramento neocapitalistico nel quale vive e piange la mia onesta famiglia (sempre più meridionale)"

127 D. Ponchiroli, citato da S.Merli, Lettere 1940-1964, cit p.XXXV.

128 Dell'incontro con Pizzorno e Momigliano stendeva una relazione nella quale sottolineava che lo scopo di una presenza editoriale della Einaudi in campo sociologico-economico non era quello di introdurre «nella cultura italiana impostazioni e risultati delle varie correnti sociologiche americane...La produzione deve avere un suo "centro" di interesse (che) consisterà

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giugno 1959 a Roma con Bobbio, Alberto Caracciolo, Giolitti, Franco Momigliano, Alessandro Pizzorno, Paolo Sylos Labini, avevano definito gli spazi, i margini e le logiche con cui impostare una collana di scienze sociali. Si sarebbero dovute privilegiare opere che, non nell’adesione a uno «specifico indirizzo sociologico ma nel loro carattere di analisi critiche rispetto al complesso di problemi della realtà sociale moderna, di critica applicata e non di teoria pura, trovavano la loro ragione unificante”, attingendo a una varietà di discipline, dalla sociologia all’economia all’etnologia. Criteri molto generali ma che divenivano più definiti nell’indicazione dei settori da curare, in primo luogo «opere originali italiane» che presupponevano il collegamento con istituti e organismi che potessero fornire materiali e documentazione (dalla Ires-Cgil alle Acli, dall’Umanitaria di Milano alla Svimez) e temi di ricerca relativi ai «problemi italiani» (industrializzazione del Mezzogiorno, Enti di riforma, struttura finanziaria e organizzativa dei monopoli, mercato del lavoro, la figura dell’imprenditore). All’incontro romano non aveva partecipato Ernesto De Martino, che tuttavia aveva inviato un appunto in cui avanzava anche suggerimenti di tipo organizzativo, indicando l'opportunità di definire una «équipe di responsabili che diriga collegialmente la collana, e che elabori annualmente un programma di massima», il cui coordinamento fosse affidato a Panzieri. 129

Questa collana avrebbe dovuto occupare lo spazio della riflessione sul contemporaneo,130 proiettando la Einaudi in un settore formativo rivolto all’educazione di quella generazione che, nata negli anni di guerra, era ancora da indagare e scoprire. Da un primo consuntivo steso da Panzieri nel 1960 appaiono l'articolazione della collana “La Nuova società”, e un ampliamento degli spazi nel tentativo di darle «più giuste dimensioni e più evidente significato», collocandovi opere «che si possono ormai considerare classiche, ma sono alla base della problematica e degli sviluppi più recenti», da Durkheim a Pareto, a Weber, a Schumpeter, a Veblen o al Capitale finanziario di Hilferding, da tempo tradotto e mai pubblicato131; accanto ad esse Panzieri ipotizzava anche uno spostamento alla sua collezione dell'Accumulazione della Luxemburg.132 In questa occasione

essenzialmente nell'analisi delle strutture economico-sociali e dei rapporti di classe».

129 II 21 ottobre 1960 Ernesto De Martino scriveva a Panzieri per avere una risposta circa una raccolta di testi, e a Solmi che annunciava una prossima risposta di Panzieri replicava il 5 maggio 1961: «Naturalmente il buon Panzieri continua a tacere [...] occorre proprio attendere "la fine del mondo" perché il nume parli?»

130 15 maggio 1959 «La mia proposta di fare libri di sociologia ed economia è stata accolta molto bene, e soprattutto Bobbio, nonostante il suo scetticismo su Einaudi, se ne è entusiasmato [...] Non potremo fare una produzione soltanto marxista, ma potremo inserire molti volumi che contribuiranno a riportare le edizioni un po’ più vicine agli interessi della cultura di oggi» (Panzieri, Lettere 1940-1964 cit., p. 199).

131 Nel novembre, informato che lo Hilferding era in preparazione presso Feltrinelli, chiedeva a Giolitti se era possibile pubblicare subito la traduzione esistente presso la Einaudi: «Non mi pare che si possa rinunciare, nel quadro della produzione Einaudi, alla pubblicazione di un'opera così importante e, per certi aspetti, nuovamente attuale». Giolitti rispondeva che la traduzione del Capitale finanziario giaceva da qualche anno a Torino, non ancora rivista, per la collana Classici dell'economia

132 II libro della Luxemburg apparve nel 1960 - anno in cui venne pubblicato anche Produzione di

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Panzieri sottolineava anche il «contributo di consulenza» particolarmente attivo di Lanternari e di Pietranera, al quale Panzieri si era rivolto per l'introduzione a un libro molto significativo all'epoca come quello di Rostow133, e che veniva interpellato anche per il progetto della collana Nuova libreria134 e per una raccolta di scritti di Schumpeter e della Robinson.

Nel luglio 1959 partecipa al congresso internazionale di sociologia di Stresa, che gli serve per prendere contatto con gli studiosi italiani e stranieri. Via via meno coinvolti risultavano i tradizionali consulenti per questi settori, Bobbio ma soprattutto Giolitti, con il quale del resto si sviluppava una polemica, che risentiva anche della sua rivista «Passato e Presente», e del suo orientamento politico, sempre più divergente da quello di Panzieri, e sempre più sentito come antagonista. Quasi inevitabilmente Panzieri vedeva nella casa editrice anche uno dei possibili riferimenti per una sinistra che nei partiti non trovava più modo di esprimersi - concezione non estranea alla storia della Einaudi ma mai così esplicita - come rivelavano i suoi contatti editoriali (Alessandro Pizzorno, Ruggero Amaduzzi, Rita Di Leo, Giovanni Carocci, Danilo Montaldi135, Paolo Sylos Labini, Luciano Gallino136, Giovanni Mottura)

Intanto un mutamento era avvenuto nel rapporto con la casa editrice. Dall'ottobre 1960 Panzieri non era più redattore interno, ma aveva definito un contratto di consulenza137, pur precisando che questa richiesta non aveva «minimamente il significato di un impegno minore nel mio lavoro»; e affermava che non si era rimasti alla fase della semplice «ideazione», ma era stato necessario un lavoro preliminare «di allacciamento di contatti e collaborazioni, in campi nei quali le Edizioni avevano per un certo tempo segnato il passo»138.

Attiva era anche la sua presenza nei Consigli editoriali. Dal suggerimento di Strumilin, Il passaggio dal socialismo al comunismo e le prospettive dell'economia sovietica,139 all'ipotesi di una storia delle inchieste meridionali affidata a Massimo Salvadori, a Wright Mills, alla raccolta di economisti sovietici a cura di Lisa Foa, agli scritti di Fanon a cura di Giovanni Pirelli,140 a Renée Rochefort, Le Travail en Sicile, a Hollingshead e Redlich, Social Class and Mental Illness: titoli e proposte per La nuova società appaiono quasi in ogni riunione del Consiglio editoriale. Altrettanto continuativi sono i suggerimenti per i Libri bianchi: da un secondo Deutscher da far seguire al libro bianco del 1957141, a Mothé, Joumal d'un ouvrìer, al quale avrebbe dovuto seguire Cultura e classe operaia142, a una raccolta su protestantesimo e socialismo che avrebbe dovuto comprendere scritti di Barth, agli Entretiens avec Claude Lévi-Strauss di Charbonnier.

merci a mezzo di merci di Piero Sraffa - a chiudere la collana Classici dell'economia.

133 The Stages of Economic Growt di Rostow era stato proposto da Panzieri per i Libri bianchi dove sarebbe apparso nel 1962. Panzieri osservava che il saggio aveva un interesse prevalentemente politico, e, pur con una «incredibile deformazione del pensiero di Marx», presentava una tesi di indubbia originalità: «II leninismo, che si è impostato soprattutto come problema politico, è riuscito ad affrontare il problema economico dello sviluppo nei paesi sottosviluppati». Giulio Pietranera accettava di fare l'introduzione.

134 A novembre 1959 Panzieri aveva informato Pietranera che le sue due proposte (Idealismo e marxismo nell' economia e Le teorìe dello sviluppo capitalistico) erano state entrambe accettate, una per i Saggi e l'altra per la nuova «collana sociologica», per la quale gli ricordava la promessa di dare consigli e suggerimenti.

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6.2 Altre proposte: Trotskji e l’URSS, la “Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi”...

Nell’Einaudi c’era una costante attenzione sugli sviluppi della situazione in URSS, congiunta anche con l'ipotesi di riproporre i testi degli «eterodossi».

Già nel 1960 era apparso “Trotskij oggi” di Ernesto Maitan143, nella collana “Libri bianchi”, dopo una travagliata gestazione: nel giugno 1958 Maitan aveva scritto dell'impostazione che intendeva dare: «II tema deve essere attualità di Trotskij o simili. Tutti i problemi sono visti, in altri termini, in collegamento stretto con i problemi che attualmente - soprattutto dopo il XX Congresso - si pongono al movimento operaio». Dubbi venivano espressi da Solmi, Venturi e Bobbio (Consigli

135 Ci fu con lui uno scambio epistolare relativo, ma non solo, al lavoro editoriale. Questo il giudizio di Montaldi su Raniero, espresso per confutare Merli che lo includeva in uno stesso filone con Bosio e Foa : "Panzieri era uno dei rari marxisti nel PSI..(...)...ma non era per niente un leninista nel senso pieno del termine; questo fatto, comunque, non gli proibiva di partire con una visione del tutto nuova della lotta di classe in Italia e nel mondo, il cui senso fosse possibile interpretare con strumenti adeguati; con l'intervento di nuove forme culturali e politiche le quali mutassero fin dall'inizio le condizioni del movimento di classe, addirittura nel rapporto antigerarchico da istituire fra i compagni, rompendo la disciplina astratta istituita dai C.C. ....(...).... Quando Panzieri guardava agli organismi di base sapeva, anche per l'esperienza condotta in Sicilia al tempo dell'occupazione delle terre, che bisogna sempre fare i conti con qualche solidificazione locale (spesso rappresentata da uno o più responsabili di base che, capovolgendo il culto, nella situazione si era non soltanto assiso, ma si era disposto a covarvi uova insane), la quale generalmente s'opponeva, coscientemente o no, all'allargamento verso la visione più corretta e ampia dei concreti problemi del periodo, e che tale cristallizzazione andava portata a coscienza di sé e combattuta collo strumento del convincimento e della chiarezza" che così conclude l'articolo : "Non capisco perché Merli infili nel comunismo libertario pure Panzieri....era stato a lungo morandiano, quindi staliniano. Uno staliniano intelligente, che tendeva a dare un contenuto allo stalinismo del PSI. Si legge dai suoi scritti del periodo, e lui stesso non aveva difficoltà a parlarne. Compagni romani d'orientamento bordighiano o trotzkista lo ricordano aspramente polemico nei loro confronti, anche se aperto e scrupoloso, non facilone o vile come altri." (ma su questo aspetto vedi la diversa testimonianza di Maitan nella pagina seguente) In "Ombre Rosse", n.13, febbraio 1976, ora in "Bisogna sognare. Scritti 1952-75" Milano, 1994, pag. 481-94

136 Il sociologo Giuseppe Bonazzi racconta di aver dato la bozza di "Anomia e alienazione nella grande industria: ricerca sui lavoratori dell'automobile" a Panzieri, che lo trattenne senza però mai proporlo per la pubblicazione in comitato di redazione, attribuendo questa scorrettezza al settarismo del gruppo dei Q.R.

Ved. "Lampadine socialiste e trappole del capitale: come diventai sociologo", Bologna, 2006, pag. 95 .

Il libro fu poi pubblicato con prefazione di Vittorio Foa dalle Edizioni Avanti! nel 1964. La recensione favorevole di Maria Coletti sul n.5 dei Quaderni Rossi porterebbe però a escludere una ostilità preconcetta da parte dei Q.R. nei suoi confronti.

137 In una lettera ad Alberto Asor Rosa del 26 ottobre 1960 Panzieri collegava esplicitamente questa modifica del contratto con Einaudi all'impegno organizzativo per «Quaderni rossi» e «a

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editoriali del 22 ottobre e del 26 novembre 1958); in particolare Solmi notava che il testo non parlava, come invece ci si attendeva, delle attuali correnti trotzkiste, ma dell'attualità del pensiero di Trockij, e Giulio Einaudi suggeriva di intitolarlo Apologia dì Trotskij. Il 25 febbraio 1959 Maitan protestava per aver saputo che al saggio sarebbe stata premessa «non una nota, ma una lunga prefazione e che questa prefazione sarà polemica contro il testo. Spero che si tratti di un'esagerazione pubblicitaria; in caso contrario dovrei fare la ipotesi di una scorrettezza inqualificabile da parte di Solmi». Ma il 27 febbraio Calvino lo rassicurava: in effetti si trattava di una nota redazionale in cui Solmi osservava che il «bando» ancora in corso contro Trockij rendeva impossibile «comprendere la natura e le contraddizioni attuali dell'URSS». Il 6 aprile Calvino scriveva a Maitan di aver trovato il suo testo «convincente e argomentato» e non agiografico:

tutto il lavoro che ci proponiamo» (Panzieri, Lettere 1940-1964, cit., p. 287).

138 Panzieri a Einaudi, 13 ottobre 1960 (ìbid., pp. 283-84). Il contratto di collaborazione in data 1° ottobre prevedeva una consulenza «specificamente per la cura della collana "La Nuova Società"», per i Saggi e per i Libri bianchi. Seguiva un dettagliato programma della Nuova società con precisi tempi di consegna e di programmazione dei volumi. A parte i manoscritti già pronti (Worsley, Perroux, Sylos Labini, Jahn, Sweezy, Pietranera), venivano indicati quelli di prossima consegna (Huberman e Sweezy, Strumilin, Montaldi, Di Leo), tutti poi apparsi tra il 1961 e il 1962. Nella Nuova società era previsto anche Hobsbawm, I ribelli, pubblicato poi nei Saggi. Alcuni dei volumi indicati come ancora in preparazione (Kaldor, Nurkse, Freyre, G. Myrdal, Berle e Means, Ossowski) sarebbero poi confluiti nella Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi.

139 Nel Consiglio editoriale del 18 novembre 1959 sosteneva questa proposta di Sylos Labini, Pietranera e Lisa Foa osservando che si trattava d’un economista «grandissimo che non si era piegato come Varga al dittatore»

140 Consiglio editoriale del 12 luglio 1961. Contemporaneamente all'impegno per le Lettere della Rivoluzione algerina e a un'ipotesi di raccolta di testimonianze di disertori francesi, era stato Pirelli a segnalare il 25 maggio 1961 a Panzieri il saggio di Fanon, De la violence, apparso su «Temps Modernes», come «molto "avanzato"», e a prendere contatto con Fanon stesso, di cui trasmetteva a Panzieri copia di una lettera relativa alla sua disponibilità a cedere a Einaudi i diritti delle sue opere. Il 22 luglio 1961 Pirelli inviava a Einaudi un promemoria in cui lamentava il disinteresse della casa editrice per le opere di Fanon: «Colpa mia. Colpa di non essere stato abbastanza energico nel denunciare una visione ristretta e mercantilistica della questione. Lo faccio ora, sebbene con grande ritardo, per dire che tra la mia valutazione di curatore dell'opera e l'interesse della casa editrice per questo autore c'è un divario incolmabile»; Weill-Ménard, Vita e tempi.. cit., pp. 147 sgg.

141 Nel Consiglio editoriale del 16 marzo 1960 Panzieri proponeva appunto la raccolta delle più recenti conferenze di Deutscher, «molto belle e acute, molto intelligenti»

142 Consiglio editoriale del 23 novembre 1960. Su Daniel Mothé, Diario di un operaio (1956-1959), cfr. la nota redazionale in R.Panzieri, La crisi del movimento operaio...., cit., pp. 263-5

143 L. Maitan “La strada percorsa: dalla Resistenza ai nuovi movimenti. Lettura critica e scelte alternative” Bolsena, 2002: “Avevo avuto modo di conoscere Raniero subito dopo la guerra,

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«Nella mia scontentezza per le varie posizioni della sinistra italiana la lettura del tuo libro mi conferma nella necessità d'una politica rivoluzionaria alla precisazione della quale vedo che il pensiero trotzkista non può non esser tenuto presente».

Il 17 novembre 1959 Maitan proponeva a Panzieri un piano per una antologia di Trockij e il 18 novembre Panzieri suggeriva in Consiglio editoriale di affidare a Maitan una raccolta di scritti di Trockij dell'ultimo periodo, usciti poi nel 1962 col titolo “Scritti 1929-1936”

Solmi, a proposito della prefazione di Maitan alla raccolta di Trockij, osservava:Ti avevamo già detto che vorremmo presentare questi scritti in modo il più possibile storico e oggettivo e anche per questo (per dare maggiore «autorità» all'edizione) ci siamo rivolti a Deutscher e poi a Carr [...] La tua prefazione ideologico-polemica, mentre non fornisce quei dati che potrebbero essere utili per comprendere la genesi di questi scritti [...] rischia di essere controproducente, allontanando il lettore prevenuto da un testo già «sospetto», mentre il compito della pubblicazione di questi scritti presso Einaudi dovrebbe essere proprio quello di reintrodurre il pensiero e l'opera di Trotzki nel circolo «ufficiale» della cultura di sinistra italiana, superando i vecchi limiti e tabù ideologici.144

A completare il quadro dei rapporti tra Panzieri e i Gruppi Comunisti Rivoluzionari (GCR), sezione italiana della Quarta Internazionale, seppure riferiti ad un periodo successivo, l’esperienza dei Quaderni Rossi venne seguita attentamente sia da Bandiera Rossa, organo dei GCR, con contributi critici sulla trasformazione della condizione operaia, sia con tavole rotonde con gli animatori dei Quaderni Rossi e con riunioni comuni in via Bligny 10, sede del gruppo. Aggiungiamo questa testimonianza di Paolo Samonà “io e Augusto Illuminati - entrambi militanti dei GCR - ci recammo da lui, all’Hotel Inghilterra dove alloggiava, (...) gli proponemmo l’iscrizione ai GCR.

durante la comune militanza nel Psiup. Ci eravamo:però visti solo di sfuggita: non c' erano molte occasioni d'incontro, tanto più abitando in città diverse, tra chi come me apparteneva a Iniziativa socialista e chi seguiva, i più accaniti fautori della fusione con il pci Dovevamo però incontrarci, pronubo Giuseppe Paolo Samonà, dopo il XX Congresso, quando Raniero era divenuto responsabile di Mondo operaio. Il rapporto diventava subito così caloroso che era Raniero stesso a sollecitare un mio intervento nel dibatto sul controllo operaio, promosso sulla rivista da un testo suo e di Lucio Libertini. Il caso voleva che in quel periodo abitassimo non solo nella stessa città, ma anche nello stesso quartiere a poche centinaia di metri di distanza. Così diventavo un frequentatore della sua casa di viale Medaglie d'Oro, stabilendo un legame a livello famigliare. Potevo perciò via via rendermi conto di come Raniero fosse sempre più estraneo al Partito socialista e sempre più radicalmente critico anche nei confronti del Partito comunista. Questa era l'origine del pratico distacco da Lucio Libertini, che considerava troppo influenzato da considerazioni tattiche e troppo proclive a manovre interne Quando Raniero si trasferiva a Torino per lavorare alla editrice Einaudi, continuavo a incontrarlo in occasione de miei frequenti viaggi in quella città, qualche volta pernottando a casa sua. Tramite lui cominciai a frequentare a mia volta la redazione della casa editrice, di cui sarei poi divenuto collaboratore (era uscito, nella collana bianca, il mio: Trotsky, oggi). Ed era proprio con Panzieri che concordavo la pubblicazione di un volume di scritti di Trotsky, che sarebbe uscito nel 1962. Di questo volume (Scritti: 1929-1936} avremmo fatto, assieme a Colletti, la presentazione a Roma, in un affollatissimo dibattito con la partecipaziene anche di Paolo Spriano Parte dell'intervento di Raniero e una mia intervista erano trasmessi alla radio. Particolare curioso:qualcuno trovò che Panzieri era apparso un sostenitore di Trotsky più ortodosso del sottoscritto! Grazie a questi rapporti e alle periodiche conversazioni, avevo potuto seguire, anche se dall'esterno il percorso di preparazione dei Quaderni rossi ...Il punto culminante del nostro rapporto con i Quaderni rossi era una tavola rotonda tra Raniero e Vittorio Rieser da una parte e Renzo Gambino e chi scrive dall' altra.”

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Rifiutò con garbo e cortesia: disse che condivideva molte delle analisi dei trotskisti, ma che politicamente aveva in mente un progetto diverso da quello ipotizzato dalla Quarta Internazionale. Era giunto alla conclusione che occorresse cominciare da capo, dalle leghe operaie come era avvenuto cent’anni prima”145.

Nel presentare al Consiglio editoriale del 14 febbraio1962 il piano di Lisa Foa per una raccolta di scritti di Bucharin tra il 1926 il 1928, Panzieri proponeva di istituire un gruppo di lavoro per una serie di libri documentari sull’Urss, di cui avrebbero dovuto far parte Migliardi, Strada e Venturi, ma proprio quest’ultimo avanzò obiezioni suggerendo, invece dei libri di documentazione, opere di «interpretazione storica». Fu una divergenza che si prolungò nello stesso Consiglio con la discussione su come periodizzare il volume di scritti di Trockij.

Sottinteso un contrasto di fondo: per Panzieri si trattava di riesplorare le alternative possibili interne al sistema sovietico stesso, per Venturi di ratificare attraverso la storiografia una condanna inappellabile. Ne fu conferma uno scontro sul libro di Herlich, Dibattito sulla industrializzazione sovietica, a proposito del quale Venturi sottolineava l’interesse storiografico e documentario, fondato su materiali «totalmente sconosciuti». Vivace la replica di Panzieri nel denunciare «il punto di vista formalistico e borghese da cui è viziata l’intera trattazione», che perciò risultava totalmente acritica, e nel rimarcare che i documenti «sconosciuti» erano ormai largamente superati dal dibattito in corso e da libri in via di pubblicazione anche in Italia.

Dal maggio 1962 qualcosa andava cambiando. Einaudi scriveva infatti a Sergio Steve: «Abbiamo intenzione di avviare, nei prossimi mesi, una nuova collezione di scienze economiche, giuridiche e sociali, divisa, per l'appunto, in tre sezioni; e vorremmo assicurarci la tua consulenza e la tua collaborazione attiva per la sezione economica [...] Spero vivamente che tu possa venire a Torino per la riunione di "fondazione", che vorremmo tenere alla tua presenza, con Bobbio, Panzieri e Solmi».146 Era il primo annuncio della collana Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi (Nbse) nella quale confluiva la collana di Panzieri. La prima conseguenza era che da direttore di una collana Panzieri diveniva uno dei membri di un gruppo di lavoro che, pur nella distinzione delle competenze per le varie sezioni, aveva la responsabilità collettiva della nuova collana. Temporalmente la decisione coincideva con i fatti di piazza Statuto che, nel luglio 1962, coinvolgevano il gruppo di «Quaderni rossi».147

I riflessi di una radicalizzazione delle scelte politiche si possono cogliere nei Consigli editoriali 148. Uno scontro si era avuto, ad esempio, sul libro di Roberto Giammanco, Dialogo sulla società americana. Nel presentarlo (16 gennaio 1963) Solmi, criticandone lo stile, lo indicava come molto vivo; Calvino, pur apprezzandone alcune parti, nel complesso «pesante», e Bobbio interessante ma «lugubre», «orwelliano», un «po' fanatico». Panzieri, condividendo la critica ai «difetti vistosi di scrittura», osservava che non esisteva un altro libro così intelligente sull'America. Il dato più

144 Solmi a Maitan, 20 ottobre 1961. Maitan insisteva perché la sua introduzione non avesse solo il carattere informativo che gli veniva richiesto, ricordando che i testi di Trockij «hanno cessato di essere "sospetti" e che anzi verranno ricercati da ampi strati di militanti» e che era comunque necessario confutare «clichés non immaginar!, ma reali» (Maitan a Solmi, 15 novembre 1961). Il 17 novembre Solmi dichiarava che nella sua richiesta di modifiche non c'era "nessuna riserva e nessun sabotaggio. Se la casa editrice è meno sensibile di una volta a certe esigenze di ordine politico, e non è così solo per Trotskj, la colpa non è mia "

145 Yurii Colombo "Il movimento trotskista in Italia durante la stagione dei movimenti sociali (1968-1980)" Sul sito: www.giovatelpa.it/capitolo1

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significativo è che si decise di votare, una prassi del tutto inconsueta che significava il venir meno delle capacità di mediazione che contraddistinguevano il Consiglio editoriale.

Nel marzo 1963 Panzieri predisponeva un Promemoria per una riunione a Roma per discutere di una ridislocazione delle opere di economia e scienze sociali nell'intero arco delle collezioni Einaudi. Per la nuova collana Nbse, nella quale era già previsto un numero consistente di opere149, l'indicazione si limitava alla necessità di incrementare i contributi di autori italiani e di utilizzare più ampiamente la formula antologica. Per la Nue veniva proposto «l'inserimento di testi classici di particolare importanza nel contesto del pensiero economico attuale, presentati in edizioni di alto livello scientifico con ampie introduzioni storico-critiche e bibliografie»: un'esigenza che si fondava

146 Einaudi a Steve, 14 maggio 1962. A Steve si era rivolto Panzieri a fine '60 per chiedergli di curare un'ampia scelta di Kaldor e per suggerirgli anche Ernest Mandel, Traitè d'economie marxiste, «notevolmente originale», nonostante l'impianto scolastico, e con una «trattazione seriamente storicizzata» (Panzieri, Lettere 1940-1964 cit., pp. 280 e 297). Steve, ricevuta la traduzione del Mandel, affidata a Maitan, osservava che si trattava di un'opera di «buone intenzioni» e con qualche spunto interessante, ma in sostanza di «uno zibaldone male organizzato» e «al livello di una cattiva compilazione». La soluzione migliore gli sembrava cedere la traduzione a qualche editore «con standards più correnti». La questione avrebbe avuto qualche strascico polemico. Alle proteste di Maitan per il ritardo di pubblicazione, Ponchiroli gli scriveva che il Mandel era stato accettato per le insistenze di Panzieri, ma che il Consiglio editoriale, e anche Solmi, non ne erano mai stati convinti: «Caduto Panzieri sul campo dell'onore, è logico che, mancando il più solido sostegno, la frana abbia luogo». Maitan indicava «il vero avversario del volume in questione»in Steve, che aveva avanzato anche rilievi sulla qualità di alcune traduzioni affidate da Panzieri che, seppur «oneste», denotavano per lo più «una scarsa conoscenza dell'economia» ed erano quindi bisognose di un'attenta revisione

147 Cfr. Panzieri, Lettere 1940-1964 cit., pp. 338-56.

148 Così nel caso della proposta di una raccolta degli scritti di Nenni dal 1922 alla Liberazione alla quale Panzieri opponeva un rilievo «di fondo»: pubblicare Nenni poteva essere fatto all'interno di una scelta degli scritti dei più significativi uomini politici, se non si voleva dare un carattere contingente alla decisione. Sempre Panzieri avanzava obiezioni a una antologia di Tamburrano e Coen sulla pianificazione, suggerita da Giolitti, perché sullo stesso tema c'era un progetto in corso nato da incontri con Forte, per cui Panzieri aveva già preso contatto con Steve

149 In un allegato era indicato lo stato di programmazione della collana: «Opere pronte: Nurkse, La formazione di capitale nei paesi sottosviluppati; Myrdal, II valore nella teoria sociale; Berle & Means, La società anonima moderna; Harrod, Keynes. Opere in traduzione: Ossowski, La struttura delle classi sociali; Melman, Formazione delle decisioni e produttività; Balandier, Sociologia dell'Africa nera; Kantorowicz, Saggi di econometria; Mandel, Trattato di economiamarxista; Lange, Saggi sullo sviluppo economico; Hollingshead, Salute mentale e classi sociali; Baran-Sweezy. Opere da affidare in traduzione: Kaldor, Essays on Value and Distribution; Balogh, Unequal Partners; Baumol, Welfare Economics and the Theory of the State; Schneider, Money, Income and Employment; Myrdal, L'elemento politico nella formazione delle teorie dell'economia pura. Sono inoltre in preparazione opere di Steve, Garegnani, Pietranera, Lombardini». Questo Promemoria è allegato alle lettere di convocazione della riunione per il 6 aprile presso la sede romana della Einaudi cfr. anche Raniero Panzieri e la casa editrice Einaudi cit.

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tanto sulla mancanza in Italia di traduzioni adeguate, quanto sulla utilità di riproporre comunque «taluni classici nelle condizioni attuali della ricerca»150.

Una particolare attenzione era poi dedicata alle «opere di dibattito e documentazione su problemi italiani attuali e di economia internazionale nei Libri bianchi», a proposito dei quali Panzieri osservava che, già da qualche tempo, ai temi originari di «dibattito ideologico» si era affiancata «una tematica più concreta (soprattutto intorno a problemi di politica internazionale)», ma che era tempo di avviare «uno sviluppo ulteriore della collana con la pubblicazione di volumi dedicati, in particolare, alle questioni più vive di politica italiana e internazionale”.151 Inoltre suggeriva l'inserimento di saggi di economia e sociologia nella collana Studi e ricerche, che avrebbero potuto accogliere «i risultati del lavoro di giovani studiosi che si rivolgono oggi con tecniche rigorose alla ricerca economica e sociologica su temi di notevole impegno», e faceva i nomi di Rieser, Spesso, Cicerchia152.

Infine c’era il progetto di organizzare «un’opera complessiva sull’economia italiana degli anni ‘60, organicamente concepita ad opera di un gruppo di studiosi e fondata su ricerche a livello economico (non statistico) sugli aspetti salienti delle strutture italiane e sulle proposte di soluzione», da aggiornare eventualmente anno per anno, oltre all’inserimento di alcuni manuali nella Pbe (come quelli di Forte, Introduzione alla politica economica. Il mercato e i piani; di Dobb, I salari; di Napoleoni, II pensiero economico del ‘900..).

Nella tradizionale riunione della casa editrice di fine estate a Rhémes in Val d’Aosta, nel 1963 viene riorganizzata la produzione con la concentrazione delle collane: nella Nue confluivano tutte le collezioni di testi e anche ristampe o antologie di scrittori politici italiani, compresi Gobetti e soprattutto Gramsci, per il quale era aperta la concorrenza con altri editori. Sono elementi del concludersi della fase di disorientamento seguita, nel passaggio agli anni sessanta, alla rottura con il PCI e allo spostamento dell'asse culturale della casa editrice che, pur continuando a sentirsi parte della sinistra, si rende disponibile a far da sponda alla affermazione di una nuova cultura al di fuori di quella dei partiti storici della sinistra, alla Einaudi impersonata da Panzieri, Fortini 153 e

150 Tra gli autori indicati c'erano Quesnay, Petty, Smith, Ricardo, Mill, Marx, Walras, Schumpeter, Veblen, e si suggeriva anche una serie dì classici italiani. Ma va ricordato che al Consiglio editoriale del 12 dicembre 1962 Panzieri aveva già proposto per la Nue gli scritti giovanili di Engels, che lui stesso aveva in parte tradotto, la ristampa dei Manoscritti economico-filosofici nella traduzione di Bobbio, degli Scritti politici giovanili di Marx nella traduzione di Firpo (con revisione di Antonio Negri e Gian Mario Bravo), dei Principi della filosofia dell'avvenire di Feuerbach nella traduzione di Bobbio, e gli scritti storici di Marx

151 Nello stesso periodo Panzieri suggeriva nei Consigli editoriali alcuni titoli in questa direzione: una storia narrata dei rapporti di fabbrica di Aris Accornero, su cui però si era espresso negativamente Calvino e un’antologia di interventi sull’agricoltura a cura di Rita Di Leo (Consigli editoriali del 9 gennaio e del 20 marzo 1963)

152 Già in Consiglio editoriale Panzieri aveva proposto il libro di Ruggero Spesso sugli schemi di riproduzione del ciclo economico; la tesi di Vittorio Rieser sul problema dell’integrazione nella sociologia contemporanea, su cui c’era anche il parere positivo di Bobbio; la ricerca di Carlo Cicerchia, «giovane studioso marxista e sindacalista militante», su stratificazione sociale, salario e sviluppo nell’agricoltura (Consigli editoriali del 6 e del 20 marzo 1963).

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Solmi154. Era questo progetto nell’estate 1963, ad entrare in collisione con le altre anime della casa editrice.

Un disegno ad ampio reggio: se Panzieri accettava di fatto la convivenza con altri studiosi nella Nbse, spostava contemporaneamente il suo raggio d’azione soprattutto verso le collane Libri bianchi e Studi e ricerche, strumenti anche per coagulare e formare il gruppo che agiva intorno a «Quaderni rossi.

6.3 Il "caso" Fofi e la fine di un progetto politico-culturale

In questo quadro vanno collocati gli svolgimenti del «caso Fofi». Prevista inizialmente per “Nuova società”, l’indagine di Fofi sull’immigrazione meridionale a Torino155 era stata proposta da Panzieri nel Consiglio editoriale dell’8 marzo. L’8 maggio 1963 informava il Consiglio editoriale che Fofi aveva consegnato il libro: «Circa 400 pagine, pieno di dati, molto serio, e scritto anche con vivacità. Andrebbe perfettamente nei Libri bianchi: senonché c’è una grossa parte statistica, cui l’autore tiene perché smentisce le statistiche precedenti. Solmi si associa, e sottolinea la chiarezza

153 Sull’analogia di scopi e la differenza di valutazioni politiche e di mezzi cfr. le lettere tra Panzieri e Fortini a proposito di Dieci inverni, in Panzieri, Lettere 1940-1964 cit., pp. 112-24.

154 Solmi in Gli anni di Panzieri, («Linea d’ombra», n. 12, 1985) così a venti anni dalla morte ricostruiva quelle indelebili impressioni: Incontrare Raniero, e stabilire un rapporto di amicizia con lui è stato per me come entrare per la prima volta in contatto con la tradizione intellettuale e col patrimonio di lotte del movimento operaio, che egli incarnava e rappresentava, ai miei occhi, per l’intensità con cui aveva vissuto un quindicennio di militanza politica nel partito socialista e per la sicurezza (insieme distaccata e appassionata) con cui egli si muoveva in quel mondo e sapeva farsi mediatore dei suoi valori e delle sue istanze anche con chi, come me, non avendo mai fatto esperienze di partito, e non avendo conosciuto nessuna forma di milizia politica continuativa, era sempre rimasto, a ben vedere, ai suoi margini, in una posizione un po’ velleitaria di partecipazione ideologica e intellettuale, a cui era mancato tuttavia pur sempre l’elemento decisivo del rapporto diretto con la classe operaia (nel senso più lato di questa espressione) e coi protagonisti effettivi delle sue lotte [...] Conoscendolo, ho avuto l’impressione di imbattermi in un filo che veniva da molto lontano, e che egli aveva avuto il merito di custodire e di sviluppare senza spezzarlo o confonderlo con altri; e che a quel filo avrei dovuto continuare ad attenermi, per quanto stava in me, anche in seguito

155 Pubblicata poi dalle Edizioni Avanti: F. Fortini, Sempre antiamericano, in "La Stampa", 13 settembre 1991 "Siamo alla Einaudi, tra il '63 e il '64, anni in cui la casa editrice è molto vicina al partito comunista. Si apre un fronte di battaglia su un libro che scotta: L'immigrazione meridionale a T orino di Goffredo Fofi. Si diceva che venisse rifiutato anche su pressioni della Fiat. Ci fu una lotta per pubblicarlo, condotta all'interno della redazione da Raniero Panzieri e Renato Solmi, che erano due teste dure. E si è arrivati a una votazione, metà a favore e metà contro: il libro è bocciato con il voto decisionale di Giulio Einaudi. Dopodiché venne il licenziamento di Solmi e di Panzieri. Anch'io finii a insegnare in un istituto tecnico. E un anno dopo Panzieri muore, letteralmente non aveva da dar da mangiare ai suoi figli. Giovanni Pirelli acquistò un panno di stoffa rossa per coprire la bara; Rifiutammo qualsiasi partecipazione politica. Fu un funerale senza una parola"

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dello stile. Si decide di riparlarne con più agio e più avanti».

Solmi, incaricato della revisione in bozze, nel settembre 1963 informava Einaudi156 che il libro poteva presentare aspetti delicati. Una questione su cui la casa editrice era sensibile, dopo il sequestro e la causa per i Canti della nuova Resistenza spagnola, il caso Piccardi e Mafia e politica di Michele Pantaleone in cui era stato coinvolto anche Panzieri.157

Einaudi scriveva poi ancora a Fofi precisando che il libro gli sembrava «pubblicabile soltanto in una sede editoriale più legata all’attualità pubblicistica di quanto sia la nostra» e inviava copia a Panzieri, a cui scriveva di aver espresso anche a Solmi il suo stupore «che si sia fatto tanto rumore intorno a un libro che sostanzialmente è così debole, sia sul piano metodologico e critico, sia sul piano politico». Panzieri stesso, a parere di Einaudi, non poteva non condividere questo giudizio. E con un repentino salto indicava in questo episodio il punto d’arrivo di un deterioramento di rapporti ormai irrimediabile:”Debbo constatare con dispiacere che in questo, come in altri casi, sono stati introdotti nella sfera del nostro comune lavoro editoriale interessi e preoccupazioni di natura affatto estranea al lavoro stesso [...] Questo del libro di Fofi non è che l’ultimo episodio in cui si manifesta una divergenza profonda esistente tra noi circa gli orientamenti e i metodi del lavoro editoriale. Le scelte a cui vengo posto di fronte con atteggiamenti che a volte sfiorano la provocazione, mi sembrano inaccettabili, soprattutto perché ad esse dovrei condizionare esplicitamente o implicitamente tutto l’indirizzo editoriale.158

156 A questo proposito, così Einaudi il 3 ottobre 1963 scriveva a Fofi: “Alcune settimane fa Renato Solmi mi sottopose alcune pagine del suo libro che supponeva mi avrebbero lasciato perplesso per i riferimenti a persone, Enti e società. Difatti dissi a Solmi che mi proponevo di parlarle, e non essendone sorta l’opportunità, le scrivo. Pubblico volentieri il suo libro, che oltre ai sostenitori accesi, trova estimatori anche tra quanti possono formulare riserve o critiche. Ma un limite devo porre alla mia attività, che è quella di editore di libri, e non di giornali o ebdomadari, ed è quello di filtrare attraverso una struttura non contingente e caduca le analisi di fondo, evitare i riferimenti diretti a persone enti e società, sopratutto quando questi sono ovvii, o quando la citazione esemplificativa può essere altrettanto bene attribuita a una categoria di persone, o a una categoria imprenditoriale, o a una organizzazione operaia determinata, anziché al signor X, alla società Y, al sindacalista Z. Nel caso del suo libro in particolare, questa revisione è indispensabile ai fini della pubblicazione del libro, e questo non tanto per eventuali procedimenti legali, sui quali potrei anche passare oltre, quanto per l’impossibilità in cui mi trovo di erigermi in certo qual modo con lei a censore di istituzioni e di società e persone con le quali mi trovo quotidianamente a contatto, alle quali sono legato talvolta da rapporti di collaborazione e di lavoro (gli intellettuali che lei cita, per esempio), e che non sta a me, sia pure tramite suo giudicare, mentre ovviamente sento lecito e doveroso criticare ed analizzare in un contesto di ampio respiro quale il suo, gli strati sociali e le categorie che compongono il tessuto della nostra città

157 II libro di Michele Pantaleone, Mafia e politica, era stato proposto da Carlo Levi ma nella decisione di pubblicarlo era stato coinvolto anche Panzieri (Pantaleone a Panzieri, 22 novembre 1960). Il 24 aprile 1961 Pantaleone chiedeva a Panzieri di continuare a interessarsi per la pubblicazione del libro: «Calvino e Levi mi hanno detto che “ti sei battuto”». Il libro sarebbe poi apparso nel 1962, in coincidenza con la nomina della Commissione parlamentare d’inchiesta .

158Einaudi a Panzieri, 24 ottobre 1963 (Panzieri, Lettere 1940-1964 cit., pp. 389-90). Retrospettivamente questo il giudizio dell'editore su di lui (in S.Cesari "Colloqui con Giulio Einaudi", Roma-Napoli, 1991): “Una straordinaria eminenza grigia è stato Raniero Panzieri.

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Einaudi poneva la questione della incompatibilità tra la casa editrice quale era e quella che Panzieri pensava di orientare. L’invito era quindi a trarne le conseguenze e non gli pareva più possibile ricercare un «dialogo costruttivo», quando gli antagonismi e le difformità di valutazione si esprimevano «in critiche profonde dei nostri orientamenti attuali, senza che d’altro canto si bilancino queste critiche con indicazioni concrete sufficienti a creare delle vere alternative, salvo sporadici contributi talvolta più importanti per le loro intenzioni che per il loro vero valore. Così, mentre sono sottoposto a critiche per il settore culturale, ho l’amarezza di constatare che quel settore, al quale anche tu collabori, è stato negli ultimi anni il più scarso, contraddittorio e improduttivo dell’intera Casa editrice». A dire il vero, il quel settore era stato da sempre il più «contraddittorio e improduttivo»: erano rimaste allo stato di progetto idee come quelle di Felice Balbo per una collana sociale-politica, ed erano falliti i tentativi di dar vita a riproposte dell’ esperienza del «Politecnico.

Alla richiesta di Panzieri di quella «esauriente chiarificazione» che «da tempo invano» sollecitava159, Einaudi il giorno successivo confermava la sua ormai radicata convinzione «che la casa editrice è da te stata considerata prevalentemente come strumento per una battaglia ideologico politica». L'8 novembre 1963 Bobbio scriveva a Einaudi: Ho appreso che il caso Fofi è stato l'occasione per il licenziamento di due collaboratori della casa editrice, Panzieri e Solmi, per i quali da tempo ho stima ed amicizia. Per quanto non conosca esattamente le ragioni ultime che ti hanno indotto a questa decisione, non riesco a capacitarmi che un passo così grave fosse davvero necessario. Un consiglio di venti persone, ciascuna con la propria testa e magari con le proprie posizioni, non può essere un gruppo monolitico. La discussione è necessaria al nostro lavoro, come l'aria per respirare. E con la discussione, il dissenso. Anche se mi sono trovato spesso dalla parte di coloro che non condividono le proposte dei due collaboratori licenziati, penso che sarebbe stato possibile superare anche questa crisi, con fermezza, sì, ma senza giungere improvvisamente a soluzioni così drastiche. Abbiamo superato insieme la montagna di difficoltà dell'era staliniana. Mi sembra strano che non si possa superare la collinetta dell'era del centro-sinistra.”

Il 10 novembre era Giovanni Pirelli a scrivere a Einaudi: ”Desidero che tu sappia direttamente da me perché ho deciso di non venire a Torino nei prossimi giorni. Il motivo è il seguente: mi sono reso conto che le posizioni sono ormai ben chiare e definitive dall'una e dall'altra parte e che non esiste spazio per nessun ruolo di mediazione (ruolo che d'altronde non mi si addiceva affatto [...]). D'altra parte non mi pare che si aprano prospettive per un lavoro collaterale a quello della casa Editrice Einaudi. Prescindendo dall'episodio Panzieri (o meglio vedendolo in una concatenazione di episodi analoghi) ma piuttosto guardando, come da tempo vo facendo, all'indirizzo culturale della casa editrice, sono convinto che vi sono filoni di ricerca basati sul marxismo leninismo e fermenti di cultura rivoluzionaria che devono organizzarsi al di fuori della Casa editrice e senza legami organici con essa. Negli anni scorsi (un passato che già mi appare remoto) speravo che si potesse creare uno strumento adeguato a quei fini con un Istituto Morandi riorganizzato che trovasse nelle Edizioni Avanti! la sua naturale collocazione politico culturale. Ma, mentre sussiste (e si dimostra sempre più necessaria) la possibilità di sviluppare nell'ambito del Morandi taluni filoni di ricerca, ogni prospettiva si chiude per quanto riguarda le edizioni Avanti! [...] Come vedi,

Pochissimi libri in catalogo, ma quando Calvino veniva a Torino, da Parigi, era con Panzieri che parlava per primo. Camminavano su e giù per i corridoi, parlavano fitto. Calvino prendeva Panzieri sottobraccio e si faceva raccontare da lui ciò che accadeva in Italia: nel senso delle idee, degli sviluppi intellettuali”.

159 Panzieri a Einaudi, 5 novembre 1963 (ibid., p. 389).

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preoccupazioni ed esigenze vanno ben al di là di un episodio Panzieri o di un episodio Solmi, per quanto indicativi essi possano essere. Ne parleremo - né sarà discorso nuovo tra noi due, anche se oggi ha aspetti nuovi - ma al di fuori di strascichi polemici che sarebbe stolto alimentare”.

Era quindi un progetto complessivo quello che la crisi confermava non più compatibile con l'«indirizzo culturale» della casa editrice. In questo contesto l'«episodio Panzieri» diveniva per Pirelli secondario se non in quanto rivelatore della necessità di organizzare altrove una «cultura rivoluzionaria»160. Ma queste lettere dimostrano anche che quando si riunì il Consiglio editoriale Panzieri e Solmi erano stati già licenziati. Il Consiglio del 13 novembre si incentrava su un episodio, il libro di Fofi, ma non sfiorava l'altro più dirompente del licenziamento, l'uno ancora in discussione e l'altro ormai definito e formalmente accettato. Nella successiva riunione del 27 novembre Solmi dichiarava: «Io non riconosco a Einaudi il diritto di decidere al di fuori del Consiglio». Si accentuava così l'immagine di due Einaudi che si fronteggiavano161

In realtà è fino a un certo punto utile seguire i vari passaggi del dibattito nel Consiglio editoriale, i dubbi avanzati da Solmi che la decisione negativa nascesse dagli attacchi del libro di Fofi alla Fiat e a «La Stampa»162, le osservazioni di Panzieri, gli scontri verbali. Il centro-sinistra metteva a nudo ragioni di divisione che la mediazione culturale non riusciva a differire perché era concreto motivo di schieramento Questo era il problema che le posizioni politiche di Panzieri imponevano alle scelte editoriali. Per la casa editrice, per la sua vicenda, Panzieri aveva rappresentato un catalizzatore, tuttavia per certi versi estraneo alla casa editrice stessa, ma il precipitato che ne era conseguito, quello sì era faccenda dell'Einaudi

Dopo il licenziamento, agli inizi del 1964, prende contatti con Tristano Codignola163 della casa editrice “Nuova Italia” di Firenze, e disegna un piano di riorganizzazione delle collane mettendo a

160 Conferma questo aspetto una lettera di Pirelli a Einaudi del 1° febbraio 1964: «Mi riferisco a quanto ti scrissi il 10 novembre a proposito di dare uno sbocco editoriale a un certo filone di studi e ricerche che non trovava più la sua adeguata collocazione nelle precedenti sedi: Edizioni Avanti! per i Quaderni Rossi, Einaudi per talune ricerche sociopolitiche. Scartata, perché troppo impegnativa sotto vari aspetti, una combinazione a cui abbiamo lavorato parecchio in sede milanese, ci siamo orientali nel senso di un'attività editoriale autonoma dell'Istituto Morandi, come logico sviluppo del lavoro di ricerca e di proposta ideologica e politica che viene elaborata in quella sede. Questa prospettiva impone taluni collegamenti con un gruppo editoriale e i compagni del Morandi che hanno partecipato alla sua elaborazione sono d'accordo che se ne parli a te prima che ad altri. Raniero suggerisce di trovarsi a casa sua una sera di settimana entrante. Se sei d'accordo, combinati con lui»

161 Di diversità tra una «linea culturale seria e di approfondimento dei problemi della società» e «un'altra che auscultava ogni fenomeno in germinazione, forse senza il necessario approfondimento», parla Einaudi in Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi cit., p. 194.

162 O. Mazzoleni, La casa editrice Einaudi all'inizio degli anni '60: Panzieri, Solmi, Bobbio e il caso Fofi, in «L'Utopia concreta», n. 3, giugno 1994, pp. 73-88. Ma c’e nel libro anche una polemica con sindacati e partiti di sinistra.

163 Liberalsocialista fiorentino, nel 1956 era confluito nel PSI, tramite Unità Popolare, divenendone responsabile per la politica scolastica. Il figlio Federico collaborava ai “Quaderni Rossi”era

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frutto l'esperienza presso la Einaudi164.

7. I Quaderni Rossi nuovo "Punto di Archimede" (1959-64)

7.1 Dal partito alla rivista e al gruppo (1959-61)

Il congresso di Napoli del gennaio 1959 chiude i conti rimasti in sospeso due anni prima a Venezia e apre senza più equivoci la divaricazione tra le lotte per il controllo operaio e la politica della maggioranza nenniana che si concentra sull'azione parlamentare finalizzata all'incontro con la DC.

Raniero è attratto dal disegno di gettare le basi di una nuova formazione che possa affermarsi nelle imminenti lotte165. Perde la fiducia nella riforma interna del comunismo, per cui aveva guardato con interesse alle timide esperienze in Jugoslavia, URSS, Polonia e Cina (il tema principale della sua collaborazione a «Problemi di socialismo», la rubrica di Gianni Bosio sull'«Avanti!»).

Per tutto il 1959 Panzieri, nonostante sia in rotta con il gruppo dirigente della “Sinistra”, resta in attesa che questa gli fornisca gli strumenti per riprendere il discorso interrotto con «Mondo Operaio», come la redazione torinese di un settimanale (che poi sarà «Mondo Nuovo»), o la direzione di una rivista teorico-politica, ma la corrente di Vecchietti sventa il suo progetto offrendo a Lucio Libertini la direzione di «Mondo Nuovo».

Vedeva in questa proposta un tentativo di dividerli, ma Libertini giustificando la sua scelta gli scrive "….. non possiamo rimanere nell’inerzia. Non possiamo fare l’Aventino. Bisogna cioè contrapporre una linea, avere l’iniziativa". Il carteggio con Libertini registra la rottura di una collaborazione, drammatica per i problemi politici e umani che solleva,. La causa occasionale è il rifiuto di Libertini di pubblicare in «Mondo Nuovo» una recensione che Panzieri gli aveva inviata del volume di Benno Sarel La classe operaia nella Germania Est, in realtà una “provocazione” di Raniero per portare Libertini a rompere con il gruppo dirigente della sinistra. Ma dietro la provocazione ci sono ragioni più di fondo che riguardano sia il modo di vedere il rapporto con la Sinistra e più in generale col movimento operaio, sia il modo in cui ricostruire una strategia politica

164 Panzieri a Tristano Codignola, 20 febbraio e 22 luglio 1964 (Panzieri, Lettere 1940-1964 cit., pp. 394-96 e 401-03).

165 Già in una lettera a M.A.Salvaco del 4 novembre 1958, quindi prima di Napoli, parla di "gettare le basi di una formazione di sinistra che probabilmente sarà sconfitta da Nenni (e da Basso) al congresso ma avrà negli sviluppi non lontani delle lotte possibilità di autentica affermazione" ("Lettere...", cit., pag. 156-7)

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partendo non dalle mediazioni di vertice ma da un lavoro di base.

Sta fuoriuscendo senza ricorrere al vecchio metodo della «scissione» dalla forma partito tradizionale, per porsi nella prospettiva del gruppo sperimentale166 Scrive alla moglie: "Uscendo dalla direzione, mettendoci in lotta aperta con la destra, non abbiamo però modificato il nostro errore sostanziale, di essere cioè sempre condizionati – per il sì e per il no – da Nenni. Abbiamo forse salvato l’anima ma certo così non salveremo il partito. Perché questo? Perché abbiamo accettato anche noi, «oggettivamente», come direbbe la buonanima, il distacco del partito dalla classe, la sua minorità di classe. Morandi aveva ragione di far dipendere tutta la sua politica dal ritrovato legame del partito con la classe, le lotte all’interno con la base."

Scrive Libertini a Panzieri: "Ma politicamente che senso avrebbe che tu, proprio ora, dopo aver pazientato negli anni dello stalinismo, esasperassi certe punte polemiche, trasformassi una discussione in una rissa? E nei confronti della sinistra, d’altro canto, si può prendere qualsiasi atteggiamento, ma solo dopo essersi posti una alternativa precisa. Oggi come oggi, uscire dalla sinistra vuoi dire uscire dal PSI. E dopo? Non occuparsi più di politica? È una soluzione astratta. Fare attività nei gruppetti di pressione? Io ho fatto questa esperienza, non so se tornerei a farla nelle condizioni di allora: non la ripeterei certo nelle condizioni attuali. Questo sarebbe per te il peggior modo per abbandonare l’attività politica". Verso la fine dell’anno le reciproche posizioni e motivazioni sono ormai chiarite e la separazione consumata.

Nell’ottobre 1959 prende contatto con un gruppo di studenti che da alcuni mesi svolgevano un lavoro di supplenza sindacale all’interno della CGIL, partecipando ai picchetti durante gli scioperi.167

Il problema per Panzieri è quello della ricostruzione della politica nel movimento reale di classe, fuori dall’illusione di condizionare i partiti e il sindacato: «Abbiamo discusso.... sulla necessità...di identificare impegno teorico e impegno politico. Ciò che significa critica e superamento di molte posizioni, in parte anche nostre nel passato, come l'illusione di 'condizionare ideologicamente' partiti o correnti di partito, o di incidere nella pratica con l'esempio dell'esercizio dialettico delle ideologie (v. «Passato e Presente»). Se la crisi delòle organizzazioni è nel divario crescente tra essi e il movimento reale di classe.....il problema può essere affrontato solo partendo dalle condizioni, strutture e movimento di base, dove l’analisi si compie soltanto nella partecipazione alle lotte. Naturalmente tutto questo non è nulla di nuovo - di nuovo c’è la constatazione delle contraddizioni in cui molti di noi sono caduti cercando di operare sul piano tattico degli organismi ufficiali e accettando per questo compromessi fallimentari, o rivendicando in quanto intellettuali, una autonomia che può realizzarsi solo nella forma di azione politica piena e diretta ».168

E’ questa la «continuità» che rivendica: il «punto di Archimede» che ricerca dai lontani anni delle lotte in Puglia, dell’occupazione delle terre in Sicilia, e successivamente nella discussione con Fortini, Scalia, Libertini. Una linea di continuità che dalla morandiana «politica unitaria» si trasfonde in una concezione del «controllo operaio» che ora lo contrappone allo stesso Libertini: "E se volessimo riprendere una polemica che oggi ti è cara, sul confronto delle posizioni (anche di noi due rispettivamente) in un passato più lontano, negli anni della guerra fredda ti dirò che agli errori

166 Vittorio Foa ripensando dopo vent'anni alla fondazione del PSIUP ricorda "la rigidità con cui la forma partito si presentava alle nostre coscienze (se non si era d'accordo sull' essenziale, si doveva rompere e dare vita ad un’altro partito altrettanto rigido. Non entrava nelle nostre teste l'idea di mantenere in ogni caso aperte le vie, di tenere fluide le situazioni anche quando si doveva cedere terreno, di tenere un piede nella porta"

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commessi sono stato sollecitato sempre dal senso di un legame non interrotto, nella lotta, tra il movimento e i partiti (….). Ciò che dal ‘56 e da prima è stato messo in questione [è] il rapporto tra la realtà del movimento e le organizzazioni, e cioè tra le condizioni oggettive della lotta di classe in Italia e la politica dei partiti. [...] Perciò, caro Lucio, la tematica del controllo operaio (del ruolo della classe operaia ecc.) non è una questione importante, da deplorare che non sia accolta e conciliata, nel pci, con il «resto» del rinnovamento. È la questione, la cui esistenza o no decide del rinnovamento o no"169

Panzieri, alla ricerca dunque del nuovo «punto di Archimede» per ricostruire l’identità di teoria e impegno, riparte tessendo la tela di vecchie nuovi rapporti: con ex collaboratori di «Mondo

167 R.Gobbi "Com'eri bella classe operaia", Milano, 1989, pag.80 sgg.: “Si tornava davanti alle fabbriche anche per l'ingresso del secondo turno, tra le 14 e le 15. Nel pomeriggio si studiava e poi si passava in Lega a prendere i volantini e gli ordini per il giorno successivo. Questa nostra assiduità doveva apparire ben strana se, in una nota su «I socialisti a Torino» pubblicata sul numero di agosto del "Mulino" così si parlava della nostra esperienza:”è significativo che anche le figure più interessanti della corrente bassiana - un gruppo di giovani studenti entrati recentemente nel partito - lavori soprattutto nel campo sindacale, nelle leghe FIOM, portando il loro entusiasmo in ambienti dove la rassegnazione aveva fatto presa da lungo tempo”. La rassegnazione cui si alludeva era dovuta alI'insuccesso degli scioperi alla FIAT che si verifica ormai da cinque anni: Era un fatto allora inspiegabile. Perché quella che era stata l'avanguardia di massa della classe operaia negli scioperi del marzo 1943 e negli anni successivi adesso non partecipava alla lotta se non in misura irrilevante? Scioperavano solo esclusivamente i «compagni», gli iscritti ai partiti di sinistra e al«sindacato unitario» e poi a volte nemmeno tutti questi. Ma se un'ottantina di militanti erano riusciti in piena dittatura fascista a trascinare allo sciopero i 20.000 di Mirafiori, come mai un migliaio di «compagni» non riusciva a smuoverne 80.000? Con questo tipo di curiosità giovanile insoddisfatta cominciammo ad aggirare il problema FIAT con una serie di indagini sperimentali in piccole fabbriche. Così l' Unità del 9 dicembre 1959 presentava i risultati di una nostra inchiesta in una fabbrichetta: «Mentre nei giorni di sciopero, gli studenti avevano picchettato le fabbriche, il loro fervido interesse per la condizione operaia s’è successivamente tramutato in altre iniziative: ...di elevato interesse, in questo quadro, l'indagine condotta da cinque studenti - Emilio Soave, Romolo Gobbi, Sandro Rosano, Giovanni Levi, Guido Clara - sulle drammatiche condizioni di vita e di lavoro esistenti nella ditta Ambrosio, dove sono occupati moltissimi giovani».Nel frattempo aveva preso contatto con noi Panzieri che ci propose un'inchiesta alla FIAT. ......le riunioni con Panzieri e gli altri, che facevano attività sindacale alla lega FIOM di Mirafiori, erano profondamente incomprensibili soprattutto per me, studente di diritto e privo di retroterra culturale. In generale il livello di preparazione del gruppo, era comunque insufficiente e quindi si iniziò anche un'attività di studio collettivo. Cominciai così ad essere introdotto nei misteri del marxismo: valore d'uso-valore di scambio tempo di lavoro necessario-pluslavoro.... Verso la fine dell'estate, Panzieri organizzò con la Società Umanitaria di Milano un seminario sul tema: «Analisi del processo di industrializzazione attraverso le inchieste di fabbrica». Il seminario si tenne a Meina sul lago Maggiore e vi prese parte il fior fiore della sociologia italiana: Leone Diena, Franco Momigliano, Alessandro Pizzorno, Luciano Gallino, Miro Allione, Danilo Montaldi. Ma soprattutto partecipò il nostro gruppo in massa e fummo i veri protagonisti, anche perché eravamo gli unici ad aver fatto un' inchiesta di fabbrica in tempi recenti. I luminari della sociologia stettero ad ascoltare i nostri interventi molto poco ortodossi ma vibranti di passione giovanile e di impegno politico. Tornati a Torino riprendemmo il lavoro di riordino dell'archivio della Camera del lavoro, una stanza polverosa in cui erano state ammucchiate le carte degli ultimi anni, in mezzo alle quali noi dovevamo cercare i documenti riguardanti la FIAT, per la parte storica della nostra ricerca. In effetti a quel punto

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Operaio», che lo sollecitavano a riprendere il discorso interrotto; con gruppi di giovani a Roma (Tronti, Asor Rosa, Di Leo ecc.), a Torino (Rieser, Mottura, Lanzardo ecc.), a Cremona (Montaldi, Fiameni, Alquati ecc.), a Milano (Boaretto, Pollice ecc.), i quali, su sua spinta, stavano avviando un modo nuovo di fare politica con iniziative di inchiesta170 e intervento in alcune fabbriche. La situazione si mette in movimento con le giornate genovesi del luglio ’60 e con la presa di coscienza del nuovo che è nelle lotte operaie in Italia e in Europa e nel senso rivoluzionario che racchiudono. Settori del sindacato e diversi gruppi dentro e fuori dalle organizzazioni ufficiali si muovono ormai nella stessa direzione.

Al Congresso internazionale di studi sul "Progresso tecnologico e la società italiana" tenuto a Milano dal 28 giugno al 3 luglio 1960, Vittario Foa e Bruno Trentin presentarono la relazione ufficiale della CGlL, di cui erano entrambi segretari, nella quale erano espresse le convergenze politiche con le rivendicazioni del controllo operaio. Manifestarono valutazioni molto simili a quelle di Panzieri a proposito del ritardo del movimento operaio nell'adeguarsi alle trasformazioni tecnologiche e organizzative dei settori più avanzati del capitalismo italiano: “con il risultato negativo di ritardare, a un certo momento lo sviluppo di una maggiore articolazione rivendicativa e di far mancare, proprio negli anni decisivi in cui avvennero le prime impartanti trasformazioni tecnologiche in una serie di grandi aziende, la costruzione di un effettivo potere sindacale di controlla capace di negoziare nell'azienda e nel settore (e quindi nella categoria) le forme e le ripercussioni della trasformazione stessa, in particolare nei suoi riflessi sulla condizione operaia». Più in generale nella relazione vennero espresse le ambizioni del sindacato alla direzione dell’economia: «Questi obiettivi rivendicativi immediati costituiscono già elementi di condizionamento della politica padronale degli investimenti e forme di controllo sui loro profitti, Essi possono costituire la premessa a lotte più vaste, di settore o zona, per la creazione di nuove politiche di occupazione, per l’ammodernamento e lo sviluppo delle attrezzature industriali esistenti per una politica di prezzi di mercato delle imprese industriali che rappresenti, con lo sviluppo stabile delle imprese, una garanzia di sviluppo stabile dell'occupazione». Queste posizioni esprimevano la forma sindacale di operaismo alle origini di "quel «pansindacalismo» che caratterizzerà la società italiana degli anni '70. Ad esempio, la dichiarazione di Trentin di non «subordinare la remunerazione operaia, sotto qualsiasi forma, alle risultanze economiche (siano esse presentate in termini di reddito o in altri termini) dello sviluppo tecnologico stesso », era una anticipazione della parola d'ordine del «salario come variabile indipendente". Così la posizione di

anche la CGlL di Torino era fortemente interessata a quello che stavamo facendo e soprattutto non sembrava loro vero che un così nutrito gruppo di giovani intellettuali si occupasse di cose così poco divertenti e fosse comunque disposto a collaborare con loro. Dovettero tollerare anche qualche nostra intemperanza ...

168 Lettera del 17 dic.1959 a Lilli (Maria Adelaide) Salvaco; in: La crisi del movimento operaio....cit, p. 254 e in Lettere 1949-1964...., cit.pag. 245

169 a Libertini in “Lettere..”, cit., pag.

170 Il lavoro di base, l'inchiesta sono motivi ricorrenti in Panzieri: già nella lettera del 12 giugno 1957 a Gianni Scalia, in Lettere.., cit., pag. 94 “le indagini che fate a Bologna tu e la Salvaco, a Milano Pizzorno, a Torino Tagliazzucchi e Momigliano hanno un senso determinato, costituiscono una effettiva apertura di una nuova dimensione politica, in senso integrale, se coinvolgono effettivamente la base del partito e sindacale...”

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Foa «Anche le rivendicazioni più moderne, cioè più radicate nelle modificazioni della organizzazione del lavoro e della produzione, hanno in se stesse un potenziale corporativo, se si limitano a perseguire, all'interno del sistema di potere, un ammodernamento e una civilizzazione dei rapporti, e non tendono invece coscientemente, alla fondazione di un "potere operaio».

A Mario Tronti nel dicembre 1960 scrive di «sviluppo continuo e crescente delle lotte», dell’esprimersi, anche se ancora in modo «confuso e disordinato, dei giovani operai come avanguardia» e di una «spinta “spontanea” che precede e sopravanza il sindacato», e che ha già in sé «immediatamente e come essenziale un elemento politico – una richiesta di potere». L’incubo di finire nel «privato» o nella «piccola setta», che lo angosciava solo pochi mesi prima, sembra dissolto171. Diventa urgente porsi e risolvere il problema di un organo di coordinamento tra queste nuove energie e di elaborazione di un indirizzo omogeneo, «ora che l’”attivismo” non basta più a definirlo, ma si è arrivati alle scelte, anzi alla scelta fondamentale, quella di una prospettiva rivoluzionaria».

Lascia cadere la proposta di Foa d’un quindicinale, che si sarebbe disperso nell’ attivismo e nelle lotte di corrente, da cui si sente ormai estraneo. Va infatti al congresso di Milano del marzo 1961, formalizzando il suo distacco con l’uscita dal Comitato centrale, solo per tessere nei corridoi la tela dei nuovi rapporti con sindacalisti e con giovani che lavorano nelle varie situazioni di fabbrica 172 La rivista diventa l’impegno fondamentale da realizzare.173

7.2 Il primo numero dei Quaderni Rossi (1961)

La rivista lungamente preparata vede finalmente la luce all’inizio dell’autunno 1961 col supporto dell’Istituto Morandi che brucia in questa esperienza le sue risorse e prospettive.

Alla sede romana della CGIL Panzieri riscontra con sorpresa «un’aspettativa straordinaria da parte di alti bonzi e di modesti compagni in attesa di una guida teorica». L’indicazione teorica contenuta nei saggi è ancora inserita in un contesto che guarda le lotte dall’esterno, secondo un

171G.Fofi Strana gente. 1960. Un diario tra Sud e Nord, Roma, 1993 pag. 144-145: "Il gruppo intorno a Panzieri sta diventando molto serio, fisso, attivo, ma non mi sembra molto unito. Mantengo un po' di diffidenza verso Raniero, che è un intellettuale affascinante…..ma che mi pare molto tattico, e sembra sempre attento a non sbilanciarsi troppo, a soppesare molto le idee. La discussione sull'inchiesta è finita a notte alta, con ....la divisione del gruppo su due versanti: inchiesta operaia» normale, approfondita, di carattere marxista ma sociologico, o «conricerca» con immediato lavoro «politico» con gli operai. E ancora altre sfaccettature. Raniero mi dice che sarebbe bene se io tornassi su dopo l'estate ad aiutarli nell'inchiesta."

172 S.Merli "Lettere…", cit. “Lo sentii parlare in pubblico solo una sera, dopo i lavori del congresso, a una riunione della corrente di sinistra svoltasi alla Camera del lavoro di Milano. A un certo punto Luciano Della Mea lo invitò, quasi lo costrinse ad intervenire. Raniero parlò di controvoglia, e mi sembrò emozionato. Fu ascoltato con grande silenzio e rispetto da tutti. Parlò del lavoro politico e teorico nel quale era impegnato con gruppi di giovani, a Torino e altrove, della centralità della fabbrica e dell’intervento operaio, della collaborazione col sindacato in talune situazioni ...."

173 R.Panzieri, lettera alla moglie, “Lettere…”. cit, .pag.203, “Ma mancano disperatamente i soldi. Ah se fossi Pirelli.., iI quale Pirelli è un carissimo amico, che in questi giorni mi ha dato calore e mi ha ridato fiducia. Ma quanto ad offrirmi l'aiuto che potrebbe (una rivista, chi mi dà una rivista?) mi fa pensare a uno che abbia i riflessi condizionati (in forma di inibizione).." . .

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metodo da gruppo di pressione: sia attraverso articoli che avevano il limite della cronaca e della critica distruttiva, sia attraverso l’occhio della sinistra sindacale, la quale prende subito le distanze sentendosi strumentalizzata e nello stesso tempo misconosciuta nel suo ruolo di anticipazione della spinta operaia.

La novità fondamentale è il rovesciamento della concezione, propria della sinistra tradizionale, dello sviluppo tecnologico e produttivo come fatto di per sé progressivo, destinato inevitabilmente a forzare il limite negativo costituito dai rapporti di produzione capitalistici. Nel primo saggio Panzieri polemizza contro questa concezione, «oggettivista» ed economicista, in cui individua la radice delle involuzioni riformistiche dei partiti operai: i rapporti di produzione capitalistici, lungi dal presentarsi come elemento puramente negativo in rapporto alla categoria positiva dello sviluppo economico, dominano e determinano quest'ultimo, orientandolo verso obbiettivi funzionali alla riorganizzazione neocapitalistica, accelerando il processo di sussunzione del lavoro vivo al lavoro morto, dell'operaio alla macchina e, di conseguenza, incrementando l'alienazione del lavoratore e il carattere dispotico ed autoritario implicito nella pianificazione capitalistica nell'ambito della fabbrica: «Nessun 'oggettivo' occulto fattore insito negli aspetti di sviluppo tecnologico o di programmazione nella società capitalistica di oggi, esiste, tale da garantire l"automatica' trasformazione e il 'necessario' rovesciamento dei rapporti esistenti. Le nuove 'basi tecniche' via via raggiunte nella produzione costituiscono per il capitalismo nuove possibilità di consolidamento [sottolineatura dell'autore} per il suo potere»174

Nel marzo del 1962, in una conferenza a Siena per la presentazione della rivista, approfondisce il discorso: lo sviluppo produttivo viene ridefinito come aspetto funzionale all'incremento del «comando» capitalistico in fabbrica, ed all'estendersi di quest'ultimo dalla fabbrica alla società175 Ne uscivano scardinate, oltre alle concezioni produttivistiche condivise da PSI e PCI, anche le categorie fondanti della politica del centro-sinistra e della programmazione economica, mediante un attento esame della radice strutturale della conversione dei settori più avanzati del capitale monopolistico ad una politica di piano: il piano era una realtà non in quanto premessa per una dislocazione più avanzata delle posizioni di potere del proletariato nella sfera politica ed istituzionale ma come esplicitazione di un progetto autoritario fondato sul controllo sociale sempre più perfezionato e capillare che trovava le proprie premesse a partire dalla fabbrica, dalla sempre maggiore subordinazione del singolo lavoratore al sistema di organizzazione del lavoro (dispotismo mascherato da falsa razionalità) e, di conseguenza, da un sempre maggiore assorbimento del processo lavorativo all'interno del processo di valorizzazione del capitale.

Il punto focale dell'antagonismo sociale non veniva più identificato nella maturità della contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione, ma nell'insofferenza del lavoro vivo contro il dispotismo del comando capitalistico, nella tendenza a riconoscersi in quanto classe operaia, entità completamente antagonistica al capitale, non integrabile in esso176 . Al dispotismo velato di falsa razionalità e addolcito da raffinate tecniche di integrazione, veniva così contrapposta una razionalità completamente alternativa, ossia quella prefigurata dalla insubordinazione operaia al piano del capìtale: «Il livello di classe si esprime non come progresso ma come rottura, non come 'rivelazione' dell'occulta razionalità insita nel processo produttivo, ma come costruzione di

174 R. Panzieri, Sull'uso capitalistico delle macchine, «Quaderni Rossi» n. 1, ottobre 1961.

175 La trascrizione della conferenza è apparsa sui Quaderni piacentini nel 1967, poi in R. Panzieri, Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, Torino 1976, pp.25-50.

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una razionalità radicalmente nuova e contrapposta alla razionalità praticata dal capitalismo» 177. La soggettività operaia veniva restaurata nella sua centralità: l'insubordinazione (espressione dell'autonomia operaia rispetto al «piano»), il rifiuto della classe di riconoscersi come appendice del capitale, diveniva l'elemento fondante della contraddizione capitale-lavoro e tendeva ad esprimersi in forme sempre più politiche, attraverso un'esplicita domanda di potere.178

Attraverso questo spostamento del punto di vista nell'analisi di classe, il gruppo dei QR riteneva di poter comprendere fino in fondo i caratteri del nuovo ciclo di lotte operaie degli inizi degli anni '60, al cui interno la spontaneità iniziale si intrecciava ad una sempre più consapevole richiesta di potere, che poneva la classe «al livello del capitale». Questa rivalutazione della soggettività antagonistica si ricollegava alla tradizione socialista, sforzandosi di rifondare categorie ancorate all'analisi della dinamica dei rapporti di classe e delle trasformazioni nella composizione della classe operaia di fabbrica indotte dallo sviluppo produttivo.

Il punto fermo sul problema dell'organizzazione e del partito nella riflessione di Panzieri è quello di ipotizzare strutture organizzative in grado di aderire ai comportamenti operai così come si manifestano nell'espressione dell’antagonismo sociale.179

Assumendo il punto di vista della classe operaia come entità che «si costituisce fuori del capitale»180, il gruppo si collocava fuori e contro la tradizionale concezione della lotta operaia all'interno del quadro istituzionale tracciato dalla Costituzione e individuava nella pratica della «programmazione democratica» la copertura ideologica con cui si compiva l'integrazione tra capitale monopolistico e Stato, e la trasformazione di quest'ultimo in soggetto attivo della realizzazione dei contenuti dispotici del piano. Caduta ogni possibilità di mediazione istituzionale, affermata la sfiducia nei confronti dei due partiti operai e anche con la corrente della sinistra socialista che nel '64 avrebbe dato vita al PSIUP, il referente diretto non poteva essere che la classe, intesa come soggetto dell'antagonismo.

L'uscita del primo numero suscita reazioni polemiche. Tra i socialisti Fidia Sassano, riportando le posizioni dei Q.R. con un certo fraintendimento e approssimazione, attacca duramente il "neo-

176 «(...) tutto il discorso che noi facciamo tende ad affermare che già nella fabbrica il rapporto di classe tende a diventare un rapporto politico, un rapporto di potere. La sfera della mediazione politica non soltanto non scompare, ma si allarga, e quindi la necessità del carattere politico della azione operaia non soltanto non si attenua, ma anzi si rafforza ...» R. Panzieri, Lotte operaie..., cit., p. 45.

177 R. Panzieri, Sull'uso capitalistico delle macchine,in «Quaderni Rossi», cit.

178 R. Tomassini, La ricomposizione di classe come nuovo partito operaio in Raniero Panzieri, «Aut-Aut», n. 149-150, sett.-dic. 1975

179 S.Merli Lettere.., cit. ".. il gruppo dei QR [ha] operato il capovolgimento delle categorie “umanistiche” del socialismo postbellico ponendo le premesse per la fondazione di un'antropologia marxista in grado di demistificare le concezioni oggettivistiche e provvidenzialistiche della lotta di classe, e integralmente fondata sulla categoria marxiana di alienazione e del consolidarsi di questa nell'epoca del capitalismo avanzato."

180 Le Tesi Panzieri-Tronti, in «Aut-Aut», cit.

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sindacalismo rivoluzionario del gruppetto torinese dei Foa, Alasia, Panzieri ecc. - con i pendants corrispondenti in campo comunista - che va molto al di là dei sensati obbiettivi di trovare nuove forme e vie di inquadramento delle giovani generazioni operaie e delle masse dei desindacalizzati.....considero pericolosa l'opinione di Alasia che al sindacato vada affidato il compito innaturale di « trasformare in senso rivoluzionario la società» (ciò che oltretutto implica un intento liquidatorio dei partiti operai, che è tipico del sindacalismo rivoluzionario e quindi di una particolare immaturità che la classe operaia dell'occidente ha superato da decenni e che riappare a Torino solo perché Torino è attualmente la zona più depressa del movimento operaio italiano)"181

Il primo fascicolo per l’immediato porta alla rottura con i «sindacalisti», ma prepara anche la successiva spaccatura all’interno del gruppo tra la linea del «controllo» da una parte e quelle del «rifiuto» e dello «sviluppo» dall’altra. Panzieri era cosciente del carattere ancora esterno del lavoro dei «Quaderni Rossi», ma considerava la situazione «tutto sommato, abbastanza provvisoria», e quindi favorevole per il salto nel lavoro d'intervento, stante la necessità contro la prospettiva del centro-sinistra per il PCI di accentuare le lotte e per la sinistra socialista di affrettare la scissione . Riteneva quindi indispensabile non starsene «a guardare tutto questo come spettatori» e spingeva perché il «gruppo», per quanto ancora disomogeneo e informale, si inserisse anche se ancora dall’esterno, nella stessa iniziativa sindacale. «In questi giorni perciò, volente o nolente la Fiom, riprendiamo più intensamente il lavoro alla Fiat», scriveva a Rita Di Leo nel settembre del 1961.

Il discorso viene approfondito in un convegno a Santa Severa nell’aprile 1962, inizialmente concepito come seminario di studio sul Capitale, ma trasformatosi in un dibattito sui problemi del momento e sull’urgenza di mettere all’ordine del giorno questo «salto» nel lavoro d'intervento. Se tutti erano d’accordo sul passo ulteriore da compiere, incominciano qui ad affiorare divergenze di fondo che contrappongono «sociologi» e «settari» e in modo ancora sotteraneo lo stesso Panzieri ai «politici», cioè al gruppo «romano» che darà vita a «Classe operaia»: "... fino a ieri la nostra istanza unitaria e rivoluzionaria di classe si presentava inevitabilmente sotto un profilo negativo (almeno in prevalenza), oggi esistono le condizioni perché si configuri come concreta, attuale, politicamente piena espressione degli esistenti rapporti di classe.182 Panzieri cerca di assorbire la crisi isolando le punte più settarie e portando l’enfasi sull’impegno compatto del gruppo nello

181 F.Sassano "Guidare la "stikhija", in "Economia e lavoro", maggio 1962 che così prosegue "Partendo dalla critica all'«ondata di costituzionalismo», che starebbe frenando le grandi lotte operaie in corso Alasia giunge a preconizzare «uno scontro allargato, con contenuti più avanzati»....senza rendersi conto che si tratta oggi di impostare lotte articolate e differenziate, lotte che danneggino molto i padroni, ma costino il minimo possibile ai lavoratori, proprio perché devono essere lunghe, astute, pazienti, per potere spuntare la contrattazione integrativa, cioè il problema chiave di oggi. In definitiva l'impostazione apparentemente risolutiva e rivoluzionaria del compagno Alasia e dei suoi amici, mentre rivela che essi subiscono le suggestioni di «rottura a tutti i costi», provenienti da questi strati desindacalizzati, giovani e politicamente immaturi della classe operaia torinese (e sono state proprio queste suggestioni la causa principale dell'errata decisione di sciopero generale alla FIAT), non solo non rende un servizio al movimento operaio in genere, ma non aiuta questi stessi lavoratori a conquistare la loro piena maturità sindacale e politica, lusingandone invece le debolezze e i vani conati di ribellione.... confesso di trovare negli scritti del primo fascicolo di « Quaderni Rossi» (e specialmente nell'articolo dalle folli conclusioni sullo sciopero al Cotonificio Val di Susa), le stesse posizioni di fondo che il compagno Alasia ha sostenuto nel suo scritto su « Mondo Nuovo»." Dello stesso autore "Potere reale e democrazia rappresentativa",in "Tempi moderni" gennaio-marzo 1962 (critica dell'articolo di Foa su Q.R.): Entrambi gli articoli ora in "Fidia Sassano un compagno difficile", Venezia, 1979 pag. 89-100 e 107-116. Sassano proveniva da una lontana milizia comunista e dalla lotta durante il fascismo

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sciopero contrattuale dei metalmeccanici, che assume una valenza politica nella fase nuova che si apriva alle soglie del centro-sinistra.

7.3 Piazza Statuto e la crisi dei Q.R.

Il 20 giugno 1962 si aprono le lotte contrattuali dei metalmeccanici. I «Quaderni Rossi», che avevano tentato inutilmente di coinvolgere in un intervento comune la federazione socialista (di sinistra) torinese, assumono l’iniziativa e la responsabilità politica di un volantino, steso da Panzieri, diretto «Agli operai Fiat», che pur non aggiungendo nulla di nuovo alle analisi dei «Quaderni Rossi», ciò nonostante fu licenziato con qualche contrasto interno perché rappresentava un salto nel metodo di lavoro del gruppo rendendo evidente l’inconciliabilità tra intenzioni unitarie e intervento autonomo. I sindacati risultavano tutti ugualmente imputati essendo solo di grado la differenza tra la UIL e il SIDA che firmano l’accordo separato e la Fiom che accetta la trattativa Intersind (che frazionava la lotta tra pubblici e privati).

Il volantino, che viene diffuso ai turni serali di venerdì 6 luglio e nella notte di sabato 7, compromette i sindacalisti collaboratori del primo “Quaderno” (Foa, Alasia, Pugno) o addirittura membri della redazione (Muraro) provocando una rottura definitiva con loro e con la federazione socialista di Torino, con cui Panzieri attraverso il segretario Andrea Dosio aveva sempre mantenuto qualche forma di contatto, e isola il gruppo in una posizione di setta. Alla Fiat di Torino lo sciopero di 72 ore dal 7 al 9 luglio dopo anni di pace sindacale è un successo completo e libera una violenza lungamente repressa. Una manifestazione in piazza Statuto, davanti alla sede del sindacato UIL che aveva firmato un accordo separato, si trasforma in assalto e poi in scontri con la polizia durati più giorni con la partecipazione non solo dei giovani di recente immigrazione dal Sud, ma di proletari provenienti da tutti i quartieri.183

Il gruppo è sottoposto a violenti attacchi dai giornali governativi e dalla sinistra sindacale e politica con accuse di provocazione, accomunando i Q.R. alle organizzazioni di Cavallo (Pace e libertà, ecc) 184 Panzieri prende le distanze, scosso dall’insinuazione di essersi unito agli insorti e di essersi prestato alle provocazioni della destra fascista. Coglie l’occasione della trattativa Intersind

182 Lettera ad Asor Rosa 10 maggio 1962

183 D.Lanzardo La rivolta di Piazza Statuto : Torino, luglio 1962; Milano, 1979, pag.69 "Anche il gruppo di Quaderni Rossi fu sorpreso da piazza Statuto e si spaventò; soprattutto perché nell'ambito del Movimento Operaio....era stato indicato, assieme ai fascisti, come uno dei gruppi provocatori responsabili del tumulto. Malgrado diversi membri di Quaderni Rossi (operai o meno) si trovassero in piazza come testimoni o partecipassero direttamente agli scontri, il fatto fu pubblicamente negato..... lo stesso Panzieri, in una lettera alla redazione romana dell'Unità scriveva: "È persino ridicolo che voi abbiate potuto raccogliere una calunnia che semplicemente anticipava ed aveva !'identico significato di quelle rivolte al partito comunista...". E in una lettera a Nenni: "incidenti come quelli di piazza Statuto in quanto manifestaziane di anarchismo sottoproletario e occasione di provocazioni poliziesche e reazianarie, tendono a deviare il corso della lotta operaia dai suoi veri obiettivi e appaiano perciò in perfetta antitesi alla linea da noi sostenuta"

184 A.Papuzzi Il provocatore: il caso Cavallo e la Fiat, Torino, 1976; G.Flamigni "I pretoriani di Pace e libertà", Roma, 2001

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per ritessere un rapporto con la Fiom, rivolgendole una «lettera aperta»: “La passione responsabile con la quale seguiamo oggi lo scontro di classe nato nel nostro paese ci porta a prendere posizione d’immediata portata politica, sempre e rigorosamente all’interno dello schieramento classista degli operai e dei lavoratori. In questo caso – come negli altri – non si tratta di un’organizzazione che si rivolga ad un’altra organizzazione; si tratta semplicemente di compagni che cercano di indicare all’ organizzazione di classe la via che a loro sembra più vicina agli interessi di classe”. Il testo steso da Mario Tronti, rappresenta la via d’uscita autocritica e “unitaria” che il gruppo romano indica a Panzieri, offrendogli l’alleanza (provvisoria) per isolare i «settari» che avevano preso il sopravvento.

Di fronte all’evento inaspettato, che metteva in campo lo spettro di una figura sociale non prevista nei testi teorici, con comportamenti e metodi di lotta lontani da quelli duri ma virtuosi della classe operaia di fabbrica, la linea del "controllo operaio" e quella dell'"entrismo di massa" già in collisione a Santa Severa, si ricompongono, mentre una scheggia esce dal gruppo per mettere in piedi «Gatto selvaggio» che teorizza, dalla «piazza» alle «linee», il comportamento sovversivo e il sabotaggio: "Piazza Statuto divenne un simbolo prepotente. Viene l'estate. Si torna in fabbrica a settembre. Ma già si sa che i! numero degli scarti è aumentato enormemente. Circola un giornaletto che racconta i sabotaggi in fabbrica:lI Gatto selvaggio. Il padrone e la magistratura vi

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vedono l'apologia del reato” 185

Panzieri è in difficoltà nel ruolo di mediatore tra spinte divergenti. In una lettera a Tronti186 illustra i retroscena e i protagonisti della crisi, ma non coglie la convergenza tra posizioni distanti che invece lo isoleranno provocando la frantumazione del gruppo. Dopo Piazza Statuto si determina infatti una convergenza del gruppo dei «selvaggi» con il gruppo romano dei «politici». Il primo teorizza il tradimento delle organizzazioni «e quindi la necessità di disporsi alla rivoluzione», il secondo propone187 di fare un salto in avanti e di fondare il suo discorso direttamente su «una base operaia» da scagliare dentro e contro le organizzazioni storiche del movimento operaio.

Il confronto tra il saggio di Panzieri sull’”Uso capitalistico delle macchine (sul numero 1) e quello di Tronti La fabbrica e la società (suI 2) indica già i termini del contrasto. Il progetto di Tronti

185 A.Negri "Pipe-line:Lettere da Rebibbia",Torino,1983, pag. 85-95 "Penso che il punto critico dell'esperienza sia lo scontro di Piazza Statuto. Il lavoro compiuto nell'ambito dei «Quaderni Rossi», fino a quel momento, era stato caratterizzato da grande rigore critico ed analitico....tuttavia alcuni militanti molto vicini a Panzieri avevano impresso a questa ricerca un andamento di impronta positivistica. Ricordo di essere stato personalmente toccato dalla stringente logica della catastrofe che emergeva dalla considerazione empirica dell'aumento della composizione organica del capitale - studiata non ai livelli sublimi ed insignificanti delle leggi generali ma dentro l'officina Presse di Mirafiori o a Ivrea all'Olivetti. A questo punto tuttavia reagivano il genio e l'irrequietezza di Raniero: il comunismo non è inevitabile. Piazza Statuto fu uno choc per tutti ma soprattutto per noi che pur avevamo puntato sulla reazione violenta al tradimento sindacale della lotta. I "Quaderni Rossi" erano rimasti incastrati nella faccenda. Intervenendo avevano proposto di lottare duramente e di impedire ogni tradimento. I quadri di fabbrica, pochissimi, che avevano qualche contatto con i «Quaderni Rossi», si trovano alla testa dell'insorgenza di piazza..... I grossi sindacalisti che avevano guardato all' esperienza dei «Quaderni Rossi» con iniziale simpatia se ne ritraggono terrorizzati, non prima comunque di aver lanciato anatemi. I giovani operai che all'esperienza avevano partecipato come prodromo di intervento politico e speranza di organizzazione si ritraggono anch'essi - bestemmiando, non comprendendo, sentendosi ingenuamente traditi. La stampa apre intanto la caccia al provocatore. Ma che cosa era avvenuto in realtà? Una lotta operaia Fiat che dopo circa un decennio era esplosa e si era trasferita dall'officina alla piazza. Inaspettata. Un attacco alla normalità sindacale, al potere istituzionale di contrattazione, un rifiuto della rappresentatività del movimento operaio ufficiale. Inattesa ed insopportabile. Un rifiuto di massa dell'ideologia dominante del progresso riformista nei rapporti di produzione....... a Piazza Statuto, c'erano tutti, vi arrivavano come ad una cerimonia di purificazione dalla lordura del mercato di carne operaia e vi rimanevano come alla grande festa del paese, senza un'organizzazione precisa ma con fisica identità. Sono vecchi proletari meridionali che hanno scelto l'emigrazione preferendola alla sconfitta seguita all'occupazione delle terre; sono giovani piemontesi cresciuti nel sogno di una ribellione partigiana che continua; sono Rocco e i suoi fratelli, sbandati nella metropoli; sono i comunisti umiliati nel '53 dalla violenza di Valletta e dei sindacati gialli; siamo infine noi, - la generazione nata alla politica con il disgelo del movimento operaio. .....Seguiamo le articolazioni della violenza dell'agire operaio.... . E qui si scopre quel nucleo fondamentale di pensiero e di prospettiva rivoluzionaria che solo il ritrovare sul proprio cammino la classe operaia, poteva permettere all'utopia concreta del comunismo di affermare: il «rifiuto del lavoro». Piazza Statuto mostra all'operaista quant’ è irreversibile ed avvinghiante la passione - dall'officina alla società, dall'utopia alla scienza."

186 Lettera a Tronti, 24 agosto 1962 in Lettere, cit.,pag.357

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«trasformare la prospettiva del crollo in una prospettiva di sviluppo», non poteva coesistere con la sua parola d’ordine del «controllo operaio». Da una parte, la lotta intesa come momento rivoluzionario dello sviluppo e quindi come surrogato della conquista del potere politico; dall’altra, come «massima pressione in rapporto a un obiettivo di rottura rivoluzionaria e a una prospettiva di autogestione socialista».

Panzieri pensa di poter riprendere, dopo piazza Statuto, il discorso di formazione quadri e di analisi sul Capitale (sede della rivoluzione può essere solo la fabbrica e la rabbia dei giovani va riscattata dallo «scadimento di tipo anarchico») ma è anche affascinato dal «nuovo corso» proposto da Tronti188, che a Roma aveva suscitato immediate adesioni e grandi entusiasmi e che si apprestava a mettere in crisi le situazioni dove era in piedi un lavoro dei «Quaderni Rossi» (Torino, Milano, Padova, Genova, Firenze): "Noi dobbiamo cominciare a parlare agli operai. [...]. Se vogliamo sfuggire al destino che minaccia sempre un esperimento come il nostro [...] dobbiamo allora dare una base operaia al nostro discorso politico. Tagliare un punto nevralgico del sistema, uno soltanto, in cui livello del capitale e livello operaio si contrappongono in modo classico, in modo puro, libero da interferenze «esterne». Colpire questo punto nevralgico non solo con gli strumenti dell’analisi teorica, ma con i mezzi di una prima organizzazione politica. Questo punto non puo che essere la Fiat..."

Le componenti che convivevano nei «Quaderni Rossi» entrano in crisi dopo il luglio ’62 e il dissenso si acutizza tra il gennaio e l’inizio dell’estate 1963 tra Panzieri e i «sociologi» da una parte e dall’altra chi riteneva invece di aver capita la lezione del luglio e quindi era impaziente di cimentarla in un esperimento specifico («Gatto Selvaggio» e «Classe operaia»). All’inizio Panzieri si aggrappa alla proposta di Tronti, per il quale era previsto uno spostamento al Nord in modo da coordinare e guidare il programma di intervento politico nelle varie situazioni, ma la tematica del «crollo come sviluppo» non era un episodio nella elaborazione di Tronti, ma un concetto che veniva da lontano. Le divergenze sul discorso organizzativo erano il riflesso di uno scontro delle reciproche tradizioni più profondo: da una parte quella comunista, dall’altra la cultura del socialismo di sinistra: "… ho intenzione di ristudiare seriamente Morandi….”.189

«Classe operaia» era sorta qualche mese prima e già teorizzava che il pci era una realtà di massa rispetto alla quale non si potevano cercare alternative. Panzieri invece si chiedeva cosa non era andato nella «politica unitaria», perché era saltato l’anello tra teoria e impegno e come rinsaldarlo e pensava a un lavoro di formazione di un’avanguardia rivoluzionaria non di massa le cui tesi politiche per un periodo prevedibilmente lungo non possono coincidere col movimento reale, ma possono mirare solo in prospettiva a questa coincidenza.

Lo scenario che Panzieri disegna è: la battaglia contro la razionalizzazione capitalistica, con la cattura del psi nel centro-sinistra e l’acquiescenza della cgil e del pci, sembra perduta per un periodo prevedibilmente lungo. Nello stesso tempo però la congiuntura mette in campo una carica polemica contro la linea ufficiale delle organizzazioni storiche e spinge la sinistra socialista a uscire dalla tattica dei piccoli condizionamenti con la costituzione del psiup nel gennaio 1964. "Non

187 Lettera di Tronti , 13 gennaio 1963, in Lettere, cit., pag.376

188 Lettera di Mario Tronti a R.P., 9 gennaio 1963, in Lettere, cit., pag.377-389

189 Lettera a Luciano Della Mea, 24 agosto 1964, in Lettere, cit., pag.408. Il seguito è già citato al cap.1 § 6

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capisco perché dovremmo polemizzare a proposito del Psiup. Mi pare che il tuo giudizio coincida con quello dei qr. Sebbene compiuta in modi ridicoli, la scissione – per dirla in modo sbrigativo e approssimativo – risponde tuttavia a pressioni, contraddizioni ecc. a livello di base. Non si pone neppure perciò il problema se si deve appoggiare o no È ovvio che merita un intervento positivo, che tenda — contro le forme mistificate in cui il gruppo dirigente interpreta le spinte di base – a enucleare un contenuto politico serio".190

Contro i pericoli di finire nella setta e della deriva dei «Quaderni Rossi» verso il sociologismo, lotta sul filo della ricerca che ha sempre sostenuto la sua milizia: come risalire dalla fonte alla foce, dal movimento, dall’analisi e dall’inchiesta alla teoria, alla politica e all’intervento. E' ancora pieno di idee nonostante delusioni e amarezze per la ricerca del lavoro, per la necessità di riformulare una strategia di analisi e di intervento, quando muore all’improvviso il 9 ottobre 1964 per un embolia cerebrale191

Conclusione

Panzieri non si staccò mai fino in fondo dalle tematiche morandiane, di cui condivideva sia l'attenzione alle condizioni strutturali della classe ed alle trasformazioni nella sua composizione perchè solo dalla conoscenza concreta della condizione operaia poteva derivare il rinnovamento del corpo teorico della sinistra italiana, sia l'attribuzione di una razionalità intrinsecamente progressiva al processo produttivo nella grande fabbrica che la classe operaia avrebbe dovuto svelare attraverso forme di organizzazione consiliari.

Si richiamava al primo Morandi, al superamento dello stalinismo e statalismo e alla ricerca di una via socialista alternativa, in cui la classe operaia si esprimesse tramite canali propri non mediati da direziani esterne e verticistiche. Il punto di approdo di queste esperienze è costituito dalla vicenda dei «Quaderni Rossi», attraverso cui il gruppo riesce a fare i conti con il patrimonio storico della

190 Lettera a Paolo Padovani, 15 gennaio 1964, in Lettere , cit., pag.392

191A commentare la scomparsa pochi articoli di commemorazione della stampa di sinistra: l’Avanti, Mondo operaio, l’Unità, l’Astrolabio (di Ferruccio Parri). Circolava la voce che ritenesse chiusa l’esperienza dei «Quaderni Rossi» e si apprestasse ad entrare nel PSIUP per sostenervi la lotta della sinistra. Testimonia Lucio Libertini a Merli (“Lettere…”., cit., pag.xlviii) “...al termine dell’estate 1964. Raniero mi telefonò perché era a Roma...Fu un incontro molto cordiale, amichevole, affettuoso, uscimmo a spasso per la città, come una volta. Io non sopportavo la direzione Vecchietti-Valori, che consideravo dannosa per il futuro del Psiup. Raniero era stanco e preoccupato della esperienza minoritaria. Mi prospettò l’idea di un suo ingresso nel Psiup non come un fatto personale, ma come un momento di battaglia politica. La cosa mi piacque molto, tanto che ne parlai poi con Andrea Filippa, studiando con lui questo progetto”. Pucci Panzieri ricorda invece lunghe discussioni, dopo la rottura con «Classe operaia», per rilanciare i “Quaderni Rossi” in modo più coerente che nel passato. E aggiunge, cercando una spiegazione a quelle voci:”Indubbiamente, dopo l’uscita dei compagni di “Classe operaia”, i “Quaderni Rossi” ripresero una maggiore attenzione verso ciò che avveniva nelle organizzazioni storiche, e questo può aver suscitato illusioni di recupero in alcuni settori delle medesime”.

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sinistra socialista, sottoponendone a critica le categorie fondanti e riutilizzandole alla luce di esperienze politiche e di acquisizioni teoriche originali.

Panzieri non era un intellettuale «impegnato» ma un «politico» attento ai problemi della cultura marxista ed è grazie alla sua lucida critica che nella cultura di sinistra la polemica contro i residui idealisti e la tradizione crociana travalicò i limiti della discussione accademica. In Panzieri il ruolo dell'intellettuale si definisce nella ricerca sulla realtà strutturale della classe e della organizzazione della insubordinazione operaia senza per questo appiattire l'impegno culturale su quello politico o ad identificare l'insubordinazione operaia con il momento della elaborazione teorica «Il fondatore dei OR .... afferma decisamente che l'insubordinazione operaia non costituisce di per se stessa la strategia, e rappresenta soltanto una condizione necessaria per realizzare una prospettiva rivoluzionaria»192.

Il problema del legame organico degli intellettuali con la classe non è risolvibile con ideologie spontaneistiche o forzature volontaristiche ma con la ridefinizione del concetto stesso di teoria. Panzieri nel 1964 ritenne di risolvere il problema definendo il marxismo fondamentalmente sociologia, influenzato della Teoria Critica della scuola di Francoforte, soprattutto nella polemica contro la concezione del marxismo come sistema o come filosofia della storia. In particolare aveva mutuato da Adorno la critica verso la concezione della rottura rivoluzionaria necessariamente indotta dallo sviluppo oggettivo delle contraddizioni della società capitalistica, individuando in essa la radice teorica di ogni forma di riformismo e di revisionismo193 La rottura su questi elementi teorici avrebbe consentito di riproporre il nucleo dialettico e dinamico del marxismo, e soprattutto un uso della teoria come strumento di indagine e di intervento al livello della realtà strutturale.

192 P.Mancini, Socialismo e democrazia diretta, cit., pag. 103

193 Lettera a Luciano Della Mea, 18 agosto 1964 , in "Lettere...", cit., pag.205-6 "....uno dei passi più infelici di Marx, che è alla base delle teorie socialdemocratiche della fatale scomparsa del capitalismo (e che prende per buona, come base del socialismo, la socializzazione capitalistica)....Ciò che Marx non vede sono le capacità di adattamento (e quindi di «salto» vero e proprio) del sistema; e questo è il fondamento comune del revisionismo e del dogmatismo. . ... Mi pare che questa esigenza consista essenzialmente nel problema di individuare le basi etiche del socialismo, in quanto negazione totale del capitalismo. E questa è una esigenza giustissima, ma che non si può salvare cercando di riportarla nell' alveo dello storicismo nella sua versione hegelo-marxista. Quella istanza può essere veramente recuperata soltanto se si rompe l'incantesimo dell'idea che lo stesso capitalismo genera, mediante la classe operaia da esso socializzata, la società contrapposta, il socialismo. (In sostanza, è su questo punto di fondo che è divenuta impossibile la collaborazione con i compagni di «Classe operaia»). Se questa rottura si opera, allora acquista il suo senso più profondo il discorso sull' «utopia» rivoluzionaria che tu fai, e che è in contrasto con l'attribuzione di «valori» impliciti all'insubordinazione. Credo che su questo punto sia incontestabile la giustezza e l'attualità del pensiero leniniano: il movimento rivoluzionario è l'incontro del socialismo con il movimento reale della classe operaia. Quest'ultimo è soltanto la base materiale della rivoluzione. (Ciò che non significa affatto che la teoria potrebbe esistere ugualmente senza le condizoni materiali della classe operaia: questa è l' «utopia» contro la quale polemizzava Marx, e riesumata, ad es., da Arturo Labriola per fare del socialismo una categoria ideale eterna)....se non si abbandona decisamente ogni visione mistica della classe operaia, non si può fare quel discorso compiuto sul socialismo, che lo stesso sviluppo capitalistico ci costringe a fare se vogliamo avere un' arma valida di lotta"

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Da questo punto di vista l'esperienza dei QR costituisce uno degli sbocchi della vicenda del «marxismo critico» in quanto si propone di consumare la rottura con le concezioni oggettivistiche e deterministiche, e al tempo stesso di riformulare una teoria in grado di adeguarsi costantemente al livello del capitale, come condizione per una omogeneità, non ideologica ma politica, tra intellettuali e classe.

La base metodologica di tale ipotesi viene individuata nella conricerca, attraverso cui l'operatore culturale analizza la condizione strutturale della classe e la sua stratificazione ideologica, e la classe si appropria degli strumenti teorici ed organizzativi: la ricerca, dunque, è la prima ed indispensabile forma di mediazione politico-culturale, necessaria per fare emergere gli elementi portanti di una nuova razionalità operaia: «Il metodo dell'inchiesta (...) è il metodo che dovrebbe permettere di sfuggire ad ogni forma di visione mistica del movimento operaio, che dovrebbe assicurare sempre un'osservazione scientifica del grado di consapevolezza che ha la classe operaia, e dovrebbe essere quindi la via per portare questa consapevolezza a gradi più alti; da questo punto di vista c'è una continuità ben precisa tra il momento dell'osservazione sociologica, condotta con criteri seri e rigorosi, e l'azione politica: l'indagine sociologica è una specie di mediazione, se si fa a meno della quale si rischia di cadere in una visione o pessimistica o ottimistica, comunque assolutamente gratuita di quello che è il grado di antagonismo o di coscienza di classe da parte della classe operaia» 194

194 R. Panzieri, Uso socialista dell'inchiesta operaia, «Quaderni Rossi», n. 5, 1965. "Mentre in un primo tempo iI capitalismo abbisogna di indagare soprattutto sul proprio meccanismo di funzionamento, in un secondo tempo, quando esso è più maturo, ha bisogno invece di organizzare lo studio del consenso, delle relazioni sociali che si impiantano su questo meccanismo. Questo evidentemente diventa tanto più urgente per il capitalismo quanto più esso si sviluppa e passa alla fase superiore, alla fase di pianificazione, quanto più esso si libera (come determinante) dai rapporti di proprietà e fonda sempre più la sua stabilità e il suo potere sulla crescente razionalità dell'accumulazione......Questo non significa affatto che la sociologia sia una scienza borghese, anzi significa che noi possiamo usare, trattare, criticare la sociologia come Marx faceva con l’economia politica classica, cioè vedendola come scienza limitata… La dicotomia sociale di fronte alla quale noi ci troviamo comporta un livello di indagine scientifica molto alto, sia per quel che riguarda il capitale, sia per quel che riguarda l'elemento conflittuale e potenzialmente antagonistico che è la classe operaia" “Il metodo dell'inchiesta cioè è il metodo che dovrebbe permettere di sfuggire ad ogni forma di visione mitica del movimento operaio, che dovrebbe assicurare sempre un’ osservazione scientifica del grado di consapevolezza che ha la classe operaia, e dovrebbe essere quindi anche la via per portare questa consapevolezza a gradi più alti…C’è una continuità ben precisa tra il momento dell'osservazione sociologica condotta con criteri seri e rigorosi e l’azione politica: l’indagine sociologica è una specie di mediazione, se si fa a meno della quale si rischia di cadere in una visione o pessimistica o ottimistica comunque assolutamente gratuita mi pare sia necessario nella scelta degli strumenti della sociologia contemporanea compiere alcune operazioni critiche, soprattutto per quel che riguarda gli aspetti che si chiamano microsociologia...Il lavoro di indagine fatto in questo modo è il lavoro in un certo senso più importante che noi possiamo fare, cioè il lavoro che assicura anche il legame tra teoria e pratica che oggi sembra sfuggirci per ragioni oggettive…(. )

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Marco Sacchi - Giovanni Artero

Rodolfo Morandi e il socialismo rivoluzionario tra le due guerre

1.Origini e collocazione del Centro Interno Socialista; 2. Il rapporto partito – masse e fase democratica-fase socialista; 3. Il giudizio sull’Unione sovietica. Trockij e Morandi sulla burocrazia; 4. La politica di piano; 5. Il socialismo rivoluzionario nei Paesi fascisti; 6. Dagli anni ’20 al crollo del movimento operaio tedesco; 7. Il socialismo di sinistra e i Fronti Popolari; 8. Il socialismo di sinistra di fronte alla guerra

1. Origini e collocazione del Centro Interno Socialista

Le origini del Centro, fondato nell'estate 1934 a Milano da Rodolfo Morandi, Lelio Basso, Eugenio Colorni195, Lucio Luzzatto196, Bruno Maffi197, vengono fatte risalire a riviste come "Rivoluzione liberale", “Quarto Stato”, “Pietre”198 unite dalla critica alla politica della Seconda Internazionale e all’incapacità di quel marxismo a comprendere i mutamenti strutturali per il suo meccanicismo positivistico, dall'acquisizione del volontarismo, dalla ricerca di uno strumento politico che prescindesse da quelli esistenti.

Il Centro non intendeva collocarsi nel filone della tradizione del socialismo italiano prefascista, che non riteneva più vitale, ma non voleva neppure dar vita a un nuovo partito ritenendo più utile favorire, all'interno di una organizzazione già esistente, la rifondazione unitaria del movimento operaio italiano mediante un processo di fusione delle formazioni proletarie.

Le ripetute sconfitte del proletariato nel dopoguerra e il ruolo svolto dai movimenti eversivi dei ceti medi nell'ascesa dei fascismi avevano stimolato la revisione del tradizionale postulato della centralità della classe operaia nei processi rivoluzionari. Il CSI criticò entrambe le varianti di questo pensiero: sia la valorizzazione del potenziale rivoluzionario ed anticapitalistico dei ceti medi, sia la proposta di un socialismo umanistico. La centralità accordata alla classe operaia, che si accompagnava al rifiuto dell’impostazione giacobina dei comunisti, conduceva a privilegiare la crescita dal basso della coscienza rivoluzionaria.

Il consolidamento del regime, che negli anni '30 non poteva più essere considerato come una parentesi, imponeva di ammettere il distacco con la generazione dei giovani cresciuti sotto il fascismo, adeguando l'analisi e i metodi di lotta per riallacciare i legami: alla prospettiva di una rivoluzione imminente andava sostituta una strategia di logoramento condotta all'interno delle

195 1909-1944; Ved. Leo Solari, Eugenio Colorni : ieri e oggi , Venezia, 1980

196 G. Lannutti Lucio Luzzatto : l'attività politica e l'impegno di costituzionalista, Udine, 1996

197 1909-2003. Nipote del massimalista Fabrizio Maffi, dopo l'esperienza nel CSI militò nell'area bordighista

198 S. Merli Il Quarto Stato di Rosselli e Nenni e la polemica sul rinnovamento socialista nel 1926 in Rivista storica del socialsmo, 1960; L.Basso Dalla rivista Pietre al gruppo Bandiera Rossa in Rinascita, 1977, n.32

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organizzazioni fasciste, in particolare il sindacato e il dopolavoro, facendo leva sulle contraddizioni materiali vissute dai lavoratori

Il Centro riteneva che, di fronte alle trasformazioni intervenute nell'ultimo decennio, entrambe le strategie politiche nate dalla scissione del 1921 si fossero arenate su posizioni morte, riducendosi a reminiscenze del passato. Le critiche al movimento comunista si concentravano su tre punti: la diversa visione del momento democratico-boghese e momento socialista (del processo di transizione rivoluzionario), del rapporto partito-classe e della realtà dello stato sovietico199 “Nel dopoguerra fino ad oggi il comunismo in tutti i paesi ha calcato fedelmente l’azione bolscevica che…ha eternato quella contingente posizione (di minoranza rivoluzionaria), l’ha potenziata nelle sue manifestazioni, ma senza staccarla mai delle sue premesse. Atteggiamento interno dunque al movimento socialista, che non ha saputo superare il suo punto di partenza, condizionato dall’estrema elementarità e conseguente rigidezza dei motivi, d’ordine piuttosto ideologico che pratico, che lo promossero. Questo ci spiega come fin ad oggi tutta la critica comunista non abbia fatto un passo in là delle posizioni polemiche sulle quali Lenin saldamente l’avvitò quando la rivoluzione sembrava piuttosto un mito che un’esperienza alle porte. Ciò spiega come la politica comunista si possa mantenere irriducibilmente chiusa che, in funzione dell’esperienza rivoluzionaria, tenda oggi ad adeguarla ad una situazione politica mutata”200.

2. Il rapporto partito – masse e fase democratica - fase socialista

La critica di Morandi ai comunisti si appunta alla scissione tra fini e mezzi, al fatto di porre le rivendicazioni minime slegate dal discorso strategico: “L’edificazione del socialismo deve essere promossa da una organizzazione e movimento di masse che ne abbiano coscienza e ne facciano una rivendicazione di classe e quindi concepirsi come lotta e conquista del proletariato e non delle èlite che operano per delega del proletariato”201. La sua polemica sulla scissione tra masse cieche e il Partito principe machiavellico che fa muovere le masse su obbiettivi elementari, ma col secondo fine di dirigerle poi verso sbocchi più avanzati che solo egli conosce, trova la sua affermazione più esplicita nella “Lettera ai compagni comunisti” del 1944: “La realtà è che i socialisti portano, anche nel fuoco dell’azione, delle esigenze che i comunisti non provano. Essi debbono assegnare un orizzonte agli sforzi che chiedono alla massa lavoratrice, non possono limitare le prospettive a successivi traguardi di tappa. E questo orizzonte è rappresentato dalle

199 A. Agosti, Rodolfo Morandi, Bari, 1971; introduzione di S. Merli alla raccolta di materiali dell’Archivio Tasca pubblicato negli Annalli Feltrinelli 1962 col titolo: La rinascita del socialismo italiano e la lotta contro il fascismo dal 1934 al 1939; Pino Ferraris: Rodolfo Morandi e la costruzione della componente socialista rivoluzionari, Biella <1964?>

200 R.Morandi, marzo 1935

201 Nel 1935-36 era scoppiata una polemica sull’apertura verso le masse fasciste lanciata da Ruggero Grieco con la parola d’ordine “saldare l’opposizione antifascista all’opposizione interna al fascismo” a cui il C.I.S. obbiettò che questo slogan non si adattava alla realtà dell’ambiente e della situazione italiana, dove i margini per un'azione di massa non esistevano e che non credeva possibile mobilitare le masse “in base a parole d’ordine minime più o meno machiavelliche (libertà, pace, pane, lavoro ecc.)”.

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finalità di classe. Secondo la concezione poi che i socialisti hanno del partito, è la massa che nel partito esprime i suoi interessi e per mezzo del partito si dirige. Invece nella concezione comunista il partito è strumento per manovrare la massa conforme alle direttive che ai quadri compete di assegnargli. Tutto questo comporta naturalmente una dinamica diversa”.202

Morandi si oppone, riguardo alla fase di transizione, alla trasformazione dell’antifascismo a momento strategico203, senza per questo rifiutare i momenti tattici (alleanze, obiettivi primari ecc.). Al crollo del fascismo ci sarà una “situazione manovrata”, vi saranno problemi di alleanze con settori borghesi, “in questo momento dovremo assicurarci i posti di comando, a garanzia della nostra esistenza. Dovremo arrivare a mettere le mani su leve essenziali della macchina statale, di una macchina che una dura esperienza (non italiana soltanto) ci ha insegnato possedere una terribile forza di stritolamento quando è stata manovrata a nostro danno”. Non ignora l’esistenza dello Stato borghese e vuole anzi metterci le mani, ma più per bloccare gli effetti che per l’illusoria pretesa di usarlo per conquiste positive. La macchina statale bloccata dovrà permettere al nuovo potere proletario di esprimersi e di organizzarsi, emergendo dal basso e articolandosi nelle più varie forme d'organismi, di consigli in una società autogovernantesi che vince in un processo ininterrotto di prove di forza e di spostamenti di rapporti di forza fino a giungere al “sistema nazionale dei consigli in continuo contatto con la popolazione”. Il problema è quello di un uso di classe dell’ antifascismo e quindi occorre aver presente che allo sbocco della lotta non si raggiungerà una libertà neutra, astratta ma una libertà favorevole ad una classe: “Scopo del movimento socialista deve essere quello di impedire che la crisi che si aprirà con la caduta del fascismo possa riequilibrarsi in soluzioni di compromesso che lascino alle forze reazionarie possibilità di ripresa, ma anzi di sospingerla verso sempre più ampi e profondi sviluppi fino a farla diventare crisi definitiva del sistema borghese”.

3. Il giudizio sull’Unione sovietica. Trockij e Morandi sulla burocrazia

La rivoluzione russa per il CSI era un punto di riferimento e non un modello, il momento di passaggio dall'utopia alla realtà, e l'esperienza sovietica era vista come la configurazione particolare assunta in Russia dal socialismo che dimostrava la concreta possibilità di una gestione socialista dell'economia e rappresentava perciò una fonte di legittimazione.

Morandi dopo l’arresto prosegue nel carcere di Reggio Emilia gli studi economici iniziati con la Storia della grande industria204, e il frutto di questi riflessioni compiute in difficili condizioni materiali sono dei quaderni di appunti sull’Economia regolata ricchi di intuizioni e spunti ancora attuali “la rottura politica del potere borghese e la nazionalizzazione e pianificazione dell’economia può non significare un’uguale rottura nell’ordinamento della produzione, ma importa anzi una certa continuità di forme del passato” e l’esigenza di sviluppo delle forze produttive insorgono inevitabilmente nel sistema socialista delle contraddizioni, e che tali contraddizioni possono essere risolte solo sostituendo all’organizzazione burocratica …, una nuova organizzazione sociale

202 Ora in R. Morandi “ Lotta di popolo : 1937-1945”. Torino, 1958

203 La critica fu risollevata da Lelio Basso in Il rapporto tra rivoluzione democratica e rivoluzione socialista nella resistenza, in Critica Marxista, 1961, n.4.

204 R.Morandi Storia della grande industria in Italia, Bari, 1931

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capace di legare il problema della produttività allo sviluppo della democrazia diretta”.205

Per Morandi la burocrazia è uno strumento di mediazione statale che regola in forme istituzionali il funzionamento dello squilibrio dei profitti e dello sviluppo della produzione in funzione di un sistema determinato di rapporti di produzione. Con il trapasso ad un diverso ordine sociale l'organizzazione burocratica diventa una «camicia di forza» per l'economia regolata, un ostacolo allo sviluppo delle forze produttive. A questa stessa conclusione era giunto pochi anni prima Trockji: a mano a mano che le forze produttive si sviluppano e il problema della qualità della produzione viene a prevalere su quello della produzione comunque, la burocrazia diviene un ostacolo crescente, nello stesso tempo in cui si esauriscono le sue funzioni progressive.

Ma Trockji, che rifiutava di definire la burocrazia come classe, prendeva di mira con la sua polemica soprattutto una casta di funzionari, che considerava «un'escrescenza parassitaria dello Stato proletario», vedeva nella burocrazia staliniana un prodotto storico specifico della società sovietica scarsamente assimilabile alla burocrazia degli Stati capitalistici. Morandi invece appunta la sua critica non tanto sulla burocrazia come agglomerato sociale, ma sui criteri informativi dell'organizzazione burocratica in generale, che ritiene perpetuati nell'economia sovietica e incompatibili con quell'aumento della produttività del lavoro che è la base materiale della società senza classi. La sua è un'argomentazione volutamente tecnica: egli stesso dichiara di voler prescindere «dalla impostazione solita a darsi alla trattazione dell' argomento, che induce a prender spunto dai destini del capitalismo, dalle definizioni delle funzioni e compiti dello Stato, dalla critica delle libertà individuali e questioni altrettanto grosse», per «studiare fuor di pregiudiziali le questioni più determinate e positive di questa nuova forma di economia produttiva», vale a dire dell'economia regolata.

Questa impostazione deriva dalla sua concezione del socialismo inteso, oltre che emancipazione delle classi sfruttate, come la piena espIicazione delle forme più razionali dell'organizzazione produttiva e del progresso tecnico e scientifico, con ciò fornendo la base di una strategia socialista rispondente alle condizioni dei paesi ad alto sviluppo capitalistico.

L'alternativa che contrappone alla gestione burocratica di un'economia socialista, rimane in una prospettiva essenzialmente efficientista: così si spiega il giudizio positivo sui tentativi rivolti «a promuovere la emulazione fra i lavoratori, a premiare quanti pervengano ad accelerare in modo qualunque il ritmo del ciclo produttivo», indipendentemente dai rischi che ne possono derivare di una sperequazione salariale e di una conseguente stratificazione sociale, che è essa stessa alla base dei processi di burocratizzazione. Gli sviluppi successivi del suo pensiero (come “Criteri organizzativi dell’economia collettiva” che è del 1944) dimostrano che avvertiva il problema di legare l'aumento della produttività al potenziamento di forme di democrazia diretta, senza illudersi che la soluzione potesse trovarsi nella riproduzione del modello dell'azienda capitalistica all'interno di una struttura collettivistica.

4. La politica di piano

Già negli anni ‘30 il “Centro" (e in particolare Maffi e Luzzatto) si era occupato di “piani” e ciò a proposito del «Plan du travail" di Henri de Man, laeder del POB (Partito Operaio Belga) e fautore del "superamento del marxismo”. Esso consisteva in un progetto di “economia mista” basata sulla nazionalizzazione del credito e delle principali industrie al fine di sgretolare il dominio del capitale

205 A. Agosti, R. Morandi, pag. 431.

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finanziario e di sottrarre le classi medie da questo rovinate alle suggestioni fasciste 206. Di fronte alla pretesa di separare il capitalismo finanziario dal capitalismo concorrenziale “normale” e fondamentalmente sano, e di colpire il primo lasciando sussistere il secondo, il documento dal “Centro” osserva che “la compenetrazione fra il capitalismo finanziario a il capitalismo industriale è oggi a tal punto compiuta, che non si potrebbe tornare al "perfetto” stato anteriore se non distruggendo tutto il castello della produzione borghese e prendendosi la briga di rifarlo” Questa demistificazione dalle illusioni socialdemocratiche va letta insieme alla critica dell'URSS contenuta nell’"Analisi dell’economia regolata" “Alla base di tale elaborazione è.. il rifiuto della duplice «equazione pianificazione = socialismo, anarchia produttiva = capitalismo; rifiuto le cui implicazioni sono di notevole portata, in quanto inficiano la presunta incompatibilità tra capitalismo e pianificazione affermata con eguale convinzione, anche se in prospettive diverse, dal pensiero socialista dalla Seconda e Terza Internazionale sulla scorta dell'identificazione del sistema capitalistico con il modello concorrenziale" 207

La sua "Storia della grande industria in Italia", contemporanea alle riflessioni e agli studi che sulla formazione dello Stato unitario, sulla sua crisi e sulle origini dal fascismo venivano compiendo Gramsci (“Alcuni temi della questione meridionale") e Sereni ("Il capitalismo nelle campagne") testimonia una previsione degli sviluppi dal capitalismo più esatta e presenta una linea di analisi differente rispetto a quella comunista su due grosse questioni: anzitutto, mentre Lenin nell’"Imperialismo" vedeva nei monopoli l'esaltazione dell'aspetto parassitario del capitalismo e ne sottovalutava l'aspetto progressivo sul piano tecnico-economico, Morandi mette in evidenza come le concentrazioni industriali più complesse siano, specie per certi settori produttivi, la condizione necessaria di sviluppo. Affermazione importante perché «segna la rottura con la tradizione economica del socialismo italiano prefascista influenzato dal liberalismo economico, che vedeva nella concentrazione monopolistica un elemento patologico e ne propugnava lo smembramento per ritornare alla libera concorrenza e perché apre la strada all'analisi del neocapitalismo».

In secondo luogo, mentre Lenin seguendo Hilferding vede una prevalenza del capitale finanziario su quello industriale, Morandi scopre che la fase di dominio del capitale finanziario è una fase transitoria dello sviluppo capitalistico e prelude al ritorno del capitale finanziario in posizione sussidiaria rispetto a quello industriale documentando questa affermazione con il diverso processo di formazione dei grandi trust chimico ed elettrico rispetto a quello dei monopoli siderurgici e cotonieri.

5. Il CIS e il socialismo rivoluzionario nei Paesi fascisti

Di fronte alla proposta dell’austomarxista Otto Bauer di giungere ad una integrazione tra socialdemocrazia e comunismo208, Morandi così replica: “Disincagliandosi dalle secche in cui l’una e l’altra Internazionale hanno dato, superando i punti morti di democrazia e autoritarismo, il nuovo socialismo deve dichiararsi schiettamente libertario (senza impaurirsi della baldanza anarchica di

206 A. Agosti, “Le matrici revisioniste della pianificazione democratica: il planismo”, in “ Classe», 1.

207 A. Agosti, R. Morandi, pag. 334.

208 O.Bauer Tra due guerre mondiali? : la crisi dell'economia mondiale, della democrazia e del socialismo. introduzione di E. Collotti, Torino, 1979

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questa qualifica!). E’ l’eredità gravosa del lungo periodo di lotta legale, lo statalismo, che ha spezzato le reni della Seconda e Terza Internazionale, che è da scrollarsi di dorso. E’ tutta la critica marxista dello Stato e della burocrazia, ch’è da riprendere e portare a nuovi sviluppi....E’ questo il compito che alle formazioni illegali incombe: preparare l’unità (che è qualcosa di più della “fusione organica”) attraverso la revisione radicale delle vecchie posizioni. Ma l’obiettivo dell’unità non le deve fuorviare. Esse non debbono proporsi di conquistare ciò che è al là delle loro forze e al di là delle loro possibilità, appagarsi di attingere l’unità per via di formule; debbono dar vita ad un movimento capace di esercitare un ascendente decisivo così sulla preparazione rivoluzionaria delle masse oppresse dal fascismo, come sull’ambiente proletariato internazionale, per vincere le inerzie mondiale, intesa a unificare a sé le infinite minori divisioni che la crisi politica di questi anni ha prodotto tra i partiti tradizionali. E sarà questo il più grande contributo che oggi si possa portare all’unità operante di domani”. 209.

Queste posizioni trovano conferma e riscontro anche al di fuori del CSI. La concordanza nella tematica nonostante le diverse provenienze, l’intrecciarsi di rapporti reciproci, la localizzazione di questi militanti e gruppi clandestini in un’area delimitata della Lombardia e del Veneto tra Milano, Padova e Trieste, consentono di parlare dell'esistenza di un preciso filone politico.

Edgardo Bartellini210 polemizzò con Rodolfo Mondolfo per liberare il marxismo dal fatalismo, con De Man per demistificare le illusioni dei piani economici socialdemocratici di rappresentare la soluzione delle crisi cicliche del capitale. Nello scritto del 1944 “Ragioni morali di una sconfitta” affronta i temi tipici del Centro: il problema della libertà e dell’autorità nel socialismo; il problema italiano e la funzione del Partito Socialista, dandone la soluzione nella proposta dell’unità proletaria, nella concezione del socialismo libertario, nell’identificazione di socialismo e comunismo.

Eugenio Curiel apparteneva alla generazione dei giovani cresciuti e educati nel regime che si avviarono all’opposizione al fascismo militando nelle sue organizzazioni211 “Nella concezione di Curiel il Partito non esaurisce o egemonizza tutte le possibilità rivoluzionarie; si tratta di una concezione certamente eterodossa rispetto a quella leninista, che si avvicina, anche per l’articolato senso storico con cui è posto il rapporto tra partito e classe, a quella di Morandi” 212. Nel concetto di “democrazia progressiva”, esclusa ogni possibilità di equilibrio tra le forze sociali, è presente il rifiuto dell’aspetto moderato e limitativo con cui veniva inteso il Fronte: “… democrazia progressiva non significa solo una tappa, una fase cui si giunga, e progressiva è la formulazione politica della rivoluzione permanente …. (l’organo politico) del polarizzarsi delle forze progressive in un

209 S.Merli La rinascita del socialismo italiano e la lotta contro il fascismo dal 1934 al 1939, in "Annali dell' Istituto Feltrinelli", Milano, 1962, pag. 185

210 Studioso di problemi economici, visse a Trieste. 1897-1945. Ved. E. Bartellini, La rivoluzione in atto e altri scritti, Nuova Italia, 1969 a.c. di S. Bologna

211 R.Zangrandi ”Il Lungo viaggio attraverso il fascismo”. Milano, 1962

212 Trieste 1912-1945. Dalla storiografia comunista la sua attività fu fatta rientrare interamente nel del PCI (Ved.E. Curiel, Classi e generazioni del secondo risorgimento a.c. di E. Modica, Roma, 1955) ma Stefano Merli ne dimostrò l’appartenenza al Centro Socialista Interno identificandolo in un “corrispondente” di questo, e ne reinterpretò di conseguenza gli scritti (Ved. S.Merli La Rinascita del socialismo italiano e la lotta contro il fascismo dal 1935 al 1939, pag. 77).

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determinato obiettivo che è poi quello della dittatura proletaria” 213 Altri invece ritengono che “… l’affermazione del carattere democratico-socialista che dovrà assumere lo scontro politico dopo la vittoria degli alleati è costante e ricca di motivazione ma non riesce (malgrado una costante differenziazione rispetto alle contemporanee affermazioni di Togliatti) una linea alternativa” 214.

Le posizioni di Morandi sono importanti anche “per l’aggancio che per la prima volta è dato notare con le correnti del socialismo europeo, con le posizioni di rinnovamento che si andavano delineando nelle formazioni clandestine tedesche e austriache” 215: il gruppo che operava in clandestinità in Austria, collegato con i dirigenti del P.S. emigrato, dei socialisti rivoluzionari presumeva una serie d'analogie tematiche con le posizioni del Centro: dalle tesi del “superamento delle due Internazionali che poteva realizzarsi solo attraverso la lotta e non sulla base di programmi” alla “tattica dello sfruttamento delle organizzazioni legali”,all’unità d’azione tra comunisti e socialisti che “non era vista solo nella sua funzione immediata di strumento della lotta antifascista, ma in prospettiva era considerata il mezzo per arrivare al ristabilimento dell’unità della classe operaia su basi rivoluzionarie" 216

Non è una caso se questi gruppi sorgono nei paesi dove ha preso il potere il fascismo, per l’aderenza alla situazione reale e perché rispondono alle condizioni di lotta imposte dai regimi fascisti senza lo schematismo dei comunisti e l’elitismo degli emigrati: “Il nuovo movimento socialista è promosso da giovani che non sono legati per nessun verso a quel passato del socialismo italiano che è morto. Come punto di partenza esso assume il fascismo quale è oggi, a dieci, a quattordici del avvento… L’operaio, intellettuale italiano si portano oggi a una posizione attiva solo con un lavoro nutrito di formazione politica che prenda le mosse – dalla fabbrica fascista, dell’ambiente fascista, dalla cultura - e lo svisceri, suscitando in questa critica la convinzione novatrice, lo slancio del nuovo rivoluzionario” 217. L’ esigenza dei socialisti del Centro si riassumeva in questi termini: “bisogna capire storicamente il fascismo come un prodotto della società italiana e delle sue contraddizioni, in queste contraddizioni insolute bisogna trovare la risposta al fascismo, una risposta nuova, socialista” 218.

6. Dagli anni ’20 al crollo del movimento operaio tedesco

La storia dei partiti socialisti raggruppati nella Seconda Internazionale (a partire dal 1923

213 E. Curiel, Classi e generazioni .... cit. pag. 218 e 228

214 E. Curiel, Dall’antifascismo alla democrazia progressiva a.c. di E. Franzin e M. Quaranta, Venezia, 1970, pag. 47; anche N.Biamonte La vita e il pensiero di Eugenio Curiel, Milano, 1979

215 La rinascita del socialismo italiano e la lotta ..... cit. pag. 57.

216 E. Collotti, La sconfitta socialista del 1934 e l’opposizione antifascista in Austria fino al 1938 in Rivista storica del socialismo n. 11, 1963 pag. 416.

217 S.Merli: La rinascita del socialismo italiano e la lotta …”cit. pag. 82.

218 L. Basso, Vent’anni perduti? In Problemi del Socialismo, 1963.

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Internazionale Operaia Socialista, I.O.S.) è oggi relativamente conosciuta219; non altrettanto si può dire del socialismo di sinistra220, per cui riteniamo utile a questo punto fare un passo indietro e aggiungere delle informazioni per inquadrare storicamente quanto si è venuto finora trattando.

Gli elementi costitutivi di questo composito filone vanno cercati tanto nelle varie scissioni dell’Internazionale Comunista (I.C.) quanto nella comparsa di ali sinistre in seno alla socialdemocrazia, che si separarono progressivamente da quest’ultima negli anni '30.

L’Unione dei Partiti Socialisti per l’Azione Internazionale, più conosciuta come Unione di Vienna o “Internazionale due e mezzo”, come la definirono derisoriamente i comunisti, si sforzò senza successo di superare la divisione subìta dal movimento operaio mondiale in conseguenza della rivoluzione d’ottobre e della creazione dell’IC. Questa iniziativa fallì e nel maggio 1923 la maggioranza delle forze dell’Unione di Vienna si unì alla Seconda Internazionale per dar vita all’IOS.

Tuttavia una minoranza formata dal P.S. italiano massimalista (PSI ml), dal P.S. Indipendente Tedesco (USPD) non confluito nella Socialdemocrazia (SPD), dai Socialisti rivoluzionari russi e lituani, dal Bund polacco e dal P.S. Indipendente Romeno rifiutò di fondersi nell’IOS e in una conferenza a Berlino nel dicembre 1924 si costituì in Bureau Internazionale di Informazione dei Partiti Rivoluzionari Socialisti che ebbe sede a Vienna fino al 1925 e poi, con l’adesione del Partito socialista-comunista francese di Paul Louis e del Partito Operaio Norvegese (DNA), a Parigi. Angelica Balabanov fu eletta segretaria.

Gli animatori del Bureau di Parigi si proclamavano continuatori dell’Unione di Vienna e ponevano l’accento sull’unità del movimento operaio che cercavano di realizzare pur disponendo di forze estremamente esigue. Alla fine degli anni venti erano ancor meno in grado di trovare interlocutori in quanto l’IC aveva intensificato la lotta contro il "socialfascismo" e i suoi attacchi non risparmiavano il "socialfascismo di sinistra", giudicato ancora più pericoloso. Quanto all’IOS, nel Bureau di Parigi non vedeva che un'associazione di gruppuscoli e di singole personalità che avrebbero fatto meglio ad entrare nelle sua fila.

La crisi economica, iniziata nel 1929 con il crollo della Borsa di New York, si estese ben presto a tutte le economie capitaliste ma non portò all'atteso crollo del sistema, anzi della situazione di instabilità politica e sociale approfittarono i movimenti fascisti. Il crollo della repubblica di Weimar e l'avvento di Hitler sottoposero a una drammatica radicale critica dei fatti tutto il movimento operaio. All’inizio degli anni ‘30 i partiti socialisti di sinistra conobbero una ripresa. Dalla rivolta viennese del 1934 giunse l’insegnamento che bisogna prepararsi a sfruttare un’eventuale crisi per non correre il rischio di una nuova vittoria del fascismo, le sconfitte in Germania e in Austria facendo nascere un processo di revisione politica nel socialismo europeo.

Da una riunione a Berlino di partiti socialisti appena fondati come il SAP tedesco e l’OSP olandese e di formazioni già esistenti come l’ILP britannico221 nacque la Comunità di lavoro Internazionale (IAG), per la cui iniziativa il 6 febbraio 1933 si svolse a Parigi una riunione dei

219 Enzo Collotti, L' Internazionale operaia e socialista tra le due guerre, a cura di, Milano, 1985 (Annali dell' Istituto Giangiacomo Feltrinelli, anno 23., 1983/84; R. Sigel Die Geschichte der Zweiten Internationale : 1918-1923, Frankfurt, 1986, G. A. Ritter Die 2. Internationale 1918-1919, Berlin-Bonn, 1980

220 Fa eccezione M. Dreyfus Il socialismo di sinistra in Europa tra le due guerre. 1993

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cinque partiti fondatori della IAG – eccetto quello bulgaro – con il PSI massimalista italiano222 ed il PUP francese. Sotto il peso suscitato dall’ avvento di Hitler al potere, fu inviato telegramma alle due Internazionali, che non risposero, per proporre una conferenza mondiale di tutte le organizzazioni operaie contro il fascismo.

Le organizzazioni presenti alla Conferenza di Parigi del 1933 furono per il Bureau di Parigi: P.S. unitario di Romania, PUP, PSI massimalista, Socialisti-rivoluzionari di sinistra (Russia); per l’IAG: DNA, OSP, SAP, ILP, NSSP (Polonia). Altri partiti presenti furono: FCI (Spagna), SKP (Svezia), RSP (Olanda), Leninbund (Germania)223 oltre al Segretariato Internazionale dell’Opposizione di Sinistra Internazionale (OSI)224 e agli osservatori: American Socialist Party (USA), il gruppo "Le Travail" (Svizzera), il gruppo "L’Effort communiste" di Albert Treint e tendenza "Action Socialiste" del Partito socialista francese animata da Claude Just, Partito socialista bulgaro, Bund polacco.

A partire dagli ultimi mesi 1933 cominciarono i disaccordi tra SAP e Lega Comunista Internazionalista (LCI, trotskista) sui modi di costruzione di una nuova Internazionale, che per la SAP doveva essere lo sbocco di un lungo processo di maturazione delle avanguardie, mentre per la LCI occorreva selezionare da subito su scala mondiale un’avanguardia sulla base di un programma. Da allora le divergenze aumentarono non limitandosi ai modi di costruzione della nuova Internazione e manifestandosi chiaramente con l'evoluzione della SAP verso la politica dei Fronti Popolari nel 1935.

Il 14-15 febbraio 1935 a Saint-Denis (Parigi) si svolse una conferenza di unificazione tra l’IAG e il Bureau di Parigi che formarono il Bureau Internazionale di Unità Socialista Rivoluzionaria (BIUSR) o Bureau di Londra. Parteciparono alla Conferenza: l'ILP , OSP e RSP 225, SAP, NSSP, Partito socialista svedese (ex SKP), FCI (Spagna), PSI massimalista, gruppo Rote Front (Austria), gruppo Mot Dag 226 (Norvegia), Bureau Internazionale delle Organizzazioni Rivoluzionarie della Gioventù227 , Amis de l’Unité Ouvriere228. Dopo l’adozione di una risoluzione sulla crisi generale del sistema capitalistico presentata dalla SAP, i dibattiti si incentrarono su due questioni principali:

221 Partito laburista indipendente, affiliato al Labour Party, di cui costituiva l’ala sinistra. Aveva fatto parte dell’Unione di Vienna sin dalla nascita e pur essendo rientrato nell’IOS dopo il 1923. sue posizioni a favore dell’unità lo mantenevano assai vicino al Bureau di Parigi.

222 Al convegno di Grenoble del gennaio 1930 si riunificarono il partito riformista nato dalla scissione del 1922 con la corrente del PSI capeggiata da Pietro Nenni, dando vita al PSI aderente all’IOS. L’ala massimalista (Balabanof) si oppose alla fusione contestandone la legittimità e restando in vita fino alla guerra . Vedi S.Sozzi “Il PSI massimalista ed Elmo Simoncini”, in “Antifascisti romagnoli in esilio”, Firenze, 1983,

223 Fondato nel 1928 da ex militanti del Partito Comunista Tedesco (KPD), aderì all’ Opposizione di sinistra internazionale per breve tempo. Pensava che una nuova internazionale dovesse essere costruita su basi diverse da quelle prospettate dai trostksti e riteneva l’URSS un "capitalismo di stato".

224 Nata nel 1930 per raggruppare i militanti comunisti (molti dei quali espulsi) che si richiamavano a Trotski.

225 OSP e RSP si riunificarono a marzo nel Partito operaio socialista rivoluzionario (RSAP).

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l’organizzazione della lotta contro il fascismo e la guerra e la costruzione di una nuova internazionale.

Sulla questione della guerra venne approvata la mozione secondo cui in caso di guerra antifascista si doveva evitare la subordinazione a governi borghesi anche se "democratici". La conferenza condannò anche i nuovi aspetti della politica estera dell’Unione Sovietica, cioè l’adesione alla Società delle Nazioni, definita "strumento dell’imperialismo". I rivoluzionari dovevano opporsi inflessibilmente ai governi capitalisti e difendere l’Unione Sovietica facendo una propria politica di classe. Se ciò nonostante la guerra fosse scoppiata, la classe operaia aveva il dovere di opporsi mediante lo sciopero generale e l’insurrezione.

Sulla questione dell’organizzazione internazionale, la SAP propose una risoluzione che affermava: “considerando il totale fallimento della Seconda e della Terza Internazionale, la conferenza reputa che il movimento rivoluzionario e internazione dei lavoratori non dispone oggi di una direzione nella quale riporre la propria fiducia e che gli è indispensabile creare una tale direzione, cioè formare un’autentica Internazionale proletaria. La conferenza ritiene che questa Internazionale non possa che essere frutto di un processo storico, e che essa si costruirà attraverso l’unificazione degli elementi rivoluzionari appartenenti o meno alle due Internazionali esistenti”. Le divergenze vertevano sui tempi della costruzione di una nuova Internazionale: per Trotsky il concetto di "processo" nascondeva in realtà l’"attendismo" e l’"opportunismo" della SAP.

La Conferenza di Saint-Denis rappresentò una tappa importante per il socialismo di sinistra che ne uscì rafforzato.

7. Il socialismo di sinistra e i Fronti popolari

Frattanto a Mosca l’Internazionale Comunista al suo 7. congresso, nel luglio-agosto 1935, rovesciava la politica fino ad allora adottata per impegnarsi nella strategia dei Fronti Popolari. Ciò portò nel socialismo di sinistra ad approfondire l’opposizione tra chi riteneva che si doveva lavorare per l’unità delle organizzazioni della classe operaia, e chi riteneva che l’unità rivoluzionaria della classe operaia non poteva essere realizzata dalle due Internazionali esistenti per il fallimento della loro politica

Nel settembre 1935 si costituirono la “Gauche Revolutionnaire” (GR), corrente interna alla SFIO (il Partito socialista francese) e il POUM spagnolo. La prima di queste organizzazioni, pur non essendo formalmente affiliata al BIUSR, difendeva la sua politica. Quanto al POUM, esso decise di

226 Formato da intellettuali norvegesi espulsi dal DNA. Negli anni trenta si avvicinò all’opposizione internazione di destra (brandleriana), ma in seguito aveva avuto un’evoluzione in senso socialdemocratico.

227 Nell’ottobre del 1933 l’organizzazione giovanile dell’OSP olandese convocò una conferenza internazionale delle organizzazioni socialiste rivoluzionarie della gioventù, conclusasi a Bruxelles col conflitto tra trotskisti e socialisti di sinistra.

228 Gruppo creato da Jacques Doriot, espulso dal Partito comunista francese in quanto fautore della poltica di unità di classe nel giugno 1934, qualche settimana prima della svolta "frontista" dell'I.C. Allora non aveva ancora iniziato l’evoluzione che lo avrebbe portato al fascismo.

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aderirvi dal suo congresso di fondazione. La comparsa simultanea di queste due formazioni va messa in relazione con la politica di Fronte Popolare in cui comunisti e socialisti si erano impegnati in un’alleanza elettorale da estendere anche alle forze della piccola borghesia.

GR e POUM si trovavano a far fronte dalla loro nascita al dilemma se essere l’estrema sinistra dei Fronti Popolari oppure condannare la “collaborazione di classe” cui si riteneva conducesse questa politica. Una prima verifica furono le elezioni in Spagna, nel febbraio 1936: in una lettera agli altri partiti operai il POUM propose la formazione di un fronte elettorale operaio e solo dopo molte esitazioni accettò di sottoscrivere il patto di Frente Popular aperto anche a forze borghesi. Uno dei principali fattori della decisione del POUM, che ribadì che il suo obiettivo continuava ad essere la lotta rivoluzionaria per il socialismo, fu l’esistenza di trentamila detenuti dell’insurrezione delle Asturie del 1934

Un problema analogo fu quello che la GR dovette affrontare con la vittoria elettorale del Front Populaire: formando il suo governo nel giugno del 1936, Léon Blum propose a Marceau Pivert di occupare la carica di responsabile del controllo politico della stampa, della radio e del cinema. Dopo qualche esitazione Pivert accettò, dimettendosi poi il 28 febbraio 1937229.

Questa decisione, e quella presa dal POUM il 25 settembre 1936, di delegare Andres Nin al Ministero della Giustizia in Catalogna, riflettevano la politica del BIUSR durante quei mesi decisivi: cercare di influenzare dall’interno l’evoluzione dei Fronti Popolari, offrendo a loro un appoggio critico. Una politica implacabilmente criticata da Trotsky e dal movimento per la Quarta Internazionale.

A Bruxelles dal 31 ottobre al 2 novembre 1936 ci fu una riunione promossa dal BIUSR per tentare di raggruppare l’estrema sinistra fuori dell’ambito del Bureau. Parteciparono: SAP, NSSP, Partito socialista svedese, PSI massimalista, e inoltre:

- per la Spagna: POUM, diverse sezioni sindacali dell’UGT della CNT, Federazione degli insegnanti Combate di Lerida, Movimento culturale degli Atenei di Barcellona

- per la Francia: GR, gruppo Que Faire?, Ecole émancipée, Comité de vigilance de intellectuels antifascistes (CVIA), Rassemblement contre la guerre et le fascisme

- per la Gran Bretagna: ILP, Partito socialista rivoluzionario di Scozia (RSP), War Resisters, Raggruppamento per la libertà delle colonie

- per l’Olanda: RSAP, Lega dei socialisti rivoluzionari (BSR)230

- per la Palestina: Gruppo Kibbutz Artzi, Poalei Zion di sinistra e Circoli Marxisti, gruppo Anti-fa

- Lega italiana dei Diritti dell’Uomo (LIDU)231 , Lega internazionale socialista contro la guerra (ISAOL)232 , Lega per un partito operaio rivoluzionario (USA e Canada).

Archibald F. Brockway, segretario dell’ILP relazionò per il BIUSR: la guerra di Spagna rappresentava la prima fase di un conflitto europeo. La politica del non-intervento seguita nei primi

229 D.Guerin Front populaire, revolution manquee, Paris, 1963, trad. italiana, Milano, 1971

230 Il BRS era nato da una scissione del RSAP nel novembre del 1935.

231 Fondata nel 1927 dal socialista italiano Luigi Campolonghi.

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mesi dall’URSS e da Léon Blum era perniciosa ed inaccettabile: la lotta non era tra fascismo e democrazia ma tra fascismo e socialismo e quindi riguardava il proletariato mondiale. Questa analisi si contrapponeva a quella comunista e socialista, che faceva dipendere le conquiste del proletariato spagnolo dalla vittoria militare.

Il giudizio sulla Russia sovietica e i processi di Mosca così come la questione della futura organizzazione internazionale furono rimandati ad una conferenza internazionale prevista per il 1937 a Barcellona, ma le giornate del maggio con la messa fuori legge del POUM segnarono l'annullamento della conferenza.

La SAP finì per aderire alla politica dei Fronti Popolari e alle speranze in una nuova rivoluzione socialista imminente, che erano nate dallo svilupparsi della lotta di classe in Spagna e in Francia, fece seguito la presa di coscienza dell’ineluttabilità di una nuova guerra mondiale. La rivoluzione che, sola, avrebbe potuto impedire la guerra, non si era realizzata; che fare quindi per trasformare l’inevitabile nuova guerra mondiale in rivoluzione?

8. Il socialismo di sinistra di fronte alla guerra.

Fino al 1933 le posizioni sulla guerra e i concetti di pacifismo, bellicismo e disfattismo rivoluzionario, erano influenzate dai dibattiti e dalle esperienze della Grande Guerra e della Rivoluzione d’Ottobre. Ma dopo l’avvento al potere in Germania del nazismo , una grande potenza economica e quindi virtualmente militare, la situazione era chiaramente diversa, spostando lo spartiacque destra/sinistra e pacifismo/bellicismo all’interno degli stessi partiti, cosicché le precedenti posizioni andavano riesaminate,

I pacifisti non si ponevano neppure la questione di partecipare ad una nuova ecatombe analoga a quella della prima guerra mondiale; il dovere dei militati era quello di opporvisi con ogni mezzo e a qualunque costo; la guerra, male supremo, doveva essere combattuta anche attraverso accordi con forze politiche borghesi e addirittura, secondo certi pacifisti integrali, al prezzo di concessioni ai governi fascisti. Paul Faure nella SFIO e James Maxton nell’ILP difendevano questo orientamento pacifista.

Agli occhi dei “bellicisti” non si potevano ripetere le vecchie analisi dal momento che entravano in ballo due elementi nuovi: l’esistenza dell’URSS e l’avanzata del fascismo. Di fronte ai rapidi progressi di quest’ultimo, le organizzazioni operaie non dovevano avere paura di partecipare a guerre antifasciste in alleanza con le forze politiche borghesi; questa era la posizione di militanti come Jean Zyromcky, che animava la corrente Bataille Socialiste in seno alla SFIO.

Collocandosi all’estrema sinistra, una minoranza difendeva le tesi del disfattismo rivoluzionario: la guerra imperialista doveva essere trasformata in guerra civile, preludio alla distruzione dell’ordinamento capitalistico ed alla conquista del potere rivoluzionario.

Il socialismo di sinistra, luogo d'incontro di diverse opposizioni al socialismo riformista e allo stalinismo, non poteva sfuggire alle contraddizioni che tutto il movimento operaio si trovava ad affrontare.

232 Creata nel 1931 da socialisti pacifisti in disaccordo con il Parti Ouvrier Belge (POB) sulla questione della guerra. Nel 1937 aderì al Rassemblement contre la guerre e le fascisme e sopravisse fino alla guerra

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Alla lotta contro la guerra e il fascismo che fu consacrata la nuova conferenza internazionale organizzata dal Bureau di Londra a Parigi dal 19 al 25 febbraio 1938, a cui

parteciparono: SAP, Partito socialista svedese, PSI massimalista, POUM, ILP, RSAP e BRS, IVKO233, alcuni membri dell’ex GR francese, gruppo Allarm (Cecoslovacchia), gruppo Der Funke (Austria), gruppo Neuer Weg (Germania) 234, gruppo Kibbutz Artziz (Palestina), Partito comunista archiomarxista (Grecia)235 , PUP (Francia)236 , African Workers Party, RSP (Scozia), Partito operaio palestinese. Si ribadì che non era più possibile ricondurre l'IOS sulla via della lotta di classe mentre l’IC era divenuta un organismo “riformista, strumento della burocrazia staliniana reazionaria”. Il compito del momento consisteva nel raccogliere tutte le forze rivoluzionarie sulla base dell' "azione di classe come fondamento della lotta contro il capitalismo, la guerra e il fascismo; rifiuto delle politiche di Fronte Popolare; rifiuto del “socialpatriottismo” e di qualsiasi forma di pace civile colla borghesia; sostegno alla lotta rivoluzionaria dei popoli oppressi nei paesi coloniali e semicoloniali; difesa della rivoluzione spagnola e del POUM; difesa dell’Unione Sovietica allo scopo di salvaguardare quanto poteva ancora sussistervi delle conquiste dell’Ottobre; accordo sulla necessità di distruggere l’apparato statale borghese e di instaurare durante la transizione al socialismo una dittatura del proletariato che, abbattendo il potere della borghesia, assicuri la massima democrazia alla classe operaia e non cada negli stessi errori del regime staliniano". Fu rivolto il più ampio appello alle organizzazioni antistaliniane non trotskiste per costituire un primo nucleo da cui organizzare un’Internazionale rivoluzionaria costituita "dai partiti e dai gruppi rivoluzionari della Seconda e della Terza Internazionale e dai quei settori del movimento anarcosindacalista che si avvicineranno al marxismo". Sulla questione del disfattismo rivoluzionario una commissione presentò un progetto, tuttavia alcuni membri dell’ILP erano pacifisti mentre i militanti dell’IVKO erano ostili al disfattismo rivoluzionario perchè indeboliva gli avversari della Germania nazista.

Pochi mesi dopo la Conferenza di Parigi, durante la crisi dei Sudeti e gli accordi di Monaco, il Bureau si riunì a Ginevra il 12 settembre 1938 e a Bruxelles il 29-30 ottobre, creando un organismo di fronte unico contro la guerra, il Fronte Operaio Internazionale (FOI), in cui si ritrovarono la maggior parte delle organizzazioni che avevano partecipato alla Conferenza di Parigi del 1938. Fu adottato un manifesto che analizzava la guerra come "frutto di un regolamento di conti degli imperialisti francese e inglese contro l’imperialismo tedesco” e che difendeva le tesi del disfattismo rivoluzionario, benché queste ultime fossero ancora oggetto di discussioni: così all’interno del Partito socialista operaio e contadino (PSOP) francese, nato dalla scissione di GR

233 L'Unione internazionale dell’Opposizione Comunista raggruppava le opposizioni comuniste di destra ispirate fino al 1929 da Bukharin e dal 1930 da H. Brandler del KPD. Nel 1938 accreditava sezioni in negli USA (Lega operaia indipendente d’America (ILLA) di Jay Lovestone, segretario del PC statunitense nel 1927-1929) in Germania e in Danimarca.

234 Minoranza del SAP che aveva rifiutato di aderire alla politica dei Fronti Popolari.

235 All’opposizione in seno al partito ufficiale fin dal 1924, aveva fatto parte dell’OSI trotskista nel 1932-33, avvicinandosi poi gradualmente al Bureau di Londra.

236 Era un residuo gruppo che non aveva seguito la maggioranza quando era rientrata nella SFIO nel 1936. Il PUP era nato anni prima dalla fusione di due gruppi usciti dal PCF: il Partito Operaio Contadino (POP) e l'Unione Socialista Comunista (USC)

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dalla SFIO, c’era una tendenza - rappresentata anche dal PUP francese, dal Partito comunista d’opposizione (KPO), dal BRS olandese e dal gruppo Der Funke austriaco - che rifiutava di mettere sullo stesso piano gli imperialismi democratici e fascisti

In una riunione del FOI a Parigi nell’aprile del 1939 tre dirigenti, J. Gorkin, Michel Collinet e Jay Lovestone, proposero la costituzione di un Centro Marxista Rivoluzionario Internazionale (CMRI), che doveva succedere formalmente al BIUSR. La maggior parte delle organizzazioni che avevano preso parte alla Conferenza di Parigi del febbraio 1938 vi aderirono e la stessa cosa fece il RSAP olandese ed il PSOP francese. La questione della Quarta Internazionale, fondata a Parigi nel settembre 1938, e la partecipazione dei trotskisti al Centro furono oggetto di discussione nel giugno del 1939. Una conferenza mondiale, prevista per il mese di settembre 1939 che avrebbe dovuto dare al CMRI una forma permanente non poté svolgersi a causa della dichiarazione di guerra.

La guerra pose fine a un periodo storico del socialismo di sinistra. Il FOI sopravisse fino al 1941, ma da quella data in poi non ci fu più nessun organismo internazionale del socialismo rivoluzionario.