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Giuseppe Di Benedetto PALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO La città entro le mura nella collezione fotografica di Enrico Di Benedetto ISBN 13 978-88-8207-363-3 EAN 9 788882 073633 Tracce di Palermo, 10 Seconda edizione, dicembre 2009 Di Benedetto, Giuseppe <1961-> Palermo tra Ottocento e Novecento : la città entro le mura / Giuseppe Di Benedetto. – 2. ed. – Palermo : Grafill, 2009. (Le tracce di Palermo ; 10) ISBN 978-88-8207-363-3 1. Di Benedetto, Enrico – Fotografie. 2. Palermo – Fotografie – Sec. 19.-20. 779.4458231 CDD-21 SBN Pal0222069 CIP – Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace” © GRAFILL S. r . l . Via Principe di Palagonia, 87/91 – 90145 Palermo Telefono 091/6823069 – Fax 091/6823313 Internet http://www.grafill.it – E-Mail [email protected] Tutti i diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica e di riproduzione sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcuna forma, compresi i microfilm e le copie fotostatiche, né memorizzata tramite alcun mezzo, senza il permesso scritto dell’Editore. Ogni riproduzione non autorizzata sarà perseguita a norma di legge. Nomi e marchi citati sono generalmente depositati o registrati dalle rispettive case produttrici. Finito di stampare nel mese di dicembre 2009 presso Officine Tipografiche Aiello & Provenzano S.r.l. Via del Cavaliere, 93 – 90011 Bagheria (PA)

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  • Giuseppe Di BenedettoPALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTOLa città entro le mura nella collezione fotografica di Enrico Di Benedetto

    ISBN 13 978-88-8207-363-3EAN 9 788882 073633

    Tracce di Palermo, 10Seconda edizione, dicembre 2009

    Di Benedetto, Giuseppe Palermo tra Ottocento e Novecento : la città entro le mura / Giuseppe Di Benedetto. – 2. ed. – Palermo : Grafill, 2009.(Le tracce di Palermo ; 10)ISBN 978-88-8207-363-31. Di Benedetto, Enrico – Fotografie. 2. Palermo – Fotografie – Sec. 19.-20.779.4458231 CDD-21 SBN Pal0222069CIP – Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”

    © GRAFILL S.r.l.Via Principe di Palagonia, 87/91 – 90145 PalermoTelefono 091/6823069 – Fax 091/6823313 Internet http://www.grafill.it – E-Mail [email protected]

    Tutti i diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica e di riproduzione sono riservati. Nessuna parte di questapubblicazione può essere riprodotta in alcuna forma, compresi i microfilm e le copie fotostatiche, né memorizzata tramitealcun mezzo, senza il permesso scritto dell’Editore. Ogni riproduzione non autorizzata sarà perseguita a norma di legge.Nomi e marchi citati sono generalmente depositati o registrati dalle rispettive case produttrici.

    Finito di stampare nel mese di dicembre 2009presso Officine Tipografiche Aiello & Provenzano S.r.l. Via del Cavaliere, 93 – 90011 Bagheria (PA)

  • Introduzione

  • Esistono immagini che, più di tante altre,sembrano avere il compito e il privilegio dicostituire una testimonianza alquanto raraed eloquente di epoche ed atmosfere ormailontane dal nostro presente.

    Immagini che raccontano la storia di unacittà attraverso le sue vicende sociali ed ur-banistiche. Una storia custodita tra le paginedi raccolte fotografiche ingiallite dal tempo,conosciute solo dagli studiosi e da qualcheappassionato.

    La collezione fotografica raccolta, tra lafine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento,dal cavalier Enrico Di Benedetto rappresen-ta sicuramente uno di questi rari «archividella memoria».

    Si tratta di un fondo, conservato pressola Biblioteca Comunale di Palermo, costitui-to da oltre 30.000 illustrazioni di varia natu-ra (cartoline e fotografie in maggioranza, maanche cartine geografiche, stampe, piante dicittà, ritagli di giornali) raccolte in sessanta-due volumi. Le tematiche affrontate dallacollezione sono tra le più svariate: dall’aral-dica ai ritratti dei siciliani illustri, dei garibal-dini, degli imperatori romani, dei papi, deisovrani siciliani ed italiani; dalla vita di Cri-stoforo Colombo a quella di Napoleone; dal-la filatelia alla numismatica; dall’agricolturaalle attività industriali in Sicilia e nel restod’Italia nei primi del Novecento; dal Risorgi-mento al cinquantenario dell’unità d’Italia;dallo sport ai duelli; dalle scienze alle arti li-berali; dalla letteratura italiana ai giornali so-

    cialisti; dall’etnografia alla geografia; dallastoria dell’arte italiana ed europea al teatro eai musicisti italiani; dalle divise degli esercitieuropei alla prima guerra mondiale (a cui so-no riservatati ben quindici volumi).

    Di notevole interesse la sezione di carto-line e fotografie dedicata alle città e ai paesisiciliani. In particolare dal sesto al decimovolume sono raccolte 1945 illustrazioni sul-la città di Palermo e suoi dintorni, ordinatee sistemate secondo i seguenti temi: «Cala eantemurale, porte della città, piazze e vie»;«Alberghi, caffè e ristoranti, palazzi antichie moderni, teatri»; «Asili rurali, BibliotecaNazionale, cimiteri, chiese, giardini pubbli-ci, istituzioni di educazione, orfanotrofi,università»; «Cantiere Navale, carte topo-grafiche, congresso della Società Italiana dimedicina interna, Conservatorio di musica,corso dei fiori, Esposizione Agricola del1902, Esposizione Campionaria del 1908,Esposizione Nazionale del 1891-92, fonta-ne, Istituto Agricolo Castelnuovo, lineetranviarie, monumenti, musei, Orto Botani-co, ospedali, panorama della città, piantadella città (1891), pompieri, stazioni»; «Bor-gate di Palermo».

    Lo scopo di Enrico Di Benedetto, nonfotografo ma paziente e meticoloso collezio-nista di «cartoline illustrate», era la «divul-gazione per immagini della storia della Sici-lia» e di Palermo in particolare. Ciò che puòapparire semplicemente come una maniaca-le raccolta di materiale fotografico, si rileva

  • invece, ad un’analisi più attenta, una formadi conoscenza degli aspetti peculiari dellaconfigurazione urbana, che mostra, nellamodalità di catalogazione e ordinamento delmateriale, anche notevoli risvolti euristici.

    La raffigurazione fotografica di Palermodi fine Ottocento evidenzia palesemente lasua eteronomia dalla precedente lunga sta-gione del vedutismo dei pittori locali e stra-nieri. Il taglio, l’inquadratura, i temi narrati-vi e perfino i punti di osservazione di moltefoto risultano analoghi a quelli delle vedutedi Jacob Philipp Hachert, di Francesco Ze-rilli o di Giovan Battista Lusieri, che con leloro opere avevano fissato i caratteri topicidi Palermo1: dalle ampie panoramiche delForo Italico [Fig. 1] ritratto, alternativamen-te, dal molo della Deputazione della Sanità,dalla casina dei principi di Cutò [Fig. 2] odall’alto di Porta Felice, all’arco della Calaripreso verso il Castello a mare; dalla città vi-sta da Romagnolo con in primo piano l’im-

    mancabile «Colonnella» [Fig. 3], alle ripreseravvicinate degli ambiti e dei monumenti as-sunti come stereotipi dell’iconografia urbana(il Cassaro e le sue piazze, i mercati storici[Figg. 4-5], i monumenti di età normanna[Fig. 6], e così via).

    Su tutto, l’insistenza nel ricercare, so-prattutto nelle raffigurazioni panoramichedella città, la presenza di Monte Pellegrino[Fig. 7], a conferma del suo secolare valoredi topos paesaggistico rappresentativo dellacittà intera, vera e propria sineddoche ingrado di riassumere in sé l’immagine imme-diatamente riconoscibile di Palermo2.

    Dal vedutismo di metà Ottocento, quellodi Théodore Duclère o di Tommaso Riolo,viene ripresa l’attenzione per la dimensione“realistica” che antepone alla raffigurazioneprospettico-scenografica e celebrativa dellatradizione sette-ottocentesca, quella popola-re e nascosta, dai toni marcatamente oleogra-fici, dei vicoli con i panni stesi, brulicanti di

    INTRODUZIONE

    3. Panorama di Palermo dalla «Colonnella». Sulla destra si nota parte del recinto murario con sfinge del giardino dipertinenza del Senatore della città Corradino Romagnolo da cui prese il nome la contrada. Fine del XIX secolo [Ed.Dr. Trenkler Co., Lipsia].

  • anziani e bambini malvestiti [Fig. 8], dei pe-scatori di Sant’Erasmo [Fig. 9], delle lavan-daie immerse nelle acque della sorgente dellagrotta di Danisinni [Fig. 10], delle processio-ni rionali in cui viene sottolineata la fortecomponente devozionale della popolazione.

    Naturalmente, i fotografi locali non man-cavano di registrare, con la puntualità e laprecisione dei fotoreporter, gli avvenimentidi maggiore coinvolgimento della vita citta-dina: l’arrivo del re Vittorio Emanuele III edella regina Elena nel maggio del 1906, lesfilate dei garibaldini in occasione di diversericorrenze [Figg. 11-12] (in particolare quel-la del 27 maggio del 1910, per i cinquant’an-ni della conquista della città), le varie fasidelle celebrazioni dello Statuto del Regno edell’Unità d’Italia, svoltesi nel Foro Umber-to I il 5 giugno del 1910 [Fig. 13], un comi-zio di Nunzio Nasi dai balconi di palazzoTorrebruna a piazza Ballarò [Fig. 14], laprocessione dell’Immacolata dell’otto di-cembre, ripresa all’uscita dalla chiesa di SanFrancesco [Fig. 15], l’inaugurazione deltramvai elettrico nel luglio 1912 [Fig. 16],

    INTRODUZIONE

    12. Sfilata di soldati lungo il Cassaro in occasione dellemanifestazioni (24-29 maggio 1910) per il cinquantena-rio della conquista della città da parte dei garibaldini. Inprimo piano i balconi di palazzo Riso, in fondo, palazzoVentimiglia di Geraci.

    13. Il Foro Italico «Umberto I» durante le celebrazioni dello Statuto del Regno d’Italia svoltesi il 5 giugno 1910. Ilgenerale Crema a cavallo (in primo piano) e lo Stato Maggiore dell’Esercito passano in rivista le truppe. Sulla destra,il Teatrino della Musica utilizzato come palco delle autorità.

  • oltre ai vari annuali appuntamenti mondani,ai tornei cavallereschi alla Favorita [Fig. 17],ai vari congressi scientifici, alle frequenti giàcitate esposizioni campionarie [Fig. 18].

    Non mancano neppure le testimonianzedi accadimenti luttuosi e drammatici, comenel caso dell’esplosione dell’armeria Ajellosituata in via Grande Lattarini, il 19 dicem-bre del 1907, che aveva causato il crollo dinumerosi edifici (tra cui alcune locande[Figg. 19-21], particolarmente frequenti inquella parte di città), la morte di sessantaduepersone e un centinaio di feriti3.

    Nel 1880 già si contavano a Palermo benquindici fotografi professionisti, quasi tuttipresenti nel Cassaro, tra cui Empedocle LoForte a palazzo Larderia; Eugenio Intergu-gliemi nel palazzo Vannucci di Balchino4,con ingresso da piazzetta Santa Sofia; Giu-seppe Dolce al piano terra di palazzo LaGrua Talamanca di Carini; ed ancora Giu-seppe Dolce, Chauffourier & Girgenti, Ro-sario Accardi, Francesco Paolo Rametta e

    PALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO – LA CITTÀ ENTRO LE MURA

    15. Piazza San Francesco durante la processione del-l’Immacolata. Inizi del XX secolo.

    14. Nunzio Nasi tiene un comizio dal balcone del palazzo Torrebruna a piazza Ballarò. Inizi del XX secolo.

  • Giacomo Mandanici. Tra i più noti, Giusep-pe Incorpora, «fotografo della Real Casa»,aveva un moderno ed attrezzato gabinettofotografico in via Cavour «in palazzo pro-prio», ed era presente anche in Corso Vitto-rio Emanuele con un laboratorio di «smer-cio di fotografie». In via Maqueda e in viaGiovanni Meli erano ubicati invece gli studifotografici, rispettivamente, di Michele edEnrico Seffer. Vi era anche lo studio di Gian-none in via Maqueda e quello di FrancescoPaolo Uzzo in via Albergheria.

    Attraverso la collezione Di Benedetto èpossibile realizzare un viaggio a ritroso neltempo, seguendo un itinerario ideale che re-stituisce la struttura della forma e della so-cietà urbana nella pienezza e nella pluralitàdei significati che la città antica sapeva espri-mere attraverso le sue regole di funziona-mento. Ciò richiede, inevitabilmente, unaparticolare attenzione per la storia urbana al

    fine di catturare le immagini in una magliaprecostituita che consenta di vedere e di ca-pire sempre di più. Molte immagini, infatti,possono apparire sfuggenti, come il tempoche si separa da loro. Della realtà che in esseè rappresentata non tutto c’è dato di ricono-scere: le strade, gli edifici, il territorio, i co-stumi sociali, in alcuni casi, sono profonda-mente mutati.

    Vorrei, ciò nonostante, presentare questeimmagini storiche della città senza quella di-mensione nostalgica che ha caratterizzato inpassato molte pubblicazioni su Palermo.

    Se è vero che mostrare le foto della cittàcom’era cento anni fa costituiva un modoper denunciare lo sviluppo recente, avvenu-to in assoluto contrasto con la sua antica esecolare conformazione, oggi quelle fotopossono testimoniare come l’attuale proces-so di trasformazione del centro storico tendaessenzialmente al recupero dei valori iconici

    PALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO – LA CITTÀ ENTRO LE MURA

    18. Padiglione di ingresso dell’Esposizione Agricola Siciliana, 1902.

  • e di quella imago urbis immortalata magi-stralmente dai tanti pionieri della fotografia.

    L’esempio più evidente è dato dal ForoItalico, dove l’odierno recupero delle Muradelle Cattive, la ricostruzione della casina deinobili distrutta nella seconda guerra mondia-le, il restauro del palchetto della Musica, delNoviziato dei Crociferi, il recupero di VillaGiulia concorrono a restituire un’immagineche sembrava perduta per sempre o apparte-nente soltanto all’archivio della memoria5.

    Immagini fotografiche e attente ricostru-zioni storiche, fanno di questa pubblicazioneun momento di conoscenza specifico dellacittà tra la fine dell’Ottocento e i primi annidel Novecento. Cercare di capire il valore fi-sico della città vuol dire penetrare nel signi-ficato espresso dagli spazi urbani rappresen-tati, secondo quanto risulta dalla decodifica-zione delle immagini che hanno il compitodi fornirci un susseguirsi di indicazioni checi restituiscono la forma della città sottoli-neando, oltre tutto, il valore, oggi, dell’archi-tettura e più in generale della città del passa-to. La lettura va poi completata introducen-do la componente umana, al fine di correla-re lo spazio urbano all’uso che ne hanno fat-to i gruppi sociali esistenti in quel dato pe-riodo storico, in modo da sottolineare lacittà come struttura spaziale che interagiscecon i fenomeni sociali ed economici.

    Da qui l’esigenza di ordinare e sistemareil materiale fotografico per “ambiti” conte-stuali, in cui le relazioni di corrispondenza edi dipendenza degli spazi architettonici traessi o con gli usi, risultano sufficientementeindicative a definire l’immagine di Palermotra la fine del diciannovesimo e l’inizio delventesimo secolo.

    In quel tempo la città era suddivisa in seimandamenti (sezioni o quartieri); quattro in-terni: Tribunali, Palazzo Reale, Monte diPietà, Castellammare, con una popolazione

    di circa 186.000 abitanti6; due esterni: OrtoBotanico e Molo, che comprendevano leparti di nuova espansione a cui si aggiunge-ranno nel 1889 i mandamenti Zisa e Cuba.Le borgate dipendenti dalla città, che forma-vano la campagna di Palermo, erano rag-gruppate, secondo il censimento del 1873della Direzione Statistica del Municipio diPalermo in nove «comuni riuniti». In que-st’ultimi – costituiti da Zisa e Uditore, Baidae Boccadifalco, Resuttana e San Lorenzo,Mondello e Pallavicino, Sferracavallo e Tom-maso Natale, Mezzomonreale e Porrazzi,Brancaccio e Conte Federico – erano com-prese ben 85 borgate (tra piccole e grandi)con una popolazione complessiva di 32.992abitanti a cui bisogna aggiungere i 3.225 abi-tanti delle borgate Arenella, Acquasanta,Monte Pellegrino, Rotoli, Sampolo e Vergi-ne Maria, incluse nella sezione Molo, e i1.099 abitanti della borgata Porcelli e Villag-gio Camposanto incluse nella sezione OrtoBotanico. Abitate appena dal venti per cen-to della popolazione complessiva, le borgateerano situate all’interno di un territorio, ric-co di valori ambientali e paesaggistici, dise-gnato nel corso di circa un millennio; dagliarabi ai normanni, sino alla grande stagionedella «villeggiatura» sei-settecentesca.

    L’immagine della città dentro le muranon era molto diversa dal suo antico aspettofeudale: un tessuto compatto e alveolato ani-mato da una popolazione ancora numerosaed eterogenea. Un centro denso di storiamillenaria, ricco di palazzi e di strutture ec-clesiastiche in gran parte secolarizzate.

    Al di fuori, la città l’aperta si espandevalentamente attraverso una precisa configura-zione ben definita espressione significativadella cultura del tempo. Questa nuova Paler-mo cresceva all’ombra dei Florio e della bor-ghesia intraprendente arrivata con le insegnedel nuovo stato nazionale unitario.

    PALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO – LA CITTÀ ENTRO LE MURA

  • Dentro le mura

  • La sequenza di fotografie del centro anti-co di Palermo ci mostra chiaramente comeesso agli inizi del Novecento mantenesse an-cora inalterati i valori di centralità urbana at-traverso i propri straordinari attributi storicie monumentali. Sono immagini soprattuttodi spazi esterni, di piazze e di strade che perla loro importanza simbolica, per i valori cheesprimono attraverso gli edifici che ne defi-niscono gli ambiti costruiti, rappresentano lamaglia principale delle strutture relazionalidella città. Quelle più importanti sono arric-chite dalla presenza in successione di palaz-zi, chiese e conventi di notevole e suggestivamonumentalità, che trasformavano i solchi egli slarghi stradali in spazi a cortine moltorappresentative.

    L’immagine di Palermo in quegli anni cre-do sia emblematicamente rappresentata dalgruppo di fotografie panoramiche scattatedall’alto del Palazzo Reale verso i quattromandamenti [Figg. 22-23]. Vista da lassù lacittà manteneva immutata quella sembianzafissata nelle vedute a volo d’uccello di France-sco Zerilli del 1837, ma con qualche novità dirilievo. Alla mole delle tante cupole, gonfiecome aerostati, che per secoli avevano segna-to e caratterizzato il panorama della città, siaffiancava, allo scorcio dell’Ottocento, con lasua massiccia e smisurata sagoma, il TeatroMassimo. E sebbene, quest’ultimo si innalzas-se più in alto degli altri edifici, erano ancora itanti conventi, quelli dei Benedettini, dei Do-menicani, dei Francescani, degli Olivetani,

    dei Teatini, dei Carmelitani, dei Crociferi, de-gli Agostiniani … a conferire alla città la suaimmagine più vera. Un’immagine, comun-que, con un eccesso d’identità, spesso di su-perficie: mitica e opulenta per i tanti monu-menti che la costellavano, frammenti di diver-se culture che nei secoli si erano sovrappostee stratificate determinando una koiné artisticastraordinaria e ineguagliabile, ma al contem-po misera e luttuosa per quei quartieri interniabitati dalla «gentuzza», quel groviglio di vi-coli e cortili che odoravano di povertà, strate-gicamente celati alla vista dalle cortine deigrandi, pretenziosi palazzi di un’aristocraziala cui albagia era stata anch’essa ineguagliata.

    Dopo il 1866, con la legge del 7 luglioche decretava la soppressione degli ordinireligiosi, l’immenso patrimonio edilizio dellaChiesa presente in città era stato suddivisodal Fondo per il Culto, tra Comune, Provin-cia e vari ministeri dello Stato. Il processo disecolarizzazione non aveva risparmiatoneanche le chiese.

    Nella seduta della Commissione provin-ciale del 1867 fu stabilito, infatti, di chiuder-ne al culto ben diciannove, annoverabili trale maggiori del centro storico, per essere de-stinate a vari usi: nel Mandamento Monte diPietà, le chiese dei monasteri delle Stimmatee di San Giuliano (in seguito demolite per lacostruzione del Teatro Massimo), di Monte-vergini trasformata in aula di Corte d’Assise,dei Sette Angeli e dello Spirito Santo, lechiese della Mercede al Capo e di San Gre-

  • gorio Papa (poi restituite al culto dei fedeli)e la chiesa del convento delle Scuole Pie diSan Silvestro; nel Mandamento Palazzo Rea-le la chiesa del Monastero di Sant’ElisabettaRegina e le chiese dei conventi dell’Annun-ziata, del Carmine e dei Benfratelli; nel Man-damento Tribunali la chiesa del Monasterodello Scavuzzo, le chiese del convento di SanGiovanni Evangelista e del Noviziato deiCrociferi, le chiese del Monastero diSant’Anna e Teresa e di San Carlo Borromeo(anch’esse successivamente restituite al cul-to), la chiesa di Sant’Anna della Misericordia(utilizzata fino al 1929 come deposito delgranaio municipale) e infine, nel Manda-mento Castellammare, le chiese di San Basi-lio Magno (trasformata in aule scolastiche) edi Santa Maria di Valverde7.

    La cronica carenza di servizi della cittànon era certamente risolvibile con il solo riu-so dell’edilizia ecclesiastica espropriata e se-

    colarizzata. Le questioni da affrontare all’in-domani dell’Unità d’Italia, per un reale rin-novamento urbano di Palermo, erano evi-dentemente di ben altra portata; le rilevantidistruzioni causate dai bombardamenti delmaggio 1860 riproponevano l’urgenza di in-terventi trasformativi all’interno della cittàmurata secondo una visione piuttosto ampiache tenesse conto, essenzialmente, dello svi-luppo generale e complessivo di Palermo.

    Lo stesso Giuseppe Garibaldi aveva av-vertito la necessità, durante la sua dittatura,della istituzione di una Commissione per leopere pubbliche, composta da dodici consi-glieri comunali ed avente gli stessi poteri delconsiglio civico, che si occupasse delle rifor-me urbanistiche e architettoniche della città.La Commissione assegnava, agli inizi del1861, ad un «collegio di artisti», compostodai tecnici comunali Filippo Moscuzza, LuigiCastiglia, Rosario Torregrossa e Pietro Raine-

    DENTRO LE MURA

    24. Palazzo Reale e Villa Bonanno. Fotografia post 1905.

  • ri e dai professionisti esterni Enrico De Simo-ne e Giovan Battista Filippo Basile, il compi-to di elaborare, in breve tempo, un «progettodi decorazione e riforma» per la città.

    Il progetto venne approvato dalla Com-missione con un rapporto, trasmesso al Con-siglio comunale l’otto settembre del 1861,dal quale scaturivano tredici articoli succes-sivamente sottoposti alla deliberazione dellostesso Consiglio8. Le proposte meritevoli diattenzione, al fine di comprendere lo spiritodel progetto che di fatto avrebbe indicato lelinee programmatiche per i piani successivi,erano costituite dal prolungamento della viaLibertà sino ai Colli e dalla creazione di unanuova importante strada all’interno del cen-tro antico collegata ad un nuovo quartiere«da costruire sul terreno esteriore tra PortaMaqueda e Porta San Giorgio che sarà deli-beratamente espropriato con immediato

    tracciamento delle strade necessarie, apren-do una larga comunicazione colle antichemura dell’Itria. La strada che servirà a talecomunicazione passando innanzi alla chiesadi San Domenico e traversando piazza Ca-racciolo [Fig. 27], che sarà sgombra dall’at-tuale mercato, uscirà nel Corso VittorioEmanuele»9.

    Da queste proposte emerge un’ipotesi dicittà basata sulla creazione di relazioni di re-ciproca corrispondenza e dipendenza tra ilcentro antico, rifondato e riconfigurato dainuovi interventi, capillari e diffusi, e la nuo-va espansione urbana a nord della città, giàsancita dalla creazione della via Libertà.

    La città dentro le mura continuava amantenere una discreta centralità, soprattut-to di funzioni, confermata nel progetto dallaindividuazione di quattro nuovi mercati,uno per ogni mandamento interno, in ag-

    DENTRO LE MURA

    27. Discesa dei Maccheronai e piazza Caracciolo durante i lavori di demolizione per la costruzione di via Roma. In fon-do è il prospetto laterale della chiesa di Sant’Antonio Abate. Fotografia scattata tra il 1895 e il 1898 [Ed. Devaux, Paris].

  • giunta o in sostituzione di quelli esistenti. Ledemolizioni previste erano giustificate o danecessità di decoro e di rappresentatività ur-bana o dal risanamento delle aree maggior-mente degradate. Comunque non manca, al-meno a parole, l’attenzione per la storia ur-bana; i progettisti tenevano a precisare, aproposito della nuova strada chiamata «tra-sversale» congiungente Porta Garibaldi[Fig. 28] (già Porta di Termini) con PortaSan Giorgio, che: «non è da credere che lequattro linee tirate sopra la carta velina dasovrapporre alla pianta della città sia operadi chi è capace di descrivere quattro lineerette sulla carta; è un lavoro studiato il qualeprocurando o evitando coincidenze trovamodo che alla grande opera fossero fattinuovi sacrifici. Mutando l’odierno propostoprenderebbe questa via nella larghezza cen-to palmi abbattendo quanti ostacoli incontratra i quali si è riuscito ad evitare i monumen-ti e gli edifici maggiori; farebbe onore altempio di San Domenico, destinato a diveni-re il nostro tempio di Santa Croce, innanzi acui passerebbe rasente, si prolungherebbe alpiano del vecchio mercato (piazza Caraccio-lo) che elevandosi dall’uno dei suoi lati ovesono rovine e congiungendosi al nuovo mer-cato (piazza Nuova), che ricorda la ferocegiustizia di Nunziante [generale borbonicoche soppresse i moti del 1820 ordinando lademolizione del quartiere dei conciatori dipelli, luogo privilegiato della rivolta popola-re] riuscirebbe questo mercato la più vasta

    opera di questo genere se più non si vogliafare altra cosa di migliore»10.

    Si tentava di legittimare la proposta pro-gettuale attraverso il riferimento a modellid’intervento già sperimentati in altre impor-tanti città italiane ed europee.

    Per l’attuazione completa degli interven-ti previsti, occorrevano circa un milione emezzo di ducati. La creazione del nuovoquartiere fuori Porta San Giorgio fu una del-le prime opere ad essere avviata, nonostantele forti opposizioni dei proprietari dei terre-ni espropriati, realizzando un’intensa edifi-cazione su dei lotti a scacchiera, i cui esiti ar-chitettonici e urbanistici non sempre furonorispondenti agli intenti iniziali della Com-missione per le opere pubbliche. All’internodella città furono effettuate delle demolizio-ni dell’antico tessuto urbano con lo scopo dimigliorare le condizioni di talune strade ca-ricate da nuove funzioni urbane. Il caso limi-te è rappresentato dalla demolizione dellaantica chiesa parrocchiale di San GiacomoLa Marina lievemente danneggiata dai bom-bardamenti del 1860 e abbattuta per creareun più ampio e decoroso collegamento trapiazza San Domenico e la Cala.

    L’espansione extra mœnia non aveva tut-tavia influito molto sui dati stanziali all’in-terno della città murata dove, alla fine del-l’Ottocento, abitava circa il settanta percento della popolazione complessiva. Delresto qui si svolgevano le più importantifunzioni politiche, economiche e sociali del-la città, qui abitava la vecchia aristocrazia,riluttante ad abbandonare i palazzi aviti e gliantichi quartieri.

    Delle sontuose dimore settecentesche divia Alloro, di via del Bosco, di via Butera, divia Torremuzza, di via Lungarini, di via Ma-queda e del Cassaro, almeno una ventinacontinuavano, agli inizi del Novecento, a po-larizzare l’esclusiva vita mondana della no-biltà. Prima fra tutte, per grandezza e magni-ficenza, era quella del principe Pietro LanzaGaleotti di Trabia e di Butera (soprannomi-nato il viceré) e della moglie Giulia Florio[Figg. 29-33], in cui si svolgevano ricevi-

    PALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO – LA CITTÀ ENTRO LE MURA

    28. Porta di Termini. Sulla sinistra si scorge la parte resi-dua della Porta (distrutta) e, in fondo, il palazzo del mar-chese Tommaso Natale di Monterosato. Inizio XX secolo.

  • menti rimasti memorabili, come quelli orga-nizzati in onore dei reali d’Italia nel 1902 edel Kaiser Guglielmo II nel 1904.

    Il palazzo nasceva dalla aggregazione didiverse dimore nobiliari acquisite tra la finedel Seicento e l’inizio dell’Ottocento, dallafamiglia Branciforte. Il primo nucleo com-prendeva, tra l’altro, il palazzo dei Rosa,menzionato dal gentiluomo Di Giovanni, nelDel Palermo Restaurato (1615-1627 ca.) perla magnificenza dell’architettura e per la pre-senza di una «superba» torre. A tale primonucleo, interamente riconfigurato nel XVIIIsecolo in maniera unitaria, venne aggiunto illimitrofo palazzo Alagona, venduto intornoal 1780 da Marianna Lucchese, figlia ed ere-de del duca di Alagona, al duca di San Gio-vanni, primogenito del principe Brancifortedi Scordia. L’accorpamento del palazzo aquello dei Butera avvenne nel 1784 in segui-to al matrimonio tra Caterina BranciforteReggio, principessa di Butera, e PlacidoBranciforte, principe di Leonforte e di Scor-dia. Caterina moriva nel 1816 lasciando tut-ti i suoi beni alla figlia Stefania che nel 1805aveva sposato Giuseppe Lanza Branciforte,duca di Camastra, primogenito ed erede diPietro Lanza Stella, principe di Trabia.

    In seguito a quest’unione, l’intero patri-monio e tutti i titoli dei Butera furono acqui-siti dai Lanza di Trabia, compreso l’anticopalazzo alla Marina, che a partire dal 1801era stato ampliato con l’aggregazione delcollaterale palazzo Benso. Quest’ultimo fucostruito alla fine del Cinquecento da GiulioCesare Imperatore (alias Orazio Alimena)sui resti del palazzo appartenuto ad An-dreotta Abbate. I Butera lo trasformaronoradicalmente, ricavandovi un grande salonea doppia altezza interamente affrescato (dal-la volta alle pareti) che potesse fungere da«teatrino» o, per meglio dire, da «galleria»per i fastosi ricevimenti estivi. Sarà proprioquest’ala del palazzo ad essere gravementedanneggiata e parzialmente distrutta daibombardamenti della seconda guerra mon-diale ed oggi ricostruita per ospitare gli uffi-ci del Tribunale Amministrativo Regionale.

    Non meno ricercati e fastosi erano gli in-terni del palazzo del conte Giuseppe Lanzadi Mazzarino in via Maqueda, dei principidi Gangi a piazza croce dei Vespri, dei prin-cipi di Villafranca a piazza Bologni, deiprincipi di Valdina in via del Protonotaro,del principe di San Cataldo a piazza Marina[Figg. 34-35] con una rinnovata veste neo-gotica conferita dall’architetto Tommaso DiChiara nel 1870.

    Il palazzo dei principi Licata di Baucina(poi de Seta), sopra porta dei Greci al ForoUmberto I, era tra i più affascinanti perquella eclettica ma raffinata commistione distile neoclassico e di arditi linguaggi architet-tonici neomedievali, per la grande galleria adoppia altezza ispirata negli apparati deco-rativi alle sale dell’Alambra di Granada e perla raccolta di oggetti d’arte contenuta chepare venisse «visitata da tutti i forestieri chevengono a Palermo»11.

    Intatti nel loro antico aspetto tardo-sette-centesco, con gli interni ancora traboccantidi stucchi, di ori, di parati di seta e damasco,di arazzi, di arredi e di oggetti d’arte di ognigenere erano i palazzi dei principi Tomasi diLampedusa, nell’omonima strada; del prin-cipe Corrado Niscemi di Valguarnera a piaz-za Valverde (ben presto abbandonato per iltrasferimento della famiglia presso la villa aiColli); del marchese Giovanni del Castillo diSant’Isidoro, ubicato tra via Celso e via Can-delai; del visconte Giulio Benso, duca diVerdura, sindaco di Palermo nel 1860 e Se-natore del regno; del principe VincenzoLancellotto Castelli, che aveva sposato Loui-se de Tremoille, dama francese superstite diuna delle principali famiglie del Poitou deci-mata dalla rivoluzione francese; del principeGiuseppe Lanza Filangeri di Mirto, ubicatoalla confluenza tra via Lungarini e via Merlo;dei principi Settimo di Fitalia a piazza Tea-tro Santa Cecilia, famoso per la biblioteca difamiglia, detta la Settimiana, in cui si custo-divano preziosi manoscritti raccolti agli inizidel Settecento dall’erudito Girolamo Setti-mo, marchese di Giarratana; dei principiGravina di Rammacca in via Maqueda.

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  • DENTRO LE MURA

    Gli altri palazzi, la maggior parte, eranostati presi d’assalto dalla piccola aristocraziadi provincia trasferitasi in città o da espo-nenti di rilievo della borghesia emergente,come il commendatore Salvatore Briucciache aveva acquistato il palazzo dei Bonanno,principi di Cattolica, in via Cintorinai (oggivia A. Paternostro) [Fig. 40], e il palazzo deiNaselli principi di Aragona, in via Alloro(trasformato nel 1875 in albergo, oggi cono-sciuto come Hôtel Patria)12.

    Le vicende finanziarie dei Naselli e deiBonanno sono emblematiche dello splendoree della repentina decadenza dell’antica no-biltà siciliana. Grandi tra le grandi, le due fa-miglie incarnavano quell’ideale aristocraticoraggiungibile soltanto dopo aver decantato laricchezza accumulata in maniera smisuratadagli avi, in secoli di affannose esperienze,dalla cupidigia e dalla bramosia del possesso.

    Alla fine del Settecento i Naselli, peresempio, potevano disporre di un patrimo-nio immenso «costituito dagli interi territoridi ben quattro “stati”: la contea di Comiso,il principato di Aragona, il principato di

    Poggioreale, il marchesato di Gibellina, labaronia di Castellammare con le Tonnare diSan Vito o del Secco e di Scopello. In ognu-no di essi i Naselli vi avevano edificato unosplendido palazzo e, a Comiso, anche un tea-tro. E inoltre il patrimonio comprendevatredici mulini, una cartiera, due locande, uncaricatore del grano, innumerevoli feudi, bo-schi, terre, masserie, magazzini, case in affit-to, zolfare, tutti sparsi nei vari possedimenti.A questo si aggiungevano varie rendite indenaro, soggiogazioni, il maggiorasco diOcampo nei pressi della città di Zamora inSpagna, tre sontuose ville con amplissimigiardini a Palermo e dintorni, e precisamen-te nelle località di Bagheria (attuale VillaCutò), stradone di Mezzo Monreale (odier-no Corso Calatafimi), e strada dei QuattroVenti (oggi via Cristoforo Colombo, in vici-nanza del porto), infine il palazzo avito di viaAlloro nel cuore del centro storico»13. Oc-corsero pochi anni perché questo incalcola-bile patrimonio divenisse solo un pallido ri-cordo. Irrefrenabile dissipatezza, smania digrandezza e soprattutto amministratori sen-za scrupoli furono la causa del disastro fi-nanziario che si accompagnò ad eventi al-quanto drammatici. L’ultimo discendentemaschio dei Naselli, Baldassare VII, in unasupplica inviata al re Ferdinando I delle DueSicilie affinché gli risparmiasse l’ignominiadel carcere per il mancato pagamento deidebiti, così descrisse la sua condizione di vi-ta: «Al momento di entrare nella civile so-cietà Egli l’Esponente non trova che sciagu-re, infortuni e desolazioni, trova ridotta allanon esistenza la Casa di Aragona, la quale al-tra volta emulava tra le più doviziose di que-sto Regno. Si vede insomma nella necessitàdi non figurare tra i magnati ma tra i piùabominevoli mendici, giacché della sua Casanell’attuale stato non può ricevere quanto glinecessita per la vita naturale»14.

    Il ricordo di quanto era accaduto al casa-to dei Naselli procurava sgomento e terroreall’intera nobiltà siciliana, anche dopo de-cenni. Al di là delle apparenze e dell’immu-tato prestigio sociale che ancora la nobiltà

    40. Atrio di palazzo Cattolica. Nato dall’aggregazione diantiche dimore nobiliari (Alliata, Abatellis, Anzalone) furiconfigurato intorno al 1686 ca. dall’architetto Giaco-mo Amato per la famiglia Bosco, principi di Cattolica.Ereditato nel 1721 dai Bonanno, principi di Roccafiori-ta, che lo migliorarono con gli interventi di Andrea Pal-ma (1725) e Orazio Furetto (1750 ca.), il palazzo fu ac-quistato nella seconda metà dell’Ottocento dal «nego-ziante di pubblica ragione» Paolo Briuccia che vi ap-portò pesanti manomissioni, alterando l’originaria aulicaconfigurazione dell’edificio. Da notare le opere di so-struzione dei plinti delle colonne realizzate in seguito al-l’abbassamento del livello stradale.

  • godeva, poche erano state le famiglie a nonaver conosciuto l’onta di essere iscritte neiregistri della «Deputazione per le assegna-zioni forzose ai creditori soggiogatori ed al-tri beni delle case patrizie»15.

    La Guida Amministrativa della Città diPalermo del 1902, curata da Gaetano Batta-glia, contiene un singolare elenco concer-nente le «principali famiglie nobili residentia Palermo» che comprende: 40 principi, 22duchi, 37 marchesi, 19 conti, 54 baroni, 37cavalieri e, pur non vantando alcun quartodi nobiltà, 17 esponenti della vita politica eimprenditoriale della città, tra cui IgnazioFlorio, Roberto, Giosuè e Giuseppe Whi-taker, Michele Amato Pojero, Eduardo Var-varo, Vittorio Emanuele Orlando e AndreaGuarneri. Tra tutte le famiglie menzionatenel ristretto elenco (228) soltanto 86 dimora-vano nei palazzi monumentali del centro sto-rico, mentre le rimanenti erano distribuitenei quartieri residenziali sviluppatisi a norde ad ovest della città murata, lungo alcune

    direttrici privilegiate come via Ruggero (opiù correttamente Ruggiero) Settimo, via Li-bertà, via Mariano Stabile, via Amari, viaLolli, via Noce, via Esposizione, via Serradi-falco, via Malaspina, piazza Castelnuovo,piazza Olivuzza e piazza Leoni. A sud, inve-ce, non si riscontrano palazzi patrizi oltre lavia Lincoln e il corso Pisani.

    Questi dati, benché non abbiano alcunvalore statistico (poiché molte sono le omis-sioni), sono comunque sufficienti a definirela consistenza del fenomeno di abbandono,da parte della nobiltà palermitana, dei loropalazzi ubicati nella parte antica della città.

    Se le funzioni sociali e le attrezzature ur-bane più rappresentative trovavano nel Cas-saro e nella via Maqueda le sedi specifiche,esse erano, tuttavia, distribuite in modo ca-pillare in tutto il centro storico, ricco distrutture architettoniche e viarie cariche disignificative correlazioni e implicazioni so-ciali che consentivano lo svolgersi di una in-tensa socialità urbana. Qui erano ubicati gli

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    41. Ingresso dell’ospedale militare (oggi caserma della Guardia di Finanza «Cangelosi») in via Cavour. Nato comeconvento di Santa Cita dei Padri Domenicani, l’edificio fu espropriato nel 1850 dal governo borbonico per trasferir-vi il nosocomio militare prima ubicato nella Terza Casa di Probazione dei Padri Gesuiti di San Francesco Saverio al-l’Albergheria convertita in Ospedale Civico. Inizi del XX secolo.

  • uffici centrali della Polizia Urbana, a piazzaBellini; gli uffici dell’Illuminazione Pubbli-ca, dei Dazi Comunali nel convento diSant’Anna, che ospitava pure il Liceo Gin-nasiale Umberto I; l’Archivio Comunale e laCamera Notarile nel convento di San Nicolòda Tolentino; la caserma dei Pompieri nelconvento dei Benedettini a piazza SpiritoSanto; il Tribunale di Commercio nel palaz-zo Sciara in via Alloro, l’Università degli Stu-di nella Casa dei Padri Teatini in via Maque-da; la Scuola d’Applicazione per Ingegneried Architetti, la Scuola superiore delle Zol-fare e la Scuola di Belle Arti nei locali delmonastero della Martorana, in via Maqueda;la Scuola Tecnica Piazzi e D’Acquisto nelconvento dei Benfratelli; il Collegio Musica-le del Buon Pastore nel convento dell’An-nunziata; il Museo Nazionale nella Casa deiPadri Filippini all’Olivella; l’Archivio Nota-rile nel convento di San Francesco, in via delParlamento; gli ospedali civili di San France-sco Saverio16 e della Concezione nei conven-

    ti omonimi; il sifilicomio nell’antica struttu-ra dello Spasimo; ed ancora i vecchi teatricome il Bellini, il Santa Cecilia, il Sant’Anna,l’Umberto, il Garibaldi e un ricco apparatodi attività terziarie, professionali e artigiana-li, che si svolgevano lungo i percorsi urbanidesignati dalla tradizione. Per chiarire me-glio il concetto basta fare un esempio: secon-do l’Annuario generale del commercio del1873 tutti i trentacinque notai operanti incittà risiedevano nel centro storico, e in par-ticolare tredici di loro in via Maqueda e un-dici in corso Vittorio Emanuele; lo stesso va-leva per quasi tutti gli avvocati, i procurato-ri legali, gli agrimensori, i maestri di musica,i ragionieri, i tipografi, i pittori, gli incisori, ibanchieri, gli ostetrici, le levatrici, i medicichirurgi, i dentisti, i flebotomi, i farmacisti.La sparuta minoranza di professionisti, cheaveva deciso di trasferirsi nei nuovi rioni, ri-siedevano non oltre via Lincoln e piazza Sta-zione da un lato, e via Ruggiero Settimo epiazza Castelnuovo dall’altro.

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    42. La chiesa e il convento di Sant’Antonino fuori Porta di Vicari. Inizi XX secolo [Ed. F. Verderosa, Palermo].

  • Fuori dall’ambito universitario, la foltaschiera di intellettuali della città aveva datovita a numerose accademie e società scienti-fiche, artistiche e filantropiche come l’Acca-demia di scienze lettere ed arti con sede nelPalazzo di Città, la Società Siciliana per laStoria Patria nel convento di San Domenico,la Regia Accademia delle Scienze Mediche, apiazza Bellini, la Società di Scienze Naturalied economiche, l’Accademia Omeopatica invia Maqueda, la Società d’Igiene in via Tor-remuzza, l’Accademia Filarmonica Bellini,in via Benfratelli, e il Circolo Giuridico, al-l’interno della Regia Università degli Studi invia Maqueda, dotato di una propria sala dilettura e una biblioteca aperta al pubblicoper nove ore al giorno17. Quest’ultimo, pre-sieduto da Luigi Sampolo, si occupava dellostudio delle scienze sociali ed aveva come fi-nalità principale la promozione, attraversoconcorsi annuali, conferenze e riunioni deisoci, della cultura giurisprudenziale18.

    Sempre secondo la Guida di GaetanoBattaglia, nel centro storico avevano sedeben ventuno dei ventiquattro consolati esi-stenti in città, ed inoltre i migliori hôtel.

    Già nel 1854, quando venne pubblicatala prima edizione dell’Annuario Generale delCommercio e dell’Industria19, a Palermo sicontavano ben settanta alberghi, per un tota-le di 886 camere, ma gli hôtel veri e proprierano soltanto dieci mentre il resto era costi-tuito da locande, «fondachi» e «case mobi-liate». In maggior parte risultavano situatinel centro storico ed erano stati ricavati dal-la trasformazione di antichi palazzi nobiliari.

    Tra i principali e più rinomati vanno men-zionati: l’Albergo Trinacria in via Butera, con54 camere quasi tutte dotate di bagni (cosaassai rara in quei tempi); l’Hôtel de France apiazza Marina [Fig. 44] capace di 24 cameree gestito dal padovano Vincenzo Giachery; ilGrand Hôtel de Sicile in via Pizzuto (via Ban-diera), nel palazzo di proprietà di Pietro Ca-

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    43. Tratto di via Lincoln compreso tra piazza Giulio Cesare e Porta di Vicari. In secondo piano si nota un tratto del-le mura dello Stazzone (oggi demolite). Foto inizi del XX secolo.

  • stagna già dei Pilo marchesi della Torretta,con 115 camere; l’Albergo del Garofalo apiazza San Francesco, nel palazzo della con-tessa Marianna Morreale Gravina, di pro-prietà di Giovanni Tagliareni, con 20 camere;l’Albergo dei Borgognoni con 22 camere, ge-stito dalla famiglia Oglialoro e ubicato nelpalazzo del duca di Calascibetta, sito nel vi-colo dietro Sant’Anna; l’Albergo della Villa diPalermo con 22 camere in via della Loggia,nel palazzo dei duchi Lucchesi Palli dellaGrazia, di proprietà del principe VincenzoRuffo di Sant’Antimo e del sacerdote Giu-seppe Manzù; l’antico Albergo della Fortunain via dei Tintori, nel palazzo di proprietà delcavalier Testa, gestito da Emanuele Tomasel-li. Di gran lunga superiore il numero delle lo-cande, alcune delle quali fornite di un nume-ro considerevole di camere come le famose eantiche Leon d’Oro (di proprietà del canoni-co Francesco Bagnara) e dell’Aquila (di pro-prietà della famiglia Tramonti), ambedue si-

    tuate in piazza Lattarini e che, rispettivamen-te, con le loro 45 e 32 camere rappresentava-no le più grandi strutture alberghiere dellacittà dopo il Trinacria. Sempre nella piazzaLattarini erano ubicate la Locanda Santa Ro-salia, nell’immobile di proprietà del baroneGioacchino Giaconia, con 16 camere e la Lo-canda e fondaco Del Daino, della signoraConcetta Gregorio, con 15 camere.

    Le altre erano quasi tutte situate neimandamenti Tribunali e Castellammare perla loro vicinanza al porto, alla stazione cen-trale e alle principali vie di comunicazioneterritoriale: in piazza della Fonderia le locan-de d’Italia e d’Europa (poi riunificate nellaLocanda Del Commercio) di proprietà dellasignora Elisabetta Garraffa; nel vicolo SanDomenico la Locanda Torre di Gotto nel pa-lazzo omonimo di proprietà di Giuseppe LaBua, con 22 camere; nella Discesa dei Giudi-ci la Locanda dell’Aquila d’Oro; in via Divisila Locanda del Centauro di proprietà del

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    44. Palazzo dell’Intendenza di Finanze (già Regia Zecca) e l’Hôtel de France (già palazzo Castillo, duchi di Sant’O-nofrio) a piazza Marina. Fine del XIX secolo [Ed. Dr. Trenkler Co., Lipsia].

  • Convento di San Domenico; nel vicolo degliSchioppettieri la Locanda dell’Agnone. Fuo-ri della città murata se ne contavano soltan-to 17 di cui le più grandi (Locanda di SanGiuseppe con 26 stanze, Locanda della Certo-sa e Locanda di San Gaetano con 27 stanze)erano concentrate in via Oreto. Numeroseanche le maison meublé [Fig. 45] particolar-mente apprezzate da chi doveva soggiornarein città per lungo tempo. Spesso appartene-vano a famiglie aristocratiche costrette danecessità economiche, ad affittare alcuni«quartini» delle loro antiche dimore.

    Se ne trovavano nel palazzo del principedi Larderia in corso Vittorio Emanuele, nelpalazzo al Borgo dei principi Naselli di Ara-gona e nel palazzo del marchese Guccia aiquattro canti di Campagna. Alla fine dell’Ot-tocento assistiamo ad un miglioramento gene-rale delle condizioni di ricettività delle attrez-zature alberghiere presenti a Palermo con laconseguente trasformazione di molte locandein alberghi (Dell’Aquila, Del Garofalo che as-sunse il nome di Belvedere, Del Leon d’Oro).

    L’Annuario del commerciante, ossia guida-indicatore della città, compilato a cura dell’e-ditore Luigi Pedone Lauriel nel 1873, men-zionava tra gli alberghi: Il Bellini in via Tea-tro Santa Cecilia, il Della Certosa in via Lin-coln e Villa di Palermo in via della Loggia.

    Fra gli hôtel di maggiore prestigio si ag-giunsero: il Centrale in corso Vittorio Ema-nuele, nell’antico palazzo dei Tarallo duchi diMiraglia, gestito dai fratelli Grandi; il D’Italiadel cav. Rosario Salvo a piazza Marina nel pa-lazzo del marchese Greco; il Sant’Oliva, diNicolò Ragusa, nella piazza omonima; l’HôtelRebecchino nel palazzo del marchese PaternòAsmundo nel Cassaro di fronte la Cattedrale,il Firenze in via Alloro. Aumentava invece ilnumero degli alberghi ubicati fuori dal cen-tro storico: l’Hôtel Royal des Etrangers in viaLibertà, l’Hôtel Viola in via Abela e, soprat-tutto, l’Hôtel des Palmes destinato, sin dallasua fondazione (1877), a divenire il più pre-stigioso albergo della città. Un ulteriore in-centivo venne dall’Esposizione Nazionale del1891-92 a cui sono da relazionare la creazio-

    ne dell’Hôtel de la paix in via Libertà ad an-golo con piazza delle Croci e dell’Hôtel del-l’Esposizione in via Quintino Sella. In quelperiodo Palermo, totalmente immersa nel-l’aureo crepuscolo della belle époque, regi-strava la presenza della haute internazionaleattratta dal fascino dei luoghi e da un climainvernale assai mite. Conseguenza immediatadell’inserimento della città nei principali cir-cuiti turistici dell’alta società europea fu il po-tenziamento delle strutture alberghiere.

    Propizie furono le inaugurazioni delGrand Hôtel Villa Igiea (1900), e dell’HôtelSavoy in via Cavour [Fig. 46], l’ampliamentoe il riammodernamento dell’Excelsior Palace(già Hôtel de la paix) e dell’Hôtel de France,quest’ultimo passato dai Giachery al tedescoPeter Weinen che lo aveva interamente ri-strutturato dotandolo di due moderni ascen-sori e di un ampio giardino d’inverno.

    Decisamente più modesti, ma ugualmen-te annoverabili tra gli alberghi confortevolidella città20, erano l’Hôtel Milano in viaEmerico Amari, l’Albergo Suisse in via Mon-teleone e l’Hôtel Panormus nel palazzo Sa-ponara in via Mariano Stabile.

    Altre immagini fotografiche mostrano itanti vicoli e cortili dell’antica Palermo. Que-sta componente della città era la più estesa elegava tra loro, relazionandole, le architetturepiù rappresentative, di cui esprimeva i segnidistintivi peculiari. Era definita da un’ediliziapovera, costituita da piccole case a più piani,edificate su stretti lotti disposti in rapida suc-cessione. In questi edifici, composti quasisempre al piano terra dai famosi «catoi»21[Fig. 47], consumava la propria vita il ceto so-ciale più povero ed emarginato, neppure sfio-rato dal clima euforico della belle époque.Questa era una realtà sociale ed urbana che laclasse dirigente d’allora preferiva celare die-tro le facciate degli edifici sorti in seguito aglisventramenti proposti dalla ideologia urbani-stica del «risanamento» che per fortuna tro-vava rare, anche se pesanti, applicazioni. Èquesto il caso del taglio della via Roma, dellecitate demolizioni alla Conceria e nel quartie-re dell’Albergheria, area tra le più degradate

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  • in senso fisico e sociale del centro storico, cheun contemporaneo come Enrico Onufrio ave-va definito «il serbatoio delle nostre miserie edelle nostre sozzure, laddove si agglomerauna plebe, cui tutto fa difetto: l’aria, il vitto,l’educazione, le vesti, il giaciglio»22.

    Proprio in questi quartieri, tra il 1929 e il1932, si dava inizio ad un massiccio sventra-mento che causava la scomparsa di parti con-sistenti del centro storico, dando luogo allaformazione di blocchi edilizi a carattere con-dominiale in netto contrasto con i caratterimorfologici del tessuto urbano preesistente.

    La realizzazione della via Roma [Fig. 54-57], invece, avvenne in tempi diversi ad ini-ziare dal 1895 con la creazione del troncocompreso tra corso Vittorio Emanuele e lavia Bandiera, poi prolungato nel 1910 sinoalla via Cavour. Nel 1922 fu portato a termi-ne l’altro tratto compreso tra corso VittorioEmanuele e la Stazione Centrale, dove veni-va successivamente realizzato un imboccomonumentale. La dissoluzione di interiquartieri all’interno della città storica era sta-

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    48. Piazza della Vittoria allo Spasimo. Sulla destra si scorgono le lesene bugnate dell’Oratorio dei Bianchi. Fine delXIX secolo.

    47. «Catoi» nel vicolo Sopra le Mura di Santa Teresa al-la Kalsa. Fine del XIX secolo.

  • ta preceduta dalla dissoluzione di gran partedel suo perimetro murario.

    Tra Palermo e le sue mura si era costituitaun’osmosi antica quanto la storia della città.Nell’immaginario collettivo il disegno del cir-cuito murario di fatto costituiva il caratteretopologico più evidente della città, l’elementodi immediata riconoscibilità della forma urba-na. E poco importa se da tempo mura e ba-stioni avevano perso quel ruolo difensivo e disalvaguardia della città e dei suoi abitanti, e dicontrollo militare sulla città stessa e sul terri-torio circostante, per assumere usi diversi le-gati alle necessità stanziali dell’aristocrazia edegli ordini religiosi presenti in città.

    Questo processo di smilitarizzazione del-la cinta di mura è ricollegabile d’altronde al-la politica, attuata dal governo centrale sindalla fine del Seicento, di riduzione dellemansioni militari attribuite alle maestranzedella città che coadiuvavano i capitani deibaluardi e le loro compagnie d’artiglieri nel-la difesa di Palermo. Dei tredici baluardi esi-stenti, pochi continuarono a mantenere l’ori-

    ginaria funzione. In quello detto di Pescaravi edificò il proprio palazzo, agli inizi del-l’Ottocento, il barone Giuseppe EmanueleDe Caccamo. Analogamente, il marcheseGuccia di Ganzaria acquistò dal Senato diPalermo il bastione Papireto (detto anchedella Balata) per costruirvi un’imponente di-mora signorile con annesso giardino[Figg. 58]. Nel bastione di Porta di Termini,da sempre sprovvisto di pezzi di artiglieria,trovarono posto, a partire dal 1657, l’orato-rio della Nobile Compagnia di Santa Mariadella Consolazione detta della Pace e la chie-sa, tuttora esistente, di Santa Venera. Nel ba-stione Aragona, nei pressi di Porta Carini[Fig. 63], nel luglio del 1780 su progetto diGiuseppe Venanzio Marvuglia, venne im-piantato il primo Orto Botanico della città.

    Disattivato l’Orto, dieci anni dopo la suafondazione, in concomitanza con il trasferi-mento nei terreni del duca di Archirafi, il ba-stione fu venduto per mille onze alle suoredel vicino Monastero di Maria Immacolatadella Concezione. Ancora più radicali le scel-

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    58. Pressi del bastione Guccia (in fondo). Inizi del XX secolo.

  • te operate dal Senato di Palermo nel tratto dimura prospiciente la Strada Colonna dovenecessità pubbliche rappresentative e di de-coro urbano spinsero alla demolizione, nel1754, del bastione del Tuono o del Trono, si-tuato a metà della cortina muraria, e, nel1783, lo smantellamento di buona parte delbastione Vega. Quest’ultimo, costruito nel1540 sotto il viceregno di Giovanni de Vega,era dotato di ben diciannove pezzi di artiglie-ria ed era affidato alla vigilanza dei principiBonanno di Cattolica che assunsero più voltela carica di capitani della città. Coloro che ri-vestivano tale grado avevano il privilegio dipoter risiedere nei bastioni loro assegnati, inedifici costruiti ed abbelliti a proprie spese23.

    Quando, all’indomani dell’Unità d’Italia,ebbe iniziò la demolizione di porte urbane,di bastioni e di interi brani di mura, si deter-minò non soltanto la cancellazione di un fe-nomeno storico notevole, ma anche il venirmeno dell’immaginario secolare intimamen-te connesso con il disegno del circuito mura-rio. E se da un lato le demolizioni attuate

    sembravano essere giustificate da necessitàeconomiche, di circolazione, igieniche e de-mografiche legate ai processi di trasforma-zione della città, dall’altro esisteva una preci-sa volontà, neanche tanto celata, di distru-zione simbolica di vestigia del passato rite-nute come qualcosa di arcaico e di non com-preso che occorreva cancellare.

    DENTRO LE MURA

    60. Corso Tukory in corrsipondenza della demolita Porta Giglio. In fondo, la chiesa di San Francesco Saverio conl’annessa Casa di terza probazione dei Padri Gesuiti trasformata in Ospedale Civico. Inizi del XX secolo.

    59. Incrocio tra via Guccia (attuale corso Alberto Ame-deo) e via e piazzetta d’Ossuna agli inizi del XX secolo[Ed. F. Verderosa, Palermo]. In fondo si nota la via Cap-puccinelle con l’altana dell’omonimo monastero.

  • Il Cassaro

  • Dei diversi nomi storici (Strada Marmo-rea, Via Toledo, Corso Vittorio Emanuele)assunti nel corso della sua millenaria storia,fatta di rifondazioni, rettifiche e prolunga-menti, quello di Cassaro (dall’arabo al-Qasr)sembra essere il più persistente nella memo-ria collettiva.

    Il Cassaro era, ed è, la parte della cittàantica più ricca di valori storici architettoni-ci e monumentali in quanto conteneva la piùdensa rappresentazione della storia di Paler-mo impressa per successive stratificazioninella forma dei suoi edifici. Allora come og-gi lungo il suo percorso assiale si accumula-vano le immagini del potere politico, civico ereligioso [Fig. 73] che si traducevano in unasequenza di architetture notevoli per valorerappresentativo. L’immagine del Cassaro fis-sata nelle foto raccolte da Enrico Di Bene-detto non è, tuttavia, del tutto conforme aquella celebrata nelle incisioni settecente-sche di Antonino Bova, di Francesco Cichè edi Giuseppe Vasi24.

    L’aspetto barocco della sontuosa compa-gine di palazzi nobiliari, che molto dovevaincidere sull’aspetto complessivo della stra-da sino agli inizi del XIX secolo, risultava af-fatto rinnovato in favore di una più pacataconfigurazione ottocentesca. Determinantein questo processo di mutazione stilistica erastata la riforma del suolo stradale operata trail 1859 e il 1861. Un intervento di radicaletrasformazione per la principale strada dellacittà si «imponeva all’attenzione delle auto-

    rità civiche già da parecchio tempo; le condi-zioni del manto stradale erano assai precariea causa della sua sezione trasversale, a formadi conca, che nelle giornate di pioggia tra-sformava il solco viario in un torrente in pie-na. La scarsa manutenzione, i frequenti alla-gamenti, l’enorme quantità di veicoli a tra-zione animale che vi transitava aveva dan-neggiato irrimediabilmente l’antico basolatoe trasformato l’asse viario più rappresentati-vo della città in una strada piena di buche,fangosa nella stagione invernale e polverosain quella estiva»25. Redatto dagli architettiRosario Torregrossa e Michele Zappulla, ilprogetto, che comprendeva il rifacimentodella carreggiata con una sezione a botte,nuovi lastricati, marciapiedi più ampi, l’in-troduzione di condutture per l’acqua pota-bile, lo scarico fognario e l’illuminazione agas, si trasformò in un’occasione propiziaper l’ammodernamento della città in lineacon quanto avveniva in quegli anni nelle al-tre capitali europee. Nell’intervento prevale-va non solo la necessità di adeguamento allenuove norme di igiene urbana, ma l’intentodi risemantizzare, anche attraverso l’intro-duzione di nuovi apparati decorativi rispon-denti ad un rinnovato linguaggio architetto-nico, l’immagine complessiva del Cassaro26.Allo scopo era stato predisposto un «proget-to di regolamenti», approvato dal Pretore diPalermo nel 1859, che comprendeva una se-rie di norme edilizie e di decoro urbano peril rifacimento dei palazzi prospicienti il Cas-

  • saro le cui facciate dovevano essere obbliga-toriamente riconfigurate a spese dei proprie-tari, prima ancora dell’esecuzione dei lavoridi riforma della sede stradale.

    Gli interventi previsti per la via Toledo (osemplicemente «il Toledo» come viene indi-cato nei documenti ufficiali) dovetteroestendersi necessariamente a tutte le strade ealle piazze che entravano in diretta connes-sione con essa. Proprio questi ultimi inter-venti, non previsti nel progetto di Zappulla eTorregrossa, furono affidati, per le implica-zioni di carattere progettuale, a Giovan Bat-tista Filippo Basile, già affermato e apprez-zato docente titolare della cattedra di Archi-tettura Decorativa la Facoltà di Scienze Fisi-che e Matematiche della Regia Universitàdegli Studi di Palermo. Da un programmapreparato dalla Commissione per i lavoripubblici si legge: «Dacché i viceré spagnolisegnarono una epoca memorabile colle duestrade che in rettifilo si incontrano, presso ilcentro della città, ad angolo retto onde ac-crescere lustro a questa metropoli, altra nesuccede ai dì nostri, in cui il Real Governo

    ha rivolto le sue mire a meglio coordinarenelle sue forme ed inclinazioni quella di esseche dal mare si estende sino a Porta Nuova,miglioramento che rende in pari tempo mi-gliori le decorazioni; decorazioni che sempredi più si auspicherebbe, qualora si desse ilconveniente abbellimento ai prospetti dellecase che la fiancheggiano. A dare impulso aquesta parte sì interessante, ma anco per fis-sare l’epoca di tanto miglioramento con unmonumento che lo contesti, è divisato unprogetto di decorazione per la piazza SantoSpirito onde togliere principalmente l’orridoaspetto che si presenta venendo dal mare»27.

    Nel 1859 il Consiglio Edilizio della cittàinvitava gli architetti Patricolo, Zappulla,Torregrossa a presentare, separatamente, unprogetto per la trasformazione di piazza San-to Spirito [Figg. 74-76], con l’introduzionedi nuovi apparati decorativi e di un monu-mento che doveva ricordare i lavori eseguitiper la riforma della via Toledo. In un primomomento venne scelto dal Consiglio Edilizioil progetto elaborato dall’architetto Giusep-pe Patricolo Cosentino, ma sottoposto al-

    PALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO – LA CITTÀ ENTRO LE MURA

    73. Il palazzo Arcivescovile visto dai balconi di palazzo Asmundo. Inizi del XX secolo [Ed. Devaux, Paris].

  • l’approvazione definitiva del marchese diSpaccaforno, in veste di direttore del Mini-stero e Real Segreteria di Stato presso il Luo-gotenente Generale di Sicilia, fu scartatoperché giudicato costoso. In realtà si inten-deva affidare l’incarico a Giovan Battista Fi-lippo Basile che venne invitato dallo stessoluogotenente ad elaborare un nuovo proget-to per la riforma della piazza28.

    Basile riuscì a dimostrare con maggioreefficacia, rispetto agli altri progettisti, la ca-pacità di introdurre nuove valenze e nuovisignificati nello spazio pubblico, stabilendorinnovate relazioni tra le architetture checoncorrevano alla definizione della piazza,che voleva presentare in una forma monu-mentale di particolare valore espressivo.L’intervento poneva per Basile la possibilitàdi sperimentare concretamente e in modototalmente innovativo metodi e strumentidel progetto di architettura, inserendo e ve-rificando moderni modelli compositivi chegli giungevano da esperienze di chiara ma-trice nord europea, filtrati e declinati rispet-to ad un ambito contestuale particolarmen-

    te caratterizzato come quello del centro an-tico di Palermo.

    Il progetto presentato da Zappulla e daTorregrossa si articolava in due diverse pro-poste: il semplice raccordo tra le quote dellavia Butera e il Cassaro per mezzo di un pia-no inclinato e, in alternativa, l’introduzionedi un monumento commemorativo da inse-rire in uno spiazzo quadrato, al centro dellanuova piazza, ribassato rispetto alla quotaesistente, con la conseguente aggiunta dirampe carrabili, per il raccordo con via Bu-tera, e di gradini ad integrazione della scali-nata del vicolo della Zecca e del «pubblicoparterre» delle Mura delle Cattive.

    Di ben altro respiro urbano il progetto diBasile che presentava un grande semicerchio«nella cui concavità verrebbe ribassato il li-vello della piazza, onde raccordarsi con lasuperficie dei marciapiedi del Toledo, nelcui centro si eleverebbe una fontana monu-mentale dedicata alle arti e alla memoria del-la riforma del Toledo».

    La presenza della conca a verde semicir-colare, sul modello del crescent inglese, con-

    IL CASSARO

    74. Piazza Santo Spirito e Porta Felice. Sulla sinistra la facciata dell’ex Ospedale di San Bartolomeo, poi Befrotrofiodi Santo Spirito, riformata su progetto di Giovan Battista Filippo Basile. Fine del XIX secolo [Ed. Zangara, Lipsia].

  • sentiva l’introduzione di due rampe, in dol-ce pendenza, di connessione con la via Bute-ra, secondo una soluzione che fu considera-ta di ottimo livello progettuale ed economi-ca da Carlo Giachery, chiamato ad esprime-re un parere sui progetti presentati.

    La scelta espressa da Giachery in favoredel progetto redatto da Basile fu decisiva perl’affidamento dell’incarico.

    Tuttavia il progetto venne approvato dalConsiglio Edilizio non senza qualche diffi-coltà; a Basile, dopo aver presentato la suasoluzione progettuale definitiva con le modi-fiche chieste dallo stesso Giachery29, furonosottoposti altri due progetti, per certi versisimili al suo, elaborati dal principe Pignatel-li di Aragona, noto erudito e appassionato diarchitettura, e venne invitato ad esprimereun parere su queste proposte e sulla possibi-lità di accogliere alcune indicazioni all’inter-no del suo progetto.

    Basile, infastidito da tale richiesta, criticòaspramente le soluzioni del principe Pigna-telli, rilevando l’assoluta mancanza di corri-spondenze assiali e simmetriche tra la grandeaiuola semicircolare e gli edifici del Cassaroche definivano l’ambito della piazza: «i pro-getti del Pignatelli sono risultati per il sig. ar-ch. Basile inattendibili perché fondati su diuna base non artistica, mentre questi [Basile]ha fatto centro di quel largo l’edificio dellostabilimento di Santo Spirito, del quale staelaborando la decorazione, e il Pignatelli par-tiva da un punto diverso che ne faceva perde-re tutta l’euritmia, per cui egli in ultimo limi-tavasi al tratto presso Porta Felice e propone-va di chiudere con la continuazione del mar-ciapiede il cortile Santocanale con un’entratasimile al lato opposto, che avrebbe fatto viaed ingresso al pubblico parterre con simme-tria, spostando il cancello di Porta Felice di-rimpetto il cortile Santocanale. Ma l’architet-to Basile ha fatto notare che quest’ultima [so-luzione progettuale] ricade dentro l’operadel Toledo diretta da altri architetti e quindireputa di non doversene interessare»30.

    I lavori furono appaltati nell’ottobre del1859 da Gaetano Di Bartolo che si aggiu-

    dicò, un mese dopo, quelli per il rifacimentodella via Butera, anche questi progettati daBasile. Dalla lettura dei verbali di appalto edelle «condizioni artistiche» per le opere daeseguire nella piazza Santo Spirito e nella viaButera, appositamente preparati da Basile,emerge una particolare attenzione per gliaspetti normativi del progetto: dai dettaglicostruttivi alla scelta dei materiali da adope-rarsi a cui si affidava la qualità complessivadell’opera conclusa. Con estrema precisionevengono indicate da Basile le dimensionidelle basole per la carreggiata e delle lastredi Billiemi per i marciapiedi, la sagoma delleorlature e il trattamento delle superfici lapi-dee. Basile mostra, inoltre, una notevole ca-pacità nell’organizzazione del cantiere e nelcontrollo delle diverse fasi del lavoro.

    Gli interventi a piazza Santo Spirito e invia Butera erano stati preceduti dal rimodel-lamento della via Alloro, iniziato nel gennaiodel 1859, e di altre vie limitrofe, al fine dicreare un sistema funzionale di strade, già ri-configurate secondo il piano generale di mo-dificazione del suolo viario della città, che sipotessero, man mano, connettere con la co-struenda via Toledo. In tal modo si offrivanoalla città percorsi alternativi all’asse viarioprincipale, impraticabile, per ampi tratti, acausa dei lavori di ricostruzione.

    Ciò che sorprende è la perfetta con-gruenza tra tutte le opere compiute, anche serealizzate in tempi diversi e da diversi pro-gettisti, a dimostrazione della convergenzadelle singole scelte progettuali, rispondentiad un piano guida, riconoscibile nel proget-to di «riforma del Toledo», e nella capacitàdi alcuni progettisti, come Basile, di offrire,attraverso i loro interventi, esempi e modelliprogettuali da utilizzare in altre occasioni.Nonostante gli sforzi e l’impegno degli ap-paltatori e dei progettisti incaricati nella di-rezione delle opere, i lavori andavano a rilen-to a causa delle indisponibilità finanziariedella Deputazione delle Strade, costretta aricorrere a continui prestiti, come quello di15.000 ducati concesso dall’Intendenza pro-vinciale nel 185931.

    IL CASSARO

  • Gli avvenimenti della primavera del 1860determinarono una lunga sospensione dei la-vori che riprenderanno solamente nel 1861,nel quadro di un radicale mutamento politi-co della città alle prese con la nuova realtàunitaria nazionale. Il primo sindaco di Paler-mo, Salesio Balsano di Daina32, si fece im-mediatamente carico di chiedere un prestitodi 30.000 ducati per riprendere i lavori di ri-costruzione delle strade interne ed esternedella città e in particolare per il completa-mento della via Toledo (ribattezzata corsoVittorio Emanuele) e della connessa piazzaSanto Spirito.

    Il prestito fu autorizzato dal luogotenen-te del re il 20 luglio del 1861 e soltanto per10.000 ducati, la restante somma venne ero-gata nei mesi successivi.

    La ripresa dei lavori di riforma del corsoVittorio Emanuele riproponeva la necessitàdi ulteriori interventi nelle altre piazze che siaffacciavano lungo il suo percorso e del livel-lamento della via Maqueda. Dopo aver com-pletato le opere della piazza Santo Spirito ed

    aver progettato il collegamento tra questa eil vicolo della Zecca, attraverso un’ampiascalinata stretta tra due poderosi plinti inpietra d’arenaria33, con la realizzazione nel1863 del Giardino Garibaldi [Figg. 77-78],Basile propose nella contigua piazza Marinail tema dello square, secondo criteri e modidi organizzazione dello spazio urbano real-mente moderni, desunti dalle coeve espe-rienze urbane inglesi.

    Il radicale intervento previsto per piazzaVillena, dove si prevedeva un abbassamentodel livello stradale esistente di oltre un me-tro, interrompeva la continuità delle comu-nicazioni esistenti tra l’antico Cassaro e lepiazze adiacenti ad iniziare da piazza Preto-ria, ed imponeva la ridefinizione della partebasamentale degli edifici interessati dal nuo-vo livellamento stradale. Agli smussi angola-ri dei Quattro Canti vennero aggiunte dellenuove conche in marmo, con i relativi rac-cordi architettonici, ponendole sotto quelleoriginarie rimaste fuori terra; dei plinti rive-stiti in pietra di Billiemi vennero aggiunti al-

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    77. Viale principale del Giardino Garibaldi con i busti di Rosolino Pilo (a sinistra) e di Giuseppe Garibaldi (a de-stra). In fondo il palazzo dell’Intendenza delle Finanze (già Regia Zecca). Fine del XIX secolo.

  • le basi delle colonne presenti nelle corti e neiprospetti dei limitrofi palazzi Costantino,Rudinì e Di Napoli, mentre delle scalinatefurono realizzate, ad integrazione di quelleesistenti, per le chiese di San Giuseppe deiTeatini, di Santa Ninfa dei Crociferi e di SanMatteo. Rimaneva irrisolto, in un primo mo-mento, il collegamento con il piano del Pa-lazzo Pretorio, un tempo direttamente co-municante con il Cassaro e con la via Ma-queda ed ora posto al di sopra della croce distrade. In realtà la questione andava ben ol-tre il semplice raccordo tra i diversi livellistradali, ma investiva l’immagine complessi-va che la piazza, tra le più rappresentativedella città, doveva assumere, ponendo in di-scussione per esempio la presenza di alcunielementi considerevoli come la monumenta-le fontana Pretoria [Fig. 79], realizzata tra il

    1552 e il 1555 da Francesco Camilliani e Mi-chelangelo Naccherino, di cui si proponevail trasferimento a piazza Ruggiero Settimo oa piazza della Vittoria.

    L’esproprio, nel 1866, dei beni immobiliappartenenti alla Chiesa, particolarmentefrequenti lungo il Cassaro, consentì la crea-zione di numerosi servizi pubblici, ricavati al-l’interno di conventi e monasteri e raramentein edifici realizzati allo scopo. Nel CollegioMassimo dei padri Gesuiti [Figg. 80-82], giàsede della Regia Accademia degli Studi fon-data nel 1779 in seguito alla prima espulsio-ne dei Gesuiti dalla Sicilia (1767), furonoistituiti la Biblioteca Nazionale, il Liceo gin-nasiale Vittorio Emanuele, il Convitto Na-zionale, la Scuola Tecnica «Scinà» con corsiserali comunali per gli operai; nel monasterodel SS. Salvatore venne creata la Scuola Nor-

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    80. Collegio Massimo dei Padri Gesuiti: sala di lettura della Biblioteca Nazionale. La sala, sistemata su progetto di Giu-seppe Venanzio Marvuglia, fu gravemente danneggiato dai bombardamenti del 9 maggio 1943. Inizi del XX secolo.

  • male femminile «Regina Margherita»; nellachiesa di San Nicolò dei Padri Carmelitani,in piazza Bologni, furono ubicati gli ufficidella Regia Posta Centrale [Fig. 83]. Nellapiazza Sette Angeli, nell’area un tempo oc-cupata dall’omonimo monastero, fu realizza-ta la Scuola Tecnica «Gagini», poi Scuola su-periore femminile «Turrisi Colonna». Analo-gamente, nel sito ricavato dalla parziale de-molizione del nucleo antico del monasterodi Montevergini venne edificata la ScuolaNormale maschile, oggi Istituto Tecnico perGeometri «Filippo Parlatore».

    All’estremità sud-ovest, nell’antico pianodel Palazzo Reale (poi piazza della Vittoria)[Figg. 84-85] la cui secolare “nudità” vennevanificata nel 1905 con l’impianto del palmi-zio di Villa Bonanno [Figg. 86-87], dopo il1860, in coerenza con la storia del luogo, siandarono rafforzando le funzioni urbanederivate da necessità simboliche, rappresen-tative e di controllo della città; funzioni chesi manifestarono soprattutto con un massic-

    cio insediamento di strutture militari checoinvolsero parte del Palazzo Reale, sede delComando Generale per la Sicilia; l’interoquartiere degli Spagnoli (o di San Giaco-mo), sede del Comando della Legione deiCarabinieri; il convento dei Padri Trinitari(attuale Questura) e l’antico OspedaleGrande34, trasformati in caserma dei Bersa-glieri; la chiesa e monastero di Sant’Elisabet-ta (oggi sede degli uffici della Squadra Mo-bile), convertiti in Commissariato militare.Nel piano del Palazzo Reale erano pure ubi-cati gli uffici della Reale Prefettura e delProvveditorato agli Studi nel palazzo delprincipe di Aci35, già sede del Ministero del-la Real Segreteria di Stato per la Sicilia du-rante il governo borbonico; gli uffici dellaDeputazione Generale della Provincia situa-ti, sino al 1890, nella parte superiore dell’O-spedale di San Giacomo.

    All’altro capo del Cassaro, a piazza Ma-rina e nelle sue adiacenze, erano concentra-ti gli uffici pubblici e privati: l’intero organi-

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    83. Piazza Bologni agli inizi del XX secolo. In primo piano, da destra a sinistra, la chiesa di San Nicolò dei Bologna,sede della Regia Posta Centrale; il Convento dei Padri Carmelitani di San Nicolò (Carminello), trasformato in tribuna-le militare; palazzo Riolo-Damiani. Sullo Sfondo, palazzo Riso di Colobria, già dei Ventimiglia principi di Belmonte.

  • smo della giustizia aveva sede nello Steri36 enei corpi di fabbrica adiacenti [Fig. 96]; nel-l’antico carcere della Vicaria, radicalmentetrasformato in Palazzo delle Finanze[Fig. 97], erano ubicati la Borsa di Com-mercio, il Banco di Sicilia, la Cassa di Ri-sparmio e la direzione del Genio Civile37; ilPalazzo della Zecca era adibito a sede dellaRegia Intendenza di Finanza38; l’antico edi-ficio della Gran Guardia, costruito nel 1785per ospitare la guarnigione di servizio al vi-cino carcere della Vicaria, era stato ingloba-to dal complesso architettonico della Navi-gazione Generale Italiana39; nell’abolitoOspedale di San Bartolomeo fu istituito apartire dal 1826 il Brefotrofio di Santo Spi-rito [Figg. 74-76]; la Casa dei Padri Teatinialla Catena venne assegnata all’Archivio diStato o Grande Archivio a cui era annessa laScuola di Paleografia40.

    Nella più antica e rappresentativa stradadella città i palermitani continuavano da se-coli a consumare i propri bisogni di socialità;qui e nelle immediate vicinanze erano ubica-te le principali attività commerciali, gli ufficidelle assicurazioni, concentrati quasi tutti apiazza Marina, gli uffici dei rappresentanti,dei spedizionieri, gli studi notarili, dei medi-ci e degli avvocati.

    Nel Cassaro avevano sede anche i circoliculturali e i caffè alla moda: nel palazzo Ge-raci il Casino Nuovo, presieduto dal sindacoSalesio Balsano, rappresentava l’alternativaborghese all’aristocratico ed esclusivo Circo-lo Bellini, ospitato nel palazzo dei marchesidi Santa Lucia nel piano della Martorana(piazza Bellini). Al piano terra di palazzo Al-garia, ad angolo con piazza Bologni, era ubi-cato il Gabinetto o Circolo dell’Unione (giàOfficina e Caffè per i nobili) [Fig. 88]; in viaMaqueda, nel palazzo Gallidoro, aveva sedeil Casino delle Arti, presieduto da GiovanBattista Filippo Basile, nel quale si promuo-vevano esposizioni di «belle arti», conferen-ze pubbliche, e lo stesso Basile teneva uncorso gratuito di «stereotopia pratica», men-tre il prof. Enrico Naselli dava lezioni di geo-metria descrittiva. Ed ancora il Gabinetto

    dei Buoni Amici; il Gabinetto dei CapitaniMarittimi amministrato dai fratelli Corvaia;il Circolo Agrumario; il Circolo Artistico nelpalazzo Larderia [Figg. 89-91]; il PiccoloCasino nel palazzo Natoli.

    Stupisce come la quota d’ingresso dei so-ci del Casino Nuovo, con le sue 100 lire (nel1873) fosse di gran lunga superiore a quelladegli altri circoli (una media di 15 lire) e del-lo stesso Circolo Bellini. Non a caso tra i suoisoci si annoverano alcuni tra più eminentiprofessionisti della città e non pochi aristo-cratici (i Trigona di Mandrascati, il cavalierGaetano La Cava, il prof. Santi Cacopardo).Agli inizi del Novecento si aggiungeranno ilClub Alpino Siciliano, la Società delle corsedei cavalli, il Circolo Scacchistico, il Circolodei Commercianti, tutti ubicati nel Cassaro.In via Alloro era stata creata invece la Salad’armi «Nino Bixio», e in via Santa Chiara, ilCircolo schermistico palermitano.

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  • Quasi tutte concentrate nel Cassaro era-no anche le principali librerie della città, tracui quelle de fratelli Gioacchino e SalvatoreBiondo, quella di Remo e Luigi Sandron, alpiano terra di palazzo Viola (già palazzo Pi-lo di Capaci), quella di Luigi Pedone Laurielnel palazzo Damiani [Fig. 92], ad angolocon piazza Bologni, dotata di un gabinettoper la lettura frequentato dall’intelligentiacittadina, quella di Giuseppe Pedone Lau-riel (fratello e, in passato, socio di Luigi), po-sta al piano terra di palazzo Rudinì (attualeLibreria Dante), ed anche le rinomate pa-sticcerie dei Gulì, al piano terra di palazzoAmari, e dei Caflish con sede anche in viaMaqueda. Come era costume in quell’epoca,i circoli e spesso anche i caffè divenivanoluoghi d’incontro, al limite tra il pubblico eil privato, adatti alla lettura, ad un’intensasocialità e al dibattito in cui si confrontavanole diverse culture della città.

    Se il Cassaro, dunque, rimaneva il cuorepropulsivo della città, centro delle attivitàterziarie e delle funzioni pubbliche, mutava-no, invece, le condizioni di stanzialità legate,un tempo, esclusivamente alla nobiltà. Giàda tempo l’aristocrazia era travagliata daicambiamenti storici e politici che avevanomodificato profondamente la struttura so-ciale ed economica della città. L’abolizionedella feudalità nel 1812, e con essa degli isti-tuti giuridici del fidecommesso e della pri-mogenitura agnatizia, aveva comportato l’e-stensione a tutti i figli dei diritti sull’ereditàcon il conseguente smembramento dei patri-moni familiari. Ciò aveva determinato, con-testualmente alla ascesa sociale della borghe-sia imprenditoriale, una irreversibile crisi fi-nanziaria dell’aristocrazia.

    Ne conseguì l’abbandono di buona partedei palazzi più rilevanti, per qualità architet-tonica, distribuiti lungo il Cassaro. Nei casi

    IL CASSARO

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  • migliori le storiche dimore furono trasfor-mate in residenze plurifamiliari destinate ainuovi ceti emergenti o all’aristocrazia di pro-vincia trasferitasi in città in cerca di maggio-re affermazione sociale. Altre mutarono so-stanzialmente l’uso originario divenendo al-berghi, sede di uffici e di scuole. Tra gli in-numerevoli esempi, è emblematica la sortetoccata alle auliche dimore dei vari rami deiVentimiglia, famiglia tra le più antiche e bla-sonate della Sicilia: il palazzo dei principi diBelmonte era stato venduto nel 1841 al capi-tano marittimo Giovanni Riso, che, comescriveva Nino Basile, «con l’arte marinaraera riuscito a costruire un patrimonio cospi-cuo»41; il collaterale palazzo dei marchesiGeraci e principi di Castelbuono (ramoprincipale dei Ventimiglia, estintosi in lineamaschile con la morte del principe Giovan-ni), con i suoi famosi giardini pensili adorna-ti dalle fontane e dalle statue del Marabitti econ l’immensa sala da ballo affrescata da Ve-lasquez (alias Giuseppe Velasco) [Figg. 93-95], era stato suddiviso tra gli eredi di PietroMancuso, che aveva sposato Corradina Ven-

    timiglia, di Antonio Scimonelli, marito diMaria Rosa Ventimiglia e il barone France-sco Cammarata da Corleone; nell’antico eimmenso palazzo dei conti di Prades (altroramo estinto dei Ventimiglia) aveva sede, ol-tre al citato Circolo Artistico, la Banca Po-polare di Palermo, presieduta da BenedettoMantegna, principe di Gangi, proprietariodell’intero edificio.

    Nel palazzo dei Grifeo, principi di Par-tanna, situato a piazza Marina [Fig. 95], chesino a metà dell’Ottocento figurava tra i piùsfarzosi della città, furono ubicati, al pianonobile, gli uffici della Camera di Commercio,delle assicurazioni Lloyd Svizzero e LloydRenano. A proposito di tale incongruo utiliz-zo del palazzo, in una guida della città del1892, veniva annotato: «entrando nella primasala si scorge una lunga fila di quadri pende-re dalle mura, e sembra le figure ivi dipinteesprimano il cordoglio che la principesca di-mora sia mutata in casa di negozi».

    In altri casi si era preferito mantenere l’u-so residenziale del piano nobile trasforman-do le altre parti del palazzo: nell’ammezzato

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    92. Piazza Bologni in una fotografia risalente agli inizi del XX secolo. Da sinistra a destra si notano il palazzo Riolo-Daminani, il convento e la chiesa dei Padri Carmelitani di San Nicolò dei Bologna e, in fondo, palazzo Ugo, marche-si delle Favare [Ed. Dr. Trenkler Co., Lipsia].

  • di palazzo Costantino fu istituita la Scuolatecnica «Benedetto d’Acquisto»; in alcuni lo-cali del palazzo dei Cottone, principi di Ca-stelnuovo, era ospitato sin dal 1870 il convit-to privato «Cristoforo Colombo»; il palazzoPaternò Asmundo, marchesi di Sessa, acqui-stato nella prima metà dell’Ottocento daGiuseppe Candurra e in seguito da GiovanniSiracusa, fu trasformato in lussuoso albergochiamato Rebecchino. Le sontuose dimoredei Pilo, conti di Capaci, dei Tarallo, duchi diMiraglia, dei Guggino e dei Lo Faso, duchidi Serradifalco, situate nel Cassaro, dei Cal-derone baroni di Baucina [Fig. 97], dei Bur-gio, duchi di Villafiorita, e dei marchesi Gre-co, a piazza Marina; dei Massa, duchi di Ca-steldiaci, in via Butera furono acquistate, ri-spettivamente, dai Viola, dagli Arcuri, daiChiaramonte Bordonaro, dai Bonocore, daiFatta di Polizzi, dai Verde, dai Dagnino, daiPojero, quasi tutti esponenti di primo piano(compreso quelli che vantavano titoli nobilia-ri) del mondo della finanza locale; un’aristo-

    PALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO – LA CITTÀ ENTRO LE MURA

    98. Piazza Marina: palazzo Fatta baroni della Fratta e via dei Bottai. Inizi del XX secolo.

    97. La grande mole dello Steri a Piazza Marina. Seguo-no palazzo Abatellis e, in fondo, l’Hôtel de France. FineXIX secolo.

  • crazia del denaro che si sostituiva a quella dipiù vetuste origini feudali. Accanto a loro ri-maneva la nobiltà più antica legata da vinco-li di tradizione ai loro aviti palazzi.

    Nella parte alta del Cassaro (compresa trai Quattro Canti e Porta Nuova) e nelle stradead esso intimamente relazionate, dimoravanoancora i Vanni, principi di San Vincenzo, nelvicolo Marotta, i principi Alliata di Villafran-ca e i marchesi Ugo della Favara, nei loro ri-spettivi palazzi situati a piazza Bologni, imarchesi Drago, i marchesi Natoli nella sali-ta del SS. Salvatore, i Papè, principi di Valdi-na, i Benso, duchi di Verdura, in via Monte-vergini. Nell’altra parte del Cassaro, daiQuattro Canti a Porta Felice, risiedevano sindal Settecento i Di Napoli dei principi di Re-suttana, gli Anfossi, marchesi di Sant’Ono-frio (attuale Hôtel Sole) [Figg. 98-99], i Pa-lermo principi di Santa Margherita, i Ruffo,principi di Sant’Antimo (che avevano eredi-tato il palazzo dai Termini conti di Isnello), iconti Amari, i Vassallo Paleologo [Fig. 100],

    IL CASSARO

    100. Cantone di Sant’Oliva (mandamento Castellammare) a piazza Villena alla fine XIX secolo. Sono indicati 1. pa-lazzo Costantino; 2. palazzo Di Napoli; 3. palazzo Cannizzo-Palizzolo-Longo (oggi Hôtel Sole).

    98. Piazza Villena e il Cassaro. In primo piano a sinistrail «cantone» di Sant’Oliva (mandamento Castellamma-re) con il palazzo Di Napoli. Inizi del XX secolo [Ed.Leone Zangara, Palermo].

    1 2 2 3

  • i De Spucches, duchi di Santo Stefano, nelpalazzo sito tra piazza Santo Spirito e il vico-lo della Zecca [Fig. 101].

    Nei decenni successivi, quando la “nuo-va” città, quella nata dalla pianificazione ot-tocentesca, accentuerà la propria forza cata-lizzatrice, il Cassaro perderà parte di quella“sacralità” che secoli di storia e di esaltantivicende urbanistiche gli avevano conferito.Verranno meno, infatti, taluni valori d’uso,soprattutto quelli legati ad alcune attivitàcommerciali e alla residenza della classe diri-gente della città. Nuove strutture urbane,come la via Ruggiero Settimo, piazza Poli-teama e via Libertà, assumeranno il ruolo diluoghi deputati «a rappresentare aspirazioni,volontà di una diversa realtà sociale, che ri-cercava nella nuova configurazione urbanasistemi di segni sociali alternativi all’immagi-ne della città consumatrice di rendite»42.

    PALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO – LA CITTÀ ENTRO LE MURA

    100. La chiesa della Catena con annessa Casa dei Padri Teatini e, a sinistra, scorcio del palazzo Vassallo Paleologo sulCassaro. A destra la stecca edilizia che separava il vicolo della Regia Zecca dal Cassaro con in primo piano palazzoGenovese. Inizi del XX secolo.

    101. Piazza Santo Spirito e via della Regia Zecca agli ini-zi del XX secolo. Sono indicati 1. palazzo Poiero già deiMassa, duchi di Castel di Jaci; 2. palazzo De Spucches,duchi di Santo Stefano; 3. palazzo Santonocito.

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  • La città e il mare

  • L’aspetto della città lungo la costa appa-re nelle foto piuttosto variegato e definito dadifferenti sistemi morfologici tra essi forte-mente correlati: la spiaggia di Sant’Erasmo,il Foro Italico, la Cala, la via del Borgo sinoal vecchio Arsenale. Sistemi in cui è possibi-le rilevare i segni iconici più rappresentatividel “paesaggio” urbano verso il mare cheper secoli ha rappresentato l’immagine stes-sa di Palermo.

    Il Foro Italico (nel corso dei secoli assun-se il nome di Strada Colonna, Foro Borboni-co, Foro Italiano nel 1848 e Foro Italico dal1860 al 1901, Foro Umberto I, e per ultimoancora Foro Italico), da sempre spazio apertodi relazione tra la città e il mare, assunse sindalla sua realizzazione, operata sotto il gover-no (1577-1584) del viceré Marcantonio Co-lonna, duca di Tagliacozzo, il ruolo di luogourbano deputato allo svolgimento dei riti col-lettivi di maggiore rilevanza sociale, e questononostante si trovasse a ridosso della cinta dimura della città segnata in quel tratto dai duecitati poderosi bastioni di Vega e del Tuono.

    La lunga ed austera cortina muraria del-la Strada Colonna, ancor prima di essere de-purata dalla presenza dei due bastioni, fu ar-ricchita sin dal 1687 da un gigantesco trom-pe d’oeil raffigurante un colonnato con archia tutto centro contenente all’interno, dipintea chiaroscuro, le principali “virtù” con i re-lativi attributi. Sulla sommità delle mura fudipinta una balaustra e, al di sopra, furonocollocate venti statue di pietra imbiancate di

    calce rappresentanti i re e le regine di Siciliasin dal tempo dei normanni.

    Altro intervento rilevante teso a raffor-zare i legami tra la città e il mare, fu quellointrapreso nel 1823 da Antonio LucchesiPalli, principe di Campofranco e duca dellaGrazia, Luogotenente del re in Sicilia, chefece costruire sulla mura un «pubblico par-terre», ripristinando l’antico camminamen-to chiamato «Strada Colonna superiore» o«di li cattive»; nome derivato dall’uso cheanticamente ne facevano le vedove (captivæ)le quali non potendo prender parte ai «pub-blici ritrovi della marina» se ne stavano ap-partate su questo camminamento sopraele-vato [Fig. 103].

    Anche le antiche mura urbane, private del-l’originario ruolo difensivo e di controllo mili-tare, assunsero in tal modo quello di luogoaperto agli scambi sociali della cittadinanza.

    Il «pubblico parterre» si sviluppava dapiazza Santo Spirito sino alla via Mura delleCattive, attraverso un percorso in quota in-teso, un tempo, come affaccio privilegiatoverso il mare, che stabiliva anche un nuovoed ultimo collegamento tra la strada del Cas-saro e la via Alloro.

    In origine l’accesso alla passeggiata eraconsentito mediante due scalinate poste al-l’estremità del percorso; quella su via Muradelle Cattive fu gravemente danneggiata du-rante l’ultimo conflitto e successivamente ri-costruita. Un ricco arredo di sedili, piedistal-li con vasi e statue in marmo costituiva un

  • apparato decorativo tale da imprimere note-vole qualità architettonica ad uno spaziopubblico di particolare significato urbano.

    Nel 1827 ai lati delle due scale di accessoalle Mura delle Cattive furono collocate leerme in tufo scolpite dal giovane, ma famo-so, scultore Nicolò Bagnasco.

    La demolizione dei baluardi del Tuono edi Vega consentì inoltre la costruzione di«casine» ricavate entro il tratto di mura sot-tostante la strada delle Cattive. Realizzateper gli svaghi di alcuni nobili palermitani, di-vennero ben presto luogo d’incontro e dipassatempo delle classi sociali più agiate. Laprima casina che si incontrava provenendoda Porta Felice apparteneva alla fine dell’Ot-tocento a Giuseppe Monroy, conte di Ran-chibile; seguiva la casina di proprietà comu-nale; quella del principe di Trabia (in corri-spondenza dell’Hôtel Trinacria), già di pro-prietà dei Settimo, principi di