62
Istituto tecnico per Geometri G G u u a a r r i i n n o o G G u u a a r r i i n n i i Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune tra le più efferate manifestazioni della Shoah, l’assassinio in massa degli ebrei europei per mano dei nazisti. Tra il 1941 e il 1944 secolari comunità, insediate da centinaia di anni in quelle terre, furono letteralmente disintegrate dalla violenza dell’occupante tedesco che si adoperò negli eccidi attraverso l’azione delle unità mobili conosciute come Einsatzgruppen. Nel portare a termine i massacri molto importante fu il concorso attivo dei collaborazionisti locali che, in vari modi, parteciparono volontariamente alle persecuzioni, alla deportazione e all’assassinio della popolazione civile di origine ebraica. Peraltro, una parte di essi, ed in particolare la componente più accesamente nazionalista, identificava gli ebrei con il comunismo bolscevico, attribuendo equivocamente ai primi la responsabilità della precedente occupazione sovietica dei territori delle Repubbliche. Dopo avere ricostruito la storia delle tragiche vicende occorse alle comunità ebraiche di quei paesi si rifletta sulla natura della collaborazione tra gruppi locali e nazisti nella realizzazione del piano di sterminio. Classe IV B sp Marco Alforno Silvia Baccaro Eleonora Bonarrivo Roberta Capobianco Alice Villa L'insegnante: Antonella Filippi

Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

  • Upload
    others

  • View
    1

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

Istituto tecnico per Geometri GGuuaarriinnoo GGuuaarriinnii

TToorriinnoo AAnnnnoo ssccoollaassttiiccoo 22000088--22000099

TTrraacccciiaa nn.. 33

I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro

di alcune tra le più efferate manifestazioni della Shoah, l’assassinio in massa degli

ebrei europei per mano dei nazisti. Tra il 1941 e il 1944 secolari comunità,

insediate da centinaia di anni in quelle terre, furono letteralmente disintegrate

dalla violenza dell’occupante tedesco che si adoperò negli eccidi attraverso l’azione

delle unità mobili conosciute come Einsatzgruppen. Nel portare a termine i

massacri molto importante fu il concorso attivo dei collaborazionisti locali che, in

vari modi, parteciparono volontariamente alle persecuzioni, alla deportazione e

all’assassinio della popolazione civile di origine ebraica. Peraltro, una parte di essi,

ed in particolare la componente più accesamente nazionalista, identificava gli ebrei

con il comunismo bolscevico, attribuendo equivocamente ai primi la responsabilità

della precedente occupazione sovietica dei territori delle Repubbliche.

Dopo avere ricostruito la storia delle tragiche vicende occorse alle comunità

ebraiche di quei paesi si rifletta sulla natura della collaborazione tra gruppi locali e

nazisti nella realizzazione del piano di sterminio.

Classe IV B sp Marco Alforno Silvia Baccaro Eleonora Bonarrivo Roberta Capobianco Alice Villa

L'insegnante:

Antonella Filippi

Page 2: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

2

Indice

Introduzione ……………………………………………………………….... p. 3 Primo capitolo: Il “Trattamento speciale”. Gli ebrei in Russia. L’antisemitismo in Russia. Gli ebrei in Unione Sovietica. L’invasione nazista…………………………………………………...p.4 Masha Rolnikaite, Devo raccontare…………………………………………………… .p.22 Grigorij Šur, Gli ebrei di Vilna. Una cronaca dal ghetto 1941-194……………………p.30

Icchokas Meras, Scacco perpetuo………………………………………………………..p.40

Helene Holzman, Questa bambina deve vivere. Giorno per giorno come siamo

sopravvissute all’Olocausto………………………………………………………………..p.45 Iljia Ehrenburg, Vasilij Grossman, Il Libro Nero

(diario di Elena Kutorgene-Buivydaite)…………………………………………………p.52 Conclusione………………………………………………………………………………..p.59 Bibliografia………………………………………………………………………………..p.62

Page 3: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

3

Introduzione

Il tema affrontato è certamente tra i meno conosciuti in ambito scolastico ma straordinariamente interessante per capire l’inizio della Shoah. Per i miei studenti non è stato facile affrontare un argomento così vasto; il lavoro più lungo è stato quello di avvicinamento e di studio, di reperimento del materiale storico e documentario. Ben presto ci siamo posti il problema di che taglio dare al nostro testo: abbiamo deciso di isolare dei “luoghi” tra quelli in cui si attuò lo sterminio nel vasto territorio sovietico. La scelta è caduta sulla Lituania perché abbiamo avuto a disposizione fonti che hanno reso il nostro studio più documentato. Per questo abbiamo escluso dall’analisi i massacri nelle altre zone dell’URSS, anche se questo ha comportato, per esempio, tagliare le bellissime pagine di Grossman sull’Ucraina. Il nostro lavoro parte da un breve inquadramento storico. E’ stato necessario prima di tutto sapere che cosa erano le Einsatzgruppen e come lo sterminio da esse perpetrato preceda storicamente il progetto della soluzione finale. Ma fin da subito mi è stata posta la domanda: come mai un così alto numero di ebrei in Unione Sovietica? Ho pensato che fosse doveroso ripercorrere brevemente la storia degli insediamenti ebraici nell’est europeo e, per capire la base dell’odio che si scatenò anche da parte delle popolazioni locali, analizzare le fonti dell’antisemitismo in Russia e in URSS. Siamo così arrivati ad avere un quadro sufficientemente completo della situazione per poter affrontare la situazione nei paesi Baltici, e nello specifico in Lituania, al momento della invasione nazista. Sulle azioni delle Einsatzgruppen, oltre al materiale storico che abbiamo usato nella fase introduttiva, c’è moltissimo materiale su internet. Per non cadere nel rischio di copiare o semplicemente riassumere in modo disordinato, ho individuato testi di testimonianze e ne ho affidato la lettura agli studenti. L’incontro con la parola di chi ha subito o vissuto direttamente la Shoah è stato forte ed emozionante e ha dato ai ragazzi la possibilità di entrare direttamente nelle atrocità dello sterminio. Gli studenti si sono confrontati sulle loro letture, hanno trovato molti punti in comune, hanno individuato altri nodi storici da esaminare, e in alcuni casi hanno incontrato le stesse figure e situazioni che si intrecciavano nelle vicende lette. In questo modo abbiamo cercato di articolare gli approfondimenti, di distribuire le note e di fare gli opportuni collegamenti. Vilnius e Kaunas sono le città dove si svolgono le vicende dei testi letti; l’ultima testimonianza è tratta da Il libro nero a cui abbiamo dedicato alcune pagine per capire il difficile percorso della ricezione della Shoah in Unione Sovietica. Questo è un altro capitolo complesso e poco conosciuto che è stato aperto solo negli ultimi anni, con cui si incrocia l’altro difficile argomento, quello della “memoria” della Shoah oggi, nei paesi Baltici. Ad esso abbiamo dedicato la conclusione; le nostre ultime riflessioni, a cui siamo giunti anche grazie alle lezioni del Prof. Feltri, nascono dalle domande degli studenti. Come vivono oggi i ragazzi di Vilnius e di Kaunas il peso di quella terribile pagina di storia? Come si confrontano con quelle fotografie su cui possono trovare tra quei massacratori, i volti di un loro nonno? Non ci è parso che sia stato fatto un percorso di ricostruzione della memoria. Non ci sono quasi più ebrei a Vilnius, non ci sono più le cento sinagoghe, le botteghe, le vie, i ricordi, i cimiteri, le tracce della grande e fiorente comunità ebraica. Non ci sono più: è silenzio. Un silenzio un po’ imbarazzato, forse, a leggere gli articoli di Gad Lerner che è tornato a Vilnius a cercare tra i negozi di ambra per turisti e le chiese barocche, qualche traccia del passato ebraico. Nel 2000 l’Unesco ha stanziato i fondi per ricostruire la Zydowska, il vecchio quartiere ebraico di Vilnius in cui vivevano 70.000 ebrei; ma le polemiche non mancano. Il nazionalista Vytautas Sustauskas, opponendosi in parlamento al progetto dell’Unesco, ha avvertito: «La Lituania sarà ridotta in schiavitù dagli ebrei». La storia non è finita. L’insegnante

Page 4: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

4

IL “TRATTAMENTO SPECIALE”

L’aggressione tedesca all’Unione Sovietica segna l’inizio dell’ultima fase del “problema ebraico”, quella dell’eliminazione fisica degli ebrei. Fino ad allora i vertici dello stato nazista avevano elaborato vari piani per rendere la Germania e i territori annessi o conquistati judenfrei, tra cui l’emigrazione forzata degli ebrei, il progetto Madagascar, la creazione di una riserva ebraica in Polonia o in Unione Sovietica. Con la decisione dell’invasione dell’Unione Sovietica fu progettata per la prima volta l’eliminazione fisica degli ebrei. Nello stesso periodo (siamo nella primavera-estate del 1941) in Polonia, nei territori del Governatorato Generale, si era alla fase della concentrazione di tutti gli ebrei nei ghetti. Solo in seguito ai massacri sistematici delle Einsatzgruppen sul territorio sovietico, seguirà in Polonia la fase della costruzione dei lager di “sterminio immediato”1, concepita come miglioramento tecnico per rendere il metodo di uccisione più rapido e meno gravoso per coloro che lo dovevano eseguire. La differenza tra lo sterminio in Unione sovietica e in Polonia fu che, come dice Hilberg, “nelle regioni sovietiche occupate, i carnefici inseguirono le loro vittime, mentre nel secondo caso esse vennero condotte davanti ai loro assassini"2 La distruzione degli ebrei in territorio sovietico era sostenuta dal vecchio assioma di Hitler3 giudeo=bolscevico, e dalla teoria secondo la quale la rivoluzione bolscevica era stata voluta dal “giudaesimo internazionale”: dunque l’eliminazione degli ebrei veniva a completare la “missione” nazista di distruggere contemporaneamente comunismo e giudaesimo. Le modalità dello sterminio furono in Unione Sovietica ancora in gran parte legate al metodo delle fucilazioni di massa, e all’accumulo dei cadaveri nelle fossi comuni. Metodi rivelatesi ben presto insostenibili dato l’alto numero di ebrei presenti sui territori occupati e per i problemi di carattere pratico e psicologico legati allo “sporco lavoro”4 che i solerti assassini compivano. Ma ci teniamo a sottolineare che l’uccisione di massa degli ebrei non fu qui né altrove un atto di guerra e che l’organizzazione fu pianificata sotto ogni profilo e non fu mai lasciata all’improvvisazione.

1Nell’ambito dell’ Aktion Reinhard furono approntati in Polonia i primi campi di sterminio immediato. Nel dicembre 1941 incomincia a funzionare il campo di sterminio di Chelmno. Belzec, considerato il “laboratorio” dello sterminio, fu costruito tra il dicembre 1941 ed il marzo 1942. Il campo di Sobibor, ad est di Lublino, venne costruito tra marzo ed aprile 1942. Infine il campo di Treblinka a nordest di Varsavia fu completato nel luglio 1942. I lavori di costruzione di Auschwitz II incominciarono nell’ottobre 1941 e Birkenau fu all’inizio campo per prigionieri sovietici; i primi prigionieri ebrei arrivarono nella primavera del 1942. A Birkenau le camere a gas furono perfezionate con la costruzione dei quattro crematori. 2 Raul Hilberg, La distruzione degli ebrei d’Europa, Torino, Einaudi, p.293 3 Nel discorso pronunciato di fronte al Reichstag il 30 gennaio 1939, Hitler ritornò sulle tesi del Mein Kampf in cui sosteneva che bolscevismo e giudaesimo erano un blocco unico e annunciò che il secolare avversario della razza ariana sarebbe stato combattuto fino all’estremo delle forze. Nel discorso usò l’espressione “annientamento della razza ebraica”, frase che fu ripetuta più volte: una nel 1941, in gennaio; cinque, nel corso del 1942; due, nel 1943. “Quando lottavo per raggiungere il potere, il popolo dei giudei era il primo a prendere solo con il riso le mie profezie

che io un giorno in Germania avrei assunto la guida dello stato e di tutto il popolo e allora avrei trovato una soluzione,

fra i tanti problemi, anche a quello degli ebrei. Credo che in Germania le sonore risate di allora si siano nel frattempo

soffocate in gola al giudaismo.(…) Oggi voglio essere di nuovo il profeta: se il giudaismo della finanza internazionale,

in Europa o altrove, riuscisse ancora una volta a gettare i popoli in una guerra mondiale, il risultato non sarà la

bolscevizzazione della terra e la vittoria del giudaismo, ma l'annientamento della razza ebraica in Europa.” Da:

A.Hillgruber, La distruzione dell’Europa. La Germania e l’epoca delle guerre mondiali (1914-1945), Bologna, Il

Mulino, 1992, p. 382. 4 “Lo sporco lavoro” è il titolo del cap.VIII del testo di Richard Rhodes, Gli specialisti della morte, Mondadori 2005, e fa riferimento ad una frase di un funzionario di un Einsatzgruppe di Riga che definisce sporco lavoro quello affidato alle unità di polizia ausiliaria composta di locali ai quali erano affidate sovente le operazioni di massacro.

Page 5: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

5

Infatti in Germania, contestualmente alla preparazione militare dell’attacco, si pianificavano gli accordi programmatici tra capi della Wehrmacht e capi delle SS per l’organizzazione della“missione” delle Einsatzgruppen, truppe speciali formate da unità di SS e di Polizia che dovevano seguire l’avanzata dell’esercito, con il compito di effettuare i massacri degli ebrei. Ma partiamo da un elemento organizzativo che ci ha colpiti e cioè la profusione di mezzi che venne destinata alle Einsatzgruppen: queste truppe, fin dal momento della loro formazione, erano interamente motorizzate5, avevano radio, telescriventi, generatori mobili. Erano dotate di cucine da campo montate su camion, stufe per riscaldarsi, tende, sedie e tavoli portatili, riserve di acqua e di benzina e infine armi (pistole, fucili e mitragliette). Nemmeno la Wehrmacht poteva contare su una simile ricchezza di mezzi; questo ci dice quale ruolo fondamentale fosse attribuito alle Einsatzgruppen. E infatti nulla fu lasciato al caso: i piani operativi delle Einsatzgruppen erano parte integrante dei preparativi militari per l’invasione dell’URSS e si era cominciato a lavorare per la loro messa a punto fin dalla primavera del 1941. Nelle istruzioni del comando supremo dell’esercito per l’Operazione Barbarossa del 13 marzo 1941, si parlava di “trattamento speciale” a cui sarebbero state sottoposte le popolazioni; le convenzioni internazionali sul trattamento dei prigionieri e della popolazione civile erano di conseguenza dichiarate nulle e ogni tipo di violenza era così legittimata. Era aperta la strada per l’uccisione senza condizioni di chiunque fosse considerato nemico della Germania. Il territorio sovietico, abitato da un popolo da considerare “schiavo” nel nuovo ordine nazista del mondo, non era sotto gli occhi del mondo così come quello francese o belga; solo in Italia, dopo l’8 settembre 1943, si applicarono le stesse direttive contro la popolazione civile che erano state applicate per le popolazioni slave. Ma in URSS oltre ad un popolo da considerare schiavo, si trovava un consistente numero di ebrei, razza da annientare. Il compito delle Einsatzgruppen era quello di eliminare il pericolo bolscevico e quello giudaico, uno filiazione dell’altro. Nel maggio del 1941 Heydrich6 e Wagner7 firmarono un accordo8 sulle attività delle Einsatzgruppen incaricate di attuare il “trattamento speciale” nei territori sovietici; le unità mobili avrebbero operato nelle retrovie delle truppe dell’esercito e potevano arrivare fino sul fronte, dietro ai corpi d’assalto; amministrativamente erano sottoposti all’autorità militare, ma il loro controllo operativo era nelle mani dell’RSHA. Come dire che le Einsatzgruppen erano contemporaneamente dipendenti dalle SS e dalla Wehrmacht e che avevano grandi spazi di movimento e potevano colpire le loro vittime senza che queste potessero organizzare un minimo di difesa o di fuga. “In Russia, il funzionamento delle unità mobili di massacro mise in un sol colpo le forze armate al centro della realizzazione dell’Olocausto.”9 La Wehrmacht si macchiò dunque degli stessi crimini e delle stesse colpe delle SS. Dopo la firma del protocollo organizzativo, si procedette alla costituzione delle Einsatzgruppen che, in quanto formazioni non permanenti, dovevano essere ogni volta costituite: vennero reclutati uomini tra i membri della Polizia di Sicurezza, della Polizia segreta (Gestapo), del Servizio segreto delle SS e delle Waffen-SS (unità militari delle SS). Riuniti nella città di Pretzsch, ricevettero gli ordini delle operazioni.

5 Richard Rhodes, (Gli specialisti della della morte, Mondadori, 2005, p.17), riferisce a proposito della motorizzazione, che “nel giugno 1941 la Wehrmacht lo era solo parzialmente [motorizzata] e l’artiglieria era a volte ancora trainata dai cavalli.” 6 Heydrich era il comandante dell’ RSHA (Servizi di sicurezza delle SS), dipartimento delle SS da lui creato, che comprendeva la Sicherheitsdienst, la Gestapo e la Reichskriminalpolizei. 7 Eduard Wagner, capo del quartier generale della Wehrmacht. 8 Sui dettagli degli accordi : R. Hilberg, op. cit., pp. 301-306. 9 R. Hilberg, op. cit, p. 295

Page 6: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

6

In totale furono costituite quattro Einsatzgruppen, suddivisi in unità operative Einsatzkommandos e Sonderkommandos. Gli alti ufficiali provenivano in maggioranza da professioni autonome, alcuni addirittura erano stati artisti. “Questi uomini non erano in alcun modo canaglie, delinquenti, malfattori di professione, e nemmeno maniaci sessuali. Erano in maggioranza intellettuali, molto spesso in età tra i trenta e i quarant’anni; aspiravano certamente ad una forma di potere, alla fama e al successo. (…) Essi misero al servizio del nuovo compito tutte le loro capacità e la loro esperienza. Insomma, divennero degli assassini efficienti.”10 Il numero complessivo delle truppe era di 3000 uomini a cui si aggiunsero, durante l’avanzata in territorio sovietico, unità di polizia ausiliaria locale tra i Lituani, gli Estoni, i Lettoni e gli Ucraini. I comandanti furono ancora riuniti a Berlino prima dell’inizio dell’Operazione Barbarossa e ricevettero istruzioni orali da Himmler e da Heydrich; ne abbiamo testimonianza nella deposizione di Ohlendorf (Comandante delle Einsatzgruppen A) al processo di Norimberga contro i comandanti delle Einsatzgruppen, in cui dice che il loro compito era “l’eliminazione di Ebrei – uomini, donne e bambini – e di funzionari comunisti.”11e di Jäger, (comandante dell’Einsatzkommando 3 ) il quale testimoniò che nella riunione di Berlino Heydrich avrebbe dichiarato che bisognava fucilare gli ebrei orientali. “<Dovremo fucilare gli ebrei ?>(…) <Beninteso>, avrebbe risposto Heydrich”12 Solo ad operazioni avviate arrivarono direttive scritte sull’uccisione degli ebrei; agli inizi riguardanti gli uomini e in seguito anche riferite alle donne e ai bambini. Leggiamo ancora dalla deposizione di Otto Ohlendorf, il quale alla domanda sul perché venissero fucilati anche i bambini, gli anziani e le donne rispose: "Io credo che sia molto semplice da spiegare se si parte dal fatto che l'ordine ricevuto non solo

mirava a raggiungere un livello di sicurezza momentaneo (per la Germania) ma anche una

condizione di sicurezza permanente. Per questo motivo i bambini, che come tutti i bambini

crescendo sarebbero divenuti adulti, avrebbero sicuramente costituito, in quanto figli delle vittime,

un pericolo non meno grande quanto quello rappresentato dai loro genitori" 13

Le Einsatzgruppen erano divise i quattro unità con rispettive aree di competenza sul territorio sovietico:

1. Einsatzgruppen A impiegata nelle repubbliche baltiche ( che contava circa 990 uomini ed era il più importante numericamente), Comandante Stahlecker.

2. Einsatzgruppen B impiegata in Bielorussia e in direzione di Mosca, Comandante Nebe. 3. Einsatzgruppen C impiegata la zona a nord e al centro dell’Ucraina, Comandante Thomas. 4. Einsatzgruppen D impiegata in Ucraina meridionale, Crimea e Caucaso, Comandante

Ohlendorf. I quattro Comandanti erano tutti generali delle SS. Due o tre giorni dopo lo scoppio della guerra, i gruppi si misero in marcia. Essi seguivano da vicino l’esercito e quindi attraversarono velocemente le regioni occidentali dell’URSS.

10 R. Hilberg, op. cit., p. 309. 11 R. Hilberg, op. cit., p. 310. 12 R. Hilberg, op. cit., p. 310. 13 Processo del tribunale di Norimberga, interrogatorio di Ohlendorff, udienza del 13 ottobre 1947. http://www.olokaustos.org/guida/sterminare/einsatzgruppen/mobili4.htm e in Leon Poliakov, Il nazismo e lo sterminio

degli ebrei, Torino, Einaudi, 1967, p. 166.

Page 7: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

7

“Le eliminazioni caotiche”: così lo storico Poliakov definisce la prima fase dello sterminio ebraico in Unione Sovietica14. I metodi dello sterminio in URSS non avevano ancora assunto il livello di pianificazione industriale, come sarà in Polonia. Ma, malgrado le uccisioni fossero quasi sempre per fucilazione, i morti in Unione Sovietica raggiunsero una cifra enorme: gli storici parlano di un milione, un milione e mezzo di ebrei uccisi. E proprio perché l’assassinio di massa per fucilazione è molto più lento che in una camera a gas, questo ci dà il senso della dimensione del massacro. Gli ebrei venivano caricati su autocarri e portati nel posto prescelto, normalmente un terreno sabbioso (più indicato per scavare le fosse), oppure una fortezza chiusa (come a Kovno, protetti da alte mura). Sui bordi di un fossato, si procedeva alle fucilazioni come per le esecuzioni militari; sovente uccidevano con un colpo diretto alla nuca; a Rumbula, fuori Riga, fecero stendere a bocconi le vittime, ormai denudate, sui cadaveri e poi procedettero con un colpo alla nuca. Ci furono altri metodi di uccisone; si ebbero annegamenti collettivi, casi di gruppi di ebrei bruciati vivi. Nella primavera del 1942 arrivarono in Russia camere a gas ambulanti, allestite a Berlino, dalla sezione “Eutanasia” del progetto T4. Questi “autocarri a gas” erano macchine ancora molto rudimentali, e gli uomini dei Kommandos affermarono, nel corso dei processi a loro carico, che preferivano procedere con le fucilazioni. Il sistema prevedeva che i gas di scappamento fossero convogliati all’interno dei “Gaswagen”15 chiusi ermeticamente. Non sempre si riusciva a raggiungere l’obiettivo della morte per assopimento progressivo dovuto all’ossido di carbonio, e il più delle volte il tempo impegnato era molto lungo e i 50/60 prigionieri finivano per morire di soffocamento. Ma anche questo sistema presentava qualche difficoltà di ordine pratico e psicologico: “Gli uomini del Kommandos che scaricavano i cadaveri soffrivano di mal di testa, e se un autista spingeva un po’ troppo sull’acceleratore, il volto dei morti si sfigurava terribilmente e i corpi si ricoprivano di escrementi.”16 Questo nuovo sistema fu approntato per risolvere un altro problema, il delirio a cui erano sottoposti gli assassini; uccidere centinaia di persone al giorno comportava un peso psicologico (mai morale) insopportabile. Gli uomini erano sostenuti dall’alcool, vivevano in una dimensione di eccitamento continuo, erano progressivamente presi da deliri di onnipotenza. Tutto questo alla fine poteva comportare anche il rischio che queste truppe acquistassero un potere autonomo troppo alto rispetto ai comandi delle SS. Sovente il “lavoro sporco” era infatti svolto dalle truppe di polizia ausiliaria formata esclusivamente dai collaborazionisti locali. Un altro problema era legato alle esecuzioni di massa, che non sempre avvenivano in luoghi nascosti: potevano avere troppa pubblicità esterna e indurre, come successe, anche azioni individuali di uccisioni di ebrei da parte dei soldati, senza direttive né ordini. “Alcuni comandanti delle unità militari si accorsero con spavento che si poneva un altro problema: lo spettacolo dei massacri affascinava i loro uomini. (…) I soldati guardavano, fotografavano, raccontavano nelle loro lettere e parlavano. Le notizie si diffusero rapidamente nei territori occupati, e a poco a poco filtrarono anche in Germania.”17

14 Leon Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Torino, Einaudi, 1967, capitolo “Le eliminazioni caotiche”, da p. 165. 15 Sui “Gaswagen” vedere le testimonianze riportate in: E. Klee, W. Dreßen, V. Rieß, “Bei tempi” Lo sterminio degli

ebrei raccontato da chi l’ha eseguito e da chi stava a guardare, La Giuntina, Firenze, 1990, nel capitolo <La fatica di uccidere>, p. 58-62. 16 R. Hilberg, op. cit., p. 352. 17 R. Hilberg, op. cit., pp. 339.340.

Page 8: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

8

”Questa fotografia di un poliziotto sul punto di assassinare una madre ebrea che stringe a sé il figlio, mentre altre vittime si scavano da sole la fossa, fu trovata da un dipendente delle poste polacche nelle lettera di un soldato tedesco ai familiari. Sul retro c’era scritto: <Ucraina 1942, azione contro gli ebrei, Ivangorod.” 18

Hilberg riporta parte del rapporto (3 gennaio 1942) del comandante Rösler che assiste a uno dei massacri a Jitomir, vicino a Kiev. La vicinanza ad un luogo di esecuzione, fa avvicinare alcuni curiosi e lo stesso Rösler, richiamati dai colpi di fucile. “Intorno c’erano dei poliziotti con le uniformi sporche di sangue; alcuni soldati – taluni in costume da bagno – vi si erano radunati in gruppo; dei civili guardavano, compresi donne e bambini. (…)Rösler dichiarava di aver già visto nella sua vita un buon numero di spettacoli sgradevoli, ma quel massacro commesso in pubblico, come in un teatro all’aperto, era tutt’altra cosa. Era contrario alle tradizioni e all’educazione tedesche.”19 E’ un racconto raccapricciante perché le esecuzioni richiamano un “pubblico”, il sangue affascina e attrae, ma è agghiacciante che l’indignazione del comandante tedesco sia per l’educazione tedesca e non per le vittime. Uccidere sì, ma con ordine.

Unione Sovietica, 1941. Assassinio di civili in una regione imprecisabile (forse in Lituania). Sulla destra, la presenza di un gruppo di curiosi che assistono alla scena dell’esecuzione

18 Immagine e didascalia da Richard Rhodes, Gli specialisti della morte, Milano, Mondadori, 2005 19 R . Hilberg, op. cit., pp.340-341

Page 9: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

9

GLI EBREI IN RUSSIA

Quando i nazisti arrivarono sul territorio sovietico il numero di ebrei presenti era altissimo, il più alto d’Europa. Hilberg parla di cinque milioni di ebrei20, cifra elaborata da censimenti degli anni ’20 e ’30. Le percentuali andavano dal 20 fino al 60% della popolazione. Le più numerose comunità ebraiche erano quelle dell’Ucraina (1.533.000) e dei territori polacchi annessi in seguito al patto Molotov-Ribentroff (1.350.000). Nei Paesi Baltici erano 260.000, di cui 200.000 nella sola Lituania. Lo stanziamento degli ebrei nei territori dell’est aveva origini antiche ed era il frutto di progressive migrazioni. Gli ebrei dell’est originariamente non vivevano in Russia21 ma nei territori di confine tra Lituania, Polonia, Ucraina, Bielorussia, Russia Bianca, Ungheria e Romania. Vi erano arrivati spinti dalle persecuzioni dell’occidente europeo fin dalle stragi effettuate in Germania nel periodo della peste nera, e poi perchè chiamati dai granduchi di Lituania-Polonia a partire dal XVI secolo, per popolare vastissimi territori quasi disabitati. Sicuramente in parte di origine tedesca, (parlavano infatti lo yiddish, lingua germanica), ma anche (secondo alcuni storici) discendenti dei Cazari22, essi vivevano soprattutto nelle campagne ed erano affittuari e gestori delle terre signorili, intermediari fra la nobiltà e i servi. Nel XVIII secolo gli ebrei dei territori polacchi e lituani erano un milione, molto più numerosi di quelli dell'Europa occidentale. Con la fine della Confederazione Polacco-Lituana, del 1772-75, la Russia imperiale incamerò, insieme ai vasti territori occidentali, il consistente numero di ebrei askhenazim 23

che vi abitavano. Per salvaguardare il santo popolo russo dalla contaminazione ebraica, Caterina II creò una vasta

“zona di residenza” dove potevano vivere gli ebrei, una fascia territoriale larga da 200 a 400 km che si estendeva da nord a sud, all’incirca dall’altezza di Kovno fino ad Odessa, dal mar Baltico al mar Nero. Solo con deroghe speciali gli ebrei potevano risiedere nelle grandi città imperiali come Mosca e Pietroburgo. Gli ebrei vivevano in condizione di isolamento, con una limitata libertà di spostamento. Tipico di questi territori era lo shtetl, in yiddish “piccola città”24. Vita nello shtetl di Lyuboml' presso Kovel, in Volinia, intorno al 1900.

20 R. Hilberg, op. cit., pp. 312-313. 21 “Lo zar Ivan IV, <Ivan il Terribile> (1530-84) ordinò che gli ebrei che rifiutavano di abbracciare il cristianesimo venissero annegati e gli ebrei furono ufficialmente esclusi dal territorio russo fino alla spartizione della Polonia intorno alla fine del XVIII secolo” da: Paul Johnson, Storia degli ebrei, TEA, Milano 2006, p. 280. 22 I Cazari erano un popolo stanziato tra il Caucaso e il Volga, in una posizione strategica per il Medio Oriente, tra il VI e XII sec. Il regno dei cazari adottò ufficialmente la religione ebraica come religione di stato nell’anno 740. (vedi: Paul Johnson, Storia degli ebrei, TEA, Milano 2006, p.279.) 23 Askhenazim, da Askhenaz, il nome ebraico di Germania. 24 Shtetl , comunità ebraica autonoma tipica delle campagne dell'Europa orientale, con una popolazione variante tra i 1.000 e i 20.000 abitanti, in massima parte ebrei. Il modello dello shtetl cominciò a svilupparsi verso il sedicesimo secolo in Polonia e in Lituania, assumendo subito il carattere di "insediamento ebraico". Tra gli ebrei dello shtetl e gli abitanti delle campagne circostanti e delle città vicine esisteva una sorta di interazione economica. Gli ebrei svolgevano attività di commercianti e artigiani, utili ai cristiani, e questi ultimi rifornivano i mercati cittadini con il bestiame e i prodotti della terra di cui gli ebrei erano sprovvisti. La comunità chiusa dello shtetl aveva favorito la continuità del giudaismo ortodosso, che nel corso dei secoli non aveva subito mutamenti di rilievo

Page 10: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

10

Agli ebrei era vietato possedere terre, perciò si dedicavano all’artigianato e al piccolo commercio, le attività più frequenti erano quelle di calzolaio, sarto, bottegaio, venditore ambulante, locandiere. Nelle città vivevano in quartieri chiusi, poco integrati nella vita cittadina, tendevano a mantenere le loro usanze e tradizioni culturali-religiose, si sposavano tra ebrei, avevano le loro scuole, parlavano un’altra lingua. Si distinguevano dalla popolazione circostante anche per la foggia degli abiti e per il comportamento, dettato dalla scrupolosa osservanza della tradizione. Nelle città più grandi, nel corso del ‘900, si assistette ad una volontà di integrazione e di modernizzazione soprattutto da parte delle giovani generazioni, desiderose di riscattarsi dal duro e semplice lavori dei padri e di uscire dalla cultura degli shtetlech, dove si conservava un modo di vita fuori dal tempo. A questo desiderio di emancipazione dalla tradizione e di modernizzazione, rispondeva l’insegnamento della Haskalah

25, la corrente illuministica del pensiero ebraico nata in Germania e

arrivata nell’Europa orientale nel corso del XIX secolo.

L’ ANTISEMITISMO IN RUSSIA

In Russia come in Polonia la grande massa di ebrei non aveva diritti di piena cittadinanza, la loro condizione era rimasta quella del medioevo in Occidente; nell’Europa occidentale la Rivoluzione francese aveva aperto le porte alla libertà di pensiero e di religione e in seguito ad essa gli ebrei avevano ottenuto nel tempo l’uguaglianza di diritti come individui, integrandosi a pieno titolo come cittadini. In Russia, con Alessandro II (lo zar dell’abolizione della servitù della gleba) la situazione degli ebrei migliorò e, anche se non raggiunsero le libertà conquistate nell’Europa occidentale, essi ottennero una maggiore possibilità di movimento al di fuori della Zona di residenza, e le riforme migliorarono le condizioni sociali della piccola minoranza di ebrei di ceto medio, soprattutto quelli aderenti alle corporazioni dei mercanti. A Pietroburgo, un’influente famiglia della comunità ebraica, (i Gincburg), costruì la prima sinagoga della città e fondò una banca, e altre famiglie raggiunsero posizioni di rilievo nella capitale. Benché i benefici di Alessandro II toccassero solo un numero limitato di persone, negli anni ’70 dell’Ottocento gli ebrei russi intravidero la possibilità di una maggiore libertà e autonomia culturale religiosa. Malgrado ciò, nella Pasqua del 1874, alimentato da vecchi stereotipi antigiudaici26, scoppiò ad Odessa il primo pogrom che rappresentò una sorta di preambolo ad una serie di moti antiebraici che caratterizzarono gli ultimi decenni dell’800 e i primi del ‘900. I pogrom contro gli ebrei si scatenarono con l’assassinio di Alessandro II nel 1881; agli ebrei venne attribuita la responsabilità dell’attentato, anche se di fatto essi non avevano alcuna ragione di eliminare lo zar, che in qualche modo aveva protetto i loro diritti. Nel 1882 vennero emanate le “leggi di maggio” che inasprivano le vecchie norme sulle zone di residenza; fu imposto agli ebrei di vivere nei ghetti, fu tolto loro qualsiasi possibilità di lavorare nei settori agricoli, vennero espulsi dai loro villaggi, e furono decise leggi molto restrittive sulla possibilità dei ragazzi ebrei di frequentare le scuole. Quest’ultima decisione tolse alla gioventù

25 La corrente dell’illuminismo ebraico “Haskalah”, sorse in Germania nel XVIII sec. per merito di Moses Mendelssohn, amico e collaboratore di Lessing. Gli illuministi ebrei erano fautori di un incontro della cultura ebraica con la modernità e a questo scopo proponevano riforme del sistema scolastico e cercavano di modernizzare l’ebraico, criticando l’uso dello yiddish, considerato un volgare dialetto. Su Mendelssohn vedi: Paul Johnson, Storia degli ebrei, TEA, Milano, 2006, p.335 e seguenti. 26 Le accuse più frequenti contro gli ebrei erano quelle comuni anche all’antigiudaesimo cristiano, e cioè di avere assassinato Cristo, di avvelenare i pozzi, di uccidere ritualmente bambini cristiani per impastare il pane azzimo con il loro sangue (“Accisa del sangue”), e di profanare l’ostia consacrata.

Page 11: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

11

ebraica anche la minima prospettiva di promozione sociale. Negli anni ’90 migliaia di ebrei vennero espulsi dalle grandi città: più di 10.000 vennero cacciati da Mosca nel 1891. Di fronte all’aggravarsi dell'antisemitismo, gli ebrei non solo andarono a ingrossare le file dei maggiori gruppi politici d'opposizione, ma fondarono un proprio partito, il Bund27, che per primo in Russia difese energicamente gli interessi e i diritti di larghe masse di diseredati. La salvezza per molti fu la fuga: si trattò una vera e propria diaspora, ancora più consistente di quella spagnola del XVI secolo. E’ stato calcolato che un milione e mezzo di ebrei fuggì dalla Russia nei tre decenni tra il 1881 e il 1910: le comunità ebraiche nelle città dell’Europa occidentale si decuplicarono e solo nella città di New York gli ebrei passarono da 15.000 a 600.000. Nel 1903 un altro massacro di ebrei fu effettuato nella città di Kišhinev28 in Bessarabia (Moldavia). Dopo la sconfitta della Russia nella guerra contro il Giappone nel 1905, e in seguito al fallimento della rivoluzione di quell’anno, circa seicento villaggi e città subirono un’ondata di pogrom: migliaia di ebrei furono massacrati e le loro proprietà saccheggiate e distrutte. In apparenza, questi pogrom sembravano reazioni spontanee di cristiani contro le pratiche religiose ebraiche; invece i pogrom furono deliberatamente organizzati dal governo zarista per incanalare il malcontento dei lavoratori salariati e dei contadini, dovuto alle condizioni politiche ed economiche, deviandolo sull'intolleranza religiosa e sull'odio etnico. Durante la guerra civile che seguì alla Rivoluzione bolscevica del 1917, i pogrom, che provocarono centinaia di migliaia di vittime, furono organizzati in Ucraina dai capi delle Armate bianche, nei reparti guidate dai cosacchi29. Gli ebrei erano indicati come inventori del bolscevismo e come responsabili della guerra e della fame. Si calcola che negli anni 1918-19 siano stati uccisi 50.000 ebrei30. Nel 1903 veniva pubblicato per la prima volta in Russia un testo fondamentale per la crescita e la fomentazione ideologica contro gli ebrei: I protocolli dei Savi di Sion.

Con questo testo l’antisemitismo russo si andava ad unire ideologicamente all’antisemitismo crescente anche nell’Europa occidentale, e in entrambi i casi all’ebreo si addossavano le colpe di ogni rivoluzione e di improbabili complotti per prendere il controllo del mondo. Il testo che era stato costruito copiando da libri minori usciti nell’Ottocento (addirittura da un libello antibonapartista in cui si sostenevano le trame di Napoleone III per prendere il possesso dell’Europa), iniziò a circolare dopo la rivoluzione russa del 190531.

27 Il Bund o ”Unione generale dei lavoratori di Lituania, Polonia e Russia” di ispirazione socialista, si batteva per i problemi dei lavoratori ebrei (segregazione, oppressione, persecuzioni). Come gruppo politico partecipò alla rivoluzione del 1905 e del 1917. Dopo la vittoria bolscevica i gruppi più importanti del Bund aderirono alla Sezione ebraica del Partito comunista Sovietico. 28 Al massacro di Kishinev è dedicato Nella città del massacro, uno dei testi più intensi di Chaim Nachman Bialik, padre della moderna letteratura ebraica. Fu scritto in seguito agli sconvolgenti fatti di Kishinev in Bessarabia (1903), primo grande 'pogrom' avvenuto con l'esplicito appoggio dell'apparato politico e militare zarista. Bialik fu inviato dalla Commissione Storica Ebraica di Odessa nella cittadina di Kishinev per stilare un rapporto sulle atrocità commesse. Bialik sconvolto da quanto vide e dalle testimonianze dei sopravvissuti, scrisse uno dei poemi più alti e drammatici sulla tragedia del suo popolo. La città del massacro segnò anche la nascita di una nuova volontà di riscatto e la necessità di una autodifesa ebraica che si diffuse nel nascente movimento sionista. Chaim Nachman Bialik, La città del massacro, Il melangolo, Genova, 1992. 29 “Nel febbraio del 1919, nel pogrom di Proskurov, (oggi Hmelnicki), in Ucraina, durante un pomeriggio dello Shabbath 300 cosacchi uccisero in quasi tre ore quasi 1500 ebrei che si trovavano nelle loro case, poi si spostarono verso i villaggi vicini al fine di perpetrare ulteriori massacri contro una popolazione che si riteneva avesse appoggiato i bolscevichi. Nel 1919 anche in Polonia si contavano già 106 pogrom, concentrati soprattutto in Galizia, ma anche nella città di Lodz” AAVV, Storia della Shoah, UTET, Torino, 2005, vol. 1, pp. 404-405. 30 Marco Buttino, “La memoria negata: la shoah in territorio sovietico” in I viaggi di Erodoto, settembre-novembre 1998, p. 78 31 Per la complessa storia dei Protocolli dei savi di Sion: Sergio Romano, I falsi protocolli. Il “complotto ebraico” dalla

Russia di Nicola II a oggi, TEA, Milano, 1995.

Page 12: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

12

I Protocolli ebbero poi una grande fortuna in tutta l’Europa, soprattutto dopo la Prima guerra mondiale, quando l’Europa, stremata dalla guerra, aveva bisogno di trovare il “grande burattinaio”che avesse pianificato gli ultimi avvenimenti che avevano sconvolto l’Europa. La guerra, il crollo di tre Imperi, la rivoluzione bolscevica, il massacro della famiglia imperiale russa a Ekaterinenburg, furono avvenimenti che venivano a confermare il complotto dei Savi che stavano prendendo il possesso del mondo.

GLI EBREI E L’UNIONE SOVIETICA La situazione degli ebrei in Russia cambiò in seguito alla rivoluzione bolscevica, quando sorse un nuovo stato ateo in cui tutte le religioni erano condannate e di fatto abolite. Si creò una sorta di protezione per gli ebrei laicizzati che dovevano essere assimilati al nuovo Stato: venne proibito l’insegnamento della lingua ebraica, le sinagoghe furono chiuse (come le chiese e le moschee) fu però concesso l’insegnamento dello yiddish. Nacquero le “sezioni ebraiche” del Partito Comunista, costituite da ebrei sostenitori del marxismo, per sradicare il giudaesimo e qualunque “residuo borghese” dalla tradizione ebraica dello shtetl. Gli ebrei ebbero la possibilità di accedere alle Università senza essere schiacciati dai pregiudizi, e di ottenere posizioni lavorative in base ai loro meriti. Gli ebrei erano il gruppo più acculturato dell’Unione Sovietica: mentre solo il 5% della popolazione sovietica era iscritto all’università, un terzo degli ebrei aveva fatto studi universitari32. Il processo di “assimilazione” fu molto rapido e l’integrazione produsse un notevole spostamento degli ebrei nelle città e nelle capitali, Mosca e Leningrado. Con Stalin la situazione degli ebrei peggiorò in quanto essi subirono, come tutta la popolazione sovietica, le restrizioni e le persecuzioni politiche; negli anni ’30 la campagna contro le religioni (tra cui il giudaesimo) e contro le minoranze, culminò in arresti ed esecuzioni di massa. La politica di russificazione di Stalin che voleva mettere la Russia, tra tutte le repubbliche sovietiche, al centro dello stato, comportò un forte processo di emarginazione degli ebrei, considerati una minoranza. Fu intensificato l’allontanamento degli ebrei da tutti i posti chiave del potere e Stalin ordinò provvedimenti più gravi contro personaggi ebrei di rilievo33. Degna di nota è la decisione di Stalin di “concedere” agli ebrei un territorio proprio nella lontanissima Asia, vicino al Pacifico, sulla linea della Transiberiana, nella regione del Birobidžan al confine sudoccidentale con la Cina: la scelta voleva rispondere alla tendenze sioniste di un territorio ebraico e soprattutto voleva utilizzare manodopera ebraica in una delle aree più depresse del territorio sovietico34. Circa 8.000 persone arriveranno ai confini della Cina per costruire una colonia di lingua yiddish; fu la loro salvezza, perché scamparono alla furia nazista35. Le politiche sovietiche ebbero il vantaggio di migliorare la posizione degli ebrei senza tagliare però alla base l’antisemitismo popolare che continuò ad esistere ed anzi si alimentò di invidie e luoghi comuni sulle posizioni acquisite dagli ebrei in posti importanti dell’amministrazione statale. “Il sostegno degli ebrei al regime sovietico è in realtà una questione su cui gli storici hanno ancora molto da indagare. Probabilmente non sbaglia chi sottolinea che la partecipazione attiva degli ebrei

32 “Nel 1939 era ebreo il 70% dei dentisti, il 59% dei farmacisti, il 45% dei difensori di Leningrado; in Ucraina gli ebrei erano il 33% di tutti i professori universitari e ancora il 33% degli scrittori della delegazione di Mosca al primo Congresso degli scrittori sovietici, nel 1934.” Storia della Shoah, op.cit., p. 418. 33 Nel 1939 “Stalin silurò il suo ministro degli esteri. Maksim Litvinov, un ebreo, e lo sostituì con un russo non ebreo, Vjaceslaw Molotov, la cui servile obbedienza non vacillò neppure quando Stalin gli fece arrestare la moglie, anch’essa ebrea, e la internò in un gulag.” Dizionario dell’olocausto, p.663. 34 Storia della Shoah,op. cit., p. 417. 35 Tiziano Terzani nel suo viaggio in Unione Sovietica nel 1991, ha raggiunto Birobidžan e ha descritto la piccola cittadina con le scritte in ebraico inserita in un paesaggio di mosche e zanzare, dimenticato dal mondo. Gli 8.400 ebrei che rimangono, hanno un giornale, una sinagoga, una scuola ebraica; un’immagine di un rabbino, custode dell’unica Torà, è il simbolo di questa desolazione. Tizano Terzani, Buonanotte signor Lenin, Milano, TEA, 2004, p.74-76.

Page 13: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

13

alle istituzioni sovietiche fu frutto di contraddizioni nelle comunità e che l’immagine degli ebrei principali alleati dei comunisti nacque dal fatto che la loro visibilità in posti di comando, indipendentemente dal loro numero, costituiva uno scandalo ed era sentita come offesa dal resto della popolazione.”36

L’INVASIONE NAZISTA

In seguito al patto Molotov-Ribbentrop37, la Germania e l’Unione Sovietica, nel 1939, si spartirono una buona fetta di territori dell’Europa orientale, a partire dalla Polonia fino ai paesi baltici. La Polonia fu aggredita dai tedeschi da ovest, il 1° settembre, e dai sovietici da est, il 17 dello stesso mese. Le tre Repubbliche baltiche furono costrette, il 28 settembre, a firmare un cosiddetto «Patto di assistenza e mutua difesa», che permetteva all'Unione Sovietica di far «stazionare» delle truppe nel loro territorio. I tre paesi, il 15 giugno del 1940, vennero definitivamente occupati; il 3 agosto la Lituania venne annessa nell’Unione Sovietica come XIV repubblica socialista e pochi giorni dopo la stessa sorte toccò alla Lettonia e all’Estonia. La Finlandia fu invasa da Stalin il 30 novembre. Che cosa successe nei paesi Baltici nei due anni di dominazione sovietica, prima dell’invasione tedesca? E’ questa una domanda fondamentale per capire a fondo l’odio nei confronti degli ebrei che si scatenò nei primissimi giorni dell’invasione tedesca, con una serie di massacri “spontanei” nelle maggiori città, da parte della popolazione locale. “All’occupazione sovietica di queste regioni dell’Europa orientale, nell’autunno del 1939 e nell’estate 1941, seguì la loro brutale sovietizzazione. I nuovi dominatori applicarono nelle regioni occupate una strategia del terrore senza precedenti. Allo scopo di consolidare il loro proprio potere, essi strumentalizzarono le tensioni etniche e sociali preesistenti. Considerando la sua durata temporale relativamente breve, nelle terre annesse l’occupazione sovietica ebbe conseguenze devastanti: migliaia di persone furono deportate, imprigionate e assassinate. Le vittime furono polacchi, ucraini, lituani, lettoni, estoni, bielorussi e rumeni. La logica conseguenza di ciò fu la paura e l’odio nei confronti degli invasori sovietici e dei loro collaboratori.”38 Il terrore sovietico si scatenò su tutti gli attivisti dei partiti diversi da quello comunista e andò crescendo con deportazioni sempre più massicce anche della popolazione comune. Nelle ultime settimane prima dell’arrivo dei tedeschi, le retate e le deportazioni si fecero sempre più consistenti, con interi treni che partivano carichi di prigionieri verso le regioni orientali della Russia. Grigorij Sur, all’inizio del suo diario, annota l’ondata di violenza e di terrore con queste parole: “Sullo stato d’animo della popolazione influì sensibilmente la deportazione di un grandissimo numero di persone nelle zone orientali dell’Unione Sovietica. Otto giorni prima dell’inizio delle operazioni militari, precisamente il 13 giugno 1941, in tutti i paesi baltici, Lituania, Estonia, Lettonia, (…) si effettuarono massicci arresti e deportazioni di quanti venivano dichiarati elementi indesiderati per il potere sovietico. Il terrore dilagò fra le popolazioni di quei paesi. Notte e giorno, per un’intera settimana, persone vennero arrestate nelle città e nei villaggi e portate alle stazioni ferroviarie, dove le caricavano su vagoni merci, già allestiti in precedenza. Lunghi convogli colmi di deportati – in alcuni vagoni stavano le donne con i figli, in altri gli uomini – avanzavano lungo le

36Marco Buttino, “La memoria negata: la shoah in territorio sovietico” in I viaggi di Erodoto, settembre-novembre 1998, p. 80. 37 Con il Patto Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939, la Germania e l'Unione Sovietica si impegnavano reciprocamente a non compiere azioni ostili l'una nei confronti dell'altra, né a prendere parte a coalizioni di potenze dirette contro una di loro, e a dirimere eventuali controversie tramite consultazioni sulle questioni di comune interesse. Al trattato era accluso un protocollo segreto, che ne rappresentava il vero e proprio cuore e che sanciva la divisione dell'Europa centro-orientale in «sfere di influenza». In sostanza, i due totalitarismi si spartivano la Polonia (la parte occidentale ai tedeschi, quella orientale ai sovietici) e si lasciava alle truppe di Stalin mano libera in Finlandia, in Lettonia, Lituania, Estonia e Bessarabia. Fu proprio la distruzione degli Stati «barriera» tra Germania e Urss, e cioè la Polonia e i Paesi baltici, a dare inizio alla seconda guerra mondiale. 38 Storia della Shoah, op. cit., p.656.

Page 14: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

14

ferrovie baltiche o sostavano per ore nelle principali stazioni. I vagoni erano sbarrati da assi inchiodate a forma di croce, da una piccola apertura quadrata, ricavata nella parte bassa della porta, defluivano i rifiuti. Era un’estate caldissima.”39 La situazione della numerosa popolazione ebraica delle zone occupate fu estremamente precaria: una parte di essa, la élite intellettuale e borghese, venne deportata insieme alla popolazione locale perché considerata capitalista. La repressione maggiore colpì soprattutto i sionisti e i socialisti legati al partito Bund, già perseguitati nell’Unione Sovietica da Stalin. Ma la maggior parte dei gruppi ebraici ebbe una maggiore libertà. Gli ebrei potevano infatti contare sull’abolizione delle discriminazioni antisemite e sull’accesso alla pubblica amministrazione. Per la popolazione sottoposta alla sovietizzazione forzata della società e alle dure repressioni e deportazioni, anche il minimo miglioramento della situazione degli ebrei fu un motivo in più di odio che si aggiungeva ai tradizionali pregiudizi antisemiti perché il giudeo veniva legato all’odiato invasore comunista; ed inoltre con le nuove agevolazioni sociali concesse agli ebrei alimentavano motivi di invidia e violenti sentimenti di vendetta. Per i partigiani lituani o lettoni che combattevano contro il nemico sovietico che aveva sottratto loro l’indipendenza politica, l’ebreo era il complice della tirannia comunista. Nel 1941 la Germania scatenò, con l’Operazione Barbarossa40, l’invasione dell’Unione Sovietica. Quando, nel giro di pochi giorni l’esercito tedesco entrò nelle città dei paesi Baltici e dell’Ucraina, trovò una situazione particolarmente favorevole per un esercito occupante: gran parte della popolazione salutava il nuovo invasore come il liberatore dall’oppressione comunista. Annota ancora Sur: “A molti i tedeschi apparvero effettivi o possibili salvatori da una possibile deportazione; senza sforzo alcuno i tedeschi si acquistarono dei nuovi amici e, in breve, degli zelanti esecutori delle azioni da loro intraprese.”41

Le truppe tedesche entrano in Kaunas

39 Grigorij Sur, Gli ebrei di Vilna: una cronaca dal ghetto. 1941-1944, Giuntina 2002, p. 31,32. 40 L’ “Operazione Barbarossa” è il nome in codice dato dai tedeschi all'operazione militare che sfociò il 22 giugno 1941 nell'attacco all'Unione Sovietica, sferrato senza preventiva dichiarazione di guerra. L'obiettivo di Hitler non era solo quello di annullare un potenziale avversario, ma mirava ad annientare l'Unione Sovietica, a distruggere ogni traccia del comunismo e ad assoggettare le popolazioni slave dell'Est. Nell'attacco furono impiegate 150 divisioni, equivalenti a circa tre milioni di soldati, con 10.000 carri armati e 3000 aerei, che avanzarono lungo tre direttrici, per occupare l'Ucraina e dirigersi verso le maggiori città, Mosca e Leningrado. 41 Grigorij Sur, Gli ebrei di Vilna: una cronaca dal ghetto. 1941-1944, Giuntina 2002, p.32.

Page 15: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

15

Reparti tedeschi entrano a Kovno, accolti con entusiasmo dalla popolazione lituana. Nei primissimi giorni dell’occupazione nazista, si scatenò sugli ebrei la vendetta sanguinosa delle popolazioni locali. La volontà di sterminio portata dai nazisti si incontrò fin da subito con un contesto sociale disposto a permettere l’attuazione dello sterminio. “L’identificazione, la cattura, l’uccisione degli ebrei furono possibili grazie alla

partecipazione attiva di gente del posto e a un clima di diffuso antisemitismo. Vi fu chi collaborò attivamente con i nazisti, mostrando pari crudeltà e violenza, e vi fu una grande ed eterogenea “zona grigia” di compromissioni. Un antisemitismo dall’alto incontrò dunque un contesto di “antisemitismo sociale”.”42

Manifesto antisemita del giugno 1941, prodotto dai nazisti per ottenere il sostegno della popolazione lituana. Le scritte più in grande dicono: “Gli ebrei - Il tuo eterno nemico” “Stalin e gli ebrei - unica banda criminale”. Dice Sur: “Un osservatore avrebbe potuto facilmente notare la crescita di sentimenti antisemiti nei paesi baltici già nel 1941. Benché allora fosse in atto la dominazione sovietica, per molti non era un mistero la presenza di organizzazioni – camuffate – di nazionalisti e di simpatizzanti per il nazionalsocialismo.”43 Infatti quando la Lituania era diventata sovietica, “molti dei dirigenti politici erano fuggiti in Germania e qui avevano creato il Fronte Attivista Lituano. Il Fronte, che aveva orientamenti politici nazionalisti, anticomunisti e antisemiti, svolse attività di propaganda e organizzò gruppi armati clandestini in territorio lituano.”44 I nazisti diedero una forte spinta a questa prima spontanea ondata di violenza; prima e durante l’invasione fu organizzata una poderosa macchina di propaganda contro gli

ebrei, equiparati ai comunisti, attraverso radio, cinema e giornali filonazisti. “Nei volantini lanciati dagli aeroplani tedeschi, e indirizzati a soldati e ufficiali dell’Armata rossa, si descriveva Stalin come un tiranno e gli ebrei come i suoi principali sostenitori, che si ingrassavano a spese della Russia affamata”45

42 Marco Buttino, “La memoria negata: la shoah in territorio sovietico” in I viaggi di Erodoto, settembre-novembre 1998, p. 77. 43 Grigorij Sur, op. cit., p. 33. 44 Marco Buttino, “La memoria negata: la shoah in territorio sovietico” in I viaggi di Erodoto, settembre-novembre 1998, p. 80. 45 Antonella Salomoni, L’Unione Sovietica e la Shoah, Il Mulino, Bologna, 2007, p.60.

Page 16: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

16

Nell’estate del 1941 i tedeschi stampavano, nei territori occupati, numerose testate nelle lingue locali, su cui ritornava martellante la propaganda contro l’ebreo comunista. “Nei territori invasi, si pubblicavano dai duecento ai quattrocento giornali con l’unico scopo di creare un fronte unito di lotta contro il giudeo-bolscevismo.”46 L’idea del complotto ebraico per il controllo sul mondo, che risaliva alla pubblicazione dei Protocolli dei Savi di Sion, aveva avuto vasta diffusione nell’Europa occidentale e nei territori orientali dove, in seguito alla rivoluzione bolscevica dell’ottobre 1917, ci si spiegò, come una profezia che si avverava, la caduta dell’impero zarista come una mossa strategica degli ebrei e dei comunisti. Niente di strano, quindi, se nei paesi occupati dall’Unione Sovietica nel 1939 ebbe rapida diffusione l’idea che gli ebrei avessero favorito la conquista della madre patria da parte dei comunisti. Questa premessa è stata necessaria per cercare di capire i motivi delle violenze inaudite e spontanee che si scatenarono sugli ebrei da parte delle popolazioni locali. E’ questo un capitolo dolorosissimo e quasi incomprensibile per noi occidentali che non abbiamo conosciuto tali livelli di odio e di violenza da parte della popolazione civile nei confronti degli ebrei. Non vogliamo qui fare una graduatoria della violenza che pesa sulle coscienze dei popoli, non vogliamo qui togliere nulla alle colpe infamanti di cui si macchiarono tanti Italiani dopo le leggi razziali del 1938, e delle tante delazioni di chi “vendeva” un ebreo per mille lire, e della solerte collaborazione dei fascisti nella deportazione verso lo sterminio. Ma colpiscono allo stomaco le fotografie dei massacri spontanei per le vie di Vilnius o Kovno, dove gli ebrei venivano ammazzati a randellate in testa, come topi di fogna, tra gli applausi della gente. C’è un libro che testimonia questo orrore inaudito, con documenti e fotografie: è uscito in Germania nel 1988 ed è stato pubblicato in Italia nel 1990, da Giuntina. Gli autori sono tedeschi: Willi Dreßen è procuratore di Stato e lavora sui crimini nazisti; Ernst Klee è professore di pedagogia e si è occupato di eutanasia; Volker Rieß è uno storico. “Bei tempi” Lo sterminio degli ebrei raccontato da chi l’ha eseguito e da chi stava a guardare, è un libro impressionante perché presenta documenti senza commenti e foto di una crudeltà inaudita: uomini comuni che eseguono il loro lavoro di massacro con il “sorriso sulle labbra”, incitati dagli spettatori, e che poi fotografano e si fanno fotografare soddisfatti del loro “lavoro”. Non è facile muoversi tra le varie situazioni verificatesi in città e luoghi diversi, ma all’incirca possiamo schematizzare il collaborazionismo in queste fasi: 1° fase: pogrom spontanei. 2° fase: prime truppe ausiliarie organizzate impiegate per funzioni locali 3° fase: reclutamento sistematico e formazione di truppe ausiliarie straniere impiegate anche fuori dei territori di origine. Mano a mano che i tedeschi si avvicinavano, i nazionalisti e i partigiani inseguivano i sovietici attaccandone le retroguardie; in alcune città avevano già conquistato le stazioni radio e preso posizione nei luoghi di potere. Ai comandi nazisti questo non stava bene perché non gradivano intrusioni nei combattimenti contro i Sovietici e si doveva evitare che i movimenti nazionalisti diventassero potenti, tanto da rivendicare l’indipendenza. Si procedette fin da subito ad incanalare l’azione contro un altro obiettivo, la caccia all’ebreo. I Tedeschi volevano che il massacro degli ebrei apparisse inizialmente come frutto di azioni autonome dei locali. Testimoniamo alcuni di questi agghiaccianti episodi. 46 Antonella Salomoni, L’Unione Sovietica e la Shoah, op. cit. p.60.

Page 17: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

17

“Subito dopo l’ingresso in città delle prime unità tedesche, i cosiddetti < attivisti> lituani, molti dei quali avevano ricoperto posti importanti sotto la dominazione sovietica, iniziarono la caccia a bolscevichi ed ebrei. Gli <attivisti> apparivano ben organizzati, sulla manica portavano un bracciale con la svastica. Per le vie della città e alla stazione bastonavano e arrestavano a loro arbitrio, a volte fucilando senza processo o istruttoria.” “In poche ore in quel giardino vennero uccise alcune decine di persone. I corpi rimasero a terra perché non si permise di rimuoverli. Data la giornata caldissima, ben presto dal giardino si levò un tremendo fetore. Accorsero i pompieri che irrorarono d’acqua i cadaveri già in via di decomposizione. Per tutto il giorno persone vestite a festa, soprattutto donne polacche e lituane, vennero a vedere i morti, come per un attraente spettacolo. Il <pubblico> espresse in tutti i modi la sua soddisfazione, facendo a gara a insultare bolscevichi ed ebrei.”47 Queste sono ancora le parole di Grigorij Sur che racconta da osservatore “interno”, in quanto ebreo lituano, la situazione a Vilna il 24 giugno 1941, lo stesso giorno in cui entrano in città i tedeschi. Un altro osservatore che potremmo definire “esterno” in quanto soldato tedesco con mansioni di fotografo, da poco entrato nella città di Kovno racconta nel suo rapporto: “Nel pomeriggio [si tratta del 25 giugno], in prossimità del mio alloggiamento notai un assembramento di persone nel cortile di una stazione di servizio recintato da tre lati e sbarrato verso la strada da un muro di folla. Mi trovai così davanti al seguente spettacolo: nell’angolo sinistro del cortile c’era un gruppo di uomini di età tra i 30 e i 50 anni. Saranno state circa 45-50 persone che venivano tenute riunite e sotto tiro da alcuni civili. Questi erano armati di fucili e portavano dei bracciali, quali compaiono nelle foto che scattai allora. Un giovane – doveva trattarsi di un lituano- […] con le maniche della camicia rimboccate era munito di una sbarra di ferro. Di volta in volta faceva uscire dal gruppo un uomo e con la sbarra gli assestava uno o più colpi sulla nuca. In questo modo, in tre quarti d’ora ha eliminato l’intero gruppo di 45-50 persone. Di queste persone ho scattato una serie di foto […]. Dopo che tutti furono uccisi, il giovane mise da parte la sbarra, prese una fisarmonica, si sistemò sul mucchio dei cadaveri e suonò l’inno nazionale lituano. (…) Il comportamento dei civili presenti (donne e bambini) aveva dell’incredibile perché dopo ogni uccisione cominciavano a battere le mani e all’inizio dell’inno nazionale si misero a cantare e ad applaudire. In prima fila c’erano delle donne con in braccio bambini piccoli che hanno assistito a tutto dall’inizio alla fine.”48 Entrambe le testimonianze sono agghiaccianti non solo per la maniera in cui si uccideva, come topi, gli ebrei, ma soprattutto per lo spettacolo a cui partecipavano donne e bambini. Che cosa avranno ricordato da grandi questi bambini? Il fotografo si dice “incredulo” e gli altri testimoni tedeschi di episodi simili successi a Kovno, usano parole come: modo di uccidere “così crudele”; “ho assistito all’uccisione di un gruppo di condannati, poi me ne sono dovuto andare perché non riuscivo più a stare a guardare. Questo modo di procedere mi sembrò estremamente crudele e brutale”; oppure “non riuscivo a capacitarmi della cosa”. Sono soldati tedeschi che scrivono queste parole nei loro rapporti. Che cosa possiamo dire noi? Quasi tutti i testimoni dei massacri spontanei di Kovno hanno potuto scattare fotografie. E questo è per noi l’orrore nell’orrore. Perché si vedono i visi, il compiacimento degli assassini e il terrore sbalordito delle vittime condotte al macello. Ne riproduciamo alcune.

47 Grigorij Sur, op. cit., p. 36. 48 Si tratta della testimonianza del fotografo Gunsilius dell’11 aprile 1958: 207 AR-Z 14/58, foglio 133 sgg. In: E. Klee, W. Dreßen, V. Rieß, “Bei tempi” Lo sterminio degli ebrei raccontato da chi l’ha eseguito e da chi stava a guardare, La Giuntina, Firenze, 1990, p. 28 e p. 215 (per riferimenti al documento).

Page 18: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

18

Il 25 giugno 1941, a Kovno nell'autorimessa della prospettiva Vytauto vengono riuniti circa 50 ebrei. I nazionalisti lituani di fronte alla folla di cittadini e di tedeschi iniziarono a dileggiarli e a colpirli con spranghe e badili.

Gli aguzzini innaffiano con una pompa gli ebrei; il tubo dell'acqua verrà infilato in gola ad alcuni di questi uomini fino a farli morire.

Di fronte al pubblico sul piazzale del garage i lituani iniziano a uccidere a bastonate gli ebrei.

Uomini, donne, bambini e soldati tedeschi assistono al massacro e all'accanirsi sugli ebrei agonizzanti. Novosti Press, Moscow

Page 19: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

19

Ebrei morenti, le teste fracassate a colpi di bastone. La folla si accalca per vedere la strage. Sulla destra un uomo alza un lungo bastone per calarlo con tutta la sua forza su uno dei moribondi.

“Ho chiesto chi erano gli uomini che li percuotevano. Pareva che si trattasse di partigiani lettoni. Non riuscivo a capacitarmi della cosa. Le persone che stavano tutt’attorno a fare da sbarramento indossavano dei bracciali ed erano armati di carabine. Il luogo era attorniato da curiosi che facevano parte della Wehrmacht come me. (…) poi ho dovuto abbandonare il luogo perché non riuscivo più a stare a guardare.”49 Nella testimonianza di un altro soldato tedesco, come nelle precedenti, troviamo il riferimento a uomini con una fascia al braccio: questo ci dice che gli assassini erano organizzati in bande ed avevano una sorta di “divisa” come fossero delle milizie. Questi pogrom dei primi giorni erano di certo il frutto di un odio spontaneo ma legittimato dai tedeschi; la spontaneità della vendetta antisemita si era unita all’organizzazione nazista. E infatti il comandante dell'Einsatzgruppen A, Stahlecker50 descrive così la situazione nel suo rapporto. “Considerando che la popolazione dei paesi baltici aveva sofferto enormemente nel periodo della loro annessione all’URSS sotto il dominio straniero del bolscevismo e del giudaesimo, c’era da presumere che detta popolazione, dopo il ritiro dell’Armata Rossa, avrebbe provveduto da sola a rendere innocui gran parte dei nemici presenti nel paese. Compito della polizia di sicurezza doveva essere quello di dare l’avvio ad azioni autonome di epurazione(…). Non meno essenziale era creare per il futuro un dato di fatto – accertabile e dimostrabile: che la popolazione liberata aveva adottato di sua propria iniziativa le più dure misure contro il nemico bolscevico e giudaico, senza che si potesse individuare una direttiva da parte tedesca.(…) Durante i pogrom avvenuti nella notte tra il 25 ed il 26 giugno, più di 1500 ebrei furono soppressi da partigiani lituani, parecchie sinagoghe vennero incendiate o altrimenti distrutte e un quartiere ebraico di circa 60 case fu interamente bruciato. Nelle notti seguenti 2300 ebrei furono eliminati con gli stessi sistemi.”51

49 “Bei tempi” , op. cit., p. 31 50 Franz Walter Stahlecker, nel partito dal 1932, comandante dell'Einsatzgruppe A, nel novembre del 1941 venne promosso da Hitler Commissario del Reich per Ostland, che comprendeva Estonia, Lettonia, Lituania, e Bielorussia. Rimase ucciso in uno scontro con i partigiani a Krasnogvardeisk, Russia, il 23 marzo 1942. 51 Rapporto del 15 ottobre 1941 del comandante dell’Einsatzgruppen A, Stahlecker, in “Bei tempi” , op. cit., p. 24, 25.

Page 20: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

20

Nello stesso rapporto Stahlecker parla di una truppa ausiliaria, comandata dal giornalista lituano Klimatis. Klimatis insieme ad un medico, il dott. Zigonys, organizzò e comandò le truppe lituane nello sterminio degli ebrei in Lituania. “…venne creata in breve tempo, con gli elementi fidati dei gruppi partigiani non regolari, una truppa ausiliaria di intervento costituita all’inizio da 300 uomini, con a capo il giornalista lituano Klimatis. Questo gruppo, nel corso della successiva opera di pacificazione, è stato impiegato non solo a Kauen, ma in parecchi luoghi della Lituania e ha svolto senza grosse difficoltà i compiti assegnatigli – soprattutto di preparazione e di cooperazione nel portare a termine importanti azioni di eliminazione – sempre sotto la supervisione dell’EK.”52 Infatti l’annientamento di migliaia di ebrei condotto in maniera così massiccia non poteva essere svolto dai “soli” 3.000 uomini delle Einsatzgruppen senza il concorso di un elevato numero di locali. Essi contribuirono non solo ai pogrom spontanei ma anche aiutando i tedeschi nei rastrellamenti, si resero utili nella fase della ghettizzazione e contribuirono alla confisca delle proprietà delle vittime. Con l’appoggio rassicurante dei nazisti, la violenza contro gli ebrei espose senza più alcun ritegno. Migliaia di locali vennero reclutati nei corpi di polizia ausiliaria (Ordnungsdienst) che avevano il compito di mantenere l’ordine pubblico, “di bloccare e isolare le zone dove si svolgevano le esecuzioni, di condurre perquisizioni e retate, d’individuare, oltre agli ebrei, i <comunisti> e di contribuire alle azioni antipartigiane.”53 Queste truppe, conosciute anche come Schutzmannschaften54, vennero impiegate, dopo l’ordine di Himmler del 30 luglio 1941, al di fuori dei loro territori di origine, inseriti in reparti mobili d’assalto, in truppe di combattimento, e nelle azioni di liquidazione dei ghetti e di fucilazione di ebrei. “La proliferazione dei battaglioni di Schutzmannschaft lasciava dubbioso lo stesso Hitler, il quale non voleva unità combattenti ucraine o baltiche che avrebbero potuto appoggiare le richieste di indipendenza dei loro paesi. Ma non fu possibile arrestare questa tendenza.”55 Queste truppe si macchiarono di crimini orrendi nei confronti degli ebrei delle loro terre al pari della Polizia di sicurezza tedesca. Riportiamo qui la storia di Viktors Arajs, un giovane lettone di umili origini, nato nel 1910 e laureato in legge all’Università di Riga, durante la dominazione sovietica. Partigiano contro i sovietici, aveva difeso i contadini dalle espropriazioni delle terre e poi aveva vissuto alla “macchia” fino all’arrivo dei tedeschi. “Nel corso dell’estate e dell’autunno del 1941 Arajs radunò alcune centinaia di uomini, che si misero al servizio delle Einsatzgruppe svolgendo lo stesso lavoro.”56 Nel libro di Rhodes la vicenda di Arajs è più dettagliata: vi leggiamo le atrocità di cui si macchiarono lui e i suoi uomini. “Per tutta l’estate e l’autunno del 1941 il comando di Arajs si dedicò ad assassinare gli ebrei. Uccideva gli uomini due volte alla settimana dentro le fosse scavate nella foresta di Bikernieki, distante non più di sei chilometri dal centro di Riga, a nordovest. Fra luglio e settembre fucilò quattromila ebrei e un migliaio di comunisti. (…) Alla fine di luglio del 1941, quando giunse l’ordine di intensificare le stragi, il comando di Arajs, a bordo di uno degli autobus azzurri di fabbricazione svedese del comune di Riga, cominciò a perlustrare le campagne per rendere Judenfrei i paesini e i villaggi, assassinando non soltanto gli uomini, ma anche le donne e i bambini.”57 L’autobus azzurro fu visto perlustrare tutte le campagne della Lettonia; nei paesini le stragi erano più rapide: i massacratori riuscivano più velocemente che nelle città ad individuare i piccolo gruppi di ebrei e passavano subito alle esecuzioni. Poi proseguivano per “lo sporco lavoro” nei paesi vicini.

52 Rapporto del 15 ottobre 1941 del comandante dell’Einsatzgruppen A, Stahlecker, in “Bei tempi” , op. cit., p. 24. 53 A. Salomoni, L’Unione Sovietica e la Shoah, op. cit. p.57. 54 Schutzmannschaften: unità di polizia ausiliaria composte di elementi stranieri. 55 R . Hilberg, Carnefici, vittime, spettatori. La persecuzione degli ebrei 1933-1945, Milano, Mondadori, 2001, p. 93. 56 R . Hilberg, op. cit., p. 99. 57 Richard Rhodes, Gli specialisti della morte, Milano, Mondadori, 2005, pp. 129,130.

Page 21: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

21

“L’autobus azzurro del municipio di Riga poteva contenere una quarantina di uomini con i loro fucili, un numero sufficiente per le esecuzioni in provincia. A queste missioni partecipava sempre un ufficiale della sussistenza armato di vodka, salcicce e sigarette. (…) I tedeschi e il comandante Arajs, se era presente, viaggiavano in automobile.”58 Gli ebrei non avevano scampo. La seconda fase dello stermini arrivò dopo la creazione dei ghetti. Dopo aver massacrato gli ebrei dei villaggi, dopo aver setacciato le campagne, dopo aver ucciso già buona parte degli ebrei delle città, ci fu una pausa. Si passò ad un altro metodo più organizzato e più controllabile: la concentrazione della popolazione ebraica rimasta.

Carri carichi di suppellettili degli ebrei di Kovno si dirigono verso il ponte di Slobodka mentre altri carri rientrano vuoti verso la città. Luglio-Agosto 1941.

I ghetti vennero formati in ogni città, gli ebrei furono obbligati a lasciare le loro case e ad abbandonare tutto per andare ad ammucchiarsi nelle zone chiuse. Le loro case, nei villaggi come nelle città, venivano subito saccheggiate dai locali I ghetti furono dei luoghi di prigionia terribili, in cui la vita si trascinava tra le mille provocazioni e restrizioni che i nazisti imponevano alla comunità; erano le stesse regole crudeli a cui vennero sottoposti gli ebrei di tutti i ghetti delle zone occupate dai nazisti, prima di passare alla definitiva liquidazione degli stessi. La stella gialla, l’impossibilità di uscire se non per lavorare come schiavi nelle industrie, i permessi di lavoro che mano a mano selezionavano gli abili da coloro che erano condannati a morte certa. Si illudeva con una crudeltà sottile e inaudita questa povera gente che ci fosse una possibilità di salvezza e che questa passasse attraverso un foglietto ora giallo ora bianco, che selezionava chi serviva al nemico. E fu lotta e sofferenza per avere quel foglietto, che intanto sarebbe servito solo a spostare una morte certa. Ma di questo parliamo nei capitoli successivi del nostro lavoro, nei quali abbiamo dato voce ai testimoni.

58 Richard Rhodes, op. cit., p. 131

Page 22: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

22

Devo raccontare

Masha Rolnikaite

di Marco Alforno

Page 23: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

23

“Quattromila vite sono state spezzate, falciati così tanti ragazzini spensierati,e tutto questo viene descritto con un’unica parola: Fucilati! Non avevo mai capito prima il senso di questa parola. Fascismo, Guerra, Occupazione erano solo vocaboli che comparivano nel manuale di storia... Di sicuro anche adesso, in altre città e Paesi, dove non c’è guerra, dove non ci sono fascisti, la gente non s’immagina il reale significato di queste parole. Per questo devo annotare nel diario tutto quello che sta succedendo qui. Se sopravvivrò sarò io stessa a raccontarlo, se no altri potranno leggerlo. Ma bisogna che si sappia! Assolutamente!”59. C’è un’urgenza nel titolo “Devo raccontare” di Masha Rolnikaite, un’ansia di far sapere quello che è successo perché la storia non si ripeta, perché i milioni di morti non vengano dimenticati. Il diario di Masha, cominciato nel 1941, è stato scritto su fogli occasionali, poi a mente, poi sulla iuta strappata ai sacchi di cemento, quindi copiato su minuscoli striscioline nascoste in una bottiglia, e infine trasferito, nella primavera del 1945, di getto, sulla carta. All'inizio Masha è una ragazzina di tredici anni che assiste allo smantellamento della Vilna ebraica (la Gerusalemme d'Europa), e annota tutto, fino a quando la madre, troppo preoccupata delle possibili conseguenze, glielo vieta. Acquaiola in un'azienda agricola, spaccapietre nel Lager, bestia da soma in una tenuta della Pomerania, Masha non sembra tuttavia poter smettere di osservare e raccontare l'odio senza fine dei carnefici, la metamorfosi di civilissimi vicini di casa in spietati collaborazionisti, le connivenze e le ambiguità del Consiglio ebraico, insomma ogni anello di quella catena di orrori che, per rassicurarci, pretendiamo di conoscere bene, ma che libri come questo ci costringono invece a ripercorrere, impietriti, come per la prima volta. Così Masha continua ad archiviare nella mente il suo diario, che ci permetterà di venire a conoscenza di atroci verità, meticolosamente descritte. Ci sono scene strazianti, la separazione dalla mamma e dai fratellini (“E quando ti fucilano, fa male?”, chiede la sorellina), la vita quotidiana nei campi, il sadismo e la crudeltà a cui nessuna testimonianza già letta ci può abituare. “C’è una grande differenza tra me e Anna Frank.”, dice Masha, “Io sono sopravvissuta”60. Ma ci sono altre differenze che rendono uniche queste pagine. Masha ha vissuto la guerra, le restrizioni graduali e le discriminazioni avvilenti, la reclusione nel ghetto, il sovraffollamento, la fame, il lavoro forzato, il trasferimento nei lager di Kaiserwald, Strasdenhof, Stutthof, e poi la marcia della morte, quando il campo viene evacuato sotto l’incalzare dell’Armata Rossa e i detenuti sono costretti a marciare per tre settimane in condizioni disperate. Quando un’avanguardia russa raggiunge la colonna dei morti viventi, è il 10 marzo 1945 e Masha pesa 38 chili. “La ragione per la quale sono sopravvissuta è pura casualità. Sono stata fortunata a non essere finita nelle grinfie dei Nazisti” dice la Rolnikaite (78 anni) a Manuela Muhm, giornalista del San Petersburg Times, sorseggiando una tazza di the in un appartamento di SanPietroburgo il 21 Dicembre 2004. La strage di ebrei in Lituania è stata così grande che ancor prima che la “soluzione finale” fosse decisa a Berlino, l’area fu considerata Judenfrei, libera dagli Ebrei grazie allo sterminio o deportazione degli stessi. Com’è noto, in Lituania non esistevano campi di sterminio immediato come saranno poi costruiti in Polonia, ma quando in Unione Sovietica arrivò l’esercito tedesco, entrarono in azione le Einsatzgruppen.

59Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi edizioni, Milano, 2005, p 56. 60 Holocaust Chronicler's Story Must Be Told THE ST. PETERSBURG TIMES. Tuesday, December 21, 2004, www.sptimes.ru. In suddetta data Masha Rolnikaite rilascia un’intervista alla giornalista Manuela Muhm. Le citazioni da questa intervista sono tradotte da noi.

Page 24: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

24

Masha nel suo dettagliato rapporto ci racconta passo dopo passo di come i tedeschi arrivano a Vilna, di che cosa fanno, dei ghetti, dei fogli gialli (detti Scheine) dati agli abili al lavoro del ghetto 2 che viene smaltito dopo solo un paio di mesi e di tutti i “non abili al lavoro” che lo abitavano, i quali vengono portati a Ponary, a morire. Ben presto in città arriva voce che Ponary è il luogo della morte, delle fucilazione, dove i tedeschi si liberano degli Ebrei inutili sparando loro un colpo dritto in testa e facendoli successivamente cadere in grandi fosse comuni, nel bel mezzo della foresta. Non esisteva posto più adatto agli scopi delle SS. Ponary non solo è distante da centri abitati, ma i tedeschi non dovettero nemmeno sforzarsi di scavare, o per meglio dire, far scavare le grandi voragini nel terreno. Infatti queste furono in origine costruite dai Sovietici per lo stoccaggio del gasolio, per poi essere successivamente ereditate dai tedeschi e adibite a ben altri scopi. E’ così che le Einsatzgruppen lavorano. Non deportano i prigionieri in campi di concentramento o in campi di sterminio. Li rinchiudono in “ghetti”, per poi eliminarli gruppo dopo gruppo. Come Masha ci racconta il ghetto 1 venne costruito immediatamente dopo l’arrivo dei Tedeschi in città. Filo spinato, muri altissimi e invalicabili, finestre e portoni bloccati, soldati delle SS e soldati lituani ovunque; interi quartieri si trasformano in vere e proprie prigioni, nelle quali tutti i “fortunati” che ricevono i tanto desiderati “fogli gialli” vivono in condizioni di estremo sovraffollamento, sporcizia, fame e freddo, evitando (almeno per il momento) Fossa comune - Ponary la deportazione di se stessi e dei propri familiari. “Fur Juden Eintritt verboten”61. Viene scritto su cartelli appesi in qualunque negozio o locanda. La toppa gialla deve essere cucita su tutti i soprabiti (in un primo momento Masha si rifiuta di indossarla, ma poi dà ascolto alla madre). Agli ebrei è vietato camminare sui marciapiedi, devono marciare sulla strada. Queste sono solo alcune delle tante regole che i Tedeschi impongono durante la costruzione dei ghetti, prima di poter rinchiudere gli “Juden” al loro interno. “Al mattino veniamo a sapere che questa notte hanno preso tutti gli abitanti delle vie Yatkever, Oshmener, Disner, Shavler, Strashun, e altre ancora. Dicono che da quelle vie devono sgomberare anche i Lituani e i Polacchi. Le autorità cittadine assegneranno loro altri alloggi, migliori. Per noi là ci sarà un ghetto.”62 Durante la notte Masha va a trovare il Professor Jonatis, figura importante, che aiuta molto la famiglia Rolnikaite. Al mattino egli, dopo aver offerto un nascondiglio alla ragazzina e dopo aver deciso che fosse meglio per lei andare insieme con gli altri ebrei, la conduce all’ingresso del ghetto1. Masha vaga alla ricerca della sua famiglia, qualcuno le dice che molto probabilmente sono nel secondo ghetto. “All’improvviso scorgo Kaukorius, uno della mia scuola, ma della nona classe. Ha in mano un fucile; a quanto pare “lavora” anche lui. Nel modo più gentile possibile lo prego di aiutarmi a passare nell’altro ghetto”63 Qui Masha trova la “zia Prane” indaffarata a traslocare in un altro appartamento. Le lascia l’alloggio e uno sgabello sul quale sedersi. Ben presto, però, molte famiglie irrompono in casa e si

61 “Vietato l’ingresso agli ebrei” 62 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi , Milano, 2005, p 66 63 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi, Milano, 2005, p 69

Page 25: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

25

stabiliscono nelle varie stanze. Non c’è posto nemmeno sul pavimento. Una ragazza dorme sul tavolo, un’altra nella vasca da bagno. Il mattino seguente i soldati effettuano le prime selezioni. Masha viene condotta insieme a molti altri nel ghetto 1 dove ritrova sua madre e i suoi fratelli. Qui la vita è terribile. Jacob Gens64 è a capo della polizia del ghetto, interamente composta da lituani; a capo dell’ufficio del lavoro c’è Solomon Gens che assegna lavori agli abitanti del primo ghetto. La mamma di Masha trova impiego presso una sartoria, i ragazzi e i bambini non devono lavorare, ma hanno comunque diritto di stare con i propri genitori nel ghetto. Murer, il vicecommissario distrettuale, impone regole rigidissime; distribuisce le tessere alimentari, che danno diritto a molto poco e fa affiggere all’ingresso un cartello con su scritto che è severamente vietato introdurre nel ghetto cibo e legna. L’ingresso viene inoltre “abbellito” da una grande scritta:“Achtung! Judenviertel! Seuchengefahr! Eintritt fur Unbefugte strong verboten!”.65 Le continue “azioni” notturne, o “ispezioni” terrorizzano la gente. “A poco a poco svanisce la sensazione di precarietà. Alle disgrazie si fa l’abitudine.”66 “Nel cuore della notte un gruppo di soldati lituani è entrato in silenzio e si è diretto ai Blocks dove

vivono gli operai dei laboratori della Gestapo. Senza far rumore hanno svegliato la gente comunicando l’ordine del comandante della Gestapo Neugebauer di lasciare il ghetto. Il tono gentile ha dato l’impressione che fossero venuti a portare via i lavoratori necessari.”67 Come descritto dai rapporti dell’ Einsatzkommando A, il rapido annientamento degli ebrei presenti in Lituania fu possibile solamente grazie alla massiccia partecipazione della popolazione locale. I tedeschi furono abili ad utilizzare l’odio antisemita presente in questi collaboratori. Per la fine del Luglio 1941 furono creati venti battaglioni di polizia locale, formati da soldati lituani. Più della metà di tutti gli ebrei lituani fu uccisa dalla milizia locale. “I tedeschi non si sporcavano le mani per mandare avanti il loro business di morte. I Lituani lavoravano come guardie. In generale, i tedeschi impartivano solo ordini. Furono sempre i Lituani a sparare. A loro era anche permesso di tenere i soldi e altri oggetti di valore che trovavano addosso ai cadaveri.”68 Le azioni continuano, silenziose. Murer pretende da Gens

Rayele e Ruvele, i fratellini di Masha nuove vittime e di notte a Ponary si è di nuovo sentito sparare. Dopo quasi un anno dalla nascita del ghetto, anche Masha comincia a lavorare. Porta acqua tutto il giorno. È una vera tortura, alla sera non riesce a non piangere dal dolore che prova su tutto il corpo. Ogni mattina la mamma la prega di alzarsi e andare al lavoro, altrimenti la porteranno a Ponary. Come tutti i lavoratori riceve un certificato giallo (che ben presto sarà sostituito da un vero e proprio libretto di lavoro), dove viene indicata la professione e il luogo dove viene svolta. Ogni mattina intere brigate di ebrei escono dal ghetto scortate da soldati lituani e rientrano a tarda sera. Al rientro ogni ebreo viene perquisito da un poliziotto per verificare che nessun “cibo proibito” venga portato all’interno del ghetto.

64 Jacob Gens fu capo della polizia ebraica del ghetto e comandò molte delle Aktionen tedesche di rastrellamento degli ebrei. Gens era convinto, dall’alto della sua posizione di potere, che fosse meglio collaborare con i tedeschi consegnando gli ebrei che essi richiedevano, per salvare almeno le vite dei giovani. Quando nel luglio del 1942 i tedeschi sciolsero lo Judenrat, nominarono Gens capo del ghetto e suo unico rappresentante. 65 Attenzione! Quartiere ebraico! Pericolo di epidemia! È severamente vietato l’ingresso ai non autorizzati! 66 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi, Milano, 2005, p 74. 67 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi, Milano, 2005, p 97. 68 Holocaust Chronicler's Story Must Be Told,THE ST. PETERSBURG TIMES. Tuesday, December 21, 2004

Page 26: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

26

Dal 1° Aprile 1943 tutti i ghetti, a eccezione di quello di Vilna e Kovno,vengono liquidati. Molti gruppi di trasferiti arrivano a Vilna. Il ghetto, dopo le varie azioni, era praticamente vuoto. Gli ebrei trasferiti vengono condotti all’interno del ghetto. Una volta pieno, tutti coloro che non sono riusciti ad entrare vengono caricati su un treno. Le SS li rassicurano dicendo che li porteranno a Kovno. Ovviamente il treno si ferma nel bel mezzo della foresta. I soldati sono già pronti con il fucile in mano di fronte alle grandi fosse comuni. Appena i portoni dei carri bestiame vengono aperti i prigionieri, terrorizzati, si catapultano giù travolgendo i soldati di guardia. Nessuno, comunque, sopravvive. O quasi. Due prigionieri, nella confusione, riescono a scappare, facendo così arrivare voce al ghetto di quello che è successo. “I binari sono coperti di morti. Anche i fossi sono pieni. Perfino lontano lontano, nei campi, fin dove l’occhio può arrivare, giacciono i cadaveri. Fino a un momento fa erano giovani desiderosi di vita, donne graziose, bambini chiacchieroni.”69 Il mattino seguente Gens decide di mandare a Ponary venticinque poliziotti a raccogliere i cadaveri e gettarli nelle fosse. Questi non solo sono abbattuti per il lavoro sgradevole a loro assegnato, ma sono impauriti. I tedeschi non amano lasciare in vita testimoni dei loro delitti. “I poliziotti del ghetto sono tornati a tarda sera. Hanno un aspetto sinistro. Uno l’hanno portato in stato di incoscienza. In un cadavere mutilato con la testa sfondata ha riconosciuto sua madre”70 L’avanzare dell’Armata Rossa innervosisce i Tedeschi. Fucilano Gens71. Dessler è ora il responsabile; il panico si sente nell’aria. Quando l’Armata Rossa sferra un attacco nei pressi di Smolenks Dessler scappa, insieme con il comandante della guardia all’ingresso. Nel giro di neanche un giorno le SS eseguono l’ordine del comandante della Gestapo: “gli ebrei del ghetto di Vilna che sono entrati qui due anni fa, vengono evacuati in due campi di lavoro”. Vengono tutti portati fuori dal ghetto, radunati ai lati di una piazza. Aspettano li, sotto la pioggia, nel fango. Aspettano tutta la Davanti a questo portone, il 24

notte. Aspettano che le SS “ripuliscano” il ghetto. Settembre, i tedeschi separarono

Il mattino successivo, 23 Settembre 1943, vengono giustiziati in Masha dalla Madre e dai fratellini.

piazza, davanti a tutti, tre partigiani del ghetto72. Ora tutti i prigionieri vengono fatti passare uno a uno da una porticina per poi finire sull’altro lato dell’edificio, sulla strada. Masha passa per prima, viene però spinta in un gruppo di giovani, la madre e i bambini finiscono nell’atro gruppo. “Insisto, supplico, ma il soldato neanche mi sente. Guarda le donne che escono dalla porticina. Di tanto in tanto le spinge, a volte una, a volte due, dalla nostra parte. Le altre vengono mandate di là, insieme alla folla, dove c’è la mamma. All’improvviso ho sentito la voce della mamma. Grida di non andare da lei! E prega il soldato di non lasciarmi passare perché sono ancora giovane e posso lavorare bene… -Mamma!- urlo con tutte le mie forze. –Vieni tu da me!- Ma lei scuote la testa e con una voce strana, rauca grida:- Vivi figlia mia! Vivi almeno tu! Vendica i bambini!- Si china su di loro,

69 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi, Milano, 2005, p 141. 70 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi , Milano, 2005, p 143. 71 Venne fucilato dai nazisti il 14 settembre 1943, a preludio di una serie di altre operazioni, che ridussero ad appena 3.000 gli ebrei di Vilna. 72 Giovani prigionieri appartenenti a una organizzazione illegale di attivisti del ghetto. I tre giustiziati lottano per non lasciarsi condurre come pecore al macello e uccidono un soldato tedesco. La ragazza sputa in faccia al boia e si gira verso la folla sorridendo, aspettando l’inevitabile colpo di fucile.

Page 27: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

27

dice qualcosa e faticosamente uno alla volta li solleva perché io li possa vedere. Ruvele[73] mi guarda in modo così strano… agita le manine…”74 Masha e altre 1700 donne considerate “abili al lavoro”, dopo una notte intera in piedi sui carri bestiame in condizioni pietose, vengono trasferite nel campo di concentramento di Kaiserwald75, a nord di Riga e successivamente in un altro campo limitrofo, Strasdenhof76. A Kainserwald Masha rimane sconvolta. Sconvolta dai soldati che si fanno beffe di quei poveretti negli stracci a righe, dalle punizioni, dai recinti elettrificati, dal “cibo”, dalla baracca completamente vuota nella quale dovevano dormire tutte appiccicate, sdraiate sul pavimento. Qui Masha subisce la totale privazione di ogni suo bene, compresa gran parte del diario. “Trova la fotografia di papà. Allungo la mano perché me la restituisca, ma lei straccia papà a pezzettini e lo butta su pavimento. Su un pezzetto si vedono i capelli bianchi, da un altro un occhio mi guarda. Mi giro dall’altra parte…”77 Gli strazianti “appelli”78 sotto la pioggia, immobili come statue diventano una routine. Ora alla tortura del lavoro, si aggiungono le punizioni corporali che Masha e le altre subiscono quotidianamente. “ Vedo l’ufficiale che mi fa segno con un dito. Proprio io? Si, io. Mi avvicino esitante, e aspetto di sentire che cosa dirà. All’improvviso mi dà un manrovescio su una guancia, poi sull’altra, e poi di nuovo sulla prima. Mi prende a pugni. E sempre in testa. Provo a ripararmi la testa con il piatto ma me lo strappa di mano e lo sbatte in un angolo. E riprende a picchiarmi senza pietà. Non mi reggo in piedi e cado a terra. Voglio alzarmi ma non posso-mi prende a calci. Ovunque mi giri […] Respiro a fatica, le labbra sono diventate come di legno, la lingua grossa e pesante. E l’ufficiale mi picchia, mi prende a calci con gli stivali. Adesso mi sembra che non faccia più così male. Ma sul pavimento gocciola del sangue. A quanto pare è il mio…”79 Il giorno dopo il gruppo di Masha viene condotto alle docce. Hirish Rolnikas, il padre di Masha Masha nasconde ciò che le rimane del diario in una scarpa. Le tagliano i capelli, i riccioli vengono messi in un sacco. Dopo la doccia, riceve un vestito troppo piccolo per lei e insieme alle altre viene caricata su un autocarro. La trasferiscono a Strasdenhof, un grande edificio, ex fabbrica. Le donne alloggiano al quarto piano e gli uomini al primo. Ben presto Masha scoprirà che il suo lavoro sarà spaccar pietre da mattina a sera, poi trasportarle e infine spingere vagoncini carichi su per una collina, senza mai cedere al freddo, alla pioggia o ai colpi di frusta. Nel lager riesce a recuperare un mozzicone di matita, così trasferisce su carta, strappata dai sacchi di cemento, la parte di diario persa. Hans, il responsabile del lager, è uno dei tedeschi più sadici che Masha abbia mai incontrato. Impartisce punizioni disumane. Ha ucciso un uomo mettendolo nudo in mezzo alla piazza in pieno inverno, versandogli addosso acqua calda a intervalli di 10 minuti.

73 Ruvele è il fratellino di Masha, muore in un campo di sterminio insieme con la madre e la sorellina Rayele. N.d.c. 74 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi, Milano, 2005, p 176. 75 Lager di Riga-Kaiserwald, in Lettonia, attivo dal 1942 al 1944. Circa 20.000 i prigionieri, sconosciuto il numero delle vittime. 76Lager di Strasdenhof , nei pressi di Riga, in Lettonia. I deportati sono utilizzati nel lavoro massacrante di spaccare e portare pietre. 77 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi, Milano, 2005, p 186 78 Nei campi di concentramento solevano fare l’appello due volte al giorno, la mattina presto e la sera, quando tutte le brigate tornavano dal lavoro. 79 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi, Milano, 2005, p 187

Page 28: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

28

Masha si è sentita a due passi dalla morte svariate volte, essendo stata costretta, anche lei, a subire le punizioni del tedesco. La condizione fisica delle prigioniere è pietosa. “ Siamo molto magre. Dei veri scheletri, e i nostri corpi sono coperti di piaghe. Si formano quasi tutte per la fame e per quello che subiamo. Sono piene di pus perché non vengono curate. Come unica terapia mattina e sera ci applichiamo degli straccetti bagnati nell’acqua fredda. Siamo così abituate alle nostre piaghe che ci sembra di averle sin dalla nascita. Ma quando i tedeschi le vedranno… che fare? Dove nascondersi? Magari nella latrina per tutta la durata della visita…”80 Masha passa la visita. Ora lavora come operaia in una fabbrica tessile. È il 21 Luglio, Masha compie 17 anni, è ormai un anno con non vede sua mamma e quattro suo papà. Nel lager si vocifera che Vilna è già stata liberata, che lì ora si può camminare liberi sui marciapiedi, non c’è neanche più un tedesco e non si sente nemmeno più uno sparo arrivare da Ponary… Il fronte avanza ancora e Hans riceve l’ordine di liquidare il Lager. Fa salire tutti i prigionieri, uomini e donne, su degli autocarri neri diretti al porto. Vengono fatti salire a bordo di una grande nave da guerra, poi spinti dentro un minuscolo scompartimento della stiva attraverso un boccaporto, dove trascorreranno un lungo viaggio verso ovest. Con loro viaggiano altre donne probabilmente provenienti da altri Lager. Così la nave parte, allontanandosi sempre di più dal fronte e quindi dalla liberazione. La nave approda a Danzig, l’odierna città polacca di Gdansk. Raggiungono presto il campo di sterminio di Stutthof81. Le Haftling82 vengono accolte da sabbia, filo spinato, baracche di legno... un panorama ormai familiare. Presto conoscono un certo Max. “Anche lui è uno Haftling, da undici anni sta scontando la pena per aver assassinato la moglie e i figli. Le SS sono ben contente della sua spietata crudeltà [...] alcune donne sono già morte sotto i suoi colpi [...] dopo averci picchiate per bene il sadico si è pettinato i capelli, si è infilato la camicia nei pantaloni e ha iniziato a contarci [...] le SS se ne stavano in disparte a godersela.”83 Ogni giorno le SS passano per le baracche, fanno mettere tutte in fila e scelgono, tra le prigioniere più magre, malate e deboli, le vittime per il crematorio. Crematorio che comunque nessuno sa dov’è… Grazie ad un’ulteriore selezione Masha finisce in un gruppo di donne che verrà mandato a lavorare in paese. Contadini polacchi vengono al campo e affittano dalle SS un certo numero di prigioniere per poterle schiavizzare nelle proprie tenute, e Masha, insieme con altre tre, viene scelta da un vecchio per aver dichiarato di essere forte e di saper mungere le vacche. Cose assolutamente non vere. “Di noi, a quanto pare, non è soddisfatto. Si lamenta con il soldato che simili carcasse non gli saranno di alcuna utilità. Da lui hanno già lavorato altre quattro come noi, venivano dall’Ungheria, ma si sono subito sfiancate e ha dovuto portarle al crematorio. Ecco nelle mani si chi siamo finite! E io stupida che non sono altro mi sono anche offerta.”84 Passano tre mesi, durante i quali le quattro donne lavorano come bestie da soma tutto il giorno nei campi o nelle stalle, fino a quando, verso la metà di Novembre, al contadino arriva un ordine da parte delle SS di riportare indietro nel lager tutte le prigioniere. Perché? Arrivate al lager l’appello dura tantissimo. Il conto non torna, le guardie sono agitate. Mancano due prigioniere infatti, due che hanno deciso di impiccarsi pur di non tornare a “vivere” in quel inferno. Le donne cercano di capire per quale motivo le hanno riportate al lager. “Qualche gruppo lo avevano mandato a scavare trincee, ma la si lavorava con l’acqua fino alla pancia e i piedi si sono congelati. Le hanno portate direttamente dal lavoro al crematorio. Al loro posto ne hanno prese delle altre…” Masha e altre donne considerate “forti” vengono scelte da un SS. Lui le conduce alle docce, dove donne spaventosamente magre, quasi scheletri, giacciono sul pavimento, tremanti dalla paura. Il compito di Masha è quello di svestire e aiutare le donne a prepararsi alla doccia.

80 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi, Milano, 2005, p 219 81 Stutthof, lager in Polonia, vicino a Danzica. Nello stesso campo fu imprigionato Grigorij Sur. Vedi nota n. 105. 82 Prigionieri/e 83 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi, Milano, 2005, p 241 84 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi, Milano, 2005, p 245

Page 29: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

29

“Di toglierle gli zoccoli non se ne parla neanche, la donna non mi lascia, le fa male. Le prometto che mi limiterò a tagliare la parte superiore, ma lei non mi permette neppure di toccarli. Ormai sono due settimane che non se li toglie, perché i piedi congelati si sono appiccicati alle suole. […] La sorvegliante è arrivata di corsa, mi ha dato uno spintone e ha afferrato la disgraziata per i piedi. Quella ha cacciato un urlo agghiacciante. Vedo che la sorvegliante tiene in mano uno zoccolo al quale sono attaccati brandelli di carne in suppurazione. Comincio a vomitare. Come da lontano mi sono arrivare le urla della sorvegliante: Se sei debole di nervi, andrai insieme alle malate… Mi sono precipitata a spogliarne un’altra.”85 Masha è costretta alla vista di tale orrori. Una poveretta del suo gruppo decide di suicidarsi gettandosi contro le recinzioni elettrificate. Un’epidemia di tifo scoppia nel lager, moltissimi prigionieri muoiono. Le SS non si preoccupano neanche più di tenere l’ordine, per paura di venir contagiati. Ma debellato il tifo, Masha viene costretta a entrar a far parte del “commando sepolture”. Il suo compito è quello di spogliare i cadaveri e strappar loro i denti d’oro. “Sollevo un po’ la donna per spogliarla, ma il corpo ricade all’indietro e la testa picchia sul pavimento con un colpo sordo. Devo tenerla su, stringerle la testa contro di me. E il suo corpo è così freddo. Neanche a farlo apposta la bocca del cadavere luccica di denti d’oro.”86 È straziante, la giovane Masha non riesce a sopportare tale orrore e ben presto viene sostituita da un’altra. Il fronte si avvicina. Al commando sepolture arriva voce che i tedeschi saranno costretti a liquidare il lager molto presto. “È possibile che accada un miracolo e che i tedeschi non facciano in tempo a bruciarci tutti? Sarei disposta a portare sempre questi stracci, a soffrire sempre la fame, pur di essere libera, senza tedeschi, senza il crematorio e senza la continua paura di finirci dentro.”87 Ben presto viene ordinato a tutti di evacuare il Lager. Viene detto alle prigioniere in grado di camminare di prepararsi a partire; Masha trova e forze di alzarsi e parte con il gruppo. Ma il viaggio dura un’eternità e a ogni passo sembra di non riuscir a compiere il successivo. Le SS cercano di allontanarsi dal fronte il più possibile, ma le esplosioni della guerra si avvicinano sempre di più e per tre settimane il gruppo di prigionieri è costretto a fuggire dalla propria speranza di libertà. I prigionieri vengono fatti entrare in una grande rimessa; i tedeschi si trovano costretti a fuggire, l’Armata Rossa è praticamente dietro di loro. Prima di scappare però tentano di dar fuoco alla rimessa in modo tale da bruciar tutti. I soldati dell’Armata Rossa, però, riescono ad arrivare in tempo e ad evitare il disastro. È finita, per Masha, per tutte le Haftling… “La rimessa si riempie di soldati. Si precipitano a soccorrerci, cercano quelle ancora in vita, le aiutano ad alzarsi. […] Mi sollevano, mi mettono in piedi, ma io non posso muovermi, mi tremano le gambe. Due soldati incrociano le braccia, fanno una seggiolina e mi portano via. […] Uno si offre per aiutare nel trasporto, un altro mi porge un pezzo di pane, un terzo mi dà i suoi guanti. Sono così buoni che mi viene da piangere. I soldati mi consolano, mi calmano. Uno tira fuori un fazzoletto sporco e, come si fa con un bambino piccolo, mi asciuga le lacrime. […] Sul suo cappello brilla una piccola stella rossa. Da quanto tempo non vedevo quella stella…”88

85 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi, Milano, 2005, p 258 86 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi, Milano, 2005, p 266 87 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi, Milano, 2005, p 267 88 Masha Rolnikaite, Devo Raccontare, Adelphi, Milano, 2005, p 279

Page 30: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

30

Gli ebrei di Vilna Una cronaca dal ghetto 1941-1944

Grigorij Šur

di Alice Villa

Page 31: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

31

Il libro che Grigorij Šur ci ha lasciato è una sorta di diario che ci narra la vita all’interno del ghetto di Vilna; costituisce un documento estremamente raro nel suo genere, non tanto per gli eventi narrati ma soprattutto per la particolarità della situazione in cui è stato scritto: non è infatti frutto dei ricordi di un uomo sopravvissuto alle stragi contro gli ebrei ma è stato scritto proprio mentre avvenivano queste persecuzioni. L’autore è ben consapevole che, nel caso fosse stato scoperto, la pena per lui sarebbe stata la morte; ma lui continua a scrivere pur essendo quasi certo, come egli stesso ci dice, di non riuscire a sopravvivere per rielaborare e pubblicare i suoi appunti. Ma scrive, scrive e scrive incessantemente nella speranza che i fatti che stanno accadendo e di cui lui è testimone non vengano dimenticati. “Ho la sensazione che non farò in tempo a rielaborare, a riscrivere gli appunti, ad apprestarli per la stampa. Spero che lo faccia chi venga in possesso di questa minuta, perdonatemi la sciattezza, l’illeggibilità, la poca sistematicità del mio scritto. Le condizioni in cui ho scritto erano del tutto fuori dal normale. Mi mancavano spazio, carta, inchiostro. Scrivevo in locali terribilmente angusti, talvolta al gabinetto o nella legnaia. Se mi mancava l’inchiostro scrivevo con la matita, appoggiandomi sulle ginocchia o sul davanzale, quasi mai a tavolino”89. Šur ovviamente nelle condizioni in cui si trovava non avrebbe potuto scrivere le sue memorie se non fosse stato aiutato da qualcuno; un sostegno importante gli viene dato da Ona Šimajte90, una lituana fortemente antifascista che stette vicina a Šur incoraggiandolo a non abbandonare il suo progetto e a continuare a scrivere anche se ormai sapeva che il suo destino era segnato e che molto probabilmente non sarebbe riuscito a vedere la fine della guerra. Ona Šimajte lavorava alla biblioteca universitaria di Vilna; spesso, rischiando la propria vita, si univa ai lavoratori ebrei di ritorno dalle fabbriche in cui lavoravano per offrire loro tutto ciò di cui disponeva, anche un semplice pezzo di pane o una parola di conforto. Riusciva a ridare la speranza agli ebrei del ghetto. E’ la stessa figlia di Šur, unica superstite di tutta la famiglia, riuscita a salvarsi proprio grazie a un passaporto falso procuratole da Ona Šimajte, a dirci: “quando entrava nel ghetto o nel blocco Kailis sembrava un raggio di sole nelle tenebre”91. E questa frase penso che descriva perfettamente la straordinarietà di questa donna. Quando riusciva a entrare in contatto con Šur gli forniva fogli e inchiostro. Dopo la morte del nostro autore fu proprio lei a recuperare i quaderni colmi di annotazioni e a trovare un nascondiglio sicuro nella biblioteca universitaria; questi scritti, dopo varie peripezie, vennero finalmente ritrovati e riportati alla luce dalla figlia dello scrittore, Miriam, che se ne fece fare una copia e la custodì fino alla sua pubblicazione. Questi fatti rappresentano quasi un miracolo ed è semplicemente straordinario che a noi oggi sia data la possibilità di leggere questo scritto che è riuscito a vivere nonostante il suo autore non abbia purtroppo avuto la possibilità di vedere completata la sua opera. Un grazie quindi è d’obbligo a tutte le persone che, mettendo a repentaglio la propria vita, ci hanno tramandato questo documento. 89 Grigorij Šur, Gli ebrei di Vilna: una cronaca dal ghetto. 1941-1944, Giuntina 2002, p. 136 90 Ona Šimajte: lituana, nota antifascista. Conosce Sur nel 1917 ma lo rivede solamente nel 1939. Durante l’occupazione tedesca si adopera per aiutare in ogni modo gli ebrei poiché fa parte di un organizzazione clandestina. Viene arrestata e portata in un lager in Germania quando i tedeschi scoprono che nasconde un’ebrea in casa, ma viene liberata dagli americani. Vive poi in Francia e a Israele. Al termine della guerra scrive una lettera al museo ebraico di Vilna per rivelare il nascondiglio dei quaderni di Sur da lei precedentemente nascosti sotto il pavimento della biblioteca universitaria dove lei lavorava; grazie al suo contributo il manoscritto viene rinvenuto e successivamente pubblicato. 91 Grigorij Šur, op. cit., p. 20

Ona Šimajte

Page 32: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

32

Nel suo scritto Šur non fa mai riferimento a fatti che gli sono accaduti in prima persona ma preferisce raccontare e farsi portavoce dell’ sofferenze che tutti all’interno del ghetto subivano. Proprio per questo le pochissime notizie sulla vita dell’autore ci sono state riferita da sua figlia. Šur nasce nel 1888 a Vilna e per tutto il periodo della sua giovinezza fino a quando viene rinchiuso nel lager si occupa di politica e diventa redattore di alcuni giornali della sua zona per questo viene anche arrestato e confinato nel governatorato di Astrakan. Ha una vita molto intensa e da giovane si ricorda che Šur incontra Lev Tolstoj e Solomon Anski che lo influenzano enormemente nella sua esperienza di scrittore. Molte volte Šur, durante la stesura del suo diario, rimpiangerà la scomparsa di Anski che lo aveva più volte incoraggiato a raccontare la sua esperienza di esilio ad Astrakan. Nella sua opera Šur descrive con estrema obiettività e precisione i fatti di cui è testimone e quindi anche delle numerosissime azioni compiute dalla popolazione lituana contro gli ebrei, e in alcuni casi estremi anche dei tradimenti compiuti dagli stessi ebrei tra di loro, eseguiti nella speranza di avere salva la propria vita. Si rimane molto colpiti specialmente dal fatto che molti ebrei, nel tentativo inutile di avere salva la propria vita, fossero disposti a mettersi al servizio della polizia del ghetto92, che aveva il compito di mantenere l’ordine e la calma tra gli ebrei; molti si prestavano a sorvegliare gli ingressi al ghetto, con il compito di sequestrare qualsiasi cosa che gli ebrei cercassero di portare all’interno furtivamente, anche semplicemente del cibo per poter sopravvivere. Lo stesso Grigorij Šur è amareggiato da questi fatti che definisce molto brutti. “I poliziotti recavano sulla manica sinistra una fascia azzurra con la stella di David bianca. (…) non avevano una divisa particolare, indossavano vestiti e scarpe proprie; bisogna dire però che erano scarpe e vestiti di buona qualità. I poliziotti approfittavano degli sgomberi di abitazioni, i cui possessori erano stati portati alla fucilazione, appropriandosi degli oggetti che vi trovavano; (…) vestiti calzature, provviste alimentari, oggetti di uso comune, essi scoprivano nascondigli in cui erano celati denari, valori. (…) Nel corpo di polizia esisteva un reparto speciale, la Torwache, addetto alla sorveglianza degli ingressi del ghetto; la popolazione del ghetto dovette soffrire molto a causa di questo reparto. I suoi componenti controllavano tutti quanti uscivano o entravano e creavano di solito infelicità perché toglievano alla gente tutto quello che gli pareva. Giustificavano le loro canagliate con la necessità di mostrare ai tedeschi il loro zelo e sostenevano che agli ebrei sarebbe toccato molto peggio se agli ingressi ci fossero stati dei soldati lituani o tedeschi.” 93 Molti poliziotti ebrei purtroppo non si fermarono a questo, alcuni vennero incaricati proprio dal comandante della Gestapo, Weiss94, di compiere un’epurazione a Ošmjany95 contro gli ebrei del

92 In ogni ghetto i nazisti davano disposizioni affinché fosse creato fin da subito uno Judenrat, un Consiglio ebraico, formato dalle persone più importanti della comunità ebraica. Lo Judenrat doveva fare da tramite tra la popolazione del ghetto e le autorità tedesche, aveva il potere e il compito di far applicare leggi e regole all’interno del ghetto e doveva fornire manodopera alle industrie belliche tedesche. Per questo lavoro di mediazione e nello stesso tempo di potere, la posizione di membri degli Judenrat fu molto ambigua e ancora oggi non è ben chiaro il ruolo che essi assunsero e cioè se si impegnarono per proteggere i loro compagni ebrei oppure se si limitarono ad eseguire gli ordini per avere salva la vita. Lo Judenrat doveva anche costituire una “polizia ebraica” del ghetto che doveva mantenere l’ordine e di fatto era al servizio dei nazisti; il loro lavoro li preservava dal lavorare, avevano cibo e la vita salva (momentaneamente). La polizia ebraica ebbe un ruolo odioso e infame; in ogni ghetto questi individui si macchiarono di atti vergognosi nei confronti dei loro compagni. I membri della polizia ebraica saranno, ovviamente, tutti eliminati con la chiusura dei ghetti. A Vilnius si distinse in questi compiti Jacob Gens come capo della polizia ebraica del ghetto. A Vilnius la polizia ebraica prese parte anche alle Aktionen tedesche volte a rastrellare e fucilare gli ebrei. Gens era convinto che fosse necessario collaborare con i tedeschi e che si dovessero consegnare gli inabili al lavoro per preservare la vita dei più giovani e forti. Nel luglio 1942 i tedeschi sciolsero lo Judenrat e nominarono Gens capo del ghetto e suo unico rappresentante. Nel settembre del 1943 anche Gens fu fucilato nella sede della Gestapo. 93 Grigorij Šur, op. cit., p. 66, 67 94 Martin Weiss: anche detto “il signore di Ponary”. In Vilnius fu comandante del carcere e della sezione ebraica della Gestapo. Nel 1950 venne processato e condannato all’ergastolo. 95 Ošmjany: villaggio, governatorato di Vilnius, in Lituania.

Page 33: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

33

luogo. Furono raccolti 22 poliziotti in totale, essi erano in un certo senso soddisfatti di partecipare a questa azione perché pensavano che, durante la liquidazione del ghetto di Vilna, loro avrebbero avuto salva la vita grazie a questi raccapriccianti servizi resi ai tedeschi. Ma nella loro cupa disperazione non si rendevano conto che questo era soltanto uno dei molti stratagemmi utilizzati dai tedeschi per umiliare la popolazione ebrea. “In quello stesso giorno i poliziotti ebrei iniziarono a togliere ai passanti i paltò di pelle, che servivano ad equipaggiare gli stessi poliziotti della spedizione punitiva. Non gli bastava partecipare a quella missione ignominiosa, volevano con quegli indumenti acquisire un’apparenza «rispettabile»”96. Le epurazioni portate a termine, in questo caso, dagli stessi ebrei, ma nella maggior parte dei casi dalle truppe lituane o tedesche, venivano eseguite con estrema metodicità, come ci vuole ricordare Šur. Nel ghetto di Vilna, per esempio, i soldati o la polizia entravano improvvisamente, spesso di notte o durante le principali festività ebraiche, ordinando a tutti coloro in possesso degli scheine, ovvero dei permessi di lavoro, di andare immediatamente alla sede del consiglio ebraico a farsi registrare assieme ai propri familiari. Terminata questa fase, nel ghetto entrava la polizia lituana o tedesca che aveva il potere di decidere delle sorti di tutti i poveri sfortunati privi di scheine. Questo voleva dire che di tutti quelli rimasti nel ghetto nessuno o pochissimi si salvavano. Venivano catturati, picchiati, umiliati e infine portati a morte. Poteva anche succedere che qualcuno venisse portato in carcere ma tra questi solo chi riusciva a farsi proteggere da qualche alto membro dell’esercito dietro enormi somme di denaro poteva avere salva la vita; tutti gli altri venivano in ogni caso condotti alla fucilazione. Si riesce a comprendere l’infinita importanza di questi scheine che in apparenza erano semplicissimi pezzi di carta ma in questi frangenti potevano rappresentare il diritto alla vita; in questo periodo le persone potevano arrivare a tutto pur di possedere un permesso di lavoro, in molti cercavano di acquistarli, di barattarli con tutto ciò che possedevano; altri, soprattutto donne rimaste sole, bambini o anziani, quindi privi di scheine, durante queste registrazioni, cercavano il modo di farsi registrare come parenti di chi poteva lavorare e che quindi aveva il “diritto alla vita”, questi ultimi, tuttavia, spesso chiedevano, in cambio di questo favore somme altissime di denaro che purtroppo non tutti potevano avere. Šur ci racconta come spesso avvenivano queste registrazioni e in particolare quelle dell’autunno del 1941, “Già lungo la via verso l’edificio sede del Consiglio si era radunata una grande quantità di persone, ma nel cortile e sulle scale che portavano al secondo piano – dove avveniva la registrazione – la ressa era inimmaginabile. (…) Che scene strazianti, che tragedie in quegli angusti corridoi, dove coloro che non possedevano gli scheine gialli supplicavano i «fortunati» di salvar loro la vita inserendoli tra i familiari e facendo ottenere loro quel numerino[97] per averlo ognuno 96 Grigorij Šur, op. cit., p. 102 97 Numerino: si intende un numero che permetteva ai suoi possessori di uscire dal ghetto durante le epurazioni.

Schein

Page 34: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

34

era pronto a dare tutto quanto possedeva. Non tutti furono capaci di conservare dignità e umanità. Alcuni, in cambio del numerino e dell’iscrizione, chiesero agli sfortunati somme tra i 5 e i 10.000 rubli, promettendo di condurli solo fino alla porta. Tutti pensavano che ci sarebbero stati controlli severi e, temendo per la propria vita, esitavano ad aiutare i propri compagni di sventura. Ahimé, nessuno sapeva quanto sarebbe stato semplice farlo, quanto sarebbe stato semplice salvare la vita a migliaia di persone. Se non ci fosse stato quel panico indotto dal caos notturno, quel timore della morte con cui il potere tedesco da tanto tempo e così spietatamente affligge gli ebrei, alcuni avrebbero potuto salvare migliaia dei loro compagni, mantenendo così netta la propria coscienza.”98 Nel periodo in cui il ghetto di Vilna rimase in vita le autorità misero in circolo molti tipi di scheine a fasce sempre più ridotte di lavoratori. Erano fogli di carta che portavano scritte le generalità della persona che li possedeva e il lavoro che svolgeva, vennero emanate diverse serie di permessi con colori ogni volta differenti: in un primo tempo bianchi, poi a quelli bianchi venne aggiunto un timbro rosso a indicare i lavoratori specializzati, in seguito furono emessi di colore giallo e di numero estremamente limitato (appena 3000) distribuiti solo ad alcuni lavoratori specializzati. Questi permessi erano distribuiti dall’Ufficio del Lavoro che era incaricato della registrazione dei lavoratori e che solitamente distribuiva un certo numero di permessi per ogni fabbrica o attività di una certa importanza, per esempio la fabbrica di pellicce Kailis ricevette 1200 scheine gialli da distribuire ai suoi lavoratori specializzati. Per lavoratori specializzati si intendevano tutti quelli che presentassero un diploma o la garanzia di due testimoni. In questi casi si può facilmente immaginare come tutte le persone, anche quelle che non avevano una specializzazione, cercassero disperatamente di entrare in possesso di uno di questi permessi. Si crearono così fortissime ingiustizie per cui chi aveva giuste conoscenze e molto denaro poté facilmente ottenere il permesso mentre molti altri lavoratori, sebbene specializzati, non arrivarono in tempo. Šur in questo periodo aveva più di 40 anni e lavorava presso la fabbrica di pellicce Kailis e riuscì a salvarsi con la sua famiglia poiché ricevette uno scheine giallo e venne trasferito nel lager presso la fabbrica di pellicce. Qui, pur essendo elettrotecnico, si occupò di dividere gli indumenti dei soldati ancora riparabili da quelli di cui fare stracci. A seguito della distribuzione dei permessi vennero organizzate diverse epurazioni. Venivano catturati e portati a morte tutti coloro privi di scheine; tuttavia, dal momento che gli ebrei senza lavoro correvano a nascondersi nelle maline

99 se sentivano l’arrivo di azioni di pulizia, venne organizzata una sorta di trappola: i poliziotti ebrei passarono in tutto il ghetto dicendo che tutti i possessori degli scheine bianchi, ormai superati, avevano l’ordine di trasferirsi nel ghetto 2; chi lo avesse fatto volontariamente avrebbe avuto il permesso di portare con sé i propri averi e di scegliere l’abitazione che preferiva. Questa operazione serviva invece a portare allo scoperto i lavoratori non specializzati che erano riusciti a sopravvivere. In molti credettero di migliorare le proprie condizioni

98 Grigorij Šur, op. cit., p. 56, 57 99 Malina: nascondiglio utilizzato dagli ebrei pere sfuggire alle persecuzioni. Questi rifugi erano ricavati spesso nelle abitazioni o nelle cantine o in vecchi cunicoli sotterranei ormai caduti in disuso.

Rastrellamento di un ghetto

Page 35: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

35

e si apprestarono a trasferirsi, ma quando si accorsero che nel ghetto 2 ad attenderli vi erano i soldati lituani era ormai troppo tardi e questi poveri disperati vennero portati alla fucilazione. Le autorità fecero in diverse occasioni ricorso a questi mezzi vergognosi per sterminare la popolazione e noi oggi possiamo renderci conto anche da episodi come questi, quanto fossero subdoli, crudeli e privi ormai di umanità i funzionari e i soldati che ordinarono e che parteciparono a queste azioni. Ma dove venivano portati gli ebrei prelevati dal ghetto di Vilna e condannati a morte? A una decina di chilometri da Vilnius sorgeva una zona collinare, chiamata Ponary o Panierai. Qui i sovietici, in seguito alla spartizione dell’Europa orientale tra le due potenze tedesca e sovietica, fecero costruire degli enormi depositi per l’accumulo di carburante utile al vicino aeroporto militare di Vilna. Quando però nel 1941 i tedeschi invasero la Lituania i sovietici si ritirarono e questi depositi rimasero inutilizzati fino a quando vennero scoperti dai tedeschi che utilizzarono queste enormi cavità nel terreno come fosse comuni. Nel corso dei quattro anni in cui Šur scrive le sue memorie, vennero condotti e uccisi in questo luogo migliaia di ebrei e in qualche caso anche zingari, russi e comunisti lituani. In questo luogo i membri delle Einsatzgruppen si vantavano di aver ucciso 90.000 persone100 per la maggior parte ebree provenienti dalle vicine città lituane..

Gli ultimi ebrei di Vilna furono uccisi pochi giorni prima che l’esercito sovietico facesse il suo ingresso in città, il 13 luglio 1944. Prima di ritirarsi però i tedeschi cercarono di nascondere almeno in parte le prove delle efferatezze da loro commesse e proprio per questo prelevarono ottanta prigionieri e diedero loro il compito di eliminare i cadaveri delle povere vittime qua sepolte. Dovevano quindi esumare i cadaveri, bruciarli, e rinterrare le ceneri. Tredici di questi prigionieri riuscirono ad evadere dai bunker nei quali

erano rinchiusi la notte scavando un lungo tunnel sotterraneo; undici tra questi si rifugiarono tra i partigiani e gli altri due riuscirono ad attraversare il confine. Sopravvivendo a questa terribile esperienza riuscirono poi a raccontare le atrocità di cui erano stati testimoni. Tra coloro che furono costretti a compiere questo terribile lavoro si trovavano anche Motke Zaïdl e Itzhak Dugim intervistati da Lanzmann per Shoah, ne riportiamo la testimonianza:

100 Queste notizie sono riportate con macabra precisione e metodicità nel “rapporto Jäger” stilato appunto da Karl Jäger comandante dell’Einsatzgruppe A che volle annotare l’operato dell'Einsatzkommando 3 in Lituania. Questo rapporto, composto da circa sei fogli, contiene un lunghissimo elenco delle vittime accompagnate graficamente da una bara per rendere più immediato il messaggio

I prigionieri esumano i cadaveri

Page 36: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

36

“Dunque sono loro che hanno esumato e bruciato tutti gli ebrei di Vilnius? Si. All’inizio di gennaio 1944 hanno cominciato a estrarre i corpi. Nel momento in cui hanno aperto l’ultima fossa, ho riconosciuto tutta la mia famiglia. Quali membri della sua famiglia ha riconosciuto?

La mamma e le mie sorelle. Tre sorelle con i loro bambini. Stavano tutte là sotto. Come ha potuto riconoscerle?

Poiché erano rimaste nella terra per quattro mesi ed era inverno, erano in un discreto stato di conservazione. Allora le ho riconosciute dai volti e anche dai vestiti. Erano state uccise in un tempo relativamente recente?

Si. Ed era l’ultima fossa?

Si. I nazisti avevano fatto aprire le fosse secondo un piano preciso: avevano cominciato dalle più vecchie?

Si. Le ultime fosse erano le più recenti, si era iniziato dalle più vecchie, quelle del primo ghetto. Nella prima fossa c’erano ventiquattromila cadaveri. Più si scavava verso il fondo, più i corpi erano appiattiti, praticamente erano una fetta piatta. Quando si tentava di afferrare un corpo, si sbriciolava completamente, era impossibile prenderlo. Quando ci hanno costretti ad aprire le fosse, ci hanno proibito di usare gli attrezzi, ci hanno detto: «Dovete abituarvi a questo: lavorate con le mani!» Con le mani?

Sì. All’inizio, quando abbiamo aperto le fosse, non abbiamo potuto trattenerci, siamo scoppiati tutti in singhiozzi. Ma allora i tedeschi si sono avvicinati a noi, ci hanno picchiati che quasi ci ammazzavano, ci hanno obbligati a lavorare ad un ritmo pazzesco per due giorni, picchiandoci continuamente, e senza attrezzi. Sono scoppiati tutti in singhiozzi.

I tedeschi avevano anche aggiunto che era proibito usare la parola «morto» o la parola «vittima», poiché quelli erano esattamente come pezzi di legno, erano merda, cose assolutamente senza importanza, erano niente. Chi diceva la parola morto o vittima veniva picchiato. I tedeschi ci intimavano di dire, a proposito dei corpi, che si trattava di Figuren, cioè di…burattini, bambole, o di Schmattes, cioè stracci. Era stato detto loro, quando hanno cominciato, quante Figuren c’erano in tutte le fosse?

Il capo della Gestapo di Vilnius ci ha detto: «Qui sono sepolte novantamila persone, e bisogna assolutamente che non ne rimanga più traccia».” Dal momento in cui tutto era pronto, si cominciava a scaricare i materiali infiammabili, e si appiccava il fuoco. Si aspettava che ci fosse un gran vento, e in genere il rogo bruciava per sette, otto giorni.”101 Le esecuzioni in questo luogo, come anche in molti altri, avvenivano in una maniera a dir poco agghiacciante. Le vittime venivano condotte sul luogo dell’esecuzione e fatte spogliare, poi venivano portate, a piccoli gruppi, nelle fosse comuni dove venivano fucilate e ricadevano sui cadaveri sottostanti. Le altre vittime dovevano aspettare il proprio turno anche per ore e ore mentre assistevano impotenti all’uccisione di amici, parenti. Da questo si deduce ancora una volta come i

101 Claude Lanzmann, Shoah, Einaudi 2007, pag. 11, 12, 13-15.

Strada che conduce a Ponary

Page 37: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

37

soldati e gli ufficiali che portavano a termine questi massacri cercavano costantemente di annientare sotto ogni punto di vista, quindi anche moralmente, le proprie vittime. E a questo punto una domanda sorge spontanea: cosa avranno pensato le vittime mentre venivano portate a Ponary e cosa sarà passato loro nella mente mentre assistevano alle esecuzioni dei propri cari? Forse a questa domanda può rispondere la testimonianza di una superstite, Henna Katz, della fucilazione avvenuta tra il 23 e il 24 ottobre del 1941 avvenuta a seguito delle azioni di pulizia condotte dopo l’assegnazione degli scheine gialli. “Giunte a Ponary fummo cacciate nel fossato a suon di frusta. <<È qui che lavorerete!>> disse Weiss, e scoppiò a ridere. Ci ordinò di toglierci anche la camicia e di aspettare il nostro turno. [...] Nel fossato c’erano circa duecento donne e solo qualche bambino. Già in prigione [la prigione di Lukiskis, a Vilnius, che a volte era usata come luogo di transito, prima di portare gli ebrei arrestati a Ponary/Paineriai – n.d.r.] i bambini erano stati separati da noi, ma qualche donna aveva trovato il modo di nascondere i propri figli e ora questi si stringevano alle loro madri. All’inizio tutti gemevano e piangevano, ma a poco a poco calò il silenzio. A circa duecento metri di distanza da noi si stava svolgendo un’esecuzione. Vidi mio padre morire. Prima lo tramortirono con un piede di porco, poi gli spararono. Traboccante di sangue, cadde su una montagna di cadaveri. [...] Verso sera arrivò il nostro turno. Ci condussero a gruppi di dieci attraverso il fossato, verso un’enorme buca, lunga dai trenta ai quaranta metri. Quanto più ci avvicinavamo alla buca, tanto più il fossato si faceva profondo: nel punto in cui sfociava nella buca raggiungeva una profondità di sette metri. Noi passammo per ultime. Arrivò Weiss e ci ordinò di metterci in fila. Aveva con sé un fazzoletto; lo strappò e ne ricavò dieci pezzi, che ci diede per bendarci gli occhi. Io ero la prima della fila, dietro di me c’erano mia madre e mia sorella. <<Mani sul didietro!>> comandò Weiss, e ci condusse avanti. Camminai su dei corpi non ancora freddi. Improvvisamente si levò l’ordine: <<Fuoco!>>. Mia sorella, dietro di me, gridò: <<Oh Dio!>>. Mi sentii mancare; e caddi accanto a mia sorella. Poi persi i sensi. All’alba ripresi conoscenza. Su di me giacevano cadaveri cosparsi di calce viva. Riconobbi mia sorella. Moishele [il figlioletto della sorella – n.d.r.] le stava sul petto, sembrava che dormisse. Riuscii a trascinarmi fuori da quell’ammasso di corpi che mi schiacciavano e mi misi a cercare per

la fossa qualcosa da indossare. Trovai una camicia, me la infilai; mi gettai sulle spalle un vecchio mantello e non avendo altro posto in cui riparare, me ne tornai al ghetto.”102 Una testimonianza di queste fosse si trova anche nel libro di Šur che ci dice: “Gran parte degli ebrei di Vilna e delle città e dei villaggi vicini sono stati massacrati a Ponary, in enormi fosse, un tempo impiegate dall’esercito sovietico per sistemarvi dei depositi di carburate, e ora con l’arrivo dei nazisti, volte ad altro uso. Quando le fosse erano ormai colme di cadaveri se ne scavarono di nuove. Dopo la ben nota provocazione e le

massicce epurazioni del 1941 portarono a Ponary gruppi di decine di migliaia di ebrei, alcuni prelevati direttamente dalle abitazioni, alti provenienti dalle carceri lituane, a piedi i più robusti, gli altri, fra cui donne e bambini, a bordo di camion. In una località boscosa, recintata da filo spinato, trovarono ad attenderli un distaccamento di lituani (partigiani, attivisti, volontari), quasi tutti ubriachi, che iniziarono a schernire in tutti i modi le vittime loro consegnate, a colpirle sul capo con il calcio di rivoltelle e fucili o semplicemente con un randello. Separati gli uomini dalle donne e dai bambini, li spinsero verso le fosse. Là dopo averli fatti spogliare dettero inizio a una violenta sparatoria. Prima di tutti uccisero gli uomini, poi sotto gli occhi delle madri, i bambini, ai quali, per 102 V. Grossman – I. Erenburg, Il libro nero. Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945, Milano, Mondadori, 1999, pp. 363-364.

Page 38: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

38

non sprecare pallottole, fracassarono la testa su un tronco d’albero, mentre i poppanti li affogarono in secchi d’acqua; in ultimo spararono alle donne. Ci fu anche il caso di alcuni che, rimasti in vita, di notte emersero dal mucchio di cadaveri, superarono la recinzione e tornarono in città. Una donna, ferita a una mano, mentre giaceva nella fossa sentì che i lituani ubriachi si chiedevano se mettersi a ricoprire i cadaveri o andare prima a bersi una vodka; infine, usciti dalla fossa si allontanarono. Rivestitasi in qualche modo, anche la donna uscì dalla fossa e si allontanò furtivamente. Aveva lasciato il suo bimbo nella fossa, ritenendolo morto benché non fosse ferito in alcun modo; probabilmente era morto soffocato o era in preda a un profondo svenimento. (La donna ora non può perdonarsi di averlo lasciato là nella fossa). Lungo la strada per la città, incontrata una contadina, le chiese un abito, una falce, un fascio di legna (per nascondere la ferita) e raggiunse così Vilna. Questi scampati hanno raccontato agli altri cosa hanno visto e sofferto.”103 Le condizioni in cui gli ebrei arrivavano al luogo dell’esecuzione erano spaventose. All’interno del ghetto vivevano in condizioni insopportabili. Lo stesso Šur, ci racconta la figlia, viveva in una casa composta da una stanza con finestra, una stanza senza finestra e una cucina, e divideva questa abitazione con 24 persone. Le condizioni in cui viveva la popolazione del ghetto, e tra questi anche Šur, ci vengono perfettamente descritte portando come esempio un appartamento dei lavoratori fortunati della fabbrica di pellicce Kailis. Questo appartamento era composto da due stanze più cucina. Nella cucina di cinque metri per tre vivevano sedici persone, ognuno si era ricavato nel poco spazio disponibile un giaciglio e questi erano divisi uno dall’altro da tende e stracci che avrebbero dovuto fornire un minimo di intimità a queste povere persone. Molte volte accadeva che perfetti sconosciuti si ritrovassero a dividere lo stesso letto. La finestra era sempre aperta perché l’aria all’interno, tra l’afa prodotta da tutte queste persone e il fumo che usciva dalla stufa, era irrespirabile. Molte persone erano malate e, vivendo a strettissimo contatto con le altre, il rischio di contagi era

altissimo. In ognuna delle altre due stanze vivevano fino a dieci persone, ammassate le une sulle altre. Tutti parlavano ad alta voce e il rumore così creato era insopportabile, soprattutto alla sera quando l’appartamento ospita anche i lavoratori che durante la giornata sono fuori casa. In tutte e tre la stanze pareti e soffitti avevano un colore scuro ed erano impregnati di umidità e di sporcizia; i pavimenti invece erano coperti di pozze d’acqua, soprattutto nelle vicinanze del rubinetto. L’unica fonte di riscaldamento era costituita da una stufa che non serviva a molto dal momento che finestre e porte avevano spesso i vetri rotti. L’ultimo capitolo che Šur ci lascia nei suoi scritti racconta l’azione più vergognosa, crudele, terribile compiuta dai membri della Gestapo: il rapimento dei bambini. Il 27 marzo del 1944 venne organizzata in gran segreto dai capi della Gestapo un’azione che prevedeva l’uccisione di tutti i bambini del ghetto. Anche i soldati lituani e tedeschi che dovevano portarla a termine vennero tenuti fino all’ultimo all’oscuro di tutto. Venne

annunciato che quel giorno tutti i bambini dovevano presentarsi all’ospedale per una visita medica ma arrivati sul luogo, i più piccoli

103 Grigorij Šur, op. cit., p. 76, 77.

Abitazione nel ghetto di Vilna

Page 39: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

39

accompagnati dalle madri, capirono che qualcosa non andava poiché giunse un camion con il reparto speciale lituano. “La banda degli esecutori armati fece irruzione nell’ospedale. (…) I bambini, terrorizzati, iniziarono a piangere, le madri a urlare. (…) iniziarono a far uscire dal locale i bambini e a farli sedere in alcuni camion arrivati nel frattempo; vi sistemarono anche i malati portati a braccia dall’ospedale. Subito gli automezzi si mossero uno dopo l’altro; non vi fecero salire le madri che volevano restare coi loro bambini ma solo quelle che si erano mostrate disposte ad abbandonarli. Alcuni bambini riuscirono a salvarsi (…). Durante il rapimento dei bambini, nella fabbrica Kailis erano state installate alcune mitragliatrici, gli ingressi e le uscite erano presidiati da poliziotti lituani armati. I lavoratori capirono subito che qualcosa stava accadendo ai loro figli, benché non sapessero con esattezza cosa. Nonostante tutti i divieti, erano pronti a precipitarsi nei blocchi per seguire i loro ragazzi fino alla fucilazione, se questi fossero stati prelevati ma tutte le vie erano sbarrate. Seppero in dettaglio cosa era accaduto quel giorno solo quando rientrarono dal lavoro.”104 Si può immaginare lo stato d’animo che s’impossessò dei lavoratori dopo quella scoperta. I tedeschi erano riusciti nel loro intento cioè quello di annientare gli ebrei, sia fisicamente ma soprattutto moralmente. Durante questa azione venne preso e ucciso anche Aron, il figlio tredicenne di Šur. Di lui non abbiamo alcuna notizia poiché il padre non ne fa riferimento nelle sue memorie, ma possiamo immaginare quanto, dopo questi avvenimenti sia rimasto sconvolto Šur. Qua si conclude il suo diario poiché pochi giorni dopo venne portato nel lager di Stutthof105 da dove venne caricato con altre centinaia di prigionieri su chiatte che vennero affondate in mare aperto. Si ricorda però che fino alla fine Šur aveva mantenuto il suo carattere forte e coraggioso poiché cercava in ogni modo di incoraggiare e confortare i suoi compagni di prigionia. E questo ci porta ancora una volta a riflettere sulla straordinarietà di questo uomo; come si fa a trovare la forza di continuare a combattere per vivere? Dopo tutto quello che aveva sopportato: escluso dalla società e recluso in un ghetto, costretto a lavorare come schiavo per i propri nemici, gli stessi che gli distruggono la sua comunità, la sua vita e la sua famiglia; eppure lui non si arrende, continua a farsi forza e a sperare, un giorno, di tornare a vedere nuovamente la vita e la libertà. Purtroppo il suo desiderio non viene ascoltato e esaudito, come molti trova la morte ad attenderlo pochi giorni prima che i tedeschi vengano sconfitti. Tuttavia le sue memorie sono rimaste, possiamo leggerle ancora noi oggi, ed è proprio per questo che, in un certo senso, il desiderio di Šur si è avverato; voleva, come tanti altri che hanno scritto di queste atrocità, che venissero ricordate per non ripeterle. Per cui ringraziamo questo uomo, il suo coraggio, la sua forza d’animo, la sua costanza. Šur non verrà mai dimenticato.

104 Grigorij Šur, op. cit., p. 190, 191, 192 105 Il Lager di Stutthof,costruito da detenuti polacchi dopo l'invasione nazista in Polonia, nelle vicinanze del villaggio di Sztutowo(circa 30 km da Danzica) inizialmente era adibito solo a campo di lavoro. Con l'evolversi degli eventi,divenne un vero e proprio campo di sterminio, dotato di camere a gas con una capacità di 150 persone alla volta. In seguito per riuscire ad eliminare un numero maggiore di prigionieri(polacchi, civili, marinai e militari sbandati rastrellati nella zona, lettoni, lituani norvegesi, belgi, russi, ungheresi e zingari) molti venivano uccisi con raffiche di mitra ancor prima di entrare nel lager. Il Lager di Stutthof fu mantenuto in funzione fino al 25 gennaio 1945,quando con l'incalzare dell'avanzata delle armate russe,costrinsero l'evacuazione. Più di 25.000 deportati furono avviati a marce forzate, nel pieno dell'inverno, verso altri campi,dove giunsero solo alcune centinaia di larve umane stravolte dalla fatica e dalla paura. Nei cinque anni della sua esistenza i deportati furono circa 127.000, fra i quali 85.000 vi trovarono la morte.

Page 40: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

40

Scacco Perpetuo

Icchokas Meras

di Silvia Baccaro

Page 41: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

41

Ad un primo impatto questo libro è la testimonianza di un abitante del ghetto di Vilnius durante i giorni della sua liquidazione. Proseguendo, invece, ci rendiamo conto che l’intera storia è basata su una metaforica partita a scacchi. L’autore, infatti, utilizza la metafora degli scacchi fino alla fine del racconto, dove le mosse dei due giocatori simboleggiano la scansione delle varie morti all’interno del ghetto. Il gioco degli scacchi diventa la metafora della vita e della morte, eterna partita per posticipare il più possibile il termine finale, per sfruttare al massimo ogni mossa. Da questo si deducono gli anni in cui si svolge il racconto, ovvero quelli della liquidazione del ghetto, che, così come capita nella scacchiera, mano a mano si svuota sempre di più. Scacco perpetuo può appartenere a vari generi letterari: può essere definito come testo narrativo per via della predominante metafora, oppure come un’autobiografia in quanto Meras ha vissuto in prima persona l’esperienza del ghetto, o può essere ancora visto come un diario poiché i giorni sono scanditi dalle mosse della partita giocata dai due avversari Schoger e Isaac, ma può essere visto anche come romanzo, libro della memoria, un pezzo di storia, testimonianza. L’autore, Icchokas Meras, nasce nel 1934 a Kelmé, in Lituania. Dopo aver trascorso un periodo della sua vita all’interno del ghetto di Vilnius, a sette anni, mentre era avviato alla morte assieme ad altri bambini lituani ebrei, il 28 luglio 1941 viene salvato e nascosto da una famiglia di braccianti lituani e a soli nove anni è costretto a sopportare l’uccisione dei genitori, fucilati durante la grande liquidazione del ghetto del 23 e 24 settembre 1943. Finita la guerra, quel bambino oramai adolescente iniziò a raccontare e a scrivere soprattutto dei ricordi d’infanzia e dell’esperienza della Shoah, introducendo per la prima volta tale tematica nella letteratura lituana. Soltanto molti anni dopo, nel 1972, oramai uomo maturo, riuscì ad ottenere un visto e poté emigrare in Israele. Scacco perpetuo è l’unica sua opera di cui abbiamo la traduzione in italiano: Meras rimane uno scrittore quasi del tutto sconosciuto nella nostra cultura, mentre in Lituania è considerato uno dei più grandi esponenti della letteratura lituana. Il libro di cui trattiamo è stato scritto nel suo paese d’origine vent’anni dopo l’esperienza del ghetto, ovvero nel 1963. Infatti, vi è una completa rielaborazione dei fatti; Meras vuol far scaturire l’immagine di un popolo ebraico che si ribella al nemico e che cerca di sfuggire alla morte, quando purtroppo sappiamo benissimo che, negli anni dello sterminio, gli ebrei si sono trovati intrappolati in una morsa che li ha portati alla morte senza alcuna possibilità di ribellione. L’intera vicenda si snoda all’interno del ghetto di Vilnius, nell’ultimo anno, durante le ultime selezioni per la liquidazione del ghetto. Protagonista del romanzo è il diciassettenne ebreo Isaac, detto Izia; un giovane molto abile nel gioco degli scacchi. Isaac, per quanto giovane ed impotente, viene caricato di un’enorme responsabilità dal perfido ufficiale tedesco Schoger. L’intera vicenda è avvolta attorno ad una fantomatica partita a scacchi tra i due, dal cui risultato dipendono innumerevoli vite. Data la destrezza di Izia in questo gioco, Schoger lo pone davanti a delle scelte drammatiche: di vincere o di perdere, di vivere o di morire, di essere ricordato, o forse dimenticato, come un eroe o come un vigliacco. Nel caso in cui il ragazzo concludesse vittoriosamente la partita, i bambini all’interno del ghetto avrebbero la possibilità di rimanere accanto ai loro genitori, con la conseguenza però della morte di Isaac, se invece la partita fosse vinta dall’ufficiale Schoger, Izia continuerebbe a vivere ma tutti i bambini del ghetto sarebbero portati a Ponary e lì fucilati. C’è infine un’ultima possibilità, “la patta”106 ritenuta pressoché impossibile da Schoger che così si rivolge al padre del suo avversario, Abraham Lipman: «Tu non capisci niente degli scacchi, Lipman. Tuo figlio non mi avrebbe mai posto una simile

106 “Patta” è il termine con cui nel gioco degli scacchi si indica una partita terminata in parità. Ciò può avvenire sia per il reciproco accordo dei giocatori che decidono di porre fine alla sfida ritenendo che non sia possibile costringere l'avversario alla sconfitta, sia per situazioni oggettive previste dal regolamento che vengono a verificarsi durante la partita e che devono essere portate all'attenzione dell'arbitro da parte del giocatore che in quel momento ha il tratto per pretendere l'immediata sospensione della partita. E’ dunque evidente che tra Isaac e Schoger non potrà finire in questo modo.

Page 42: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

42

domanda. E’ molto più difficile pattare che vincere o perdere. No, non ci sarà la patta. Ma va bene, voglio essere magnanimo, Lipman: Se è patta… Se tuo figlio riesce a pattare, lui resterà in vita e i bambini nel ghetto. Sei soddisfatto?»107. La sfida è dunque terribile e forse troppo grande per il giovane Isaac. Durante le cinquantadue mosse che precedono il finale, prende forma un vero e proprio romanzo attraverso dei flashback cinematografici sui ricordi di Isaac della sua vita all’interno del ghetto. La prima immagine donataci dalla mente del ragazzo, è quella di Ester, la ragazza con i capelli del color del lino e i grandi occhi azzurri, per la quale nutre un forte sentimento, da sempre. “Lo sapete voi come brilla il sole in primavera? Voi probabilmente non lo sapete come brilla. Del resto come lo potreste sapere, se non avete mai visto il sorriso che illumina il volto di Buzia. Il sole in primavera brilla come il sorriso di Buzia, e il suo sorriso è radioso come il sole in primavera”108. La prima volta che Izia vide Ester camminare per le strade del ghetto con le sue amiche, non riuscendo più a distogliere il suo sguardo da lei ed ignorando il suo nome, si ricordò del primo libro che lesse da bambino, il “Cantico dei Cantici”109, e alla sconosciuta diede il nome della protagonista, Buzia, tenendo per sé il nome di Shimek. Cinquantadue mosse separano il giovane ebreo da una drammatica sorte, durante le quali le pedine diventano la personificazione delle sorelle e dei fratelli di Izia, che, così come negli scacchi, uno ad uno vengono eliminati. Ogni morte viene preannunciata con una frase, all’inizio del capitolo, del padre, Abraham Lipman, dalla quale partirà una nuova storia, indipendente dal resto del racconto; «Ho generato una figlia, Rachel… un figlio, Kasriel…una figlia, Riva… una bambina, Teibele…». Assisteremo a storie di coraggio, di resistenza al nemico, di gravidanze forzate, di armi portate di nascosto dentro il ghetto. La prima storia è quella che riguarda Ina Lipman. Ina era una cantante, piuttosto conosciuta in Lituania prima dell’avanzata tedesca. Una sera, la donna, venne fatta uscire dal ghetto per un’ora da un ufficiale cèco molto disponibile nei confronti degli ebrei del ghetto. Una volta uscita Ina si truccò leggermente e si recò a casa della sua migliore amica, che ormai non vedeva da anni, la quale le offrì un pacchetto di piselli secchi. Quando Ina si incamminò alla volta del ghetto, vide che alla porta, insieme all’ufficiale cèco c’era anche Schoger, che pochi giorni prima, al ritorno dal lavoro, le aveva detto: “Per me, lei, egregia signora, non esiste. Che lei sia viva o morta, me ne frego. Quello che mi disturba è la sua voce, fino a che non ci avrò messo le mani sopra. Ma penso che prima o poi finirà per succedere, e allora non potrà farci niente.”110 Così arrivò per Ina il momento di essere punita per la sua trasgressione, per essere uscita dal ghetto, per essersi truccata e per aver introdotto all’interno del ghetto un sacchetto di piselli secchi. La seconda storia è quella di Rachel. Era una giornata calda e afosa d’estate; Rachel si trovava nell’ospedale del ghetto, cinque giorni dopo la nascita del suo bambino. Alla giovane madre, poco tempo prima avevano portato via figlio e marito, entrambi fucilati a Ponary. Nella sua stessa stanza d’ospedale vi è una giovane ragazza di diciotto anni, Lisa, anche lei madre da pochi giorni, molto silenziosa e riservata. Entrambi i neonati avevano capelli bianchi e occhi grigi. Le due donne erano state messe incinte artificialmente dai tedeschi per fare esperimenti sui neonati, Rachel, allora, premette il cuscino sul bambino fino a soffocarlo, senza piangere perché ormai senza lacrime.

107 Icchokas Meras, Scacco perpetuo, La Giuntina, 2007, p. 167 108 Op. cit., p.8 109 Si fa riferimento al Cantico dei Cantici di Sholem Aleichem. Questa storia ci giunge da un mondo ormai scomparso, quello degli Shtetl, i villaggi ebraici dell'Europa dell'Est cancellati dal nazismo.Sholem Aleichem racconta la storia d'amore tra due ragazzi, Shimek e la sua nipotina coetanea Buzi, che vive con lui e i suoi genitori dopo la morte del padre. A scuola Shimek apprende il Cantico dei Cantici di Re Salomone, e quelle parole d'amore, ripetute ogni giorno, lo legano ancor più alla dolce Buzi, sua compagna di giochi e di fantasie infantili, che diventa quasi una cosa sola con la Shulamith del Canto. Ma il tempo circolare che i due ragazzi vivono come un ciclo che si ripete, da Pesach a Pesach, si interrompe quando Shimek lascia la casa paterna per studiare in città. Solo una lettera del padre con l'annuncio del fidanzamento di Buzi risveglia l'affetto di un tempo e Shimek torna a casa nello shtetl, per trovare tutto come prima. 110 Op. cit., p.27.

Page 43: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

43

La terza “figlia” su cui s’incentra un nuovo breve racconto prende il nome di Bassia. Bassia era bellissima, la sera, quando la gente tornava dal lavoro, lei si cambiava e usciva per le strade. Aveva una camicetta rossa scollata e una gonna scura, aderente e corta. Ogni sera, mentre il buio s’infittiva, Ruva, un ragazzo di diciassette anni, la seguiva per le strade del ghetto. Bassia sapeva di essere seguita, ma la cosa non la turbava. “Lei viveva la sua vita, come lei la intendeva; lei non voleva che neanche una giornata andasse perduta, perché tutta la sua vita […] doveva viverla in un anno. O anche in sei mesi, o ancora meno”111. Ruva spariva nel momento in cui, come ogni sera, Bassia incontrava il caporale Hans Rosing, che la trascinava in un androne per farle discorsi infiammati. Anche se non lo vedeva, Bassia sapeva che Ruva era nelle vicinanze, nel caso in cui avesse avuto bisogno d’aiuto. Quella sera Hans la portò nell’androne e le propose di fuggire con lui in Italia, dove si sarebbero sposati. Bassia accettò sorridendo e, guardandolo con i suoi occhi da gatta, gli disse di essere felice, di essere felice che lui non fosse il primo uomo che aveva provato, perché per lui non avrebbe potuto provare mai niente. Hans Rosing iniziò a schiaffeggiarla ed insultarla. Allora corse in suo soccorso Ruva, che in tutto quel tempo era rimasto lì vicino ad osservarla, e cacciato Hans e si fece portare da Bassia in un suo nascondiglio dove si recava spesso per pensare e stare da sola, dove i due si amarono. Kasriel era l’altro figlio maschio di Abraham Lipman assieme ad Isaac. Una sera egli fu chiamato nell’ufficio di Schoger, perché gli svelasse dove gli ebrei del ghetto nascondessero le armi. Entrato nel suo ufficio gli venne offerto cognac francese, birra cèca, vodka russa e una bella ragazza polacca di nome Jadzia. Kasriel non parlò e Schoger colpì con il calcio della pistola le sue mani, facendo diventare le sue unghie viola e dandogli una settimana di tempo per tornare nel suo ufficio e confessare il tutto sotto tortura. Una volta uscito Kasriel va a parlare con il padre: “Padre, dì ai ragazzi di nascondere le armi da qualche altra parte. E dì a tutti quelli che hanno portato le armi dentro al ghetto di nascondersi. Tra sei giorni, di notte, andrò di nuovo da Schoger. Lui mi taglierà le dita e io dirò tutto.”112 Passano i sei giorni, Schoger è nel suo ufficio ad attendere impazientemente Kasriel, assieme al solito cognac francese, alla birra cèca, alla vodka russa ed alla bella Jadzia, ma il giovane ebreo, nel silenzio, viene ucciso. “Ho generato una figlia, Riva.”113 Riva e Antanas si conoscevano da un mese quando lui la portò in un rifugio fuori dal ghetto, vicino all’ansa del ruscello; era una casa minuscola composta da un ingresso e una stanzetta. Riva dormiva profondamente quando Antanas si rese conto dell’arrivo dei tedeschi. Ognuno di loro due aveva un mitra, sette caricatori, una pistola e una granata; lasciarono avvicinare i tedeschi al rifugio e, al momento più adatto, iniziarono a sparare dalle finestre e dalle feritoie. Il combattimento durò a lungo, fino a che i due rifugiati lanciarono le granate, costringendo così i tedeschi ad arretrare. Entrambi sapevano che sarebbero tornati, infatti poco dopo fu così, ed entrambi ritrovarono ben presto la quiete. La storia più straziante è quella che riguarda la figlia più piccola di Abraham Lipman, Teibele, di soli nove anni. La bimba era stata affidata dal padre ad una famiglia cristiana che abitava fuori dalle mura del ghetto, nella speranza di proteggerla dallo sterminio. L’avvocato Jonas Klimas e sua moglie Ona Klimiene, da quindici anni cercavano di avere un figlio ma senza alcun risultato; quando finalmente Ona riuscì a mettere alla luce un erede, si ritrovarono con una figlia già cresciuta, Teibele, ed un’altra bambolina in fasce. Sette giorni dopo la nascita della bimba, i tedeschi portarono via Jonas e Ona Klimas assieme alla piccola Teibele. “[…] in città, dove non c’era il muro del ghetto, tre impiccati penzolavano in mezzo alla grande piazza: due adulti e una bambina […]. Erano già due giorni che penzolavano, ma era proibito tirarli giù. Dei cartelli erano stati attaccati ai corpi di Jonas e Ona Klimas […]. Sui cartelli, in tedesco e in lituano, avevano scritto “Hanno nascosto un ebreo”114.

111 Op. cit., p.68 112 Op. cit., pp. 101-102. 113 Op. cit., p.119. 114 Op. cit., p.144.

Page 44: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

44

La neonata fu nascosta dalla governante, la vecchia Bronislawa. La bambina piangeva e voleva il latte, ma sua madre penzolava in mezzo alla grande piazza. La Bronislawa, la sera stessa, affidò la piccola ad Abraham Lipman, disperato per la morte della figlia Teibele, il quale la portò dove era stata nascosta Lisa, la ragazza di diciotto anni, messa incinta artificialmente dai tedeschi, scappata dopo aver abbandonato il suo bambino di pochi giorni nelle mani di Rachel Lipman, non preoccupandosi minimamente delle sue sorti. Il petto di Lisa era gonfio di latte materno, al quale la bambina si attaccò golosamente fra le lacrime della giovane madre. Nel concludere il racconto, Meras, non vuol esprimere esplicitamente quali saranno le sorti del giovane Izia, ma possiamo facilmente dedurle nel momento in cui, all’inizio del penultimo capitolo, il padre, Abraham Lipman, si appresta a ripetere la frase di rito «Ho generato un figlio, Isaac»115. Il giovane Isaac, con l’ultima mossa, ha scelto di morire lui per salvare i bambini del ghetto. Il libro si conclude con un simbolico atto di eroismo, il sacrificio della vita del giovane protagonista ebreo. Ma purtroppo la storia, quella vera, non è andata così: i bambini del ghetto di Vilnius sono stati tutti uccisi dai nazisti116. Schoger non ha dunque tenuto fede ai patti del gioco; ma d’altronde per il nazista la partita era un gioco crudele in cui non si rispettava nessuna regola. Gli ebrei erano destinati tutti a morire. Ma con Isaac che sceglie di morire c’è tutta la dignità del popolo ebraico che non si lascia umiliare dal tedesco che lo vorrebbe ai suoi piedi a supplicarlo per lasciarlo vivere.

115 Op. cit., p.158. 116 Negli ultimi mesi del 1943 si procedette alla liquidazione del ghetto di Vilna; nel settembre venne ordinato a tutti gli ebrei di presentarsi per la partenza per i campi di lavoro. La maggior parte venne selezionata e mandata a morire a Ponary, un piccolo gruppo rimase nel campo di lavoro di Kailis. Nel marzo del 1944, quando ormai le truppe sovietiche erano vicine, si decise di liquidare anche il campo di Kailis. Si partì dai bambini: con la scusa di sottoporre i bambini del campo a visita medica, i tedeschi li prelevarono dal campo la mattina e alla sera i genitori non li trovarono più. Tutti i bambini e i ragazzini erano stati massacrati nel bosco di Ponary.

Page 45: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

45

Questa bambina deve vivere

Giorno per giorno come siamo sopravvissute all’Olocausto

Helene Holzman

Helene Holzman con le figlie, Margarete (a sinistra) e Marie, 1929 circa.

Di Roberta Capobianco

Page 46: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

Questo libro parla delle atrocità subite dagli ebrei nella città di Kaunas, in Lituania, tra gli anni 1941 e 1944. Non è un diario poiché scritto tra il settembre 1944 e l’agosto 1945, quando ormai l’esercito tedesco era in ritirata dai territori sovietici. Sono quindi dei ricordi scritti nell’immediatezza degli avvenimenti, ma forse già rielaborati nella memoria dell’autrice. Si tratta, più precisamente, di settecento pagine raccolte in tre quaderni nei quali l’autrice vuole renderci partecipi delle atrocità subite da lei, dalla sua famiglia, dalla città di Kaunas e più in generale dalla comunità ebraica, da parte dei nazisti. Il primo quaderno va dall’invasione tedesca, quando la famiglia Holzman è in procinto di trasferirsi a Vilnius, fino a fine ottobre 1941, con l’uccisione della figlia Marie Holzman e delle vittime della “grande azione”. Il secondo quaderno riprende il primo e va dall’autunno 1941, con il capitolo d’apertura intitolato “questa bambina deve vivere”, fino al temporaneo cessato massacro degli ebrei esattamente un anno dopo. Infine il terzo quaderno va dall’inverno ’42-’43, con le nuove dimostrazioni di crudeltà dei tedeschi, fino alla fine dell’occupazione nazista il 4 agosto 1944. All’interno di queste pagine di memoria vi sono varie testimonianze di persone che hanno subito direttamente orrendi trattamenti; infine nelle ultimissime pagine del libro troviamo la dichiarazione di una donna, Tolja Szabszewicz, che probabilmente è una delle più belle che ci siano nella storia di questa strage, ma è anche la più terrificante, travagliata e sofferta117.

Queste memorie non sono state pubblicate da Helene stessa ma, nel 1990, dalla figlia minore, Margarete, e da Reinhard Kaiser118 anni dopo la morte di Helene avvenuta nel 1968, in seguito a un incidente stradale. Helene dopo gli avvenimenti che hanno segnato la sua vita, inizia a scrivere le memorie sui suoi quaderni...ognuno di noi potrebbe chiedersi: come ha fatto una persona che ha visto tutte queste cose a trovare il coraggio per scriverle successivamente? La risposta reale è difficile da trovare, tuttavia possiamo ipotizzare che abbia sentito la necessità di raccontare per testimoniare l’orrore vissuto e per lasciare nelle pagine dei suoi quaderni il ricordo ancora vivo della figlia e del marito. Può averle dato la forza di scrivere anche l’altra figlia che le era rimasta, quella bambina che doveva ancora vivere.

Helene Holzman è una donna coraggiosa che riesce a sopravvivere nell’inferno della Lituania occupata dai nazisti, insieme alla figlia minore Margarete, dopo che le sono stati uccisi il marito e la figlia maggiore. Il suo coraggio si allarga anche alle vite degli altri, di tutti coloro che lei cerca di salvare dall’ondata dei massacri nazisti: essendo tedesca riesce a vivere fuori dal ghetto, ma avendo il marito ebreo ha anche la possibilità di introdursi al suo interno per creare collegamenti o salvare ebrei, ed è proprio grazie all’opportunità di entrare e uscire “liberamente” dal ghetto che può confrontare la differente realtà che la circonda, osservando in modo attento e partecipe il mondo di dolore che la circonda. Helene, insieme ad altre donne coraggiose, si prodiga rischiando quotidianamente, per salvare più vite possibili. Molte delle sue compagne saranno arrestate e uccise, ma lei riuscirà a sopravvivere

117Tolja Szabszewicz fu prigioniera dei tedeschi da quando invasero la Polonia (all’epoca aveva tredici anni), fino al 1944 quando l’armata della morte si ritirò, passando da un ghetto all’altro, da un lavoro pesante a uno ancora peggio, da una situazione pietosa a una insopportabile. Tolja era una conoscente di Helene, che si presentò a casa loro nel giugno del 1945, e così raccontò alle donne Holzman la sua tremenda storia. Riuscì a sopportare torture e umiliazioni che nessuno di noi oggi potrebbe immaginare, con una forza d’animo e uno spirito commoventi. 118 Reinhard Kaiser nasce nel 1950 e vive a Francoforte facendo lo scrittore e il traduttore. Una delle sue opere più famose è “Baci di carta”, con il quale ha ottenuto il Deutscher Jugendliteraturpreis nel 1997; conosce Margarete Holzman proprio durante le ricerche per il libro.

Page 47: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

47

con alcune di esse con le quali continuerà i salvataggi fino a riuscire a vedere, in quel fatidico giorno del ’44, la luce della libertà. Helene Czapski (sposata Holzman) è tedesca di nascita e di educazione. E’ nata a Jena nel 1891, terza figlia di una numerosa famiglia, cresciuta con un’educazione cristiana, seppur con una lontana origine ebraica che non peserà minimamente nella sua formazione. Helene è una pittrice brava e affermata, conosciuta negli ambienti degli artisti di Jena; è insegnante sensibile e appassionata di disegno ed arte. In questi ambienti di artisti conosce il marito, Max Holzman, ebreo tedesco, con il quale si trasferirà in Lituania. Il giovane Max si era “innamorato” di Kovno quando vi aveva soggiornato durante la prima guerra mondiale: l’atmosfera intellettuale e libera della città lo avevano affascinato. Nel 1922 si sposano e hanno due figlie, Marie e Margarete. A Kovno la famiglia possiede una libreria che diventa famosa per i suoi libri rari; tuttavia l’occupazione dell’Armata Rossa nel 1940 e la trasformazione del paese in una Repubblica Socialista Sovietica segnano la fine della libreria, che viene espropriata e chiusa. Max Holzman cerca disperatamente lavoro e lo trova a Vilnius. Ma le persecuzioni contro gli intellettuali borghesi colpiscono la famiglia e non li aiuta nemmeno il fatto che la figlia maggiore sia attiva nella Komsomol, un’organizzazione giovanile comunista; presto finiscono nella lista delle persone da deportare in Siberia. Ma l’occupazione tedesca travolge gli eventi e gli Holzman passano dalla mani di un persecutore all’altro: infatti i nazisti appena entrati in Kovno danno il via libera ai primi terribili pogrom spontanei e di lì a breve gli ebrei saranno rastrellati e uccisi o rinchiusi nel ghetto con la collaborazione degli stessi partigiani, e cittadini lituani, impassibili dinnanzi ai terribili massacri che di li fino al ’44 invaderanno la loro stessa città. “Nessuno di noi ebbe il presentimento che quella sarebbe stata l’ultima ora felice che avremmo trascorso insieme.”119 Helene nelle prime pagine dei suoi ricordi scrive questa dolorosissima frase a conclusione della descrizione del viaggio di ritorno a Kaunas: il giorno seguente le prime bombe tedesche cadevano sulla città. La guerra era iniziata ed erano finiti i giorni felici della sua famiglia Il giorno dopo, il 20 giugno 1941, inizia l’occupazione tedesca in Lituania, fino ad arrivare allo spaventoso 24 giugno, giorno dell’entrata in città dell’armata nazista. Helene nelle primissime pagine ci dice come già da tempo la sua famiglia e i suoi amici temessero l’occupazione tedesca: dai parenti in Germania arrivavano notizie terribili sul nazionalsocialismo e sull’antisemitismo in atto. Il 25 giugno Marie e Max vengono arrestati da un partigiano, ex collega di Marie, che l’aveva identificata in quanto comunista. Tre giorni dopo Marie viene rilasciata poiché tedesca. Helene si prodiga in disperati tentativi per liberare il marito, ma nessuno sembra sapere dove si trovi, oppure non è disposto ad aiutare l’eroica moglie; si rivolge anche ad avvocati e notai influenti nella comunità di Kaunas e amici del signor Holzman, ma alla fine le autorità non libereranno il marito nonostante le promesse di un suo ritorno dalla famiglia. Durante questi innumerevoli tentativi, Helene si imbatte nei primi pogrom incitati da tutta la popolazione; “si udirono anche voci che davano sfogo alla propria indignazione di fronte a tanta bestialità. <Una vergogna per la Lituania!> osarono dire dei coraggiosi, ma vennero subito azzittiti”120.

119 Op. cit., p. 11. 120 Op. cit., p. 26

Page 48: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

48

Qualche giorno dopo, in una bottega nei pressi del VII Forte121, Helene apprende improvvisamente da un gruppo di partigiani che suo marito è stato ucciso con altri ebrei, fucilato nei primi giorni dell’occupazione. La famiglia Holzman è distrutta e può solo cercare di restare unita; tuttavia lo spirito impavido, libero e ottimista della figlia Marie la portano a compiere atti che la condurranno alla fine. Marie era un’attiva comunista; con altri giovani idealisti122, fin dall’occupazione nazista, intratteneva conversazioni con soldati negli ospedali militari e con civili, predicando gli ideali della pace e della non violenza. Il loro scopo era che la gente si rifiutasse di combattere: solo così i tiranni non avrebbero potuto avere la meglio; “Il cuore di Marie, che ferveva sempre d’entusiasmo, era profondamente influenzato dal nuovo compito: pace, riconciliazione, amore […] è animata dall’impulso dell’azione, dall’idealismo e dalla voglia di vivere, propri della giovinezza […] Non approvava il monito di sua madre che le raccomandava di essere prudente. <Così non si otterrà mai qualcosa di importante. La tenace lotta dei miti, dei disarmati, di coloro che amano e comprendono: odio e presunzione nazionalistica non sono destinati a svanire se sospinti dall’eterna idea della redenzione?>”123.

Marie e Max Holzman, 1940 circa. Marie, a mio avviso, è uno dei personaggi più belli che mi sia mai capitato di incontrare in una lettura; questa estrema voglia di vivere, questa infinita speranza, questa combattività la rendono una persona interessantissima e splendente nello scenario di una Lituania rassegnata al dominio straniero. Inoltre anche questa frase che pronuncia la nostra coraggiosa giovane è stupenda perché in poche parole chiare riesce magnificamente a spiegare le sue idee, le sue speranze, le sue paure, il suo scopo! Molti furono attratti da quella sfolgorante gioia di vita e speranza di cui era dotata Marie e si schierarono subito dalla parte sua e degli idealisti che, come lei, combattevano per un mondo libero e migliore. Il 4 Agosto 1941 Marie, all’età di diciannove anni, viene nuovamente arrestata per non fare mai più ritorno a casa. La madre ricomincia così il travaglio di visite, suppliche, istanze per liberare la figlia così come aveva fatto per il marito, con la differenza però che almeno sa dove tengono prigioniera la figlia; infatti ogni giovedì, per tre mesi insieme a Margarete la andrà a trovare in prigione portandole cibo e biancheria all’interno della quale nasconderanno brevi ma intense lettere che si

121 VII, IX, IV, sono tutte fortezze che furono costruite all’epoca della prima guerra mondiale dall’esercito zarista, che vengono adibite, negli anni dell’invasione tedesca, a luoghi di esecuzione. 122 Fra questi figura Viktor Kutorga, un giovane medico che pare sia stato il ragazzo di Marie; spesso compare nel libro poiché aiutò in molte occasioni Helene tenendola in contatto con la figlia prigioniera, prima, e successivamente anche con altri detenuti o persone che abitavano nel ghetto. Viktor è figlio di Elena Kutorga, famosa oculista che salvò molti ebrei del ghetto di Kaunas; anche lei è spesso citata nell’opera, e conoscerà l’autrice personalmente menzionandola anche in una nota del suo diario (Vedi capitolo su Il libro nero) 123 Op. cit., p. 31-32-34

Page 49: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

49

scambiano per sentirsi più vicine e sopportare meglio il dolore. Marie sarà fucilata a fine ottobre insieme ad altri prigionieri. Ma torniamo alla situazione della popolazione ebrea di Kovno. Il 10 luglio 1941 venne ordinato che entro il 15 agosto tutti gli ebrei avrebbero dovuto trasferirsi nel ghetto di Vilijampole, a nord della città, costituito da un insieme di casupole povere di legno; molti lasciarono i loro beni negli appartamenti o li vendettero o li affidarono ai loro domestici in cambio di cibo; ma la maggior parte dei loro averi e delle abitazioni divennero subito di proprietà dei tedeschi e dei partigiani lituani. Inizia così il trasferimento in massa nel sobborgo cittadino, che arrivò a contare quarantacinquemila ebrei: da subito molti di essi vennero impiegati per lavori infimi e molti altri uccisi, tormentati, picchiati, derubati a dimostrazione che i tedeschi e i lituani non avevano alcun rispetto per loro e li consideravano solo bestie; tuttavia un piccolo numero di soldati semplici, ufficiali e persone qualunque dimostrarono la loro umanità per i prigionieri del ghetto e si opposero agli ordini, oppure furono meno rigorosi nell’applicarli. Anche Helene avrebbe dovuto trasferirsi nel ghetto in quanto moglie di un ebreo e, di conseguenza, anche la figlia allora diciassettenne. “Ci annientano, ci annientano completamente. Secondo il decreto affisso in ghetto anche noi avremmo dovuto trasferirci lì. Ora, per inosservanza, ci attendeva l’annunciata pena severissima”124, dice Helene spaventata per la violazione terribilmente pericolosa che lei e la figlia stavano commettendo. Iniziano così a cercare un nascondiglio adatto, in attesa del giorno di scadenza massimo previsto per il trasferimento (15 Agosto). Anche questa volta si rivolge ad Algirdas125, il quale la mette in contatto con una donna, Natascia Feodosewna, proprietaria di una casa che divide con altre due donne: Natascia Jegorova (detta “la cinese”) e Ludmilla, una vecchia conoscenza e amica degli Holzman, gravemente malata. Queste donne accolgono Helene e Margarete, che rimarranno nel nascondiglio sicuro per circa due settimane, fino a quando le acque si calmarono. Spesso, tuttavia, venivano esortate a lasciare la città, ma non lo avrebbero mai fatto per non lasciare la loro Marie e la visita settimanale in carcere; l’ideale sarebbe stato trovare rifugio in campagna, ma anche questo piano non fu attuabile. Il 15 Agosto; il ghetto venne chiuso, gruppi di sentinelle vietavano l’uscita degli ebrei che era consentita solo a scopo lavorativo e sotto scorta. Molti soldati tedeschi che si trovavano a contatto con gli ebrei per la prima volta, si resero conto che gli stereotipi costituiti dalla propaganda antisemita non corrispondevano affatto alla realtà; scoprivano in essi degli artigiani abili, dei trasportatori con grande prestanza fisica, degli ingegneri competenti e dei musicisti senza eguali al mondo. Così alcune volte tra soldati e ebrei si instauravano vere e proprie amicizie, complicità e talvolta anche amori, che, se scoperti dai superiori, avrebbero fatto scattare il trasferimento automatico al fronte. La maggioranza invece, videro gli ebrei con tutti i pregiudizi che erano stati inculcati loro, trattandoli come “porci”, assegnando loro i lavori più degradanti. Dopo la chiusura del ghetto, per circa un anno, si susseguirono una serie di violenti e terrificanti episodi contro gli ebrei. La prima azione di sterminio di massa avvenne il 18 Agosto 1941 quando, a circa 500 ebrei venne offerta la possibilità di lavorare in un archivio; molti giovani intellettuali si offrirono volontari, contenti del compito di alto livello che sarebbe stato assegnato loro e si allontanarono dal ghetto sorridenti. Tuttavia questi ragazzi non fecero più ritorno da questo presunto impiego; si scoprì successivamente che erano stati fucilati nel IV forte. Proprio per il fatto che queste vittime erano tutte persone colte, la carneficina venne successivamente chiamata “l’azione degli intellettuali”.

124 Op. Cit., p. 53 125 Moschinskis Algirdas, noto giovane architetto di Kaunas, al quale Helene si era rivolta disperatamente per mediare con le autorità tedesche per far sì che liberassero il marito.

Page 50: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

50

All’inizio di settembre un altro massacro avvenne a scapito degli ebrei delle campagne e dei paesini di provincia, da parte della popolazione lituana reclutata dalla polizia tedesca. Uomini spregevoli, scarti della società si fecero avanti, pronti a massacrare persone innocenti, le stesse persone con cui avevano coesistito per tanto tempo, in cambio di una lauta ricompensa. Irruppero nelle case degli ebrei, ingannandoli con la prospettiva di un lavoro altrove; vennero, così, portati fuori dalle loro città, spogliati, condotti sui bordi di buche scavate precedentemente da altri ebrei, e fucilati, e infine i loro cadaveri vennero ricoperti di calcio clorato per motivi di igiene; molti erano persino costretti ad aspettare inermi il loro turno verso la morte, nudi, infreddoliti, guardando i loro compagni e la fine che li attendeva. Il 17 Settembre partigiani si recarono nel “piccolo ghetto”126, prelevarono la gente e la condussero al IX Forte; le loro intenzioni erano più che scontate: ci sarebbe stato un altro grande massacro. Le fosse erano già state scavate, delle cineprese erano state piazzate nei pressi delle buche per filmare le orribili scene…ma avvenne un miracolo. L’azione fu annullata per ordine della Wehrmacht, con la promessa che non ce ne sarebbero state mai più. Ma naturalmente mentivano. Il 26 Settembre, infatti, circa 1600 persone furono uccise nello stesso brutale modo; il 24 Ottobre ci fu un'altra azione, nella quale tutti gli abitanti del piccolo ghetto, compresi i bambini dell’orfanotrofio, furono condotti al IX Forte: ebbero per il momento la vita salva solo gli abili al lavoro. Secondo il Rapporto Jäger quel giorno il numero di vittime condotte al massacro fu di 1845 persone. Come se non bastasse, diedero fuoco all’ospedale “per evitare che la lebbra contamini tutti”,disse lo Stadtkommisar Cramer; in realtà non vi erano malati di lebbra, ma era chiaro che i tedeschi non avevano bisogno di gente impossibilitata al lavoro. L’ultima grande azione del 1941 avvenne il 28 Ottobre. Quella mattina furono condotti, nella piazza principale del ghetto, tutti gli ebrei sopravvissuti alle precedenti stragi, ovvero circa 28.000 persone; sistemati in colonne vennero esaminati dalla Commissione tedesca, alcuni vennero mandati in una colonna di destra e altri a sinistra. Il principio fu presto chiaro a tutti: i più sani e forti a sinistra e i vecchi, i bambini, i malati a destra; questi ultimi vennero condotti al piccolo ghetto per la notte, durante la quale molti riuscirono a scappare, portati la mattina seguente al IX Forte e trucidati insieme ad altri prigionieri, fra questi anche dolce Marie, per un totale di circa 10.000 anime127. Ora ad Helene hanno ucciso anche la figlia. Il terrore dominava gli abitanti rimasti nel ghetto; molti iniziarono a costruire sotto le case nascondigli segreti, altri a cercare una improbabile via di fuga; nacque la fitta rete di collegamenti e aiuti reciproci che caratterizzano questo racconto e la vita della scrittrice. Una delle prime figure ricche di umanità che spiccano nel racconto di Helene è Elena Kutorgene. Questa donna estremamente coraggiosa in più occasioni nascose all’interno della propria casa ebrei che faceva fuggire dal ghetto, ai quali poi forniva documenti falsi per farli scappare da Kaunas o mandarli in posti sicuri. Elena aveva una voce soave e rincuorante come quella di un angelo: la gente quando era in sua presenza si illuminava; quando veniva in contatto con una donna così piena di umanità si sentiva al sicuro; quando parlava con una tale forza della natura, capace di spazzare via come un uragano i criminali che condannava, si sentiva alleviata da tutte le sofferenze che stava patendo. Altre due grandi donne sono state Natascia Feodosewna e Natalija Jegorova, le due “Natasce”. Entrambe russe, trapiantate in Lituania, si prodigavano non solo nell’ospitare ebrei e prigionieri russi, ma compivano anche gesti molto coraggiosi e magnanimi. Il giorno di Natale del 1941, per esempio, consapevoli dei rischi ai quali andavano in contro, misero in un cestino pane con il burro,

126 Il piccolo ghetto è un quartiere ebraico, collegato all’altro tramite una passerella per non fare transitare gli ebrei nel quartiere cristiano; al principio vi risiedevano circa 3000 abitanti e al suo interno si erano l’orfanotrofio, l’ospedale e le istituzioni sociali. 127 La strage del 28 ottobre è raccontata dalla dott.ssa Elena Kutorgene-Buivydaite nelle pagine del suo diario; l’abbiamo citata integralmente nel capitolo su Il libro Nero.

Page 51: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

51

mele, sigarette e si presentarono davanti alla porta del lager dei prigionieri russi spavalde e incuranti dell’aria minacciosa del soldato tedesco. Ebbene sembra incredibile, ma sia il soldato, sia un ufficiale che venne chiamato per trattare la questione, rimasero talmente colpiti da queste due temerarie ma anche dolcissime donne, che diedero loro il permesso di dare i doni ai commossi prigionieri. Come se non bastasse, tornarono a casa, fecero rifornimento di altri doni, e si recarono all’ospedale militare tedesco; caso volle che mentre erano lì, passasse lo stesso ufficiale che aveva dato il permesso alle due benefattrici per entrare nel lager…c’è da immaginarsi il grande stupore che questo uomo ebbe nel vedere due russe, che non parlavano una parola di tedesco, che alleviavano le pene dei soldati senza far distinzione di nazionalità; commosso si mise a stringere le mani ai due “angeli”. Infine è doveroso menzionare Emmi Wagner e Dora Kaplan: erano due giovani tedesche private dei mariti dall’antisemitismo, entrambe spavalde, impavide e sprezzanti del pericolo; grazie ad esse Helene e molte altre persone riescono a mantenere contatti con i propri cari all’interno del ghetto. La casa di Dora era sempre piena di fuggiaschi ebrei e russi, e osava anche circondarsi di alti funzionari dell’amministrazione tedesca in modo da ottenere “eccezioni” (Dora aveva una relazione con un superiore della polizia tedesca, Rauca, che le fece ottenere molti privilegi, non solo per se stessa). Emmi invece era molto amata all’interno del ghetto, dal quale poteva entrare e uscire e portava sempre viveri e qualche parola di conforto; cercò sempre di tessere reti di conoscenze perché la aiutassero nella sua causa. Consideravano gli ebrei la loro gente ed erano vicine a loro più di chiunque altro. Purtroppo queste due valorose donne, così piene di vita e fiduciose in un domani migliore, non riusciranno mai a vedere la fine della guerra; infatti verranno arrestate e uccise in quanto traditrici della razza ariana. Questi esempi per dire che tra tanti gesti di violenza inaudita, tra tanta disumanità, ci fu chi si oppose con i propri piccoli-grandi gesti, donne coraggiose che è doveroso ricordare128. Helene e Margarete, prodigandosi nelle loro opere di beneficenza, finiscono per essere scoperte; non possono far altro che scappare da Kaunas, anche se era una decisione molto sofferta in quanto Helene voleva continuare ad essere utile a tutte le persone con le quali era in contatto. Il 4 Giugno si trasferirono fuori Kaunas, dove incontrarono le altre amiche (fra le quali la dottoressa Kutorgene) che come loro avevano trovato una località nella quale rifugiarsi. Qui appresero che l’Armata Rossa stava avanzando verso est. I tedeschi si sentivano con il fiato sul collo, ma non smisero di uccidere, anzi misero in atto le ultime spietate azioni contro gli ebrei. Il 1 Agosto 1945 i russi avevano conquistato Kaunas; in lontananza Helene e Margarete vedevano le nuvole di fumo alzarsi dalla città man mano che l’esercito avanzava. Impaurite, trovano rifugio in una gola nella collina dove passano la notte con le loro compagne. E’ l’ultima notte di terrore; il giorno dopo arrivò la libertà. “Quel giorno svanì il terribile incubo, la terribile realtà che aveva distrutto in modo insensato e folle la nostra vita e quella di migliaia, di centinaia di migliaia di persone. Speranzose, aspettavamo i nuovi tempi.”129

128 Antonella Salomoni, nel suo libro dedica un capitolo ai “Giusti tra le nazioni” nei paesi dell’Unione Sovietica. Solo dopo gli anni ’90 si è potuto dare voce al ricordo di coloro che aiutarono gli ebrei, ma il numero di coloro che sono stati riconosciuti “Giusti tra le nazioni” è considerevole e degno di nota, dato il clima feroce di antisemitismo dei territori sovietici. Riportiamo le cifre aggiornate al 2007: Ucraini: 2185/ Lituani: 693/ Bielorussi: 576/ Russi: 124/ Lettoni: 103/ Moldavi: 73/ Armeni: 10/ Estoni: 3, per un totale di 3.767 persone. Da: Antonella Salomoni, L’Unione Sovietica e la

Shoah, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 183. 129 Op. Cit., p. 294

Page 52: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

Iljia Ehrenburg

Il Libro Nero

Iljia Ehrenburg e Vasilij Grossman

Vasilij Grossman

di Eleonora Bonarrivo

Page 53: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

Il libro di cui parliamo in questo capitolo ha una storia nella storia: esso è infatti legato alle vicende tragiche dell’ebraismo in Unione Sovietica per due motivi; quello della Shoah e quello delle persecuzioni staliniane contro gli ebrei sovietici. Il Libro Nero è infatti prima di tutto un insieme di documentazione e testimonianze sul genocidio e sui crimini commessi dalle forze di invasione naziste nei confronti della popolazione ebraica dei territori sovietici. Esso è il frutto di un lavoro immenso di raccolta di documentazione compiuto dai membri del Comitato antifascista ebraico, per testimoniare al mondo il genocidio in atto nell’Unione Sovietica. Ma va detto subito che non fu il frutto di una libera iniziativa in un libero paese in cui gli ebrei avessero libera facoltà di parola. La storia del libro si intreccia infatti con la storia della guerra e delle purghe staliniane nei confronti degli ebrei dopo la guerra. Ma andiamo con ordine. Il Comitato antifascista ebraico (EAK)130fu costituito nel 1941, insieme ad altri cinque comitati antifascisti, con il compito di coinvolgere la popolazione nella lotta politica contro la Germania. Il Comitato ebraico fu organizzato su base nazionale ed ebbe un ruolo primario perché la sua azione fu proiettata all’esterno dell’Unione Sovietica, per chiedere solidarietà alle comunità ebraiche occidentali. In questo modo, dopo 24 anni di isolamento, l’ebraismo sovietico si ricompattava all’interno dell’URSS e riprendeva contatti con la comunità internazionale. Dopo una serrata propaganda in patria, fatta di manifestazioni di piazza e appelli alla radio, trasmessi anche in lingue straniere, nel 1943 Solomon Mihoel’s, attore e regista e il poeta yiddish Itzik Fefer, vennero mandati in Gran Bretagna ed negli Usa per raccogliere denaro per l'Armata Rossa ed i civili sovietici. Il viaggio di “propaganda” durò sette mesi e tra i molti ricevimenti e incontri che fruttano quaranta milioni di dollari per l'Armata Rossa, incontrarono anche Chagall e Albert Einstein che avanzò subito una proposta: raccogliere prove e testimonianze sul genocidio degli ebrei in Unione Sovietica e farne un “Libro nero” da pubblicare negli Usa e in URSS. Mosca nel 1943 ratificò l’iniziativa e nel 1944 Iljia Ehrenburg fu nominato editore in capo del progetto al quale egli stesso aveva contribuito con una serie di materiali raccolti nella sua funzione di corrispondente del giornale russo Krasnaja swesda (Stella rossa).

Iljia Ehrenburg e Vasilij Grossman saranno i coordinatori di questo immenso lavoro, aiutati da altri numerosi giornalisti. Essi invitavano, tramite il giornale Stella rossa, tutti coloro che avevano visto o vissuto l’orrore del massacro nazista a inviare documentazioni e testimonianze; il giornale le raccoglieva e i collaboratori le univano, controllando anche la veridicità delle fonti. Il'ja Ehrenburg, nato a Kiev nel 1891 da una famiglia ebraica, ricevette un’educazione laica, ma combatté sempre contro l’antisemitismo. Poeta, scrittore e giornalista, trascorse la sua giovinezza a Parigi e ritornò in patria dopo la costituzione della Russia sovietica. A partire dall’ascesa di Hitler, emerse nelle sue opere l’avversione per il nazionalsocialismo, e la coscienza che la volontà espansionistica di Hitler fosse una minaccia per tutta l’umanità. Nel 1940 assistette all’ingresso delle truppe naziste in Parigi. Con l’inizio dell’Operazione Barbarossa, Ehrenburg assunse un ruolo di primo piano nella mobilitazione antinazista e le sue corrispondenze di guerra lo resero il più influente giornalista sovietico. Come redattore del giornale “Stella Rossa”, che raggiungeva gli uomini al fronte, seppe guadagnarsi una vasta popolarità presso i soldati e la corrispondenza che lui riceveva dal fronte era vastissima. Erenburg scrisse anche per la stampa estera accrescendo la sua popolarità a livello internazionale: dal 1941 iniziarono a comparire sui giornali di tutto il mondo i suoi articoli in cui invitava tutti a schierarsi contro il nazifascismo. Nelle sue corrispondenze Ehrenburg si trovò presto a contatto con le testimonianze sull’Olocausto in atto nei territori occupati e toccò personalmente la dimensione dello sterminio nella sua funzione di inviato al fronte. Erenburg diventò un punto di riferimento per l’identità ebraica sovietica. Egli prese ben presto la decisione di dare la massima pubblicità ai singoli massacri e di ricostruire tramite le testimonianze che riceveva lo sterminio in atto ad opera dei nazisti e dei collaborazionisti (che erano però considerati, nello spirito del nazionalismo sovietico, un fenomeno legato a pochi traditori.) Incaricato di coordinare la documentazione che il Comitato antifascista ebraico andava raccogliendo, Ehrenburg lavorò con Grossman alla composizione de Il Libro Nero

130 Sul Comitato antifascista ebraico vedi: Antonella Salomoni, op. cit., p 84 e seguenti.

Page 54: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

54

Vasilij Grossman è nato nel 1905 in Ucraina, a Berdicev, dove viveva la più grande comunità ebraica dell'Europa dell'Est. Studia prima a Kiev e poi a Mosca, dove frequenta la facoltà di Chimica. Inizia la sua attività di scrittore negli anni ’30 e grazie all’amicizia e alla stima di Gorkij pubblica i suoi primi scritti. Grossman è in questa fase uno scrittore “ortodosso”, membro dell'Unione degli Scrittori. Nel giugno 1941, allo scoppio della “Grande guerra nazionale”, è inviato al fronte come corrispondente di guerra per la Stella rossa. Grossman è quindi testimone diretto delle disastrose disfatte dei primi anni, della resistenza a Stalingrado e del contrattacco sovietico. Seguendo l'avanzata dell'Armata Rossa è tra i primi ad entrare nei campi di Majdanek e Treblinka dopo la fuga dei nazisti. Sul lager di Treblinka scriverà la prima cronaca dei fatti avvenuti in un campo di sterminio nazista “L’inferno di Treblinka”che sarà utilizzata come testimonianza nel processo di Norimberga. Egli sarà anche il primo giornalista ad entrare a Berlino nel 1945. Attraversando i territori ucraini dove non rimane più traccia degli ebrei, Grossman si rende conto della tragedia dello sterminio ebraico, nel quale ha perso la vita anche sua madre, massacrata a Berdicev dalle Einsatzgruppen nella prima settimana di invasione nazista. Dopo la guerra, di fronte all'antisemitismo di Stalin e degli intellettuali sovietici Grossman inizia a riflettere sugli ideali rivoluzionari ai quali aveva creduto. È l'inizio di un cambiamento e i suoi scritti incominciano ad essere denigrati dalla stampa ufficiale. Partecipa alla stesura de Il Libro Nero e nel 1946 inizia la composizione di una colossale opera con cui intende dipingere l'epopea di Stalingrado attraverso le vicende di una famiglia durante la guerra. La prima parte, intitolata Per una giusta causa, esce a puntate nel 1952. Il libro subisce pesanti critiche per “gravi errori ideologici” e viene pubblicato solo dopo la morte di Stalin. È allora che Grossman inizia a scrivere la seconda parte: Vita e destino. La stesura del romanzo lo occupa incessantemente dal 1955 al 1960 e il dattiloscritto viene consegnato alla rivista Znamja, ma il contenuto del libro è troppo pericoloso e il direttore Koževnikov, avvisa il Comitato Centrale. Il 14 febbraio 1961 due agenti del KGB entrano in casa Grossman e portano via tutto: fogli manoscritti, copie dattiloscritte, carta carbone e addirittura i nastri della macchina da scrivere. Di Vita e

destino non deve rimanere traccia. Grossman passa gli ultimi anni della sua vita provato fisicamente e moralmente dalla perdita del proprio romanzo. Conclude Tutto scorre, breve romanzo sul ritorno dal gulag, che aveva iniziato a metà degli anni Cinquanta, ma non riesce a pubblicarlo. Una copia di Vita e destino ricompare in occidente dopo la morte di Grossman, avvenuta nel 1964, e oggi il romanzo è considerato uno dei capolavori del ‘900. Con la fine della guerra la posizione sovietica nei confronti degli ebrei prese la strada di una forte persecuzione ed epurazione a cui forse gli ebrei non furono soggetti nemmeno negli anni precedenti il conflitto. La stessa sorte subì il Libro nero che stava per andare in stampa. Nel 1946 il Comitato aveva fornito parte del materiale ad organizzazioni americane che lo avevano pubblicato in un volume dal titolo The Black Book. The Nazi Crime against the Jewish People. In Unione Sovietica la pubblicazione de Il Libro Nero venne invece fermata definitivamente nel giugno del 1947, quando tre quarti dell’edizione erano già in stampa. I manoscritti dell’edizione russa scomparvero. Che cos’era successo? La posizione degli ebrei sovietici era diventata estremamente pericolosa: erano accusati di “cosmopolitismo” che significava aver contatti con l’esterno e con il mondo capitalista ed era molto mal vista la compattezza delle comunità ebraiche intorno al Comitato. Erano inoltre accusati di pericoloso sionismo; quando il 15 maggio 1948 fu proclamato il nuovo stato di Israele, il Comitato antifascista ebraico entrò nell’occhio del ciclone. Nel gennaio 1948 il corpo di Solomon Mihoel’s venne trovato senza vita in una strada di Minsk. L’eliminazione del presidente dell’EAK, apparentemente morto in un incidente stradale, era stata ideata ed ordinata da Stalin che intendeva dare con essa un segnale preciso: la minoranza ebraica non aveva più diritti. In un documento del 20 novembre 1948 il comitato centrale del Partito Comunista Sovietico notificò l’ordine di scioglimento del Comitato antifascista ebraico con l’accusa di aver suggerito che la Crimea potesse diventare un’area di popolamento ebraico, fomentando così l’indipendenza di una parte del territorio sovietico. Dopo una feroce campagna antiebraica, nel giugno 1952, con la stessa accusa di complotto sionista mirante a staccare la Crimea, vennero processati a porte chiuse i dirigenti del Comitato antifascista ebraico e furono tutti condannati a morte. Si salvarono solo Ehrenburg e Grossman. Nel 1992 la figlia di Ilja Ehrenburg venne in possesso di una copia de Il Libro Nero, salvatasi dalla distruzione; negli anni seguenti fu trovata negli archivi del KGB una copia del libro nella versione precedente alla censura. La versione pubblicata in Italia comprende anche queste parti.

Page 55: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

55

Tra tutte le documentazioni del libro abbiamo scelto il diario di Elena Kutorgene-Buivydaite perché ci è parso un testo di grandissima importanza. Il suo diario ha seguito le sorti di tutto Il Libro Nero e ha subito la censura staliniana del dopoguerra e infine la proibizione della pubblicazione; le parti censurate dagli stessi curatori Grossman ed Ehrenburg131, nell’edizione che leggiamo noi oggi sono in corsivo, e sono tutti i brani dedicati al collaborazionismo dei locali. La nuova Unione Sovietica, vincitrice contro i nazisti, doveva dare di se stessa l’immagine di un popolo unito ed eroico dove non c’era spazio per scontri interni; dunque lo morte degli ebrei era dovuta solo ai nazisti e gli ebrei stessi erano considerati “cittadini sovietici”. Nel diario della Kutorgene le parti censurate a noi sono sembrate le più interessanti e nelle nostre citazioni le riportiamo in corsivo.

La dottoressa Kutorgene nel 1941 aveva 53 anni ed era un’affermata oculista di Kaunas. Non era ebrea e a differenza degli autori delle altre testimonianze che abbiamo analizzato nel nostro lavoro, non è vittima diretta delle persecuzioni; ma era una donna libera con un grande spirito democratico che condivideva i dolori e le sofferenze della comunità ebraica di Kaunas. Il suo punto di vista è quello di un’osservatrice sconvolta dagli orrori che vede compiere quotidianamente contro gli ebrei dalla sua gente, i lituani, e dai tedeschi; la sua coscienza la spinge ad aiutare con tutti i suoi mezzi le vittime del genocidio che si consuma sotto i suoi occhi. Il suo diario incomincia il 22 giugno 1941 quando inizia l’occupazione nazista di Kaunas; con le sue parole entriamo a poco a poco nel dramma della guerra, dei primi bombardamenti, delle prime disordinate fughe, dei primi combattimenti in città, delle notizie concitate ascoltate alla radio.

Tra la fuga dei russi e l’arrivo dei tedeschi, i Lituani prendono possesso della città e si scatenano l’odio contro gli ebrei. “Alla radio trasmettono e ritrasmettono discorsi sul <giudaesimo mondiale, che ormai si accinge a

unire i plutocrati inglesi ai banditi rossi del Cremino>. (…) La radio dice che tutti gli ufficiali che

erano stati incarcerati perché controrivoluzionari sono stati liberati…e avverte che gli ebrei

sparano con le mitragliatrici dalle finestre e che per ogni soldato tedesco ferito saranno fucilati

cento ebrei”132

Sono le prime avvisaglie dell’odio che si sta per scatenare sugli ebrei. E infatti il 25 giugno, solo tre giorni dopo l’inizio dei combattimenti, la Kutorgene assiste alle prime retate di ebrei. “ La folla raccoltasi lungo viale Laisves provava un insano piacere a schernire gli ebrei che

passavano: sogghignava, rideva. (…) Quello spettacolo mi ha sconvolta, mi ha annichilita. (…) Da dove viene tanta cattiveria, tanta crudeltà? Con quale gioia malsana quei <partigiani>, inebriati

dal proprio potere,portavano via gli ebrei e ostentavano le armi atteggiandosi a trionfatori.”133

La dottoressa deve vedere quello che non vorrebbe: il suo popolo che come invasato da una sorta di furore si scatena contro l’altra parte della cittadinanza. Da allora in poi gli ebrei non avranno più

131 Alla fine della guerra la priorità della pubblicazione di un libro che dimostrasse i crimini del “fascismo hitleriano” contro gli ebrei non esisteva più; i curatori, nonostante la situazione sfavorevole, continuarono a lavorare per ultimare il manoscritto. “Anch’essi, come avviene per chiunque si trovi ad operare in un regime totalitario, fecero esercizio di autocensura allo scopo di prevenire la censura ufficiale. Ognuno di loro sapeva bene che cosa le autorità non avrebbero lasciato passare.” Vasilij Grossman, Il’ja Ehrenburg, Il Libro nero, Mondadori, Milano, 1999, p. IX. 132 Op. Cit., pp. 482,483. 133 Op. Cit., p. 483.

Page 56: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

56

scampo; ma per il primo mese, mentre i tedeschi si installano in città, sono solo i lituani a condurre un’indegna e serrata caccia all’ebreo, casa per casa. Il 26 giugno, di notte, assiste dalla finestra al primo agghiacciante episodio: un camion si ferma, ne scendono alcuni individui che parlano lituano, salgono le scale, sfondano una porta, “si sono sentite le grida strazianti di una donna, piene di un orrore indescrivibile…Sono andate avanti per alcuni minuti, una voce maschile ha iniziato a urlare e a scongiurare in jiddish, balbettando affannosamente qualche parola, sempre le stesse…quindi gli spari. (…) il pianto disperato di alcuni bambini, forse due. Ancora due spari e subito silenzio.”134 La dottoressa assiste impotente, non sa che fare, vorrebbe prestare soccorso, capisce che nessuno si muove, c’è il coprifuoco; quando il giorno dopo si avvicina entra nell’androne per sapere: “Perché è tanto curiosa? Se parla troppo farà la stessa fine..” le dice il capocasa, che il giorno prima aveva esposto la bandiera nazista. Per le strade ci sono cadaveri di ebrei abbandonati, nessuno fa niente, nessuno interviene: “Ho

provato una profonda inquietudine; mi sono accorta che intorno a me sono rimasti soltanto

nemici.(…) I <patrioti> hanno sfogato la loro sadica ebbrezza per tutto il giorno: con il consenso

delle autorità gli ebrei vengono assassinati e tormentati…l’odio contro gli ebrei accomuna tutti i

lituani, quasi senza eccezioni.(…)Tutto il giorno persone con al braccio la fascia con i colori

nazionali della Lituania scorrazzano per le strade atteggiandosi a trionfatori; fanno irruzione nelle

case e, senza attendere la notte, saccheggiano le abitazioni degli ebrei. (…) E’ come un’epidemia,

un accesso collettivo di cupidigia.”135

Il diario è un crescendo di azioni di violenza inaudita che si svolge sotto gli occhi della popolazione che plaude al massacro; solo qualche conoscente o paziente della dottoressa, sottovoce, commenta inorridito. Dalla pagina del 27 giugno: “ Oggi mi è toccato vedere un gruppo di circa duecento ebrei che venivano condotti in prigione; li spingevano avanti con un’incredibile brutalità. Erano pesti, laceri, sporchi, sfiniti, ridotti in uno stato pietoso…Con odio e ripugnanza ho guardato la folla che

rumoreggiava, la feccia che rideva divertita prendendosi gioco di quegli sventurati.”136

Per gli ebrei non c’è più scampo; portano via e uccidono gli uomini, le donne vagano inutilmente per cercarli, le case sono saccheggiate. Il 29 giugno annota l’episodio terribile (da noi citato e documentato con le foto nel primo capitolo) avvenuto nel garage della prospettiva Vytauto; decine di ebrei ammazzati a randellate in testa: “Tutte queste azioni sono state eseguite da lituani; i tedeschi erano presenti, ma non vi hanno

partecipato. Alcuni tedeschi hanno scattato fotografie.”137 La dottoressa non sa che fare: “30 giugno. Giorni di orrore…Passano gruppi di ebrei arrestati…tra gli ebrei regna il panico, il terrore e anch’io tremo alla vista di sofferenze, atrocità, efferatezze e umiliazioni così spaventose. (…) Non credo ai miei occhi e alle mie orecchie! Tremo davanti a

questo rigurgito di odio cieco diretto contro un popolo, un odio alimentato e fomentato da fini

inequivocabilmente ignobili ed egoistici.”138

Il 17 luglio è giunto l’ordine tedesco che gli ebrei si devono trasferire nel ghetto: sono passate tre settimane di violenza, uccisioni e torture sfrenate contro gli ebrei, condotte liberamente dai Lituani con il beneplacito dei tedeschi; ora i nazisti prendono in mano la situazione e ordinano la concentrazione degli ebrei nel ghetto per poi passare alla fase dello sterminio organizzato. Per giorni file di carretti passano per le strade di Kaunas: “Carri transitano senza sosta trasportando gli averi degli ebrei. Per ogni trasporto i contadini e i carrettieri lituani chiedono agli ebrei somme

enormi”139 Agli ebrei sono state imposte tutte le terribili vessazioni naziste: non possono

camminare sul marciapiede, non possono usare alcun mezzo di trasporto, non possono sedersi sulle

134 Op. cit., p. 485. 135 Op. cit., p. 486. 136 Op. cit., p. 487. 137 Op. cit., p. 489 138 Op. cit., p. 490, 491. 139 Po. Cit., p. 499.

Page 57: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

57

panchine, niente telefono, niente radio, niente lavoro. Devono cucirsi sugli abiti la stella gialla. Il quartiere Vilijampole che è diventato il ghetto, aveva 5.000 abitanti: ora gli ebrei devono stiparsi in 25.000. La dottoressa Kutorgene ha amici e colleghi nel ghetto: il 12 agosto si reca per la prima volta a dare il suo sostegno. “Non so come, ma bisogna lottare. Soffrire, lamentarsi, compatirsi, affliggersi non serve a nulla. Presto tutto il mio aiuto, malgrado…ma è soltanto una goccia nell’oceano. (…) Oggi sono stata nel ghetto. Le strade sono cinte di filo spinato; da un’altra parte è stato costruito un viadotto di legno sopra una via <cristiana>, cosicché gli ebrei non <profanino> la strada dei cristiani attraversandola.(…) ho visitato alcuni amici medici. In uno stanzino vivono due famiglie. Sono tutti molto cambiati…Sanno di essere spacciati. Oggi è stata tolta l’elettricità…ricevono cento grammi di pane al giorno…un solo negozio, code senza fine…Né lavoro né cibo né luce né combustibile né libri…E l’attesa di una morte inesorabile.”140 Dal ghetto sono selezionati i gruppi di ebrei da mandare a morire nei Forti attorno alla città; i tedeschi hanno organizzato lo sterminio sistematico e hanno arruolato i lituani per le fucilazioni di massa. “Corre voce che i <partigiani> lituani vengano impiegati specialmente per assassinare gli

ebrei; ricevono 600 rubli di paga e razioni da soldato. Gli aspiranti sono moltissimi.”141

Non si tollerano più azioni spontanee di assassinio di ebrei da parte della popolazione: il nuovo padrone ha imposto il “nuovo ordine”. E intanto le famiglie lituane si spostano nelle abitazioni degli ebrei che non ci sono più: sono gli avvoltoi che trovano nella morte degli altri una nuova e migliore sistemazione sociale. “Continuano le fucilazioni. Si parla di un numero altissimo di vittime. La gente si abitua

rapidamente e queste cifre non la sconvolgono. Ognuno pensa:<L’essenziale è che non tocchi a

me>”142

Il 4 ottobre 1941 si verifica una delle azioni più brutali: i nazisti danno fuoco all’ospedale ebraico dopo aver bloccato tutte le uscite. Così annota la Kutorgene “Sono arrivati con la benzina e l’hanno versata all’interno delle finestre. Hanno gettato su un camion i bambini che si trovavano nel reparto pediatrico e li hanno portati via. I malati più deboli, chi era stato operato da poco, le puerpere e i paralitici non hanno potuto mettersi in salvo, dato che tutto è avvenuto molto in fretta e senza preavviso. Un mio conoscente, un vecchio medico rimasto paralizzato in seguito a un colpo apoplettico, è morto tra le fiamme. La gente è stata arsa viva.”143 Nell’ottobre del 1941 assiste alla vicenda più drammatica per la comunità ebraica di Kaunas, quella chiamata la Grande Azione: tutta la popolazione del ghetto viene convocata in piazza Demokratu e si procede ad una selezione tra gli abili e inabili al lavoro. Il 30 ottobre la Kutorgene registra la cronaca terribile di quei giorni: “Nel ghetto sono state mandate a morire altre 10.000 persone. La scelta è caduta sui più deboli, sui vecchi, sulle madri con prole numerosa e sui loro bambini, su chi non è più in grado di lavorare. (…) Hanno diviso fratelli, sorelle, padri e madri con bambini. Il giorno prima era stato annunciato che alle sei del mattino tutti gli abitanti del ghetto, a eccezione degli operai provvisti degli speciali permessi di lavoro preventivamente distribuiti a specialisti e artigiani, dovevano raccogliersi nella piazza principale e incolonnarsi. In prima fila c’erano i membri dello Judenrat con le loro famiglie; dietro di loro gli impiegati dell’amministrazione, poi le diverse squadre di lavoratori, raggruppate in base al tipo di attività svolta. Il comandante del campo di aviazione e altri rappresentanti delle autorità tedesche esaminavano con attenzione le persone che sfilavano lentamente davanti a loro. Ad alcuni ordinavano di andare a destra, e ciò significava la morte, agli altri di andare a sinistra. Sono stati mandati a morire i soggetti più deboli, gli anziani e le famiglie numerose. Tra le sei del mattino e il calar della sera sono state scelte e destinate a passare la notte nel cosiddetto piccolo ghetto, già “ripulito” dai suoi abitanti nei mesi precedenti, 10.000

140 Op. cit., pp. 499, 500. 141 Op. cit., p. 502. 142 Op. cit., p.500 143 Op. cit., p. 510.

Page 58: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

58

persone. Su ogni lato della piazza c’erano mitragliatrici e guardie. Era una giornata fredda. La gente è dovuta rimanere lì, ferma, tutto il giorno, senza mangiare; i bambini piangevano in braccio alle madri. Al sorger del sole si è sparsa la notizia che i prigionieri di guerra del IX Forte (il forte della morte) erano stati costretti a scavare enormi fosse. Quando la folla è stata condotta al IX Forte, tutti hanno capito che era la fine… La gente ha iniziato a piangere e a gridare…Molti hanno provato a scappare, ma sono stati uccisi: i campi erano disseminati di cadaveri. I tedeschi hanno trasportato una parte della gente con i camion. Nel forte le vittime sono state spogliate, cacciate nelle fosse in gruppi di trecento persone e trucidate con i mitra, i fucili e le mitragliatrici. I condannati hanno dovuto aspettare nudi al gelo per molte ore. I primi a essere buttati nelle fosse sono stai i bambini. Gli assassini erano ubriachi, dal primo all’ultimo.”144 Questa cronaca agghiacciante è una tra le pagine più forti del diario della dottoressa. La crudeltà dei metodi di assassinio era al di sopra di qualunque immaginazione: come possiamo metterci nella mente di quella gente in fila, in attesa della morte? E’ impossibile anche solo immaginare che cosa è passato nelle loro teste in quelle lunghe infinite ore. Impazzivano? La dottoressa Kutorgene aiuta come può chi soffre: non può stare a guardare le colonne di ebrei portati al macello, non può vedere i volti distrutti dalla paura e dalle torture degli ebrei umiliati che si trascinano per strada, non può sentire che presto uccideranno anche tutti i bambini: “Il mio pensiero corre involontariamente al ghetto: non posso dimenticare che non lontano da me ci sono esseri umani che soffrono tanto. (…) Non dimenticherò mai il mio dovere. I vili calcoli egoistici che cercano di farsi strada nella coscienza sono scacciati da un nobile senso di solidarietà: una volta che si iniziato a fare il bene, non è più possibile smettere. Si va avanti, anche se si ha paura…”145 Con il figlio Viktor si impegna a far arrivare all’estero le notizie di quanto sta succedendo in Lituania: “E’ possibile che l’opinione pubblica mondiale non sia a conoscenza di quanto sta succedendo qui. Bisogna avvisarla, suscitare una protesta; i mezzi per combattere vanno cercati in ogni direzione possibile.”146 E in effetti la lettera scritta da madre e figlio arrivò all’Ambasciata statunitense a Berlino nell’autunno del 1941 tramite una cantante lirica in tournée nella capitale tedesca; fu un grande atto di coraggio e di coscienza civile che però rimase inascoltato. I massacri continuano e il suo diario annota il crescendo delle violenze e delle umiliazioni: “Gente esausta, stremata, ridotta alla disperazione più cieca viene portata via, <secondo i piani stabiliti>. Sono donne con i lattanti in braccio, bambini che si stringono alle madri, sono anziani, uomini non più giovani, sono persone deboli e malate: tutti coloro ai quali non è più possibile spremere nulla”147 Ma la dottoressa non si ferma, continua a correre nel ghetto, porta il suo sostegno a gente che ormai aspetta solo più la morte, nasconde nella sua casa ebrei per salvarli dalle retate notturne, fa di tutto per salvare i bambini ebrei, ne nasconde alcuni in orfanotrofio, in convento, in campagna. Il suo diario si interrompe negli ultimi giorni dell’anno 1941. La dottoressa è affaticata, malata, disperata, ma nelle ultime pagine scrive ancora: “Vorrei avere più vite e consacrarle tutte alla lotta…Non voglio morire…Desidero vivere, per pensare, per lavorare. Io credo nell’umanità.”148 Elena Kutorgene fu dichiarata “Giusta tra le nazioni” nel 1982, come Ona Šimajte, di cui abbiamo parlato nel capitolo dedicato a Grigorij Šur. Donne coraggiose e libere, che insieme ad altre si ribellarono al nuovo ordine imposto dai nazisti, donne che sentivano dentro di loro l’indignazione più profonda per la tragedia che si consumava sotto i loro occhi, donne che non rimasero solo a guardare ma si impegnarono con ogni mezzo per dare il loro aiuto. Erano donne che non avevano dimenticato la solidarietà, la compassione, il coraggio, il senso della giustizia e la speranza nella libertà e nella democrazia.

144 Op. Cit., pp. 512-513. 145 Op. cit., pp. 504 e 508. 146 Op. cit., p. 511. 147 Op. cit., p. 510. 148 Op. cit., p. 518.

Page 59: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

59

CONCLUSIONE

A conclusione del nostro lavoro riportiamo una storia di oggi che si intreccia con il passato tormentato dei paesi Baltici. L’abbiamo trovata su un articolo di Sandro Scabello del Corriere della Sera nel 1993: ci è sembrata l’epilogo del nostro lavoro perché in essa c’è qualche risposta alle domande che ci siamo posti nel corso del nostro lavoro. Come può essersi ricomposta dopo la guerra una società che aveva ammazzato i propri vicini di casa come pulci schifose? Che cosa si portano nella coscienza i figli e i nipoti di questi massacratori? Quali valori possono tramandarsi nella memoria collettiva? La società di oggi non si è ricomposta, gli odi continuano e anzi si sono intrecciati, dopo la guerra, con altre lacerazioni causate dalla dittatura di Stalin. Gli odi finiranno con la morte degli ultimi sopravvissuti, quando la nuova generazione si darà, come sta facendo, una nuova patina di rispettabilità per entrare nel mondo democratico. Riportiamo l’articolo integralmente.

“Vilnius, condanna chi ci ha ucciso” Nella stanzetta fiocamente illuminata da un’unica lampadina del massiccio lampadario in ferro battuto, Riva Bogomolnaja avvampa di collera. "Hanno ucciso, torturato, derubato gli ebrei di ogni loro avere ed oggi vengono riabilitati e ricevono perfino dei soldi. E' questa la giustizia della democrazia?", si chiede l' anziana signora ebrea, esile e minuta, afferrando le foto dei parenti appese sulle pareti. Padre, sorelle, cugini, nipoti, tutti "massacrati dai collaborazionisti lituani" durante l’occupazione nazista degli Stati baltici. Coprendosi gli occhi con le mani Riva Bogomolnaja urla la sua disperata indignazione: "Come si fa a perdonare assassini così feroci? Com’è possibile che possano vivere tranquillamente accanto a chi soffre per colpa loro? Sono stati i nostri vicini di casa a sterminare la mia famiglia. La maggior parte delle stragi compiute nella regione in cui vivevo sono state opera dei lituani. I nazisti venivano più tardi a filmare le imprese dei carnefici". Il 9 settembre del 1941 le squadracce della polizia lituana irrompono nel villaggio di Butrimonis, a una sessantina di chilometri dalla frontiera polacca, e si mettono a rastrellare "con l' aiuto del parroco e del maestro del paese" gli ebrei casa per casa. Di duemila ebrei, sepolti in due grandi fosse comuni, soltanto una decina scamperanno all’eccidio. Riva, allora ventitreenne, riesce a sfuggire miracolosamente agli aguzzini nascondendosi dietro una porta e mettendosi poi in salvo nelle foreste dove vivrà, "rischiando di impazzire", per tre lunghi anni. "I poliziotti lituani, ricorda, erano di una crudeltà spaventosa. Uccidevano i bambini colpendoli alla

testa con bastoni appuntiti oppure sfracellandone i corpi contro i tronchi degli alberi. Ho visto donne partorire vicino alle fosse e venire poi sepolte vive assieme ai neonati. Gli uomini, legati fra di loro col filo spinato, venivano sistemati sull' orlo delle fosse ed abbattuti a raffiche di mitra". Bogomolnaja estrae da sotto il letto uno scatolone pieno di lettere e documenti ingialliti, le "prove" che identificherebbero un certo Juozas Krasinskas come uno dei capi delle squadracce punitive: "Lo conosco bene, è del mio paese. Era un attaccabrighe, un violento sin da ragazzo, è lui che ha sparato sugli ebrei". Krasinskas è una delle 25 mila persone riabilitate a partire dal 1989 dalle autorità di Vilnius, per la maggior parte lituani condannati, spesso con giudizi sommari, dagli occupanti sovietici e spediti nei lager siberiani. Assieme al riscatto morale i riabilitati beneficiano di un aumento della pensione, di un indennizzo per il periodo trascorso nei campi di concentramento e hanno la possibilità di recuperare le proprietà confiscate loro dal potere comunista. Negli elenchi dei riabilitati sono riusciti però a infiltrarsi anche alcuni criminali di guerra, processati dai sovietici per aver preso parte al genocidio di oltre duecentomila ebrei. Secondo la magistratura lituana, che ha respinto un migliaio di richieste di riabilitazione, i casi dubbi non sarebbero più di cinque o sei, una cifra ritenuta "scandalosa" dalla comunità ebraica che ha creato una "società di studiosi indipendenti" e chiesto l' aiuto del Centro Wiesenthal e del Parlamento israeliano per riesaminare i dossier più controversi.

Page 60: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

60

Il neopresidente della Repubblica lituana, l' ex comunista Brazauskas, ha aperto ai rappresentanti del Centro Wiesenthal le porte degli archivi del Kgb, tuttora inaccessibili agli storici locali, per fugare ogni dubbio sulla volontà delle nuove autorità democratiche di far chiarezza su uno dei capitoli più dolorosi e ambigui della storia lituana. Un capitolo, fatto di antichi rancori e risentimenti, che investe la prima occupazione sovietica nel 1940, l’insurrezione popolare contro gli oppressori comunisti l’anno successivo, la dominazione nazista e il ritorno dell' Armata Rossa nell’autunno del 1944, durante il quale personaggi accusati di orrendi misfatti nei confronti degli ebrei ricompaiono più avanti nelle vesti di "eroi" della resistenza antisovietica. Ecco perchè più di qualcuno, gonfio di zelo patriottico e preoccupato dell' immagine della Lituania indipendente, vorrebbe che certe ferite della coscienza non tornassero a galla. Ma le nuove generazioni reclamano la verità . Non c’è traccia nei libri di storia lituani delle scorrerie perpetrate dai famigerati battaglioni della polizia contro gli ebrei e nei cimiteri le vittime del genocidio figurano ancora sotto l’etichetta di "cittadini sovietici" uccisi dai nazionalisti o dalle SS di Hitler. "Nei primi tempi dell' occupazione sovietica, spiega lo storico Rimantas Zizas, c’erano parecchi ebrei alla guida della macchina repressiva incaricata di smantellare le fondamenta dello Stato lituano e di organizzare le deportazioni in massa in Siberia. Molti lituani hanno continuato a scorgere negli ebrei gli artefici delle persecuzioni comuniste e questo spiega in parte le ragioni dell’aiuto fornito da certi strati della popolazione al genocidio nazista". Per anni, Riva Bogomolnaja e' corsa da un villaggio all’altro a raccogliere testimonianze sulla colpevolezza di Krasinskas, che aveva visto lei stessa accompagnare decine di compaesani verso il luogo delle esecuzioni. Era riuscita perfino a scovare un contadino e un poliziotto che avevano assistito alle fucilazioni. Interrogato dai magistrati, Krasinskas, condannato nel 1946 dai sovietici a sei anni di lavori forzati,

ha ammesso di aver fatto parte della polizia lituana come "impiegato addetto alle tessere annonarie", ma ha negato di aver mai premuto il grilletto contro chicchessia. Il giorno dell’udienza il contadino e il poliziotto si sono rifiutati di comparire e altri testimoni hanno cominciato improvvisamente a soffrire di amnesia. Così Krasinskas ha conservato il suo certificato di buona condotta e il caso è stato archiviato per mancanza di prove. Da allora in molte teste è subentrata la paura e i vuoti di memoria hanno preso a moltiplicarsi. La comunità ebraica, ridotta oggi a cinque, seimila membri, è decisa comunque ad andare sino in fondo, a rivendicare la presenza di rappresentanti ebrei nei procedimenti di riabilitazione condotti in modo frettoloso "senza indagini accurate e solide basi giuridiche" e a raddoppiare le pressioni perchè vengano rese di pubblico dominio le liste delle persone riabilitate. "E’ giunto il momento di riscrivere con equilibrio e cognizione di causa la storia della Lituania, insorge Samuelis Kuklianskis, docente di Criminologia all’Università di Vilnius, ora i processi di riabilitazione funzionano a senso unico e a porte chiuse, come durante l’epoca bolscevica, mentre tutto dovrebbe svolgersi alla luce del sole. Si prendono decisioni ingiuste che non fanno onore alla Lituania indipendente. Gli ex carnefici sono tanti, nascosti in Lituania, ma anche in Australia, in Canada e negli Usa. Dobbiamo scovarli". Resisti, non ti arrendere, vai avanti, non perdonare: Riva Bogomolnaja indica con un gesto stanco le lettere che le arrivano da ogni parte del mondo e la spronano a proseguire nella sua battaglia. "Mi duole il cuore, ho lottato tutta la vita e adesso sento che le forze mi abbandonano, sussurra. La Procura lascia cadere le accuse contro Krasinskas con delle motivazioni che mi vergogno a leggere, i testimoni hanno paura e anch’io ho paura che qualcuno voglia tapparmi la bocca per sempre. Di notte sono tormentata dagli incubi. Non ho nulla contro il popolo lituano. Chiedo solo giustizia.”149

149

149 Sandro Scabello, " Vilnius, condanna chi ci ha ucciso ", Corriere della Sera, 20 febbraio 1993.

Page 61: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

Questa vicenda umana racchiude la storia tormentata di un secolo di sangue. La macchina della deportazione sovietica ha inghiottito, tra gente innocente, anche i massacratori degli ebrei, ma non per quello che avevano commesso. Le difficili vicende de Il Libro nero ci hanno insegnato che in Unione Sovietica la Shoah non è formalmente esistita: lo sterminio degli ebrei e il collaborazionismo dei locali passò sotto silenzio. La versione ufficiale del Regime non differenziò le vittime ebree dagli altri milioni di morti sovietici nella grande guerra patriottica contro il fascismo. E infatti sulle lapidi dei monumenti sulle fosse comuni ebraiche si leggeva e si legge ancora oggi che i morti erano eroici cittadini sovietici uccisi dal “fascismo hitleriano”. Ma la storia è andata avanti e dopo la caduta del muro di Berlino ha fatto tanta strada nei paesi socialisti. Nel 1991 le tre nazioni baltiche furono le prime a lasciare l’Unione Sovietica in via di dissoluzione, conquistando l’indipendenza; il primo sangue da vendicare, con la riabilitazione delle vittime, fu quello versato sotto la dittatura comunista. Ma c’è qualcuno, come l’anziana signora Riva Bogomolnaja che ha provato a chiedere giustizia per i suoi morti. Ha riportato a galla un passato che i Lituani passerebbero volentieri sotto silenzio. La signora Riva forse non è più tra i vivi (dato che la sua testimonianza è del 1993) e noi non sappiamo quanta strada abbiano fatto questi paesi e la loro gente per fare i conti con il loro passato. Non sappiamo se oggi sui libri di testo degli studenti lituani c’è la storia dei massacri degli ebrei di Vilnius, di Kovno, e dei tanti villaggi delle campagne e soprattutto se c’è la storia del collaborazionismo dei civili. Come ci dice Francesco Maria Feltri, che oltre ad essere uno studioso della Shoah, conosce questi luoghi per esserci stato: “Nei Paesi Baltici la soluzione finale sembra avere davvero raggiunto i suoi obiettivi ultimi: la presenza ebraica, fisicamente eliminata, è in pratica stata rimossa e ampliamente cancellata, perfino nel ricordo.”150

Ponary: sul monumento delle fosse comuni, oggi è stata aggiunta una lapide in ebraico.

150 Francesco Maria Feltri, “Appunti per una storia della Shoah nei paesi baltici”, in: Nadia Baiesi, Alessandra Chiappano, Il paradigma nazista della morte, Firenze, La Giuntina, 2006, p. 139

Page 62: Guarino Guarini · Guarino Guarini Torino Anno scolastico 2008-2009 Traccia n. 3 I Paesi Baltici, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, così come Russia, furono teatro di alcune

62

Bibliografia

AAVV, Storia della Shoah, UTET, Torino, 2005 AAVV, Dizionario dell’Olocausto, Einaudi, Torino, 2004 Shalom Aleichem , Racconti della Shtetl. Scene di vita ebraica in un'Europa scomparsa, Bompiani, Milano, 2001 Chaim Nachman Bialik, Nella città del massacro, il melangolo, Genova, 1992 Christopher R. Browning, Uomini comuni. Polizia tedesca e “soluzione finale” in Polonia, Torino, Einaudi, 1995 Christopher R. Browning, Verso il genocidio. Come è stata possibile la “soluzione finale”, Milano, Il Saggiatore, 1998 Marco Buttino, “La memoria negata: la shoah in territorio sovietico” in “I viaggi di Erodoto”, sett.-nov. 1998 Norman Cohn, Licenza per un genocidio. I “Protocolli degli Anziani di Sion”: storia di un falso, Torino, Einaudi, 1969 Francesco Maria Feltri, “Appunti per una storia della Shoah nei paesi baltici”, in: Nadia Baiesi, Alessandra Chiappano, Il paradigma nazista della morte, Firenze, La Giuntina, 2006. Francesco Maria Feltri, Per discutere di Auschwitz. Le domande perenni, le tendenze della ricerca, i problemi ancora

aperti, Firenze, Giuntina, 1998. Raul Hilberg, Carnefici, vittime, spettatori, Mondadori, Milano, 1997 Raul Hilberg, La distruzione degli ebrei d’Europa, Torino, Einaudi, 1999 Melene Holzman, Questa bambina deve vivere: giorno per giorno come siamo sopravvissuti all’Olocausto, Marsilio, 2005 Daniel Jonah Goldhagen, I volenterosi carnefici di Hitler, Mondadori, Milano, 1998 Jan.T. Gross, I carnefici della porta accanto, Mondadori, Milano, 2003 Vasilij Grossman, Anni di guerra, Napoli, L’ancora, 1999 Vasilij Grossman, Vita e destino, Milano, Jaca Book, 1984 Vasilij Grossman, Il’ja Erenburg, Il libro nero, Milano, Mondadori, 1999 Paul Johnson, Storia degli ebrei, TEA, Milano, 2006 E. Klee, W. Dressen, V. Riess, “Bei tempi” Lo sterminio degli ebrei raccontato da chi l’ha eseguito e da chi stava a

guardare, Firenze, La Giuntina, 1990.

Icchocas Meras, Scacco perpetuo, La Giuntina, Firenze, 2007 E. Oshry, Responsa. Dilemmi etici e religioni nella Shoah, Brescia, Morcelliana, 2004 Leon Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Torino, Einaudi, 1967 Richard Rhodes, Gli specialisti della morte, Mondadori, 2006 Masha Rolnikaite, Devo raccontare. Diario 1941-1945, Milano, Adelphi, 2005 Antonella Salomoni, L’Unione Sovietica e la Shoah, Il Mulino, Bologna, 2007 William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino, 1963 Grigorij Sur, Gli ebrei di Vilna : una cronaca dal ghetto 1941-1944, Firenze, La Giuntina, 2002.