15
IPERTESTO Le origini del sistema La prassi di internare i nemici e gli oppositori in campi di concentramento (o lager, secondo l’espressione tedesca, che veniva usata correntemente anche in Russia) fu adottata dai bol- scevichi durante la guerra civile. Nata come misura eccezionale, dettata dall’emergenza bel- lica, tale pratica si trasformò ben presto in sistema, cioè in realtà istituzionale diretta dal- l’alto. Un passo importante in tale direzione si ebbe il 17 febbraio 1919, allorché un ap- posito decreto del Comitato esecutivo centrale dei soviet della Russia conferì alla CEKA il diritto di isolare in lager tutti i soggetti sospettati di essere controrivoluzionari. Pare che, alla fine del 1919, esistessero 21 campi registrati, che salirono a 107 nel 1920. I dati rela- tivi a questa prima fase sperimentale, tuttavia, sono confusi e tutt’altro che sicuri. Il sistema assunse la sua forma definitiva nel 1923, allorché nacque il lager a regime spe- ciale delle Solovki (o SLON). Le Solovki sono un arcipelago, situato al 65° parallelo di latitudine, a circa 160 chilometri dal circolo polare artico. Questo gruppo di isole si tro- va dunque nell’estremo Nord della Russia, nel Mar Bianco, al largo della città di Arcan- gelo (distante circa 300 km). In inverno, il Mar Bianco gela e rende molto difficile la na- vigazione. Al giorno d’oggi, nella stagione invernale, i pochi abitanti (circa 1500, concentrati GULag: il sistema concentrazionario sovietico 1 IPERTESTO C GULag: il sistema concentrazionario sovietico F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 Un gruppo di prigionieri destinati alle Solovki entra nel campo di transito di Kem´. Fotogramma di un film di propaganda girato dalle autorità sovietiche. Un arcipelago nel Mar Bianco POTERI E CONFLITTI Riferimento storiografico pag. 12 1

GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

  • Upload
    others

  • View
    6

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

IPeR

tes

to

Le origini del sistemaLa prassi di internare i nemici e gli oppositori in campi di concentramento (o lager, secondol’espressione tedesca, che veniva usata correntemente anche in Russia) fu adottata dai bol-scevichi durante la guerra civile. Nata come misura eccezionale, dettata dall’emergenza bel-lica, tale pratica si trasformò ben presto in sistema, cioè in realtà istituzionale diretta dal-l’alto. Un passo importante in tale direzione si ebbe il 17 febbraio 1919, allorché un ap-posito decreto del Comitato esecutivo centrale dei soviet della Russia conferì alla Ceka ildiritto di isolare in lager tutti i soggetti sospettati di essere controrivoluzionari. Pare che,alla fine del 1919, esistessero 21 campi registrati, che salirono a 107 nel 1920. I dati rela-tivi a questa prima fase sperimentale, tuttavia, sono confusi e tutt’altro che sicuri.Il sistema assunse la sua forma definitiva nel 1923, allorché nacque il lager a regime spe-ciale delle Solovki (o sLoN). Le solovki sono un arcipelago, situato al 65° parallelo dilatitudine, a circa 160 chilometri dal circolo polare artico. Questo gruppo di isole si tro-va dunque nell’estremo Nord della Russia, nel Mar Bianco, al largo della città di arcan-gelo (distante circa 300 km). In inverno, il Mar Bianco gela e rende molto difficile la na-vigazione. al giorno d’oggi, nella stagione invernale, i pochi abitanti (circa 1500, concentrati

GULag: il sistemaconcentrazionariosovietico

1

IPERTESTOC

gU

lag:

ilsi

stem

aco

ncen

traz

iona

rio

sovi

etic

o

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

Un gruppo di prigionieridestinati alle Solovkientra nel campo ditransito di Kem´.Fotogramma di un filmdi propaganda giratodalle autorità sovietiche.

➔Un arcipelagonel Mar Bianco

POTERIE CONFLITTI

Riferimentostoriografico

pag. 121

Page 2: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto. In passato, invece, gli insediamenti umani erano tagliati fuori dal resto della Rus-sia per gran parte dell’anno. oltre tutto, a causa della latitudine quasi polare, in invernole isole sono immerse nella penombra per moltissime ore al giorno.Nel 1435, vi giunse il primo gruppo di monaci cristiani, determinati a vivere lontanodal mondo, a contatto con una natura durissima e selvaggia. Malgrado le condizioni cli-matiche estreme, nel xvI secolo la comunità monastica crebbe di numero e si dotò di ungrande monastero, al cui interno fu edificata la chiesa più alta di tutta la Russia (catte-drale della trasfigurazione, completata nel 1558). all’inizio del Novecento, i monaci del-le solovki gestivano numerose e fiorenti attività economiche; il monastero, ad esempio,possedeva una propria flotta e una stazione radio. Ma tutto questo, ovviamente, con l’av-vento dei bolscevichi al governo fu confiscato dal nuovo stato comunista.Già nel 1920, la regione di arcangelo ospitava numerosi lager e i bolscevichi avevano crea-to sull’isola principale un campo di prigionia, per soggetti catturati durante la guerra ci-vile. Nel 1923, con la creazione del lager a destinazione speciale, la maggior parte dei de-tenuti e l’amministrazione centrale furono trasferite sull’arcipelago, mentre i pochi cam-pi minori rimasti attivi sul continente persero ogni autonomia e furono trasformati in sot-tocampi, dipendenti dal comandante del lager delle solovki.Il primo ufficiale incaricato di dirigere il campo fu a.P. Nogtev (1892-1947), che rima-se al suo posto fino al 1930. Numerose testimonianze concordano nel ricordare che luistesso o uno dei suoi collaboratori, quando accoglievano un gruppo di nuovi prigionie-ri, amavano proclamare con sarcasmo che nel nuovo luogo in cui erano capitati non vi-geva la legge ordinaria dell’Unione sovietica. I prigionieri erano ora, unicamente, sottoil potere delle Solovki. In pratica, al di là dei regolamenti di carattere generale, alle solovkicontava solo l’arbitrio del comandante, dei suoi collaboratori e delle guardie. Per farcapire subito questo messaggio, poteva accadere che qualche detenuto fosse immediata-mente ucciso, poco dopo l’arrivo, davanti a tutti gli altri, con un colpo di fucile.

IPeR

tes

to

2

UN

ITÀ

III

ILCOMUNISMO

INRUSS

IA

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

➔Il poteredelle Solovki

Mar Nero

Mar

Caspio

Mar

Bal

t ico

Mar di Barents

Savvatievo

Novaja Sosnovaja

Rebolda

MonteSekira

Beluz'eˇ

Cremlino

Isakovo

Diga

Eremo di San Sergio

Filimonovo

BaiaProfonda

Isola Grande

Isola Grande Muksalma

Isola di Anzer

IsolaPiccolaMuksalma

Isola Grandedelle Lepri

Isola Piccola delle Lepri

Postazione di lavoro Trojckaja

Eremodel Golgota

Cittadelle

Eremodella Trinità

Ken'ga

Promontorio Pecakˇ

Mar Bianco

LE ISOLE SOLOVKI

Page 3: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

IPeR

tes

to

Il lager delle isole Solovkisecondo lo scrittore russo aleksandr solzenicyn, il regime delle solovki era ancora mol-to «lontano dall’indossare la corazza del sistema». Piuttosto, a suo parere, «l’aria delle so-lovki» appariva come «uno strano miscuglio di estrema ferocia e di inconsapevolezzaquasi indulgente». Questa valutazione nasce dal fatto che, a fianco di episodi di eccezionalebrutalità, lo storico registra anche casi e situazioni del tutto particolari, destinati a scom-parire nell’evoluzione successiva del sistema concentrazionario sovietico.ad alcuni detenuti, ad esempio, fu concesso ricevere non solo pacchi e lettere dall’ester-no, ma persino visite di parenti. Nel 1926, ai numerosi religiosi reclusi fu concesso di ce-lebrare la Pasqua, con una solenne e grandiosa cerimonia liturgica. Inoltre, all’interno dellager, venivano curate ricerche di storia dell’arte e dell’architettura russa, di etnologia edi archeologia; era pubblicata una rivista e (dal 1926 al 1931) funzionò anche un teatro.Nell’inverno 1929-1930, in occasione di un’epidemia di tifo che colpì il lager, l’edificiodel teatro fu adibito a lazzaretto per i malati, ma continuò a funzionare come luogo dispettacoli e di concerti.all’interno del monastero la densità abitativa era insostenibile. I letti, ovviamente, non ave-vano lenzuola e gli ambienti, in genere, erano freddissimi, privi di qualsiasi riscaldamento,cosicché i reclusi erano costretti a costituire dei gruppi di calore di 4 o 6 persone, che si strin-gevano gli uni agli altri per scaldarsi un poco. tuttavia, le condizioni di vita di coloro che era-no inviati nel bosco, in campi senza nome, a tagliare legname, erano molto peggiori. I loroalloggi erano a dir poco primitivi: si trattava di buche o trincee, scavate spesso con le maninude (cioè senza vanghe o altri attrezzi) in terreni paludosi e acquitrinosi. La mortalità piùelevata si registrò proprio in tali luoghi improvvisati. altri lavori molto duri furono quellodi costruzione e manutenzione di una piccola ferrovia a binario unico e a scartamento ridotto(entrata in funzione il 13 agosto 1927) e quello nelle torbiere. Qui si lavorava con l’ac-qua fino alle ginocchia o fino alla cintola per estrarre la torba (la norma fissata era di almeno12 metri cubi giornalieri a persona), che poi veniva messa a essiccare.

3

IPERTESTOC

gU

lag:

ilsi

stem

aco

ncen

traz

iona

rio

sovi

etic

o

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

Un gruppo di detenutidel lager delle isoleSolovki durante i lavoridi costruzione di unapiccola ferroviaa binario unico.

➔Cultura e teatro

➔Sottocampinei boschi

Page 4: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

DOCUMENT IUn ritratto delle isole SolovkiLa testimonianza più importante che abbiamo sulle isole Solovki ci è pervenuta da Dmitrij Ser-

geevic Lichacev, che fu arrestato nel 1928. Riportiamo un brano delle sue memorie, da cui emergeche il principale problema del lager era il sovraffollamento (con conseguente rischio di epidemiedi tifo).

Dalle conversazioni del 1929 ricordo che la densità della popolazione delle Solovki erasuperiore a quella del Belgio, fermo restando che gli spazi sterminati dei boschi e delle pa-ludi non solo non erano abitati, ma erano addirittura inesplorati. Che cos’erano, dunque, leSolovki? Un enorme formicaio? Sì, tanto che era difficile passare tra gli edifici. Per entraree uscire dalla baracca 13, accanto alla chiesa della Trasfigurazione, c’era sempre ressa. Idetenuti-guardiani mantenevano l’ordine con i manganelli. Nel contempo l’accesso e l’uscitaerano consentiti solo con gli ordini, le disposizioni per il lavoro.La notte sui passaggi tra gli edifici scendeva il silenzio. Le mura erano imponenti: quelle

di torri e chiese si allargavano verso il basso. Proverò ora a descrivere la dislocazione dellebrigate nel lager. Nel Cremlino (così sichiamava la parte di edifici del mona-stero cinta da mura, massi giganteschiricoperti di licheni color ruggine) c’e-rano quattordici brigate. La quindice-sima, fuori del monastero, era per i de-tenuti che vivevano nelle diverse tanepresso l’officina meccanica o la fab-brica di alabastro, presso il bagno nu-mero 2 ecc. Il cimitero del lager venivachiamato brigata 16. Era una battuta,ma sta di fatto che, d’inverno, in alcunebrigate i cadaveri restavano insepolti esvestiti.Perché i detenuti venivano suddivisi

in brigate? Probabilmente dipendevadal fatto che erano stati i militari prigio-nieri sull’isola a mantenere l’ordine tra iprimi arrivati. I secondini non potevano,né tanto meno sapevano organizzarealcunché. In un primo momento l’unicaforza organizzativa in grado di ripartire,sfamare e instaurare una primordialeforma di disciplina tra i detenuti che arrivavano sulle isole dell’arcipelago delle Solovkierano i militari, che si rifecero ai modelli di cui disponevano. [...]Di tutte le brigate la tredicesima era la più grande e la più tremenda. Vi venivano de-

stinati i nuovi arrivi, lì inquadrati per spezzare ogni velleità di protesta, e poi spediti ai la-vori pesanti. Chiunque giungesse alle Solovki era obbligato a trascorrere non meno di tremesi nella brigata 13 detta, per l’appunto, di quarantena. La mattina ci facevano metterein fila per l’appello lungo i corridoi che si snodavano intorno alle chiese della Trasfigura-zione e della Trinità. Eravamo in file di dieci, ci si contava, e l’ultimo gridava «Centottan-taduesimo per file di dieci!». È capitato che nella brigata tredici di quarantena si stipas-sero strette strette tre, quattro o anche cinquemila persone. Va da sé che avessimo tuttile pulci. Solo ricorrendo a raccomandazioni particolari si riusciva a lasciarla prima deltempo. [...]Le Solovki erano esattamente il luogo in cui l’uomo si trovava di fronte il prodigio e la quo-

tidianità, il passato del monastero e il presente del lager, e gente di ogni morale, dalla piùnobile alla più spregevole. [...] La vita alle Solovki era tanto assurda da non parere vera. «Quitutto si confonde come in un incubo terribile», si cantava in una delle canzoni del lager.

D.s. LIChaCev, La mia Russia, einaudi, torino 1999, pp. 138-143, trad. it. C. ZoNGhettI

�A quale metafora ricorre l’autore per esprimere l’aspetto più importante del lager?�Qual era la brigata peggiore del lager?�Quali elementi contrastavano tra loro, all’interno del campo?

IPeR

tes

to

4

UN

ITÀ

III

ILCOMUNISMO

INRUSS

IA

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

l’appello dei detenutinel lager delle isoleSolovki: un ritualeche si ripeteva ognimattino.

Page 5: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

La corruzione, all’interno del campo, imperava sovrana. elargendo denaro agli ufficialio al personale sanitario, era possibile essere dichiarati inidonei ai lavori più pesanti ed es-sere assegnati ad altre attività meno faticose, salvo poi vedersi improvvisamente ritiraretali privilegi. anche questa prassi rientrava nel clima di generale arbitrio e irrazionalitàche caratterizzò la gestione del lager delle solovki negli anni venti.Le infrazioni ritenute più gravi comportavano sanzioni pesantissime. all’interno della chie-sa situata sul Monte Sekira funzionava un vero tribunale politico, che poteva emettere sen-tenze: poteva decidere, ad esempio, un prolungamento della pena detentiva, oppure la fuci-lazione del detenuto. alla fine di ottobre 1929, si verificò uno degli episodi più gravi di tut-ta la storia del campo. volendo intimorire i detenuti, in occasione di un fallito tentativo dievasione da parte di due prigionieri, dopo la loro cattura furono uccisi numerosi deportati.Il numero preciso è discusso: molte testimonianze (ad esempio quella di Dmitrij Lichacev,sotto riportata) parlano di circa 300; più probabilmente, però, i fucilati non superarono lacinquantina. In questo caso, l’esecuzione non avvenne sul Monte sekira, ma nei pressi delmonastero, da cui fu prelevata la maggior parte dei detenuti eliminati. sul Monte sekira, ven-ne infine commesso un altro tipo di crimine: un numero imprecisabile di prigionieri fu get-tato da una lunga scala di 365 gradini, che portava fino alla base della collina. Queste ucci-sioni erano poi ufficialmente fatte passare per incidenti.

Lo sviluppo del sistema concentrazionarioIl durissimo scontro sociale in atto nelle campagne russe, all’inizio degli anni trenta, fece au-mentare in modo esponenziale il numero dei detenuti, e quindi dei campi. Nel 1930, per ge-stire una struttura che si faceva sempre più ramificata e complessa, fu creato un nuovo appo-sito ente, la Direzione centrale dei lager (Glavnoe Upravlenie Lagerej, abbreviato in GULag).Inoltre, in concomitanza con la svolta impressa da stalin all’economia sovietica, si decise diimpiegare la manodopera dei campi per fini produttivi. Fin dal 1923, i detenuti avevano sem-pre lavorato all’interno dei lager. In epoca staliniana, però, il lavoro schiavo dei detenuti ebbeun ruolo determinante nel formidabile processo di crescita economica che si verificò in URss,nel corso degli anni trenta. Il loro impiego divenne sistematico, metodico e, al limite, spie-tato, in quanto i risultati da conseguire contavano molto di più della vita e della dignità uma-na di coloro che dovevano contribuire a raggiungerli, con i loro sforzi e la loro fatica.Per costringere a lavorare masse sempre più ingenti di prigionieri, negli annitrenta fu introdottoil cosiddetto sistema delle razioni differenziate. In pratica, fu istituita una micidiale cor-relazione tra mole di lavoro effettivamente svolta nell’arco di una giornata e quantità di panericevuta. a ciascun detenuto (o, in alternativa, a una squadra) era assegnato un dato obiet-tivo lavorativo da raggiungere: ad esempio, veniva fissato un determinato numero di metricubi di tronchi da tagliare, da accatastare o da caricare. se tale norma era raggiunta, alla ra-zione dei detenuti era aggiunto un corrispondente quantitativo di pane. Diversamente, il de-tenuto doveva accontentarsi della misera razione-base di pane, e della zuppa, il cui valorenutritivo era spesso un fatto casuale: come scrive varlam salamov, «il mestolo del distri-butore che pesca soltanto brodaglia (praticamente acqua), può ridurre le qualità nutritive delcompanatico praticamente a zero».Nei primi anni trenta, per chi svolgeva lavori fisici pesanti era fissata una razione gior-naliera di un chilo di pane. Per chi adempiva la norma giornaliera al 100 per cento c’e-rano altri 300 grammi di supplemento. Nella seconda metà degli anni trenta, mentre larazione punitiva scese fino a 300 grammi, la quantità di pane distribuita al detenuto a pre-scindere dai risultati del lavoro, la cosiddetta garantita, fu abbassata di più della metà, ar-rivando a toccare i 400-450 grammi.se si eseguivano i 3/4 del piano affidato era prevista un’aggiunta di 100 grammi. Per l’a-dempimento completo della norma c’era un supplemento di 200 grammi sulla razione-base;se la si superava, addirittura, del 125%, era possibile avere 300 grammi in più. tuttavia, i vec-chi detenuti avevano imparato a loro spese una semplice massima di saggezza concentrazio-naria: «Non ti ammazza la razione piccola, ma quella grande!». andare alla ricerca della ra-zione supplementare, infatti, richiedeva spesso sforzi eccessivi, che alla fine esaurivano deltutto le forze e non erano affatto compensate dalla quantità extra ricevuta.

IPeR

tes

to

5

IPERTESTOC

gU

lag:

ilsi

stem

aco

ncen

traz

iona

rio

sovi

etic

o

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

➔Clima di arbitrioe irrazionalità

➔Sfruttamentodel lavoro

➔Razioni di pane

Riferimentostoriografico

pag. 142

Page 6: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

DOCUMENT IIl sistema delle razioniNegli anni Trenta, nei lager sovietici fu introdotto un nuovo sistema di razioni alimentari, fornite

ai deportati in rigida proporzione rispetto al lavoro svolto. Il passo che riportiamo è di Olga Adamova-Slozberg, che visse in lager dal 1936 al 1956. La scena seguente si svolge nella regione della Kolyma(Siberia nord-orientale).

Con Galja Prozorovskaja si lavorava in coppia a preparare il legname. Da principio lei erapiù forte e più abile di me, ma a poco a poco cominciò a cedere. Lavorava sempre più len-tamente e noi finivamo sempre più tardi la quota stabilita (otto metri cubi al giorno in due).Le altre andavano già a casa e noi non avevamo ancora sistemato le nostre cataste e nonavevano la forza di andare più svelte.Io mi arrendevo per prima: «Basta, Galja, finiamo domani. Non ce la faccio più».Galja rispondeva spaventata:– E la nostra quota? Dobbiamo passare a quattrocento grammi?Chi raggiungeva la quota aveva seicento grammi di pane al giorno, chi non la raggiun-

geva quattrocento. Quei duecento grammi di differenza erano decisivi per la nostra so-pravvivenza, perché con quattrocento grammi di pane non si può vivere e lavorare a cin-quanta sotto zero.– Sì, la quota. Su, diamoci sotto!Ammucchiavamo la catasta di legno, mentre io facevo qualche piccolo aggiustamento.

Per esempio infilavo sotto la catasta neve e residui fradici di legname.Galja mi scongiurava:– Lascia perdere. Magari ci scoprono e sai che vergogna! Ex membri del partito che cac-

ciano la neve sotto la catasta.In una maniera o nell’altra avevamo fatto i nostri otto metri cubi ed era già buio; per tor-

nare a casa dovevamo ancora percorrere cinque chilometri. E così ci mettevamo in cam-mino, col ghiaccio che ci pungeva le mani, la schiena, il volto. Era necessario uno sforzo divolontà enorme per camminare ancora un’ora e mezzo o due nel gelo del bosco, quandole gambe pesano un quintale, le ginocchia tremano per la fame e la stanchezza, il fazzolettoche copre la testa si trasforma in una lastra gelata e si fa fatica a respirare.Ma ci aspettano il tepore della baracca, una sbobba calda e duecento grammi di pane

pesante, molle, ma così saporito. Più avanti c’è il riposo sulla branda e una stufa accesa.E andiamo avanti.

o. aDaMova-sLIoZBeRG, Il mio cammino, Le Lettere, Firenze 2003, pp. 106-107, trad. it. F. FICI

�Che cosa èla «quota»?

�In che modo emergeil passatocomunista delledue detenute?

�Commenta la frasefinale: «E andiamoavanti».

IPeR

tes

to

6

UN

ITÀ

III

ILCOMUNISMO

INRUSS

IA

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

Alcuni detenuti delcampo delle isoleSolovki durante lapausa per il pranzo.Per i reclusi nonraggiungere la moledi lavoro prefissatain una giornatasignificava vedersiridurre le razionialimentari.

Page 7: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

IPeR

tes

to

Il canale Mar Bianco-Mar BalticoIl primo grande progetto che vide l’uso massiccio di manodopera tratta dai lager fu ilcanale destinato a unire il Mar Bianco al Mar Baltico (chiamato in russo Belomorka-nal). L’idea di un canale nell’estremo Nord della Russia europea va attribuita diretta-mente a Stalin, che oltre tutto fissò con precisione anche i tempi di realizzazione:venti mesi al massimo. In questo arco temporale così compresso, i detenuti furono ob-bligati a scavare (nel terreno roccioso, o gelato) per più di 200 chilometri, nonché acostruire 5 dighe e 19 chiuse. La decisione fu presa nel febbraio 1931; in settembre,iniziarono i lavori. Nell’agosto 1933, il canale fu completato e ufficialmente inaugu-rato da stalin, con un viaggio in battello.Per costruire il canale, vennero trasferiti moltissimi detenuti dalle solovki (che, in pra-tica, si trasformarono in un semplice carcere di sicurezza) e fu organizzato un vasto cam-po di lavoro correzionale. Denominato Belbaltlag, vide impegnati complessivamente170 000 detenuti, 25 000 dei quali morirono durante i lavori di costruzione. La co-struzione del Belomorkanal fu caratterizzata da una quasi totale assenza di tecno-logia. tutti i lavori, anche i più duri, impegnativi e faticosi, furono condotti senza mac-chine, con attrezzature quanto mai primitive (rozze pale, picconi, mazze, vanghe e car-riole di legno ecc.) o addirittura a mani nude. Per questo, fu necessario concedere pre-mi e incentivi di vario tipo agli operai che, malgrado le difficoltà, riuscivano comun-que a far procedere il lavoro. ai più laboriosi, vennero concesse razioni alimentari pie-namente soddisfacenti e fu persino promessa un’abbreviazione della pena: per ogni tregiorni di lavoro in cui raggiungeva la norma che gli era stata assegnata, il detenuto po-teva riscattare un giorno di pena. Quando il canale fu completato, furono in effettiliberati 12 484 prigionieri.

7

IPERTESTOC

gU

lag:

ilsi

stem

aco

ncen

traz

iona

rio

sovi

etic

o

Detenuti impegnatinella costruzione delcanale Mar Bianco-Mar Baltico.

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

Page 8: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

DOCUMENT IIl freddo estremo di KolymaVarlam Salamov (1907-1982, arrestato nel 1937 e liberato nel 1951) è ritenuto il narratore più lu-

cido del dramma che si consumò nei campi della regione della Kolyma. Nei suoi racconti, il freddo mi-cidiale della Siberia nord-orientale diventa metafora di un altro ben più terribile gelo, presente a Koly-ma: quello della totale indifferenza per le sofferenze umane.

A noi lavoratori non mostravano mai il termometro; del resto era inutile visto che con qual-siasi temperatura dovevamo comunque andare a lavorare. Inoltre i veterani della galera, an-che senza termometro, potevano stabilire con precisione quasi assoluta quanti gradi sotto zeroci fossero: se c’è una nebbia gelata, fuori fa meno quaranta; se l’aria esce con rumore dal naso,ma non si fa ancora fatica a respirare, vuol dire che siamo a meno quarantacinque; se la re-spirazione è rumorosa e si avverte affanno, allora meno cinquanta. Sotto i meno cinquanta-cinque, lo sputo gela in volo. Ed erano già due settimane che gli sputi gelavano in volo.Ogni mattina, Potasnikov si svegliava con una speranza: si era attenuato il gelo? Dall’espe-

rienza dell’inverno precedente sapeva che, per quanto bassa fosse la temperatura, era sufficienteuna sua variazione improvvisa, un contrasto netto per provare una sensazione di calore. Anchese la temperatura fosse risalita solo fino a quaranta-quarantacinque gradi, per un paio di giorniavrebbero sentito caldo; e fare progetti al di là di quei due giorni era del tutto insensato.Ma il gelo non si attenuava, e Potasnikov si rendeva conto che non avrebbe potuto resi-

stere ancora molto. La colazione gli bastava per un’ora di lavoro al massimo, poi arrivava la stan-chezza, il gelo gli trapassava il corpo fino alle ossa e quel modo di dire popolare non era af-fatto una metafora. Non poteva fare altro che agitare il più possibile l’attrezzo che stavausando e saltellare da un piede all’altro per non congelare, questo fino all’ora di pranzo. Il pa-sto caldo – la famigerata juska acquosa e due cucchiaiate di pappa, la kasa – non lo rimettevain forze ma almeno lo riscaldava. E di nuovo aveva forze bastanti per non più di un’ora di la-voro, dopo di che Potasnikov desiderava soltanto una cosa: riscaldarsi, oppure abbandonarsilungo disteso sulle aguzze pietre ghiacciate e morire. La giornata in qualche modo finiva e dopoil pasto serale, bevuta l’acqua calda con il pane – nessuno mangiava il pane alla mensa con laminestra, se lo portavano tutti nella baracca – Potasnikov si metteva subito a letto.Naturalmente lui dormiva su uno dei tavolacci di sopra: da basso faceva freddo come

in una cantina ghiacciata e quelli che avevano i posti di sotto passavano metà della nottein piedi vicino alla stufa, facendo a turno per stringersi contro di essa con entrambe le brac-cia: era appena tiepida. Non c’era mai legna sufficiente: bisognava procurarsela, a quattrochilometri di distanza, dopo il lavoro, e tutti cercavano di sottrarsi in qualsiasi modo a que-sta incombenza. Di sopra faceva più caldo, ma naturalmente anche lì tutti dormivano conaddosso gli stessi indumenti che indossavano di giorno per andare a lavorare: berretti, giac-coni, casacche, pantaloni imbottiti. Di sopra faceva più caldo, ma anche lì bastava una notteperché il gelo incollasse i capelli al cuscino.Potasnikov sentiva le sue forze diminuire di giorno in giorno. Lui, un uomo di trent’anni, fa-

ceva ormai fatica sia a issarsi sui tavolacci superiori, sia a ridiscenderne. Il suo vicino di lettoera morto il giorno prima, era morto così, non si era svegliato, e nessuno si era preoccupatodi sapere di cosa fosse morto, come se la causa potesse essere una sola, quella che tutti co-noscevamo bene. Il piantone della baracca era contento che fosse morto di mattina e non disera: l’approvvigionamento giornaliero del defunto sarebbe andato a lui. Non era un segreto,e Potasnikov aveva preso il coraggio a quattro mani, gli si era avvicinato: «Dammene una cro-sta», ma l’altro l’aveva accolto con una serie di violente ingiurie, quali poteva profferire solo unuomo debole diventato forte, il quale sa che le sue ingiurie resteranno impunite. Solo in cir-costanze eccezionali accade che un debole ingiuri un forte, ed è il coraggio della disperazione.Potasnikov non aveva replicato e si era fatto da parte. [...]Non faceva una colpa a nessuno per tanta indifferenza. Aveva capito per tempo da dove

venisse quell’ottusità spirituale, quel freddo dell’anima. Il gelo, quello stesso gelo che trasfor-mava in ghiaccio uno sputo prima che toccasse terra, era penetrato anche nelle anime degliuomini. Se potevano congelarsi le ossa, se poteva congelarsi e intorpidirsi il cervello, altrettantopoteva accadere anche all’anima. Nella morsa del gelo non si poteva pensare a niente. Ed eratutto molto semplice. Con il freddo e la fame il cervello veniva alimentato in modo insufficientee le cellule cerebrali deperivano: un evidente processo fisico che chissà se era reversibile, comesi dice in medicina, al pari di un congelamento, o provocava un danno definitivo. Così l’anima:si era congelata, rattrappita e sarebbe forse rimasta tale per sempre. In passato Potasnikovaveva avuto spesso di questi pensieri, ma ora non gli restava nient’altro che il desiderio di re-sistere, di vedere la fine di quel gelo restando vivo.

[1954]

v. saLaMov, I racconti di Kolyma, einaudi, torino 1999, pp. 17-19, trad. it. s. RaPettI

�Che differenza c’era,nei tavolacci di unabaracca, trai posti più in altoe quelli inferiori?

�In quali «circostanzeeccezionali»,secondo l’autore,accade che undebole ingiuriun forte?

�Il congelamentodell’anima, secondol’autore, èreversibile?

IPeR

tes

to

8

UN

ITÀ

III

ILCOMUNISMO

INRUSS

IA

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

Page 9: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

La ramificazione del sistemaverso la fine degli anni venti, l’estremo Nord della siberia centrale (l’area in cui poi,più tardi, sarebbe nato il centro minerario di vorkuta) venne scelto come zona di con-fino per i detenuti che, dopo aver scontato la pena, erano stati liberati dal campo del-le solovki. Dall’estate del 1929, si cominciò la costruzione delle infrastrutture (pri-ma tra tutte una ferrovia) capaci di trasformare l’area in un distretto minerario (estra-zione di carbone e di petrolio).Nel 1931, iniziò la costruzione del grande complesso concentrazionario di karaganda (Ka-ragandinskij ItL o karlag), in kazakistan. Qui, negli anni Quaranta, avrebbero lavoratocirca 60 000 deportati, in aziende agricole che si estendevano su un territorio di 20 800chilometri quadrati. Un altro segmento importantissimo del sistema fu l’insieme dei can-tieri destinati al raddoppio della ferrovia transiberiana; il tratto su cui venne concentra-to il principale intervento fu quello che andava dal lago Bajkal al fiume amur (distanticirca 2000 chilometri uno dall’altro). Nel 1938, questa vasta regione ospitava circa 200 000detenuti, divenuti 260 000 l’anno seguente.Nel novembre 1931, una risoluzione del Comitato centrale stanziò 20 milioni di rubliper la creazione del Dal´stroj, un’enorme azienda di stato incaricata di sfruttare le risor-se minerarie della regione del fiume kolyma (nella siberia nord-orientale). Una spedizionegeologica inviata là nel 1928, infatti, aveva scoperto enormi giacimenti d’oro.a kolyma (ancor più che in altre regioni siberiane) le condizioni climatiche erano terribili, pernon dire estreme, in quanto la temperatura invernale può scendere fino a -40 o addirittura-50 °C. Malgrado ciò, nel 1939, a kolyma erano costretti a lavorare 138 000 detenuti, dive-nuti 190 000 nel 1940.Nel 1941, il Dal´stroj controllava un’area vastissima: un territorio di 2 266 000 chilometriquadrati; nel 1951, tale territorio si sarebbe ulteriormente ampliato e avrebbe toccato i3 000 000 di chilometri quadrati. Dal 1932 al 1939, la produzione di oro passò da 276chilogrammi a 48 tonnellate.La regione della kolyma, però, era molto difficile da raggiungere. I prigionieri arrivava-no in treno a vladivostok, e poi – in nave – erano condotti al porto di Magadan, che do-vette essere costruito dai detenuti stessi, insieme a tutte le altre infrastrutture indispen-sabili (ferrovie, strade e ponti). Infine, dalla città di Magadan, i deportati raggiungevanoi vari centri minerari nell’interno.

Il GULag durante la guerraDurante la seconda guerra mondiale, l’esercito tedesco invase l’URss il 22 giugno 1941.Questo drammatico evento sconvolse non solo l’intera società sovietica (che avrebbepagato un prezzo altissimo: secondo le stime più recenti, 27 milioni di vittime, tra cui18 milioni di civili), ma anche il sistema concentrazionario. All’inizio del 1941, la po-polazione del GULag era di circa 1930000 detenuti. a seguito del-l’invasione tedesca, a molti prigionieri (970 000) fu concessodi arruolarsi nell’esercito, ma tale possibilità fu semprenegata a coloro che erano stati condannati come con-trorivoluzionari, in base all’art. 58 del Codice pe-nale sovietico. Inoltre, vennero arrestati almeno 400000 cittadini sovietici di nazionalità finnica o ro-mena, considerati potenziali sostenitori dellaFinlandia o della Romania, in caso di conflitto conquesti stati. La popolazione del GULag, dunque,non calò in modo significativo (nel 1942 si con-tano circa 1777000 detenuti).Negli anni di guerra, però, la popolazione presente nelsistema concentrazionario sovietico subì un significativo dop-pio mutamento: aumentò la percentuale di prigionieri per mo-

IPeR

tes

to

9

IPERTESTOC

gU

lag:

ilsi

stem

aco

ncen

traz

iona

rio

sovi

etic

o

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

➔Vorkutae Karaganda

➔Kolyma

Una massa di scarpedi prigionieri mortinel campo diButugičak, dove eranoreclusi moltissimidetenuti politici.

Page 10: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

tivi politici (28,7% nel 1941; 41,2% nel 1945) e la quota delle donne in stato di deten-zione: dal 7,6% (110 835 prigioniere) nel 1941 al 24% (168 634 nel 1945).Durante la guerra, i detenuti furono utilizzati per costruire impianti industriali e aeroporti,oppure per migliorare e potenziare la rete ferroviaria e il sistema stradale sovietico. soprattutto,però, un numero elevatissimo di prigionieri fu impiegato in fabbriche di bombe e muni-zioni. si può affermare che il 10-15% del totale dei proiettili prodotti per l’Armata ros-sa sia uscita da impianti in cui lavorava manodopera forzata.Gli anni 1941-1945 furono durissimi per quel che riguarda la situazione alimentare deidetenuti, molti dei quali soffrirono la fame. Per quanto le direttive provenienti da Mo-sca, in questo caso, esortassero i comandanti dei campi a prestare molta attenzione allecondizioni fisiche dei detenuti (di cui si riconosceva l’importanza produttiva, nell’ambi-to dello sforzo bellico), la situazione oggettiva era drammatica: in linea di massima, l’ap-porto calorico che era possibile fornire ai prigionieri era del 30% inferiore, rispetto a quel-lo prebellico. Ciò provocò un costante aumento del tasso di mortalità, che nei cam-pi passò dal 3,2% (rispetto alla popolazione concentrazionaria media annuale) del gen-naio/luglio 1941 al 25,2% del gennaio/luglio 1944.

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

DOCUMENT ILa fameNato nel 1919, lo scrittore polacco Gustaw Herling fu arrestato nel marzo 1940 e poi detenuto in

un lager sovietico della regione di Kargopol´ fino al 1942. La prima edizione delle sue memorie di pri-gioniero uscì a Londra nel 1951.

La fame... la fame è una sensazione orribile, che si trasforma in un’astrazione, in incubialimentati da una continua febbre mentale. Il corpo è come una macchina surriscaldata, chelavora con accresciuta velocità e con minor carburante, e le braccia e le gambe scheletri-che diventano simili a cinghie di trasmissione strappate. Gli effetti fisici della fame non hannoun limite al di là del quale la vacillante dignità umana possa ancora serbare il suo incerto maindipendente equilibrio. Quante volte schiacciavo la mia faccia pallida contro i vetri gelati dellafinestra della cucina per implorare con uno sguardo muto da Fedka, il ladro di Leningradoaddetto alle razioni, un altro mestolo di minestra acquosa! E ricordo che una volta il mio mi-glior amico, un vecchio comunista e compagno di gioventù di Lenin, l’ingegner Sodovskij,sulla piattaforma vuota della cucina mi strappò dalle mani un pentolino pieno di minestra escappò via, e senza aspettare nemmeno di raggiungere la latrina, ingurgitò correndo la mi-nestra bollente con labbra febbrili. Se Dio esiste, punisca senza pietà coloro che piegano illoro prossimo con la fame. [...]I primi sintomi di questa fame apparvero verso la fine dell’inverno 1941, e nella prima-

vera ogni segno di vita era scomparso dal campo. Nelle cucine la minestra diventava ognigiorno più liquida, spesso la razione del pane era al di sotto del peso, e sparirono comple-tamente le aringhe che tanto piacevano a Dimka.Gli effetti di questa fame divennero presto palesi. Le brigate facevano ritorno dal lavoro

molto più lentamente, di sera si poteva a stento camminare lungo i sentieri ingombrati dalleincespicanti vittime della cecità notturna; nella sala d’aspetto della baracca sanitaria atten-devano la visita del medico degli infelici dalle gambe gonfie come tronchi, coperte di pia-ghe suppurate prodotte dallo scorbuto; ogni sera una grande slitta riportava indietro alcampo uno o due tagliaboschi svenuti sul lavoro. La fame non allenta di notte la sua stretta,anzi proprio allora, astuta e violenta, attacca con le sue armi misteriose. Solo Iganov, un vec-chio russo della brigata dei carpentieri, pregava fino a notte alta, ricoprendosi il volto con lemani. Gli altri dormivano nel silenzio opprimente della baracca il sonno febbricitante di co-loro che soffrono fisicamente, aspirando l’aria con un fischio attraverso le labbra semiaperte,rivoltandosi senza posa sull’uno e sull’altro fianco, borbottando e singhiozzando nel sonnocon un mormorio che lacerava il cuore. [...] Dimka aveva accettato di aiutare tre pulitori dilatrine per un piatto in più di minestra, sicché tornava alla baracca poco prima di mezza-notte, bagnato e puzzolente come un topo di fogna. Per antica abitudine soleva ancora al-zare il coperchio del secchio dei rifiuti, ma da molto tempo ormai non c’erano più resti diaringhe sul fondo vuoto.

G. heRLING, Un mondo a parte, Feltrinelli, Milano 1994, pp. 156-162, trad. it. G. MaGI

➔Fabbrichedi munizioni

�Contro qualisoggetti l’autoreinvoca lamaledizione divina?

�Quali effettiproduceva la famesui detenutilavoratori?Che conseguenzeaveva sul lororiposo notturno?

IPeR

tes

to

10

UN

ITÀ

III

ILCOMUNISMO

INRUSS

IA

Page 11: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

IPeR

tes

to

La vittoria di StalinNel 1945, al momento della vittoria della guerra contro la Germania nazista, stalin rag-giunse il culmine del proprio prestigio e della propria forza. Da più parti, all’interno del-la società sovietica sorgevano richieste di maggiore libertà e soprattutto di un mutamen-to della politica economica del regime, che da molti anni privilegiava la produzione diacciaio o di armamenti, a scapito dei beni di consumo. Questa svolta non ci fu: nel 1946,ad esempio, l’URss produsse meno di un paio di scarpe e meno di un metro di stoffa al-l’anno, per ciascuno dei suoi cittadini. Inoltre, nell’inverno di rabbia 1946-1947, l’enne-sima carestia provocò 2 milioni di morti per fame (500 000 nella sola repubblica rus-sa) e gravi difficoltà alimentari per almeno 100 milioni di individui.La polizia segreta sovietica si rese conto che una simile situazione era esplosiva. Pertan-to, gli ultimi anni Quaranta furono caratterizzati da un’altra imponente ondata di arre-sti e di deportazioni. Migliaia di persone (36 670 solo nell’autunno 1946) furono con-dannate a 5-8 anni per furto di pane o di farina.tra il 1945 e la morte di Stalin (1953) la popolazione dei lager sovietici crebbe in con-tinuazione: da 1460000 nel 1945, i detenuti salirono a 2200000 circa nel 1948, a 2468000nel 1953. Questa crescita vertiginosa si spiega tenendo conto delle diverse categorie di in-ternati, tra i quali dobbiamo ricordare 272867 soldati dell’Armata rossa che erano sta-ti catturati dai tedeschi e che vennero accusati di essersi arresi senza opporre resistenza alnemico. tra questi militari, poi, un posto speciale occuparono i 56 746 vlasovity: soldati cheavevano accettato di vestire la divisa tedesca e di combattere (sotto il comando del genera-le andrej andreevič vlasov) contro l’esercito sovietico.Uno dei fenomeni più gravi sottolineati dai sopravvissuti all’interno dei lager sovietici è ilpeso crescente che assunsero col passar del tempo i criminali comuni. Molto spesso, in-fatti, si trattava di delinquenti di professione, spietati e violenti, che all’interno del sistemariuscivano ad imporsi proprio in virtù della loro crudeltà, che esercitavano verso i detenu-ti più deboli e soprattutto (con la complicità delle autorità) verso i prigionieri politici, con-dannati in base all’art. 58 del Codice penale. Per principio, i malavitosi non lavoravano: men-tre quelli passavano tutta la giornata a giocare a carte, gli altri detenuti della squadra, cuiessi erano assegnati, erano costretti a svolgere anche la loro percentuale di lavoro.In un primo tempo, i delinquenti non accettarono incarichi di responsabilità all’internodel campo, guardando all’autorità dello stato come ad un nemico, con cui non bisognavacollaborare. tuttavia, durante la guerra, pur di uscire dal lager molti criminali accettaro-

11

IPERTESTOC

gU

lag:

ilsi

stem

aco

ncen

traz

iona

rio

sovi

etic

o

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

➔Difficoltàdopo il 1945

➔Delinquentie politici

Due detenuti polacchi,dopo la liberazione,si fanno fotografaredavanti al cimiteroche ricorda le vittimedello sciopero repressonel sangue il1o agosto 1953.

Page 12: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

no di arruolarsi nell’esercito. al loro ritorno in campo, dopo il 1945, questi malavitosifurono accusati dagli altri di tradimento e furono denominati sprezzantemente «cagne»(suki, un epiteto volgare simile a «puttane»). a partire dal 1949, tra i due gruppi iniziòuna lotta lunga e feroce; denominato di solito la guerra delle cagne, lo scontro venne am-piamente tollerato dalle autorità, che se ne servirono, spesso, per sbarazzarsi di alcuni cri-minali particolarmente pericolosi e potenti.Nell’immediato dopoguerra, furono deportati nei lager sovietici anche moltissimi ucrai-ni, polacchi o cittadini delle tre repubbliche baltiche (Lituania, Lettonia ed estonia) chesi erano opposti all’occupazione russa nel 1939-1940, oppure avevano apertamente col-laborato coi tedeschi. La maggior parte dei polacchi proveniva dalle file dei partigianinazionalisti, ostili sia ai tedeschi, sia ai russi. Molti di loro furono deportati a Vorkuta,una regione della siberia del Nord ricchissima di carbone. Nel 1951, l’intera area com-prendeva ben 192 951 detenuti.Proprio i campi con una maggiore presenza di stranieri (polacchi e ucraini, soprattutto)videro la nascita, nei primi anni Cinquanta, di numerose e varie forme di resistenza, cheandavano dalla tufta (l’imbroglio sul lavoro) su vasta scala, allo sciopero organizzato veroe proprio. La produttività del lavoro nei campi andò costantemente calando. In un pri-mo tempo, i comandanti e le autorità periferiche cercarono di minimizzare il fenomeno,falsificando le cifre. Infine, però, ci si rese conto anche ai massimi livelli che il sistemadel lavoro forzato non era più redditizio.L’episodio di resistenza più significativo avvenne a vorkuta, ove uno sciopero fu represso nelsangue (circa 70 morti) il 1o agosto 1953. a quell’epoca, stalin era già morto (5 marzo) eun’amnistia promulgata il 27 marzo aveva già messo in libertà circa 1 200 000 detenuti.

Riferimenti storiograficiLa vita nei lager sovietici

Le condizioni di vita dei detenuti nei lager sovietici variavano notevolmente a seconda dei luoghi:potevano essere determinanti, di volta in volta, la posizione geografica, il tipo di lavoro che i deportatidovevano svolgere, il carattere del comandante e dei sorveglianti ecc. La descrizione che segue cercadi individuare le principali caratteristiche comuni.

I forzati dei lager, richiesti, registrati e «gestiti come risorse umane», rappresentavano ilgradino più basso nella piramide sociale dell’età staliniana, erano gli «schiavi del lavoro» del-l’Unione Sovietica. Le istituzioni concentrazionarie sovietiche si adoperavano per impedirein tutti i casi che in questi reclusi si formasse un’identità di gruppo; a tale scopo fin dalla na-scita del sistema si provvide a suddividerli in categorie. La prima distinzione fu tra «appar-tenenti alla classe operaia» ed «elementi estranei» o «nemici di classe», mentre dalla metàdegli anni Trenta, rinunciando alla suddivisione in classi, si distinse fra reclusi per motivi nonpolitici e «controrivoluzionari».Fin dall’inizio dell’era dei piani economici i criminali costituirono l’aristocrazia dei lager.

Vi erano delinquenti di mestiere e delinquenti abituali i quali, una volta assunta una posizionedominante all’interno della gerarchia criminale, venivano chiamati urkas, oppure blatnois,blatnjaki o blatari e nel campo formavano una casta potente e rigidamente chiusa con unproprio codice di comportamento. Coloro che infrangevano il codice erano espulsi ed eti-chettati come suka. I criminali non avevano raggiunto quel loro rango privilegiato solo in virtùdella loro organizzazione, bensì anche grazie a un sistematico sostegno da parte delle ri-spettive direzioni dei campi. Come «elementi socialmente affini» godevano di maggiore fi-ducia; le direzioni dei campi si preoccupavano di creare un antagonismo tra loro e gli «arti-colo 58» (come erano chiamati i condannati secondo l’articolo 58 per «attivitàcontrorivoluzionaria»). La grande maggioranza delle posizioni con incarichi, definite nelgergo dei campi posizioni pridurki, veniva così assunta da criminali. [In tal modo, quasi sem-pre, i criminali evitavano il duro lavoro manuale, n.d.r.]

1

IPeR

tes

to

12

UN

ITÀ

III

ILCOMUNISMO

INRUSS

IA

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

➔Guerra delle cagne

➔Calo di produttività

Page 13: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

IPeR

tes

to

La quota dell’altro grande gruppo, i «con-trorivoluzionari» e gli «articolo 58» era in conti-nua crescita. Nella scala gerarchica degli inter-nati stavano all’ultimo gradino; poiché il regimesovietico li considerava soggetti «non rieduca-bili», gli «articolo 58» subivano una serie di ina-sprimenti della pena cui non erano soggetti i cri-minali. Ripetute disposizioni, spesso però nonosservate, proibivano agli «articolo 58» di de-tenere incarichi. [...]Principio base per il sostentamento in tutte le

categorie di lager era vincolare la quantità delle ra-zioni alimentari al raggiungimento dello standarddi produzione, assieme a molti altri criteri. È diffi-cile dare una panoramica sulla varietà delle razioni;i reclusi destinati ai «lavori comuni» erano parti-colarmente colpiti da tale regolamentazione. Ilcibo era di cattiva qualità, insufficiente e non cor-rispondeva comunque alle prestazioni richiestedal durissimo lavoro; era carente di calorie, vita-mine e altre sostanze indispensabili. Affamandocostantemente i reclusi si voleva spingerli a rag-giungere o superare lo standard di produzione perottenere in cambio razioni maggiori o di migliorequalità. Questo genere di sprone al lavoro nonproduceva quasi mai il risultato sperato visto chei prigionieri morivano anziché lavorare di più. Conl’inizio della guerra le razioni già ampiamente in-sufficienti vennero ulteriormente ridotte. Grandicrisi di fame percorsero i lager tra il 1941 e il1942; solo quando la produttività calò sensibil-mente vennero reintrodotte le razioni dell’ante-guerra, ma in realtà la «grande fame» nel GULag siconcluse solo nel 1948. [...]La morte era una realtà quotidiana nel lager. Gli internati morivano di fame, spossatezza,

assideramento, venivano fucilati, erano vittima di incidenti sul lavoro o delle strutture puni-tive cui erano destinati. L’atteggiamento di disprezzo verso gli esseri umani adottato nei con-fronti dei reclusi in vita proseguiva con la «mancanza di pietà» verso i morti. Il prigioniero de-funto veniva contrassegnato al piede sinistro con una targhetta di legno o altro mezzo diidentificazione che riportava la sua matricola; i denti d’oro venivano estratti; per ostacolareun decesso simulato, la testa della salma veniva fracassata con un martello o gli veniva con-ficcato un chiodo nel petto. Il cadavere, nella maggior parte dei casi nudo o con la sola lo-gora biancheria addosso, veniva infine sotterrato all’esterno del campo. Le fosse erano dif-ficilmente o per nulla identificabili.I reclusi che avevano la fortuna di essere sopravvissuti all’internamento e a cui non era

stato comminato un «secondo termine», ovvero una ulteriore condanna, venivano affrancatidallo status di internati in lager, ma non ottenevano la libertà. Le autorità dell’NKVD [una dellediverse denominazioni assunte dalla polizia politica sovietica, n.d.r.] erano interessate a nonfar uscire dall’impero economico del GULag o comunque dal proprio controllo gli ex inter-nati, pur usciti dal sistema concentrazionario del GULag, e quindi li ponevano sotto sorve-glianza del Commissariato, poi Ministero degli Affari Interni. Una possibilità era quella di con-segnare al rilasciato una lista, la cosiddetta «lista delle esclusioni», con un elenco di città nellequali non si sarebbe potuto stabilire, costringendolo così ad andare a vivere in aree che eranozona di insediamento del GULag o dell’NKVD. La seconda variante, altrettanto frequente, eraquella di imporre all’ex internato di continuare a vivere come colono nelle vicinanze del campoove era stato rinchiuso e di continuare a esercitare la consueta attività prevista dai piani. Icosiddetti «coloni liberi» vivevano sì all’esterno dell’area del lager, ma continuavano a essereparte integrante del GULag, erano insomma più ex internati che uomini liberi.

R. stettNeR, Il GULag. Profilo del sistema dei lager staliniani, in G. CoRNI, G. hIRsChFeLD (a cura di),L’umanità offesa. Stermini e memoria nell’Europa del Novecento, il Mulino, Bologna 2003,

pp. 186-192, traduzione di R. MaRtINI

13

IPERTESTOC

gU

lag:

ilsi

stem

aco

ncen

traz

iona

rio

sovi

etic

o

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

Alcuni detenutial lavoro in un lagersovietico.

�Quali detenutipossono esseredefinitil’«aristocraziadel campo»?

�Chi erano gli«articolo 58»?

�Che cosa accadevaalla maggior partedei detenuti,una volta scontatala pena?

Page 14: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

Le funzioni economiche del GULagNegli anni Trenta, anche se ufficialmente si affermava ancora che i campi avevano funzioni di rie-

ducazione, il compito principale dei lager era di tipo economico. L’economia basata sullo sfruttamen-to del lavoro dei detenuti, però, aveva dei margini di spreco eccezionalmente elevato, oltre a non te-nere in minimo conto la dignità umana (e la vita) dei detenuti stessi.

Nel sistema staliniano la funzione economica del campo è fondamentale. Già Mora eZwierniak scrivevano che il gulag non è solo un’istituzione penitenziaria, ma anche un’im-presa industriale e commerciale che, come accade normalmente per enti di questo tipo, sibasa su contratti, bilanci preventivi, crediti ecc. Spesso il gulag assume il ruolo di un im-prenditore che si impegna a esaudire le commesse affidategli da diversi enti, come i Com-missariati del popolo per le Comunicazioni, gli Affari militari, le Foreste, l’Industria e via di-cendo. In base ad appositi contratti, il gulag esegue tutte le opere previste dal pianonazionale e diversi lavori pubblici: costruzione di strade ferrate e fortificazioni, sfruttamentodelle miniere (comprese quelle d’oro) e taglio delle foreste. La rimunerazione stabilita dai con-tratti si basa sui normali prezzi della manodopera, come se si trattasse di un’impresa cheutilizza lavoratori liberi. Siccome le spese per il lavoro dei prigionieri sono molto basse, l’ec-cedenza serve a mantenere l’immenso e costoso apparato di controllo dell’NKVD, nonchétutti i prigionieri che, per un qualsiasi motivo, non siano momentaneamente impegnati nellavoro.I campi hanno supplito alla penuria di macchine con la forza muscolare dei detenuti, so-

prattutto nelle zone più isolate: grazie al progressivo estendersi del gulag, molte terre ino-spitali, Dal´stroj, Magadan [= la regione della Kolyma, nella Siberia nord-orientale, n.d.r.], maanche Vorkuta, furono colonizzate dai forzati. Il gulag ebbe una funzione notevole anche nellarussificazione e nella sovietizzazione del paese, poiché fu messo in atto un massiccio pro-gramma di mescolanza di etnie. […]In ogni campo la dimensione economica è ben presente e determina la seguente orga-

nizzazione: fin dall’ingresso del prigioniero al campo, una commissione stabilisce in qualeclasse di attitudine al lavoro debba essere inserito. I detenuti vengono suddivisi in brigate(l’unità di base in quest’ambito) di 20-40 lavoratori. A capo di ogni brigata c’è un brigadiere– un prigioniero che dirige l’organizzazione del lavoro – coadiuvato da un desjatnik (capo-rale), un aiutante che calcola la percentuale di lavoro obbligatorio effettuato. Ogni brigata la-vora sotto la sorveglianza di un soldato armato, che ha diritto di vita o di morte sui prigio-nieri. Sino al 1936 il lavoro all’aperto si interrompeva quando la temperatura scendeva a-35 °C; nel 1936 il limite è abbassato a -40 °C, ma a Kolyma il regolamento locale fissa lasoglia minima a -55 °C.In seguito agli scioperi tra il 1935 e il 1955, la direzione dei campi ritorna alle regole ini-

ziali sull’interruzione del lavoro per cause meteorologiche (-35 °C), ma a partire dagli anniSessanta il limite è nuovamente abbassato a -40 °C. La durata della giornata lavorativa, va-riabile secondo i campi, si aggira intorno alle 10-12 ore. Le condizioni di lavoro però sonotalmente dure che finiscono per danneggiare il rendimento economico. A partire dagli anniTrenta la funzione economica del campo – l’utilizzo della forza lavoro dei prigionieri – è pre-sente ovunque. Significa che è primaria? Le condizioni di lavoro, per quanto apparentemente

2

IPeR

tes

to

14

UN

ITÀ

III

ILCOMUNISMO

INRUSS

IA

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

la costruzione delcanale che doveva unire

il Mar Bianco al MarBaltico da parte di ungruppo di prigionieri

di un gUlag sovietico.

Page 15: GULag: il sistema concentrazionario IPeRtesto …...quasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aero-porto.Inpassato,invece

IPeR

tes

to

dettate dalla ricerca della massima produttività, in realtà sono tali da far pensare che la fun-zione fondamentale sia l’eliminazione dei detenuti.Come sostiene Scholmer, non si può paragonare il lavoro nei campi a quello degli schiavi,

perché il proprietario di schiavi non li usava in modo così sconsiderato. Inoltre, li comprava,mentre il potere sovietico li ruba. Nel gulag, infatti, il detenuto non è sfruttato solo per il suolavoro: è anche uno strumento mediante il quale si esercita un potere assoluto. Nella realtàqueste condizioni di lavoro si ritorcono contro il loro scopo: la produttività. Le pretese di-sciplinari per accrescere gli sforzi sul lavoro e la sottoalimentazione per far economia del car-burante destinato all’attrezzo animato – per riprendere l’espressione di Aristotele – portanoal fallimento in materia di produttività, nonostante per decenni sia stato possibile rimpiaz-zare la manodopera mancante. Dallin e Nikolaevskij, dopo aver descritto a lungo una formadi lavoro quasi schiavista, finiscono per affermare che il lavoro forzato ha un basso rendi-mento, è improduttivo, causa un enorme spreco di vite umane e una vera e propria deca-denza morale e civica. Solzenicyn insiste sul fatto che i campi non riuscivano a coprire lespese. Il carbone di Vorkuta, per esempio, costava il doppio di quello di Donetz [regione mi-neraria in cui i minatori erano operai liberi, non detenuti, n.d.r.].La resistenza passiva dei detenuti non ha nulla a che vedere con questa situazione. In

tali condizioni repressive e generatrici di morte, la resistenza si manifesta con la tufta. Eli-nor Lipper spiega di che cosa si tratta: «Tufta significa l’arte di presentare le cose sotto unfalso aspetto; un’arte sviluppatasi attraverso molte generazioni di delinquenti nei lunghi annidi prigionia. Chi di tufta se ne intende, ha sempre il suo lavoro in perfetta regola, sebbenein realtà non lo sia affatto. Per esempio, due legnaiuoli consegnano la sera al brigadiere illoro mucchio di legna; il brigadiere lo controlla, lo misura e segna: dodici metri cubi. È unaquantità rispettabile, e non di meno i due legnaiuoli non sembrano particolarmente esausti.In realtà essi hanno raccolto appena tanta legna quanta ne basta, abilmente aggiustata, perfarne un mucchio che sembra gigantesco. Questa è tufta».

J. kotek, P. RIGoULot, Il secolo dei campi. Detenzione, concentramento e sterminio 1900-2000,Mondadori, Milano 2001, pp. 159-161, trad. it. a. BeRNaBBI

�Per quale motivo è improprio paragonare il lavoro dei detenuti del gulag a quello degli schiavineri?

�Per quanto importante sia stato il lavoro dei detenuti, è legittimo affermare che il raggiungimentodi precisi obiettivi economici esauriva le funzioni del gulag?

�Che cosa era la tufta?

15

IPERTESTOC

gU

lag:

ilsi

stem

aco

ncen

traz

iona

rio

sovi

etic

o

F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010