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Heidegger e i Greci Volpi

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Heidegger e i Greci1

Franco Volpi

1. Il problema

Qual è la prospettiva migliore da assumere per interpretare il rapporto del tuttoparticolare che Heidegger ha instaurato con il pensiero greco? E quali indicazioni,quale senso possiamo sperare di ricavare da una riflessione su questo tema così con-troverso? Già questi interrogativi, che si impongono a chiunque voglia considerareil modo in cui Heidegger si è richiamato ai Greci, rendono necessarie alcune consi-derazioni preliminari su come affrontare e trattare tale tema.

Si potrebbe prendere in esame innanzitutto il rapporto che Heidegger hainstaurato con i pensatori greci, analizzando punto per punto le diverse interpreta-zioni che egli ne ha dato. Il fine di questo esame potrebbe essere quello di verifi-carne la tenuta filologica e di vedere se esse aprano prospettive nuove nella com-prensione dei pensatori greci interpretati. Ora, non è difficile prevedere che questotipo d’approccio porterebbe a una lunga serie di rettifiche, tanto più che Heideggerstesso ci avvisa preliminarmente del carattere violento delle sue interpretazioni.Seguire questa strada sembra dunque essere un’impresa poco produttiva e, in ognicaso, da non raccomandare a chi sia interessato soltanto alla verità storica sulmondo greco.

Scartato questo approccio, ne rimane un secondo. È quello di chi, indipenden-temente dalla tenuta filologica delle interpretazioni heideggeriane dei Greci, èdisposto a prestare attenzione ai fondamentali problemi filosofici che esse solleva-no e ripropongono. Se provvisoriamente mettiamo da parte la verità storica sulmondo greco, e ci disponiamo invece a seguire come Heidegger attinga liberamen-te al pensiero greco come al repertorio primo e originario di chiunque faccia filo-sofia (mettendo in atto una storia di tipo critico, anziché antiquaria o monumenta-le), saremo in grado di capire meglio il senso della generale presenza dei Greci nellasua opera, prendendo atto in senso positivo del fatto che tale confronto non mira astabilire come stiano effettivamente le cose da un punto di vista storico e filologi-co, bensì a farsi carico dei problemi filosofici fondamentali pensati per la primavolta in Grecia.

Inoltre, tenendo presente che Heidegger si confronta con i Greci in questo qua-dro, cioè misurandosi con ciò che essi hanno significato e significano perl’Occidente, vale a dire la nascita dell’episteme e del pensiero filosofico, si sarà ingrado di comprendere e valutare meglio la connessione che egli vede tra la metafi-

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tura d’essere del Dasein il fondamento su cui rifondare la metafisica (che come tale,cioè in quanto radicalmente fondata, è chiamata ontologia fondamentale). E sivedrà come Heidegger si rivolga qui ad Aristotele per trovarvi le determinazionifondamentali dell’essere dell’uomo servendosi delle quali egli comprende e defini-sce la costituzione ontologica dell’esserci.

Qualcosa di analogo può essere detto per l’interpretazione di Platone. Come sisa, Platone non ha nel pensiero heideggeriano un posto così centrale come quellooccupato prima da Aristotele e poi dai presocratici, anche se la sua presenza non silimita alla celebre lettura del mito della caverna, ma si estende anche ad altri signi-ficativi momenti. Il corso del semestre invernale del 1924/25, per esempio, è inte-ramente dedicato a un’interpretazione del Sofista, nella quale, contro i neokantiani,Heidegger suggerisce l’ipotesi che tale dialogo rappresenti la risposta del vecchioPlatone alle obiezioni del giovane Aristotele contro la sua dottrina dell’essere. Unaltro punto denso della presenza di Platone in Heidegger è il corso del 1931/32 suL’essenza della verità, oggi disponibile anche in traduzione italiana, i cui risultatisono compendiati e presentati nel saggio su La dottrina platonica della verità (scrit-ta nel 1940, pubblicata nel 1942). Platone e il platonismo sono poi oggetto di atten-zione nelle lezioni su Nietzsche, nelle quali il pensiero di quest’ultimo viene inter-pretato come rovesciamento del platonismo e compimento della metafisica occi-dentale. Attraverso questa lettura di Platone, Heidegger si persuade della connes-sione essenziale tra metafisica e tecnica, e matura la convinzione che tale connes-sione accada nell’orizzonte di una determinata concezione dell’essere (come pre-senza) e del tempo (come presente), cioè nell’orizzonte dell’oblio dell’essere infavore dell’ente.

Infine, per quanto riguarda l’interpretazione dei presocratici, in particolare diAnassimandro, Parmenide ed Eraclito, anche se già abbozzata nel corso del seme-stre estivo del 1926, essa irrompe nel pensiero heideggeriano quando egli, avendodeposto gli intenti fondativi perseguiti nell’ontologia fondamentale di Essere etempo, interpreta la storia della metafisica come storia dell’oblio dell’essere e tentadi risalire oltre di essa (cioè, in ultima istanza, oltre Platone) alla ricerca di unmomento integro, di un pensiero che preceda la decisione metafisica avvenuta conPlatone. Egli crede di potere individuare questo momento nei presocratici e allaluce di Anassimandro, Eraclito e Parmenide, letti e studiati in concomitanza conun’intensa frequentazione di Hölderlin, inizia nell’ultima fase della sua speculazio-ne l’esperimento di quel pensare che abita nella vicinanza del poetare e che, lascian-do la metafisica a se stessa, tenta, in un rischioso equilibrio di ispirazione e misura,di fare parola dell’essere stesso nella sua originarietà e nella sua sorgiva unità.

È possibile allora vedere una significativa corrispondenza tra il confronto conAristotele, Platone e i presocratici e altrettanti momenti del progetto filosofico hei-deggeriano:

1) al confronto con Aristotele negli anni Venti corrisponde una fiducia ancoraintatta nella possibilità di una fondazione radicale della metafisica;

2) il confronto con Platone e il platonismo, negli anni Trenta, porta a matura-zione l’idea che la metafisica conduca inevitabilmente alla tecnica moderna;

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sica, di cui i Greci hanno posto i fondamenti, e l’epoca presente in quanto segnatanella sua essenza dalla tecnica e dal nichilismo. In ogni caso, assumendo questosecondo atteggiamento, sarà più facile instaurare un rapporto produttivo con unpensiero, come quello heideggeriano, che ha sostenuto la necessità di un generaleconfronto con i Greci e che lo ha attuato egli stesso con una forza speculativa che,da Hegel in poi, nessuno era stato più in grado di mettere in campo.

Ora, proprio la constatazione della generalizzata presenza del confronto con iGreci nel pensiero di Heidegger impone alcune precisazioni e delimitazioni temati-che. Quando si parla di Heidegger e i Greci, si pensa solitamente alla celebre inter-pretazione del mito della caverna o alle controverse letture dei presocratici. Ebbene,vorrei mostrare che questo non è né l’unico né il primo né forse il momento decisi-vo del confronto di Heidegger con i Greci. Vorrei invece indicare come Heideggersi misuri con i Greci anche là dove egli non parla esplicitamente di loro, vale a direlà dove sviluppa considerazioni filosofiche autonome che per stile, procedimento etematiche possono sembrare lontanissime dalla grecità. Più precisamente vorreiindicare come questo confronto venga attuato nella forma di una appropriazioneproduttiva, e come sia soprattutto il confronto con Aristotele a essere determinante.Per concentrarmi dunque su quest’ultimo, toccherò solo cursoriamente le più noteinterpretazioni di Platone e dei presocratici.

Già la circostanza che Heidegger presta ognora attenzione a momenti diversidel pensiero greco, richiede una corrispondente articolazione della nostra conside-razione. Essa deve distinguere con quali filosofi greci Heidegger di volta in volta siconfronta nel corso del suo cammino speculativo, e quando egli si concentra sul-l’uno piuttosto che sull’altro. Si può allora vedere con facilità che la generale pre-senza dei Greci nell’orizzonte filosofico di Heidegger presenta evidenti articolazio-ni e differenziazioni in merito ai tempi nei quali essa ha luogo, ai temi sui qualiverte e alle finalità a cui mira.

Prima Aristotele, poi Platone, quindi i presocratici sono i tre momenti del pen-siero greco classico che Heidegger affronta in questa precisa successione, la qualecorrisponde a una scansione tematica e speculativa altrettanto precisa. Tale succes-sione è infatti strettamente legata allo sviluppo interno del pensiero heideggerianoed è caratterizzata dall’affacciarsi di esigenze e di intenti speculativi di volta involta diversi. Incrociando così i due criteri sopra indicati (quali filosofi greciHeidegger considera e quando li consideri), sarà possibile individuare e mettere afuoco il momento qualificante e determinante del confronto con Aristotele, conPlatone e con i presocratici.

Così, se è facile constatare come Aristotele sia costantemente presente nell’o-rizzonte di Heidegger – dalla precoce lettura della dissertazione di Brentano Sulmolteplice significato dell’ente secondo Aristotele (a partire dal 1907) fino allacelebre interpretazione del concetto aristotelico di physis (scritta nel 1949, pubbli-cata nel 1958) – il momento denso e determinante del suo confronto con Aristoteleè tuttavia quello che cade grosso modo nel decennio precedente la pubblicazione diEssere e tempo (1927). Siamo qui in un momento speculativo nel quale, in corri-spondenza con gli intenti fondativi perseguiti, Heidegger mira a cogliere nella strut-

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tematiche sulle quali esso verte, si può dire che esse siano le stesse che saranno poicentrali in Essere e tempo. Esse sono almeno tre:

1) la questione della verità,2) la questione del soggetto,3) la questione della temporalità.L’orizzonte unitario entro il quale esse vengono trattate è quello tracciato dal

problema dell’essere. Possiamo allora vedere, uno dopo l’altro, come Heideggersviluppi il confronto con Aristotele nell’orizzonte tematico demarcato da questi treproblemi.

a) La questione della verità

Interrogandosi sulla teoria della verità sviluppata da Husserl nelle Ricerchelogiche3, Heidegger giunge alla convinzione – che già si faceva luce nell’opera hus-serliana – secondo la quale il giudizio non è il luogo originario della verità, cometradizionalmente era stato affermato, ma soltanto una sua collocazione ristrettarispetto alla profondità e all’ampiezza ontologica del suo manifestarsi. Pertanto,egli intende mettere in questione le tre tesi tradizionali sulla verità nelle quali sisosteneva:

1) che la verità consiste in una adaequatio intellectus et rei,2) che il luogo originario del suo apparire è il giudizio, ovvero la proposizione

in quanto sintesi di concetti o rappresentazioni,3) che la paternità di queste due tesi va attribuita ad Aristotele (HGA XXI, 128;

Essere e tempo, par. 44 a).Già Husserl – con la tesi che non solo gli atti di sintesi (beziehende o mehr -

strahlige Akte), ma anche gli atti monotetici, di coglimento semplice, possono esse-re veri – aveva messo in questione la teoria tradizionale della verità e aveva intro-dotto una distinzione tra la verità della proposizione (Satzwahrheit) e la verità del-l’intuizione (Anschauungswahrheit), attribuendo a quest’ultima un carattere origi-nario e fondante. Inoltre, per spiegare il coglimento degli elementi del giudizio lacui identificazione (Ausweisung) eccede l’intuizione sensibile, e che tradizional-mente erano compresi come afferenti all’ambito del predicativo-categoriale, egliaveva introdotto e teorizzato l’idea di un’intuizione categoriale. Queste considera-zioni svolte da Husserl nella sesta Ricerca logica fungono per Heidegger da filoc o n d u t t o re per distinguere il signifi c ato meramente logico dell’essere - ve ro(Wa h rs e i n) dal signifi c ato ontologico ori gi n a rio del fenomeno della ve ri t à(Wahrheit), che egli è convinto di poter ritrovare nei testi aristotelici.

In effetti, come egli aveva potuto apprendere già attraverso la lettura della dis-sertazione di Brentano, il vero rappresenta per Aristotele uno dei quattro sensi fon-damentali in cui si dice l’ente e che sono:

1) l’ente per sé o per accidente; 2) l’ente secondo le categorie; 3) l’ente secondo l’atto e la potenza; 4) l’ente come vero.

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3) nel successivo confronto con i presocratici l’ultimo Heidegger mette a puntoil suo sforzo di pensare al di là di metafisica e tecnica, evocando ciò che è prima, oaltro, rispetto a entrambe.

La dinamica di questa regressione, da Aristotele a Platone fino ai presocratici,è innescata da una progressiva e radicale messa in questione del pensiero filosoficotradizionale: il ricorso ad Aristotele è in funzione di una messa in questione dell’u-nilaterale fondazione teoreticistica e razionalistica della soggettività propria delpensiero moderno e giunta in Husserl alla sua formulazione più rigorosa; l’inter-pretazione di Platone è connessa con il tentativo di ricomprendere la filosofia e lametafisica entro la storia dell’essere; infine la lettura dei presocratici accompagnail tentativo di andare oltre le forme della razionalità e del linguaggio filosofici tra-dizionali.

2. Aristotele

Vediamo ora più da vicino il confronto con Aristotele che, pur essendo il menoconosciuto, è quello più significativo per capire il significato positivo dell’appro-priazione heideggeriana dei Greci: sia perché esso è il primo dei grandi confronti diHeidegger con la tradizione, sia perché viene attuato in una fase speculativa nellaquale Heidegger crede ancora possibile e praticabile ciò che i Greci hanno pensatoper la prima volta, cioè la filosofia come discorso sull’essere fatto partendo dallastruttura privilegiata di quell’ente che è l’uomo.

Una parola va spesa innanzitutto sulla metodologia di questo confronto. Essa ècaratterizzata dall’atteggiamento che verrà definito in Essere e tempo come «distru-zione» e che contraddistingue in generale il modo heideggeriano di confrontarsi conla tradizione. Ora, tale termine non va inteso nel banale significato che esso ha nellinguaggio comune, bensì nel senso di de-costruzione, cioè di scorporamento escomposizione degli elementi essenziali della costruzione in vista di una ricostru-zione che poggi su un fondamento veramente radicale. Questo senso risulta ancorapiù evidente se si considera che la metodologia della «distruzione» viene ricavatada Heidegger variando e integrando la procedura metodologica husserliana della«riduzione», propria dell’atteggiamento filosofico (contrapposto a quello naturale eingenuo). Allo stesso modo in cui per Husserl nell’atteggiamento filosofico dellariduzione vengono messe tra parentesi le ovvietà della considerazione naturalisticadel mondo, così per Heidegger vanno messe tra parentesi anche le ovvietà e le con-vinzioni filosofiche presupposte o assunte per tradizione. È questa la «distruzione»fenomenologica della storia dell’ontologia che Heidegger si prefigge. E così comein Husserl la riduzione era correlativa alla costituzione fenomenologica, altrettantoin Heidegger la distruzione è funzionale alla costruzione e alla fondazione dell’on-tologia, cioè alla ricomprensione genuina del senso dell’essere. Riduzione, distru-zione e costruzione sono per Heidegger elementi cooriginari ed essenziali del meto-do dell’indagine filosofica (cfr. HGA XXIV, 26-32).

Alla luce di questo atteggiamento metodologico, mutuato dalla fenomenologia,Heidegger si accinge al confronto con Aristotele a partire dal 19192. Quanto alle

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Se attraverso questa interpretazione di Aristotele Heidegger sgancia la com-prensione del fenomeno della verità dalla struttura della predicazione, e guadagnala prospettiva ontologica nella quale ricomprende il problema in termini più radica-li, rimane tuttavia ancora aperta ai suoi occhi la questione dei fondamenti e dei pre-supposti sui quali poggia in ultima istanza la stessa concezione aristotelica dellaverità quale determinazione dell’essere nel senso dell’essere-scoperto. La questio-ne ulteriore che Heidegger si pone è: «Che cosa deve significare l’essere, affinchél’essere-scoperto sia compreso come carattere d’essere e addirittura come il piùautentico di tutti, affinché di conseguenza l’ente debba essere interpretato in ultimaistanza relativamente al suo essere in base all’essere-scoperto?» (HGA XXI, 190).

Già verso la metà degli anni Venti Heidegger crede di poter affermare che ilfondamento non interrogato dell’equazione aristotelica di essere e verità stia nelpresupposto non interrogato secondo cui viene tacitamente assunta una determina-ta relazione tra l’essere e il tempo. E in questo modo egli prepara la strada alla pro-pria interpretazione della storia della metafisica. Infatti, affinché la verità nel sensodell’essere-scoperto, della svelatezza (a-letheia), possa essere qualificata comecarattere dell’essere, l’essere stesso deve prima venir compreso in un certo modo,vale a dire come presenza (Anwesenheit): giacché solo ciò che viene prima deter-minato come qualcosa di presente può essere colto poi come scoprente, come sve-lato, cioè come vero nel senso che l’etimologia heideggeriana della parola greca (a-lethes) suggerisce. E l’interpretazione dell’essere come presenza ha il suo fonda-mento in una connessione non esplicitata di essere e tempo, in corrispondenza dellaquale è la dimensione del presente a valere come determinante. Cioè: alla com-prensione del tempo che privilegia il presente come determinazione fondamentalecorrisponde una comprensione dell’essere come presenza.

M at u ra così in Heidegger la conv i n z i o n e, poi confe rm ata ed esposta nel celeb res aggio su Platone e sul mito della cave rn a , secondo la quale il pensiero metafisico sis t ru t t u ra come pensiero della pre s e n z i a l i t à , cioè come pensiero che non si interrogain maniera sufficientemente radicale re l at ivamente al rap p o rto tra essere e tempo. Aquesta conclusione Heidegger perviene già alla fine della sua interp retazione del pro-blema della ve rità in A ristotele nel corso del semestre inve rnale del 1925/1926:

«In quanto l’essere viene compreso come presenza e l’essere scopertocome presente, in quanto presenza (Anwesenheit) e presente (Gegenwart)sono presenza (Präsenz), attraverso la verità l’essere come presenza(A n we s e n h e i t) può, a n z i , d eve essere determ i n ato come pre s e n t e(Gegenwart), cosicché il presente è il modo supremo della presenza. GiàPlatone designa l’essere come presente. E il termine tecnico ousia, chenella storia della filosofia viene tràdito in modo del tutto senza senso comesostanza, non vuol dire nient’altro che presenza in un senso ben determi-nato. Certo, bisogna per forza sottolineare che i Greci, Platone e Aristotele,hanno determinato l’essere come ousia, ma essi erano assai lontani dalcapire che cosa significhi propriamente determinare l’essere come presen-za e presente. Il presente è un carattere del tempo. Comprendere l’essere

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O ra , s t i m o l ato dalla lettura di Brentano a ri c e rc a re il senso unitario al quale lapolisemia dell’ente può essere ri c o n d o t t a , H e i d egger si mostra insodd i s fatto dellasoluzione bre n t a n i a n a , la quale considerava determinanti i signifi c ati dell’ente secon-do le cat ego ri e, e li ri c o n d u c eva all’unità della sostanza4. Egli si chiede allora qualedei quat t ro sensi principali dell’ente sia il senso fo n d a m e n t a l e, e nel corso degli anniVenti si soffe rma in part i c o l a re sul senso dell’ente in quanto ve ro5. Di qui la centra-lità della determinazione ontologica della ve ri t à , che egli ri c ava at t rave rso un’inter-p retazione di alcuni testi aristotelici specifici (De int. 1, M e t ap h. IX, 1 0 , Eth. Nic. V I ) .

Egli scopre il significato ontologico originario della verità in una triplice pro-gressione argomentativa.

1) distingue dapprima nel linguaggio (logos) il momento semantico, cioè il suoessere significante, dal momento apofantico, proprio della predicazione o asserzio-ne, cioè di quella speciale forma del logos che è sintesi o diairesi e il cui caratteredistintivo consiste nell’essere-vero o falso, anzi nel poter-essere vero o falso.

2) Successivamente egli va alla ricerca del fondamento ontologico della predi-cazione e del suo carattere peculiare, cioè del suo poter-essere vera o falsa, e lo indi-vidua nella struttura sintetica o diairetica del logos, a sua volta fondata sull’atteg-giamento scoprente proprio della vita umana, dell’esserci, il quale per sua natura èscoprente, cioè aperto all’ente.

3) Infine, chiedendosi quale sia il fondamento ontologico del fenomeno delloscoprimento, Heidegger giunge alla conclusione che esso sia da cercare nel fattoche l’ente si dà, è accessibile e coglibile da parte dell’esserci nel suo atteggiamen-to scoprente: esso gli è essenzialmente manifesto, svelato (unverborgen, alethes).La verità come aletheia è così il carattere ontologico stesso dell’ente, è una deter-minazione antepredicativa, di cui l’essere-vero o falso della predicazione è unaderivazione (cfr. HGA XXI, parr. 11-14)6.

In base a queste considerazioni Heidegger perviene a una sorta di topologia deiluoghi ontologici della verità, che egli struttura e definisce assimilando e ricom-prendendo alcune determinazioni aristoteliche fondamentali. Tale topologia puòessere riassunta così:

1) vero è innanzitutto l’ente stesso nel senso del suo essere scoperto, svelato (onhos alethes);

2) vero è poi l’esserci, la vita umana, nel senso del suo essere-scoprente, cioènel suo atteggiamento che scopre l’ente (psyche hos aletheuein). Ma l’esserci puòessere scoperto in due modi fondamentali:

2.1) intuendo, cioè mediante un coglimento diretto, che avviene per mezzo del-l’aisthesis (che si riferisce sempre al suo idion ed è comunque vera), oppure permezzo della noesis (che coglie il proprio oggetto «toccandolo», mediante un thig -ganein, il quale coglie nel segno oppure lo manca del tutto nell’agnoein);

2.2) collegando, e precisando nell’atteggiamento scoprente non verbale, chepuò essere pratico (phronesis, techne) o teoretico (sophia), di cui l’atteggiamentoscoprente linguistico-verbale, in particolare il discorso predicativo (logos apophan -tikos), è un atto eccelso. Di questa topologia rimangono tracce evidenti in Essere etempo, parr. 7 B e 44.

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1) La theoria è l’atteggiamento del conoscere constatativo e descrittivo che haper fine il coglimento della verità delle cose. Per Heidegger, quando l’esserci sta inquesta disposizione le cose gli si presentano nel modo d’essere della Vorhandenheit.

2) La poiesis è l’atteggiamento dell’agire produttivo, manipolante, che ha perfine la produzione di opere, e la sua disposizione è la techne; in tale disposizione lecose si presentano per Heidegger nel modo d’essere della Zuhandenheit.

3) Infine la praxis è l’agire che ha in se stesso il proprio fine e la phronesis, laprudentia, ne è la guida; a questa determinazione corrisponde in Heidegger il modod’essere del Dasein.

Ora, se con le tre determinazioni del Dasein, della Zuhandenheit e dellaVorhandenheit Heidegger ripristina il senso fondamentale delle determinazioni ari-stoteliche della praxis, della poiesis e della theoria, egli modifica tuttavia profon-damente l’ordine e la gerarchia in cui esse stanno fra loro. Fra questi tre possibilimodi di «essere nel vero» da parte dell’anima non è più la theoria a venire consi-derata come quello eccelso, quindi come l’attività preferibile per l’uomo. È piutto-sto la praxis, congiuntamente alle determinazioni che essa comporta, prima fra tuttela phronesis, a venire elevata a carattere ontologico strutturale dell’essere dell’uo-mo. In ragione di questo spostamento si modifica la relazione gerarchica tra lapraxis e le altre due determinazioni. La Zuhandenheit (in cui è ricompresa la deter-minazione della poiesis) e la Vorhandenheit (in cui è ricompresa la determinazionedella theoria) diventano connotazioni del modo d’essere delle cose corrispondential rapporto che l’esserci instaura con esse. A ciò si aggiunge un’ulteriore modifica-zione: l’atteggiamento teoretico viene considerato come un modo difettivo e deri-vato rispetto a quello pratico-poietico (cfr. Essere e tempo, parr. 15, 69 b).

Il motivo determinante di queste trasformazioni è l’assolutizzazione che eglicompie delle determinazioni pratiche della praxis e della phronesis, facendolediventare i caratteri ontologici dell’esserci. Va letta in questo senso eminentementepratico la caratterizzazione dell’essere dell’esserci come un avere da-essere (Zu-sein) sviluppata al par. 9 di Essere e tempo. Con questa caratterizzazione, in passa-to fraintesa in senso esistenzialistico, Heidegger intende dire che la vita umana,l’esserci, ha una modalità d’essere particolare in ragione della quale essa si riferi-sce a se medesima non nello stesso modo in cui si rapporta alle cose, cioè in unatteggiamento di tipo constatativo e veritativo, bensì in un riferimento di tipo emi-nentemente pratico nel quale si tratta di decidere intorno al proprio essere e nelquale, indipendentemente da ogni volere o non volere, deve assumersi il peso diquesta decisione. L’esserci non si riferisce dunque al proprio essere constatandonee descrivendone le caratteristiche, per esempio di animal rationale o creatura Dei,ma deve assumersi in senso pratico-morale il peso del suo essere, decidendo i modidella sua progettazione e attuazione.

Bisogna tuttavia far notare che Heidegger mantiene questa connotazione prati-ca dell’esserci in quanto avere da-essere solo fintanto che lo determina partendodall’esserci stesso nella sua purezza (quasi trascendentale). In seguito, quando sitratterà di comprendere l’esserci partendo dall’essere, egli cancellerà scrupolosa-mente ogni traccia di questa determinazione pratica e ricondurrà il carattere ‘aper-

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come presente a partire dal presente significa comprendere l’essere a par-tire dal tempo. (...) Una volta che si è compresa la problematica dell’inti-ma connessione della comprensione dell’essere a partire dal tempo, sidispone allora in qualche modo di una lampada per lumeggiare la storia delproblema dell’essere e la storia della filosofia in generale, cosicché essariceve ora un senso» (HGA XXI, 193-194).

b) La questione del soggetto

Analogamente a quanto era avvenuto per il problema della verità, anche per laquestione del soggetto, cioè per la comprensione filosofica della struttura fonda-mentale della vita umana, Heidegger si rivolge ad Aristotele per ricercarvi la solu-zione dei problemi che la fenomenologia husserliana lasciava aperti. In effetti, agliocchi di Heidegger la determinazione husserliana della soggettività si arenava suun’aporia fondamentale, cioè sull’aporia dell’appartenenza dell’io al mondo e dellacontemporanea costituzione del mondo da parte dell’io. Heidegger non ritenevasoddisfacente la soluzione prospettata da Husserl, il quale distingueva tra l’io psi-cologico che appartiene al mondo e l’io trascendentale che costituisce il mondo, tral’essere reale di quello e l’essere ideale di questo. Pur convenendo con Husserl sulfatto che la costituzione dell’esperienza del mondo non può essere spiegata ricor-rendo a un’ente che abbia lo stesso modo d’essere, lo stesso carattere ontologico delmondo, Heidegger dissentiva dalla determinazione husserliana della soggettivitàtrascendentale, in quanto essa sarebbe ricavata in modo unilaterale da categorie ditipo teoreticistico e razionalistico7.

Ora, come la topologia dei luoghi della verità ricostruita da Heidegger mettein luce, la theoria è soltanto uno dei molti modi dell’atteggiamento scoprente attra-verso il quale l’uomo ha accesso alle cose e le coglie. Accanto e prima della theo -ria, vi sono ad esempio la praxis e la poiesis, le quali rappresentano anch’esse modiin cui l’esserci sta in rapporto con l’ente. Di conseguenza, Heidegger ricorre nuo-vamente ad Aristotele, trovando in lui le determinazioni originarie della vita umanadi cui va alla ricerca. In una penetrante interpretazione di Aristotele risalente aglianni tra il 1919 e il 1922/23, della quale rimangono palesi tracce nei primi corsi uni-versitari e in Essere e tempo8, egli legge in questa prospettiva il VI libro dell’EticaNicomachea, cogliendo nella trattazione aristotelica delle virtiù dianoetiche altret-tante determinazioni della vita umana, che ai suoi occhi Husserl non aveva colto intutta la sua ricchezza e articolazione. Aristotele è agli occhi di Heidegger il verofenomenologo. Ed è in questo orizzonte, caratterizzato dalla contrapposizione alladeterminazione teoreticistica del soggetto operata da Husserl e dalla appropriazio-ne produttiva delle determinazioni aristoteliche, che va intesa l’analisi della struttu-ra dell’esserci compiuta in Essere e tempo.

Nei tre fondamentali modi d’essere distinti in quest’opera – quello del Dasein,della Zuhandenheit e della Vorhandenheit – è possibile cogliere la ripresa e la ripro-posizione del significato sostanziale di tre determinazioni che Heidegger ricava dalVI libro dell’Etica Nicomachea: praxis, poiesis, theoria.

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Alla luce di queste considerazioni si capisce perché, come Gadamer ha ricor-dato, di fronte alle difficoltà di tradurre il termine phronesis Heidegger potesseesclamare: «Das ist das Gewissen!»9. Egli pensava evidentemente alla propriadeterminazione della coscienza (Gewissen) come a quel luogo in cui l’avere da-essere, la determinazione pratica fondamentale dell’esserci, si manifesta a se stessa(Essere e tempo, parr. 54-60)10. Ma si potrebbe far vedere come anche altre deter-minazioni fondamentali dell’esserci non siano altro che riformulazioni del sensosostanziale di altrettanti termini aristotelici. Così, ad esempio, si potrebbe mostrarecome nella decisione o risolutezza (Entschlossenheit) Heidegger ripensi i contenu-ti della prohairesis aristotelica, con la differenza che mentre in Aristotele quest’ul-tima rap p resenta un momento part i c o l a re nella comprensione dell’agi re, i nHeidegger essa viene elevata a connotazione ontologica essenziale dell’aperturapropria dell’esserci (Essere e tempo, parr. 60, 62). Analogamente, si può far vederecome nella cura (Sorge), che forma l’unità degli esistenziali e che Heidegger con-trappone all’intenzionalità husserliana, confluisca quella connotazione della vitaumana come movimento e aspirazione a qualcosa che Aristotele pensa in termini diorexis (Essere e tempo, parr. 41-42, 63-65)11. Lo stesso può essere detto per le duedeterminazioni centrali dell’esserci, vale a dire la Befindlichkeit e il Verstehen.Nella prima Heidegger ripensa e radicalizza in senso ontologico la dottrina aristo-tellca dei pathe, scorporandola dal contesto in cui Aristotele la presenta nel II librodella Retorica e concependo le passioni come determinazioni ontologiche dell’es-sere umano (Essere e tempo, parr. 29-30). Nel Verstehen, che rappresenta invece ilmomento spontaneo, produttivo e progettante dell’esserci, e che Heidegger defini-sce in modo assai significativo come «il senso vero e proprio dell’agire» (HGAXXIV, 393) viene ripensato ciò che Aristotele aveva designato come nous praktikos.Insomma, nella caratterizzazione dell’esserci come originaria unità di Verstehen eBefindlichkeit, di spontaneità e ricettività, attività e passività, appetitività e raziona-lità Heidegger ripropone il problema che Aristotele individua quando dice che l’uo-mo è insieme nous orektikos e orexis dianoetike (Eth. Nic. VI, 2, 1139 b 4-5).

c) La questione della temporalità

Tuttavia, proprio in base all’assolutizzazione delle determinazioni pratiche del-l’uomo, che Heidegger pensa come connotazioni ontologiche originarie dell’esseredi quest’ultimo, egli finisce per assumere nei confronti di Aristotele un atteggia-mento critico, maturando la convinzione che quest’ultimo non sarebbe pervenuto acogliere l’unità fondamentale delle determinazioni dell’uomo (theoria, praxis,poiesis) da lui stesso individuate. (Com’è noto, Heidegger coglie invece questaunità nella determinazione pratica della cura, quindi nella temporalità e nel poter-essere dell’esserci). E le ragioni di questa omissione vanno viste in quella presup-posizione di fondo che già aveva condizionato la comprensione aristotelica dellaverità, cioè la presupposizione di una particolare comprensione del tempo (comepresente) e dell’essere (come presenza).

Ora, senza entrare nei dettagli dell’analisi heideggeriana della concezione ari-

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turale’dell’esistenza non all’avere da-essere, bensì all’essere. Ciò spiega la signifi-cativa rettifica terminologica – «essere» al posto di «avere da-essere» – introdottaal citato par. 9 nella settima edizione dell’opera. Il passaggio dall’accentuazione delcarattere pratico e spontaneo dell’esserci alla tematizzazione della sua condiziona-tezza ontologica si annuncia nella mutata interpretazione di Aristotele del 1929/30.E di lì a poco si ha pure la ricomprensione dell’esistenza non più in riferimentoall’avere da-essere puro e semplice, bensì in riferimento all’essere stesso: come sipuò vedere, tra l’altro, nell’Essenza della verità (in particolare al par. 4), risalenteal 1930 ma pubblicata nel 1943, nell’Introduzione alla metafisica (1935), nellaLettera sull’«umanismo» (1946) e nell’Introduzione (1949) alla quinta edizione diChe cos’è metafisica?.

Le conseguenze che Heidegger ricava dall’individuazione del carattere prati-co-morale del riferirsi dell’esserci al proprio essere sono almeno quattro.

1) Innanzitutto egli distingue nettamente il modo d’essere della vita umana,l’esserci, dal modo d’essere delle cose, cioè di tutto ciò che è difforme dall’esserci.E questo non in base a una presupposta eccellenza dell’uomo, bensì in base alladiversa «motilità», quindi alla diversa struttura ontologica propria del vivereumano.

2) Inoltre, l’essere che è in gioco nel riferirsi dell’esserci a se stesso ha la carat-teristica di essere sempre mio (Jemeinigkeit), giacché è del mio essere, e non certodi quello altrui, che io di volta in volta decido.

3) L’essere di cui l’esserci decide, e che è ognora suo, è sempre un essere futu-ro, dal momento che è delle cose future che si decide. Heidegger pone quindi inquestione il primato tradizionale del presente (parallelo al primato della theoria), eassegna al futuro la funzione di determinazione temporale fondamentale.

4) Infine, alla teoria tradizionale secondo la quale l’identità dell’esserci si costi-tuisce come un’autocoscienza teoretica, cioè per mezzo di una riflessione constata-tiva, un ripiegamento speculare su se stesso o una inspectio sui, Heidegger sostitui-sce una comprensione dell’esserci nella quale l’identità di quest’ultimo si costitui-sce mediante la sua autodeterminazione pratica. Alla luce di questa interpretazionedel dover autodeterminarsi dell’esserci si capisce perché Heidegger, nella Letterasull’«umanismo», prenda nettamente le distanze dalla comprensione esistenzialisti-ca dell’uomo in Sartre, in particolare dalla tesi secondo la quale l’esistenza prece-de e determina l’essenza.

In tale comprensione pratica dell’esserci come avere da-essere è possibilecogliere la riformulazione di un problema che già Aristotele aveva individuato etrattato nella propria filosofia pratica, e cioè il problema che per l’uomo non si trat-ta semplicemente della conservazione della vita, del semplice vivere (zen), bensì dicome egli debba vivere; si tratta cioè di scegliere e decidere quale sia la forma divita migliore, si tratta del vivere bene (eu zen). Con la differenza che mentre perAristotele ciò vale in quanto l’uomo non è semplice vita, ma vita che è dotata diragione e linguaggio (zoe logon echousa), per Heidegger ciò è invece determinatodalla struttura pratica che connota la costituzione ontologica dell’uomo in quantoavere da-essere.

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Trenta ma pubblicata oltre un decennio più tardi e divenuta famosa dopo la guerra,quando fu ripubblicata assieme alla Lettera sull’«umanismo»12. Interpretando ilmito della caverna esposto nel VII libro della Repubblica, Heidegger avanza l’ipo-tesi che in Platone accada un mutamento nell’essenza della verità. Essa non vienepiù intesa nel senso originario della svelatezza come un carattere dell’essere stesso,secondo quanto indica l’etimologia della parola greca (a-letheia), ma come corret-tezza e certezza dello sguardo che cattura e soggioga l’essere. Senza soffermarsi suquesta controversa interpretazione, è importante sottolineare come per Heideggerabbia inizio con questo mutamento il progetto di padroneggiamento conoscitivo eoperativo dell’ente e faccia quindi la sua apparizione il principio della «soggetti-vità» che connota la metafisica. Proprio perché al fondamento di quest’ultima sta-rebbe la volontà di impossessarsi e impadronirsi conoscitivamente e praticamentedell’ente, quest’ultimo dovrebbe venire preventivamente pensato dalla metafisicacome accessibile e disponibile alla volontà di coglimento, cioè dovrebbe esserepensato come ente-presente.

Prende qui inizio l’interpretazione dello sviluppo della metafisica come pro-gressivo affermarsi della soggettività fino al suo inveramento essenziale nell’essen-za della tecnica moderna. Quest’ultima rappresenterebbe la realizzazione più radi-cale del pensiero della soggettività, cioè di quella disposizione che mira al padro-neggiamento conoscitivo e operativo dell’ente, e che si manifesta per la prima voltain Platone e giunge al suo compimento in Nietzsche. La tecnica sarebbe la formapiù compiuta di quel pensiero calcolante che ha il suo fondamento nella filosofiagreca. Questa interpretazione della metafisica viene esposta soprattutto nelle lezio-ni su Nietzsche, mentre nella sua ultima speculazione Heidegger si interroga sul-l’essenza della tecnica moderna andando alla ricerca di una via alternativa che,facendosi carico dei problemi della metafisica e della tecnica, oltrepassi il loro oriz-zonte e giunga a un pensiero integro e sorgivo, cioè non più posto sotto il giogometafisico della soggettività.

4. I presocratici

Anche in quest’ultima tappa del suo cammino speculativo è decisivo perHeidegger il confronto con il pensiero greco. In questo suo ultimo ritorno ai Greciegli non si sofferma più, come nel periodo degli intenti fondativi, su Aristotele nésu Platone, ma risale piuttosto ai presocratici. Anche qui, come nel caso di Platone,lasceremo da parte l’esame particolareggiato delle diverse interpretazioni dei pre-socratici, tanto famose quanto controverse, che Heidegger intraprende già nel corsoestivo del 1926, ma che sviluppa soprattutto dagli anni Trenta in poi, specialmentenell’lntroduzione alla metafisica (1935) e poi nei testi raccolti nella terza parte deiSaggi e discorsi (1954). Al confronto con i presocratici corrisponde un profondomutamento nell’atteggiamento assunto da Heidegger nei confronti della metafisica,individuabile nello sforzo di trovare una dimensione prima e altra rispetto ad essa.Heidegger non guarda ormai più alla metafisica come al pensiero del quale è daricercare una fondazione radicale (e che egli stesso aveva in precedenza colto nella

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stotelica del tempo (HGA XXI, par. 21; XXIV, 327-361), sarà sufficiente indicarela tesi a cui essa approda. Ebbene, la nota definizione del tempo come «numero delmovimento secondo il prima e il poi» (arithmos kineseos kata to proteron kai hyste -ron, Phys. IV, 11, 219 b 12) rappresenta per Heidegger la prima e più rigorosa con-cettualizzazione dell’esperienza comune del tempo. Tuttavia, ai suoi occhi essarimane entro un orizzonte cronometrico e naturalistico, il che impedirebbe dicogliere e tematizzare con sufficiente radicalità la costituzione temporale della vitaumana. È vero che, a ben guardare, la trattazione aristotelica del tempo contiene unriferimento all’anima, alla vita umana cosciente, e precisamente là dove Aristotelesi chiede che ne sarebbe del tempo se non ci fosse l’anima (poteron de me ousespsyches eie an ho chronos e ou, Phys. IV, 14, 223 a 21-22). E poiché il tempo ènumero del movimento, esso evidentemente non sarebbe se non ci fosse chi lonumera, e tale numerante è l’anima (psyche). Nondimeno, Heidegger ritiene che ciònon basti a liberare la trattazione aristotelica del tempo dall’orizzonte naturalisticoe che, di conseguenza, essa non sia in grado di tematizzare la struttura ontologicadell’anima stessa, dell’esserci, nella sua connotazione essenzialmente temporale.

Come Heidegger intende mostrare nei suoi primi corsi friburghesi, le condizio-ni perché questa tematizzazione sia possibile si realizzano solo con la rottura dellacomprensione cronologica del tempo ad opera dell’esperienza cristiana, cairologi-ca del tempo, cioè ad opera di quello sconvolgimento nella comprensione del tempoprodotto dall’attesa della venuta del Cristo e dal fatto che – poiché, come rammen-ta san Paolo, egli verrà «come un ladro di notte» (hos kleptes en nukti) – a tale atte-sa bisogna essere preparati (estote parati). Nell’esperienza protocristiana del tempoe della vita fattuale è possibile per il giovane Heidegger cogliere la pienezza del-l ’ e s s e re dell’uomo, cioè l’intima connessione di vita umana e tempora l i t à .Muovendo da una considerazione filosofica dell’esperienza cristiana del tempo, macercando, contro Lutero, di recuperare in positivo la determinazione del kairos cheAristotele fornisce nell’ambito della filosofia pratica (cfr. XXIV, 409), Heideggergiunge a tematizzare la struttura temporale dell’esserci, cioè a cogliere la compe-netrazione di temporalità e vita umana, che rappresenta uno dei temi centrali e deifili conduttori di Essere e tempo. Alla concezione naturalistica e comune del tempo,che non vede questa compenetrazione, egli contrappone così una comprensione esi-stenziale del tempo, che invece la tematizza in un approccio radicale.

Progressivamente Heidegger matura altresì la convinzione che questo attacca-mento a una comprensione naturalistica del tempo (nella quale quest’ultimo vieneappiattito alla dimensione del presente, inteso come dimensione determinante) e auna parallela comprensione dell’essere come presenza non sia caratteristica solo diAristotele, ma di tutto il pensiero metafisico. Ma come, quando e con chi inizia que-sto at t eggiamento non ori gi n a rio di pensiero , questa comprensione ri d u t t iva del rap-p o rto tra tempo ed essere ?

3. Platone

Heidegger cerca di determinare questo inizio mediante una celebre interpreta-zione di Platone (La dottrina platonica della verità), pensata agli inizi degli anni

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no, simboleggia la fine dell’infinito sulla terra; se dopo di lui il mondo è posto sottoil segno della finitudine nichilistica, in quello spazio intermedio senza redenzionedove vige la dura legge del limite, dove non si danno più punti archimedei per sol-levarsi oltre il finito, dove né mito né religione, né arte né filosofia sono più in gradodi possedere la totalità; ebbene, in questa condizione tipica della modernitàHeidegger va alla ricerca di un punto privilegiato su cui poggiare per poter affron-tare il nichilismo della tecnica e farsi carico dei problemi che ne derivano.Rispondendo a Ernst Jünger, Heidegger dice che non si tratta di reagire al nichili-smo, magari agognando il regresso a un passato prenichilistico, bensì di pensarnel’essenza metafisica. Si tratta soprattutto di raccogliere le forze ancora integre, permantenere l’equilibrio «nel vortice del nichilismo» (IX, 406)15.

Ebbene, Heidegger crede di non potere più trovare queste forze integre nellogos, nel quale i Greci avevano individuato il punto archimedeo per sollevarsi oltrela particolarità e prospetticità del conoscere finito, legato alle scorie della tempora-lità. Crede di non poterlo più, in quanto egli ha rovesciato il rapporto originario incui stavano per i Greci logos e tempo: non è più il logos che sta al di sopra deltempo, come per i Greci, ma è il tempo, l’epocalità, che ognora condiziona e modi-fica le forme e il darsi del logos. Questo rovesciamento indebolisce il carattere uni-versale e vincolante del logos, e questa debolezza favorisce le patologie dellamodernità.

Heidegger va allora alla ricerca di forze integre nel poetare, nella vicinanza dipensiero e poesia. Per quanto problematico appaia questo accostamento e per quan-to si possa dubitare della fruttuosità di tale vicinanza, ciò che importa non è qui l’i-dentificazione del luogo privilegiato in cui si danno queste forze integre con la poe-sia, non è la particolare determinazione del punto archimedeo, ma il fatto che essovenga cercato, il fatto che venga profondamente avvertita l’esigenza di mantenerel’equilibrio «nel vortice del nichilismo».

Se sotto il segno della finitudine nichilistica si vive in quella crisi d’autode-scrizione nella quale non si danno più punti privilegiati, come il mito e la religione,l’arte o la filosofia, in grado di parlare in nome del tutto, e se il predominare neldibattito contemporaneo della terminologia negativa (crisi dei valori, crisi di senso,pensiero negativo, ontologia debole) è un segno evidente di questa crisi d’autode-scrizione, un indice inequivocabile delle patologie del moderno, bisogna dare attoa Heidegger di avere pensato con estrema attenzione e sensibilità i problemi di que-sta situazione in una connessione essenziale con la grecità, e soprattutto di averecercato un punto archimedeo per mantenere l’equilibrio, per superare questa crisi,per rompere la calotta d’acciaio del nichilismo in cui è chiuso il mondo disincanta-to della tecnica.

Mi direte: e la verità greca del logos? Quella verità che Heidegger vede inve-rarsi e compiersi nella tecnica? Ebbene, se da Heidegger dobbiamo imparare a pen-sare la connessione essenziale di grecità e modernità, di logos e tecnica, possiamotuttavia pensare, diversamente da lui, che l’essenza della tecnica non sia l’invera-mento essenziale del logos, bensì, come il vecchio Husserl vedeva, lo smarrimentodi esso. Il nichilismo non sarebbe allora oblio dell’essere, ma oblio del logos.

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struttura ontologica dell’esserci), bensì come a quel pensiero della soggettività edella tecnica che si tratta di oltrepassare. Egli lascia cadere l’intenzione di deco-struire la metafisica per ricostruirla su un fondamento veramente radicale, e si pro-pone di attraversarla e oltrepassarla in quella forma alternativa di pensiero che ricer-ca la vicinanza con la poesia e che egli chiama «pensiero poetante».

Per la maturazione di questo atteggiamento è decisiva non soltanto l’interpre-tazione dei presocratici, che segue a quella di Platone e di Nietzsche, ma anche laconcomitante, assidua frequentazione della poesia di Hölderlin13. Quest’ultimoappare a Heidegger come l’esempio eccelso di pensiero poetante in quanto sacogliere nella lacerazione degli dei fuggiti e del dio nuovo di là da venire la situa-zione di povertà della nostra epoca e al tempo stesso, nella sua teofania crepusco-lare, vivificata dall’essenziale appropriazione dei primi Greci, sa farsi portatore del-l’esigenza di superare le forme del pensiero tradizionale. Sulla scorta della letturadi Hölderlin, il quale, partendo da un nuovo pensiero della natura e della terra,rivendica al poeta la funzione di messaggero e conciliatore tra divini e mortali evaticina la nuova età aurea che verrà, Heidegger interpreta il pensiero presocraticocome custode di una comprensione integra dell’essere come physis14, cioè comecustode di quella pienezza originaria che la decisione metafisica occidentale occul-ta e rimuove, ma che tuttavia rimane e incombe su essa nel perenne rinnovamentoche tale rimozione deve esperire.

5. Da Heidegger ai Greci e dai Greci a noi

Se questa breve analisi dei tre momenti salienti del confronto di Heidegger coni Greci, rispettivamente con Aristotele, Platone e i presocratici, lumeggia il modo incui il suo pensiero mette in una stretta connessione grecità e modernità, la diversitàdegli atteggiamenti da lui assunti nelle diverse tappe del proprio cammino filosofi-co, ancorché seguendo un filo conduttore unitario, rende difficile trarre conclusionicomplessive e caratterizzare nell’insieme il suo rapporto con i Greci nel significatoche esso può avere per noi, lettori odierni. Invece di una conclusione di questo tipo,sia consentito, in una breve considerazione finale, tentare di cogliere un senso posi-tivo complessivo del confronto heideggeriano con i Greci, lasciando da parte gliaspetti in cui esso appare più problematico. In effetti, da amanti della filosofia, noipossiamo essere ben disposti rispetto alla prima, positiva ripresa heideggeriana diAristotele, che esibisce una straordinaria produttività filosofica, ma ci troviamo indifficoltà nel mettere a frutto l’accostamento di pensiero e poesia che caratterizza ilrecupero dei presocratici alla luce di Hölderlin. Ebbene, nonostante la problemati-cità dei modi nei quali Heidegger teorizza e pratica questo accostamento, misto dilucide analisi dello smarrimento nichilistico dell’epoca moderna e di spaesanti toniprofetici, il tentativo di pensiero che Heidegger compie, quando si interroga sul-l’essenza del filosofare e la mette in questione, è la difesa in atto di uno spazio incui il pensare filosofico possa ritrovare un profilo alto.

Se l’Empedocle di Hölderlin, salendo per volontario cammino al rutilante cra-tere dell’Etna ed espiandovi con il proprio olocausto la colpa di essersi creduto divi-

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un dissidio (1927), a cura di R. Cristin, Unicopli, Milano 1990. Cfr. inoltre W. BIEMEL,Husserls Encyclopaedia-Britannica-Artikel und Heideggers Anmerkungen dazu, «Tijdschriftvoor Filosofie», 12 (1950), pp. 246-280.

8 - Un compendio di questa interp retazione di A ri s t o t e l e, che pre n d eva in esame E t h .N i c. V I , De an. I I , M e t ap h . I ,1 - 2 ,V I I - I X , P hy s . I , 1 8 , av rebbe dovuto essere pubbl i c ato nello« Ja h r bu ch für Philosophie und phänomenologi s che Fo rs chung» di Husserl , ma rimase inve-ce inedito. Cfr. E. HU S S E R L, B ri e fe an Roman Inga rd e n. Mit Erl ä u t e ru n gen und Eri n n e ru n ge nan Husserl, N i j h o ff, Den Haag 1968, pp. 25-27; H . - G. GA DA M E R, H e i d egge rs Wege, M o h r,T ü b i n gen 1983, p. 118, che ri p o rta una lettera di Heidegger del 1921 in cui è sommari a m e n-te indicato il contenuto del saggio (tr. it. di R. Cri s t i n , I sentieri di Heidegge r, M a ri e t t i ,G e n ova 1987, p. 125). Una ri c o s t ruzione puntuale di questa interp retazione di A ristotele èd ata da T. J. KI S I E L n egli studi: The Missing Link in the Early Heidegge r, in H e rm e n e u t i cP h e n o m e n o l ogy : L e c t u res and Essay s, a cura di J. J. Ko cke l m a n s , U n ive rsity Press ofA m e ri c a , Wa s h i n g t o n , D.C. 1988, pp. 1-40, e Why the Fi rst Draft of «Being and Time» Wa sN ever Publ i s h e d, « Jo u rnal of the British Society of Phenomenology » , 20 (1989), pp. 3-22;e n t rambi ri p resi in Id. , The Genesis of Heidegge r ’s «Being and Ti m e », U n ive rsity ofC a l i fo rnia Pre s s , B e rke l ey 1993. D ato per pers o , il manoscritto in cui Heidegger compendiala sua interp retazione di A ri s t o t e l e, il cosiddetto N at o rp - B e ri ch t, è stat o ri t rovato tra le cart edi Jo s eph König, un allievo di Georg Misch , e pubbl i c ato con il titolo: P h ä n o m e n o l ogi s ch eI n t e rp re t ationen zu A ristoteles (Anze i ge der herm e n e u t i s chen Situat i o n) , « D i l t h ey -Ja h r bu ch » , 6 (1989), pp. 235-269 (tr. it. a cura di V. Vitiello e G. Cammaro t a , I n t e rp re t a z i o n ife n o m e n o l ogi che di A ri s t o t e l e, « Fi l o s o fia e teologi a » , 4 (1990), pp. 489-532).

9 - S, Heideggers Wege, cit., p. 32 (tr. it. cit., p. 28).

10 - L’importanza di questo parallelo tra la phronesis e il Gewissen può essere intesaancor meglio se si considera – cosa che qui purtroppo non è possibile sviluppare – comeHeidegger si affanni a ritrovare lo stesso problema anche nella determinazione kantiana dellapersonalitas moralis, ossia nell’essere dell’io come persona e fine in sé, distinto dall’esseredelle cose.

11 - Cfr. anche HGA XXI,par. 31. In quest’ultimo testo, in particolare alle pp. 409-411,si vede la vicinanza del concetto di Sorge con quello di orexis giacché Heidegger articola laSorge in due momenti strutturali,Drang e Hang, che corrispondono significativamente ai duemomenti strutturali della dioxis e della phyge nella orexis aristotelica (Eth. Nic. VI, 2, 1139a 21-23). Una riprova di tale corrispondenza è data dalla traduzione heideggeriana del cele-bre inizio della Metafisica: pantes anthropoi tou eidenai oregontai physei è reso con: «ImSein des Menschen liegt wesenhaft die Sorge des Sehens» (HGA XX, 380; Essere e tempo,par. 36), dove va notata la corrispondenza tra oregontai e Sorge. Heidegger crede di potertrovare un parallelo della Sorge anche in Kant, e precisamente nel «sentimento del rispetto»(Gefühl der Achtung) che sta alla base della personalitas moralis (HGA XXIV, 185-189).Heidegger rileva qui esplicitamente che il concetto kantiano di Gefühl, determinato median-te l’analogia con i concetti di Neigung e Furcht, corrisponde a quello aristotelico di orexiscon i suoi due momenti della dioxis e della phyge (HGA XXIV, 192-193).

12 - Ora in Segnavia, Adelphi, Milano 1987, pp. 161-192.

13 - Oltre ai saggi raccolti in La poesia di Hölderlin, a cura di L. Amoroso, Adelphi,Milano 1988, si vedano i corsi universitari del semestre invernale 1934/35 HölderlinsHymnen «Germanien» und «Der Rhein» (HGA XXXIX), del semestre invernale 1941/42Hölderlins Hymne «Andenken» (HGA LII) e del semestre estivo 1942 Hölderlins Hymne«Der Ister» (HGA LIII).

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NOTE

1 - Le opere di Heidegger, quando non indicato altrimenti, vengono citate secondo laGesamtausgabe (Klostermann, Frankfurt a. M. 1975ss.) con la sigla HGA. I numeri romaniindicano il volume, quelli arabi la pagina.

2 - Cfr. M. HEIDEGGER, Zur Sache des Denkens, Niemeyer, Tübingen 1969, p. 86.

3 - Sul confronto di Heidegger con Husserl mi permetto di rinviare a quanto ho scrittoin H e i d egger in Marbu rg : Die Au s e i n a n d e rsetzung mit Husserl, « P h i l o s o p h i s ch e rLiteraturanzeiger», 37 (1984), pp. 48-69, e La trasformazione della fenomenologia daHusserl a Heidegger, «Teoria», 4 (1984), pp. 125-162.

4 - Questa soluzione era stata elaborata da Brentano nella tesi di dottorato, stesa sotto laguida di Trendelenburg, Sul molteplice significato dell’ente secondo Aristotele (1862), cheHeidegger aveva avuto modo di conoscere già dal 1907. Nel corso universitario del semestreestivo del 1931, nel quale egli assegna la funzione di significato portante all’essere intesosecondo l’atto e la potenza, Heidegger formula la sua critica alla riduzione brentaniana del-l’ontologia a usiologia nei seguenti termini: «In base alla proposizione iniziale di Metaph.IX, 1 già nel medioevo si era concluso che il primo significato guida fondamentale dell’es-sere in generale – per i suoi quattro modi tutti insieme, non solo per uno di essi e la sua mol-teplicità – sarebbe l’ousia, che si suole tradurre con “sostanza”. Come se anche l’essere-pos-sibile, l’essere-reale e l’essere-vero dovessero essere ricondotti all’essere nel senso dellasostanza. Nel XIX secolo si è stati tanto più propensi a ciò (soprattutto Brentano), in quantonel frattempo l’essere, l’essere-possibile e l’essere-reale erano stati riconosciuti come cate-gorie. Pertanto, è opinione comune che la dottrina aristotelica dell’essere sia una “dottrinadella sostanza”. Questo è un errore, nato in parte dall’insufficiente interpretazione del polla -chos; più precisamente: non si è visto che qui si prepara semplicemente un problema. (Suquesto fondamentale errore è basata anche la costruzione su Aristotele di W. Jaeger)» (HGAXXXIII, 45-46).

5 - Si veda in particolare la prima parte del corso del semestre invernale del 1925/26Logica. La questione della verità (HGA XXI).

6 - Questa interpretazione del problema della verità in Aristotele viene ripresa e ripetu-ta alla fine del corso friburghese del semestre invernale 1929/30 su I concetti fondamentalidella metafisica. Mondo – finitezza – solitudine, nel quale però la ricerca del fondamentoontologico del fenomeno della verità subisce un significativo mutamento. Il senso ontolo gi-co della verità non è più ricondotto all’atteggiamento scoprente dell’esserci, bensì al suoessere-libero (Frei-sein), cioè non più a una spontaneità produttiva dell’esserci, ma alla con-notazione ontologica della sua situatività come essere-libero (cfr. HGA XXIX/XXX, parr.72-73). Sul problema rinvio al mio La question du logos dans l’articulation de la facticitéchez le jeune Heidegge r, lecteur d’Ari s t o t e, in H e i d egger 1919-1929. De l’herméneutique dela facticité à la métap hysique du Dasein, a cura di J. - F. Court i n e, V ri n , Pa ris 1996, pp. 33-65.

7 - Heidegger sviluppa la sua critica alla determinazione husserliana della soggettivitàsoprattutto nei corsi universitari della prima metà degli anni Venti e la manifesta anche aHusserl in occasione della sua collaborazione alla stesura dell’articolo sulla fenomenologiaper l’E n cy clopaedia Bri t a n n i c a. Cfr. E. HU S S E R L, P h ä n o m e n o l ogi s che Psych o l ogi e.Vorlesungen Sommersemester 1925, a cura di W. Biemel, Nijhoff, Den Haag 1962; i testiprincipali sono tradotti in italiano in E. HUSSERL-M. HEIDEGGER, Fenomenologia. Storia di

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14 - Da un punto di vista storiografico Heidegger ha ritrattato questa sua interpretazio-ne, mantenendo tuttavia vivo il problema filosofico che essa pone (cfr. Zur Sache desDenkens, cit., pp. 77-78). Nell’orizzonte guadagnato mediante l’interpretazione della physisnei presocratici si colloca anche il saggio Dell’essenza e del concetto di physis, Aristotele,Fisica,B 1 (scritto nel 1939,pubblicato nel 1958,poi in HGA IX, 239-301; tr. it. in Segnavia,cit., pp. 193-255), che qui non è possibile considerare. L’importanza di questo saggio perl’ultimo Heidegger sta nel fatto che egli trova in Aristotele una riflessione filosofica sullaphysis in cui è ancora presente il senso presocratico originario di questo concetto (cioè il rife-rimento a un essere che ha in se stesso il principio della vita e del movimento e che non èancora soggiogato dalla tecnica), ma nella quale al tempo stesso è pensata per la prima voltacon la distinzione tra enti naturali (physei onta) e artefatti (poioumena) la connessione diphysis e techne, e precisamente in un modo che rimarrà determinante per tutto l’Occidente.Se si considera che l’epoca contemporanea è caratterizzata per Heidegger dalla tecnica qualedimensione fondamentale e determinante, e dalla dimenticanza del senso originario dellaphysis, cioè di quell’essere che non è fatto e prodotto dall’uomo, si capisce l’importanza diquesta interpretazione di Aristotele per il secondo Heidegger. Poiché però la grandezza dellaconcezione aristotelica della physis, come Heidegger stesso afferma nella conclusione delsuo saggio, risiede nel fatto che in essa è parzialmente serbato l’originario senso presocrati-co del termine, è soprattutto l’orizzonte guadagnato mediante l’interpretazione dei presocra-tici che dà il tono alla riflessione heideggeriana in questa fase, e non l’interpretazione diAristotele (determinante invece nel decennio precedente Essere e tempo).

15 -s Tr. it. in E. Jünger-M. Heidegger, Oltre la linea, Adelphi, Milano 1989, p. 139.

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