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Hervé Brugoux

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di Laura Marino

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ISBN 978-88-6242-063-1

Prima edizione Italiana, Ottobre 2012

© 2012, LetteraVentidue Edizioni© 2012, Laura Marino

Tutti i diritti riservati

È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

Traduzione dall’italiano al francese di Maria Teresa Moia e Sonia Esposito

Le immagini all’interno del testo appartengono ai rispettivi autori.L’autore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare.

Book design: Raffaello Buccheri (Officina22)

LetteraVentidue Edizioni S.r.l.www.letteraventidue.comVia Luigi Spagna, 50 L96100 Siracusa, Italia

Ringraziamenti

Questo lavoro è il frutto di un viaggio in Madagascar che, iniziato nell’estate del 2006, continua ancora oggi. Un viaggio in cui sono stata più volte accolta dai salesiani che mi hanno dato la possibilità di conoscere le grandi ricchezze e le grandi povertà del popolo malgascio. Un grazie in particolare a mons. Saro Vella, p. Carmelo Bucceri, p. Saro Salerno e Paolo Sapienza che avendo scelto di vivere accanto ai giovani e in particolare ai più poveri, testimoniano la possibilità di uno sguardo “altro” sul mondo. Un grazie particolare alla professoressa Laura Thermes e al professore Marco Mannino che con i loro contributi hanno impreziosito il libro e mi hanno dato ulteriori stimoli a proseguire la mia ricerca.Un grazie a Hervé Brugoux che mi ha messo a disposizione materiale, tempo e architettura.

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Prefazione | Préface – Laura ThermesIntroduzione | IntroductionHervé Brugoux nell’Isola Rossa | Hervé Brugoux dans l’Ile RougeStare sotto un tetto | Etre sous un toitLa struttura e lo spazio | La structure et l’espaceI materiali | Les matériauxI progetti | Les projets

· L’église de Nôtre Dame des Flots, Mahavatse (Tuléar) · Foyer des jeunes Don Bosco, Mahavatse (Tuléar) · Chapelle du Collège Sacré cœur de Tuléar · École de Ankilibé · Bibliothèque de l’Alliance Française, Tuléar · Hôtel Nautilus, Ifaty (Tuléar) · Hôtel Hippocampe, Tuléar · Séminaire diocésain

Conclusioni | ConclusionsPostfazione | Épilogue – Marco ManninoNota biografica | Note biographiqueRegesto delle opere | Regest des travaux

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Indice | Résumé

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Prefazione | Préface Laura Thermes

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Nell’introduzione al volume dedicato all’architetto francese Hervé Bru-goux, attivo negli ultimi decenni nel Madagascar, la sua autrice, Laura Marino, sostiene una tesi senza dubbio interessante. Secondo quanto scrive la giovane studiosa l’architettura dei paesi che tra l’Ottocento e il Novecento erano stati soggetti a regimi coloniali, oggi pervenuti ad una autonomia purtroppo segnata spesso da conflitti politici, economici e culturali, si è quasi sempre configurata in modo duplice. Per un verso, questi nuovi stati hanno dovuto accettare interventi urbani e architetto-nici che non tenevano conto in modo adeguato delle realtà locali e tra-sportavano in queste motivi estranei e a volte del tutto incompatibili con le loro identità ambientali; per l’altro, hanno visto nascere un’alternativa progettuale che cercava al contrario di interpretare proprio quell’insieme di condizioni climatiche che erano alla base delle tradizioni costrutti-ve locali. Tradizioni che nel tempo si erano consolidate dando luogo a mondi architettonici densi di motivi e di temi significativi. In alcuni casi queste due modalità si sono incrociate, dando vita a positive ibridazioni tra lessici occidentali ed elementi e materiali derivati dai luoghi nei quali si agiva. Le Corbusier e Louis Kahn, ampiamente citati nel libro, sono stati i protagonisti di un dialogo avvincente tra una concezione astratta e atopica del costruire e una visione, di cui sono stati portatori importanti architetti dei paesi africani e asiatici oggetto di politiche espansioniste di matrice coloniale, capace non solo di dedurre dai contesti locali temi e soluzioni, ma di dare vita a nuovi luoghi all’interno di una continu-ità critica e creativa con le preesistenze. Si tratta di una dialettica tra estraneità e appartenenza che è all’origine di una ampia serie di opere nelle quali un forte radicamento include in sé elementi che aprono que-ste stesse opere a paesaggi tematici di carattere più generale. Da questo punto di vista Hassan Fathy, nel suo riaffermare le potenzialità espresse dall’architettura tradizionale, che egli considerava del tutto pari a quella

Dans l’introduction au volume dédié à l’architecte français Hervé Brugoux, actif dans les dernières décennies dans l’île de Madagascar, son auteur, Lau-ra Marino, soutient une thèse certainement intéressante. D’après l’opinion de la jeune critique, l’architecture des Pays qui – entre le XIXe et le XXe siècle – ont subi une domination coloniale et qui aujourd’hui ont atteint une autonomie malheureusement marquée par une série de conflits poli-tiques, économiques et culturels, se présente toujours d’une double façon. D’un côté, ces nouveaux États ont dû accepter des interventions urbaines et architecturales qui n’ont pas considéré les réalités locales en finissant par transporter dans ces dernières des éléments étrangers et parfois décidément incompatibles avec l’identité géographique du Pays concerné. De l’autre côté, ces États ont vu naître un ensemble de projets alternatifs qui essayaient, au contraire, d’interpréter les conditions climatiques sur lesquelles se fon-dait la tradition architecturale locale. Cette tradition, en effet, dans le temps s’était consolidée et avait produit un univers peuplé par un certain nombre de motifs et de thèmes significatifs. Dans certains cas, les deux modalités se son mêlées et ont donné naissance à une hybridation positive entre lexiques occi-dentaux et éléments régionaux. Le Corbusier et Louis Kahn, cités à plusieurs reprises dans le livre, ont été les protagonistes d’un dialogue captivant entre une idée théorique et atypique de la construction et une vision - défendue par quelques architectes opérant dans des Pays africains et asiatiques soumis à une politique expansionniste - capable non seulement de tirer du contexte local des thèmes et de solutions, mai aussi de créer des lieux nouveaux tout en restant à l’intérieur d’une continuité critique et créative avec tout ce qui est préexistant. Il s’agit là d’une dialectique entre extranéité et appartenance qui est à l’origine d’une vaste série d’œuvres où un enracinement fort prévoit tout de même la présence d’éléments qui ouvrent à la possibilité de paysages thématiques d’un caractère plus général. De ce point de vue Hassan Faty, quand il affirme les potentialités exprimées par l’architecture traditionnelle

Tra estraneità e appartenenza Entre extranéité et appartenance

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La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada. La vita stessa è un viaggio da fare a piedi.

Bruce Chatwin

Introduzione | Introduction

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Fu il viaggiare che mi aprì veramente gli occhi, che mi fece entrare nel mon-do dell ’arte […], che mi mise a contatto diretto con tante cose del passato oltre a quelle contemporanee e cosiddette moderne. Capii allora che […] la vera educazione ci viene da quello che scopriamo e impariamo da soli, fuori dalle scuole, nel mondo reale.1

A. Konstantinidis

Dietro un grande cambiamento, dietro un grande maestro dell’archi-tettura c’è sempre un viaggio, un incontro con altre realtà e con altre lingue, un viaggio che è sempre di formazione.L’esperienza del Grand Tour che ha portato in Italia da Winckelmann a Schinkel, da Semper a Le Corbusier, da Alvar Aalto a Louis Kahn è emblematica del rapporto che può nascere tra viaggio e architettura, tra il sapere che si incontra e il proprio. Dal ‘700 ai primi del ‘900, il viaggiare era una vera e propria avventura, eppure si partiva, si lasciava il proprio paese per andare ad attingere dalla cultura altra e poi tornare alla propria cambiati, diversi. Goethe lo esprime molto bene: “Chi im-para una lingua straniera comprende meglio la propria”.È questo lo spirito che ha portato molti architetti in giro per il mondo, anche verso mete che non rientravano nel Grand Tour, destinazioni apparentemente insolite, paesi definiti “del sud del mondo”, tanto di-versi, ma particolarmente carichi di sollecitazioni in quanto custodi di modelli vicini agli archetipi. Nei cosiddetti paesi poveri o paesi impoveriti, l’architettura si esprime secondo due macro “categorie”: da un lato l’architettura tradizionale, quella fatta di capanne, con materiali poveri, quella il cui sapere per la sua costruzione è tramandato di padre in figlio come eredità preziosa; l’altra è l’architettura “colonialista”, quella importata e “imposta” dai coloni, quella che ci fa trovare ad Asmara delle bellissime architet-ture razionaliste, che ci fa riconoscere in India l’impronta inglese o in Angola lo “stile portoghese”. L’architettura colonialista ha spesso imposto principi architettonici, compositivi e urbanistici, materiali,

Ce fut le fait de voyager qui m’ouvrit vraiment les yeux, qui me fit rentrer dans le monde de l ’art […], qui me mit en contact direct avec nombreuses choses du passé en plus de celles contemporaines et ainsi dites modernes. Je compris alors que […] la vraie éducation nous vient de ce que nous décou-vrons et apprenons tous seuls, en dehors des écoles, dans le monde réel.1

A. Konstantinidis

Derrière un grand changement, derrière un grand maître de l’archi-tecture il y a toujours un voyage, une rencontre avec d’autres réalités et d’autres langues, un voyage qui est toujours de formation.L’expérience du Grand Tour qui a conduit en Italie Winckelmann et Schinkel, Semper et Le Corbusier, Alvar Aalto et Louis Kahn est significative du rapport qui peut naître entre voyage et architecture, entre le savoir que l’on rencontre et le propre. Dès le XVIIIème aux premières années du XXème siècle, le fait de voyager c’était une véri-table aventure, et pourtant l’on partait, l’on quittait son pays pour aller puiser dans la culture autre pour revenir vers la sienne changés, diffé-rents. Goethe exprime cela très bien: “Ceux qui apprennent une langue étrangère comprennent mieux la leur”.Il s’agit bien de l’esprit qui a poussé beaucoup d’architectes partout dans le monde, même vers des destinations qui ne rentraient pas dans le Grand Tour, des destinations apparemment insolites, des pays définis “du sud du monde”, très différents, mais particulièrement chargés de sollicitations en tant que gardiens de modèles proches des archétypes. Dans les pays dits pauvres ou appauvris, l’architecture s’exprime selon deux macro-“catégories”: d’une part l’architecture traditionnelle, celle qui est faite de cabanes, avec des matériaux pauvres, architecture dont le savoir pour sa construction est transmis de père en fils comme hé-ritage précieux; l’autre c’est l’ architecture “colonialiste”, importée et “imposée” par les colons, celle qui nous fait trouver à Asmara de très belles architectures rationalistes, architecture qui nous fait reconnaître aux Indes la touche anglaise ou bien en Angola “le style portugais”.

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La chiesa di Nôtre Dame des Flots,Mahavatse (Tuléar)

L’église de Nôtre Dame des Flots, Mahavatse (Tuléar)

La chiesa sorge a Mahavatse un quartiere di pescatori molto povero di Tuléar. Passando tra le “strade” del quartiere, in mezzo a piccole baracche e a tappeti di spazzatura utilizzata per colmare le buche delle strade dissestate, spicca da lontano una “vela verde”. Avvicinandosi, entrando all’interno del muro di cinta che delimita l’area della chiesa e della scuola, si dichiara in maniera esplicita: è la chiesa di Nôtre Dame des Flots (Nostra Signora delle Onde) protettrice dei pescatori. Per la forma della chiesa i committenti, i padri salesiani della comunità di Mahavatse, avevano dato una sola indicazione: il raccoglimento del popolo di Dio attorno all’altare. Brugoux per ottenere l’effetto richiesto compie delle scelte elementari: due gradini per staccare la chiesa dalla strada sabbiosa; le pareti in mattoni rossi che delimitano lo spazio abbracciando la comunità dei fedeli e una grande copertura, la “vela verde”. La grande copertura conduce il fedele all’interno dello spazio sacro e trasmette il senso di protezione, di accoglienza, ma anche di grandezza dello spazio liturgico.Il tetto richiama la vela utilizzata dai Vezo1, popolo di pescatori. La vela, di forma quadrata sorretta da un solo elemento verticale, quando la si corica, assume la forma paraboloide per diventare il grande albero sotto il quale il villaggio si ritrova per celebrare, all’ombra, la santa messa. La luce filtra attraverso lo spazio tra la copertura e il muri perimetrali in mattoni: la luce viene spezzata dalla struttura tridimensionale lignea creando un effetto di luci e ombre che richiama quello della luce che passa tra gli alberi. I setti perimetrali in mattoni hanno la sola funzione di delimitare lo spazio liturgico che, durante la messa domenicale, si dilata fino all’esterno. La grande copertura è realizzata mettendo insieme due sistemi strutturali iperstatici: la doppia curvatura e un sistema tridimensionale ligneo “tipo mero” realizzato artigianalmente.

L’église se trouve à Mahavatse, un quartier de pêcheurs très pauvre de Tuléar.En passant dans les “rues” du quartier, au milieu de petites baraques et de tapis d’ordures utilisées pour combler les trous des routes défoncées, on distingue de loin une “voile verte”. En s’approchant, en entrant à l’intérieur de l’enceinte qui délimite la zone de l’église et de l’école, elle se déclare de façon explicite: c’est l’église de Nôtre Dame des Flots protectrice des pêcheurs. Pour la forme de l’église les commanditaires, les pères salésiens de la communauté de Mahavatse, avaient donné une seule indication: le rassemblement du peuple de Dieu autour de l’autel.Pour obtenir cet effet Hervé Brugoux fait des choix élémentaires: deux marches pour détacher l’église de la route sablonneuse; les parois en briques rouges qui délimitent l’espace en accueillant la communauté des fidèles et une grande couverture, la “voile verte”. La grande couverture conduit le fidèle à l’intérieur de l’espace sacré et elle transmet le sens de protection, d’accueil, mais aussi de grandeur de l’espace liturgique.Le toit rappelle la voile utilisée par les Vezos1, peuple de pêcheurs. La voile, de forme carrée soutenue par un seul élément vertical, lorsqu’ elle est déployée, prend la forme paraboloïde pour devenir un grand arbre au-dessous duquel le village se retrouve pour célébrer, à l’ombre, la sainte messe. La lumière filtre à travers l’espace entre la couverture et les murs d’enceinte en brique: la lumière est brisée par la structure tridimensionnelle en bois en créant un effet de lumières et ombres qui rappelle celui de la lumière qui passe à travers les arbres. Les diaphragmes du périmètre en briques ont la seule fonction de délimiter l’espace liturgique qui, pendant la messe du dimanche, se dilate jusqu’à l’extérieur. La grande couverture est réalisée en unissant deux systèmes structuraux hyperstatiques: la double courbure et un système tridimensionnel en bois “style

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La biblioteca dell’Alliance Français è uno dei primi progetti di Brugoux a Tuléar. Qui emerge in maniera chiara lo studio delle strutture spaziali e in particolare degli elementi geometrici (ottaedri e tetraedri) e le cupole geodetiche di Fuller. Inserita all’interno di un grande giardino, la struttura della biblioteca spicca con la sua forma geodetica bianca tra il verde della natura circostante: all’interno il bianco è richiamato solo nei profili metallici mentre il legno, nel suo colore naturale, definisce lo spazio.La struttura è realizzata con tre tipologie di pannelli (triangolare, quadrato e pentagonale) ciascuno con due orditure differenti di assi di legno. Per illustrare il progetto della biblioteca Brugoux, in una sola tavola, concentra molteplici informazioni sempre con la stessa chiarezza: pianta e dettagli costruttivi; dalla scala di rappresentazione 1:50 al dettaglio 1:2 e 1:1; dalla destinazione d’uso degli spazi interni al numero delle cerniere da utilizzare. Questo è proprio della forma mentis dell’architetto francese che riesce a controllare il progetto in tutte le sue fasi e in tutte le scale di dettaglio necessarie. La biblioteca è il fulcro di un progetto più generale che vede da un lato un ampio giardino con teatro di 120 posti e dall’altro un complesso di 7 sale e altre strutture di servizi. Le strutture pur essendo indipendenti sono raccolte sotto un’unica copertura e distribuite lungo una sorta di strada interna concepita come una “sala all’aperto-coperta”.

La bibliothèque de l’Alliance Français est l’un des premiers projets de Hervé Brugoux à Tuléar. Ici on ressent de manière claire l’étude des structures spatiales et notamment des éléments géométriques (octaèdres et tétraèdres) et des coupoles géodésiques de Fuller. Insérée à l’intérieur d’un grand jardin, la structure de la bibliothèque se distingue par sa forme géodésique blanche entre le vert de la nature environnante: à l’intérieur la couleur blanche est rappelé seulement dans les profils métalliques alors que le bois, dans sa couleur naturelle définit l’espace. La structure est réalisée avec trois typologies de panneaux (triangulaire, carré et pentagonal) chacun avec deux ourdissages différentes de planches en bois.Pour illustrer le projet de la bibliothèque Brugoux, dans une seule planche, concentre plusieurs informations toujours avec la même clarté: le plan et les détails constructifs, de l’échelle de représentation 1:50 au détail 1:2 et 1:1; de la destination d’emploi des espaces intérieurs au nombre des charnières à utiliser. Tout cela est typique de la forma mentis de l’architecte français qui arrive à contrôler le projet en toutes ses phases et en toutes les échelles de détail nécessaires. La bibliothèque était le cœur d’un projet plus général qui voit d’un côté un grand jardin avec un théâtre pour 120 personnes et de l’autre côté un ensemble de 7 salles et d’autres structures de services. Les structures, tout en étant indépendantes, sont réunies sous une seule couverture et distribuées le long d’une sorte de route intérieure conçue comme une “salle ouverte couverte”. De ce projet seule la bibliothèque a été réalisée.

Biblioteca de l’Alliance Français, Tuléar

Bibliothèque de l’Alliance Française, Tuléar

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Nel 2000 Brugoux viene incaricato di progettare un albergo di 25 camere a Ifaty, una zona “turistica”: un albergo sulla spiaggia. Qui Brugoux sceglie di ridurre al minimo l’impatto visivo dal mare. L’albergo si colloca alla fine di una sequenza di tre fasce composta dal mare, dalla spiaggia di finissima sabbia bianca e da una fascia verde di bassi arbusti che garantiscono la privacy dall’esterno verso l’interno. In questa sequenza mare-spiaggia-fascia verde si inserisce, prima delle stanze d’albergo, una grande copertura che, posta direttamente sulla spiaggia, fa da mediazione tra lo spazio privato e quello “pubblico”, la spiaggia. Anche qui, per la copertura, Brugoux utilizza strutture risultanti da raggruppamenti di superfici quadrangolari a doppia curvatura (paraboloidi iperbolici)*

* “Le superfici quadrangolari a doppia curvatura, dette parabolidi iperboliche, sono generate dal movimento parallelo di una retta detta generatrice, lungo altre rette dette direttrici, non appartenenti allo stesso piano. Le intersezioni della superficie con piani verticali, paralleli ad AC o a BD, definiscono rispettivamente, verso l’alto, parabole in tensione e, verso il basso, parabole in compressione. Intersezione della superficie con l’asse orizzontale come asintoti. Gli sforzi di tensione e compressione sono uniformi su tutta la superficie” Camillo Gubitosi e Alberto Izzo, a cura di Eduardo Catalano buildings and projects, Officina edizioni Roma 1978

En 2000 Brugoux est chargé de projeter un hôtel de 25 chambres sur la plage à Ifaty, une zone “touristique”. Il choisit de réduire au minimum l’impact visuel à partir de la plage. L’hôtel surgit à la fin d’une séquence de trois bandes formées par la mer, la plage de sable blanc et la bande verte de petits arbustes qui garantissent l’intimité de l’extérieur vers l’intérieur. Dans cette séquence mer-plage-bande verte, avant les chambres d’hôtel une grande couverture, placée directement sur la plage, fait de trait d’union entre l’espace privé et celui “public”, de la plage. Là aussi, pour la couverture, Brugoux utilise des structures qui résultent des groupes de surfaces quadrangulaires à double courbure. (Paraboloïdes hyperboliques)*

* “Les surfaces quadrangulaires à double courbure, dites paraboloïdes hyperboliques, sont engendrées du mouvement parallèle d’une droite dite génératrice, le long d’autres droites dites directrices, qui n’appartiennent pas au même plan. Les intersections de la surface avec des plans verticaux, parallèles à AC ou à BD, définissent respectivement, vers le haut, des paraboles en tension et, vers le bas, des paraboles en compression. Intersection de la surface avec l’axe horizontal comme des asymptote. Les efforts de tension et compression sont uniformes sur toute la surface.” Camillo Gubitosi et Alberto Izzo, par Eduardo Catalano buildings and projects, Officina éditeur Rome 1978

Hotel Nautilus, Ifaty (Tuléar) Hôtel Nautilus, Ifaty (Tuléar)

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Brugoux ha progettato e costruito diversi alberghi. Uno di questi è l’Hippocampo, situato a Tuléar vicino alla zona portuale. L’albergo è diventato punto di riferimento prestigioso per gli armatori che passano da queste zone. Qui, Brugoux, utilizza il tema a lui caro della grande copertura spaziale reticolare, già utilizzato per la chiesa di Mahavatse e per l’oratorio. In questo caso è ancora più forte il concetto miesiano del grande tetto che unisce i vari volumi sottostanti. Alla grande copertura viene affidato infatti il consueto compito di individuare gli spazi esterni/coperti che poi indirizzano agli spazi interni dell’hotel.Accanto all’albergo, separato solo da un albero, una struttura uguale all’Hippocampo, più piccola destinata a sala riunioni.

Brugoux a projeté et construit de nombreux hôtels. L’un de ces hôtels est l’Hippocampe, situé à Tuléar près de la zone portuaire. L’hôtel, en plus d’être un point de repère pour les amateurs qui passent par là, c’est un “symbole” de prestige et de richesse. Ici Brugoux utilise un thème qui lui est cher: la grande couverture spatiale réticulaire, thème déjà utilisé pour l’église de Mahavatse et pour le foyer des jeunes. On repense alors à l’idée de Mies, du grand toit qui unit les divers volumes situés au-dessous. En effet l’on confie à la grande couverture la tache habituelle de repérer les espaces extérieurs/couverts qui conduisent ensuite aux espaces intérieurs de l’hôtel. A côté de l’hôtel, séparé seulement par un arbre, une structure égale à l’Hippocampe, mais plus petite sert de salle de réunions.

Hotel Hippocampo, Tuléar

Hôtel Hippocampe, Tuléar

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Il seminario diocesano riprende, in pianta, il principio del museo a crescita illimitata di Le Corbusier. La spirale parte attorno a un albero, il cuore del seminario, e si sviluppa con un senso avvolgente. Le camere dei seminaristi e gli ambienti di studio e di servizio si sviluppano lungo la spirale, con il percorso aperto-coperto che protegge dal sole e dalla pioggia. Il tetto delimita sia gli ambienti chiusi che gli spazi aperti, diventando l’elemento unificatore di tutto il seminario. Il seminario, come l’oratorio di Mahavatse, è costruito in mattoni a faccia vista. Il colore dei mattoni si armonizza con il rosso della terra e il verde della vegetazione mentre la copertura si stacca da tutto il resto con il suo colore bianco che, alla vista satellitare, trasforma il seminario in un segno forte nella foresta malgascia.

Le séminaire diocésain reprend, dans le plan, le principe du musée à croissance illimitée de Le Corbusier.La spirale part autours d’un arbre, le cœur du séminaire, et se développe avec un sens enveloppant. Les chambres des séminaristes et les pièces pour étudier ou de service se développent en suivant la spirale, avec la galerie qui protège du soleil et de la pluie. Le toit délimite les pièces fermées et les pièces ouvertes en devenant l’élément unificateur de tout le séminaire. Le séminaire, comme le foyer des jeunes, est bâti en briques à parement. La couleur des briques s’harmonise avec le rouge de la terre et le vert de la végétation alors que la couverture se détache de tout le reste avec sa couleur blanche qui, par vue satellitaire, transforme le séminaire en un signe fort dans la forêt malgache.

Seminario diocesano

Séminaire diocésain

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