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NORD/SUD / X. Gorostiaga: "Ho vissuto intensamente e questo è il lascito della mia esperienza" 0 0 Dal primo numero di envío, uscito nel Giugno 1981, Xabier ha scritto per la nostra rivista. Oggi, che non è più fisicamente tra noi, ci è grato pubblicare uno dei suoi ultimi scritti, una sorta di testamento personale e politico, che gli era stato chiesto come contributo al secondo Forum Sociale Internazionale di Porto Alegre, svoltosi nel Gennaio 2002. Di Xabier Gorostiaga. Traduzione di Lucia Gennaro e Francesco Calcagnile. Redazione di Marco Cantarelli. Ho sperimentato grande difficoltà nello scrivere questo testo. L’ho fatto con la memoria carica di esperienze vissute e ricordi contraddittori, con una profonda gioia e passione, e insieme con una speranza sofferente e un dolore ancora fresco. Ritengo che il mio intenso coinvolgimento come sacerdote nella crisi panamegna e nella rivoluzione nicaraguense potrà forse servire ad altri cristiani e cristiane a capire le ambiguità e le contraddizioni di questo tipo di impegno. Prima di iniziare a scrivere, mi sono sentito sopraffatto, incapace di essere conciso. Che fare? Un’analisi dell’economia politica di questi trent’anni, una testimonianza delle migliori esperienze e delusioni, o un tentativo di sintesi di alcune lezioni personali che possano servire ad altri cristiani nella loro caminhada? Mi sono deciso per questa terza opzione, che implica una componente di biografia personale e uno sforzo di discernimento e ricerca di fronte ad un XXI secolo confuso, incerto, che suscita incertezza ma che è allo stesso tempo pieno di opportunità. Un XXI secolo affascinante per i cambiamenti e per la velocità che, sebbene senza direzione, la storia ha acquisito. Il cambiamento di epoca e la transizione di civiltà che stiamo vivendo esigono una rottura epistemologica tanto nella prassi sociale quanto nella teologia. Questa rottura equivale ad un cambiamento profondo, radicale, nella maniera di conoscere, sentire e confrontarsi con la realtà che viviamo. Svelerò ricordi e esperienze di cui mai prima avevo scritto. Prima di farlo, vorrei che il carattere biografico e personale di questa narrazione servisse per trasmettere una grande verità della mia vita: l’impegno cristiano con i poveri e gli emarginati produce una grande felicità. Il volto degli oppressi deve essere sempre presente nelle nostre azioni. Questo volto aiuta a preservare la coerenza e riempie la nostra vita di senso di fratellanza. Condividendo le sofferenze e le speranze dei poveri, le loro tristezze e le loro gioie, si rivela il volto di Dio come unico assoluto. Battesimo latino-americano a CubaSono basco-nicaraguense. Sono nato nel 1937, nella dolce e cara Galicia, dove i miei genitori, nazionalisti baschi abertzales, si erano nascosti per sfuggire alla repressione franchista. Fin dal primo anno di noviziato gesuita, chiesi di essere inviato in America Centrale. Toccai terra latino- americana il 18 Luglio 1958 a La Habana, dove vissi gli ultimi mesi del governo Batista e il primo anno della Rivoluzione Cubana. Quel battesimo latino-americano all’inizio del processo di cambiamento a Cuba – che ebbe così profonde ripercussioni in Centro-America – segnò la mia vita con l’impegno di lottare per la trasformazione sociale e per il diritto dei nostri Paesi di conquistare autonomia e dignità di fronte all’Impero, impegno che più avanti si sarebbe manifestato con la mia partecipazione politica a Panamá, in Nicaragua e in tutto il Centro-America. Aver visto quel primo fermento sociale a Cuba, la speranza e i sorrisi di felicità dei più poveri, mi rivelò che la 0 0 1 of 17

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NORD/SUD / X. Gorostiaga: "Ho vissutointensamente e questo è il lascito della miaesperienza"

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Dal primo numero di envío, uscito nelGiugno 1981, Xabier ha scritto per la nostra rivista. Oggi, che non è più fisicamente tra noi, ci è gratopubblicare uno dei suoi ultimi scritti, una sorta di testamento personale e politico, che gli era stato chiesto comecontributo al secondo Forum Sociale Internazionale di Porto Alegre, svoltosi nel Gennaio 2002.

Di Xabier Gorostiaga. Traduzione di Lucia Gennaro e Francesco Calcagnile. Redazione di Marco

Cantarelli.

Ho sperimentato grande difficoltà nello scrivere questo testo. L’ho fatto con la memoria carica di esperienzevissute e ricordi contraddittori, con una profonda gioia e passione, e insieme con una speranza sofferente e undolore ancora fresco. Ritengo che il mio intenso coinvolgimento come sacerdote nella crisi panamegna e nellarivoluzione nicaraguense potrà forse servire ad altri cristiani e cristiane a capire le ambiguità e le contraddizionidi questo tipo di impegno.Prima di iniziare a scrivere, mi sono sentito sopraffatto, incapace di essere conciso. Che fare? Un’analisidell’economia politica di questi trent’anni, una testimonianza delle migliori esperienze e delusioni, o un tentativodi sintesi di alcune lezioni personali che possano servire ad altri cristiani nella loro caminhada? Mi sono decisoper questa terza opzione, che implica una componente di biografia personale e uno sforzo di discernimento ericerca di fronte ad un XXI secolo confuso, incerto, che suscita incertezza ma che è allo stesso tempo pieno diopportunità.Un XXI secolo affascinante per i cambiamenti e per la velocità che, sebbene senza direzione, la storia haacquisito. Il cambiamento di epoca e la transizione di civiltà che stiamo vivendo esigono una rotturaepistemologica tanto nella prassi sociale quanto nella teologia. Questa rottura equivale ad un cambiamentoprofondo, radicale, nella maniera di conoscere, sentire e confrontarsi con la realtà che viviamo.Svelerò ricordi e esperienze di cui mai prima avevo scritto. Prima di farlo, vorrei che il carattere biografico epersonale di questa narrazione servisse per trasmettere una grande verità della mia vita: l’impegno cristianocon i poveri e gli emarginati produce una grande felicità. Il volto degli oppressi deve essere sempre presentenelle nostre azioni. Questo volto aiuta a preservare la coerenza e riempie la nostra vita di senso di fratellanza.Condividendo le sofferenze e le speranze dei poveri, le loro tristezze e le loro gioie, si rivela il volto di Dio comeunico assoluto.Battesimo latino-americano a CubaSono basco-nicaraguense. Sono nato nel 1937, nella dolce e cara Galicia,dove i miei genitori, nazionalisti baschi abertzales, si erano nascosti per sfuggire alla repressione franchista.Fin dal primo anno di noviziato gesuita, chiesi di essere inviato in America Centrale. Toccai terra latino-americana il 18 Luglio 1958 a La Habana, dove vissi gli ultimi mesi del governo Batista e il primo anno dellaRivoluzione Cubana. Quel battesimo latino-americano all’inizio del processo di cambiamento a Cuba – cheebbe così profonde ripercussioni in Centro-America – segnò la mia vita con l’impegno di lottare per latrasformazione sociale e per il diritto dei nostri Paesi di conquistare autonomia e dignità di fronte all’Impero,impegno che più avanti si sarebbe manifestato con la mia partecipazione politica a Panamá, in Nicaragua e intutto il Centro-America.Aver visto quel primo fermento sociale a Cuba, la speranza e i sorrisi di felicità dei più poveri, mi rivelò che la

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scelta a favore dei poveri e della loro causa non è solamente una scelta evangelica. È anche il più grandemotivo di felicità. Scoprii allora che non ci può essere felicità personale se essa non comporta una felicitàcondivisa e non ne è frutto. Inoltre, la breve esperienza cubana mi segnò come cristiano e come sacerdote:non avrei mai voluto vedere la Chiesa cattolica svolgere il ruolo che allora svolse a Cuba di fronte ai necessaricambiamenti sociali, ripetendo il ruolo ricoperto durante la guerra civile spagnola e la nefasta “crociatafranchista”.Nel 1961-62, svolsi i miei studi di filosofia in Ecuador e in México, dove la realtà delle culture indigene fecerinascere in me le radici della mia identità basca. Resistere e difendere la diversità culturale per trovare unsenso alla propria identità: ecco un compito molto attuale. Ricordo in particolare le estati nella Taraumara, conquel grande apostolo dei Rarámuris, padre Branvila, che mi aiutò a sentirmi solidale con la causa indigena. InMéxico, inoltre, vissi l’esperienza di conoscere don Sergio Méndez Arceo, don Samuel Ruiz, Ernesto Cardenale Ivan Illich a Cuernavaca. Conobbi anche l’abate Lemercier e la sua esperienza di ripensare il cristianesimo apartire dalla libertà e dalla soggettività umana. Incontrare per la mia strada esseri umani esemplari, che sonostati splendidi ispiratori del senso della vita e dell’umanesimo cristiano, è stata una costante della mia vita.Per me fu una grande delusione non poter proseguire gli studi di economia che avevo iniziato in México,perché fui assegnato di malavoglia a Panamá. Dio scrive il destino delle nostre vite su righe storte ed in unalingua che solo l’esperienza e il tempo permettono di tradurre adeguatamente. A Panamá, nel Colegio Javierdella borghesia panamegna, mi trovai a studiare magistero con César Jerez e Juan Hernández Pico, duegesuiti che, insieme ad altri, fecero storia in America Centrale e Meridionale con i Centri di Ricerca e AzioneSociale (CIAS). Conobbi e lavorai anche con il gesuita Manuel Aguirre, fondatore dei Corsi di FormazioneSociale, che furono all’origine della sinistra cristiana, separata dalla Democrazia Cristiana in Venezuela,Colombia e Centro-America.Dedicai la maggior parte dei miei tre anni di magistero a lavorare in questi corsi, nella formazione di unagenerazione di panamegni e centro-americani che avrebbe in seguito ricoperto ruoli importanti nei movimentipolitici rivoluzionari dell’America Centrale. Vari di coloro che frequentavano questi corsi di formazione socialefurono assassinati o feriti il 9 Gennaio 1964, mentre portavano la bandiera panamegna nella Zona del Canale,chiedendo il rispetto degli accordi che il Presidente Kennedy aveva firmato con Panamá e che gli zonians sirifiutavano di accettare. Il mio impegno a favore di Panamá e della lotta per il recupero del Canale è suggellatodal sangue di quegli amici. Fu a Panamá che, attraverso la rivista Mensaje del Cile, iniziai anche a vincolarmiall’esperienza dei cristiani cileni che negli Anni ‘70 sarebbe culminata nella creazione del movimento Cristianiper il Socialismo.Il problema basco segnò la mia vitaNel periodo 1965-69, svolsi i miei studi di teologia nella Università diDeusto, nel Paese Basco. La crisi spagnola e la crisi basca stavano attraversando i momenti più duri della lottacontro il franchismo. Diventai membro di Missione Operaia e partecipai attivamente ai grandi scioperi diquell’epoca. Feci vari incontri con la Gioventù Operaia Cattolica e la Fratellanza Operaia dell’Azione Cattolica,e questo rese più profonda la mia vocazione sociale. Due gesuiti lasciarono un’impronta profonda in questaesperienza: David Armentia, sacerdote operaio, e il sociologo José María Díaz Alegría. Entrambi dovettero inseguito lasciare la Compagnia di Gesù. Le dolorose crisi della Missione Operaia con la Chiesa cattolica,provocate dalla nostra fedeltà alla causa dei poveri in Europa, mi insegnarono a perseverare nelle crisi similiche anni dopo noi teologi ed esperti di scienze sociali della liberazione avremmo vissuto con la gerarchiaecclesiastica, soprattutto in Nicaragua.La creazione del Centro di Ricerca e Azione Sociale per il Centro-America (CIASCA) è determinante per capireil contributo dei gesuiti all’esperienza cristiana in Centro-America. Una dozzina di studenti gesuiti centro-americani formatisi in scienze sociali, lavorando in gruppo e con una visione antesignana del concetto diCentro-America come regione integrata, crearono nel 1965 il CIASCA, che prese ispirazione dalla ActionPopulaire di Parigi. In quel cammino avemmo la consulenza di un gruppo di gesuiti e di esperti francesi inscienze sociali: Jean-Yves Calvez, Pierre Bigo, Henri Chambre. Fu allora che si confermò il mio destino distudiare economia all’Università di Cambridge, mentre gli altri miei compagni studiavano in importantiuniversità degli Stati Uniti: Chicago, Texas, Yale. A fine Anni ‘60 e nel corso dei ‘70, la scelta di studiarescienze sociali risultò fondamentale per consolidare il ruolo che avrebbe ricoperto la Compagnia di Gesù in

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Centro-America in quegli anni.Durante i miei studi di teologia, un’altra esperienza che segnò la mia vita fu la questione basca, ed inparticolare quella del clero basco, che reclamava l’organizzazione di una Chiesa basca per poteraccompagnare un popolo che cercava di recuperare la sua identità nel Paese Basco, un’enclave situata nelcuore industriale della Penisola Iberica, a cavallo di un confine che lo vincola al resto d’Europa. Il gruppo disacerdoti che formava il Gogortasun fu oggetto di una grave sanzione canonica nel Novembre 1968, con più disessanta sacerdoti sospesi a divinis per aver protestato contro le torture della polizia franchista contro il popolobasco e per aver iniziato uno sciopero della fame fino a quando la Chiesa non si fosse dichiarata contraria atale pratica. Quattro mesi dopo essere stato ordinato sacerdote a Loyola, io stesso ricevetti una punizionetemporanea: non avrei potuto esercitare il sacerdozio per aver partecipato alla lotta contro la tortura.Ricerca della giustizia e conflitti all’interno della ChiesaL’esperienza nella crisi basca mi aiutò a concepire ilsacerdozio come la decisione, ispirata a sant’Ignazio di Loyola, di «in tutto, amare e servire», anche se questocomporta l’entrare in conflitto con altri doveri e obbligazioni ecclesiastiche. La ricerca della giustizia e dellafratellanza non permette di sfuggire ai conflitti religiosi; lo stesso Gesù non sfuggì ai conflitti con le autoritàreligiose del suo tempo. La conflittualità ecclesiale motivata dalla causa dei poveri è sempre un momento dirivelazione e discernimento, complesso e ambiguo, ma tuttavia necessario per sconfiggere le tentazioni delpotere. In base alla mia esperienza di vita, ritengo che la ricerca del potere, fatta nel nome della giustizia e deipoveri, sia stata la peggiore corruzione della sinistra e anche della Chiesa.L’esperienza delle mie radici basche mi ha aiutato a sentirmi ancora più coinvolto in America Latina. E mi haaiutato a iniziare a capire che la violenza, in particolare quella che adopera metodi terroristici, non fa altro cheoscurare la dignità e la giustizia di qualsiasi causa, la causa basca, la causa centro-americana o quella delmovimento che oggi lotta per una globalizzazione alternativa. La violenza frammenta e dà origine a gruppi prividi progettualità.Il mio coinvolgimento nella questione operaia e basca anticipò la mia partenza dal Paese Basco nel 1968 percominciare i miei studi di economia all’Università di Cambridge. Tali studi (1969-71 e 1975-76) rispondevano alpiano strategico di preparare in scienze sociali una nuova generazione di gesuiti latino-americani, perrafforzare l’opzione a favore dei poveri con un’analisi e una ricerca qualitativamente superiore. Cambridgeincise nella mia vita con il rigore degli studi di economia e con la conoscenza dell’economia marxista, grazie aprofessori straordinari come Joan Robinson, Maurice Dodd, Piero Sraffa. Conobbi anche intellettuali britannici– Julián Filochowsky e Valpy Fitzgerald – e importanti intellettuali latino-americani che studiavano in Inghilterra,con i quali ho sempre mantenuto stretti rapporti di amicizia. Nella seconda fase dei miei studi a Cambridge, nel1975, conobbi cileni esiliati in Europa. Molti di loro vennero anni dopo in Nicaragua e collaborarono con me, altempo dei miei incarichi nel governo rivoluzionario.A Cambridge, inoltre, ebbi l’opportunità di entrare in contatto con le ONG di sviluppo, sia del Regno Unito sia ditutta Europa: CAFOD, Christian Aid, OXFAM; le olandesi NOVIB, IICO e CEBEMO; il CCFD francese; lasvedese Diaconia; fra gli altri. Con tutte mantenni una stretta collaborazione per molti anni, e tutte offrirono unsostegno, sia economico che politico, alle esperienze di trasformazione sociale nei paesi del Centro-America.Negli Anni ‘80, queste istituzioni furono nostre compagne di lavoro nella regione centro-americana. Persone diqueste associazioni dedicarono molti anni della loro vita a contribuire a trovare soluzioni alla crisi centro-americana. Negli Anni ‘70 e ‘80 queste reti di solidarietà furono le antesignane delle attuali reti di solidarietàglobale, indispensabili per costruire una globalizzazione alternativa nel XXI Secolo.L’università di Cambridge toccò poco il mio cuoreCambridge aiutò a formare la mia carriera universitaria, matoccò poco il mio cuore. Le grandi università corrono il rischio di rendere i propri alunni insensibili di fronte allasofferenza e all’ingiustizia, poiché in esse predomina una razionalità magnificata, ma ristretta. Tuttavia, la mialunga esperienza universitaria, importante dal punto di vista della qualità ma limitata nel suo senso vitaleprofondo, mi sarebbe servita negli Anni ‘90 per il mio rettorato all’Università Centro-americana (UCA) diManagua, e per il mio lavoro, a partire dal 1999, nella Associazione delle Università Gesuite dell’AmericaLatina (AUSJAL).L’Università di Cambridge accettò per la mia tesi di dottorato il tema del Canale di Panamá e quello dellaPiattaforma di Servizi Transnazionali a Panamá. Il mio ritorno a Panamá nel 1971, dopo l’assassinio di Héctor

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Gallego, il primo sacerdote martire del Centro-America e uno dei primi grandi desaparecidos dell’AmericaLatina, mi pose di fronte ad un altro grave conflitto. Da una parte, c’era la mia amicizia con Héctor e il conflittoche questo assassinio creò tra la Chiesa cattolica e il governo di Omar Torrijos, coinvolto nel crimine. SebbeneTorrijos provasse simpatia e ammirazione per Héctor Gallego, coprì il suo omicidio, probabilmente perchéalcuni suoi parenti stretti erano coinvolti nello stesso. Dall’altra, c’era l’offerta fattami dal ministro degli Esteripanamegno, Juan Antonio Tack, di diventare consulente economico nelle negoziazioni del Trattato sul Canaledi Panamá.In seguito a trattative nelle quali intervenne l’arcivescovo di Panamá, Marcos McGrath, decidemmo di accettaretale carica per appoggiare la giusta causa panamegna. Allo stesso tempo, con la missione ecclesiale di aiutarea superare la tensione fra la Chiesa cattolica e il governo di Torrijos. Questo complesso dilemma si attenuò conla lettera comune dei vescovi nordamericani e panamegni a favore del recupero del Canale da parte diPanamá, un documento storico nella lotta per il Canale. La posizione comune dei due episcopati rese più facileal presidente Carter superare l’opposizione del senatore Jesse Helms e della recalcitrante destranordamericana, che ancora oggi pretende di recuperare le basi militari del Canale con la scusa del “PianoColombia”.Sempre dovremo fare i conti con l’ambiguità della politicaStetti a Panamá tra il 1971 e il 1974, e nuovamentetra il 1976 e il 1979. L’esperienza torrijista mi servì a comprendere la contraddizione che la giustezza di unacausa comporta e l’ambiguità dei metodi utilizzati per difenderla. Il torrijismo si servì di mezzi molto ambigui perdifendere il suo giusto progetto: la cooptazione del movimento contadino, con i cosiddetti corregimientos; itentativi di controllare le comunità di base cristiane di Panamá, in particolare a San Miguelito; la manipolazionedella causa indigena, con le miniere del Cerro Colorado. Le pratiche del cañonazo per comprare dirigentipopolari e politici crearono un ambiente di crescente corruzione che culminò, anni dopo la morte di Torrijos –incidente o assassinio? –, nella vergognosa e patetica figura politica del Generale Manuel Antonio Noriega. Lacorruzione, l’autoritarismo e il narcotraffico di Noriega, che era stato per molti anni agente della CIA, hanno leloro radici nel processo di corruzione permesso dal governo torrijista. Nel 1989, il caso Noriega servì comepretesto per l’invasione nordamericana di Panamá, con la distruzione del popoloso quartiere di El Chorrillo e lamorte di tremila civili. Obiettivo ultimo non era solo Noriega, ma mantenere un controllo effettivo sulla cessionedel Canale a mani panamegne nel Dicembre 1999.Nonostante tutte le sue ambiguità, Omar Torrijos favorì un passaggio storico nel consolidamento della nazionepanamegna. L’ambiguità che è sempre presente nella politica e nei politici sarà un fattore che i cristiani,specialmente i più impegnati, dovranno sempre fare i conti punto di vista etico. Non esiste impegno sociale“pulito”, senza ambiguità etiche e politiche.L’esperienza panamegna e canalera mi permise di conoscere da vicino e senza veli le ambizioni di dominio diun impero, gli Stati Uniti, su Panamá e sul popolo panamegno, come già prima le avevo sperimentate a Cubacon il popolo cubano, e come poi le avrei viste in Nicaragua e in Guatemala. Figure tanto deplorevoli come ilsenatore Jesse Helms e il segretario di Stato Henry Kissinger parteciparono ai negoziati sul Canale insieme apersonalità che si sono meritate la simpatia e il rispetto dei latino-americani, come il presidente Carter e SolLinowitz, il negoziatore del Canale, con il quale alcuni anni più tardi avrei lavorato nel Dialogo Inter-americano.Il Centro-America e l’ingerenza costante degli USAMolto si potrebbe dire sul ruolo degli Stati Uniti in Centro-America. La realtà degenerata dei nostri Paesi convertiti in “repubbliche delle banane” nel “cortile di casa”dell’Impero è stata ampiamente documentata. Non è per mancanza di informazione se questa storiavergognosa continua a perdurare nel XXI Secolo, anche se adesso con forme di intervento più sottili e oscure.Non si può comprendere il Centro-America senza tenere in considerazione l’interferenza costante degli StatiUniti nella regione. Il Presidente George W. Bush e i funzionari da lui scelti per dirigere oggi la politica perl’America Latina – Elliott Abrams, Otto Reich, John Negroponte e Lino Gutiérrez, attori fondamentali in Centro-America nei decenni passati – non offrono prospettive migliori per il XXI secolo.Tuttavia, ci sono anche altri volti. L’onestà di accademici nordamericani come William LaFeber (InevitableRevolutions) fu un elemento che arricchì la mia esperienza cristiana e intellettuale a Panamá e durante larivoluzione sandinista. Con molti di questi intellettuali, anni dopo, gettammo le basi per un lavoro comune conla fondazione di PACCA (Policy Alternatives for Central America and the Caribbean: Alternative Politiche per il

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Centro-America e i Caraibi), e CAPA (Canadian Policy Alternatives: Alternative Politiche Canadesi), una rete diinformazione e analisi che rese possibile una solidarietà accademica, iniziata a Panamá negli Anni ‘70 e che siprotrasse per vari decenni. Questa può essere una delle fonti più promettenti e necessarie per il XXI secolonella lotta per alternative più umane e democratiche al processo di globalizzazione: proposte condivisegloncalmente (global-nazional-localmente). Queste proposte costituiscono un requisito fondamentale persuperare l’attuale globalizzazione escludente, ingiusta, ingovernabile e, quindi, non universalizzabile per lamaggioranza dell’umanità.Verso la fine del 1976, al ritorno a Panamá dopo il mio secondo periodo di studi a Cambridge, ripresi il lavoroiniziato a metà degli Anni ‘70 con la società civile panamegna nel Centro di Formazione Sociale e nella rivistaDiálogo Social. A quel lavoro si affiancò, nel 1977, la creazione del Centro di Studi e Azione SocialePanamegno (CEASPA), di cui fui il primo direttore fino all’inizio della Rivoluzione Sandinista nel 1979. A partireda Diálogo Social e dal CEASPA ci trasformammo in una piattaforma di solidarietà latino-americana, e inparticolare centro-americana, nella lotta contro la dittatura di Somoza. Anche quello fu un momento moltoarricchente nel legame con le esperienze di cristiani impegnati che si sviluppavano in quegli anni in tuttal’America Latina.A Panamá vissi l’incontro di due tradizioni culturaliUn altro momento importante durante il mio periodo aPanamá fu l’esilio della sinistra latino-americana iniziato in seguito al colpo di Stato militare di Pinochet del1973. Decine di intellettuali e dirigenti politici latino-americani che si erano rifugiati nell’ambasciata panamegnadi Santiago de Chile giunsero esiliati a Panamá. Come consulente economico del ministero degli Esteripanamegno, chiesi che fossero assistiti ed accolti. Con essi, si rafforzò il mio impegno con tutta l’AmericaLatina. Hebert de Souza, Theotonio Dos Santos, Vania Banbirra, Rui Mauro Marini, Tomás Vasconi, PabloRichard, Franz Hinkelammert, cari amici, molti dei quali agnostici, ebbero a Panamá, e poi in Nicaragua, i loroprimi contatti con una Chiesa impegnata con i poveri. L’incontro fra credenti cristiani e agnostici, tutti impegnatia battersi contro l’ingiustizia, la povertà e la mancanza di democrazia, creò un legame nuovo fra cristiani eintellettuali latino-americani e un accogliente ecumenismo con i fratelli delle Chiese evangeliche.L’impegno con gli oppressi e le cause dei loro popoli ci portò a condividere esperienze umane molto profonde,grazie alle quali si cominciò a superare una lunga storia di conflitti e incomprensioni fra il cristianesimo e buonaparte del mondo intellettuale latino-americano. Così, per due decenni, il piccolo Centro-America, che erarimasto al margine di iniziative simili che si erano sviluppate in Chile, Brasil, Colombia, servì come puntod’incontro e di solidarietà, legando due tradizioni culturali che hanno bisogno l’una dell’altra: quella dellateologia cristiana e quella delle scienze sociali. Il futuro di un’America Latina integrata ha bisogno di questiincontri, ha bisogno di un progetto di cittadinanza più endogena e integrata.Simili esperienze abbiamo avuto l’opportunità di condividerle con una sessantina di vescovi, nel 1979, allaConferenza dei vescovi latino-americani a Puebla, México. Senza essere ammessi al seminario nel quale siriunivano i vescovi con il papa Giovanni Paolo II, noi teologi ed esperti di scienze sociali sostenevamo fraterneriflessioni con i vescovi che al tramonto uscivano per incontrarsi con noi. Il libro Para entender América Latina(Per capire l’America Latina, ndr) raccoglie quell’indimenticabile esperienza di fratellanza, nella quale sistrinsero amicizie profonde, dal momento che tutti noi lottavamo per dare un futuro migliore ai poveri, che giàraggiungevano i 120 milioni in America Latina, quasi il doppio di quanti ce n’erano nel 1968 quando si eracelebrata la Conferenza dei vescovi latino-americani a Medellín, e che sarebbero nuovamente quasiraddoppiati al tempo della successiva Conferenza dei vescovi, tenutasi a Santo Domingo nel 1992.Mi innamorai del Nicaragua fin dal primo istantePer vent’anni sono stato intensamente e appassionatamentecoinvolto in quell’epopea che fu la rivoluzione popolare sandinista e ho vissuto anche il suo demoralizzanteharakiri etico. Nel 1963, mi ero nazionalizzato nicaraguense quasi per istinto. Mi innamorai del Nicaragua findal primo istante e sempre sarò legato a questa mia nuova patria, a prescindere da dove mi porti l’erraticodestino dei disegni divini. Nel 1972, il governo di Somoza si rifiutò di rinnovarmi il passaporto nicaraguense.Anni dopo, il governo di Panamá mi offrì la nazionalità panamegna per i servizi prestati nell’ambito dellenegoziazioni sul Canale. Nel 1990, recuperai la nazionalità nicaraguense. Questa doppia nazionalità,nicaraguense e panamegna, fece sì che il Centro-America formasse la mia “identità regionale”, caratteristicache si sarebbe ancor più accentuata lavorando, anni dopo, in Guatemala.

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L’impegno con gli esiliati nicaraguensi a Panamá aveva fatto sì che si creasse una squadra di pianificazioneeconomica per quando avesse avuto luogo la vittoria rivoluzionaria in Nicaragua. Dopo il trionfo del 19 Luglio1979, questi amici sandinisti mi invitarono a far parte del Ministero della Pianificazione (MIPLAN). Arrivai inNicaragua il 23 Luglio del ‘79 con l’intenzione di fermarmi solo alcuni mesi, collaborando all’integrazione dellasquadra di pianificazione economica nel MIPLAN, che si trovava in un vecchio edificio scalcinato di fronte alfiammante Hotel Intercontinental. Fui nominato Direttore della Pianificazione Globale – così si chiamava lacarica – e per due anni, fino alla mia rinuncia nel Luglio 1981, ebbi probabilmente una delle esperienze piùbelle della mia vita.Come risollevare un Paese distrutto dalla dittatura, dalla guerra, e subito dopo dall’aggressione militare e dalboicottaggio statunitensi, fu un lavoro appassionante cui ho dedicato quasi vent’anni, prima nel MIPLAN e poi,con più autonomia critica, nell’Istituto Nicaraguense di Ricerche e Studi Sociali (INIES) e nel CoordinamentoRegionale di Ricerche Economiche e Sociali (CRIES).Nel Ministero, in qualità di Direttore della Pianificazione, chiamai economisti dal Chile, dal Perú, dal Centro-America e dal México, e un considerevole gruppo di professori di università inglesi, nordamericane, spagnole esvedesi. L’obiettivo era imparare dalle diverse esperienze in America Latina per reimpostare un nuovo modellodi transizione verso l’economia mista, il pluralismo politico e la diversificazione della dipendenza, tanto politicaquanto economica, del Nicaragua e del Centro-America. Ritengo che facemmo uno sforzo teorico innovativonel tentativo di superare dogmatismi ideologici. Il Programma di Riattivazione Economica a Beneficio delPopolo del 1980 riflette ancora questo tentativo di freschezza mentale e di qualità tecnica che l’aggressione el’embargo statunitensi, nel rantolio della Guerra Fredda, non permisero di consolidare come progetto endogenovalido per i piccoli Paesi della periferia.L’incoerenza etica ha fatto fallire il progetto sandinistaNel Nicaragua rivoluzionario, i fattori esterni furono unlimite oggettivo. Il Paese era distrutto dalla guerra e dalla discapitalizzazione operata da Somoza. Tuttavia,ritengo che ciò che in definitiva fece fallire il progetto fu l’incoerenza etica con i valori proclamati dallarivoluzione. Le lotte interne per il potere all’interno della Direzione Nazionale del Fronte Sandinista; ilpersonalismo dei dirigenti, che puntavano al successo delle proprie idee più che al consolidamento di unmodello alternativo; la lontananza crescente dal popolo e dai quadri intermedi che provocò l’imborghesimentodella cupola rivoluzionaria; l’ideologizzazione di un marxismo antiquato in alcuni quadri dirigenti, che nonaccettavano il mercato come una realtà economica; e la mancanza di rispetto nei confronti delle donne,dell’identità contadina e indigena, della religiosità popolare e delle istituzioni ecclesiastiche, riflettevano questaincoerenza etica.Le crisi latenti determinate da questi errori iniziarono ad aggravarsi a partire dal 1981, a causa delle rigiditàprovocate dall’aggressione militare statunitense e dalla demonizzazione mediatica internazionale contro ilprogetto sandinista. A ciò contribuì anche, purtroppo, l’aggressività della gerarchia cattolica nicaraguense, checausò conflitti innecessari, tra cui quello avvenuto durante la visita di papa Giovanni Paolo II nel Marzo 1983,nonostante i numerosi tentativi delle comunità di base e dei sacerdoti coinvolti nel progetto sandinista, checercarono in tutti i modi possibili di evitare che si avverasse la profezia che “voleva a tutti i costi” uno scontrotra Chiesa cattolica e rivoluzione.Perché ho rinunciato all’incarico nel 1981Nel 1981, rinunciai all’incarico nel Ministero di Pianificazione. Fu unadelle decisioni più traumatiche e difficili della mia vita. In piena guerra di aggressione nordamericana, larinuncia di un sacerdote gesuita ad un incarico importante nel governo rivoluzionario avrebbe potuto essereutilizzata come elemento della campagna di delegittimazione del sandinismo. Tuttavia, per me era evidenteche le lotte interne di potere all’interno della Direzione Nazionale; il personalismo di alcuni comandanti,finanziato con le scarse risorse disponibili; un gigantismo di progetti modernizantes che erano però inadeguatiall’economia reale del Nicaragua; e l’aggressione statunitense, stavano portando il paese ad una crisifinanziaria che rendeva impossibile non solo la pianificazione, ma anche una minima programmazioneeconomica di base.L’emissione sregolata di córdobas per finanziare la guerra, la sicurezza interna e i progetti faraonici in campoagricolo – le aziende di allevamento di Chiltepe, la piantagione di canna da zucchero e lo zuccherificio diTIMAL, i progetti agro-industriali di Sébaco – squilibrarono i bilanci macroeconomici e lasciarono le basi

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economiche alla deriva. In quel contesto, in cui, inoltre, i nove comandantes non rispettavano l’autonomia deifunzionari intermedi, come me, non avevo alcuna possibilità di programmare e meno ancora di pianificarealcuna logica o pratica alternative. Su quella strada, avrei finito per essere responsabile di sviluppiirresponsabili, dei quali non volevo essere complice.Nel giro di qualche anno, l’esercito e l’apparato di sicurezza sarebbero arrivati a consumare più del 50% delbilancio del Nicaragua, a scapito delle aree sociali dell’istruzione e della sanità, impoverendo medici, infermierie maestri con salari da fame, soffocando per mancanza di credito e appoggio tecnico le cooperative e lepiccole imprese. A metà Anni ‘80, i crediti privi di reale copertura finanziaria concessi per mantenere tali settorie l’incapacità di pagamento degli stessi causata dalla guerra, insieme ad un paternalismo finanziarioantieconomico che si rifletteva nel ripetuto condono del debito interno, cui si aggiungeva il congelamento dellerisorse da parte della banca internazionale, provocarono una grave carenza di valuta che fece collassare ilvalore del córdoba e causò un’inflazione galoppante che arrivò ad oltre il 30 mila per cento annuale.Nel 1981, i sintomi di deterioramento interno erano allo stadio iniziale e si aveva fiducia che potessero esserecorretti. Per questo, la mia rinuncia e molte delle critiche le facemmo a livello interno, per non alimentare lacampagna di discredito internazionale che gli Stati Uniti e la destra nazionale e internazionale sostenevanocontro la rivoluzione sandinista. La decisione fu di rinunciare all’incarico, ma di continuare a collaborare da unaposizione più autonoma, rispettando il criterio che il padre generale Pedro Arrupe ci aveva indicato inNicaragua nel 1979: quello dell’appoggio critico.Pensai, ingenuamente, che la mia rinuncia avrebbe causato qualche tipo di riflessione per l’inaudita – in queitempi iniziali della rivoluzione – decisione di rinunciare senza tenere conto della Direzione Nazionale. Non sonomai stato membro del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) come lo furono altri sacerdoti, ma ilmio stretto legame con il sandinismo era evidente sin dai tempi di Panamá. Dopo la mia rinuncia e dopo alcunimesi in cui mantenni un basso profilo, presentai al governo rivoluzionario il progetto di aprire il CoordinamentoRegionale di Ricerche Economiche e Sociali (CRIES) per continuare a collaborare con il processorivoluzionario da una posizione più autonoma. Il governo accettò l’idea. In quel momento, era assolutamentenecessaria una riflessione impegnata, ma più autonoma. Con un gruppo di intellettuali centro-americani ecaraibici fondammo il CRIES nel 1982 per accompagnare il processo sandinista e altri processi dicambiamento sociale in Centro-America e nei Caraibi. Il CRIES riuscì a mantenere un livello ragionevole diindipendenza accademica ed amministrativa, ma non riuscì ad incidere più di tanto per un cambiamento dellapolitica economica e sociale.Fummo sufficientemente critici?Le diverse valutazioni e analisi che presentavamo in quegli anni e i seminariinternazionali che organizzammo come CRIES non furono sufficientemente presi in considerazione dalgoverno rivoluzionario, nonostante l’intenso dibattito sulla situazione economica e sociale che sollevarono. Ilsostegno critico che portammo dalle riviste Pensamiento Propio ed envío – unici mezzi scritti con unconsiderevole margine di indipendenza in quegli anni – suscitavano solidarietà e simpatia internazionali, manon riuscirono ad ottenere effetti significativi in Nicaragua. Gli esperti internazionali che invitammo per valutarela situazione nicaraguense concordavano sul collasso economico che si stava delineando. Era difficile che lasolidarietà internazionale sostenesse per lungo tempo una situazione insostenibile.Sono stato direttore del CRIES e di Pensamiento Propio per dieci anni. In quel periodo di crisi regionalecostituimmo e fondammo una trentina di centri di ricerca simili in tutti i Paesi del Centro-America e in sei Paesidei Caraibi, fra cui Cuba e Puerto Rico, con l’obiettivo di pensare ad un’alternativa regionale per i piccoli Paesidella periferia situati nel “cortile di casa” dell’Impero. Negli Anni ‘80 e nei primi Anni ‘90, potemmo condividere eanalizzare i momenti epici della trasformazione sociale e politica centro-americana e il boicottaggio el’aggressione statunitensi, l’isolamento in cui il Nicaragua venne lasciato dagli organismi multilaterali el’incredibile solidarietà internazionale di America Latina, Europa e dello stesso popolo degli Stati Uniti con iprocessi di cambiamento nella regione.Gli intellettuali centro-americani e caraibici esiliati dai loro Paesi si concentrarono nella rete composta dai centridel CRIES, trasformandoci in un luogo di solidarietà internazionale, forse non abbastanza critico con i problemie le tendenze che si stavano delineando in Nicaragua. Oggi, ci sembra che quella critica fu insufficiente, ma inquei momenti di crisi fu probabilmente il massimo che si potesse fare tenendo conto dei ristretti margini interni

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che ci permetteva il verticismo e l’ideologia che si riassumeva nello slogan “Dirección Nacional, ordéne”(DirezioneNazionale, agli ordini!, ndr), senza per questo venire utilizzati dalla campagna internazionale didiscredito contro il Nicaragua. Mantenere un equilibrio fra sostegno critico e proposte costruttive per migliorarela situazione in Nicaragua fu la tensione dominante alla fine degli Anni ‘80. Forse, il momento più critico lovivemmo nel Febbraio 1988, quando cominciammo a criticare pubblicamente e apertamente le misure diaggiustamento che l’FSLN si vide costretto a imporre a causa della crisi inflazionistica, del collasso dellamoneta nazionale e della drastica riduzione della cooperazione internazionale. L’aggiustamento, necessarioper l’economia, fu socialmente regressivo e colpì i settori più impoveriti, mentre non incise allo stesso modosulla classe media e per niente sulla nuova borghesia sandinista. L’aggiustamento non servì nemmeno pereliminare le crescenti espressioni di corruzione che si stavano verificando nell’alta dirigenza sandinista.Quell’impresa che fu la rivoluzione sandinistaLe contraddizioni economiche e sociali vissute in Nicaragua apartire dalla metà degli Anni ‘80 provocarono un aumento delle rigidità sul tema degli indigeni, delle donne edel campesinado, mentre le organizzazioni popolari venivano sempre più strumentalizzate come cinghie ditrasmissione della Direzione Nazionale dell’FSLN. Vi fu anche una manipolazione religiosa, sottile edopportunistica, per ottenere l’appoggio dei cristiani, ma senza rispettarne l’etica e i valori. La vita personale deidirigenti era sempre più lontana dalle loro dichiarazioni. Quella coerenza di base che avrebbe potutoconservare la legittimità e la credibilità di una leadership politica, necessaria per chiamare alla resistenza eall’austerità condivisa, iniziò a perdersi.L’intensificarsi della guerra di aggressione per soffocare la rivoluzione sandinista e l’embargo statunitensierano frenati dalla solidarietà cubana, da quella dei Paesi nordeuropei e da un gran numero di gruppi disolidarietà negli Stati Uniti, in Europa e perfino in Giappone. L’ideologizzazione del processo e la mancanza direalismo storico in momenti in cui – anche se non lo potevamo prevedere – era già “in nuce” la crisi del bloccosovietico, coincideva con il crescente imborghesimento della dirigenza sandinista, mentre aumentava il suosvincolamento dai bisogni e dalle necessità urgenti del popolo. Il dualismo tra la militanza sandinista di base eil vertice rivoluzionario andò via via crescendo, indebolendo lo spirito necessario per vincere le elezioni del1990. Il mantenimento del servizio militare obbligatorio e la previsione che la guerra con la Contra e il confrontocon gli Stati Uniti sarebbero continuati se Daniel Ortega avesse vinto le elezioni, furono le condizioni interneche favorirono la vittoria di Violeta Barrios de Chamorro nel 1990. Un altro fattore fondamentale fu l’appoggioincondizionato che il governo degli Stati Uniti assicurò a doña Violeta. Ciononostante, la sconfitta dell’FSLN cisorprese tutti.È già stato scritto abbastanza sul lascito di quell’impresa popolare che fu la rivoluzione sandinista, che ancoradeve essere valutata criticamente e in maniera propositiva in chiave futura, senza le distorsioni ideologichedell’era geopolitica della fine della Guerra Fredda e senza i vergognosi accomodamenti fatti negli Anni ‘90 difronte alla valanga dell’ortodossia neoliberista. Anche il pensiero unico e l’avanzata di una democraziaelettorale che non voleva e non poteva affrontare le cause del sottosviluppo e della disintegrazione sociale delCentro-America esigono ulteriore analisi.Un’esperienza intellettuale e religiosa determinanteIn Nicaragua, la prassi impegnata, fondata sull’analisi dellescienze sociali e sul discernimento cristiano, insieme alla vicinanza agli attori sociali che prendevano ledecisioni, è stata l’esperienza intellettuale e religiosa più determinante della mia vita centro-americana.Poter condividere la gioia e l’entusiasmo di un popolo che si sentiva, per la prima volta, protagonista della suastoria, è stato uno dei periodi più felici e belli, e nello stesso tempo dolorosi, della mia vita. Quell’esperienzadimostra che c’è la possibilità e la capacità di cambiare. Ricordando gli anni intensi del Nicaragua, mi viene inmente il classico lamento del Cid Campeador: «Dio, che buon vassallo, se ci fosse un buon signore!». Lasofferenza carica di speranza degli oppressi, come “luogo teologico” – luogo dal quale bisogna pensare lateologia – e lo stimolo intellettuale di quella valida vicinanza, non li può dare alcuna istituzione accademica, nél’università. Se la mia esperienza personale acquisisce valore nell’essere condivisa, voglio dire che integrare ilrigore e la qualità intellettuale con l’impegno solidale con gli oppressi, in un permanente discernimento etico, èun asse determinante e strategico per costruire il futuro. La caduta di popolarità, il logoramento del popolo indue decenni di confronto contro Somoza e la Contra appoggiata dagli Stati Uniti, avevano consumato le riservespirituali di gran parte della popolazione del Nicaragua. Ed anche se i sondaggi pre-elettorali lo segnalavano

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con crescente evidenza, avevamo ancora fiducia che il Fronte Sandinista avrebbe vinto le elezioni del Febbraio1990, nonostante la campagna antisandinista scatenata dagli Stati Uniti e l’ingente afflusso di risorse per ipartiti organizzati nell’Unione Nazionale di Opposizione.In una prospettiva storica, appare evidente che una vittoria del Fronte Sandinista in quelle elezioni avrebbemantenuto la tensione con gli Stati Uniti, lo scontro interno, l’impoverimento del paese e il logoramento dellacomunità internazionale nei confronti del Nicaragua. Doña Violeta Chamorro rappresentava la pace, nuovepossibilità di normalizzare la situazione con gli Stati Uniti e con la banca internazionale, e un governo di centroche rispettasse le conquiste sociali ottenute nella decennio sandinista.Il suicidio etico dell’FSLN spiega la sua sconfittaDopo la sconfitta elettorale, l’Assemblea Sandinista (l’organodirigente allargato del partito, ndr) del Maggio 1990, tornò a infondere la speranza di una revisione critica deglierrori, di un impegno nei confronti delle necessità popolari e di un rinnovamento del sandinismo. Dopo lasconfitta elettorale questo processo di critica e ristrutturazione del partito, necessario per poter affrontare ilnuovo mondo che si stava conformando, totalmente egemonizzato dagli Stati Uniti, senza alcun bilanciamentoda parte del blocco socialista, fu davvero possibile. Molti cristiani sandinisti confidammo, persino, che lasconfitta elettorale avrebbe dato il tempo e favorito la riflessione necessaria per una riconversione realmenterivoluzionaria dell’FSLN dopo dieci anni di potere.Purtroppo, le forze sandiniste favorevoli al cambiamento rimasero oscurate dalla Direzione Nazionale e dallapiñata degli alti dirigenti, che rapinarono i beni dello Stato, non per creare un capitale economico perriconvertire l’FSLN – come si tentò di giustificare in un primo momento –, ma per un osceno arricchimentopersonale. La rivoluzione sandinista non fu sconfitta nelle elezioni del 1990. Non fu la sconfitta elettorale aprovocare la divisione e la disintegrazione progressiva del Fronte Sandinista. Fu il personalismo e l’ambizioneal potere. La corruzione ed il suicidio etico decomposero l’attrazione morale e umana che esercitò quellagrande e storica epica di un popolo così piccolo nel “cortile di casa” dell’Impero.Dal di dentro, l’Impero è sporco come lo si vede dal di fuoriIl coinvolgimento dei cristiani nel processo di pacedel Centro-America fu intenso. I martiri della UCA di San Salvador, e specialmente monsignor Romero, sonomartiri della pace. Anni dopo, in Guatemala, anche monsignor Gerardi, è stato un genuino martire della pacedopo la firma degli accordi di pace nel paese dell’istmo più massacrato dai conflitti. Abbiamo imparato che lafirma degli accordi di pace e la fine delle ostilità militari non consolidano la pace se non si chiarisce la verità, senon si supera l’impunità e non si riconcilia la società, in particolare con l’identità e i diritti dei popoli indigeni.Ho partecipato ai processi di pace mediante un lavoro più strutturale, meno eroico e probabilmente menoefficace. Dal 1984, ero stato invitato, assieme a monsignor Marcos McGrath di Panamá, a partecipareall’Interamerican Dialogue, come rappresentante del Nicaragua. Ci siamo riuniti con il Congresso degli StatiUniti, il Dipartimento di Stato e molti mass-media, università e chiese. Incontrai anche l’allora vicepresidentedell’Amministrazione Reagan, George Bush, che in quell’occasione, rivolgendosi direttamente verso di me,criticò duramente la Teologia della Liberazione.La lunga esperienza nel Dialogo Interamericano è stata per me arricchente e gratificante. Ho potuto conoscerele lotte di potere e di interessi interne alla politica estera degli Stati Uniti. Dal di dentro, l’Impero è tanto sporcocome lo si osserva dal di fuori, nella realtà quotidiana dei nostri popoli. Tuttavia, l’opposizione e la lotta controquesta forma imperiale di cultura e di azione internazionale conta su un ampio conglomerato di settori epersonalità all’interno dello stesso governo degli Stati Uniti e del potere corporativo di questa nazione. Èquesta una realtà che spesso non consideriamo in America Latina, forse perché ci è più nota e vicina lasolidarietà fraterna che riceviamo da tanti gruppi della società civile nordamericana che condividono le nostresperanze di giustizia e dignità. Tuttavia, ritengo che stabilire dei legami con i gruppi “aperti” dell’establishmentstatunitense può essere un legame importante per il futuro, perché ci permetterà di accumulare capacità dinegoziazione e di dare vita ad alleanze più ampie.Nella memoria, il sapore amaro del potere imperialeIl processo di costituzione del Gruppo Contadora per laPace in Centro-America fu un’altra esperienza importante del processo di pace. Il CRIES svolse in quelmomento un ruolo catalizzatore, vincolando gruppi di politici ed intellettuali centro-americani che incontravamoin giro per l’America Latina cercando di creare uno spazio proprio per negoziare ed accompagnare gli inizialiprocessi di pace in Centro-America. Il ministro degli Esteri dell’Argentina, Dante Caputo, fu il perno intorno cui

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si articolò il Gruppo Contadora, nonostante la tenace opposizione dimostrata dagli Stati Uniti contro taleiniziativa.Con lucidità e integrità etica per tentare di superare le peggiori azioni del suo governo, il senatore TerrySanford, un esempio di establishment “aperto” statunitense, fu il promotore di un’altra iniziativa di pace, laCommissione Multilaterale per la Pace e lo Sviluppo del Centro-America, uno spazio internazionale perappoggiare gli Accordi di Esquipulas. La Commissione Sanford, come fu poi chiamata, e il suo RapportoPovertà, Conflitto e Speranza: un momento critico per il Centro-America, 1989, ebbe la lucidità di convocareeminenti rappresentanti della comunità internazionale. Pierre Schori, primo ministro svedese, si fece promotoredell’adesione di rappresentanti europei e giapponesi che fecero da contrappeso nel dibattito tra Stati Uniti ecentro-americani. Il Rapporto Sanford tornò di attualità nel 2001 di fronte alla paralisi ed ai passi indietro degliaccordi di pace nella regione.Quelle esperienze furono importanti per conoscere quali Paesi e quali persone al loro interno fosseroveramente interessate ad una pace che risolvesse le cause del conflitto regionale e quali fossero interessate amantenere posizioni di dominio e privilegio storici sulla regione. Scoprimmo allora una insospettata solidarietàe interesse della società civile internazionale, delle università, di gruppi cristiani e buddisti, di partiti e anche disettori di governi interessati in quegli anni al Centro-America. Molte furono le riunioni in tutti i paesi del Centro-America, negli Stati Uniti e in un gran numero di Paesi europei e nordici. Portammo il tema della pace inCentro-America perfino in Giappone.In tutta l’esperienza di negoziazione regionale e internazionale per la pace è stato importante trovare le chiesee la società civile negli Stati Uniti e in Europa fortemente impegnate per una genuina pace centro-americanache risolvesse le cause del conflitto. D’altro canto, tanto negli organismi finanziari internazionali quanto nelgoverno statunitense, cercare la pace significava smantellare ciò che essi consideravano una minacciasovversiva, nel momento in cui l’“impero del male” sovietico era sull’orlo del collasso. Tuttavia, non l’ideologiaanticomunista, ma gli interessi economici e geopolitici di controllo furono svelati in quegli anni in cui i piccoliPaesi della periferia centro-americana lottavano per la propria identità. Durante quegli anni di negoziazioni, ilnucleo del potere economico e politico negli Stati Uniti dimostrò una grande mancanza di rispetto e unavergognosa assenza di magnanimità da parte del grande nei confronti del piccolo. In ogni momento cercò dicolpire la dignità del prostrato e impoverito popolo centro-americano, le cui aspirazioni e giuste istanze dispazio e rispetto andate deluse meritavano di essere ascoltate.Fin dagli Anni ‘60 a Cuba, l’esperienza della prepotenza degli Stati Uniti nei confronti del Centro-America, èstata per me opprimente. Ho compreso sulla mia pelle ciò che rappresentava la volontà dell’impero. Per moltotempo, mi sono rifiutato di usare il termine “imperialista”, per rispetto a tanti amici e istituzioni statunitensi a memolto cari. Tuttavia, l’ossessione imperialistica è un elemento connaturato al nucleo di potere economico epolitico degli Stati Uniti e alla cultura dominante in quel Paese.L’alleanza con la società civile nordamericana è strategica per il secolo XXI. Noi e loro ci necessitiamo avicenda per raggiungere la libertà e la democrazia che permettano la costruzione di una miglioreglobalizzazione. Tuttavia, le innumerevoli dimostrazioni di solidarietà e generosità di tanti nordamericani nonpossono cancellare dalla mia memoria quel sapore amaro del potere imperiale esercitato su popoliinsignificanti per le loro dimensioni e capacità, popoli che, però, arrivarono a provocare una frase delpresidente Reagan che sintetizza tale ossessione: «Se non saremo capaci di prevalere in Nicaragua e inCentro-America, non potremo prevalere in nessun’altra parte del mondo».Rettore della UCA di Managua, contro la mia volontàLa morte improvvisa di César Jerez, rettore della UCA diManagua e ancor prima provinciale (superiore, ndr) dei gesuiti in Centro-America, segnò un inatteso e nuovocorso nella mia vita: l’educazione universitaria. Fui nominato rettore contro la mia volontà. Nonostante le loroproteste sporadiche e gli episodi di ribellione, ho sempre considerato le università latino-americane delleriproduttrici e amplificatrici del sistema. Il fatto che la maggior parte degli universitari finisse per accomodarsi aicondizionamenti del mercato o del potere politico mi sembrava un’espressione di mancanza di etica. Tuttavia,negli Anni ‘70 e ‘80, le UCA in Centro-America offrivano una storia diversa, persino di martirio, nella lotta perl’eguaglianza e la giustizia sociale.Nel 1991, la UCA di Managua non si era ancora ripresa dalla distruzione causata dal terremoto del 1972. Ad

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essa arrivava una valanga di reduci di guerra, sia del Fronte Sandinista che della Contra, assieme ad exfunzionari dello Stato sandinista che cercavano rifugio all’università cercando di ricostruire la propria vitaprofessionale nel contesto del nuovo governo, che li discriminava in forma crescente. Il compito che mi fuaffidato costituiva una grande sfida. La UCA di Managua era l’unica università gesuita gratuita in AmericaLatina, dato che faceva parte del sistema nazionale delle università del Nicaragua e riceveva aiuti dallo Stato.Ciò permetteva di accogliere una maggioranza di studenti con scarse risorse finanziarie, obiettivo vietato inaltre università gesuite, nelle quali esiste solo una piccola quota di borsisti.Un’università polarizzata e paralizzataAll’inizio degli Anni ‘90, la UCA divenne una piattaforma di resistenza delsandinismo alle politiche di aggiustamento neoliberistico applicate dal governo Chamorro e di fronte ai tentatividi smantellare i progetti sociali del decennio rivoluzionario. Il Fronte Sandinista utilizzava gli studentiuniversitari come carne da cannone e come cinghia di trasmissione per riuscire nell’intento di continuare agovernare dal basso. Durante i miei primi tre anni di rettorato, la UCA rimase intrappolata in questapolarizzazione paralizzante. Come rettore, i miei tentativi di negoziare tra il governo e il sandinismo non ebberosuccesso. La lotta per ottenere il 6% del bilancio statale per le università segnò, e distorse, la vita universitariaper molti anni. Tre morti e decine di feriti fu il saldo di un confronto in cui si confusero le giuste istanzeuniversitarie per poter studiare in un paese strozzato dalla guerra e dalla crisi economica con gli interessipolitici che polarizzavano e paralizzavano.Le richieste giuste degli universitari furono manipolate e distorte dal Fronte Sandinista, che cavalcò l’onda diquesta lotta universitaria per mantenere una piattaforma politica nelle università. E furono anche disprezzatedall’incomprensione e dall’inflessibilità del governo, docile alle pressioni degli organismi finanziariinternazionali, che esigevano la riduzione delle risorse di bilancio da destinare alle università.L’ideologizzazione fanatica del ministro dell’Educazione, un ultraconservatore religioso, convertì l’educazionein un nuovo campo di battaglia.Dal 1994, l’obiettivo fu quello di recuperare l’autonomia universitaria e “depoliticizzare”, sottraendola alle miredei partiti, l’università. Tale obiettivo è determinante per il futuro dell’America Latina, dove c’è bisogno diuniversità di qualità, pertinenza ed equità per la formazione e al servizio delle nuove generazioni. L’impegnoper il superamento della povertà, con il recupero dello Stato di Diritto e dello spazio pubblico, sempre piùprivatizzato, e un alto impegno di responsabilità sociale ed etica, dovrebbero far parte della “politica” e delcompito strategico dell’università latino-americana. Grande responsabilità per le università cattoliche che peranni hanno formato professionisti di successo in società fallite.I miei ultimi anni li ho dedicati a democratizzare il sapereRifondare l’università per affrontare la sfida dellaglobalizzazione e di uno sviluppo umano sostenibile è divenuta la sfida personale sorta dal legame centro-americano. Il rettorato della UCA ed il mio coinvolgimento nell’Associazione della Compagnia di Gesù inAmerica Latina (AUSJAL) mi hanno permesso di scoprire il ruolo dell’università e dell’educazione in questaepoca del sapere, di accumulazione basata sul capitale umano più che sulle risorse naturali, industriali efinanziarie. Gli Anni ‘90 hanno segnato il destino dei miei ultimi anni, dedito a democratizzare il sapere inquanto uno dei fattori principali per superare la condizione di povertà, approfondire la democrazia e creare unacittadinanza capace di raggiungere uno sviluppo umano sostenibile.Il tema, che esige di essere approfondito, è forse una delle aree di maggior influsso potenziale dei cristiani peril secolo XXI in America Latina. Manca ancora la coscienza e la visione per utilizzare creativamente il continuoeducativo tra università, scuole superiori, educazione di base, formale e informale, che conforma questa ampiapiattaforma educativa in America Latina.In questo continuo risiede la potenzialità di formare una nuova generazione con valori, capacità e qualitàprofessionali fino a convertirla in una rete propositiva e integratrice di una coscienza liberatrice in AmericaLatina. Se non lo capiamo, continueremo a fare ciò che facciamo: amplificare e riprodurre il sistema e le causeche mantengono non solo impoverita ma esclusa gran parte dell’America Latina. Ecco la grande responsabilitàche le istituzioni cattoliche educative in America Latina hanno davanti a sé. La Teologia della Liberazione nonha trattato il tema educativo con l’importanza, tanto evangelizzatrice quanto strategica, che ha per laliberazione dei nostri popoli. Sarà questo un cammino nuovo e innovatore per la teologia della liberazione delsecolo XXI?

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I regali di India, Africa e CinaNel 1998, al termine dell’esperienza di rettorato alla UCA di Managua, ho chiestoun anno sabbatico per assimilare e digerire quaranta anni di vita centro-americana. Il mio dilemma fu:chiudermi in una università per scrivere una specie di memoria analitica o per formulare le direttrici di unarottura epistemologica dalle quali vedere il cristianesimo e l’America Latina da una prospettiva non occidentale,né cristiana; oppure, confrontare le esperienze latino-americane con quelle di altri continenti in questa era diglobalizzazione.Raggiunsi una combinazione di entrambi i progetti. Ho visitato per due mesi l’India, invitato dai gesuiti e daalcuni centri di ricerca, per valutare i cinquecento anni dalla cosiddetta “scoperta” dell’India da parte di Vascode Gama. Gennaio e Febbraio 1998 furono due mesi affascinanti in un Paese che mi ha sorpreso e catturatoprofondamente. Nonostante mi reputassi già un conoscitore dell’opera del Mahatma Gandhi – che considero lafigura più importante del secolo XX –, l’India ha rotto molti dei miei stereotipi occidentali, presenti nella nostracultura cristiana. Vivere la diversità culturale come un elemento fondamentale per una globalizzazionealternativa è stato il regalo fattomi dai gesuiti indiani, specialmente i dalit (gli “intoccabili”, ndr), coloro che finoad allora chiamavo paria per l’educazione ricevuta.Ho anche avuto l’opportunità di visitare per un mese tre Paesi del cuore dell’Africa – Zambia, Uganda e Kenia–, accompagnando le esperienze di eroici laici e religiosi, dopo i massacri in Ruanda. Ho avuto anche ilprivilegio di vivere un mese in Cina, visitando Taiwan, Hong Kong e Beijing (Pechino, ndr), come ospitedell’università di Pechino, che compiva il suo centenario. Mi sono procurato un permesso per visitare la tombadel gesuita Matteo Ricci, nei giardini dell’imperatore, attualmente i giardini del Comitato Centrale del PartitoComunista. La sua tomba è un mausoleo di marmo ben conservato, in omaggio al rispetto ed al servizio cheprestò al popolo cinese. La figura di Ricci mi ricorda quella di Bartolomé de las Casas, di Antonio deMontesinos e quella di tanti altri pionieri, rispettosi dei popoli indigeni in terra americana. Sono questi esseriumani che perdurano nella storia e nella memoria dei popoli, indipendentemente dalla cultura o dall’ideologiadominante al tempo in cui vissero.Sono arrivato alla terza età con molta gioventù accumulataQueste brevi esperienze nell’Oriente non cristiano enell’Africa oggi esclusa, con storie e culture così differenti, mi riconfermarono che, nonostante tanta diversità, iproblemi strutturali della globalizzazione sono molto simili in qualsiasi angolo del “villaggio globale”. Laconcentrazione e centralizzazione del potere e della ricchezza, persino in Cina, sono la contraddizionestrutturale fondamentale di questo sistema, che genera disoccupazione ed esclusione come conseguenzadella sua logica. Il mercato e la concorrenza come massimi principi che articolano la società conducono allarealtà antidemocratica in cui oggi viviamo. Una realtà peraltro inefficiente perché, nel medio periodo, i costisociali, politici e ambientali che genera questa globalizzazione, che fa scontrare persone e popoli, e chediventa sempre più ingovernabile, la convertono paradossalmente in distruttrice dell’efficienza che proclamaquale suo principale vantaggio comparato rispetto alle alternative.Ho cercato di assorbire e digerire questi mesi di rottura epistemologica per il resto del 1998 al Boston College.Era il momento del grande boom economico statunitense e, pure, della satira politica sul presidente Clinton eMonica Lewinsky. Furono mesi importanti per aiutarmi a capire la potenza e la capacità di questa grandenazione che sono gli Stati Uniti, e anche le sue miserie e debolezze, non solo umane ma anche istituzionali eculturali.L’anno a Boston mi ha aiutato anche a riflettere personalmente su come utilizzare in un servizio evangelico edefficace una terza età con molta gioventù accumulata, ma anche indicatrice del tramonto della mia vita. Miproposi di ottimizzare questi anni considerando che la terza età può anche essere una età di certezze. La miascelta fu quella di fare di questa età un tempo per maturare l’esperienza cristiana ricca e conflittuale che avevovissuto con un atteggiamento di ringraziamento. Questa età potrebbe aiutarmi ad approfondire l’impegno di “intutto amare e servire” che mi aveva riempito di felicità, dopo aver vissuto così intensamente nella storia centro-americana, bisognosa di speranza, carica di sofferenza e di molti fallimenti. A questo mi dedico oggi.Su quali pilastri costruire il futuro?Oggi, viviamo un epoca di confusione, perplessità, incertezza derivati da tantiperiodi di trasformazioni e ricerche. Questi sono anche tempi privilegiati, ancorché difficili, per dare un sensoalla vita in questo mondo senza rotta. Dopo queste riflessioni sulla mia esperienza biografica, mi piacerebbetrasmettere alcune idee. Le presento come ipotesi di lavoro. Le considero dei validi pilastri per costruire il

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futuro.L’efficace vicinanza ai poveri è un pilastro valido per costruire il futuro. L’opzione per i poveri e per la causa deipoveri va fatta a partire dall’inserimento e dalla vicinanza. Non si tratta solo di un accompagnamento solidaleed affettuoso. Si tratta di un accompagnamento strutturale efficace e trasformatore. Per questa vicinanzaefficace si richiede molta riflessione, ricerca, lavoro di squadra, multidisciplinarietà e legami di reti settorialisolidali e “gloncali” (reti globali che percepiscano la realtà del villaggio globale, la realtà nazionale e che sianoallo stesso tempo locali) in Paesi e culture specifiche.Dobbiamo organizzare le nostre speranze. Vedo cinque aree prioritarie per organizzarle: 1) il mondo del lavoro;2) l’ambiente; 3) le nuove relazioni di genere; 4) le relazioni culturali ed etiche e 5) la nuova generazione. Ciòche sta accadendo oggi in queste aree non è stato risolto e non potrà essere risolto dal sistema capitalisticoglobale imperante. Più che di modelli alternativi in queste aree abbiamo bisogno di attori e comandi alternativiin ognuna di queste fino a conformare una grande alleanza a partire dalla società civile. Un’alleanza con ilpotere della cittadinanza per raggiungere un nuovo Contratto Sociale Globale in simbiosi partecipativa con unoStato e un mercato democratizzati.Vivere con indignazione eticaEvangelizzare la storia è un altro pilastro per il futuro. Anche il discernimento el’inserimento a partire dalla Croce di Gesù di Nazaret sono validi a livello politico. Il leninismo el’avanguardismo che hanno egemonizzato i tentativi di trasformazione sociale nei decenni passati sono fallitinon solo per l’aggressione esterna, gli errori economici e politici e la mancanza di condizioni obiettive. Sonofalliti principalmente per il fatto di provenire dal potere, dall’alto, da una élite al vertice cui sono mancate lavicinanza efficace, la democrazia interna, la disponibilità a sottoporsi a verifiche e la trasparenza politica edeconomica. Non possiamo accettare come valida la trasformazione propugnata da sistemi avanguardistici chenon implicano il rinnovamento periodico dei quadri dirigenti, una formazione permanente e un ricambio dileadership per rigenerare le energie collettive.Tanto dal punto di vista della fede cristiana come da quello della prassi è fondamentale la prospettiva “dalbasso e dal di dentro” delle culture e della quotidianità come pilastro per costruire il futuro e lo sviluppo umanosostenibile. Questa energia sociale deve essere accompagnata da gruppi di tecnici e politici, in un contesto diinserimento solidale e grande coerenza etica tra le proposte e gli stili di vita. La leadership che renda possibileciò che è necessario deve superare lo stile di comando populistico, caudillista, tecnocratico ed elitario che hapatito l’America Latina, tanto nella dirigenza di destra quanto in quella di sinistra. L’offuscamento politico delpotere, il credere di sapere sempre ed automaticamente ciò di cui c’è bisogno e ciò che il popolo sta pensando,continua ad essere l’aberrazione e la corruzione politica che più distrugge la speranza e che aumenta ancorpiù la povertà della popolazione.Servire e saper ascoltare per apprendere non sono considerazioni cristiane pietose ma l’essenza dell’efficacia,la saggezza e la mistica mobilizzatrice per una trasformazione sociale che abbia successo. L’uomo nuovo – ela donna nuova, aggiungeremmo oggi – che incarnarono Martì, Sandino, Che Guevara, e che mobilitaronogenerazioni di latino-americani col proprio esempio è un concetto profondamente cristiano. L’indignazione eticadi cui ci parlò monsignor Pedro Casaldáliga nel suo libro Spiritualità della liberazione; il fatto di sentire nelcuore l’indignazione davanti alla tragedia degli sfruttati che apprendemmo da Carlos Fonseca, fondatore delFronte Sandinista, e quel senso della vita dell’intellettuale, martire sandinista Ricardo Morales Avilés quandoaffermò: «L’attività rivoluzionaria è l’arte di dare alla propria vita il valore di una missione storica», sonoattitudini fondamentali per vivere eticamente in questa era di globalizzazione dominata dal cinismo.In comunità, in gruppo, in rete “glo-n-cale”Da una prospettiva evangelica, non si può mantenere la fede senzauna pratica comunitaria. Senza comunità non si può vivere l’angoscia e la perplessità che provoca questaepoca di cambiamenti e questo cambiamento d’epoca. Senza comunità non si può mantenere una spiritualitàdi resistenza al sistema, né la rigorosa spiritualità che esige la missione umanamente impossibile che oggiabbiamo davanti. Trovare la presenza dello Spirito nella quotidianità della vita è qualcosa di profondamentepersonale, e anche profondamente comunitario.Ci sono valori tanto necessari al cristiano quanto all’agnostico impegnato. La vita della comunità è uno di queivalori. Il vivere in comunità è equivalente all’esigenza politica del lavoro di gruppo. L’individualismo, ilpersonalismo, l’ossessione per il potere personale, è stato l’AIDS dei gruppi rivoluzionari in Centro-America.

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Potremmo generalizzare questa percezione ad altre regioni del mondo e alla stessa Chiesa cattolica.Ma la necessità di comunità e di squadra non è sufficiente oggi se non si stabiliscono reti solidali con carattere“gloncale” che vincolino esperienze a livello globale con esperienze nazionali e locali. nel secolo che si èchiuso la solidarietà internazionale che generarono il Nicaragua ed il Centro-America è comparabile solo conquella provocarono la guerra civile spagnola e la guerra in Vietnam. Per le difficili trasformazioni del futuro sirichiederanno reti di solidarietà internazionale che lavorino “gloncalmente”, in trasformazioni locali-nazionali,che abbiano allo stesso tempo un forte vincolo e solidarietà globale.Teologia della Liberazione: nuove sfideMettere il potere, la legittimità ecclesiale e la capacità di mobilitazionedel popolo al servizio dello stesso popolo e non della Chiesa, men che meno del proprio interesse personale, èil messaggio che ci ha trasmesso monsignor Romero. La sua vicinanza efficace, l’affettuosità come effettività,la prossimità alle istanze quotidiane, la ricerca, la difesa e il rispetto dell’identità degli attori sociali, il sensodella vita e della speranza, si rivelano nel suo esempio e sono eredità fondamentali del passato centro-americano per costruire il futuro latino-americano.Superare il classismo ideologico che non permise di rispettare l’identità contadina e l’identità indigena – peresempio, nella rivoluzione sandinista, diretta da quadri urbani – e superare il machismo ideologico che nonpermette di stabilire nuove relazioni di genere, sono sfide che restano attuali.L’identità della gioventù attuale, così profondamente marcata dai mass-media, dalla cultura dell’immagine edalla musica, con una sensibilità e affettività sconosciute da generazioni anteriori, ci colloca anche davanti anuove sfide. L’ambiguità del fenomeno culturale della gioventù attuale è parte di una nuova identità ingestazione che richiede di essere incorporata ai processi di cambiamento. Ciò che è ormai chiaro è che lapolitica nel suo senso tradizionale non è capace di mobilitare la gioventù come è successo nei decenniprecedenti.La “vicinanza efficace” alle nuove relazioni sociali e a tanti nuovi attori della globalizzazione (migranti,lavoratrici e lavoratori delle maquilas - le fabbriche site in zone franche, ndr -), lavoratori e lavoratrici diimpieghi effimeri e mal pagati, esclusi ed escluse dall’istruzione e dalla sanità pubblica, membri di bandegiovanili, studenti senza prospettive di occupazione, etc.) sono sfide che la teologia della liberazione ha davantise vuole rilanciarsi nel secolo XXI.Integrare l’America Latina: sfida urgenteIl Gruppo Contadora per la Pace in Centro-America ebbe le sue radicinella solidarietà che suscitò la causa panamegna intorno alla questione del canale. Nonostante il GruppoContadora sia riuscito a guadagnare spazio e ad impedire l’aggressione militare diretta da parte degli StatiUniti, non fu capace di creare un modello latino-americano di negoziazione della crisi. Qualcosa di similesuccesse in seguito agli Accordi di Esquipulas, iniziativa dei governi centro-americani che contò sull’appoggiodella comunità latino-americana, della comunità europea e delle Nazioni Unite, ma che non conquistò unmargine di manovra sufficiente di fronte al boicottaggio e all’incidenza negativa degli Stati Uniti nei processi dipace centro-americani, giacché il suo obiettivo fondamentale era quello di isolare e indebolire il Nicaraguasandinista.Nella crisi argentina e nella recente crisi economica e di governabilità, generalizzata in tutta l’America Latina,non prevale neanche oggi un modello di riferimento latino-americano. Tanto le aspettative del MERCOSUR (ilmercato comune dei Paesi del Cono Sud latino-americano, ndr) quanto quelle di un processo democratico inMéxico dopo la sconfitta del PRI possono esaurirsi con relativa facilità. La cosa tragica di questa dialetticasarebbe che, invece di consolidare i processi democratici, l’ingovernabilità economica e politica nei nostri Paesipropizi regimi autoritari al riparo delle formalità elettorali democratiche.Il consolidamento di un quadro di negoziazione latino-americano e di blocchi di Paesi latino-americani capaci diregionalizzare la globalizzazione e di amministrare la globalizzazione a partire dagli interessi regionali piùendogeni, è un tema aperto e urgente per i cristiani.Ecologia, genere e biotecnologiaTanto il socialismo storico quanto il capitalismo condividono il grande mito delprogresso, il mito dello sviluppo delle forze produttive e tecnologiche capaci di assicurare un progressomateriale illimitato e permanente. Nel socialismo, tale progresso si sarebbe ottenuto mediante il controllo dellapianificazione di Stato sotto la direzione e il controllo del partito-avanguardia. Questo è lo stesso concetto diprogresso che ha il sistema capitalistico, in questo caso attraverso l’impresa privata ed il libero mercato. Tale

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concezione del progresso è in crisi per i suoi evidenti limiti: esclusione sociale, incremento del degradoambientale, stress e riduzione della qualità della vita umana per la maggior parte della gente – e persino delleélites –, e richiede una revisione profonda del nostro concetto di progresso e sviluppo.Gli indicatori e le analisi del Programma della Nazioni Unite per lo Sviluppo sullo sviluppo umano e sulla qualitàdella vita, le nuove prospettive che offre il comprehensive development (sviluppo “che include, ndr) dell’exdirettore economico del Banco Mondiale, Joseph Stiglitz; l’opera The Visible Hands dell’Istituto di ricerca sulloSviluppo Sociale delle Nazioni Unite (UNRISD); il seminario di Copenaghen, seguito al Social Summit; l’operaDevelopment as Freedom (Sviluppo come Libertà, ndr) del Premio Nobel per l’economia Amartya Sen, sonosolo alcuni esempi che indicano come il concetto di progresso e di sviluppo e la visione che abbiamo di questiconcetti siano oggi sottoposti a profonda critica.Approfondire tale riflessione può essere un asse fondamentale per la nuova Teologia della Liberazione nelsecolo XXI.I passi in avanti del legame tra teologia ed ecologia, tra teologia e genere, tra teologia e cultura, tra teologia ebiotecnologia appaiono all’orizzonte come temi cruciali per la teologia in relazione con il tipo di civilizzazionepossibile e desiderabile in questa Era del Sapere. Ancor più oggi, quando la rivoluzione biogenetica el’apertura del “libro della vita”, cioè del genoma umano, mettono l’umanità di fronte a sfide fino a ieriinsospettate. La rivoluzione copernicana, che ci dimostrò che non eravamo al centro dell’universo, sembragiusto un aneddoto di fronte alle provocazioni etiche e teologiche che ci propone oggi l’attuale rivoluzionebiotecnologica.L’ora delle donne e l’ora dei laiciLa rottura epistemologica che ha significato questo cambiamento epocale simuove su due assi fondamentali per la teologia e la trasformazione sociale. In tutto il mondo, anche nelleregioni in cui la donna ha sofferto una discriminazione ed un’oppressione più drammatica – India, Paesidell’Africa -, l’emancipazione delle donne e l’esigenza di nuove relazioni di genere è uno dei fatti dominanti delsecolo XXI. La Teologia della Liberazione della donna e la donna nella Teologia della Liberazione possonoconvertirsi in voce fondamentale per trasformare la realtà che viviamo e le relazioni umane. Senza dubbio,l’evidenza di una nuova coscienza nelle donne produrrà un cambiamento nella rivelazione di Dio e sarà unelemento determinante per i cambiamenti sociali del futuro.L’incorporazione di massa della donna all’università, superando in America Latina il numero di universitarimaschi, e la preminenza di donne con i più alti riconoscimenti universitari, è solo uno dei segni che neiprossimi anni vivremo una realtà professionale, politica, culturale e sociale senza precedenti nei nostri Paesi.Anche nel mondo. L’avanzata inarrestabile delle donne, sempre più coscienti e sempre più presenti in tutti glispazi, avranno effetti speciali nella Chiesa cattolica e sul potere ecclesiastico.Accanto ai passi avanti delle donne, si percepisce anche l’emergenza di una Chiesa cattolica sempre più laica.Entrambe le realtà, in simbiosi, apporteranno profonde trasformazioni nell’istituzionalità ecclesiale. Ma nulla èscritto: tali realtà, che possono rinnovare la Chiesa e rafforzarla, possono anche, se non trovano eco nellestrutture di potere della Chiesa, debilitarla e renderla irrilevante in tutto il mondo. Paradossalmente, oggiosserviamo che l’apatia ecclesiastica e la resistenza ad abbandonare la propria routine coincidono con unacrescita di laici e laiche in cerca di spiritualità. Qualcosa del genere che Carlos Fuentes, nel suo panegirico e altempo stesso polemico testo intitolato Jesús descrisse come «il temperamento religioso senza fede religiosa».La Teologia della Liberazione deve tenere conto di queste realtà. Deve mostrare una vicinanza efficace conesse.La “corruzione dei migliori”: la crisi della sinistra latino-americanaSin dagli Anni ‘60, l’emergenza simultanea inAmerica Latina della Teoria della Dipendenza e della Teologia della Liberazione generò una convergenza che,assieme al boom della letteratura latino-americana, configurarono un’identità e un protagonismo latino-americano nel mondo. Tutto ciò è andato scemando verso la fine del secolo XX.In questo calo ha giocato un ruolo fondamentale la profonda crisi della sinistra latino-americana. Nel caso deimovimenti rivoluzionari in Nicaragua, El Salvador e Guatemala, potrebbe calzare il classico proverbio latinocorruptio optimi pessima (la corruzione dei migliori è la peggiore). Il personalismo, l’ambizione al potere, lacorruzione economica, politica ed etica dei dirigenti e dei partiti rivoluzionari del Centro-America, è un fattoriconosciuto e ampiamente divulgato.

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Gli effetti di tale corruzione si sono manifestati nelle divisioni e frammentazioni dei partiti, nella crisi di credibilitàdelle sinistre – anche quando il voto non la rende evidente nella giusta dimensione – e nell’aumento dell’apatiaper la politica, che rende più profonda la preminenza degli aspetti economici e del mercato. Alcuni potrebberoreplicare che il detto latino potrebbe applicarsi anche a settori interni alla Chiesa cattolica. È vero, non è difficiletrovare esempi.Un’altra speranza resa vana in America Latina è stata, ad Haiti, quella del movimento Lavalas, costituitofondamentalmente da comunità di base cristiane e da un clero impegnato. Il personalismo, l’ambizione diJean-Bertrand Aristide, assieme all’incompetenza e la corruzione del suo partito, ha portato quel Paese cosìammirabile e impoverito ad una disarticolazione in alcuni aspetti superiore a quella provocata dalla dittatura diDuvalier.La crisi della rivoluzione di Grenada – in certa forma scaturita da un processo simile di corruzione epersonalismo –, il logoramento della guerriglia colombiana, la crisi della sinistra peruviana e quella deimontoneros e dei tupamaros, aggiungono altri dati a questo crescendo di disintegrazione della sinistra latino-americana.Questa degrado morale delle forze progressiste che agiscono contro i propri valori e principi è un “luogoteologico” – una realtà che ci obbliga a riflettere teologicamente – sul potere, sulla politica e sui politici. Non èun tema in più, da affrontare nel contesto della Teologia della Liberazione, perché i movimenti popolari e ipartiti progressisti sono lo spazio per l’inserimento politico di molti dirigenti cristiani, i quali non si sonodimostrati esenti dalla corruptio optimi pessima.In mezzo alle sue ambiguità, la società civile si percepisce oggi come la levatrice di una nuova sinistra, conorganizzazioni più democratiche, con verifiche interni, più trasparenza e con una cultura della valutazionepermanente. Ma, niente ci assicura che sia davvero così, perché ci sono ancora molte zone critiche nellasocietà civile latino-americana attuale.La difesa di Cuba: un compito cristiano e latino-americanoNello scenario latino-americano, la difesa di Cuba èanche un compito cristiano. In primo luogo, difenderla dall’aggressione e dall’embargo statunitensi, e daicondizionamenti implacabili che il sistema finanziario ed il mercato internazionale hanno messo in atto neiconfronti dell’isola. Ma la difesa di Cuba è un compito cristiano che Cuba stessa deve fare. Cuba ha bisogno didifendersi dalle rigidità e dalle limitazioni democratiche che possono convertire l’isola in una Numanzia (la cittàiberica, sul fiume Duero, capitale dei celtiliberi, a lungo assediata e poi espugnata e distrutta dai Romaniguidati da Scipione Emiliano, nel 134 a.C., ndr) latino-americana, che avrebbe dei costi tremendi per il suopopolo ed i Paesi dell’America Latina.Fino a poco tempo fa, a Cuba non si erano sperimentati così chiaramente due stili di vita e due parametri dicondotta tra la popolazione e certi settori della dirigenza. La necessità forzata di inserirsi nel mercatointernazionale a seguito del collasso del blocco sovietico sta generando all’interno di Cuba minacce pericolosenon meno di quelle provenienti dall’estero. Come cristiano, amico e testimone per molti anni dell’esperienzacubana, credo che sia urgente una risposta adeguata a questi pericoli interni in modo da definire la necessariasolidarietà latino-americana con il popolo di Cuba nel suo processo di transizione.Il pericolo di una restaurazione capitalistica condotta dalla tecnocrazia imprenditoriale emergente nel PartitoComunista, in nome della difesa del socialismo, è oggi patente. La fine dell’utopia sussidiata fino alla fine degliAnni ‘80 sta provocando un passo in dietro nella socializzazione del potere e nella qualità di vita che era stataraggiunta per la maggioranza della popolazione cubana. La necessaria apertura al mercato internazionale haprovocato un rafforzamento della tecnocrazia del partito e l’indebolimento dei settori popolari. Come evitarlo?Quali sarebbero i parametri di equità sociale nella nuova situazione? La vita delle nuove élites vincolate allatecnocrazia imprenditoriale e alle imprese straniere e quelle dei direttori delle imprese statali stannoevidenziando la dissoluzione della solidarietà e dell’equità sociale che furono caratteristiche del processocubano. Come affrontare tale processo? Nessuna solidarietà cristiana, per essere tale, può disconoscere lanuova situazione che oggi si vive a Cuba.A Cuba, l’America Latina si gioca la possibilità di articolare la transizione cubana con un progetto alternativolatino-americano che salvi il meglio dei successi storici e umanisti vissuti nell’isola. In occasione del IVcongresso del PCC, svoltosi nel 1991, vi fu un grande dibattito nazionale a Cuba, simile a quello che si tenne

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nel 1990 nell’Assemblea Sandinista in Nicaragua. Se i temi etici e di solidarietà interna che furono suscitati inentrambi i momenti di valutazione non verranno ripresi a Cuba, anche se non si dovesse arrivare all’harakirietico del sandinismo, assisteremmo ad un logoramento della solidità e della morale interne a Cuba, mentre lamancanza di una maggiore partecipazione e trasparenza nel dibattito sulla transizione al futuro potrebberofossilizzare il progetto cubano. Cuba non è una sfida solo dei cubani, ma di tutta l’America Latina,specialmente di quei popoli che hanno sperimentato la generosità e la solidarietà di Cuba in molteplici manierein tanti anni di storia. Una solidarietà riduzionista di difesa unilaterale di tutto ciò che accade lì non aiuterebbeCuba ad affrontare la sua transizione.Vivremo con i veriCulmino queste riflessioni sulla mia esperienza personale, cristiana e professionale, facendomie le parole di due nicaraguensi e di un cileno. La poeta e militante sandinista Gioconda Belli riassume così lacrisi etica che ha fatto sì che tanti sandinisti come lei abbandonassero il Fronte Sandinista, ma non ilsandinismo: «Non si può costruire un sistema giusto, con valori etici, se chi si propone di farlo ne è carente o lisacrifica lungo la strada… Io non mi ero unita alla rivoluzione per giocare con le stesse regole che ciripromettevamo di cambiare… Mi resisto a pensare che uno possa salvare l’onore degli altri sacrificando lapropria onestà, vivendo segretamente una menzogna… Quei dirigenti erano rimasti presi dall’immagineseducente che avevano creato di loro stessi; l’immagine che videro riflessa negli occhi della moltitudine ilgiorno del trionfo».Nella sua Lettera ai miei amici sandinisti, in cui presenta all’FSLN la sua rinuncia al partito, il mio confratellogesuita Fernando Cardenal insiste sugli stessi argomenti: «Questo non è l’FSLN in cui entrai e nel quale homilitato disciplinatamente per tanti anni… La sfrenata lotta per il potere e un atteggiamento di intransigenza esenza rispetto che ha rotto la tradizionale fraternità sandinista, attacchi bassi e sporchi, calunnie emenzogne… La politica nel partito si è convertita in politicheria… Come sacerdote, non ho più giustificazionealcuna per continuare a militare in questo partito… Lascio la militanza politica, ma continuerò ad essere fedeleal mio impegno iniziale: la causa dei poveri… In primo luogo, mi impegnai per loro e quindi, per farlo meglio,entrai nel Fronte Sandinista… Una causa che ha bisogno della menzogna per trionfare è una causa che nonvale la pena appoggiare».Prima di rinunciare al Fronte Sandinista, Fernando Cardenal aveva pubblicato sul quotidiano Barricada (alloraorgano dell’FSLN, ndr) vari articoli diretti alla Direzione Nazionale, in cui chiedeva una valutazione politica edetica. In essi, citava Carlos Fonseca (fondatore dell’FSLN, ndr): «La ragione della nostra causa, della noncomune superiorità morale che ci favorisce, è la non comune superiorità della giustezza della causa che citocca difendere». Fernando Cardenal argomentava che «l’austerità si converte in un muro che difende lanostra integrità, è uno stile di vita… La mancanza di austerità non solo diventa offensiva e scandalosa davantialla maggior parte delle nostre masse impoverite, ma rompe anche la coerenza tra le nostre idee e la nostravita, ci converte in ipocriti».In un altro contesto, Pablo Neruda manifesta gli stessi sentimenti, senza condividere le stesse radici cristianedi Gioconda Belli né l’impegno sacerdotale di Fernando Cardenal. E con parole del poeta concludo: «Abbiamocondiviso speranze e inverni / e siamo stati feriti non solo dai nemici / mortali ma anche dai mortali amici / (equesto ci è parso più amaro) / e continuiamo ad amare l’amore / e con la nostra diretta condotta / interreremo ibugiardi / e vivremo con i veri».

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