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310 I 10 anni della Legge 104 Tavola rotonda mono grafia L a legge n. 104 del 5 febbraio 1992, «Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate» (pubblicata in G.U. n. 39 del 17 febbraio 1992, suppl. ord.), più conosciuta come «Legge-quadro sull’handicap», compie dieci anni di vita. La rilevanza del provvedimento e il considerevole tempo di vigenza ci hanno indotti a dedicare la Monografia a un bilancio — una riflessione aperta e non esaustiva, fra luci e ombre — che ne ripercorre il contenuto, alla luce degli aggiornamenti intervenuti negli anni; si sofferma sulle sue applicazioni; soprattutto, tenta di ragionare sulle sue ricadute rispetto al cammino dell’integrazione scolastica e sociale delle persone in situazione di difficoltà. Il commento critico sulla «Legge-quadro» è affidato ad alcuni riconosciuti esperti di fama nazionale, studiosi e professionisti impegnati nel settore e a favore dell’inclusione dei soggetti disabili: Dario Ianes, Salvatore Nocera, Andrea Canevaro, Raffaele Iosa, Massimo Nutini, Marco Armellini. I contributi che ospitiamo sono stati presentati durante una Tavola rotonda organizzata recentemente dal Comune di Prato. Nella seconda parte della sezione, ci è sembrato altresì opportuno rendere disponibile ai lettori il testo integrale della legge n. 104, corredato dai riferimenti alle disposizioni legislative e normative approvate nel corso di questi anni. Per rendere più agevole la lettura, di seguito riassumiamo l’articolazione interna della Legge-quadro. 1 M. Pavone e M. Tortello, Le leggi dell’integrazione scolastica. Schedario della normativa con commento pedagogico, Trento, Erickson, 2000, pp. 3-4. LA LEGGE N. 104/1992 a) finalità e principi (artt. 1-5) b) salute e integrazione sociale: prevenzione, cura, riabilitazione, integraz. sociale (artt. 6-11) c) educazione e istruzione (artt. 12-16) d) formazione professionale e lavoro (artt. 17-22) e) barriere, casa, trasporti (artt. 23-31) f) agevolazioni varie: fiscali, ai genitori, ai lavoratori hc (artt. 32-33) g) compiti Stato, Regioni, Enti (artt. 39-41) h) copertura finanziaria (artt. 42) i) abrogazioni e entrata in vigore (artt. 43-44). Le stagioni legislative preparatorie Come è noto, la «stagione» dell’integrazione scolastica degli allievi in situazione di

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L’integrazione scolastica e sociale1/4settembre 2002

I 10 annidella Legge 104Tavola rotonda

monografia

La legge n. 104 del 5 febbraio 1992,«Legge-quadro per l’assistenza,l’integrazione sociale e i diritti delle personehandicappate» (pubblicata in G.U. n. 39 del17 febbraio 1992, suppl. ord.), piùconosciuta come «Legge-quadrosull’handicap», compie dieci anni di vita. Larilevanza del provvedimento e ilconsiderevole tempo di vigenza ci hannoindotti a dedicare la Monografia a unbilancio — una riflessione aperta e nonesaustiva, fra luci e ombre — che neripercorre il contenuto, alla luce degliaggiornamenti intervenuti negli anni; sisofferma sulle sue applicazioni; soprattutto,tenta di ragionare sulle sue ricadute rispettoal cammino dell’integrazione scolastica esociale delle persone in situazione didifficoltà.Il commento critico sulla «Legge-quadro» èaffidato ad alcuni riconosciuti esperti difama nazionale, studiosi e professionistiimpegnati nel settore e a favoredell’inclusione dei soggetti disabili: DarioIanes, Salvatore Nocera, Andrea Canevaro,Raffaele Iosa, Massimo Nutini, MarcoArmellini. I contributi che ospitiamo sonostati presentati durante una Tavola rotonda

organizzata recentemente dal Comune diPrato. Nella seconda parte della sezione, ci èsembrato altresì opportuno renderedisponibile ai lettori il testo integrale dellalegge n. 104, corredato dai riferimenti alledisposizioni legislative e normativeapprovate nel corso di questi anni.Per rendere più agevole la lettura, di seguitoriassumiamo l’articolazione interna dellaLegge-quadro.

1 M. Pavone e M. Tortello, Le leggi dell’integrazione scolastica. Schedario della normativa con commento pedagogico,Trento, Erickson, 2000, pp. 3-4.

LA LEGGE N. 104/1992

a) finalità e principi (artt. 1-5)b) salute e integrazione sociale: prevenzione, cura,

riabilitazione, integraz. sociale (artt. 6-11)c) educazione e istruzione (artt. 12-16)d) formazione professionale e lavoro (artt. 17-22)e) barriere, casa, trasporti (artt. 23-31)f) agevolazioni varie: fiscali, ai genitori, ai

lavoratori hc (artt. 32-33)g) compiti Stato, Regioni, Enti (artt. 39-41)h) copertura finanziaria (artt. 42)i) abrogazioni e entrata in vigore (artt. 43-44).

Le stagioni legislative preparatorie

Come è noto, la «stagione» dell’integrazionescolastica degli allievi in situazione di

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handicap è cominciata — alla fine deglianni Sessanta — sulla spinta di istanzesociali e culturali ispirate allapartecipazione democratica, allacoeducazione, alla solidarietà, senza ilsostegno di quelle disposizioni specifiche sulpiano legislativo che si sarebbero rivelate inseguito fondamentali, anche per sollecitareun radicale, esteso, cambiamento dimentalità.Nell’ambito della normativa italiana sulladisabilità — con particolare riguardo alsettore dell’educazione e istruzione —possiamo sinteticamente identificare almenoquattro diverse «stagioni legislative»:1

– dall’Unità d’Italia al 1923, periodo in cuisi registra l’assenza dello Stato nel campodell’educazione speciale, mentre sonopresenti interventi dei Comuni e deiprivati;

– dal 1923 al 1971, periodo durante ilquale, con la riforma «Gentile», siriscontra un intervento dello Stato nelsettore dell’educazione speciale; in questoarco temporale, si susseguonoprovvedimenti legislativi rivolti a singoletipologie di deficit: ciechi, sordi, invalididi guerra, del lavoro, civili;

– dal 1971 al 1992, cioè dall’approvazionedella legge n. 118/71, la prima a sancireche «l’istruzione dell’obbligo deve avvenirenelle classi normali della scuolapubblica», fino all’approvazione dellaLegge-quadro sull’handicap. In questalunga e feconda «stagione» si tende alegiferare non più per singole categorie,ma in modo onnicomprensivo per tutte letipologie di deficit; inoltre il legislatore èorientato a cogliere — all’interno delleleggi che riguardano tutti i cittadini —ogni nuova opportunità per migliorareanche le condizioni di integrazionescolastica e sociale delle persone insituazione di handicap;

– dal 1992 a oggi, con l’approvazione dellaLegge-quadro sull’handicap el’emanazione di successivi provvedimentiper la sua attuazione e di altri, in camposcolastico ed extrascolastico, che siriflettono sulla sua applicazione,modificandola e a volte arricchendola. Inquesta «stagione» si riprende a legiferareper i soli soggetti in situazione dihandicap e, in certi casi, per singolecategorie di deficit: per molti aspetti esituazioni la Legge-quadro rappresental’espressione più emblematicadell’integrazione scolastica.

Le attese della Legge-quadro

Dopo un ventennio di cammino nelladirezione dell’integrazione, alla fine deglianni Ottanta a gran forza si attendeva unaLegge-quadro sull’handicap che, da un lato,unificasse e coordinasse la ridda di normein materia e, dall’altro, individuasse nuovi especifici diritti per i soggetti interessati,indicandone i modi di concreta attuazione.Le risorse e gli ostacoli propostidall’esperienza insegnavano che il processodi integrazione scolastica e sociale identificauna scelta sistemica, la quale coinvolge piùinterlocutori e ambienti: famiglia, scuola,sanità, quartiere, servizi sociali mondo dellavoro, ecc. La complessità dei bisognieducativi del soggetto disabile, irriducibile acategoria, propone infatti un dialogo, unconfronto, un cammino da percorrereinsieme ad altri; propone una «storia che siintreccia ad altre storie»; richiede unprogetto pensabile da più punti di vista,prospettive che si devono armonizzare,lavoro di rete dove non esistono gerarchie,perché in realtà «l’utente non c’è», ma tuttisono a un tempo utenti e fruitori.Si sentiva l’esigenza di un testo legislativoin grado di raccogliere e riordinare ledisposizioni esistenti, per colmare le lacune

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e superare sovrapposizioni di competenze;una legge capace di indirizzare anche gliinterventi delle Regioni e degli Enti locali;un dispositivo che prevedesse corrispettivi efinanziamenti precisi e adeguati, al fine ditradurre in diritti esigibili le dichiarazionidi principio.Possiamo così sintetizzare le principaliattese nei confronti di una Legge-quadro:

– necessità di sancire il diritto alraggiungimento della massimaautonomia possibile per tutte le persone insituazione di handicap: superandol’equazione «persona disabile = soggettoda assistere»; sostenendo la vita infamiglia e, in via preliminare, il nucleofamiliare di origine del soggetto;

– necessità di sancire il diritto pieno eperfetto all’educazione e all’istruzione inogni ordine e grado di scuola, compresa lasecondaria di secondo grado, laformazione professionale e l’università;

– necessità di vedere riconosciuta lapersonale capacità lavorativa, attraversoil superamento del generico concetto di«invalidità» e l’introduzione di parametriper l’identificazione delle capacitàlavorative;

– necessità di garantire il diritto alle curesanitarie, attraverso l’individuazione dipriorità di intervento nel contesto normaledi vita, privilegiando la permanenza dellapersona in situazione di handicap nellasua famiglia e nella sua abitazione,anziché allontanarla con il pretesto di unrecupero meramente funzionale;

– necessità della stipula di convenzioniinteristituzionali, al fine di garantire lamessa in campo di sicure e dettagliaterisorse di personale e finanziarie, diconcertare le modalità organizzative piùfunzionali, di consolidare buone prassi dilavoro collegiale interprofessionale, permigliorare la qualità dell’integrazione.

I punti di forza

L’integrazione scolastica degli alunni insituazione di handicap — anche alla lucedelle ultime disposizioni di ordine didatticoe soprattutto amministrativo, in particolarequelle che hanno modificato l’assetto delleistituzioni scolastiche (autonomia dellescuole) e l’organizzazione della stessaAmministrazione scolastica — a giudizio dimolti esperti rappresenta la parte piùarticolata ed elaborata della Legge-quadro,alla quale si riferiscono gran parte deiprovvedimenti attuativi emanati fino a oggida vari ministeri. Seppure con le dovuteriserve, che verranno di seguito approfonditedai contributi dei nostri esperti, questoambito di intervento della legge sembraquello che meglio garantisce diritti esigibiliper le persone in difficoltà.Una delle istanze procedurali, che a nostroavviso è portatrice di un positivocambiamento di mentalità e che la Legge-quadro fa propria, riprendendola daprecedenti disposizioni (in particolare dallalegge n. 517/77) è la logica dellaprogrammazione concertata, da realizzarsiin ambiti professionali e territoriali diversi:pensiamo ai Gruppi di lavoro perl’integrazione scolastica intra- einterprofessionali, inter- ed extrascolastici, ealla previsione di Accordi di programmainteristituzionali. Si tratta di modalità dilavoro che sollecitano il coinvolgimentoattivo e la collaborazione dei soggettiinteressati e un uso più razionale dellerisorse.Fra i punti di forza della leggeannoveriamo anche la scelta dellaformazione universitaria per i docenti disostegno. Una norma che tuttavia, dopo undecennio, soltanto in questi ultimi annicomincia a decollare, senza per altro averancora risolto la partita con le precedenti,inadeguate e improprie procedure di

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formazione degli insegnanti specializzati;soprattutto, senza aver ancora contribuito amigliorare la qualità della preparazione ela sensibilità dei docenti — specializzati eno — nei confronti degli studenti disabili, esenza aver ancora aiutato a chiarificare —sul piano della ricerca educativa — ilprofilo e le competenze del personale disostegno.

I limiti della Legge-quadro

Fin dai giorni immediatamente successiviall’approvazione della Legge n. 104/92,numerosi commentatori hanno espressogiudizi critici riferibili alla scarsa novitàdei contenuti: si è detto ad esempio che lalegge era una trascrizione sintetica didisposizioni e decreti già esistenti; altrihanno sostenuto che, pur avendoapparentemente un respiro ampio,l’unificazione non sembrava semplificare ilcomplesso di norme vigenti; altri infinehanno parlato di una legge che si limitava aenunciare dei principi, senza renderlieffettivamente esigibili dagli interessati, inquanto subordinava gli obblighi dei soggettipubblici ai «limiti di bilancio» e alla«discrezionalità». A nostro avviso, i principali fra i non pochilimiti della Legge-quadro possono esserecosì sintetizzabili:

– un primo limite culturale sta nel titolostesso che, nell’ordine si riferisce: primaalla «assistenza», poi alla «integrazionesociale» e, infine, ai «diritti delle personehandicappate». Ben sappiamo che isoggetti in difficoltà non hanno bisognodi interventi gestiti dal settoreassistenziale o di natura assistenziale,ma di veder garantito l’esercizio dei

diritti fondamentali. Come si ravvisadagli interventi della Monografia, il«conservatorismo compassionevole»rischia di tradursi nella sopravvivenza,se non nella proliferazione, delle strutture«speciali»; nel riduttivismo di talunipercorsi individuali (si badi, nonindividualizzati!) scolastici,professionali, lavorativi; in uno stilelegiferante che procede per categorie dipersone (pensiamo ad esempio allerecenti norme sulla valutazionescolastica «speciale» al terminedell’istruzione obbligatoria, o alle normesul collocamento lavorativo per i disabili,ecc.);

– un altro limite culturale è legato alleopzioni terminologiche: ai giorni nostri,dopo le recenti indicazioni dell’OMS sullaclassificazione dei concetti di salute edisabilità,2 il termine «handicap» è daconsiderarsi obsoleto; altrettanto obsoletaè l’identificazione all’interno dellacategoria di «handicap psichico» traritardo intellettivo e malattia mentale; èinfine da considerarsi troppo debole ilconcetto di «capacità lavorativa», e troppolegato al modello dell’ «invalidità»;

– la mancata definizione dei compitiassegnati rispettivamente a Stato, Regioni,Comuni, Province, ASL, con la ulterioreincertezza legata alla previsione dicompetenze meramente «vocazionali» enon «prescrittive»;

– la mancata prescrittività del sostegno allavita in famiglia e al nucleo familiare diorigine; in genere, il mancatoriconoscimento del ruolo di protagonistaalla famiglia e al soggetto in situazione dihandicap, quando possibile;

– l’inadeguata copertura finanziaria.

2 Organizzazione Mondiale della Sanità, ICF/Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità edella Salute, Trento, Erickson, 2002.

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Le aspettative per il futuro

Il bilancio sui dieci anni di applicazionedella Legge-quadro sull’handicap non puòeludere l’anticipazione di prospettive future.La messa in luce delle risorse presenti neltesto legislativo come punti di forza, cosìcome la rilevazione dei nodi di debolezza, sideve tradurre in programmi di lavoro pergli anni a venire: «se il senso della realtàesiste» [da intendersi come l’esposizionequanto più possibile deideologizzata epragmatica dei diritti, ndr], sostiene RobertMusil, «allora ci deve essere anche qualcosache chiameremo senso della possibilità».3

Procedendo come finora per grandi nucleitematici — i quali associano il vantaggiodella chiarezza all’indubbio svantaggiodella rigida essenzialità — ci sembra che,sommariamente, il giudizio sull’attuazionedella Legge n. 104/92 evidenzi le seguentiaspettative per il futuro. In larga misura, sitratta di impegni di lavoro che riprendono,riassumendoli, taluni dei richiamiannualmente oggetto della Relazione alParlamento sullo stato di attuazione dellalegge-quadro sui diritti delle persone insituazione di handicap, presentata da partedel MIUR:

– Prevalenza della progettualità, rispetto altecnicismo e alla medicalizzazione. Ilprocesso di integrazione scolastica esociale, proprio per la sua poliedricità, siriferisce a un insieme di norme, attori econtesti che ne determinano lacomplessità. «L’attenzione per learchitetture ha forse sacrificatol’attenzione per la progettualità che vienedagli insegnanti e dalla scuola comecomunità educante», sostiene Nutini.Occorre invece avere sempre ben presenteil fondamento e il senso ultimo

dell’integrazione della persona insituazione di handicap: il suo dinamico«progetto di vita», che è al tempo stessovicino e lontano, nel tempo e nello spazio,rispetto alla situazione esistente. Questoimplica che tutti i protagonisti dell’azioneintegrativa debbano porre la propriaqualificata competenza professionale alservizio non di una limitata prospettivatecnica fine a se stessa, ma dell’idea chequel minore diventerà adulto e dovràtrovare un’occupazione lavorativacompatibile con la presenza del deficit, eun posto nel contesto sociale.

– Consolidamento e ampliamento dellalogica della concertazione collegiale, alivello intra- e interistituzionale. Ilprocesso di integrazione sollecita unprogetto condiviso che non «solleva dallacura educativa» qualcuno deiprotagonisti; al contrario, «inserisceautenticamente nella cura», stimola ilcoinvolgimento di tutti gli attori (allievo,docenti curricolari e di sostegno, dirigentescolastico, familiari, operatori dellasanità, altri operatori della scuola edell’extrascuola, volontariato) e leistituzioni coinvolti. A questo proposito, lanormativa sull’handicap, e in particolarela Legge n. 104/92, è stata esemplarmenteanticipatrice, richiamando l’esigenza diGruppi di lavoro per l’integrazione e diAccordi di programma. Naturalmente,l’opzione per gli accordi programmaticiimplica la messa a disposizione diadeguate risorse personali e materiali, el’impegno concreto a rendere più efficientied efficaci le procedure organizzative.Diversamente, gli accordi risultanoapparati formali tanto inutili e lontanidalla realtà esistenziale quotidiana,quanto vuoti di potenzialità innovative

3 R. Musil, L’uomo senza qualità, Torino, Einaudi, 1985, p. 12.

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(gli esempi al riguardo non mancano, sulterritorio nazionale). Nell’ambito dellaconcertazione, un ruolo di primo piano variconosciuto alla famiglia del soggetto insituazione di handicap e all’individuostesso.

– Migliore definizione del profilo e dellecompetenze di alcune professioni di aiuto,quali in particolare il docente per leattività di sostegno e la figuradell’educatore, in parallelo a una piùelevata preparazione di base nei confrontidelle «diversità personali», per tutti gliinsegnanti e per i professionisti del settore,collegabile alla formazione universitaria.

– Superamento della logica degli interventiper categorie di persone a vantaggio dellalogica dei servizi per tutti i cittadini.Sostiene Iosa che in questi ultimitrent’anni, nonostante le difficoltà,l’integrazione procede, come se venisseconsiderata «cosa normale della scuola»;così come cresce la consapevolezza chel’inclusione fa bene alle persone disabili,ma che lo stare tra diversi, il convivereun’esperienza di comunità fa cresceretutti. L’integrazione scolastica di allievi insituazione di handicap rappresenta la piùgrande e trasversale riforma che abbia

interessato e coinvolto attivamente, apartire dagli anni Settanta, tutti gliordini e i gradi e tutte le varie attivitàistituzionali della scuola italiana. RicordaCanevaro che, nel tempo, alcune isolatebuone prassi pian piano hanno dato vitaa buone organizzazioni, riproducibili,allargabili, tali da diventare consuete, nonepisodiche, sistematiche, inoltre riferibilialla globalità dei soggetti interessati, e fraquesti gli individui in difficoltàtemporanee o permanenti. È auspicabileche, in futuro, il modello della buoneprassi che divengono buoneorganizzazioni si estenda a macchia d’olionon solo in ambito scolastico, ma anchenell’extrascuola, riguardando tutto l’arcotemporale dell’esistenza personale.

Chiudiamo con una metafora: l’integrazioneè un’esperienza generativa complessa e«debole» al tempo stesso: come un piccoloseme depositato sul terreno che, se vieneaccudito con cura sensibile alle necessitàinsorgenti, diviene un ramoscello che sitrasforma in una grandiosa foresta;diversamente, avvizzisce senza produrrecambiamento nella natura.

Marisa Pavone

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1. Rita Frosini(Assessore alle politiche educative e allapubblica istruzione del Comune di Prato)

Questa Tavola rotonda è stata dedicata auna riflessione sull’integrazione scolasticadegli alunni in situazione di handicap e sugliaccordi di programma a 10 anni dalla legge n.104 del 1992.

Ci sembra che rappresenti un momento diriflessione molto importante: occorre valuta-re insieme come i principi stabiliti da questalegge possano e debbano andare avanti, an-che alla luce delle nuove competenze deglienti locali e dell’autonomia della scuola.

Partecipano alla Tavola rotonda:

– DARIO IANES

Psicologo dell’educazione, è condirettore delCentro Studi Erickson, Istituto di formazio-ne e casa editrice specializzata sui temi del-l’educazione speciale e del lavoro sociale. Èprofessore incaricato di Didattica Specialealle Università di Padova e Bolzano. È auto-re di vari articoli e libri e, dal 1995, dirige larivista «Difficoltà di apprendimento».

– SALVATORE NOCERA

È stato per oltre 15 anni docente di discipli-ne giuridiche, impiegato presso l’Ufficio stu-di e programmazione del MPI per le proble-matiche giuridiche dell’integrazione scola-stica degli alunni in situazione di handicap.In materia, ha pubblicato numerosi articoliin riviste specializzate e monografie sullalegge-quadro 104/92, sugli accordi di pro-gramma, sull’integrazione nella scuola del-l’autonomia, sui livelli di qualità dell’inte-grazione scolastica. Attualmente è consu-lente giuridico presso l’AIPD ed è vicepresi-dente nazionale della FISH, Federazione Ita-liana per il Superamento dell’Handicap.

– ANDREA CANEVARO

Docente di Pedagogia Speciale all’Universi-tà di Bologna, è autore di numerose pub-

blicazioni. Tra le più recenti, basti menzio-nare: Quel bambino là... (La Nuova Italia,1996), La pedagogia speciale dell’integra-zione (La Nuova Italia, 1996), Potenziali in-dividuali di apprendimento (La Nuova Ita-lia, 1996), Pedagogia speciale. La riduzionedell’handicap (Bruno Mondadori, 1999).

– RAFFAELE IOSA

Ispettore dei bambini e delle bambine. Halavorato alla realizzazione dell’autonomiascolastica e, dall’anno 2000 fino al 2002, èstato coordinatore dell’Osservatorio Perma-nente sull’Integrazione Scolastica del MIURdi Roma.

– MASSIMO NUTINI

Dirigente del servizio pubblica istruzionedel Comune di Prato e membro della com-missione scuola nazionale dell’ANCI.

– MARCO ARMELLINI

Neuropsichiatra infantile, responsabileUnità funzionale salute mentale infanziaadolescenza, azienda USL 7 di Siena.

Credo che siano tutti nomi importanti chesenza dubbio ci aiuteranno anche localmentea rileggere sia i problemi relativi all’integra-zione, sia i nuovi prevedibili sviluppi per gliaccordi di programma, che sono uno stru-mento fondamentale per far sì che gli enti e leistituzioni preposte all’integrazione possanolavorare in modo ottimale.

Passo la parola al coordinatore della Tavo-la rotonda.

2. Dario Ianes

Massimo Nutini, approfittando della for-tunata combinazione della presenza in zonadi alcuni di noi, ha pensato di allargare ilfocus di questo incontro e di affrontare i 10anni della legge 104, manifestando un’atten-zione particolare agli accordi di programma ealla qualità dell’integrazione scolastica.

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Come piccola introduzione pensavo di ri-prendere la mozione finale che abbiamo ap-provato nel novembre del 2001 al Convegno«La Qualità dell’integrazione scolastica», svol-tosi a Rimini con la partecipazione di 2200persone. Esso ha prodotto una mozione che èancora di estrema attualità e che vorrei quin-di riproporre con qualche piccolo ragionamen-to a latere.

«Gli oltre 2000 partecipanti al 3° Conve-gno Internazionale “La Qualità dell’integra-zione nella scuola e nella società” hanno ap-profondito i temi relativi all’argomento, evi-denziando come l’integrazione sia una ca-ratteristica strutturale e trasversale di tut-to il sistema scolastico italiano, statale e pa-ritario.

Alla luce del principio della Qualità mani-festano preoccupazioni in ordine ai seguentiaspetti.»

La riforma dei cicli scolastici e i percorsidifferenziati

«1. Nell’ipotesi di revisione dei cicli va evi-tato il rischio di realizzare precocemente per-corsi differenziati in base alle capacità indivi-duali, che penalizzerebbero gli alunni in si-tuazione di handicap e diminuirebbero pertutti le esperienze unitarie di coeducazione.»

E qui apro una piccola parentesi. Io vengodal Trentino — Provincia Autonoma — in cuisi manifesta un orientamento a favore delladevoluzione, si va nella direzione delle com-petenze primarie in materia di scuola e sus-siste una situazione di fortissima formazio-ne professionale provinciale con vari enti ge-stori, una situazione debole di istituti statalidi formazione professionale, per cui si appli-ca un modello che prefigura un po’ quellotratteggiato dall’ipotesi Moratti. Recente-mente, la nostra Giunta Provinciale (di cen-tro-sinistra!) ha siglato un protocollo di inte-

sa con il Ministro Moratti per sperimentarealcuni aspetti della (prossima?) riforma del-la scuola.

Bene! Nella formazione professionale del-la nostra regione si sta verificando un calonotevole nella qualità dell’integrazione, per-ché è in atto già da alcuni anni una tendenzaa raggruppare alunni disabili tra di loro. Qual-che tempo fa, un insegnante mi ha raccontatocon orgoglio di aver costruito una piccola clas-se (speciale!) di sei alunni disabili, integratisolo in alcune attività pratiche di laboratorio,che stanno davvero bene insieme e che hannosviluppato un forte «spirito di corpo»: questosenza che nessuno osasse battere ciglio. Iocredo che negli Istituti professionali di Statoquesto non sarebbe accaduto, e qui il rischioche segnalavamo a novembre al Convegno diRimini, in relazione a questo primo punto, nelmio territorio autonomo e «devoluto», già datempo lo stiamo vedendo.

«2. È necessario evitare forme improprie eriduttive d’integrazione di alunni in situazio-ne di particolare gravità, con il conseguenterischio di ghettizzazione di alcune scuole.

3. Va garantito il pieno coinvolgimentodel sistema scolastico nella realizzazione deipiani regionali a cui fa riferimento la legge328/2000 sul sistema integrato di servizi so-ciali, che costituisce il contesto fortementecoadiuvante l’integrazione scolastica, trami-te i progetti globali di vita, che si realizzanonei servizi integrati dei piani di zona di cuiall’art. 19.»

E su questo punto Massimo Nutini entre-rà nel vivo, perché il territorio di Prato rap-presenta proprio un laboratorio dell’integra-zione interistituzionale.

La formazione universitaria dei docentiper l’integrazione

«4. Un altro aspetto problematico sul qua-le vi è molta preoccupazione è la scarsa tra-

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sparenza e chiarezza sui corsi di specializza-zione realizzati recentemente, tali da rende-re, in molti casi, dubbia la validità degli stessititoli di specializzazione.»

E qui si apre quello che è ormai diventatoun vero e proprio tormentone nel nostro Pae-se. Attualmente, i corsi di specializzazioneriappaiono a 800 ore, da fare ancora con leSIS e nel contesto delle scuole medie e supe-riori, per cui c’è un’incapacità del nostro Pae-se di uscire da questa logica dei continui corsibiennali, dell’incessante scorciatoia al soste-gno. Io credo che sia necessario bloccare quelpercorso e passare con forza a un percorsoesclusivamente universitario.

«5. Inoltre, si ritiene che le gravi difficoltàdel passato debbano essere superate portan-do a sistema la formazione universitaria pertutti gli ordini di scuola, in modo da garantirepercorsi formativi veramente efficaci.»

Occorre promuovere una formazione uni-versitaria forte per tutti gli insegnanti di ogniordine e grado. Questo apre una riflessione:quanti crediti e quali crediti rispetto all’inte-grazione? Questo è un aspetto dolente che vaaffrontato anche dal punto di vista del datoredi lavoro degli insegnanti, poiché bisogna esi-gere un certo grado di competenza di base daparte di tutti i docenti riguardo a queste te-matiche. Allora, io credo che l’Università nel-la sua autonomia, che nessuno evidentemen-te vuole e può toccare, possa però dare uncontributo significativo in questo senso (vedii contributi nel precedente numero de «L’inte-grazione scolastica e sociale», ndr).

L’autonomia delle scuole e l’organicofunzionale

«6. Infine, è urgente sviluppare tutte lepotenzialità dell’autonomia scolastica, inmodo da garantire flessibilità didattica e cur-ricolare, nonché organici funzionali tali daassicurare continuità del personale, respon-

sabilità di tutti i docenti, distribuzione dellerisorse professionali secondo le effettive esi-genze di integrazione.»

Qui vorrei fare due piccoli commenti. Iocredo che il percorso da seguire sia quello diun lavoro serio sull’organico funzionale, frut-to di un’autovalutazione da parte della scuolaautonoma del complesso dei bisogni educati-vi speciali che sta vivendo in quel momento.La scuola deve attrezzarsi in sinergia con lerealtà locali per fare questa autovalutazioneseria e onesta del complesso di bisogni educa-tivi speciali che, come sappiamo, non sonoaffatto rappresentati solamente dalle disabi-lità. Però, per quanto riguarda l’integrazione,vi è la necessità di stabilire degli standardminimi di qualità. Non è possibile che ci siauna legge che stabilisce gli standard minimidi sicurezza e non ci sia qualcosa che prescri-va degli standard minimi di qualità dell’offer-ta formativa.

La mozione veniva successivamente con-clusa nei seguenti termini: «[…] auspicano ilpieno funzionamento dell’Osservatorio per-manente sull’integrazione scolastica del Mi-nistero dell’Istruzione, affinché possa formu-lare all’on. Ministro proposte a breve scaden-za, relative ai problemi sopra segnalati e adaltri che sono emersi durante il dibattito e,tra questi, quello più urgente della formazio-ne dei docenti curricolari sull’integrazionescolastica».

Questo auspicio trova risposta oggi, per-ché abbiamo avuto il decreto di nomina delnuovo Osservatorio a distanza di circa unanno da quando non ci si incontrava più alMinistero.

Auguro al nuovo Osservatorio un buon la-voro: speriamo che riesca a contribuire allepolitiche dell’integrazione scolastica come ab-biamo cercato di fare negli anni precedenti!

Darei la parola per primo a SalvatoreNocera perché, quando si parla di quadronormativo, legislativo e di memoria storica di

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quello che è successo in questi 10 anni dallalegge 104, credo che non ci sia persona piùadatta di lui per affrontare il discorso.

3. Salvatore Nocera

Ringrazio dell’invito e della preziosa op-portunità di fare il punto della situazione,offerta a noi che abbiamo lavorato e conti-nuiamo a operare nel campo dell’integrazio-ne scolastica. Lo si fa in un contesto istituzio-nale di grande significato, l’aula del Consigliocomunale, che è il luogo rappresentativo pereccellenza dell’autonomia dei bisogni e deidiritti fondamentali dei cittadini, evitandocosì quelle strane parodie che il Presidentedel Consiglio ha voluto fare, ad esempio, invi-tando le classi di studenti a Palazzo Chigi esimulando un Parlamento legiferante nelmondo delle fiabe, mentre noi abbiamo biso-gno di legiferare nel mondo della realtà con-creta dei bisogni quotidiani. Non si possonoparodiare i bisogni dei cittadini neppure condei ragazzini, proprio perché non sono cose daragazzini.

Rischio di sopravvivenza di «strutturespeciali»

Quanto ai punti problematici indicati dal-la mozione di Rimini, devo dire che il primo eil secondo punto relativi alla scelta anticipatae al rischio di strutture di tipo speciale, pur-troppo, non sono stati risolti. Del primo puntoparleranno meglio quanti hanno già preso laparola sulle problematiche della riforma Mo-ratti; mi rifaccio intanto al primo numerodella rivista «L’integrazione scolastica e so-ciale», che dedica vari interventi a questi ar-gomenti.

Quanto al rischio della reviviscenza distrutture speciali, esso era chiaramente pre-sente nel documento Bertagna. Nella rifor-

ma, almeno nel disegno di legge presentatodal Ministro, pare che non ci sia traccia ditutto ciò: si parla invece di integrazione scola-stica secondo i principi della legge-quadrosulla disabilità, la 104 appunto, alla quale èdedicata questa Tavola rotonda.

Quello che però mi preoccupa, da osserva-tore del mondo del diritto, è ciò che si verificanella prassi poiché, se le norme esistono alivello astratto ma poi nessuno si preoccupadi rispettarle o di farle rispettare, è come se lenorme non esistessero concretamente. E noiattualmente abbiamo alcune tipologie di scuo-la speciale.

Penso a quello che avviene regolarmentein Veneto, regione nella quale gli alunni condisabilità delle scuole medie inferiori non ac-cedono mai alle scuole superiori neppure dopol’adempimento dell’obbligo, perché c’è una«strana convenzione» tra gli istituti superiorie i centri di formazione professionale. Questialunni vengono affidati direttamente ai cen-tri e transitano con loro anche gli insegnantiper l’attività di sostegno, retribuiti dallo Sta-to, che vanno a operare in strutture non sta-tali. Ma la cosa peggiore è che all’interno diquelle istituzioni si creano delle classi specia-li, solo per disabili. Questa è una prassi chepersonalmente non condivido e denuncio comepalesemente illegittima.

Sussistono comunque altre esperienze:penso alle unità educativo-assistenziali delVeneto ma anche ad alcune realtà locali del-l’Emilia Romagna; penso alle scuole Polo del-la Liguria in cui si concentrano, sia pure conla scusa dell’integrazione, alunni con situa-zione di particolare gravità in alcune scuoledove si svolgono anche attività di riabilitazio-ne durante l’orario scolastico, con palese vio-lazione del diritto allo studio e con sperpero didenaro pubblico, perché chiaramente gli in-segnanti per le attività di sostegno o gli assi-stenti educativi, pagati per svolgere attivitàdi integrazione scolastica, stanno a girarsi i

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pollici in attesa che gli alunni facciano riabi-litazione. Penso anche a una vostra esperien-za locale, di cui ho acquisito notizia qualchetempo fa ma che non conoscevo in modo det-tagliato; sono a conoscenza del fatto che aveteancora delle scuole speciali che sicuramenteerano validissime nel momento in cui furonocreate (1972), ma che oggi sono completa-mente fuori linea rispetto all’orientamentomaturato negli ultimi trent’anni e alla nor-mativa vigente che vuole invece, anche per glialunni in situazione di gravità, una chiaraimpostazione d’integrazione nella scuola diterritorio, grazie a una rete intrecciata di ser-vizi territoriali che garantiscano la risoluzio-ne dei problemi più gravi. A questo propositomi permetto di invitare l’amministrazione co-munale e provinciale a rivedere l’articolo 4del vostro accordo di programma che, invece,alle problematiche più gravi dedica proprioun paragrafo in questa logica oggi, ribadisco,secondo me fuori linea.

Non dico nulla in riferimento al terzo pun-to, che mi pare tutto sommato accettabile, nelsenso che la normativa si è orientata in quel-la direzione. Accenno ai corsi di specializza-zione che lasciano fermi i sospetti che aveva-mo a novembre, in quanto i corsi di specializ-zazione che sono stati attivati, molti dei qualinon erano conformi alle disposizioni legislati-ve, non sono stati monitorati e noi, quindi, citroviamo in circolo titoli di specializzazioneillegittimi.

Penso al decreto del 20 febbraio 2002, cheha avviato i corsi di specializzazione per lescuole di specializzazione secondaria, che sonodi dubbio contenuto ma comunque illegittimisotto il profilo formale, perché non conferisco-no il titolo di specializzazione ma danno iltitolo di abilitazione all’insegnamento del so-stegno, senza che esista una tale classe diconcorso: ne deriverà inevitabilmente unasituazione di caos a livello burocratico e am-ministrativo.

Le competenze sull’assistenza di baseal personale ausiliario

Quanto alla normativa in atto, devo direche, a livello amministrativo, abbiamo delledisposizioni eccezionali emanate in questi ul-timi anni in continuità con le disposizioni chel’amministrazione della legislatura preceden-te ci aveva dato. Mi riferisco specificamentealla circolare del Ministero dell’Istruzione del30 novembre 2001, che ha chiarito finalmen-te come l’assistenza specifica «di base» aglialunni con disabilità (ad esempio di carattereigienico) sia di competenza dei bidelli, i qualihanno diritto a un corso di formazione e a unpremio incentivante di circa cinquecento eurol’anno netti per questo tipo di attività, checomunque si svolge nel normale orario di ser-vizio e non in orario aggiuntivo.

Faccio ancora riferimento alla circolaresulla parità scolastica, che ha chiarito defini-tivamente che le scuole paritarie debbono len-tamente ma inesorabilmente adeguarsi allestrutture delle scuole statali per quanto ri-guarda, ad esempio, il numero degli alunniper classe e il numero degli alunni in situa-zione di handicap presenti in ogni classe. Al-ludo a una recente circolare sulle gite scola-stiche, in cui si fa espresso riferimento aglialunni con disabilità, pretendendo che neicontratti con le agenzie si debba tener contodelle loro necessità relative al trasporto e chequindi si debbano procurare dei mezzi attrez-zati ad accoglierli.

Mi riferisco a una recentissima circolaredel 30 aprile relativa all’assegnazione di fon-di alle scuole autonome destinati ai soggettidisabili, in cui si fa espresso riferimento al-l’opportunità di creare reti di scuole in colle-gamento, sempre in rete, con gli enti locali econ le realtà associative del territorio, pergarantire la costituzione di centri territorialitali da realizzare la piena qualità del dirittoallo studio delle persone con disabilità. Devo

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dire che l’esperienza che si sta svolgendo inVeneto in questo senso è decisamente da pren-dere in considerazione.

Gruppi di lavoro al livello regionale

Mi permetto di invitare quest’amministra-zione a far presente al direttore scolastico re-gionale che sarebbe opportuno creare un GLIP,chiamiamolo così, cioè un gruppo di lavorointeristituzionale a livello regionale, possibil-mente con legge regionale, costituito da tuttigli assessori della regione, dal direttore scola-stico regionale, dai direttori generali delle ASL,dall’ANCI e dall’UPI regionale. Questo è l’or-gano politico decisionale che imposta il bilan-cio, stabilisce i mezzi finanziari e le scelte inmateria di politiche di fondo, non solo scolasti-che ma anche inerenti all’inserimento lavora-tivo attuale e futuro; esso è sostenuto da ungruppo tecnico costituito da dirigenti apicalidelle varie amministrazioni. Invece, in segui-to, bypassando i gruppi di lavoro interistitu-zionale provinciali che non hanno più un refe-rente territoriale certo, è necessario arrivarea gruppi di lavoro interistituzionali di zona,che possono essere l’autentica espressione dellerealtà esistenti su quel territorio e che, nellalogica degli accordi dei piani di zona sostenutida accordi di programma locali (cui possonopartecipare anche le singole istituzioni scola-stiche autonome), possono impostare le politi-che specifiche sul territorio, tali da garantireservizi idonei per una buona qualità dell’inte-grazione scolastica. Questa mi pare una coe-rente e necessaria evoluzione di quanto giàprevisto nella 104/92, alla luce del nuovo qua-dro istituzionale e normativo.

Il nuovo Osservatorio ministerialesull’handicap

Ancora in riferimento alle norme, c’è que-sto decreto sull’Osservatorio di cui abbiamo

avuto notizia proprio nella giornata di oggi.Tutto sommato, io vi parlo come Vicepresi-dente Nazionale della Federazione Italianaper il Superamento dell’Handicap che, vistal’inattività del Governo in tal senso, avevagià deciso il 21 marzo, e poi ha formalizzatoil tutto proprio con una delibera del 20 apri-le, di avviare un Osservatorio sull’integra-zione scolastica. Adesso arriva questo nuovoOsservatorio: tutto sommato va abbastanzabene per gli aspetti burocratici e per gli aspet-ti associativi perché sono presenti gli uni egli altri; mi pare però che manchi completa-mente la scuola attiva sotto il profilo degliispettori, dei dirigenti scolastici e delle rap-presentanze dei docenti. Quindi, probabil-mente, cercheremo di porre rimedio a questonoi, con il nostro Osservatorio, che non vuolessere un antagonista di quello ministerialema aspira a porsi in rapporto di dialogo conesso.

Sotto il profilo legislativo, la finanziaria diquest’anno:

– ha pienamente rispettato quello che eral’orientamento legislativo precedente, cir-ca la permanenza del numero fermo di alun-ni per classe (non più di 20 se si tratta di 2disabili, non più di 25 se si tratta di 1);

– ha ribadito il principio delle deroghe, cheperò vanno richieste al Direttore Regionaleentro il 10 luglio;

– ha ribadito il principio dell’integrazionescolastica generalizzata.

La legge finanziaria

In questo senso mi pare che la normativavada bene, anche a livello legislativo. Tutta-via, potremo vedere solo in un secondo mo-mento se queste norme verranno in concretorispettate e noi della FISH saremo sicura-mente pronti al riguardo (nel frattempo in-vieremo una lettera a tutte le Direzioni Sco-lastiche Regionali perché rispettino le norme,

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pena l’eventuale denuncia alla Procura dellaRepubblica).

Contributi positivi dagli attigiurisprudenziali

Ritengo opportuno concludere il mio in-tervento con una nota positiva, parlando de-gli atti giurisprudenziali. La magistratura,che era di solito considerata il soggetto piùarretrato in materia di innovazioni culturali,è quella invece che sta mantenendo fede aidettati costituzionali. Mi riferisco specifica-mente alla sentenza della Corte Costituzio-nale n. 226 del 2001 che, nel ribadire il prin-cipio dell’integrazione scolastica, ha precisa-to, cosa che non faceva la precedente senten-za n. 215 del 1987, che l’integrazione scolasti-ca è l’unico modo per fornire la garanzia deldiritto allo studio agli alunni disabili e che varealizzata espressamente nelle classi comu-ni. Questo è un principio fondamentale in talsenso, ribadito con una sentenza da un Tribu-nale di Roma il quale ha sancito che per glialunni con grave disabilità che hanno biso-gno, ad esempio, della somministrazione difarmaci o di interventi in caso di crisi, la ASLdebba garantire la presenza di un infermierea scuola per realizzare il loro diritto allo stu-dio. Questa sentenza ha evitato, come erastato proposto dalla ASL, di mandare gli alun-ni in tali condizioni presso una scuola specia-le operante presso la ASL stessa, stabilendoche per gli alunni con disabilità l’unica formaadeguata di scolarizzazione è quella che av-viene nelle classi comuni. Quindi, queste duesentenze della Corte Costituzionale del Tri-bunale di Roma mi sembrano di estremo inte-resse.

C’è anche una sentenza (n. 245 del 2001)del Consiglio di Stato che ribadisce il princi-pio della qualità dell’integrazione avendo sta-bilito che, qualora un insegnante per l’attivi-tà di sostegno non sia in grado di soddisfare i

bisogni educativi dell’alunno con disabilità,si debbano bypassare tutte le norme sullegraduatorie, pur di garantire all’alunno uninsegnante specializzato che sia in grado dirispondere concretamente ai suoi bisogni.

Verificare e valutare la qualitàdell’integrazione

Il problema della qualità dell’integrazio-ne ci costringe sempre più frequentemente ariflettere con serietà, primo perché c’è ormaiil piano nazionale di valutazione della quali-tà del servizio scolastico, nel quale attual-mente non si fa alcun riferimento alle proble-matiche dell’integrazione scolastica; secondo,perché nel confronto con i nostri partner eu-ropei, se non dimostriamo come sappiamomisurare la qualità dell’integrazione scola-stica, saremo sopraffatti dalle loro scuole spe-ciali, che sotto il profilo della qualità e dell’ef-ficientismo nella logica dell’educazione sepa-rata sono decisamente superiori. Di questofatto si è reso conto anche il Presidente del-l’INVALSI (Istituto per la valutazione del si-stema dell’istruzione) che, intervenendo il 21marzo a un Convegno organizzato dalla FISH,proprio sugli indicatori di qualità dell’inte-grazione scolastica, ha ribadito la necessitàche il progetto nazionale di valutazione indi-vidui degli appositi indicatori di qualità perl’integrazione che si vadano a integrare conquelli della valutazione di tutto il sistema,pena la svalutazione dello stesso progetto divalutazione della qualità.

Ci troviamo in una situazione ondivaga:per alcuni aspetti siamo decisamente ancora-ti ai principi del passato e li sviluppiamo, peraltri addirittura andiamo ancora più avanti,per altri ancora siamo in una situazione diincertezza e si potrebbe anche retrocedere allivello applicativo, in una situazione di retro-guardia; mi riferisco, per intenderci, alla pro-posta di legge Peretti che, promossa da un

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partito di maggioranza attualmente al Go-verno, propone che gli alunni sordi vadanosolo nelle scuole speciali e che siano le scuolespeciali a decidere se e quando essi debbanofrequentare le scuole comuni. Se il Governolascerà decadere questa proposta come unaproposta di decisa minoranza, allora saremod’accordo ma, se il Governo dovesse farla pro-pria, la FISH sarà schierata in battaglia con-tro di esso.

4. Andrea Canevaro

Credo che, nel fare un riferimento al de-cennio, sia necessario anche cercare di capirecome nel corso di esso si sia tenuto conto e sesia stato possibile tener conto di quelle indi-cazioni europee che sono riassunte nell’espres-sione buone prassi.

Dalle buone prassi alle buoneorganizzazioni

Innanzitutto bisogna capirsi perché, es-sendo queste parole abbastanza frequentianche nel lessico quotidiano, rischiano di es-sere interpretate con un’ampiezza di signifi-cati che non dà loro rigore: si rischia ad esem-pio di credere che le buone prassi siano lebuone azioni, gli esempi positivi, la buona at-tività lavorativa; certamente sono anche tuttoquesto, ma con delle conseguenze. Le buoneprassi sono le azioni fatte bene che dannoluogo a delle prassi, cioè producono delle orga-nizzazioni. Esse devono essere riproducibili,allargabili, tali da diventare consuete, non epi-sodiche e non devono avere la caratteristicadell’ottima azione con l’impronta dell’eccezio-nalità. Ben vengano anche le ottime eccezio-nalità, certamente, ma qui l’indicazione è perle ricadute organizzative stabili.

Ad esempio, il riferimento è quasi dovutoallo sforzo fatto da chi ha ripreso alcune propo-

ste riguardanti l’integrazione e l’apprendi-mento di soggetti autistici, per vedere comeproposte venute da orizzonti diversi possanostare nel nostro contesto, diventare un contri-buto tecnico culturale di professionalità perl’integrazione. Questa è una buona prassi,nel senso che si fa la prova, la si ritara, la siriorganizza e i risultati vengono messi a di-sposizione non più solo per proseguire il pro-prio percorso professionale individuale madiventano accessibili per tutta la professio-nalità docente operante nel Paese.

In quale modo la legge 104 ha rappresen-tato un’anticipazione e poi ha potuto ripren-dere e integrare lo spirito, le linee, quelle chesi chiamano buone prassi? Alcune cose sicu-ramente sono state fatte in tal senso. Il solofatto che ci sia un quadro legislativo permettedi non procedere unicamente con singoli esem-pi eccezionali.

Ci sono però anche dei punti deboli e inriferimento a questi il rischio è che anche ilresto, sebbene positivo, venga danneggiato:sono proprio le falle che permettono di abbas-sare la qualità e di non realizzare le buoneprassi. Penso di dover mettere a fuoco soloalcuni di questi aspetti.

I punti deboli

Ritengo che un punto debole per le buoneprassi, e di conseguenza per la realizzazionedella legge 104, sia qualcosa che forse ripren-de quanto già Nocera ha segnalato e cioè lecertezze di competenze professionali (egli leha definite con altri termini, comunque). Al-tri Paesi forse hanno anche storie di strutturepiù robuste delle nostre — penso ad esempio,alla situazione che conosco meglio, quella fran-cese, dove una certa organizzazione dello Sta-to fa sì che, ci si trovi in Normandia o allebocche del Rodano, gli uffici hanno non soloidentiche prassi di svolgimento del lavoro maanche lo stesso arredo: lo stesso orologio suo-na le ore al Nord come al Sud. Non dobbiamo

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rincorrere un’organizzazione scolastica cheera stata rappresentata attraverso la certez-za che alla tal ora, in una classe sicilianacome in una classe piemontese, tutti fosserointenti a fare lo stesso esercizio di dettato.

Mancanza di certezze sulle competenzeprofessionali

Però, certamente, sulle qualità e compe-tenze professionali, avere più certezze è indi-spensabile proprio per la qualità delle buoneprassi e della realizzazione della 104. Noistiamo andando nella strada opposta: l’in-venzione professionale individuale; e qualcu-no invoca a proposito — ma secondo me più asproposito che a proposito — il libero mercatoe la contrattazione individuale. Penso a cosaemerga nella formazione degli psicologi e nel-l’invito che viene rivolto tra le righe, ma tal-volta anche molto esplicitamente, a ciascunodegli psicologi che sono in formazione, di tro-varsi degli elementi di mercato. Questo atteg-giamento induce ad affacciarsi sul mercatocon delle proposte «seduttive» che possanorichiamare attenzione; e questo è esattamen-te o quasi la linea opposta delle buone prassi.Perché allora ritornerà una situazione chepensavamo di esserci lasciati alle spalle, cioèl’assenza di una professione che assicuri quelleprestazioni ben fatte che rappresentano labase per procedere.

Pervasività del tecnicismo

Ci saranno anche dei professionisti chepresumibilmente saranno tutti liberi nell’ani-mo; ma forse essi saranno invece prigionieridi scelte metodologiche o tecniche che riter-ranno le uniche capaci di garantire loro laqualità. Se anche dovessero avere a che farecon un bambino con una diagnosi di autismo,e avessero una loro interpretazione di ruolocon una certa proposta, si atterrebbero esclu-sivamente a quella, incapaci di ascoltare le

ragioni e le necessità specifiche. La pervasivi-tà di questo modo di apprendere le professionista raggiungendo anche il mondo della scuola,e non credo che sia un fenomeno arginabile.

Nel mondo della scuola sussiste la figuradell’insegnante che cerca di conquistare deglielementi aggiuntivi pregevoli a livello indivi-duale: non c’è più un gruppo che, avvalendosidi competenze, cerchi di rinforzare l’immagi-ne dell’istituto ma, più frequentemente, emer-ge il singolo che cerca di acquisire delle bene-merenze tecniche partecipando, comprando.È proprio questo il termine: «comprando».

È chiaro che questa operazione finisce an-che con il minacciare il patto educativo scola-stico, che si è retto finora su un elementofondamentale, quello secondo il quale un bam-bino partecipa a qualcosa che lo impegna condei diritti e dei doveri.

Trionfo del «supermercato delle professioni»

Se invece trionfa il «fai da te», le conse-guenze sono inevitabilmente negative. Io hoparlato, a proposito della proposta Bertagnae per il disegno che ne consegue, di una scuola«supermercato», in cui ognuno può acquisirequello che crede, quello che può, accorgendosianche che non si può conciliare quello che sicrede e quello che si può. Certamente potràanche fare, come si dice, carte false per acqui-sire quello che non può, se ritiene che questosia un percorso individuale. Non è bello che cisia l’equivoco per cui invece di usare la dizio-ne «percorsi individualizzati», si sia parlatodi percorsi «individuali», che non è uno scivo-lamento solo di natura filologica un po’ troppoattenta alle parole ma rappresenta proprioun salto di qualità logica. È un’altra logica e,infatti, il percorso individuale è il «supermer-cato».

Siamo al supermercato, anche per le pro-fessioni, e non sono in grado di dire chi comin-ci prima. Subentra la difficoltà di capire cosa

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si intenda per educatore. È una situazionequantomeno caotica: nel caos ci sarà anchechi ci guadagna qualcosa ma sicuramente cirimettono le strutture, la fiducia, la possibili-tà di effettuare buone pratiche.

L’incerto profilo dell’educatore

Di educatori si parla in tutti i modi e intutti i sensi. Probabilmente però il senso pre-valente è il «minor costo»; per cui, se dovessi-mo sostituire un educatore con personale diriciclo proveniente dagli esuberi, ce ne sareb-be abbastanza anche da parte delle ferroviedello Stato. Non c’è più l’obiezione di coscien-za così com’era organizzata ma c’è un serviziocivile: se costa poco prendiamo anche quello.Diventa un’operazioni complicata da gestire,se si apre questa prospettiva in cui non cisono definizioni di competenze, non ci sonoprofili professionali.

Questo è stato un grave ritardo di cui ab-biamo colpa, nel senso che noi questa situa-zione l’avevamo vista e avevamo anche pro-vato a porvi rimedio ma, evidentemente, nonsiamo stati abbastanza efficaci anche a causadella complicazione che crea alla buona riu-scita della legge 104 questo mercato-super-mercato delle professioni e delle competenzeche ci sono, non ci sono, sono a progetto. An-che questa è una cosa che funziona fino a uncerto punto: pensare che le integrazioni sianoancorate alla possibilità di racimolare risorsenecessarie, legate al progetto che ha dellerisorse. È limitato: finito il progetto le risorsespariscono, e forse sparisce anche quella qua-lità che deve essere invece buona prassi: que-sto è il punto debole. Nel punto debole ci stabenissimo ciò che è stato detto a propositodegli insegnanti specializzati per il sostegnoche fluttuano; non si sa ancora esattamentequale sia il percorso. Ed è cosa nota e risaputache, in queste situazioni, è umanamente com-prensibile che il sostegno diventi una transi-

zione verso il ruolo. Quindi, una forma impro-pria di reclutamento.

Utilizzo improprio di personale e di strutture

Fa parte delle buone prassi cercare di ar-ginare tutti gli usi impropri di personale e distrutture. Gli usi impropri sono esattamenteil contrario delle buone prassi. L’attenzione adove si fanno le cose, quando si fanno le cose,con chi si fanno le cose. Queste sono le buoneprassi. Stiamo dirigendoci verso qualche cosache rappresenta un forte sabotaggio dellebuone prassi. Abbiamo però qualche speran-za naturalmente, perché essendo le buoneprassi un’indicazione europea, la speranza èproprio quella che anche qui, come in altresituazioni, l’Europa aiuti. Quelle situazioniche un po’ presuntuosamente abbiamo defi-nito «arretrate» perché non realizzavano l’in-tegrazione come la pensiamo noi ci possonoinvece aiutare a mettere più ordine nelle no-stre cose, a fare più attenzione alle qualità ealle competenze.

DARIO IANES: Ringrazio Andrea Canevaro,in particolare per due spunti tra i tanti che ciha dato. Uno è sull’elaborazione continuache devono avere le buone prassi anche nelcontesto locale, lo sforzo di costruire parten-do da alcune specificità tecniche che possonoaver portato a dei percorsi separati, la neces-sità di cominciare a costruire qualcosa cheavvicini sempre di più a un’integrazione re-alizzata concretamente, anche se con diffi-coltà. Questo credo vada nella direzione pro-prio della buona prassi che continua ad avvi-cinarsi il più possibile. Altra questione im-portante è quella dei profili professionali,del quadro generale delle professioni di aiu-to, in particolare quella degli insegnanti. Èabbastanza strano che, se un giovane mani-festa il desiderio di diventare insegnante nelnostro Paese, noi non sappiamo indicargli

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con chiarezza quali studi universitari dovràfare. Credo che questa sia una forma di scar-so investimento quanto meno di attenzione,oltre che di chiarezza rispetto a chi dovràoccuparsi della formazione delle prossimegenerazioni.

Permettetemi questa piccola finestrellapersonale: ricordo quando, ai tempi della scuo-la media, ci hanno fatto l’orientamento; chiandava male a scuola veniva orientato semaschio verso la formazione professionale, sefemmina verso le magistrali. Credo che que-sto sia segno di scarsa attenzione nei confron-ti degli studenti.

5. Raffaele Iosa

Essere ex non è sempre una malattia!Io vorrei parlarvi di questo decennio di

integrazione scolastica dal punto di vista del-l’aula, da una prospettiva interna alla scuola.Da come io ho percepito quello che mi sembrasia accaduto nella vita quotidiana delle scuo-le, per provare a immaginare come potrebbeessere il prossimo decennio. Alcuni segnalimi fanno temere che forse vi darò una letturadel prossimo decennio con gli occhi della no-stalgia piuttosto che con quelli della speran-za; speriamo di no, comunque.

Mi sono appuntato sette pensieri che oravi comunico.

L’esperienza di comunità fa crescere tutti

Primo pensiero. Io continuo a ripeterlo daun po’ di tempo. Dovremmo avere una perce-zione realistica di quello che accade e chepotrei definire in questo modo: «Nonostantetutto, il miracolo continua». Nonostante tut-to, cioè, noi dentro le scuole non abbiamo se-gnali che, in relazione all’integrazione dellediversità, ci sia una tendenza al rifiuto. Anzi,sono dell’idea che in questi ultimi trent’anni

si siano registrati progressi, quasi come sel’integrazione venisse considerata «cosa nor-male della scuola».

Insomma, a mio avviso si sono sommatedue questioni di grande valore sociale primaancora che pedagogico, dalle quali è nato que-sto miracolo: l’idea che l’integrazione facciabene alle persone disabili, ma anche la consa-pevolezza che l’integrazione fa bene a tutti.Senza di loro noi staremmo peggio. È presen-te, diffusa, sentita l’idea che in un qualchemodo lo stare tra diversi, il convivere inun’esperienza di comunità ci faccia cresceretutti; questa idea costituisce davvero una ric-chezza di cui la scuola italiana, con tutti i suoiproblemi, deve andare orgogliosa.

Ma parlo di miracolo perché in realtà ilmondo, l’esterno parla oggi linguaggi diversi.La fortuna di quando, negli anni Settanta, èaccaduto ciò, stava nel fatto che questo «mira-colo» faceva parte dell’intero processo sociale,non riguardava solamente la scuola. Riguar-dava l’idea di una società possibile nella qua-le le differenze avessero diritto di parola, di-ritto di pensiero, diritto di movimento, diritto,se possibile, alla felicità. Ebbene, io faccio ri-ferimento a quest’idea del miracolo (uso na-turalmente il concetto di miracolo come nor-malità) perché sono colpito perfino dal fattoche continui.

Noi non abbiamo segnali neppure in que-sto Governo, almeno in riferimento alle paro-le dette finora, di un’idea di regressione. Devoanche dirvi che, naturalmente, è più facile ingenere, in convegni di questo tipo, fare l’elen-co delle cose che non vanno senza partire daalmeno alcuni aspetti da condividere insie-me. Lasciatemi dire almeno questo: in questitrent’anni siamo diventati tutti migliori. Sela dobbiamo vedere retrospettivamente, laproblematica dell’integrazione della disabili-tà ha insegnato molto, senza non possiamostare. Ma dietro a questo, appunto, c’era unoscenario dei diritti, dei diritti in genere, non

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solamente quelli scolastici, che si reggevanol’un l’altro.

Rischi di scelte individualistiche

Secondo pensiero. Vedo quattro o cinquequestioni che rendono questo miracolo rischio-so. La prima, di tipo oggettivo, che va ammes-sa tra di noi, è che in questo decennio è enor-memente aumentata la complessità sociale: ètalmente aumentata che secondo me perfinola definizione di disabilità, rispetto al 1992, èstata messa in discussione e che all’internodella scuola il problema di chi ci dà problemi(chiedo scusa il gioco di parole) non sia piùtanto catalogabile nella sola categoria dellalegge 104, ma in tantissime altre categoriealle quali molto spesso si fa riferimento contermini, dizioni, certificazioni o altro che cicreano confusione: cittadino extracomunita-rio, stato di disagio, sofferenza, dislessia, com-plessità, ecc.

Ma vorrei sottolineare altri aspetti pro-blematici che intravedo all’orizzonte. Ho l’im-pressione che questo Paese, che in qualchemodo aveva una tradizione familiare nei con-fronti della scuola (mi verrebbe da dire, inalcuni casi, familistica), stia invece, per lagrande modificazione della famiglia e dellasocietà italiana, diventando un luogo di for-tissimi individualismi. Non casualmente miha colpito questa storia dell’anticipo dell’iscri-zione in prima elementare. Perché questa fre-nesia di far iniziare prima il percorso scolasti-co a qualche bambino che, fra l’altro, non pos-siede particolari doti? Perché quest’idea diuna scuola «supermercato», come la chiama-va prima Canevaro? Perché immaginare unrapporto tra la scuola, le esperienze di ap-prendimento, il percorso scolastico come fattoindividuale e non come fatto di comunità?Perché sostituire l’individualismo della scuo-la «usa-e-getta» a quell’idea che la scuola siaun luogo dove invece, per effetto di un patto

educativo (ancora Canevaro lo chiamava cosìprima), si sia quasi «felicemente costretti» aconvivere due, tre, o cinque anni tutti insie-me, come esperienza di comunità dove tuttidanno a tutti?

Siamo davanti a due idee ben diverse dieducazione. Nella complessità attuale, que-ste idee obbligano a ridiscutere «l’identità dellascuola» e il «perché si insegna». Ebbene, nelmiracolo di cui parlavo prima domina l’ideadi comunità e l’integrazione scolastica è pos-sibile, mentre nell’idea precocistica si inizia-no a porre le crepe di una nuova separazione.

La diversità: tema comune a tuttii professionisti

Terzo pensiero. La scuola è uno dei pochiposti dove attualmente si riesce a stare insie-me tra diversi, maschi, femmine, grassi, ma-gri, brutti, storti, ecc., ed è anche un luogo nelquale lo stare insieme tra diversi è fonte diorgoglio. Sento quindi la necessità di pensarea una scuola che oggi abbia capacità «antago-niste» e comunque «avanzate» rispetto a unmodello omologante o selezionante o un’ideaindividualistica della scuola, anche se sonoconsapevole del fatto che questo è faticoso.Costa fatica perché le sirene culturali, le sire-ne della società, le sirene ad esempio deglizainetti «Invicta» tutti uguali, determinanodegli effetti patologici dentro la scuola: basticitare, a titolo esemplificativo, l’aumento intutto il sistema scolastico della nevrosi daquantità. La cosiddetta «fotocopia pedagogi-ca» (chi mi ha già sentito parlare sa che il miogrande nemico è il fotocopiatore, cioè questizaini dei bambini pieni di quadernoni, tuttipieni di fotocopie A4, di schede uguali pertutti) non può non farci riflettere sul fattoche, paradossalmente, il miglioramento dellatecnologia della scuola sta determinando l’au-mento dell’omologazione degli apprendimen-ti. Questo sta provocando un aumento dei

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problemi relativi alla capacità di accogliere ledifferenze, o la tendenza a voler interveniresu queste come «patologie», piuttosto che comericchezze. Da questo: troppo sostegno come«uscita dalla classe», piuttosto che come «so-stegno alla classe». In questo quadro com-plesso, vorrei infatti contestualizzare la que-stione degli insegnanti. Devo dire con moltaonestà che forse dovremmo farci una criticaun po’ più severa di quella che abbiamo fattofino adesso. Perché il decennio conclusosi,purtroppo, è stato un decennio nel quale si èpensato di risolvere il problema della diversi-tà con la logica del «+1». Quando c’era unproblema per risolverlo serviva uno di più.Che fosse di sostegno, o fosse girato da qual-che altra parte, ma l’uno di più salvava. E voinon sapete quanta sofferenza in questi diecianni, anche un po’ prima, per un problemameramente quantitativo. Naturalmente èvero che il problema della scuola davanti allacomplessità è quantitativo (non ho alcunaintenzione di fare l’apologia dei tagli sugliorganici), ma dobbiamo ammettere che averpermesso, ad esempio, che in un intero decen-nio non si sia risolta la questione della forma-zione iniziale degli insegnanti di sostegno(che in realtà è un pretesto per entrare neiruoli e quindi l’alibi giusto per un mercatovergognoso di una formazione che costa piùche laurearsi per avere un posto che ti serveper il transito) è già il segno di qualcosa chenon va. Ma il non aver scavato fino in fondo(questo è il problema della politica) sulla for-mazione complessiva di tutti gli insegnanti,all’interno della quale la diversità è un temache deve essere comune prima ancora chedegli specialisti, scatena inevitabilmente ilterritorio della delega, piuttosto che il terri-torio della corresponsabilità. Non è un caso,che da alcune ricerche che abbiamo fatto, vie-ne fuori che è sugli insegnanti di sostegno laspia vera delle cose che sto dicendo. Il primoproblema dell’integrazione dei disabili a scuo-

la riguarda il tempo nel quale un insegnantedi sostegno sta nella stessa scuola, da cuideriva, come corollario, il problema dell’inte-grazione dell’insegnante. Voi capite che seuna persona sta un anno nella scuola Pascoli,l’anno dopo nella scuola Verdi, l’anno doponella scuola Rossi, cioè come tappabuchi, ilprimo problema di disintegrazione è il suo.Perché ha dominato un modello più sindaca-le-impiegatizio che un modello professionaleal riguardo? Ce lo dobbiamo chiedere con gliocchi della rabbia, se volete, di non essereriusciti a realizzare nel presente un idealeche auspico possa concretizzarsi nel futuro.Poiché io credo che i sistemi formativi nelprossimo decennio, quale che sia il Governo,avranno sempre di più la diversità come nor-malità, perché questo è il futuro dei sistemiscolastici! Non quello di omologare o di ope-rare secondo criteri selettivi, perché questoimplicherebbe la morte dei sistemi scolasticipubblici, vorrebbe dire solo la privatizzazio-ne della formazione, quando invece l’esisten-za di un sistema pubblico si deve reggeresulla diversità: quindi dobbiamo aumentarela formazione di tutti.

La strategia pedagogica controla medicalizzazione

Quarto pensiero. Abbiamo assistito in que-sto decennio a una violentissima medicaliz-zazione dell’esistenza. Lo vorrei dire quasi inuno slogan: probabilmente noi negli anni Set-tanta leggevamo troppo Freud, oggi si dannotroppi Prozac. Siamo passati cioè da un’inter-pretazione forse troppo sociale di tutto ciò cheera la differenza al mito del cromosoma, almito della pillola, al mito di quel farmacoattraverso il quale tutti i mali scompaiono.Ebbene, sta aumentando il rischio che il rap-porto tra l’insegnante e il mondo medicalediventi quel tipico rapporto che spezzetta lapersona piuttosto che fornirne un’interpreta-

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zione olistica, e cioè la domanda classica chesi fa al dottore diventi: «Dottore, cos’ha?», piut-tosto che provare a lavorare insieme e dire:«Dottore, chi è?». Naturalmente, sento in que-sto un processo economicamente molto po-tente che coinvolge anche gli interessi dellecase farmaceutiche, che contano molto di piùdelle istituzioni scolastiche: dietro non c’è soloil mondo dell’Accademia. Allora io sono del-l’idea che in questo noi dovremmo avere mag-giore coraggio. Mario Tortello diceva: «Ripren-diamoci la pedagogia», come per dire chel’evento educativo fa parte strategicamentedel progetto di vita della persona. Questo vuoldire anche una diminuzione dell’ancillaritàche, spesso, ha l’approccio pedagogico rispet-to a quello medico, e forse anche la necessitàdi fare una critica. Io sarei ancora più cattivodi Andrea Canevaro che prima ha parlatodegli psicologi e della ricerca di un mercato; iosento che stiamo assistendo a una patogenesidel mondo medico, cioè ci si inventa le malat-tie pur di avere clientela. Esempio emblema-tico è quello della ADHD [disturbo da deficitdi attenzione/iperattività, ndr], la sindromedella tremarella dietro la quale c’è un farma-co che guarisce tutti i problemi delle personenervose (ne trovassero uno per me!).

L’autonomia della scuola in funzionedella qualità della scuola

Quinto pensiero. Un altro aspetto, questopositivo, su cui vorrei richiamare la vostraattenzione è il seguente: io ho assistito, moltopiù di quanto potessimo pensare, a una gran-de evoluzione delle didattiche delle tecnolo-gie in questo decennio, la cui dimensione èdifficilmente definibile verbalmente. Giran-do, raccogliendo elementi, costruendo con laBDP (ora INDIRE) questo sito che abbiamoprovato a fare quando eravamo un Osserva-torio serio allo scopo di mettere in circuito le«buone prassi» (come la chiama Andrea Ca-

nevaro), abbiamo scoperto che sono molte dipiù del pensiero le scuole nelle quali, ad esem-pio, gli insegnanti producono autonomamen-te software, non comperano software. Dove,ad esempio, il rapporto tra didattica, appren-dimento individualizzato, tecnologie o altro,ha degli elementi interessanti. Ma qual è ilpunto? Il punto è che non sono sistema, nonsono buone prassi, sono buoni esempi, buonicasi. Devo riconoscere che c’è stato un passoin avanti sulla qualità didattica individuale eche essa non è diventata processo collettivo.Uno dei tentativi che noi avevamo cercato difare era stato quello di socializzare il più pos-sibile l’esperienza d’integrazione sapendo chenon esiste, per fortuna, un unico luogo dellaverità didattica, ma tante piccole verità che,se si mettono in rapporto dialogico, rendonopossibile a ognuno di noi trovare se non altrola strategia più ergonomica; non si capisceallora perché si debba fare più fatica di quan-to valga la pena, socializzando i percorsi. Que-sta è la ragione per cui, ad esempio, quando ènata l’autonomia noi abbiamo sperato (devodire che questa speranza non è oggi altret-tanto forte) che, rompendo i vincoli burocrati-ci verticali, dando forza e libertà alle scuole,fosse possibile smettere di emettere circolaridall’alto e di far circolare i percorsi e le espe-rienze. Le abbiamo provate tutte, ad esempioridimensionando i provveditorati (che, comevedete, invece ritornano), cercando di smet-terla con il ricatto delle scuole che mandanoprogetti solo per chiedere soldi, generalmen-te gonfiando i loro bisogni, piuttosto che direchiaramente alle scuole di arrangiarsi dopoaver preso i soldi. E allo stesso modo sullagestione degli organici, piuttosto che nellalogica dell’organico funzionale, «queste sonole risorse, trova tu le strategie», ancora ritor-na il motivo del supermercato, del posto inpiù, del posto in meno; cioè la tipica logicalineare di potere. Ebbene, l’idea di pensare auna scuola più capace di risolvere all’interno

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le sue competenze con maggior indipendenzaci attraeva e ci attrae molto. Non abbiamoavuto però l’impressione che in questi tre annidi autonomia siano state intraprese tutte leazioni necessarie perché l’autonomia si svi-luppasse, quindi non è colpa della scuola sel’autonomia non ha migliorato l’integrazione.

Riprendere la logica della concertazione

Sesto pensiero. E vengo al punto che inqualche modo mi inquieta di più. Noi aveva-mo una legge molto buona, la 328 di due annifa, che doveva diventare per noi la corniceentro cui reinserire tutto il tema dell’integra-zione nei rapporti con gli altri soggetti.

Questo è il tema che mi preoccupa di piùper le seguenti motivazioni. Poiché sono con-vinto che nella vita di un disabile il problemanon sia certamente solo la scuola ma anchel’esistenza concreta, l’autonomia nella città, irapporti con i soggetti della sua esperienza divita, la terapia, il lavoro. Guai a noi, quandoognuno di questi punti di vista agisce in unmodo separato! Ma questo «guai a noi» mi fadire che la sorpresa di questo decennio è chequello che maggiormente è fallito o è in crisinon è la singola aula, non è il singolo inter-vento terapeutico, non è il singolo interventolavorativo, ma l’integrazione di questi in unalogica comune. Siamo cioè davanti al para-dosso di un enorme spreco di leggi e di norme.Quando in un Paese si emanano troppe nor-me vuol dire che qualcosa non funziona nelcorpo normativo antecedente. Insomma, ilproblema che io sento di più è la crisi del-l’«integrazione dell’integrazione», cioè l’inte-grazione tra i diversi soggetti. Io sono del-l’idea (lo dico con convinzione in una provin-cia, in una città nella quale invece il tema delsistema integrato e della collaborazione traenti è uno dei punti principali dell’impegno)che sia necessario fare in modo che questitemi tornino a essere in comune. Utilizzo que-

sta parola sia nel senso dell’avverbio che del-la sostanza e cioè della necessità che i piani dizona, gli interventi tra i diversi soggetti sianocaratterizzati da un’essenza ideale. Questa èquella che io non sento. Reputo corretto chenoi operatori scolastici, l’ente locale da unaparte e il settore sanitario dall’altra, com-prendiamo che è inevitabile lavorare in stret-ta collaborazione e che allora fare patti terri-toriali e accordi di programma orizzontali,alla pari, è nell’interesse di ognuna delle am-ministrazioni, perché ottimizza e migliora ilproprio esercizio. Noi siamo ancora invecemolto spesso limitati da sentimenti di gelosiadelle competenze.

Io vengo da un contesto nel quale la Regio-ne dove lavoro (l’Emilia Romagna), assegnadei finanziamenti, il Ministero dà dei finanzia-menti, ma la mano sinistra non sa quello chedà la mano destra, perché può accadere che lamedesima scuola chieda lo stesso computeralla Regione e al Ministero. Probabilmente ilproblema vero non è tanto chiedere i finanzia-menti, ma che ai due soggetti che li dannopiace tanto decidere individualmente chi sia-no i destinatari, piuttosto che trovare un terre-no comune: è dunque inevitabile lo spreco!

Pensare all’altro ente, all’altro soggettocome partner necessario mi pare sia un ele-mento fondativo di un’idea molto importante,ovvero che la modifica della Costituzione ciaveva posto quella della sussidiarietà oriz-zontale. L’autogoverno dei processi dovrebbepartire dal basso. Io sono molto soddisfattodel contenuto dell’ultima circolare del 30 aprileemanata dalla Direzione del territorio perquanto riguarda la disabilità. Oggi c’è questonuovo Osservatorio che potrebbe avere un’al-tra idea rispetto alle indicazioni del 30 aprile,che vede le scuole autonome titolari degliAccordi di Programma e non più i Provvedito-rati. Naturalmente, voi capite che potrebbeanche essere una grida manzoniana: la singo-la scuola non è in grado neppure di gestire gli

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organici, come potrebbe fare un accordo? Manoi dobbiamo avere un atteggiamento ottimi-sta e pensare che solo i soggetti concreti, gliinsegnanti, gli operatori, i servizi locali, i sog-getti che agiscono concretamente con l’indivi-duo possono essere in grado di fare un proget-to di vita se hanno titolarità di decisione, nonse poi devono chiedere a qualcun altro confer-me sull’utilità delle loro decisioni.

I rischi del «conservatorismocompassionevole»

Settimo pensiero. Io non vorrei guardareal futuro con gli occhi della nostalgia, dicevoall’inizio. Sento aleggiare il conservatorismocompassionevole ormai come un atteggiamen-to che si insinua un po’ dappertutto. Cioèl’idea che, in fondo, questa società che cerca digarantire a tutti delle opportunità non ce lafaccia a soddisfare le aspettative generali. Eche forse si addice, a chi fa più fatica, a chi èpiù lento, piuttosto che pensare a dei percorsisuoi personali, la pietà di dire: «Basta che tufaccia quello che puoi» o come si dice dalle mieparti: «Sangue dal muro non se ne cava». Que-sto è il terreno della qualità pelosa, che staemergendo, non ancora in un modo eclatantecon delle norme, ma ad esempio con le nuovecurve fiscali! Il modo con cui si produce welfa-re determina poi contenuti concreti: se ci sa-ranno meno soldi per lo stato assistenziale ciòdeterminerà meno servizi, meno scuola, menoospedali, meno strutture. Mi preoccupa il fat-to che quel miracolo al quale pensavamo, ecioè una società concretamente più amiche-vole per tutti, possa essere pensata come unasocietà competitiva per chi ce la fa e, per chinon ce la fa… fortunatamente ci restano unpo’ di briciole della nostra carità, perché in-fondo siamo buoni.

Insomma: il miracolo della nostra norma-lità italiana non è dato per sempre. Abbiamoancora molto da lavorare.

DARIO IANES: ringrazio Raffaele Iosa per ilsuo intervento appassionato e mi associo alsuo auspicio che le diversità diventino la nor-malità nei sistemi formativi. Anche se credoche la recente ipotesi di dividere i maschidalle femmine nelle scuole non vada in quelladirezione, speriamo che sia la solita boutadedi qualche politico che vuole emulare GeorgeW. Bush. Io lo ringrazierei, a titolo personalee collettivo, anche per il lavoro che ha fattocoordinando l’attività dell’Osservatorio inquesto periodo di tempo.

6. Massimo Nutini

Inizierò facendo quello che mi ero ripro-messo di non fare: parlare di pedagogia. Pre-metto che mi ero preparato un intervento acarattere prettamente normativo, identifican-do il mio principale interlocutore nell’Avv. No-cera con il quale mi sarebbe piaciuto e mipiacerà, perché più sinteticamente lo farò,confrontarmi su alcuni problemi aperti, cheio vedo dal punto di vista degli enti locali e luivede dal punto di vista della scuola.

Nuovo impulso alla sperimentazionedidattica

Il fatto è che, in vista di questo incontro,mi sono messo a rileggere, tra l’altro, la legge517 del 1977 e non mi sono soffermato sull’in-tegrazione scolastica. L’attenzione mi è cadu-ta su quell’articolo che, credo per la primavolta, ha regolamentato il fatto che le scuoleove si sperimenta la non utilizzazione di libridi testo avrebbero potuto, e possono ancoraoggi, richiedere al Comune la somma corri-spondente al numero dei libri che il Comuneavrebbe dovuto acquistare per gli alunni. Ioho lavorato tanto in un Comune piccolo, con200 alunni, ma da alcuni anni sono a Prato,dove ci sono complessivamente 25.000 alun-

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ni. Non c’è una classe che abbia chiesto que-sta cosa; allora ho chiesto a chi ci lavora daqualche anno se si ricordava se qualcuno aves-se chiesto l’applicazione di questa norma!Volevo togliermi la curiosità di sapere se, al-meno anni addietro, qualcuno si fosse avvalsodi questa norma.

Non volevo parlare di didattica, ma nonriesco a non lanciare qualche stimolo, ancheperché ho avuto amici insegnanti che la pri-ma cosa che ti facevano vedere quando anda-vi a casa loro, a trovarli (perché finalmente sipoteva stare un’ora insieme o perché magarierano cominciate le vacanze), era il libro o ilibri che avevano costruito quell’anno insie-me ai bambini della scuola, perché erano or-gogliosissimi di non aver adottato alcun librodi testo e di aver costruito dei libri insieme ailoro ragazzi. Alcuni ne facevano tanti: ricordoun amico che li faceva grandi e usava preferi-bilmente la carta gialla e questi libri eranotutti colorati, rilegati molto artigianalmente,con tante cose ritagliate da qualsiasi cosa,con tante storie vere e inventate. In altrescuole se ne faceva magari uno solo, più gran-de, più corposo.

È una storia di oltre dieci anni fa. Unascuola aveva vinto il concorso de «Il Corrieredei piccoli» intitolato «Disegna un giardinofantastico». Il premio consisteva in mille bul-bi di tulipani, che sarebbero stati inviati al-l’inizio dell’anno scolastico successivo da unaditta olandese. E fu così che, per quell’annoscolastico, tutte le materie furono svolte at-torno ai tulipani. I bulbi arrivarono un po’ inritardo (mi pare a metà dicembre) e, datal’urgenza di interrarli, per quell’anno si ri-nunciò anche a parte delle vacanze di Natale.Insegnanti, ragazzi e genitori erano tutti in-tenti a zappare attorno alla scuola, a sistema-re i bulbi secondo una disposizione geometri-ca discussa e decisa nelle settimane prece-denti! Si utilizzavano grandi righelli e si face-

vano complicati calcoli attorno alle aiuole (ma-tematica e geometria). E poi le osservazioniscientifiche e le esperienze di coltivazione inaula con l’idrocoltura (scienze). La mitologiadel tulipano e di altri fiori: iris a narciso invarie epoche (storia). L’Olanda, l’Europa e con-fronti con altre regioni (geografia). E i testi,tanti testi (italiano). Insomma, il tulipano fustudiato proprio sotto tutti i punti di vista!Alla fine dell’anno era nato il libro dei tulipa-ni! E questo era il loro libro di testo.

Siccome siamo tra amici, io vorrei chieder-vi se i problemi che a volte rileviamo in rela-zione a un certo decadimento della sperimen-tazione, e della qualità stessa delle relazionitutte che si costruiscono nella scuola (che tan-to incidono anche sulla qualità dell’integra-zione degli alunni diversamente abili), sianonati dopo le ultime elezioni o se erano preesi-stenti. Vorrei domandare se il nostro livello diattenzione in relazione alla manutenzione,alla documentazione e alla circolazione dellebuone prassi non fosse già calato. Vorrei sape-re se la stessa riforma dei cicli del governoprecedente non fosse già una vuota architet-tura a causa dei continui aggiustamenti peraccontentare tutti: l’anima popolare e quellaaristocratica, come le chiama Maragliano; latensione utopistica e quella impiegatizia; lepressioni clericali e quelle confindustriali…

Attenzione per le architettureo per la progettualità?

I dieci anni che ci separano dalla 104 sonopur sempre dieci anni che devono essere inse-riti in un contesto più ampio che ha condizio-nato, e condiziona, le vicende dell’integrazio-ne scolastica. L’attenzione per le architettureha forse sacrificato, e in questo mi ricollego aquello che è stato detto prima, l’attenzioneper la progettualità che viene dagli insegnan-ti e dalla scuola come comunità educante,come si diceva una volta. Anche perché, solo

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per fare un esempio, il problema del ragazzoche arriva, che può avere delle specifiche ne-cessità sia, come dovrebbe essere, un proble-ma di tutti, in particolare di tutto il plesso.Che cos’è una comunità se non un luogo fisicodi persone che si ritrovano quotidianamentein uno stesso contesto materiale e istituzio-nale? Come si risponde ai ragazzi, e non pen-so solo a quelli in situazione di handicap, chehanno bisogno di un qualcosa di più dellasingola classe, della singola aula? Che hannobisogno di muoversi, di spaziare, di vivereuna loro simpatia con un insegnante di un’al-tra classe, con un bidello, con un singolo ra-gazzino? Come ci si organizza per farsi caricodi queste esigenze?

Ma, venendo al tema della Tavola rotondae rientrando nel mio ruolo di rappresentantedegli enti locali, credo che tre cose debbanoessere dette, innanzitutto, dal punto di vistadei Comuni.

Principi di sussidiarietà,differenziazione, adeguatezza

La prima è che noi crediamo che sia moltoimportante proseguire sulla strada della sus-sidiarietà, intesa come alleggerimento del cen-tralismo e della burocrazia statale e comericonciliazione dei cittadini con i servizi pub-blici, che dovranno avere sempre una mag-giore qualità ed essere gestiti ai livelli piùvicini ai soggetti sociali. Crediamo che unamaggiore autonomia e, quindi, una maggioreresponsabilità possano aiutare a superare lacrisi che, non di rado, rende ancora oggi lacosa pubblica inefficiente, ostile e pesante.Solo localmente conosciamo quel bambino,noi perché è nostro cittadino, voi perché èvostro alunno, ne parliamo insieme e vedia-mo che cosa si possa fare meglio e tutto ciò èsicuramente positivo.

La seconda precisazione è che ci devonoessere principi fondamentali e livelli minimi

essenziali delle prestazioni, garantiti su tuttoil territorio nazionale. La stessa legge 104/92è una legge di principi che definisce livelli diassistenza, d’integrazione sociale e di dirittiche devono essere assicurati, ovunque, allepersone in situazione di handicap. I livelliessenziali e i principi devono essere nazionalie sovranazionali. Sarebbe molto pericolosospostare la potestà legislativa, in relazione aquesti poteri, a livello regionale. Si aprirebbela strada sia a forti differenziazioni tra regio-ne e regione, sia a un nuovo centralismo buro-cratico che, dal livello regionale invece che daquello statale, ostacolerebbe la crescita siadelle autonomie locali che delle autonomiescolastiche. Anche in relazione alle sedi piùopportune per la ridefinizione degli accordi diprogramma ex art. 23, comma 1, lett. a, della104, il problema non è quello di trovare lasede «gerarchicamente» competente ma l’ap-plicazione dei principi costituzionali di sussi-diarietà, differenziazione e adeguatezza e ilrigoroso rispetto delle autonomie scolastichee locali.

La terza osservazione è la seguente. Sullospecifico dell’integrazione scolastica deglialunni disabili deve essere detto che, comeenti locali, siamo convinti non solo del grandevalore civile di tale scelta, ma anche dei van-taggi che ne derivano, nei rapporti tra i com-pagni di classe e oltre la classe, sia dall’in-staurarsi di semplici e informali relazionid’aiuto, sia nella facilitazione dell’apprendi-mento e nell’arricchimento dei contenuti, pertutti e non solo per qualcuno. Quale missioneeducativa possiamo oggi immaginare insie-me, senza valorizzare le diversità e senza fa-vorire le libertà di ciascuno nell’apprendimen-to? Non di rado (specie in quest’aula di Consi-glio Comunale) si sente parlare di tornare avalorizzare l’educazione civica. Quale modomigliore? Solo in un simile contesto la scuoladell’autonomia, della flessibilità e dell’indivi-dualizzazione degli interventi può accompa-

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gnare meglio la crescita e la formazione civi-ca di ciascuno.

Ogni volta che si presenta un nuovo e di-verso problema, e ciò accade molto spessonella realtà sociale e individuale, dobbiamoimparare a vederlo come un’occasione per ri-definire le relazioni tra tutti i soggetti istitu-zionali interessati. Una specie di verifica pervedere se gli strumenti che ci siamo dati fun-zionano, forniscono risultati adeguati, oppu-re devono essere rimessi in discussione. Eogni volta che si trova una nuova soluzione, lasi deve studiare e documentare per renderla,come diceva Canevaro, riproducibile, allarga-bile, consueta e non episodica. Le buone pras-si, insomma, non sono solo quelle didattiche,ma anche quelle delle relazioni istituzionali.

Nel capire i nuovi ruoli che ci sono statiaffidati (come scuole e enti locali), e per i qualidobbiamo saper rispondere e saperci assu-mere le conseguenti responsabilità, io credoche gli enti locali siano molto indietro, piùindietro della scuola. Vado in giro a incontra-re gli enti locali e capisco che quelle paroleche sono scritte negli artt. 137, 138 e 139 deldecreto legislativo 112/98, che diventerà com-pletamente operativo dal 1° settembre 2002,non sono stati compresi appieno. Spesso si èsolo coscienti, e erroneamente preoccupati,delle nuove competenze amministrative neiconfronti delle scuole non statali, ma non sisono capite completamente le potenzialitàdelle nuove attribuzioni di funzioni e compiti.Chi si è reso conto, ad esempio, che i fondiiscritti al bilancio dello Stato ai capp. 7350,7450 e 7550, finalizzati alle «spese per attrez-zature tecniche, sussidi didattici e ogni altroausilio tecnico per l’integrazione scolasticadella persona disabile», transiteranno daiComuni, invece che dai disciolti Provvedito-rati? È urgente che i Comuni capiscano che lenuove responsabilità relative ai piani di uti-lizzazione degli edifici, ai piani di ridimensio-namento delle istituzioni scolastiche, all’or-

ganizzazione delle reti, ecc. implicano ancheuna relazione nuova e diversa con le scuoledell’autonomia.

Non si è compreso totalmente, inoltre, ilvalore dell’idea del «Progetto di vita», che vuoldire pensare a quel minore che diventerà adul-to e dovrà assumersi le proprie responsabili-tà, sia pure rapportate alla presenza di deficite di compromissioni ma che, come ogni indivi-duo, ha il diritto-dovere di crescere.

Infine bisogna, e questo tutti insieme, cre-dere di più nel rapporto tra scuola e famiglia:può portare grandi vantaggi alla crescita ditutti e aiutare tutti i soggetti in campo arivedere i propri punti di vista.

Interventi sull’edilizia scolastica

Negli enti locali, non solo dobbiamo cre-scere in relazione a queste responsabilità, madobbiamo ancora completare una serie di com-petenze che ci sono state attribuite. Prima ditutto, è bene dirlo, occorre effettuare gli inter-venti sull’edilizia scolastica e sull’abbattimen-to delle barriere architettoniche. È uscita inquesti giorni un’indagine svolta recentemen-te dal Ministero dell’Istruzione sulla situa-zione dell’edilizia scolastica, da cui è emersocome esistano ancora barriere architettoni-che nel 70% degli edifici nazionali: quindi c’èancora tanto da lavorare. L’unico dato cheposso evidenziare è che siamo riusciti quasiovunque a realizzare abbattimenti, non dicoa Prato (dove siamo messi un po’ meglio) ma,parlando a livello nazionale, nel piano dovearriva il bambino e abbiamo lasciato in sospe-so altri piani, liberando quindi la possibilitàdi circolazione dell’alunno con problemi dideambulazione, magari su un piano, ma man-tenendo la necessità di ulteriori interventi.Mentre su altri dati, sempre relativi agli edi-fici (messa a norma degli impianti, certificatoprevenzione incendi, ecc.), risulta che il Cen-tro-Nord è messo meglio, sulle barriere archi-

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tettoniche, tutto sommato, questo non sem-bra. Bisogna dire a questo punto che, dal 1996in poi, non è stata finanziata, quest’anno, lalegge sull’edilizia scolastica n. 23/96. Per laprima volta nel bilancio dell’anno 2002 e an-che 2003 non ci sono soldi per la qualificazio-ne degli edifici scolastici.

L’assistenza di base

Devo dire che qualche problema c’è statosull’assistenza di base e sull’assistenza spe-cialistica. Mi piacerebbe e mi piacerà parlareanche con Salvatore Nocera di questa que-stione perché, mentre abbiamo ormai capitoche l’assistenza di base, intesa come igienepersonale, uso dei bagni, assistenza duranteil pranzo, ecc. compete al collaboratore scola-stico, qualche problema rimane sulla cosid-detta assistenza specialistica.

Prima di addentrarmi nella questione, però,riterrei utile una breve digressione sull’obbli-gatorietà per il collaboratore scolastico dellamansione «assistenza di base». Tale parentesirisulta necessaria, in quanto pare che un sin-dacato minore continuerebbe a mettere in di-scussione l’esigibilità di tale mansione.

Come sapete il contratto di lavoro del com-parto scuola, nel suo testo vigente, riportaall’interno del profilo del collaboratore scola-stico le seguenti parole: «Vanno comunquegarantite, attraverso particolari forme di or-ganizzazione del lavoro e l’impiego di funzio-ni aggiuntive o l’erogazione di specifici com-pensi, le attività di ausilio materiale agli alun-ni in situazione di handicap, per esigenze diparticolare disagio e per le attività di curaalla persona […]». La teoria di questo sinda-cato sarebbe che l’obbligo sarebbe riferito aldirigente scolastico ma non al collaboratore.Tale teoria non regge per due motivi: in primoluogo perché le parole che abbiamo appenaletto sono state inserite nel mansionario delbidello e non in quello del dirigente; in secon-

do luogo perché gli strumenti indicati (orga-nizzazione del lavoro, funzioni aggiuntive, spe-cifici compensi) sono chiaramente rivolti alcollaboratore. Visto che ci siamo vale anche lapena di sottolineare che gli strumenti sonotre e non solo uno; ne consegue, ad esempio,che anche quando il numero delle funzioniaggiuntive di cui un istituto può disporre ri-sultasse insufficiente, un dirigente scolasticopotrà senz’altro utilizzare lo strumento degli«specifici compensi» che, di fronte a documen-tate e dimostrabili carenze di risorse dell’Isti-tuto, potranno portare a compensi inferiori aquelli previsti per la funzione aggiuntiva. In-somma, nella normativa vigente sulla que-stione dell’assistenza di base c’è assoluta chia-rezza. Si tratta solo di stare vigili e di esigereil rispetto dei diritti. Non è solamente unaquestione formale, in quanto si tratta di pro-blematiche attorno alle quali può andare incrisi l’intero progetto di accoglienza e integra-zione dell’alunno in situazione di disabilità.

Prima di tornare alla questione «assisten-za specialistica», mi pare che sia utile ricorda-re anche l’assistenza per la comunicazione, lacui competenza rimane assegnata alle pro-vince, e l’assistenza sanitaria che è delle ASL.

Veniamo allora all’assistenza specialisti-ca. Anche questa deve essere letta da duepunti di vista: uno, di nuovo, sanitario, e l’al-tro educativo. Per la parte sanitaria non sipuò che riferirsi alla specifica normativa re-lativa alle professioni sanitarie (L. 10 agosto2000, n. 251; DM Sanità 29 marzo 2001; DMSanità 2 aprile 2001). Gli «specialisti» in real-tà sono il neuropsichiatra, lo psicologo e cosìvia; l’educatore professionale, il logopedista,il fisioterapista, il neuropsicomotricista del-l’età evolutiva sono tutte professioni sanita-rie-riabilitative, tecnico-sanitarie o della pre-venzione. Le Aziende Sanitarie Locali devonomettere a disposizione tali professionalità,anche nel contesto scolastico, in relazione aspecifici progetti.

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La logica della programmazioneconcertata

Individuate tutte queste figure, cos’è allo-ra l’assistenza specialistica di competenza del-l’ente locale? Guardate che questa cosa, se-condo me, volendo, non esiste. Vorrei fare unaprovocazione, nei confronti di Nocera, su que-sto. Quando il DPR 616 parlava degli inter-venti di assistenza medico-psichica e dell’as-sistenza per i minorati psicofisici intendeva,in primo luogo, quella di ambito sanitario e,in secondo luogo, quella che era di competen-za dei bidelli. La 104 stessa quando parla, inquel famoso inciso del comma 3 dell’art. 13,della «assistenza per l’autonomia di cui alDPR 616, art. 42» intende la stessa cosa. Se illegislatore avesse avuto l’intenzione di am-pliare la sfera di competenze degli enti localilo avrebbe fatto in modo esplicito: così non ènella 104. Preciso che vi sta parlando uno checrede nella possibilità e nella necessità cheanche i Comuni e le Province impegnino ri-sorse per l’assistenza ai disabili, ma la miatesi è che il piano sul quale ci si deve porrenon è la rivendicazione nei confronti dell’entelocale di una «somministrazione dovuta», ben-sì la condivisione di progetti e di interventivolti alla migliore integrazione e al successodel progetto educativo individualizzato.

Se fate una ricerca per trovare la parola«specialistica», in relazione alla disabilità nellanormativa scolastica, la trovate per la primavolta nell’art. 2 della legge che citavo in aper-tura del mio intervento, la 517 del ’77. Laprevisione di tale articolo è sostanzialmentetrasfusa nel Testo Unico del ’94, nel comma 2dell’art. 320, dove è previsto che «sulla basedel programma predisposto dal consiglio sco-lastico distrettuale possono essere assicurateulteriori forme d’integrazione specialistica edi sostegno, nonché interventi socio-psico-pe-dagogici, secondo le rispettive competenze,dallo Stato e dagli enti locali, nei limiti dellerispettive disponibilità di bilancio».

Troviamo già in queste parole la logicadella programmazione concertata in ambititerritoriali più ampi, che garantisce il coin-volgimento dei soggetti interessati, nonchéun uso più efficace e razionale delle risorse,che sarà poi sviluppata dalla 104.

Da questo punto di vista la normativa del-la disabilità — e, tra questa, in particolare la104 — è esemplarmente anticipatrice di queimodelli orizzontali di gestione locale del si-stema educativo dell’istruzione e formazionedi cui parlava Raffaele Iosa.

Come è accaduto altre volte, i modelli pe-dagogici e organizzativi che si sono disegnatie sperimentati per l’integrazione dei soggettidiversamente abili si sono poi rivelati esten-sibili e utili al sistema nel suo complesso.

Al di là delle architetture disegnate dalla104, lo spirito che pervade questa legge inrelazione al coinvolgimento di tutti i soggettidel sistema è di grande attualità e potrà tro-vare il necessario rilancio se, a livello locale, ivari soggetti in campo sapranno operare perrealizzare momenti stabili di rilevazione deibisogni, di comprogettazione e di condecisio-ne su tutti gli aspetti del sistema dell’educa-zione e non solo su qualche specifico bisogno.

Concordo con Nocera sul fatto che le re-centi circolari emanate dal Ministero del-l’istruzione (139 del 13 settembre 2001; 3390del 30 novembre 2001; 645 del 11 aprile 2002;186 del 30 aprile 2002) dimostrano di esserecoerenti con la positiva ispirazione della 104che appena adesso ho citato.

Conflitti di competenza tra Comunie Province

Come enti locali dobbiamo, invece, risolve-re la questione rimasta aperta sul conflitto dicompetenze tra i Comuni e le Province, inrelazione all’assistenza e al trasporto dei di-sabili frequentanti le scuole superiori, nonsolo perché non vogliamo che nessuno di que-

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sti utenti rimanga senza servizi, ma ancheperché questa diatriba sta impedendo il ne-cessario rinnovo degli accordi di programma.La posizione dei Comuni al riguardo è moltosemplice: tutta la normativa che ordina laripartizione delle competenze tra Comuni eProvince assegna ai primi le competenze inrelazione alla scuola di base e alle secondequelle relative alle superiori. C’è poi l’art. 139,comma c), del decreto legislativo 112 del ’98 ilquale dice testualmente che «sono attribuitialle Province, in relazione all’istruzione se-condaria superiore, e ai Comuni, in relazioneagli altri gradi inferiori di scuola, i compiti ele funzioni concernenti i servizi di supportoorganizzativo del servizio di istruzione per glialunni con disabilità o in situazione di svan-taggio».

Sul nuovo Osservatorio sulla disabilitàdevo lamentare il fatto che, oltre a non essercila scuola, non sono rappresentati gli enti loca-li, e questa mi sembra una cosa particolar-mente grave perché disconosce sia la concre-ta esigenza di concertazione sulla quale misono già soffermato, sia le autonomie locali escolastiche il cui ruolo è oramai chiaramentericonosciuto nella Carta costituzionale.

Sono completamente d’accordo con Noce-ra sul fatto che il GLIP debba essere riassun-to e riportato a livello regionale e collegato aquell’organo collegiale regionale previsto dalcomma 4 dell’art. 6 del DPR 347 del 2000,mentre a livello locale il GLIP dovrà esseresuperato e ridefinito nell’ambito della costru-zione di strutture di supporto a decisioni chedovranno essere costruite in una logica oriz-zontale di accordi di rete, sul modello cheabbiamo visto a Vicenza.

Un’ultimissima cosa: non dobbiamo maidimenticare l’impegno volto a valorizzare edare spazio alla progettualità degli insegnan-ti, che sono il motore primo della nascitadelle buone prassi. Ma, in questi ultimi tem-pi, ho anche maturato la convinzione che

dobbiamo occuparci di dare un aiuto allestrutture amministrative degli istituti auto-nomi, perché io vedo a quel livello formarsiun collo di bottiglia. Ciò rappresenta un osta-colo allo sviluppo delle relazioni, alla nascitadi accordi, alla nascita di centri territoriali,allo sviluppo di progetti di qualità. Sono sta-te ribaltate sulle scuole competenze ammi-nistrative notevoli e non sono stati dati né iltempo sufficiente, né la formazione, né ilnecessario supporto. Le strutture di suppor-to che avrebbero dovuto funzionare come cen-tri di servizio per dare aiuto alle scuola auto-nome, o sono state sospese, come il CIS, osono state perpetrate in funzioni gerarchi-che, come il CSA.

Con questo spero di aver fatto cenno aiprincipali problemi aperti che, a dieci annidalla 104, rappresentano le scommesse diquesti giorni per difendere i principi di talelegge, puntando a uno sviluppo del modellointeristituzionale in essa disegnato, anche perdiffonderlo a tutti i livelli della pianificazionee programmazione del sistema territorialedell’istruzione e della formazione.

7. Marco Armellini

Quando si parla di integrazione si parlasoprattutto di un lavoro sui contesti e quindicredo si debbano affrontare, punto per punto,i contesti nei quali ci muoviamo.

Il contesto lessicale

Il primo contesto è di tipo lessicale, cioèrelativo alle parole che usiamo. A mio parere,continuare a parlare di handicap (e qui giànel 1992, quando uscì la legge 104, franca-mente il ricorso a questo termine mi parevaun passo indietro anche rispetto a quanto eramaturato a partire dalla 517) rappresenta ungrave limite. Un limite perché handicap vuol

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dire svantaggio e comporta una concezione euna cultura dell’anormalità e dello svantag-gio; è un termine che viene dalle «corse deicavalli», che non ci conferisce grandi possibi-lità se non quelle di prevedere delle garanziemolto generiche, «a ombrello», che non riesco-no poi a cogliere la realtà dei soggetti che citroviamo davanti. Dobbiamo decidere se con-tinuare a parlare di handicap oppure di disa-bilità, o meglio ancora di bisogni speciali (spe-cial needs, nel linguaggio degli autori anglo-sassoni). Io sono per l’ultima scelta, ma laseconda può essere già un passo avanti per-ché, come diceva un vecchio pediatra boemo,la vita non è una corsa di cavalli, in cui qual-cuno parte con uno svantaggio, ma un ritor-no, un continuo ritorno.

Il contesto legislativo

Il secondo contesto è di tipo legislativo, eriguarda in primo luogo la legge 104, che hacome modello quello dell’invalidità applicatoal campo delle disabilità (riduzione della ca-pacità lavorativa/riduzione della capacità diautonomia). Così l’integrazione nella scuoladiventa = certificazione + insegnante di so-stegno + (assistenza), e non una modificazio-ne del contesto, dell’ambiente. Qual è il rap-porto tra handicap e scuola nella 104? In real-tà si può dire che ci siano due leggi in una,perché, da una parte, abbiamo gli articoli 3 e4 che ci parlano di handicap come menoma-zione stabile, permanente o progressiva men-tre, poco più avanti, troviamo tutta un’altralegge (gli articoli 11-13) che riguarda lo svan-taggio dell’apprendimento. Di fatto, non c’èniente di esplicito, però la realtà empirica èche ci troviamo di fronte a due percorsi diver-si: da una parte la Commissione per l’invali-dità un po’ modificata, dall’altra lo specialistadel servizio sanitario nazionale che provvedeall’individuazione dello svantaggio nell’ap-prendimento.

C’è poi il contesto istituzionale, che com-prende la sanità pubblica, la scuola e gli entilocali. Nell’ambito sanitario c’è, nella mag-gior parte delle Regioni, sicuramente in pri-mo luogo un problema quantitativo, di risor-se e di personale. Ho fatto l’anno scorso, as-sieme al dipartimento salute della RegioneToscana, una rapida inchiesta sulle risorsedestinate alla salute mentale dell’infanzia edell’adolescenza, che dovrebbero aggirarsi in-torno al 2%; in realtà, nelle situazione mi-gliori, si tratta dello 0,75% delle risorse com-plessive. Quindi, chiaramente, se non ci sonole persone che possono fare un determinatolavoro, esso ovviamente non viene svolto oviene svolto in una maniera superficiale eaffrettata. Ma il problema è anche di tipoorganizzativo: il fatto che, ad esempio, la legi-slazione toscana abbia spinto verso la crea-zione delle unità funzionali multiprofessio-nali al posto delle vecchie unità operativerappresenta già un passo in avanti, anche seci sono tante realtà in cui questo non è avve-nuto. Poter ragionare in termini di gruppi dilavoro, dove vi sono delle competenze diver-se, è già un significativo progresso rispetto asommare in maniera estemporanea questecompetenze, senza che vi sia sotteso alcunprogetto globale.

Il contesto scolastico

C’è poi il contesto della scuola, quello incui, di fatto si svolge il processo di integrazio-ne. La questione dell’autonomia degli istitutiscolastici è, a mio parere, una grande occasio-ne, che potrebbe portare ogni istituto a orga-nizzare e coltivare le proprie risorse, non soloin termini di insegnanti di sostegno, e quindidi rapporto tra insegnanti e alunni «certifica-ti», ma anche di esperienze, materiali, storie,capacità di coinvolgere la comunità, ecc. Sa-rebbe così scandaloso vedere sparire le certi-ficazioni che non garantiscono niente e sosti-

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tuirle con delle vere diagnosi funzionali, pen-sate su misura del contesto, indipendente-mente da chi le rilascia, metterci a ragionaresui bisogni, stabilendo comunque alcune ga-ranzie sostanziali (barriere, ausili, personale,modificazione dei curricula e delle offerte for-mative)? Sarebbe così drammatico che non cifossero più gli insegnanti di sostegno, a paritàdi numeri di personale, ma che tutti gli inse-gnanti venissero messi in condizione di ri-spondere meglio (ognuno a suo modo e secon-do le proprie competenze) ai bisogni speciali,integrati da altre figure di tecnici ed educato-ri? Penso ad esempio che, se in ogni istituto cifosse una persona, anche una sola, con com-petenze di comunicazione alternativa, potreb-be predisporre e mantenere progetti indivi-duali per tutti gli alunni che ne hanno biso-gno.

Nei rapporti tra le istituzioni, il problemaè trovare la strada di pensare dei buoni accor-di di programma, che facilitino la comunica-zione e che consentano davvero di fare pro-getti.

Bisognerebbe cominciare, come credo sistia facendo quando si ricorre a quelle chesono le buone prassi, a rovesciare il discorso ea parlare non più di svantaggio ma di bisognispeciali, che poi a volte non sono così speciali!Io credo che una parte dei bisogni manifestatidai bambini, dai ragazzi che si avvalgono del-l’integrazione, che hanno bisogno di un inter-vento in più per l’integrazione nel percorsoscolastico, siano bisogni che poi rappresenta-no un arricchimento per tutti, perché il biso-gno del bambino che ha problemi di mobilitàè quello di una scuola in cui sia più facilemuoversi; il bisogno di un bambino con ritar-do mentale è quello di una scuola dove sifaccia veramente di più, dove ci sia moltomeno spazio per le fotocopie e molto più spa-zio per attività caratterizzate da maggioreconcretezza, dove si possa lavorare anche atanti altri livelli diversi e non soltanto a quel-

lo della comunicazione verbale; il bambinocon disturbi specifici dell’apprendimento ciporta a fare i conti con l’uso di canali di comu-nicazione e insegnamento che non si avvalga-no solo della scrittura e della lettura (ancorale schede e le fotocopie!). Il bambino con di-sturbi dell’attenzione ci pone di fronte al pro-blema di farlo annoiare meno, di dargli cosepiù interessanti, di avere veramente intornoqualcuno che sia motivato a essere oggettodel suo interesse e non soltanto a trasmetter-gli qualche informazione.

Qualità e progettualità

Ora, io credo che i punti essenziali sianoquelli della qualità e della progettualità. Qua-lità significa, in primo luogo, evitare le cattiveprassi. Prima, Iosa parlava della medicaliz-zazione che viene avanti, imputandola in qual-che modo al mondo della medicina. In realtà,credo sia un vizio che ci sta attanagliando conla complicità di tutti, perché la maggior partedegli invii che avvengono dalle scuole al no-stro servizio sono per disturbi specifici del-l’apprendimento. Il problema del non impa-rare a leggere e a scrivere è considerato unproblema medico-sanitario, prima di tuttodagli operatori scolastici: credo che siamo inun circolo vizioso che ci può portare veramen-te poco lontano, oppure siamo già molto lon-tano sulla strada del mancato riconoscimen-to della diversità dei percorsi evolutivi. Unaltro esempio di prassi che produce disabilitàè quello dell’anticipazione dell’insegnamentodelle tecniche di scrittura e lettura: è ormaiassodato, nella letteratura su quest’argomen-to, che l’anticipazione produce disturbi del-l’apprendimento della lettura e della scrittu-ra. Ritardare anche solo di un anno l’insegna-mento della lettura e della scrittura, sempli-ficare i codici, non proporne tre ma uno, adesempio, può ridurre molto le difficoltà inquesto ambito, perché il tempo in cui matura

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la disponibilità per accedere a queste compe-tenze è variabile da bambino a bambino; quin-di, se si comincia a cinque anni, siamo sicuridi ostacolarne almeno il triplo rispetto a quan-do si comincia a sette anni. Queste sono cosebanali, ma credo che valga la pena di ripeter-le. Ci sono poi bisogni molto speciali, che sonoquelli dei bambini che hanno delle necessitàche non valgono per tutti gli altri. Ora, sipensi ad esempio al fatto che l’adozione ditecniche di comunicazione alternativa, fin daiprimissimi anni, consente una grande ridu-zione dei problemi di comportamento nei bam-bini Down a dieci anni, semplicemente per-ché hanno uno strumento in più per potersiesprimere. Ciò vuol dire che queste compe-tenze dovrebbero essere molto più presentigià nelle risorse degli asili nido, per tutti ibambini che hanno problemi di comunicazio-ne di qualsiasi tipo. E significa anche chedobbiamo essere più capaci di riconoscere iproblemi fin dall’inizio. Questo è un problemache riguarda la sanità, chiaramente! Io credoche uno dei problemi principali sia quello dellaqualità dell’informazione che viene data dalmondo della sanità alla scuola. Quello cheattualmente comunichiamo alla scuola pro-babilmente vale molto poco, in genere, salvoqualche eccezione, perché gli strumenti cheutilizziamo forse non sono sufficienti; perchénon sono tante le competenze di orientamen-to degli interventi educativi speciali da partedel mondo della sanità; perché manca unaverifica comune dell’efficacia degli interven-ti. Si rischia allora di perdere un’occasionefondamentale, cioè la possibilità di crescerenella scuola di tutti. Qualità dell’informazio-

ne significa individuare meglio, prima, e conpiù accuratezza i bisogni, e proporre di conse-guenza degli interventi che modifichino il con-testo per amplificarne le potenzialità.

Sento, come ho detto più volte, la necessitàdi definire una gamma articolata e differen-ziata di bisogni, da indicare già nella diagnosifunzionale, per una maggiore chiarezza nelreperimento delle risorse e nell’individuazio-ne degli attori; potremmo quindi provare aschematizzare le risposte in termini di assi-stenza, o di funzioni ausiliarie:

– assistenza nell’uso del tempo, nel rispettodei bisogni di riposo e di attività, di com-pagnia, di rumore e di silenzio, di lonta-nanza e di vicinanza;

– assistenza alla cura della persona, chia-mando le cose con il loro nome: alimenta-zione, pulizia, vestirsi, svestirsi, uso del ba-gno, cambio del pannolone;

– assistenza nella mobilità: aiuto nell’usodegli ausili, cambiamento di posizione, spo-stamento;

– assistenza alla comunicazione: disponibili-tà e aiuto nell’impiego di comunicatori e distrumenti di comunicazione alternativa(anche molto poveri e poco tecnologici);

– assistenza al mantenimento della relazio-ne, della motivazione e dell’attenzione: nonsono pochi i bambini che hanno bisogno diun «compagno adulto» che medi il loro rap-porto con gli altri, li accompagni nell’usodella vita scolastica e che limiti le conse-guenze dell’impulsività, dell’aggressività,delle fughe, ecc.: non un guardiano o uncontrollore.