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Legge 5 febbraio 1992, n. 104 "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate." (Pubblicata in G. U. 17 febbraio 1992, n. 39, S.O.) Nota bene: quello che segue è il testo vigente dopo le ultime modifiche introdotte dalla e dal 1. Finalità. - 1. La Repubblica: garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società; b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali; c) persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e assicura i servizi e le prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata; d) predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona ha ndicappata. 2. Principi generali. - 1. La presente legge detta i principi dell'ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza della persona handicappata. Essa costituisce inoltre riforma economico-sociale della Repubblica, ai sensi dell'articolo 4 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5. 3. Soggetti aventi diritto. - 1. E' persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. 2. La persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative. 3. Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici. 4. La presente legge si applica anche agli stranieri e agli apolidi, residenti, domiciliati o aventi stabile dimora nel territorio nazionale. Le relative prestazioni sono corrisposte nei limiti ed alle condizioni previste dalla vigente legislazione o da accordi internazionali. 4. Accertamento dell'handicap. - 1. Gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell'intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua, di cui all'articolo 3, sono effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all'articolo 1 della , che sono integrate da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le unità sanitarie locali. 5. Principi generali per i diritti della persona handicappata. - 1. La rimozione delle cause invalidanti, la promozione dell'autonomia e la realizzazione dell'integrazione sociale sono perseguite attraverso i seguenti obiettivi: a) sviluppare la ricerca scientifica, genetica, biomedia, psicopedagogica, sociale e tecnologica anche mediante programmi finalizzati concordati con istituzioni pubbliche e private, in particolare con le sedi universitarie, con il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), con i servizi sanitari e sociali, considerando la persona handicappata e la sua famiglia, se coinvolti, soggetti partecipi e consapevoli della ricerca; b) assicurare la prevenzione, la diagnosi e la terapia prenatale e precoce delle minorazioni e la ricerca sistematica delle loro cause; c) garantire l'intervento tempestivo dei servizi terapeutici e riabilitativi, che assicuri il recupero consentito dalle conoscenze scientifiche e dalle tecniche attualmente disponibili, il mantenimento della persona handicappata nell'ambiete familiare e sociale, la sua integrazione e partecipazione alla vita sociale; d) assicurare alla famiglia della persona handicappata un'informazione di carattere sanitario e sociale per facilitare la comprensione dell'evento, anche in relazione alle possibilità di recupero e di integrazione della persona handicappata nella società; e) assicurare nella scelta e nell'attuazione degli interventi socio-sanitari la collaborazione della famiglia, della comunità e della persona handicappata, attivandone le potenziali capacità; f) assicurare la prevenzione primaria e secondaria in tutte le fasi di maturazione e di sviluppo del bambino e del soggetto minore per evitare o constatare tempestivamente l'insorgenza della minorazione o per ridurre e superare i danni della minorazione sopraggiunta; g) attuare il decentramento territoriale dei servizi e degli interventi rivolti alla prevenzione, al sostegno e al recupero della persona handicappata, assicurando il coordinamento e l'integrazione con gli altri servizi territoriali sulla base degli accordi di programma di cui all'articolo 27 della ; h) garantire alla persona handicappata e alla famiglia adeguato sostegno psicologico e psicopedagogico, servizi di aiuto personale o familiare, strumenti e sussidi tecnici, prevedendo, nei casi strettamente necessari e per il periodo indispensabile, interventi economici integrativi per il raggiungimento degli obiettivi di cui al presente articolo; i) promuovere, anche attraverso l'apporto di enti e di associazioni, iniziative permanenti di informazione e di partecipazione della popolazione, per la prevenzione e per la cura degli handicap, la riabilitazione e

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Legge 5 febbraio 1992, n. 104

"Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate." (Pubblicata in G. U. 17 febbraio 1992, n. 39, S.O.)

Nota bene: quello che segue è il testo vigente dopo le ultime modifiche introdotte dalla e dal

1. Finalità. - 1. La Repubblica:

garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società; b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali; c) persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e assicura i servizi e le prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata; d) predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona ha

ndicappata.

2. Principi generali. - 1. La presente legge detta i principi dell'ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza della persona handicappata. Essa costituisce inoltre riforma economico-sociale della Repubblica, ai sensi dell'articolo 4 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5.

3. Soggetti aventi diritto. - 1. E' persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. 2. La persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative. 3. Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici. 4. La presente legge si applica anche agli stranieri e agli apolidi, residenti, domiciliati o aventi stabile dimora nel territorio nazionale. Le relative prestazioni sono corrisposte nei limiti ed alle condizioni previste dalla vigente legislazione o da accordi internazionali.

4. Accertamento dell'handicap. - 1. Gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell'intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua, di cui all'articolo 3, sono effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all'articolo 1 della , che sono integrate da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le unità sanitarie locali.

5. Principi generali per i diritti della persona handicappata. - 1. La rimozione delle cause invalidanti, la promozione dell'autonomia e la realizzazione dell'integrazione sociale sono perseguite attraverso i seguenti obiettivi:

a) sviluppare la ricerca scientifica, genetica, biomedia, psicopedagogica, sociale e tecnologica anche mediante programmi finalizzati concordati con istituzioni pubbliche e private, in particolare con le sedi universitarie, con il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), con i servizi sanitari e sociali, considerando la persona handicappata e la sua famiglia, se coinvolti, soggetti partecipi e consapevoli della ricerca; b) assicurare la prevenzione, la diagnosi e la terapia prenatale e precoce delle minorazioni e la ricerca sistematica delle loro cause; c) garantire l'intervento tempestivo dei servizi terapeutici e riabilitativi, che assicuri il recupero consentito dalle conoscenze scientifiche e dalle tecniche attualmente disponibili, il mantenimento della persona handicappata nell'ambiete familiare e sociale, la sua integrazione e partecipazione alla vita sociale; d) assicurare alla famiglia della persona handicappata un'informazione di carattere sanitario e sociale per facilitare la comprensione dell'evento, anche in relazione alle possibilità di recupero e di integrazione della persona handicappata nella società; e) assicurare nella scelta e nell'attuazione degli interventi socio-sanitari la collaborazione della famiglia, della comunità e della persona handicappata, attivandone le potenziali capacità; f) assicurare la prevenzione primaria e secondaria in tutte le fasi di maturazione e di sviluppo del bambino e del soggetto minore per evitare o constatare tempestivamente l'insorgenza della minorazione o per ridurre e superare i danni della minorazione sopraggiunta; g) attuare il decentramento territoriale dei servizi e degli interventi rivolti alla prevenzione, al sostegno e al recupero della persona handicappata, assicurando il coordinamento e l'integrazione con gli altri servizi territoriali sulla base degli accordi di programma di cui all'articolo 27 della ; h) garantire alla persona handicappata e alla famiglia adeguato sostegno psicologico e psicopedagogico, servizi di aiuto personale o familiare, strumenti e sussidi tecnici, prevedendo, nei casi strettamente necessari e per il periodo indispensabile, interventi economici integrativi per il raggiungimento degli obiettivi di cui al presente articolo; i) promuovere, anche attraverso l'apporto di enti e di associazioni, iniziative permanenti di informazione e di partecipazione della popolazione, per la prevenzione e per la cura degli handicap, la riabilitazione e

l'inserimento sociale di chi ne è colpito; l) garantire il diritto alla scelta dei servizi ritenuti più idonei anche al di fuori della circoscrizione territoriale; m) promuovere il superamento di ogni forma di emarginazione e di esclusione sociale anche mediante l'attivazione dei servizi previsti dalla presente legge.

6. Prevenzione e diagnosi precoce. - 1. Gli interventi per la prevenzione e la diagnosi prenatale e precoce delle minorazioni si attuano nel quadro della programmazione sanitaria di cui agli articoli 53 e 55 della , e successive modificazioni.

2. Le regioni, conformemente alle competenze e alle attribuzioni di cui alla , e alla legge 23 dicembre 1978, n. 833 , e successive modificazioni, disciplinano entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge:

a) l'informazione e l'educazione sanitaria della popolazione sulle cause e sulle conseguenze dell'handicap, nonché sulla prevenzione in fase preconcezionale, durante la gravidanza, il parto, il periodo neonatale e nelle varie fasi di sviluppo della vita, e sui servizi che svolgono tali funzioni; b) l'effettuazione del parto con particolare rispetto dei ritmi e dei bisogni naturali della partoriente e del nascituro; c) l'individuazione e la rimozione, negli ambienti di vita e di lavoro, dei fattori di rischio che possono determinare malformazioni congenite e patologie invalidanti; d) i servizi per la consulenza genetica e la diagnosi prenatale e precoce per la prevenzione delle malattie genetiche che possono essere causa di handicap fisici, psichici, sensoriali di neuromotulesioni; e) il controllo periodico della gravidanza per la individuazione e la terapia di eventuali patologie complicanti la gravidanza e la prevenzione delle loro conseguenze; f) l'assistenza intensiva per la gravidanza, i parti e le nascite a rischio; g) nel periodo neonatale, gli accertamenti utili alla diagnosi precoce delle malformazioni e l'obbligatorietà del controllo per l'individuazione ed il tempestivo trattamento dell'ipotiroidismo congenito, della fenilchetonuria e della fibrosi cistica. Le modalità dei controlli e della loro applicazione sono disciplinate con atti di indirizzo e coordinamento emanati ai sensi dell'articolo 5, primo comma, della . Con tali atti possono essere individuate altre forme di endocrinopatie e di errori congeniti del metabolismo alle quali estendere l'indagine per tutta la popolazione neonatale; h) un'attività di prevenzione permanente che tuteli i bambini fin dalla nascita anche mediante il coordinamento con gli operatori degli asili nido, delle scuole materne e dell'obbligo, per accertare l'inesistenza o l'insorgenza di patologie e di cause invalidanti e con controlli sul bambino entro l'ottavo giorno, al trentesimo giorno, entro il sesto ed il nono mese di vita e ogni due anni dal compimento del primo anno di vita. E' istituito a tal fine un libretto sanitario personale, con le caratteristiche di cui all'articolo 27 della , su cui sono riportati i risultati dei suddetti controlli ed ogni altra notizia sanitaria utile a stabilire lo stato di salute del bambino; i) gli interventi informativi, educativi, di partecipazione e di controllo per eliminare la nocività ambientale e prevenire gli infortuni in ogni ambiente di vita e di lavoro, con particolare riferimento agli incidenti domestici. 3. Lo Stato promuove misure di profilassi atte a prevenire ogni forma di handicap, con particolare riguardo alla vaccinazione contro la rosolia.

7. Cura e riabilitazione. - 1. La cura e la riabilitazione della persona handicappata si realizzano con programmi che prevedano prestazioni sanitarie e sociali integrate tra loro, che valorizzino le abilità di ogni persona handicappata e agiscano sulla globalità della situazione di handicap, coinvolgendo la famiglia e la comunità. A questo fine il Servizio sanitario nazionale, tramite le strutture proprie o convenzionate, assicura:

a) gli interventi per la cura e la riabilitazione precoce della persona handicappata, nonché gli specifici interventi riabilitativi e ambulatoriali, a domicilio o presso i centri socio-riabilitativi ed educativi a carattere diurno o residenziale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera l); b) la fornitura e la riparazione di apparecchiature, attrezzature, protesi e sussidi tecnici necessari per il trattamento delle menomazioni. 2. Le regioni assicurano la completa e corretta informazione sui servizi ed ausili presenti sul territorio, in Italia e all'estero.

8. Inserimento ed integrazione sociale. - 1. L'inserimento e l'integrazione sociale della persona handicappata si realizzano mediante:

a) interventi di carattere socio-psico-pedagogico, di assistenza sociale e sanitaria a domicilio, di aiuto domestico e di tipo economico ai sensi della normativa vigente, a sostegno della persona handicappata e del nucleo familiare in cui è inserita; b) servizi di aiuto personale alla persona handicappata in temporanea o permanente grave limitazione dell'autonomia personale; c) interventi diretti ad assicurare l'accesso agli edifici pubblici e privati e ad eliminare o superare le barriere fisiche e architettoniche che ostacolano i movimenti nei luoghi pubblici o aperti al pubblico; d) provvedimenti che rendano effettivi il diritto all'informazione e il diritto allo studio della persona handicappata, con particolare riferimento alle dotazioni didattiche e tecniche, ai programmi, a linguaggi specializzati, alle prove di valutazione e alla disponibilità di personale appositamente qualificato, docente e non docente; e) adeguamento delle attrezzature e del personale dei servizi educativi, sportivi, di tempo libero e sociali; f) misure atte a favorire la piena integrazione nel mondo del lavoro, in forma individuale o associata, e la tutela del posto di lavoro anche attraverso incentivi diversificati; g) provvedimenti che assicurino la fruibilità dei mezzi di trasporto pubblico e privato e la organizzazione di trasporti specifici; h) affidamenti e inserimenti presso persone e nuclei familiari; i) organizzazione e sostegno di comunità alloggio, case-famiglia e analoghi servizi residenziali inseriti nei centri abitati per favorire la deistituzionalizzazione e per assicurare alla persona handicappata, priva anche temporaneamente di una idonea sistemazione familiare, naturale o affidataria, un ambiente di vita adeguato; l) istituzione o

adattamento di centri socioriabilitativi ed educativi diurni, a valenza educativa, che perseguano lo scopo di rendere possibile una vita di relazione a persone temporaneamente o permanentemente handicappate, che abbiano assolto l'obbligo scolastico, e le cui verificate potenzialità residue non consentano idonee forme di integrazione lavorativa. Gli standard dei centri socio-riabilitativi sono definiti dal Ministro della sanità, di concerto con il Ministro per gli affari sociali, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano di cui all'articolo 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400; m) organizzazione di attività extrascolastiche per integrare ed estendere l'attività educativa in continuità ed in coerenza con l'azione della scuola.

9. Servizio di aiuto personale. - 1. Il servizio di aiuto personale, che può essere istituito dai comuni o dalle unità sanitarie locali nei limiti delle proprie ordinarie risorse di bilancio, è diretto ai cittadini in temporanea o permanente grave limitazione dell'autonomia personale non superabile attraverso la fornitura di sussidi tecnici, informatici, protesi o altre forme di sostegno rivolte a facilitare l'autosufficienza e le possibilità di integrazione dei cittadini stessi, e comprende il servizio di interpretariato per i cittadini non udenti.

2. Il servizio di aiuto personale è integrato con gli altri servizi sanitari e socio-assistenziali esistenti sul territorio e può avvalersi dell'opera aggiuntiva di: a) coloro che hanno ottenuto il riconoscimento dell'obiezione di coscienza ai sensi della normativa vigente, che ne facciano richiesta; b) cittadini di età superiore ai diciotto anni che facciano richiesta di prestare attività volontaria; c) organizzazioni di volontariato.

3. Il personale indicato alle lettere a), b), c) del comma 2 deve avere una formazione specifica.

4. Al personale di cui alla lettera b) del comma 2 si estende la disciplina dettata dall'articolo 2, comma 2, della .

10. Interventi a favore di persone con handicap in situazione di gravità. - 1. I comuni, anche consorziati tra loro o con le province, le loro unioni, le comunità montane e le unità sanitarie locali, nell'ambito delle competenze in materia di servizi sociali loro attribuite , possono realizzare con le proprie ordinarie risorse di bilancio, assicurando comunque il diritto alla integrazione sociale e scolastica secondo le modalità stabilite dalla presente legge e nel rispetto delle priorità degli interventi di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, comunità-alloggio e centri socioriabilitativi per persone con handicap in situazione di gravità.

1-bis. Gli enti di cui al comma 1 possono organizzare servizi e prestazioni per la tutela e l'integrazione sociale dei soggetti di cui al presente articolo per i quali venga meno il sostegno del nucleo familiare. (1)

2. Le strutture di cui alla lettera l) e le attività di cui alla lettera m) del comma 1 dell'articolo 8 sono realizzate d'intesa con il gruppo di lavoro per l'integrazione scolastica di cui all'articolo 15 e con gli organi collegiali della scuola.

3. Gli enti di cui al comma 1 possono contribuire, mediante appositi finanziamenti, previo parere della regione sulla congruità dell'iniziativa rispetto ai programmi regionali, alla realizzazione e al sostegno di comunità-alloggio e centri socio-riabilitativi per persone handicappate in situazione di gravità, promossi da enti, associazioni, fondazioni, Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza (IPAB), società cooperative e organizzazioni di volontariato iscritte negli albi regionali.

4. Gli interventi di cui ai commi 1 e 3 del presente articolo possono essere realizzati anche mediante le convenzioni di cui all'articolo 38.

5. Per la collocazione topografica, l'organizzazione e il funzionamento, le comunità-alloggio e i centri socio-riabilitativi devono essere idonei a perseguire una costante socializzazione dei soggetti ospiti, anche mediante iniziative dirette a coinvolgere i servizi pubblici e il volontariato.

6. L'approvazione dei progetti edilizi presentati da soggetti pubblici o privati concernenti immobili da destinare alle comunità-alloggio ed ai centri socio-riabilitativi di cui ai commi 1 e 3, con vincolo di destinazione almeno ventennale all'uso effettivo dell'immobile per gli scopi di cui alla presente legge, ove localizzati in aree vincolate o a diversa specifica destinazione, fatte salve le norme previste dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497, e successive modificazioni, e dal decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, costituisce variante del piano regolatore. Il venir meno dell'uso effettivo per gli scopi di cui alla presente legge prima del ventesimo anno comporta il ripristino della originaria destinazione urbanistica dell'area. (1) comma aggiunto dal primo articolo dalla legge 21 maggio 1998, n. 162

11. Soggiorno all'estero per cure. - 1. Nei casi in cui vengano concesse le deroghe di cui all'articolo 7 del decreto del Ministro della sanità 3 novembre 1989, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 22 novembre 1989, ove nel centro di altissima specializzazione estero non sia previsto il ricovero ospedaliero per tutta la durata degli interventi autorizzati, il soggiorno dell'assistito e del suo accompagnatore in alberghi o strutture collegate con il centro è equiparato a tutti gli effetti alla degenza ospedaliera ed è rimborsabile nella misura prevista dalla deroga.

2. La commissione centrale presso il Ministero della sanità di cui all'articolo 8 del , pubblicato nella

Gazzetta Ufficiale n. 273 del 22 novembre 1989, esprime il parere sul rimborso per i soggiorni collegati agli interventi autorizzati dalle regioni sulla base di criteri fissati con atto di indirizzo e coordinamento emanato ai sensi dell'articolo 5, primo comma, della, con il quale sono disciplinate anche le modalità della corresponsione di acconti alle famiglie.

12. Diritto all'educazione e all'istruzione. - 1. Al bambino da 0 a 3 anni handicappato è garantito l'inserimento negli asili nido.

2. E' garantito il diritto all'educazione e all'istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie.

3. L'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione.

4. L'esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all'handicap.

5. All'individuazione dell'alunno come persona handicappata ed all'acquisizione della documentazione risultante dalla diagnosi funzionale, fa seguito un profilo dinamico-funzionale ai fini della formulazione di un piano educativo individualizzato, alla cui definizione provvedono congiuntamente, con la collaborazione dei genitori della persona handicappata, gli operatori delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado di scuola, personale insegnante specializzato della scuola, con la partecipazione dell'insegnante operatore psico-pedagogico individuato secondo criteri stabiliti dal Ministro della pubblica istruzione. Il profilo indica le caratteristiche fisiche, psichiche e sociali ed affettive dell'alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di handicap e le possibilità di recupero, sia le capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della persona handicappata.

6. Alla elaborazione del profilo dinamico-funzionale iniziale seguono, con il concorso degli operatori delle unità sanitarie locali, della scuola e delle famiglie, verifiche per controllare gli effetti dei diversi interventi e l'influenza esercitata dall'ambiente scolastico.

7. I compiti attribuiti alle unità sanitarie locali dai commi 5 e 6 sono svolti secondo le modalità indicate con apposito atto di indirizzo e coordinamento emanato ai sensi dell'articolo 5, primo comma, della .

8. Il profilo dinamico-funzionale è aggiornato a conclusione della scuola materna, della scuola elementare e della scuola media e durante il corso di istruzione secondaria superiore.

9. Ai minori handicappati soggetti all'obbligo scolastico, temporaneamente impediti per motivi di salute a frequentare la scuola, sono comunque garantite l'educazione e l'istruzione scolastica. A tal fine il provveditore agli studi, d'intesa con le unità sanitarie locali e i centri di recupero e di riabilitazione, pubblici e privati, convenzionati con i Ministeri della sanità e del lavoro e della previdenza sociale, provvede alla istituzione, per i minori ricoverati, di classi ordinarie quali sezioni staccate della scuola statale. A tali classi possono essere ammessi anche i minori ricoverati nei centri di degenza, che non versino in situazioni di handicap e per i quali sia accertata l'impossibilità della frequenza della scuola dell'obbligo per un periodo non inferiore a trenta giorni di lezione. La frequenza di tali classi, attestata dall'autorità scolastica mediante una relazione sulle attività svolte dai docenti in servizio presso il centro di degenza, è equiparata ad ogni effetto alla frequenza delle classi alle quali i minori sono iscritti.

10. Negli ospedali, nelle cliniche e nelle divisioni pediatriche gli obiettivi di cui al presente articolo possono essere perseguiti anche mediante l'utilizzazione di personale in possesso di specifica formazione psico-pedagogica che abbia una esperienza acquisita presso i nosocomi o segua un periodo di tirocinio di un anno sotto la guida di personale esperto.

13. Integrazione scolastica. - 1. L'integrazione scolastica della persona handicappata nelle sezioni e nelle classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado e nelle università si realizza, fermo restando quanto previsto dalle leggi 11 maggio 1976, n. 360, e , e successive modificazioni, anche attraverso:

a) la programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi, sportivi e con altre attività sul territorio gestite da enti pubbici o privati. A tale scopo gli enti locali, gli organi scolastici e le unità sanitarie locali, nell'ambito delle rispettive competenze, stipulano gli accordi di programma di cui all'articolo 27 della . Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro della pubblica istruzione, d'intesa con i Ministri per gli affari sociali e della sanità, sono fissati gli indirizzi per la stipula degli accordi di programma. Tali accordi di programma sono finalizzati alla predisposizione, attuazione e verifica congiunta di progetti educativi, riabilitativi e di socializzazione individualizzati, nonché a forme di integrazione tra attività scolastiche e attività integrative extrascolastiche. Negli accordi sono altresì previsti i requisiti che devono essere posseduti dagli enti pubblici e privati ai fini della partecipazione alle attività di collaborazione coordinate;

b) la dotazione alle scuole e alle università di attrezzature tecniche e di sussidi didattici nonché di ogni altra forma di ausilio tecnico, ferma restando la dotazione individuale di ausili e presìdi funzionali all'effettivo esercizio del diritto allo studio, anche mediante convenzioni con centri specializzati, aventi funzione di consulenza pedagogica, di produzione e adattamento di specifico materiale didattico;

c) la programmazione da parte dell'università di interventi adeguati sia al bisogno della persona sia alla

peculiarità del piano di studio individuale;

d) l'attribuzione, con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di incarichi professionali ad interpreti da destinare alle università, per facilitare la frequenza e l'apprendimento di studenti non udenti;

e) la sperimentazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 419, da realizzare nelle classi frequentate da alunni con handicap.

2. Per le finalità di cui al comma 1, gli enti locali e le unità sanitarie locali possono altresì prevedere l'adeguamento dell'organizzazione e del funzionamento degli asili nido alle esigenze dei bambini con handicap, al fine di avviarne precocemente il recupero, la socializzazione e l'integrazione, nonché l'assegnazione di personale docente specializzato e di operatori ed assistenti specializzati.

3. Nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni, l'obbligo per gli enti locali di fornire l'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l'assegnazione di docenti specializzati.

4. I posti di sostegno per la scuola secondaria di secondo grado sono determinati nell'ambito dell'organico del personale in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge in modo da assicurare un rapporto almeno pari a quello previsto per gli altri gradi di istruzione e comunque entro i limiti delle disponibilità finanziarie all'uopo preordinate dall'articolo 42, comma 6, lettera h).

5. Nella scuola secondaria di primo e secondo grado sono garantite attività didattiche di sostegno, con priorità per le iniziative sperimentali di cui al comma 1, lettera e), realizzate con docenti di sostegno specializzati, nelle aree disciplinari individuate sulla base del profilo dinamico-funzionale e del conseguente piano educativo individualizzato.

6. Gli insegnanti di sostegno assumono la contitolarità delle sezioni e delle classi in cui operano, partecipano alla programmazione educativa e didattica e alla elaborazione e verifica delle attività di competenza dei consigli di interclasse, dei consigli di classe e dei collegi dei docenti (1 bis).

6 - bis. Agli studenti handicappati iscritti all'università sono garantiti sussidi tecnici e didattici specifici, realizzati anche attraverso le convenzioni di cui alla lettera b) del comma 1, nonché il supporto di appositi servizi di tutorato specializzato, istituiti dalle università nei limiti del proprio bilancio e delle risorse destinate alla copertura degli oneri di cui al presente comma, nonché ai commi 5 e 5 -bis dell'articolo 16. (1 ter)

(1bis) Vedi, anche, il . (1 ter) Comma aggiunto dalla7

14. Modalità di attuazione dell'integrazione. - 1. Il Ministro della pubblica istruzione provvede alla formazione e all'aggiornamento del personale docente per l'acquisizione di conoscenze in materia di integrazione scolastica degli studenti handicappati, ai sensi dell'articolo 26 del D.P.R. 23 agosto 1988, n. 399, nel rispetto delle modalità di coordinamento con il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica di cui all'articolo 4 della legge 9 maggio 1989, n. 168. Il Ministro della pubblica istruzione provvede altresì:

a) all'attivazione di forme sistematiche di orientamento, particolarmente qualificate per la persona handicappata, con inizio almeno dalla prima classe della scuola secondaria di primo grado;

b) all'organizzazione dell'attività educativa e didattica secondo il criterio della flessibilità nell'articolazione delle sezioni e delle classi, anche aperte, in relazione alla programmazione scolastica individualizzata;

c) a garantire la continuità educativa fra i diversi gradi di scuola, prevedendo forme obbligatorie di consultazione tra insegnanti del ciclo inferiore e del ciclo superiore ed il massimo sviluppo dell'esperienza scolastica della persona handicappata in tutti gli ordini e gradi di scuola, consentendo il completamento della scuola dell'obbligo anche sino al compimento del diciottesimo anno di età; nell'interesse dell'alunno, con deliberazione del collegio dei docenti, sentiti gli specialisti di cui all'articolo 4, secondo comma, lettera l), del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 416, su proposta del consiglio di classe o di interclasse, può essere consentita una terza ripetenza in singole classi.

2. I piani di studio delle scuole di specializzazione di cui all'articolo 4 della , per il conseguimento del diploma abilitante all'insegnamento nelle scuole secondarie, comprendono, nei limiti degli stanziamenti già preordinati in base alla legislazione vigente per la definizione dei suddetti piani di studio, discipline facoltative, attinenti all'integrazione degli alunni handicappati, determinate ai sensi dell'articolo 4, comma 3, della citata . Nel diploma di specializzazione conseguito ai sensi del predetto articolo 4 deve essere specificato se l'insegnante ha sostenuto gli esami relativi all'attività didattica di sostegno per le discipline cui il diploma stesso si riferisce, nel qual caso la specializzazione ha valore abilitante anche per l'attività didattica di sostegno.

3. La tabella del corso di laurea definita ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della citata comprende, nei limiti degli stanziamenti già preordinati in base alla legislazione vigente per la definizione delle tabelle dei corsi di laurea, insegnamenti facoltativi attinenti all'integrazione scolastica degli alunni handicappati.

Il diploma di laurea per l'insegnamento nelle scuole materne ed elementari di cui all'articolo 3, comma 2, della citata legge n. 341 del 1990 costituisce titolo per l'ammissione ai concorsi per l'attività didattica di sostegno solo se siano stati sostenuti gli esami relativi, individuati come obbligatori per la preparazione all'attività didattica di sostegno, nell'ambito della tabella suddetta definita ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della medesima legge n. 341 del 1990.

4. L'insegnamento delle discipline facoltative previste nei piani di studio delle scuole di specializzazione di cui al comma 2 e dei corsi di laurea di cui al comma 3 può essere impartito anche da enti o istituti specializzati all'uopo convenzionati con le università, le quali disciplinano le modalità di espletamento degli esami e i relativi controlli. I docenti relatori dei corsi di specializzazione devono essere in possesso del diploma di laurea e del diploma di specializzazione.

5. Fino alla prima applicazione dell'articolo 9 della citata , relativamente alle scuole di specializzazione si applicano le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 417, e successive modificazioni, al decreto del Presidente della Repubblica 31 ottobre 1975, n. 970 e all'articolo 65 della legge 20 maggio 1982, n. 270.

6. L'utilizzazione in posti di sostegno di docenti privi dei prescritti titoli di specializzazione è consentita unicamente qualora manchino docenti di ruolo o non di ruolo specializzati. 7. Gli accordi di programma di cui all'articolo 13, comma 1, lettera a), possono prevedere lo svolgimento di corsi di aggiornamento comuni per il personale delle scuole, delle unità sanitarie locali e degli enti locali, impegnati in piani educativi e di recupero individualizzati.

15. Gruppi di lavoro per l'integrazione scolastica. - 1. Presso ogni ufficio scolastico provinciale è istituito un gruppo di lavoro composto da: un ispettore tecnico nominato dal provveditore agli studi, un esperto della scuola utilizzato ai sensi dell'articolo 14, decimo comma, della legge 20 maggio 1982, n. 270, e successive modificazioni, due esperti designati dagli enti locali, due esperti delle unità sanitarie locali, tre esperti designati dalle associazioni delle persone handicappate maggiormente rappresentative a livello provinciale nominati dal provveditore agli studi sulla base dei criteri indicati dal Ministro della pubblica istruzione entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Il gruppo di lavoro dura in carica tre anni.

2. Presso ogni circolo didattico ed istituto di scuola secondaria di primo e secondo grado sono costituiti gruppi di studio e di lavoro composti da insegnanti, operatori dei servizi, familiari e studenti con il compito di collaborare alle iniziative educative e di integrazione predisposte dal piano educativo.

3. I gruppi di lavoro di cui al comma 1 hanno compiti di consulenza e proposta al provveditore agli studi, di consulenza alle singole scuole, di collaborazione con gli enti locali e le unità sanitarie locali per la conclusione e la verifica dell'esecuzione degli accordi di programma di cui agli articoli 13, 39 e 40, per l'impostazione e l'attuazione dei piani educativi individualizzati, nonché per qualsiasi altra attività inerente all'integrazione degli alunni in difficoltà di apprendimento.

4. I gruppi di lavoro predispongono annualmente una relazione da inviare al Ministro della pubblica istruzione ed al presidente della giunta regionale. Il presidente della giunta regionale può avvalersi della relazione ai fini della verifica dello stato di attuazione degli accordi di programma di cui agli artt. 13, 39 e 40 (2).

(2) Vedi, anche, il D.M. 26 giugno 1992.

16. Valutazione del rendimento e prove d'esame. - 1. Nella valutazione degli alunni handicappati da parte degli insegnanti è indicato, sulla base del piano educativo individualizzato, per quali discipline siano stati adottati particolari criteri didattici, quali attività integrative e di sostegno siano state svolte, anche in sostituzione parziale dei contenuti programmatici di alcune discipline.

2. Nella scuola dell'obbligo sono predisposte, sulla base degli elementi conoscitivi di cui al comma 1, prove d'esame corrispondenti agli insegnamenti impartiti e idonee a valutare il progresso dell'allievo in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali.

3. Nell'ambito della scuola secondaria di secondo grado, per gli alunni handicappati sono consentite prove equipollenti e tempi più lunghi per l'effettuazione delle prove scritte o grafiche e la presenza di assistenti per l'autonomia e la comunicazione.

4. Gli alunni handicappati sostengono le prove finalizzate alla valutazione del rendimento scolastico o allo svolgimento di esami anche universitari con l'uso degli ausili loro necessari.

5. Il trattamento individualizzato previsto dai commi 3 e 4 in favore degli studenti handicappati è consentito per il superamento degli esami universitari previa intesa con il docente della materia e con l'ausilio del servizio di tutorato di cui all'articolo 13, comma 6 -bis . É consentito, altresì, sia l'impiego di specifici mezzi tecnici in relazione alla tipologia di handicap , sia la possibilità di svolgere prove equipollenti su proposta del servizio di tutorato specializzato. (2 bis)

5 - bis. Le università, con proprie disposizioni, istituiscono un docente delegato dal rettore con funzioni di coordinamento, monitoraggio e supporto di tutte le iniziative concernenti l'integrazione nell'ambito dell'ateneo. (2 ter)

(2 bis) comma così modificato dalla (2 ter) comma aggiunto dalla

17. Formazione professionale. - 1. Le regioni, in attuazione di quanto previsto dagli articoli 3, primo comma, lettere l) e m), e 8, primo comma, lettere g) e h), della , realizzano l'inserimento della persona handicappata negli ordinari corsi di formazione professionale dei centri pubblici e privati e garantiscono agli allievi handicappati che non siano in grado di avvalersi dei metodi di apprendimento ordinari l'acquisizione di una qualifica anche mediante attività specifiche nell'ambito delle attività del centro di formazione professionale tenendo conto dell'orientamento emerso dai piani educativi individualizzati realizzati durante l'iter scolastico. A tal fine forniscono ai centri i sussidi e le attrezzature necessarie.

2. I corsi di formazione professionale tengono conto delle diverse capacità ed esigenze della persona handicappata che, di conseguenza, è inserita in classi comuni o in corsi specifici o in corsi prelavorativi.

3. Nei centri di formazione professionale sono istituiti corsi per le persone handicappate non in grado di frequentare i corsi normali. I corsi possono essere realizzati nei centri di riabilitazione, quando vi siano svolti programmi di ergoterapia e programmi finalizzati all'addestramento professionale, ovvero possono essere realizzati dagli enti di cui all'articolo 5 della citata , nonché da organizzazioni di volontariato e da enti autorizzati da leggi vigenti. Le regioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, provvedono ad adeguare alle disposizioni di cui al presente comma i programmi pluriennali e i piani annuali di attuazione per le attività di formazione professionale di cui all'articolo 5 della medesima legge n. 845 del 1978.

4. Agli allievi che abbiano frequentato i corsi di cui al comma 2 è rilasciato un attestato di frequenza utile ai fini della graduatoria per il collocamento obbligatorio nel quadro economico-produttivo territoriale.

5. Fermo restando quanto previsto in favore delle persone handicappate dalla citata , una quota del fondo comune di cui all'articolo 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, è destinata ad iniziative di formazione e di avviamento al lavoro in forme sperimentali, quali tirocini, contratti di formazione, iniziative territoriali di lavoro guidato, corsi prelavorativi, sulla base di criteri e procedure fissati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

18. Integrazione lavorativa. - 1. Le regioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, disciplinano l'istituzione e la tenuta dell'albo regionale degli enti, istituzioni, cooperative sociali, di lavoro, di servizi, e dei centri di lavoro guidato, associazioni ed organizzazioni di volontariato che svolgono attività idonee a favorire l'inserimento e l'integrazione lavorativa di persone handicappate.

2. Requisiti per l'iscrizione all'albo dei cui al comma 1, oltre a quelli previsti dalle leggi regionali, sono:

a) avere personalità giuridica di diritto pubblico o privato o natura di associazione, con i requisiti di cui al capo II del titolo II del libro I del codice civile; b) garantire idonei livelli di prestazioni, di qualificazione del personale e di efficienza operativa.

3. Le regioni disciplinano le modalità di revisione ed aggiornamento biennale dell'albo di cui al comma 1.

4. I rapporti dei comuni, dei consorzi tra comuni e tra comuni e province, delle comunità montane e delle unità sanitarie locali con gli organismi di cui al comma 1 sono regolati da convenzioni conformi allo schema tipo approvato con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità e con il Ministro per gli affari sociali, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge (3).

5. L'iscrizione all'albo di cui al comma 1 è condizione necessaria per accedere alle convenzioni di cui all'articolo 38. 6. Le regioni possono provvedere con proprie leggi:

a) a disciplinare le agevolazioni alle singole persone handicappate per recarsi al posto di lavoro e per l'avvio e lo svolgimento di attività lavorative autonome; b) a disciplinare gli incentivi, le agevolazioni e i contributi ai datori di lavoro anche ai fini dell'adattamento del posto di lavoro per l'assunzione delle persone handicappate.

(3) Il (G.U. 16 dicembre 1994, n. 293) ha stato approvato lo schema-tipo di convenzione previsto dal presente articolo.

19. Soggetti aventi diritto al collocamento obbligatorio. - 1. In attesa dell'entrata in vigore della nuova disciplina del collocamento obbligatorio, le disposizioni di cui alla , e successive modificazioni, devono intendersi applicabili anche a coloro che sono affetti da minorazione psichica, i quali abbiano una capacità lavorativa che ne consente l'impiego in mansioni compatibili. Ai fini dell'avviamento al lavoro, la valutazione della persona handicappata tiene conto della capacità lavorativa e relazionale dell'individuo e non solo della minorazione fisica o psichica. La capacità lavorativa è accertata dalle commissioni di cui all'articolo 4 della presente legge, integrate ai sensi dello stesso articolo da uno specialista nelle discipline neurologiche, psichiatriche o psicologiche.

20. Prove d'esame nei concorsi pubblici e per l'abilitazione alle professioni. - 1. La persona handicappata sostiene le prove d'esame nei concorsi pubblici e per l'abilitazione alle professioni con l'uso degli ausili necessari e nei tempi aggiuntivi eventualmente necessari in relazione allo specifico handicap.

2. Nella domanda di partecipazione al concorso e all'esame per l'abilitazione alle professioni il

candidato specifica l'ausilio necessario in relazione al proprio handicap, nonché l'eventuale necessità di tempi aggiuntivi.

21. Precedenza nell'assegnazione di sede. - 1. La persona handicappata con un grado di invalidità superiore ai due terzi o con minorazioni iscritte alle categorie prima, seconda e terza della tabella A annessa alla legge 10 agosto 1950, n. 648, assunta presso gli enti pubblici come vincitrice di concorso o ad altro titolo, ha diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili.

2. I soggetti di cui al comma 1 hanno la precedenza in sede di trasferimento a domanda.

22. Accertamenti ai fini del lavoro pubblico e privato. - 1. Ai fini dell'assunzione al lavoro pubblico e privato non è richiesta la certificazione di sana e robusta costituzione fisica.

23. Rimozione di ostacoli per l'esercizio di attività sportive, turistiche e ricreative. - 1. L'attività e la pratica delle discipline sportive sono favorite senza limitazione alcuna. Il Ministro della sanità, con proprio decreto da emanare entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, definisce i protocolli per la concessione dell'idoneità alla pratica sportiva agonistica alle persone handicappate.

2. Le regioni e i comuni, i consorzi di comuni ed il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) realizzano, in conformità alle disposizioni vigenti in materia di eliminazione delle barriere architettoniche, ciascuno per gli impianti di propria competenza, l'accessibilità e la fruibilità delle strutture sportive e dei connessi servizi da parte delle persone handicappate.

3. Le concessioni demaniali per gli impianti di balneazione ed i loro rinnovi sono subordinati alla visitabilità degli impianti ai sensi del , di attuazione della , e all'effettiva possibilità di accesso al mare delle persone handicappate.

4. Le concessioni autostradali ed i loro rinnovi sono subordinati alla visitabilità degli impianti ai sensi del citato decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236.

5. Chiunque, nell'esercizio delle attività di cui all'articolo 5, primo comma, della legge 17 maggio 1983, n. 217, o di altri pubblici esercizi, discrimina persone handicappate è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire un milione a lire dieci milioni e con la chiusura dell'esercizio da uno a sei mesi.

24. Eliminazione o superamento delle barriere architettoniche. - 1. Tutte le opere edilizie riguardanti edifici pubblici e privati aperti al pubblico che sono suscettibili di limitare l'accessibilità e la visitabilità di cui alla , e successive modificazioni, sono eseguite in conformità alle disposizioni di cui alla , e successive modificazioni, al regolamento approvato con , alla citata legge n. 13 del 1989, e successive modificazioni, e al citato .

2. Per gli edifici pubblici e privati aperti al pubblico soggetti ai vincoli di cui alle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni, e 29 giugno 1939, n. 1497, e successive modificazioni, nonché ai vincoli previsti da leggi speciali aventi le medesime finalità, qualora le autorizzazioni previste dagli articoli 4 e 5 della citata legge n. 13 del 1989 non possano venire concesse, per il mancato rilascio del nulla osta da parte delle autorità competenti alla tutela del vincolo, la conformità alle norme vigenti in materia di accessibilità e di superamento delle barriere architettoniche può essere realizzata con opere provvisionali, come definite dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, nei limiti della compatibilità suggerita dai vincoli stessi.

3. Alle comunicazioni al comune dei progetti di esecuzione dei lavori riguardanti edifici pubblici e aperti al pubblico, di cui al comma 1, rese ai sensi degli articoli 15, terzo comma, e 26, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni, sono allegate una documentazione grafica e una dichiarazione di conformità alla normativa vigente in materia di accessibilità e di superamento delle barriere architettoniche, anche ai sensi del comma 2 del presente articolo.

4. Il rilascio della concessione o autorizzazione edilizia per le opere di cui al comma 1 è subordinato alla verifica della conformità del progetto compiuta dall'ufficio tecnico o dal tecnico incaricato dal comune. Il sindaco, nel rilasciare il certificato di agibilità e di abitabilità per le opere di cui al comma 1, deve accertare che le opere siano state realizzate nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di eliminazione delle barriere architettoniche. A tal fine può richiedere al proprietario dell'immobile o all'intestatario della concessione una dichiarazione resa sotto forma di perizia giurata redatta da un tecnico abilitato.

5. Nel caso di opere pubbliche, fermi restando il divieto di finanziamento di cui all'articolo 32, comma 20, della , e l'obbligo della dichiarazione del progettista, l'accertamento di conformità alla normativa vigente in materia di eliminazione delle barriere architettoniche spetta all'Amministrazione competente, che ne dà atto in sede di approvazione del progetto.

6. La richiesta di modifica di destinazione d'uso di edifici in luoghi pubblici o aperti al pubblico è accompagnata dalla dichiarazione di cui al comma 3. Il rilascio del certificato di agibilità e di abitabilità è condizionato alla verifica tecnica della conformità della dichiarazione allo stato dell'immobile.

7. Tutte le opere realizzate negli edifici pubblici e privati aperti al pubblico in difformità dalle disposizioni vigenti in materia di accessibilità e di eliminazione delle barriere architettoniche, nelle quali le difformità siano tali da rendere impossibile l'utilizzazione dell'opera da parte delle persone handicappate, sono dichiarate inabitabili e inagibili. Il progettista, il direttore dei lavori, il responsabile tecnico degli

accertamenti per l'agibilità o l'abitabilità ed il collaudatore, ciascuno per la propria competenza, sono direttamente responsabili. Essi sono puniti con l'ammenda da lire 10 milioni a lire 50 milioni e con la sospensione dai rispettivi albi professionali per un periodo compreso da uno a sei mesi.

8. Il Comitato per l'edilizia residenziale (CER), di cui all'articolo 3 della legge 5 agosto 1978, n. 457, fermo restando il divieto di finanziamento di cui all'articolo 32, comma 20, della citata , dispone che una quota dei fondi per la realizzazione di opere di urbanizzazione e per interventi di recupero sia utilizzata per la eliminazione delle barriere architettoniche negli insediamenti di edilizia residenziale pubblica realizzati prima della data di entrata in vigore della presente legge.

9. I piani di cui all'articolo 32, comma 21, della citata legge sono modificati con integrazioni relative all'accessibilità degli spazi urbani, con particolare riferimento all'individuazione e alla realizzazione di percorsi accessibili, all'installazione di semafori acustici per non vedenti, alla rimozione della segnaletica installata in modo da ostacolare la circolazione delle persone handicappate.

10. Nell'ambito della complessiva somma che in ciascun anno la Cassa depositi e prestiti concede agli enti locali per la contrazione di mutui con finalità di investimento, una quota almeno pari al 2 per cento è destinata ai prestiti finalizzati ad interventi di ristrutturazione e recupero in attuazione delle norme di cui al regolamento approvato con .

11. I comuni adeguano i propri regolamenti edilizi alle disposizioni di cui all'articolo 27 della citata , all'articolo 2 del citato regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 1978, alla citata legge n. 13 del 1989, e successive modificazioni, e al citato decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236 entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Scaduto tale termine, le norme dei regolamenti edilizi comunali contrastanti con le disposizioni del presente articolo perdono efficacia.

25. Accesso alla informazione e alla comunicazione. - 1. Il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni contribuisce alla realizzazione di progetti elaborati dalle concessionarie per i servizi radiotelevisivi e telefonici volti a favorire l'accesso all'informazione radiotelevisiva e alla telefonia anche mediante installazione di decodificatori e di apparecchiature complementari, nonché mediante l'adeguamento delle cabine telefoniche.

2. All'atto di rinnovo o in occasione di modifiche delle convenzioni per la concessione di servizi radiotelevisivi o telefonici sono previste iniziative atte a favorire la ricezione da parte di persone con handicap sensoriali di programmi di informazione, culturali e di svago e la diffusione di decodificatori.

26. Mobilità e trasporti collettivi. - 1. Le regioni disciplinano le modalità con le quali i comuni dispongono gli interventi per consentire alle persone handicappate la possibilità di muoversi liberamente sul territorio, usufruendo, alle stesse condizioni degli altri cittadini, dei servizi di trasporto collettivo appositamente adattati o di servizi alternativi.

2. I comuni assicurano, nell'ambito delle proprie ordinarie risorse di bilancio, modalità di trasporto individuali per le persone handicappate non in grado di servirsi dei mezzi pubblici.

3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni elaborano, nell'ambito dei piani regionali di trasporto e dei piani di adeguamento delle infrastrutture urbane, piani di mobilità delle persone handicappate da attuare anche mediante la conclusione di accordi di programma ai sensi dell'articolo 27 della . I suddetti piani prevedono servizi alternativi per le zone non coperte dai servizi di trasporto collettivo. Fino alla completa attuazione dei piani, le regioni e gli enti locali assicurano i servizi già istituiti. I piani di mobilità delle persone handicappate predisposti dalle regioni sono coordinati con i piani di trasporto predisposti dai comuni.

4. Una quota non inferiore all'1 per cento dell'ammontare dei mutui autorizzati a favore dell'Ente ferrovie dello Stato è destinata agli interventi per l'eliminazione delle barriere architettoniche nelle strutture edilizie e nel materiale rotabile appartenenti all'Ente medesimo, attraverso capitolati d'appalto formati sulla base dell'articolo 20 del regolamento approvato con .

5. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dei trasporti provvede alla omologazione di almeno un prototipo di autobus urbano ed extraurbano, di taxi, di vagone ferroviario, conformemente alle finalità della presente legge.

6. Sulla base dei piani regionali e della verifica della funzionalità dei prototipi omologati di cui al comma 5, il Ministro dei trasporti predispone i capitolati d'appalto contenenti prescrizioni per adeguare alle finalità della presente legge i mezzi di trasporto su gomma in corrispondenza con la loro sostituzione.

27. Trasporti individuali. - 1. A favore dei titolari di patente di guida delle categorie A, B, o C speciali, con incapacità motorie permanenti, le unità sanitarie locali contribuiscono alla spesa per la modifica degli strumenti di guida, quale strumento protesico extra-tariffario, nella misura del 20 per cento, a carico del bilancio dello Stato.

2. Al comma 1 dell'articolo 1 della , sono soppresse le parole: ", titolari di patente F" e dopo le parole: "capacità motorie," sono aggiunte le seguenti: "anche prodotti in serie,".

3. Dopo il comma 2 dell'articolo 1 della citata legge numero 97 del 1986, è inserito il seguente:

"2-bis. Il beneficio della riduzione dell'aliquota relativa all'imposta sul valore aggiunto, di cui al comma 1,

decade qualora l'invalido non abbia conseguito la patente di guida delle categorie A, B o C speciali, entro un anno dalla data dell'acquisto del veicolo. Entro i successivi tre mesi l'invalido provvede al versamento della differenza tra l'imposta sul valore aggiunto pagata e l'imposta relativa all'aliquota in vigore per il veicolo acquistato."

4. Il Comitato tecnico di cui all'articolo 81, comma 9, del testo unico delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, n. 393, come sostituito dall'articolo 4, comma 1, della legge 18 marzo 1988, n. 111, è integrato da due rappresentanti delle associazioni delle persone handicappate nominati dal Ministro dei trasporti su proposta del Comitato di cui all'articolo 41 della presente legge.

5. Le unità sanitarie locali trasmettono le domande presentate dai soggetti di cui al comma 1 ad un apposito fondo, istituito presso il Ministero della sanità, che provvede ad erogare i contributi nei limiti dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 42.

28. Facilitazioni per i veicoli delle persone handicappate. - 1. I comuni assicurano appositi spazi riservati ai veicoli delle persone handicappate, sia nei parcheggi gestiti direttamente o dati in concessione, sia in quelli realizzati e gestiti da privati.

2. Il contrassegno di cui all'articolo 6 del regolamento approvato con , che deve essere apposto visibilmente sul parabrezza del veicolo, è valido per l'utilizzazione dei parcheggi di cui al comma 1.

29. Esercizio del diritto di voto. - 1. In occasione di consultazioni elettorali, i comuni organizzano i servizi di trasporto pubblico in modo da facilitare agli elettori handicappati il raggiungimento del seggio elettorale.

2. Per rendere più agevole l'esercizio del diritto di voto, le unità sanitarie locali, nei tre giorni precedenti la consultazione elettorale, garantiscono in ogni comune la disponibilità di un adeguato numero di medici autorizzati per il rilascio dei certificati di accompagnamento e dell'attestazione medica di cui all'articolo 1 della .

3. Un accompagnatore di fiducia segue in cabina i cittadini handicappati impossibilitati ad esercitare autonomamente il diritto di voto. L'accompagnatore deve essere iscritto nelle liste elettorali. Nessun elettore può esercitare la funzione di accompagnatore per più di un handicappato. Sul certificato elettorale dell'accompagnatore è fatta apposita annotazione dal presidente del seggio nel quale egli ha assolto tale compito.

30. Partecipazione. - 1. Le regioni per la redazione dei programmi di promozione e di tutela dei diritti della persona handicappata, prevedono forme di consultazione che garantiscono la partecipazione dei cittadini interessati.

31. Riserva di alloggi. - 1 All'articolo 3, primo comma della Legge 5 agosto 1978, n. 457 e successive modificazioni, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

"r-bis) dispone una riserva di finanziamenti complessivi per la concessione di contributi in conto capitale a comuni, Istituti autonomi case popolari, comunque denominati o trasformati, imprese, cooperative o loro consorzi per la realizzazione con tipologia idonea o per l'adattamento di alloggi di edilizia sovvenzionata e agevolata alle esigenze di assegnatari o acquirenti handicappati ovvero ai nuclei familiari assegnatari di abitazioni assistiti da contributo pubblico, tra i cui componenti figurano persone handicappate in situazione di gravità o con ridotte o impedite capacità motorie." (4)

[2. Il contributo di cui alla lettera r-bis) del primo comma dell'articolo 3 della legge 5 agosto 1978, n. 457, introdotta dal comma 1 del presente articolo, è concesso dal Comitato esecutivo del CER direttamente ai comuni, agli Istituti autonomi case popolari, alle imprese, alle cooperative o loro consorzi indicati dalle regioni sulla base delle assegnazioni e degli acquisti, mediante atto preliminare di vendita di alloggi realizzati con finanziamenti pubblici e fruenti di contributo pubblico.] (5)

[3. Il contributo di cui al comma 2 può essere concesso con le modalità indicate nello stesso comma, direttamente agli enti e istituti statali, assicurativi e bancari che realizzano interventi nel campo dell'edilizia abitativa che ne facciano richiesta per l'adattamento di alloggi di loro proprietà da concedere in locazione a persone handicappate ovvero ai nuclei familiari tra i cui componenti figurano persone handicappate in situazione di gravità o con ridotte o impedite capacità motorie.] (5)

[4. Le associazioni presenti sul territorio, le regioni, le unità sanitarie locali, i comuni sono tenuti a fornire al CER, entro il 31 dicembre di ogni anno, ogni informazione utile per la determinazione della quota di riserva di cui alla citata lettera r-bis) del primo comma dell'articolo 3 della legge 5 agosto 1978, n. 457.] (5) (4) La lettera r bis) è stata così modificata dall'articolo 2 comma 3 della Legge 30 aprile 1999, n. 136 (5) I commi 2, 3, 4, sono stati abrogati dall'articolo 14, comma 2 della Legge 30 aprile 1999, n. 136

32. Agevolazioni fiscali. - [1. Le spese mediche e quelle di assistenza specifica necessarie nei casi di grave e permanente invalidità e menomazione, per la parte del loro ammontare complessivo che eccede il 5 o il 10 per cento del reddito complessivo annuo dichiarato a seconda che questo sia o meno superiore a 15 milioni di lire, sono deducibili dal reddito complessivo del contribuente che ha sostenuto gli oneri per sè o per le persone indicate nell'articolo 433 del codice civile, purché dalla

documentazione risulti chi ha sostenuto effettivamente la spesa, la persona da assistere perché invalida e il domicilio o la residenza del percipiente] (6).

(6) Abrogato dall'art. 2, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dall'articolo 1 comma 1 della legge 27 luglio 1994, n. 473

33. Agevolazioni. - [1. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, hanno diritto al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa dal lavoro di cui all'articolo 7 della , a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.] (7quinquies)

2. I soggetti di cui al comma 1 possono chiedere ai rispettivi datori di lavoro di usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa, di due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino.

3. Successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità, nonché colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità parente o affine entro il terzo grado, convivente, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile coperti da contribuzione figurativa, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno. (7) (7bis)(7quater)

4. Ai permessi di cui ai commi 2 e 3, che si cumulano con quelli previsti all'articolo 7 della citata , si applicano le disposizioni di cui all'ultimo comma del medesimo articolo 7 della legge n. 1204 del 1971, nonché quelle contenute negli articoli 7 e 8 della legge 9 dicembre 1977, n. 903. (7quater)

5. Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede. (7bis)(7quater)

6. La persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità può usufruire alternativamente dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso. (7bis)(7quater)

7. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5 si applicano anche agli affidatari di persone handicappate in situazione di gravità. (7ter)(7quater)

(7) L'art. 2, D.L. 27 agosto 1993, n. 324, convertito dalla , ha fornito l'interpretazione autentica dell'espressione «hanno diritto a tre giorni di permesso mensile». (7bis) I commi 3, 5 e 6 sono stati così modificati da ultimo dall'articolo della. (7ter) Circa le disposizioni del presente articolo si veda anche l'articolo della . (7quater) Circa le misure introdotte dalla legge n. 53/2000 si veda la (7quinquies) Il primo comma dell'articolo 33 è stato abrogato dall'articolo 86 del . Si veda ora l'articolo del decreto citato.

34. Protesi e ausili tecnici. - 1. Con decreto del Ministro della sanità da emanare, sentito il Consiglio sanitario nazionale, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nella revisione e ridefinizione del nomenclatore-tariffario delle protesi di cui al terzo comma dell'articolo 26 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, vengono inseriti apparecchi e attrezzature elettronici e altri ausili tecnici che permettano di compensare le difficoltà delle persone con handicap fisico o sensoriale.

35. Ricovero del minore handicappato. - 1. Nel caso di ricovero di una persona handicappata di minore età presso un istituto anche a carattere sanitario, pubblico o privato, ove dall'istituto sia segnalato l'abbandono del minore, si applicano le norme di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184.

36. Aggravamento delle sanzioni penali. - 1. Per i reati di cui agli articoli 519, 520, 521, 522, 523, 527 e 628 del codice penale, nonché per i delitti non colposi contro la persona, di cui al titolo XII del libro II del codice penale, e per i reati di cui alla legge 20 febbraio 1958, n. 75, qualora l'offeso sia una persona handicappata la pena è aumentata da un terzo alla metà.

2. Per i procedimenti penali per i reati di cui al comma 1 è ammessa la costituzione di parte civile del difensore civico, nonché dell'associazione alla quale risulti iscritta la persona handicappata o un suo familiare.

37. Procedimento penale in cui sia interessata una persona handicappata. - 1. Il Ministro di grazia e giustizia, il Ministro dell'interno e il Ministro della difesa, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, disciplinano con proprio decreto le modalità di tutela della persona handicappata, in relazione alle sue esigenze terapeutiche e di comunicazione, all'interno dei locali di sicurezza, nel corso dei procedimenti giudiziari penali e nei luoghi di custodia preventiva e di espiazione della pena.

38. Convenzioni. - 1. Per fornire i servizi di cui alla presente legge i comuni, anche consorziati tra loro, le loro unioni, le comunità montane e le unità sanitarie locali per la parte di loro competenza, si avvalgono delle strutture e dei servizi di cui all'articolo 26 della . Possono inoltre avvalersi dell'opera di associazioni riconosciute e non riconosciute, di istituzioni private di assistenza non aventi scopo di lucro e di cooperative, sempreché siano idonee per i livelli delle prestazioni, per la qualificazione del

personale e per l'efficienza organizzativa ed operativa, mediante la conclusione di apposite convenzioni.

2. I comuni, anche consorziati tra loro, le loro unioni, le comunità montane, rilevata la presenza di associazioni in favore di persone handicappate, che intendano costituire cooperative di servizi o comunità-alloggio o centri socioriabilitativi senza fini di lucro, possono erogare contributi che consentano di realizzare tali iniziative per i fini previsti dal comma 1, lettere h), i) e l) dell'articolo 8, previo controllo dell'adeguatezza dei progetti e delle iniziative, in rapporto alle necessità dei soggetti ospiti, secondo i principi della presente legge.

39. Compiti delle regioni. - 1. Le regioni possono provvedere, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, ad interventi sociali, educativoformativi e riabilitativi nell'ambito del piano sanitario nazionale, di cui all'articolo 53 della , e successive modificazioni, e della programmazione regionale dei servizi sanitari, sociali e formativo-culturali.

2. Le regioni possono provvedere, sentite le rappresentanze degli enti locali e le principali organizzazioni del privato sociale presenti sul territorio, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio (8):

a) a definire l'organizzazione dei servizi, i livelli qualitativi delle prestazioni, nonché i criteri per l'erogazione dell'assistenza economica integrativa di competenza dei comuni;

b) a definire, mediante gli accordi di programma di cui all'articolo 27 della , le modalità di coordinamento e di integrazione dei servizi e delle prestazioni individuali di cui alla presente legge con gli altri servizi sociali, sanitari, educativi, anche d'intesa con gli organi periferici dell'Amministrazione della pubblica istruzione e con le strutture prescolastiche o scolastiche e di formazione professionale, anche per la messa a disposizione di attrezzature, operatori o specialisti necessari all'attività di prevenzione, diagnosi e riabilitazione eventualmente svolta al loro interno;

c) a definire, in collaborazione con le università e gli istituti di ricerca, i programmi e le modalità organizzative delle iniziative di riqualificazione ed aggiornamento del personale impiegato nelle attività di cui alla presente legge;

d) a promuovere, tramite le convenzioni con gli enti di cui all'articolo 38, le attività di ricerca e di sperimentazione di nuove tecnologie di apprendimento e di riabilitazione, nonché la produzione di sussidi didattici e tecnici;

e) a definire le modalità di intervento nel campo delle attività assistenziali e quelle di accesso ai servizi;

f) a disciplinare le modalità del controllo periodico degli interventi di inserimento ed integrazione sociale di cui all'articolo 5, per verificarne la rispondenza all'effettiva situazione di bisogno;

g) a disciplinare con legge, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri relativi all'istituzione e al funzionamento dei servizi di aiuto personale;

h) ad effettuare controlli periodici sulle aziende beneficiarie degli incentivi e dei contributi di cui all'articolo 18, comma 6, per garantire la loro effettiva finalizzazione all'integrazione lavorativa delle persone handicappate;

i) a promuovere programmi di formazione di personale volontario da realizzarsi da parte delle organizzazioni di volontariato;

l) ad elaborare un consuntivo annuale analitico delle spese e dei contributi per assistenza erogati sul territorio anche da enti pubblici e enti o associazioni privati, i quali trasmettono alle regioni i rispettivi bilanci, secondo modalità fissate dalle regioni medesime;

l-bis) a programmare interventi di sostegno alla persona e familiare come prestazioni integrative degli interventi realizzati dagli enti locali a favore delle persone con handicap di particolare gravità, di cui all'articolo 3, comma 3, mediante forme di assistenza domiciliare e di aiuto personale, anche della durata di 24 ore, provvedendo alla realizzazione dei servizi di cui all'articolo 9, all’istituzione di servizi di accoglienza per periodi brevi e di emergenza, tenuto conto di quanto disposto dagli articoli 8, comma 1, lettera i), e 10, comma 1, e al rimborso parziale delle spese documentate di assistenza nell'ambito di programmi previamente concordati; (9)

l-ter) a disciplinare, allo scopo di garantire il diritto ad una vita indipendente alle persone con disabilità permanente e grave limitazione dell'autonomia personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita, non superabili mediante ausili tecnici, le modalità di realizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta, anche mediante piani personalizzati per i soggetti che ne facciano richiesta, con verifica delle prestazioni erogate e della loro efficacia. (9)

(8) - comma così modificato dal primo articolo della .

(9) - lettera aggiunta dal primo articolo della .

40. Compiti dei comuni. - 1. I comuni, anche consorziati tra loro, le loro unioni, le comunità montane e le unità sanitarie locali qualora le leggi regionali attribuiscano loro la competenza, attuano gli interventi sociali e sanitari previsti dalla presente legge nel quadro della normativa regionale, mediante gli accordi

di programma di cui all'articolo 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142, dando priorità agli interventi di riqualificazione, di riordinamento e di potenziamento dei servizi esistenti.

2. Gli statuti comunali di cui all'articolo 4 della citata legge n. 142 del 1990 disciplinano le modalità del coordinamento degli interventi di cui al comma 1 con i servizi sociali, sanitari, educativi e di tempo libero operanti nell'ambito territoriale e l'organizzazione di un servizio di segreteria per i rapporti con gli utenti, da realizzarsi anche nelle forme del decentramento previste dallo statuto stesso.

41. Competenze del Ministro per gli affari sociali e costituzione del Comitato nazionale per le politiche dell'handicap. - 1. Il Ministro per gli affari sociali coordina l'attività delle Amministrazioni dello Stato competenti a realizzare gli obiettivi della presente legge ed ha compiti di promozione di politiche di sostegno per le persone handicappate e di verifica dell'attuazione della legislazione vigente in materia.

2. I disegni di legge del Governo contenenti disposizioni concernenti la condizione delle persone handicappate sono presentati previo concerto con il Ministro per gli affari sociali. Il concerto con il Ministro per gli affari sociali è obbligatorio per i regolamenti e per gli atti di carattere generale adottati in materia.

3. Per favorire l'assolvimento dei compiti di cui al comma 1, è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Comitato nazionale per le politiche dell'handicap.

4. Il Comitato è composto dal Ministro per gli affari sociali, che lo presiede, dai Ministri dell'interno, del tesoro, della pubblica istruzione, della sanità, del lavoro e della previdenza sociale, nonché dai Ministri per le riforme istituzionali e gli affari regionali e per il coordinamento delle politiche comunitarie. Alle riunioni del Comitato possono essere chiamati a partecipare altri Ministri in relazione agli argomenti da trattare.

5. Il Comitato è convocato almeno tre volte l'anno, di cui una prima della presentazione al Consiglio dei ministri del disegno di legge finanziaria.

6. Il Comitato si avvale di:

a) tre assessori scelti tra gli assessori regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 16 dicembre 1989, n. 418; (10) b) tre rappresentanti degli enti locali designati dall'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e un rappresentante degli enti locali designato dalla Lega delle autonomie locali; c) cinque esperti scelti fra i membri degli enti e delle associazioni in possesso dei requisiti di cui agli articoli 1 e 2 della legge 19 novembre 1987, n. 476, che svolgano attività di promozione e tutela delle persone handicappate e delle loro famiglie; d) tre rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

7. Il Comitato si avvale dei sistemi informativi delle Amministrazioni in esso rappresentate.

8. Il Ministro per gli affari sociali, entro il 15 aprile di ogni anno, presenta una relazione al Parlamento sui dati relativi allo stato di attuazione delle politiche per l'handicap in Italia, nonché sugli indirizzi che saranno seguiti. A tal fine le Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali trasmettono, entro il 28 febbraio di ciascun anno, alla Presidenza del Consiglio dei ministri tutti i dati relativi agli interventi di loro competenza disciplinati dalla presente legge. Nel primo anno di applicazione della presente legge la relazione è presentata entro il 30 ottobre.

9. Il Comitato, nell'esercizio delle sue funzioni, è coadiuvato da una commissione permanente composta da un rappresentante per ciascuno dei Ministeri dell'interno, delle finanze, del tesoro, della pubblica istruzione, della sanità, del lavoro e della previdenza sociale, dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, nonché da tre rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei ministri di cui uno del Dipartimento per gli affari sociali, uno del Dipartimento per gli affari regionali, uno del Dipartimento per la funzione pubblica. La commissione è presieduta dal responsabile dell'Ufficio per le problematiche della famiglia, della terza età, dei disabili e degli emarginati, del Dipartimento per gli affari sociali.

(10) La Corte costituzionale, con sentenza 21-29 ottobre 1992, n. 406 (G.U. 4 novembre 1992, n. 46 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 41, sesto comma, nella parte in cui, con riguardo alla lettera a), prevede che il Comitato "si avvale di", anziché "è composto da".

Art. 41-bis. Conferenza nazionale sulle politiche dell'handicap. - I. Il Ministro per la solidarietà sociale, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 dei decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, promuove indagini statistiche e conoscitive sull'handicap e convoca ogni tre anni una conferenza nazionale sulle politiche dell'handicap alla quale invita soggetti pubblici, privati e dei privato sociale che esplicano la loro attività nel campo dell'assistenza e della integrazione sociale delle persone handicappate. Le conclusioni di tale conferenza sono trasmesse al Parlamento anche al fine di individuare eventuali correzioni alla legislazione vigente. (11)

(11) articolo aggiunto dal primo articolo della .

Art. 41-ter. Progetti sperimentali. - 1. Il Ministro per la solidarietà sociale promuove e coordina progetti sperimentali aventi per oggetto gli interventi previsti dagli articoli 10, 23, 25 e 26 della presente legge.

2. Il Ministro per la solidarietà sociale, con proprio decreto, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 dei decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, definisce i criteri e le modalità per la presentazione e la valutazione dei progetti sperimentali di cui al comma 1 nonché i criteri per la ripartizione dei fondi stanziati per il finanziamento dei progetti di cui al presente articolo. (12)

(12) articolo aggiunto dal primo articolo della .

42. Copertura finanziaria. - 1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari sociali, è istituito il Fondo per l'integrazione degli interventi regionali e delle province autonome in favore dei cittadini handicappati.

2. Il Ministro per gli affari sociali provvede, sentito il Comitato nazionale per le politiche dell'handicap di cui all'articolo 41, alla ripartizione annuale del Fondo tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in proporzione al numero degli abitanti.

3. A partire dal terzo anno di applicazione della presente legge, il criterio della proporzionalità di cui al comma 2 può essere integrato da altri criteri, approvati dal Comitato di cui all'articolo 41, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano di cui all'articolo 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, con riferimento a situazioni di particolare concentrazione di persone handicappate e di servizi di alta specializzazione, nonché a situazioni di grave arretratezza di alcune aree.

4. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono a ripartire i fondi di loro spettanza tra gli enti competenti a realizzare i servizi, dando priorità agli interventi in favore delle persone handicappate in situazione di gravità e agli interventi per la prevenzione.

5. Per le finalità previste dalla presente legge non possono essere incrementate le dotazioni organiche del personale della scuola di ogni ordine e grado oltre i limiti consentiti dalle disponibilità finanziarie all'uopo preordinate dal comma 6, lettera h).

6. E' autorizzata la spesa di lire 120 miliardi per l'anno 1992 e di lire 150 miliardi a decorrere dal 1993, da ripartire, per ciascun anno, secondo le seguenti finalità:

a) lire 2 miliardi e 300 milioni per l'integrazione delle commissioni di cui all'articolo 4; b) lire 1 miliardo per il finanziamento del soggiorno all'estero per cure nei casi previsti dall'articolo 11; c) lire 4 miliardi per il potenziamento dei servizi di istruzione dei minori ricoverati di cui all'articolo 12; d) lire 8 miliardi per le attrezzature per le scuole di cui all'articolo 13, comma 1, lettera b); e) lire 2 miliardi per le attrezzature per le università di cui all'articolo 13, comma 1, lettera b); f) lire 1 miliardo e 600 milioni per l'attribuzione di incarichi a interpreti per studenti non udenti nelle università di cui all'articolo 13, comma 1, lettera d); g) lire 4 miliardi per l'avvio della sperimentazione di cui all'articolo 13, comma 1, lettera e); h) lire 19 miliardi per l'anno 1992 e lire 38 miliardi per l'anno 1993 per l'assunzione di personale docente di sostegno nelle scuole secondarie di secondo grado prevista dall'articolo 13, comma 4; i) lire 4 miliardi e 538 milioni per la formazione del personale docente prevista dall'articolo 14; l) lire 2 miliardi per gli oneri di funzionamento dei gruppi di lavoro di cui all'articolo 15; m) lire 5 miliardi per i contributi ai progetti per l'accesso ai servizi radiotelevisivi e telefonici previsti all'articolo 25; n) lire 4 miliardi per un contributo del 20 per cento per la modifica degli strumenti di guida ai sensi dell'articolo 27, comma 1; o) lire 20 miliardi per ciascuno degli anni 1992 e 1993 per le agevolazioni per i genitori che lavorano, previste dall'articolo 33; p) lire 50 milioni per gli oneri di funzionamento del Comitato e della commissione di cui all'articolo 41; q) lire 42 miliardi e 512 milioni per l'anno 1992 e lire 53 miliardi e 512 milioni a partire dall'anno 1993 per il finanziamento del Fondo per l'integrazione degli interventi regionali e delle province autonome in favore dei cittadini handicappati di cui al comma 1 del presente articolo.

7. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, pari a lire 120 miliardi per l'anno 1992 e a lire 150 miliardi a decorrere dall'anno 1993, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1992-1994, al capitolo 6856 dello stato di previsionie del Ministero del tesoro per il 1992, all'uopo utilizzando l'accantonamento "Provvedimenti in favore di portatori di handicap".

8. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

43. Abrogazioni. - 1. L'articolo 230 del testo unico approvato con regio decreto 5 febbraio 1928, n. 577, l'articolo 415 del regolamento approvato con regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297, ed i commi secondo e terzo dell'articolo 28, della legge 30 marzo 1971, n. 118, sono abrogati.

44. Entrata in vigore. - 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Legge 8 marzo 2000, n. 53

"Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città"

(Pubblicata nella Gazzetta Ordinaria del 13 marzo 2000, n. 60)

Attenzione, si vedano anche: - la - "Congedi parentali. Legge 8 marzo 2000, n. 53. "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città" - la -"Benefici a favore delle persone handicappate. Legge 8 marzo 2000, n. 53. Art. 33, commi 1, 2, 3 e 6 della legge n. 104/92" - il "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"

CAPO I PRINCÍPI GENERALI

Art. 1. (Finalità)

1. La presente legge promuove un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione, mediante:

a) l'istituzione dei congedi dei genitori e l'estensione del sostegno ai genitori di soggetti portatori di handicap; b) l'istituzione del congedo per la formazione continua e l'estensione dei congedi per la formazione; c) il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale.

Art. 2. (Campagne informative)

1. Al fine di diffondere la conoscenza delle disposizioni della presente legge, il Ministro per la solidarietà sociale è autorizzato a predisporre, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, apposite campagne informative, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio destinati allo scopo.

CAPO II CONGEDI PARENTALI, FAMILIARI E FORMATIVI

Art. 3. (Congedi dei genitori)

1. All'articolo 1 della , dopo il terzo comma è inserito il seguente:

"Il diritto di astenersi dal lavoro di cui all'articolo 7, ed il relativo trattamento economico, sono riconosciuti anche se l'altro genitore non ne ha diritto. Le disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7 e al comma 2 dell'articolo 15 sono estese alle lavoratrici di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546, madri di bambini nati a decorrere dal 1º gennaio 2000. Alle predette lavoratrici i diritti previsti dal comma 1 dell'articolo 7 e dal comma 2 dell'articolo 15 spettano limitatamente ad un periodo di tre mesi, entro il primo anno di vita del bambino".

2. L'articolo 7 della , è sostituito dal seguente:

"Art. 7. - 1. Nei primi otto anni di vita del bambino ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. Le astensioni dal lavoro dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell'ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete:

a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria di cui all'articolo 4, primo comma, lettera c), della presente legge, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;

b) al padre lavoratore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;

c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.

2. Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non inferiore a tre mesi, il limite di cui alla lettera b) del comma 1 è elevato a sette mesi e il limite complessivo delle astensioni dal lavoro dei genitori di cui al medesimo comma è conseguentemente elevato a undici mesi.

3. Ai fini dell'esercizio del diritto di cui al comma 1, il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non inferiore a quindici giorni.

4. Entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto, altresì, di astenersi dal lavoro durante le malattie del bambino di età inferiore a otto anni ovvero di età compresa fra tre e otto anni, in quest'ultimo caso nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno per ciascun genitore, dietro presentazione di certificato rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. La malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe il decorso del periodo di ferie in godimento da parte del genitore.

5. I periodi di astensione dal lavoro di cui ai commi 1 e 4 sono computati nell'anzianità di servizio,

esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia. Ai fini della fruizione del congedo di cui al comma 4, la lavoratrice ed il lavoratore sono tenuti a presentare una dichiarazione rilasciata ai sensi dell'articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l'altro genitore non sia in astensione dal lavoro negli stessi giorni per il medesimo motivo".

3. All'articolo 10 della , sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

"Ai periodi di riposo di cui al presente articolo si applicano le disposizioni in materia di contribuzione figurativa, nonché di riscatto ovvero di versamento dei relativi contributi previsti dal comma 2, lettera b), dell'articolo 15. In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dal primo comma del presente articolo possono essere utilizzate anche dal padre".

4. L'articolo 15 della , è sostituito dal seguente:

"Art. 15. - 1. Le lavoratrici hanno diritto ad un'indennità giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro stabilita dagli articoli 4 e 5 della presente legge. Tale indennità è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia.

2. Per i periodi di astensione facoltativa di cui all'articolo 7, comma 1, ai lavoratori e alle lavoratrici è dovuta:

a) fino al terzo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi; il relativo periodo, entro il limite predetto, è coperto da contribuzione figurativa;

b) fuori dei casi di cui alla lettera a), fino al compimento dell'ottavo anno di vita del bambino, e comunque per il restante periodo di astensione facoltativa, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, nell'ipotesi in cui il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria; il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa, attribuendo come valore retributivo per tale periodo il 200 per cento del valore massimo dell'assegno sociale, proporzionato ai periodi di riferimento, salva la facoltà di integrazione da parte dell'interessato, con riscatto ai sensi dell'articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, ovvero con versamento dei relativi contributi secondo i criteri e le modalità della prosecuzione volontaria.

3. Per i periodi di astensione per malattia del bambino di cui all'articolo 7, comma 4, è dovuta:

a) fino al compimento del terzo anno di vita del bambino, la contribuzione figurativa;

b) successivamente al terzo anno di vita del bambino e fino al compimento dell'ottavo anno, la copertura contributiva calcolata con le modalità previste dal comma 2, lettera b).

4. Il reddito individuale di cui al comma 2, lettera b), è determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l'integrazione al minimo.

5. Le indennità di cui al presente articolo sono corrisposte con gli stessi criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie dall'ente assicuratore della malattia presso il quale la lavoratrice o il lavoratore è assicurato e non sono subordinate a particolari requisiti contributivi o di anzianità assicurativa".

5. Le disposizioni del presente articolo trovano applicazione anche nei confronti dei genitori adottivi o affidatari. Qualora, all'atto dell'adozione o dell'affidamento, il minore abbia un'età compresa fra sei e dodici anni, il diritto di astenersi dal lavoro, ai sensi dei commi 1 e 2 del presente articolo, può essere esercitato nei primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. Nei confronti delle lavoratrici a domicilio e delle addette ai servizi domestici e familiari, le disposizioni dell'articolo 15 della , come sostituito dal comma 4 del presente articolo, si applicano limitatamente al comma 1.

Art. 4. (Congedi per eventi e cause particolari)

1. La lavoratrice e il lavoratore hanno diritto ad un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all'anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge od un parente entro il secondo grado o del convivente, purché la stabile convivenza con il lavoratore o la lavoratrice risulti da certificazione anagrafica. In alternativa, nei casi di documentata grave infermità, il lavoratore e la lavoratrice possono concordare con il datore di lavoro diverse modalità di espletamento dell'attività lavorativa.

2. I dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le patologie individuate ai sensi del comma 4, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni. Durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo non è computato nell'anzianità di servizio né ai fini previdenziali; il lavoratore può procedere al riscatto, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria.

3. I contratti collettivi disciplinano le modalità di partecipazione agli eventuali corsi di formazione del personale che riprende l'attività lavorativa dopo la sospensione di cui al comma 2.

4. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro per la solidarietà sociale, con proprio decreto, di concerto con i Ministri della sanità, del lavoro e della previdenza sociale e per le pari opportunità, provvede alla definizione dei criteri per la fruizione dei congedi di cui al

presente articolo, all'individuazione delle patologie specifiche ai sensi del comma 2, nonché alla individuazione dei criteri per la verifica periodica relativa alla sussistenza delle condizioni di grave infermità dei soggetti di cui al comma 1. (1)

4.bis. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, o, dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o delle sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità di cui all'articolo 3, comma 3, della , accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge medesima da almeno cinque anni e che abbiano titolo a fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 1, 2 e 3, della predetta legge n. 104 del 1992 per l'assistenza del figlio, hanno diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 del presente articolo entro sessanta giorni dalla richiesta. Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un'indennità corrispondente all'ultima retribuzione e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa; l'indennità e la contribuzione figurativa spettano fino ad un importo complessivo massimo di lire 70 milioni annue per il congedo di durata annuale. Detto importo è rivalutato annualmente, a decorrere dall'anno 2002, sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. L'indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità. I datori di lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l'importo dell'indennità dall'ammontare dei contributi previdenziali dovuti all'ente previdenziale competente. Per i dipendenti dei predetti datori di lavoro privati, compresi quelli per i quali non è prevista l'assicurazione per le prestazioni di maternità, l'indennità di cui al presente comma è corrisposta con le modalità di cui all'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33. Il congedo fruito ai sensi del presente comma alternativamente da entrambi i genitori, anche adottivi, non può superare la durata complessiva di due anni; durante il periodo di congedo entrambi i genitori non possono fruire dei benefici di cui all'articolo 33 della , fatte salve le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 del medesimo articolo. (2)

(1) si veda il .

(2) Comma aggiunto dall'articolo 80 comma 2 della

Art. 5. (Congedi per la formazione)

1. Ferme restando le vigenti disposizioni relative al diritto allo studio di cui all'articolo 10 della legge 20 maggio 1970, n. 300, i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati, che abbiano almeno cinque anni di anzianità di servizio presso la stessa azienda o amministrazione, possono richiedere una sospensione del rapporto di lavoro per congedi per la formazione per un periodo non superiore ad undici mesi, continuativo o frazionato, nell'arco dell'intera vita lavorativa.

2. Per "congedo per la formazione" si intende quello finalizzato al completamento della scuola dell'obbligo, al conseguimento del titolo di studio di secondo grado, del diploma universitario o di laurea, alla partecipazione ad attività formative diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro.

3. Durante il periodo di congedo per la formazione il dipendente conserva il posto di lavoro e non ha diritto alla retribuzione. Tale periodo non è computabile nell'anzianità di servizio e non è cumulabile con le ferie, con la malattia e con altri congedi. Una grave e documentata infermità, individuata sulla base dei criteri stabiliti dal medesimo decreto di cui all'articolo 4, comma 4, intervenuta durante il periodo di congedo, di cui sia data comunicazione scritta al datore di lavoro, dà luogo ad interruzione del congedo medesimo.

4. Il datore di lavoro può non accogliere la richiesta di congedo per la formazione ovvero può differirne l'accoglimento nel caso di comprovate esigenze organizzative. I contratti collettivi prevedono le modalità di fruizione del congedo stesso, individuano le percentuali massime dei lavoratori che possono avvalersene, disciplinano le ipotesi di differimento o di diniego all'esercizio di tale facoltà e fissano i termini del preavviso, che comunque non può essere inferiore a trenta giorni.

5. Il lavoratore può procedere al riscatto del periodo di cui al presente articolo, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria.

Art. 6. (Congedi per la formazione continua)

1. I lavoratori, occupati e non occupati, hanno diritto di proseguire i percorsi di formazione per tutto l'arco della vita, per accrescere conoscenze e competenze professionali. Lo Stato, le regioni e gli enti locali assicurano un'offerta formativa articolata sul territorio e, ove necessario, integrata, accreditata secondo le disposizioni dell'articolo 17 della legge 24 giugno 1997, n. 196, e successive modificazioni, e del relativo regolamento di attuazione. L'offerta formativa deve consentire percorsi personalizzati, certificati e riconosciuti come crediti formativi in ambito nazionale ed europeo. La formazione può corrispondere ad autonoma scelta del lavoratore ovvero essere predisposta dall'azienda, attraverso i piani formativi aziendali o territoriali concordati tra le parti sociali in coerenza con quanto previsto dal citato articolo 17 della legge n. 196 del 1997, e successive modificazioni.

2. La contrattazione collettiva di categoria, nazionale e decentrata, definisce il monte ore da destinare ai congedi di cui al presente articolo, i criteri per l'individuazione dei lavoratori e le modalità di orario e retribuzione connesse alla partecipazione ai percorsi di formazione.

3. Gli interventi formativi che rientrano nei piani aziendali o territoriali di cui al comma 1 possono essere

finanziati attraverso il fondo interprofessionale per la formazione continua, di cui al regolamento di attuazione del citato articolo 17 della legge n. 196 del 1997.

4. Le regioni possono finanziare progetti di formazione dei lavoratori che, sulla base di accordi contrattuali, prevedano quote di riduzione dell'orario di lavoro, nonché progetti di formazione presentati direttamente dai lavoratori. Per le finalità del presente comma è riservata una quota, pari a lire 30 miliardi annue, del Fondo per l'occupazione di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, provvede annualmente, con proprio decreto, a ripartire fra le regioni la predetta quota, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

Art. 7. (Anticipazione del trattamento di fine rapporto)

1. Oltre che nelle ipotesi di cui all'articolo 2120, ottavo comma, del codice civile, il trattamento di fine rapporto può essere anticipato ai fini delle spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi di cui all'articolo 7, comma 1, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, come sostituito dall'articolo 3, comma 2, della presente legge, e di cui agli articoli 5 e 6 della presente legge. L'anticipazione è corrisposta unitamente alla retribuzione relativa al mese che precede la data di inizio del congedo. Le medesime disposizioni si applicano anche alle domande di anticipazioni per indennità equipollenti al trattamento di fine rapporto, comunque denominate, spettanti a lavoratori dipendenti di datori di lavoro pubblici e privati.

2. Gli statuti delle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni, possono prevedere la possibilità di conseguire, ai sensi dell'articolo 7, comma 4, del citato decreto legislativo n. 124 del 1993, un'anticipazione delle prestazioni per le spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi di cui agli articoli 5 e 6 della presente legge.

3. Con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, del lavoro e della previdenza sociale e per la solidarietà sociale, sono definite le modalità applicative delle disposizioni del comma 1 in riferimento ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Art. 8. (Prolungamento dell'età pensionabile)

1. I soggetti che usufruiscono dei congedi previsti dall'articolo 5, comma 1, possono, a richiesta, prolungare il rapporto di lavoro di un periodo corrispondente, anche in deroga alle disposizioni concernenti l'età di pensionamento obbligatoria. La richiesta deve essere comunicata al datore di lavoro con un preavviso non inferiore a sei mesi rispetto alla data prevista per il pensionamento.

CAPO III FLESSIBILITÁ DI ORARIO

Art. 9. (Misure a sostegno della flessibilità di orario)

1. Al fine di promuovere e incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa volte a conciliare tempo di vita e di lavoro, nell'ambito del Fondo per l'occupazione di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, è destinata una quota fino a lire 40 miliardi annue a decorrere dall'anno 2000, al fine di erogare contributi, di cui almeno il 50 per cento destinato ad imprese fino a cinquanta dipendenti, in favore di aziende che applichino accordi contrattuali che prevedono azioni positive per la flessibilità, ed in particolare:

a) progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiano in affidamento o in adozione un minore, di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, tra cui part-time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in uscita, banca delle ore, flessibilità sui turni, orario concentrato, con priorità per i genitori che abbiano bambini fino ad otto anni di età o fino a dodici anni, in caso di affidamento o di adozione;

b) programmi di formazione per il reinserimento dei lavoratori dopo il periodo di congedo;

c) progetti che consentano la sostituzione del titolare di impresa o del lavoratore autonomo, che benefici del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi parentali, con altro imprenditore o lavoratore autonomo.

2. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri per la solidarietà sociale e per le pari opportunità, sono definiti i criteri e le modalità per la concessione dei contributi di cui al comma 1.

CAPO IV ULTERIORI DISPOSIZIONI A SOSTEGNO DELLA MATERNITÁ E DELLA PATERNITÁ

Art. 10. (Sostituzione di lavoratori in astensione)

1. L'assunzione di lavoratori a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione obbligatoria o facoltativa dal lavoro ai sensi della , come modificata dalla presente legge, può avvenire anche con anticipo fino ad un mese rispetto al periodo di inizio dell'astensione, salvo periodi superiori previsti dalla contrattazione collettiva.

2. Nelle aziende con meno di venti dipendenti, per i contributi a carico del datore di lavoro che assume lavoratori con contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione ai sensi degli articoli , e della , come modificati dalla presente legge, è concesso uno sgravio contributivo del 50 per cento. Le disposizioni del presente comma trovano applicazione fino al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in astensione e per un anno dall'accoglienza del minore adottato o in affidamento.

3. Nelle aziende in cui operano lavoratrici autonome di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546, è possibile procedere, in caso di maternità delle suddette lavoratrici, e comunque entro il primo anno di età del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, all'assunzione di un lavoratore a tempo determinato, per un periodo massimo di dodici mesi, con le medesime agevolazioni di cui al comma 2.

Art. 11. (Parti prematuri)

1. All'articolo 4 della legge , sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

"Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto. La lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto".

Art. 12. (Flessibilità dell'astensione obbligatoria)

1. Dopo l'articolo 4 della, è inserito il seguente:

"Art. 4- bis. - 1. Ferma restando la durata complessiva dell'astensione dal lavoro, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro".

2. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità e per la solidarietà sociale, sentite le parti sociali, definisce, con proprio decreto da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'elenco dei lavori ai quali non si applicano le disposizioni dell'articolo 4 - bis della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, introdotto dal comma 1 del presente articolo.

3. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità e per la solidarietà sociale, provvede, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad aggiornare l'elenco dei lavori pericolosi, faticosi ed insalubri di cui all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026.

Art. 13. (Astensione dal lavoro del padre lavoratore)

1. Dopo l'articolo 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, sono inseriti i seguenti:

"Art. 6- bis. - 1. Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro nei primi tre mesi dalla nascita del figlio, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.

2. Il padre lavoratore che intenda avvalersi del diritto di cui al comma 1 presenta al datore di lavoro la certificazione relativa alle condizioni ivi previste. In caso di abbandono, il padre lavoratore ne rende dichiarazione ai sensi dell'articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15.

3. Si applicano al padre lavoratore le disposizioni di cui agli articoli 6 e 15, commi 1 e 5, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni.

4. Al padre lavoratore si applicano altresì le disposizioni di cui all'articolo 2 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni, per il periodo di astensione dal lavoro di cui al comma 1 del presente articolo e fino al compimento di un anno di età del bambino.

Art. 6- ter. - 1. I periodi di riposo di cui all'articolo 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni, e i relativi trattamenti economici sono riconosciuti al padre lavoratore:

a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente".

Art. 14. (Estensione di norme a specifiche categorie di lavoratrici madri)

1. I benefici previsti dal primo periodo del comma 1 dell'articolo 13 della legge 7 agosto 1990, n. 232, sono estesi, dalla data di entrata in vigore della presente legge, anche alle lavoratrici madri appartenenti ai corpi di polizia municipale.

Art. 15. (Testo unico)

1. Al fine di conferire organicità e sistematicità alle norme in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è delegato ad emanare un decreto legislativo recante il testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia, nel rispetto dei seguenti princípi e criteri direttivi:

a) puntuale individuazione del testo vigente delle norme; b) esplicita indicazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni; c) coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo; d) esplicita indicazione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restano comunque in vigore; e) esplicita abrogazione di tutte le rimanenti disposizioni, non richiamate, con espressa indicazione delle stesse in apposito allegato al testo unico; f) esplicita abrogazione delle norme secondarie incompatibili con le disposizioni legislative raccolte nel testo unico.

2. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 1 è deliberato dal Consiglio dei ministri ed è trasmesso, con apposita relazione cui è allegato il parere del Consiglio di Stato, alle competenti Commissioni parlamentari permanenti, che esprimono il parere entro quarantacinque giorni dall'assegnazione.

3. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1 possono essere emanate, nel rispetto dei princípi e criteri direttivi di cui al medesimo comma 1 e con le modalità di cui al comma 2, disposizioni correttive del testo unico. (3)

(3) Si veda il "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"

Art. 16. (Statistiche ufficiali sui tempi di vita)

1. L'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) assicura un flusso informativo quinquennale sull'organizzazione dei tempi di vita della popolazione attraverso la rilevazione sull'uso del tempo, disaggregando le informazioni per sesso e per età.

Art. 17. (Disposizioni diverse)

1. Nei casi di astensione dal lavoro disciplinati dalla presente legge, la lavoratrice e il lavoratore hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, al rientro nella stessa unità produttiva ove erano occupati al momento della richiesta di astensione o di congedo o in altra ubicata nel medesimo comune; hanno altresì diritto di essere adibiti alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti.

2. All'articolo 2 della , è aggiunto, in fine, il seguente comma:

"Al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall'articolo 4 della presente legge le lavoratrici hanno diritto, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate all'inizio del periodo di gestazione o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino; hanno altresì diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti".

3. I contratti collettivi di lavoro possono prevedere condizioni di maggior favore rispetto a quelle previste dalla presente legge.

4. Sono abrogate le disposizioni legislative incompatibili con la presente legge ed in particolare l'articolo 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903.

Art. 18. (Disposizioni in materia di recesso)

1. Il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo di cui agli articoli 3, 4, 5, 6 e 13 della presente legge è nullo.

2. La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento deve essere convalidata dal Servizio ispezione della direzione provinciale del lavoro.

CAPO V MODIFICHE ALLA LEGGE 5 FEBBRAIO 1992, N. 104

Art. 19. (Permessi per l'assistenza a portatori di handicap)

1. All'articolo 33 della , sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 3, dopo le parole: "permesso mensile" sono inserite le seguenti: "coperti da contribuzione figurativa"; b) al comma 5, le parole ", con lui convivente," sono soppresse; c) al comma 6, dopo le parole: "può usufruire " è inserita la seguente: "alternativamente". (1)

(1) si veda anche la

Art. 20. (Estensione delle agevolazioni per l'assistenza a portatori di handicap)

1. Le disposizioni dell'articolo 33 della , come modificato dall'articolo 19 della presente legge, si applicano anche qualora l'altro genitore non ne abbia diritto nonché ai genitori ed ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorché non convivente. (4)

(4) si veda anche la e la

CAPO VI NORME FINANZIARIE

Art. 21. (Copertura finanziaria)

1. All'onere derivante dall'attuazione delle disposizioni degli articoli da 3 a 20, esclusi gli articoli 6 e 9, della presente legge, valutato in lire 298 miliardi annue a decorrere dall'anno 2000, si provvede, quanto a lire 273 miliardi annue a decorrere dall'anno 2000, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 3 del decreto-legge 20 gennaio 1998, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 1998, n. 52, concernente il Fondo per l'occupazione; quanto a lire 25 miliardi annue a decorrere dall'anno 2000, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1 della legge 28 agosto 1997, n. 285.

2. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

CAPO VII TEMPI DELLE CITTÁ

Art. 22. (Compiti delle regioni)

1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le regioni definiscono, con proprie leggi, ai sensi dell'articolo 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, qualora non vi abbiano già provveduto, norme per il coordinamento da parte dei comuni degli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, nonché per la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale, secondo i princípi del presente capo.

2. Le regioni prevedono incentivi finanziari per i comuni, anche attraverso l'utilizzo delle risorse del Fondo di cui all'articolo 28, ai fini della predisposizione e dell'attuazione dei piani territoriali degli orari di cui all'articolo 24 e della costituzione delle banche dei tempi di cui all'articolo 27.

3. Le regioni possono istituire comitati tecnici, composti da esperti in materia di progettazione urbana, di analisi sociale, di comunicazione sociale e di gestione organizzativa, con compiti consultivi in ordine al coordinamento degli orari delle città e per la valutazione degli effetti sulle comunità locali dei piani territoriali degli orari.

4. Nell'ambito delle proprie competenze in materia di formazione professionale, le regioni promuovono corsi di qualificazione e riqualificazione del personale impiegato nella progettazione dei piani territoriali degli orari e nei progetti di riorganizzazione dei servizi.

5. Le leggi regionali di cui al comma 1 indicano:

a) criteri generali di amministrazione e coordinamento degli orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati, degli uffici della pubblica amministrazione, dei pubblici esercizi commerciali e turistici, delle attività culturali e dello spettacolo, dei trasporti;

b) i criteri per l'adozione dei piani territoriali degli orari;

c) criteri e modalità per la concessione a i comuni di finanziamenti per l'adozione dei piani territoriali degli orari e per la costituzione di banche dei tempi, con priorità per le iniziative congiunte dei comuni con popolazione non superiore a 30.000 abitanti.

6. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono secondo le rispettive competenze.

Art. 23. (Compiti dei comuni)

1. I comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti attuano, singolarmente o in forma associata, le disposizioni dell'articolo 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, secondo le modalità stabilite dal presente capo, nei tempi indicati dalle leggi regionali di cui all'articolo 22, comma 1, e comunque non oltre un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.

2. In caso di inadempimento dell'obbligo di cui al comma 1, il presidente della giunta regionale nomina un commissario ad acta.

3. I comuni con popolazione non superiore a 30.000 abitanti possono attuare le disposizioni del presente capo in forma associata.

Art. 24. (Piano territoriale degli orari)

1. Il piano territoriale degli orari, di seguito denominato "piano", realizza le finalità di cui all'articolo 1, comma 1, lettera c), ed è strumento unitario per finalità ed indirizzi, articolato in progetti, anche sperimentali, relativi al funzionamento dei diversi sistemi orari dei servizi urbani e alla loro graduale

armonizzazione e coordinamento.

2. I comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti sono tenuti ad individuare un responsabile cui è assegnata la competenza in materia di tempi ed orari e che partecipa alla conferenza dei dirigenti, ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni.

3. I comuni con popolazione non superiore a 30.000 abitanti possono istituire l'ufficio di cui al comma 2 in forma associata.

4. Il sindaco elabora le linee guida del piano. A tale fine attua forme di consultazione con le amministrazioni pubbliche, le parti sociali, nonché le associazioni previste dall'articolo 6 della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, e le associazioni delle famiglie.

5. Nell'elaborazione del piano si tiene conto degli effetti sul traffico, sull'inquinamento e sulla qualità della vita cittadina degli orari di lavoro pubblici e privati, degli orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati, degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, delle attività commerciali, ferme restando le disposizioni degli articoli da 11 a 13 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, nonché delle istituzioni formative, culturali e del tempo libero.

6. Il piano è approvato dal consiglio comunale su proposta del sindaco ed è vincolante per l'amministrazione comunale, che deve adeguare l'azione dei singoli assessorati alle scelte in esso contenute. Il piano è attuato con ordinanze del sindaco.

Art. 25. (Tavolo di concertazione)

1. Per l'attuazione e la verifica dei progetti contenuti nel piano di cui all'articolo 24, il sindaco istituisce un tavolo di concertazione, cui partecipano:

a) il sindaco stesso o, per suo incarico, il responsabile di cui all'articolo 24, comma 2; b) il prefetto o un suo rappresentante; c) il presidente della provincia o un suo rappresentante; d) i presidenti delle comunità montane o loro rappresentanti; e) un dirigente per ciascuna delle pubbliche amministrazioni non statali coinvolte nel piano; f) rappresentanti sindacali degli imprenditori della grande, media e piccola impresa, del commercio, dei servizi, dell'artigianato e dell'agricoltura; g) rappresentanti sindacali dei lavoratori; h) il provveditore agli studi ed i rappresentanti delle università presenti nel territorio; i) i presidenti delle aziende dei trasporti urbani ed extraurbani, nonché i rappresentanti delle aziende ferroviarie.

2. Per l'attuazione del piano di cui all'articolo 24, il sindaco promuove accordi con i soggetti pubblici e privati di cui al comma 1.

3. In caso di emergenze o di straordinarie necessità dell'utenza o di gravi problemi connessi al traffico e all'inquinamento, il sindaco può emettere ordinanze che prevedano modificazioni degli orari.

4. Le amministrazioni pubbliche, anche territoriali, sono tenute ad adeguare gli orari di funzionamento degli uffici alle ordinanze di cui al comma 3.

5. I comuni capoluogo di provincia sono tenuti a concertare con i comuni limitrofi, attraverso la conferenza dei sindaci, la riorganizzazione territoriale degli orari. Alla conferenza partecipa un rappresentante del presidente della provincia.

Art. 26. (Orari della pubblica amministrazione)

1. Le articolazioni e le scansioni degli orari di apertura al pubblico dei servizi della pubblica amministrazione devono tenere conto delle esigenze dei cittadini che risiedono, lavorano ed utilizzano il territorio di riferimento.

2. Il piano di cui all'articolo 24, ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, può prevedere modalità ed articolazioni differenziate degli orari di apertura al pubblico dei servizi della pubblica amministrazione.

3. Le pubbliche amministrazioni, attraverso l'informatizzazione dei relativi servizi, possono garantire prestazioni di informazione anche durante gli orari di chiusura dei servizi medesimi e, attraverso la semplificazione delle procedure, possono consentire agli utenti tempi di attesa più brevi e percorsi più semplici per l'accesso ai servizi.

Art. 27. (Banche dei tempi)

1. Per favorire lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l'utilizzo dei servizi della città e il rapporto con le pubbliche amministrazioni, per favorire l'estensione della solidarietà nelle comunità locali e per incentivare le iniziative di singoli e gruppi di cittadini, associazioni, organizzazioni ed enti che intendano scambiare parte del proprio tempo per impieghi di reciproca solidarietà e interesse, gli enti locali possono sostenere e promuovere la costituzione di associazioni denominate "banche dei tempi".

2. Gli enti locali, per favorire e sostenere le banche dei tempi, possono disporre a loro favore l'utilizzo di locali e di servizi e organizzare attività di promozione, formazione e informazione. Possono altresì aderire alle banche dei tempi e stipulare con esse accordi che prevedano scambi di tempo da destinare a prestazioni di mutuo aiuto a favore di singoli cittadini o della comunità locale. Tali prestazioni devono essere compatibili con gli scopi statutari delle banche dei tempi e non devono costituire modalità di

esercizio delle attività istituzionali degli enti locali.

Art. 28. (Fondo per l'armonizzazione dei tempi delle città)

1. Nell'elaborare le linee guida del piano di cui all'articolo 24, il sindaco prevede misure per l'armonizzazione degli orari che contribuiscano, in linea con le politiche e le misure nazionali, alla riduzione delle emissioni di gas inquinanti nel settore dei trasporti. Dopo l'approvazione da parte del consigli o comunale, i piani sono comunicati alle regioni, che li trasmettono al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) indicandone, ai soli fini del presente articolo, l'ordine di priorità.

2. Per le finalità del presente articolo è istituito un Fondo per l'armonizzazione dei tempi delle città, nel limite massimo di lire 15 miliardi annue a decorrere dall'anno 2001. Alla ripartizione delle predette risorse provvede il CIPE, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decret o legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

3. Le regioni iscrivono le somme loro attribuite in un apposito capitolo di bilancio, nel quale confluiscono altresì eventuali risorse proprie, da utilizzare per spese destinate ad agevolare l'attuazione dei progetti inclusi nel piano di cui all'articolo 24 e degli interventi di cui all'articolo 27.

4. I contributi di cui al comma 3 sono concessi prioritariamente per:

a) associazioni di comuni; b) progetti presentati da comuni che abbiano attivato forme di coordinamento e cooperazione con altri enti locali per l'attuazione di specifici piani di armonizzazione degli orari dei servizi con vasti bacini d i utenza; c) interventi attuativi degli accordi di cui all'articolo 25, comma 2.

5. La Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è convocata ogni anno, entro il mese di febbraio, per l'esame dei risultati conseguiti attraverso l'impiego delle risorse del Fondo di cui al comma 2 e per la definizione delle linee di intervento futuro. Alle relative riunioni sono invitati i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, per la solidarietà sociale, per la funzione pubblica, dei trasporti e della navigazione e dell'ambiente, il presidente della società Ferrovie dello Stato spa, nonché i rappresentanti delle associazioni ambientaliste e del volontariato, delle organizzazioni sindacali e di categoria.

6. Il Governo, entro il mese di luglio di ogni anno e sulla base dei lavori della Conferenza di cui al comma 5, presenta al Parlamento una relazione sui progetti di riorganizzazione dei tempi e degli orari delle città.

7. All'onere derivante dall'istituzione del Fondo di cui al comma 2 si provvede mediante utilizzazione delle risorse di cui all'articolo 8, comma 10, lettera f), della legge 23 dicembre 1998, n. 448.

Circolare INPS - 6 giugno 2000, n. 109

"Congedi parentali. Legge 8 marzo 2000, n. 53. "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città"."

SOMMARIO:

1. I genitori naturali hanno diritto alla astensione facoltativa per 6 mesi (7 per il padre) nei primi 8 anni di vita del bambino; se entrambi chiedono l'astensione il periodo complessivo tra i due è di 10 mesi (o 11, se il padre fruisce di periodi tra 5 e 7 mesi); per le adozioni o affidamenti avvenuti entro il 12° anno di età del bambino, il periodo di astensione è il medesimo, con possibilità di richiedere l'astensione entro 3 anni dall'ingresso in famiglia per i bambini tra i 6 e i 12 anni . 2. L'indennità, pari al 30% della retribuzione, è erogabile fino al 3°anno di età del bambino per un periodo di 6 mesi tra i due genitori. L'indennità per gli ulteriori periodi eventualmente spettanti è subordinata a determinati requisiti di reddito. 3. Il padre ha diritto ai riposi orari anche se la madre non è lavoratrice dipendente. I riposi sono raddoppiati in caso di parto plurimo. 4. Le lavoratrici autonome (commercianti, artigiane, CD-CM) hanno diritto a 3 mesi di astensione facoltativa entro il 1° anno di vita del bambino. 5. Il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro in determinate situazioni può iniziare anche un mese prima del parto e terminare di conseguenza quattro mesi dopo il parto.

Sulla G.U. n. 60 del 13.3.2000 è stata pubblicata la - entrata in vigore il 28.3.2000- contenente, tra l'altro, modifiche della (artt. 1, 4, 7, 10, 15), della legge 903/77 (art. 6), della (art. 33); i testi coordinati della legge 1204, con le innovazioni evidenziate in corsivo, sono riportati in allegato.

Con la presente circolare si forniscono disposizioni applicative - su cui il Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale concorda - in materia di astensione facoltativa dal lavoro, riposi orari (c.d. per allattamento), flessibilità dell'astensione obbligatoria e astensione (con indennità all'80%) riconosciuta al padre lavoratore. La relativa disciplina è introdotta rispettivamente dagli artt. 3, 12 e 13 della legge.

1) ASTENSIONE FACOLTATIVA

1.1 GENITORI NATURALI

Il comma 1 dell'della legge n. 53/2000, modificativo dell'art. 1 della , stabilisce che il diritto del genitore di astenersi dal lavoro ed il relativo trattamento economico sono riconosciuti anche se l'altro genitore

non ne ha diritto.

Sul piano applicativo, tale disposizione è da intendersi riferita ai padri lavoratori dipendenti, considerato che alle madri lavoratrici dipendenti -escluse le lavoratrici a domicilio e quelle addette ai servizi domestici e familiari (esclusione confermata anche dalla presente legge, al comma 5 dell'art. 3)- è già riconosciuto, in base alla normativa precedente, un proprio diritto all'astensione facoltativa, indipendentemente dall'esistenza o meno di un diritto del padre. In sostanza, anche i padri lavoratori dipendenti -esclusi quelli a domicilio e quelli addetti ai servizi domestici- hanno ora un proprio diritto alla astensione facoltativa, indipendentemente dall'esistenza o meno di un diritto della madre, la quale, pertanto, può essere anche non lavoratrice.

La ristrutturazione integrale dell'istituto relativo alla astensione facoltativa ha comportato l'abrogazione (v. art. 17 della legge) dell'art. 7 della legge 903/77 riguardante, appunto, il diritto del padre lavoratore (anche se adottivo o affidatario).

Di conseguenza, le disposizioni di cui alla circolare n. 182 del 4.8.97 che si riferiscono alla derivazione del diritto del padre alla astensione facoltativa da quello della madre sono da intendere superate.

1.2 GENITORI ADOTTIVI O AFFIDATARI

Il comma 5 dell'art. 3 stabilisce che le disposizioni dello stesso art. 3 si applicano anche nei confronti dei genitori adottivi o affidatari.

Ne deriva che i genitori adottivi o affidatari hanno diritto ad usufruire della astensione facoltativa nei primi 8 anni di vita del bambino alle medesime condizioni e con le stesse modalità previste per i genitori naturali (per bambini tra i 6 e i 12 anni v. punto 1.3).

Pertanto è da considerare tacitamente abrogato il 2° comma dell'art. 6 della legge 903/77 nella parte in cui prevedeva che la lavoratrice potesse avvalersi del diritto alla astensione facoltativa entro un anno dall'effettivo ingresso nella famiglia del bambino di età non superiore ai tre anni.

Resta fermo, invece, quanto previsto al 1° comma del suddetto art. 6 relativamente al diritto della madre adottiva o affidataria alla astensione obbligatoria per i 3 mesi successivi all'ingresso nella famiglia del bambino che, al momento dell'adozione o dell'affidamento (per le adozioni o affidamenti internazionali, si precisa fin d'ora che valgono regole più favorevoli, su cui si fa riserva di indicazioni) non abbia superato i 6 anni di età; resta altresì fermo l'analogo diritto del padre adottivo o affidatario alla astensione obbligatoria nel caso in cui la madre abbia rinunciato a fruirne (v. sent. Corte Costituzionale n. 341/91) o sia deceduta, oppure il bambino sia affidato in via esclusiva al padre.

Lo stesso comma 5 stabilisce inoltre che, qualora all'atto dell'adozione o dell'affidamento il minore abbia una età compresa tra i 6 e i 12 anni, il diritto ad astenersi dal lavoro ai sensi dei commi 1 e 2 dell'art. 3 può essere esercitato nei primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare.

Ne consegue, come caso limite, che se all'atto dell'adozione o dell'affidamento il bambino ha 12 anni e la data del provvedimento di adozione o affidamento coincide con quella del suo ingresso in famiglia, il diritto alla astensione facoltativa può essere esercitato o dalla madre o dal padre o da entrambi fino all'età di 15 anni, data corrispondente all'ultimo giorno di astensione facoltativa comunque riconoscibile.

Con l'occasione si chiarisce sul piano generale che, nel caso in cui l'astensione (sia quella obbligatoria che quella facoltativa) sia stata usufruita per intero in seguito ad un provvedimento di affidamento preadottivo, non potrà essere riconosciuta una nuova indennità per astensione (rispettivamente obbligatoria e facoltativa) in conseguenza del provvedimento di adozione che faccia seguito a quello di affidamento.

1.3 DURATA

Il comma 2 del citato , nel sostituire l'art. 7 della , introduce nuovi limiti riguardanti sia l'età del bambino che la durata dei periodi di astensione facoltativa fruibile dal padre lavoratore e fissa limiti temporali complessivi per la fruizione dell'astensione da parte di entrambi i genitori.

La madre e il padre, infatti, hanno diritto ad astenersi dal lavoro nei primi 8 anni di vita del bambino per un periodo complessivo continuativo o frazionato, di 10 mesi, elevabili ad 11, come meglio precisato in appresso, periodo non sempre integralmente indennizzabile (v. punto 1.4).

In particolare, la madre lavoratrice, trascorso il periodo previsto per l'astensione obbligatoria dopo il parto, può fruire entro l'8° anno di età del bambino (e, cioè, fino al giorno, compreso, dell'8° compleanno) di un periodo di astensione facoltativa, continuativo o frazionato, non superiore a 6 mesi ed il padre lavoratore di una astensione facoltativa, continuativa o frazionata non superiore a 6 mesi, elevabili a 7, sempre entro l'8° anno di età del bambino.

La madre e il padre possono utilizzare l'astensione facoltativa anche contemporaneamente e il padre la può utilizzare anche durante i tre mesi di astensione obbligatoria post-partum della madre e durante i periodi nei quali la madre beneficia dei riposi orari ex art. 10 della legge 1204/71.

Il periodo complessivo di astensione tra i genitori non può eccedere, come detto, i 10 mesi, salvo quanto precisato nel successivo capoverso.

Se il padre si è astenuto per un periodo non inferiore a 3 mesi, anche frazionati, e intenda fruire di

ulteriori periodi, fino a 7 mesi, i mesi complessivi tra i genitori possono arrivare a 11.

I periodi possono essere ripartiti tra madre e padre secondo le proprie necessità fermo restando:

a) la madre non può comunque superare i 6 mesi di astensione;

b) l'elevazione a 7 mesi del padre è possibile solo se la madre non supera i 4 mesi;

Il genitore solo ha diritto ad un periodo continuativo o frazionato fino a 10 mesi, entro l'8° anno di età del bambino. In proposito si precisa che la situazione di "genitore solo" può verificarsi in caso di morte di un genitore, o di abbandono del figlio da parte di uno dei genitori, ovvero di affidamento del figlio ad uno solo dei genitori, risultante da un provvedimento formale. Per la elevazione del periodo fino a 10 mesi, va presa in considerazione anche la situazione di "genitore solo" che si sia verificata successivamente alla fruizione del proprio periodo massimo (6 mesi per la madre e 7 per il padre), ma nel calcolo dei 10 mesi vanno computati tutti i periodi in precedenza fruiti da entrambi i genitori.

Per quanto riguarda i genitori adottivi o affidatari, di bambini:

1. fino ad 8 anni di età il diritto, per il suddetto massimo previsto, può essere esercitato in qualsiasi momento rispetto alla data dell'ingresso in famiglia. Tra i sei e gli otto anni di età del bambino i genitori suddetti hanno infatti la possibilità di richiedere l'astensione sia entro tre anni dall'ingresso in famiglia, sia in qualsiasi momento dall'ingresso stesso, essendo applicabile anche la disposizione valida per i genitori naturali fino a 8 anni.

2. tra i sei e i dodici anni di età all'atto dell'adozione o dell'affidamento (e cioè alla data del relativo provvedimento), come detto, il diritto può essere esercitato -e, cioè, l'astensione fruita- solo entro tre anni dall'ingresso in famiglia e la durata massima dell'astensione è di 6 mesi (7 mesi per il padre) se questa è individuale, oppure di 10 (o 11) mesi se è cumulata tra i due genitori, sempre che la fruizione dei periodi di astensione non vada oltre i 15 anni di età. Ad es., supponendo che il bambino all'atto dell'adozione o affidamento abbia 11 anni e sei mesi, ma sia entrato in famiglia dopo un mese dall'adozione, il diritto all'astensione facoltativa può essere esercitato fino al compimento di 14 anni e 7 mesi: perciò se l'astensione è richiesta al limite massimo previsto, di tre anni dall'ingresso, quando cioè il bambino ha 14 anni e 7 mesi, la stessa può essere goduta fino al giorno del 15° compleanno (v. punto1.2, penultimo cpv.) e quindi per una durata massima, anche cumulata, di 5 mesi.

In caso di fruizione frazionata dell'astensione, i periodi si calcolano secondo i criteri di cui alla circolare n. 134382/17 del 26.1.1982, par. 14.2. La frazionabilità va comunque intesa nel senso che tra un periodo (anche di un solo giorno per volta) e l'altro di astensione facoltativa deve essere effettuata una ripresa effettiva del lavoro.

1.4 TRATTAMENTO ECONOMICO

Il comma 4 (dello stesso art. 3), che sostituisce l'art. 15 della , introduce i seguenti nuovi criteri in tema di trattamento economico previdenziale dovuto ai lavoratori e alle lavoratrici per i periodi di astensione facoltativa (1)

E' riconoscibile una indennità giornaliera pari al 30% della retribuzione:

A. senza condizioni di reddito, per un periodo di astensione facoltativa massimo complessivo tra i genitori di sei mesi

1. per i genitori naturali, fino al 3° anno di vita del bambino (e cioè fino al giorno, compreso, del 3° compleanno);

2. per i genitori adottivi o affidatari di bambini fino al 6° anno di età (e cioè fino al giorno, compreso, del 6° compleanno)

3. per i genitori adottivi o affidatari di bambini adottati tra i 6 e i 12 anni, entro i tre anni successivi all'ingresso in famiglia.

B. subordinatamente a determinate condizioni di reddito, per un periodo di astensione facoltativa massimo fino a 10 (o 11) mesi. L'indennità pari al 30% può essere erogata anche al di fuori dei casi di cui alla lett. A., sempre che il reddito individuale del genitore interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria (v. in appresso), fermi restando i massimi fruibili individualmente e complessivamente (v. par 1.3) e con i seguenti limiti temporali:

1. per i genitori naturali, fino al compimento dell'8° anno di età del bambino, dopo che i genitori stessi abbiano già fruito di sei mesi complessivi di astensione entro il 3° anno di età del bambino, oppure, dopo il compimento del 3° anno, per i periodi eventualmente ancora non fruiti;

2. per i genitori adottivi o affidatari quando l'astensione, fermi restando i requisiti di diritto, viene richiesta o prosegua dopo la fruizione dei primi sei mesi, tra i due genitori, oppure, per i periodi fino ai primi sei mesi, eventualmente non fruiti ma teoricamente spettanti, dopo il 3° anno dall'ingresso in famiglia (ad es. nel caso n. 1 del par. 1.3).

Quanto ai limiti di reddito ricordati, l'importo minimo di pensione per il 2000 è pari a £ 9.371.700, che moltiplicato per 2,5 è uguale a £ 23.429.250 ( v. circ. n. 28 del 9.2.2000).

L'importo del trattamento minimo pensionistico moltiplicato per 2,5, pertanto, va raffrontato con il reddito individuale dell'anno in cui l'astensione ha inizio e vale fino a quando la stessa non sia interrotta.

Il reddito individuale è determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l'integrazione al minimo.

Pertanto, il reddito individuale da prendere in considerazione è quello assoggettabile all'IRPEF, esclusa la prestazione di cui trattasi (2), percepito dal genitore richiedente nell'anno suddetto (quello, cioè, in cui inizia la prestazione o la frazione di essa), con esclusione:

1) del reddito della casa d'abitazione 2) dei trattamenti di fine rapporto comunque denominati 3) dei redditi derivanti da competenze arretrate sottoposte a tassazione separata (3).

L'indennità è erogabile per intero al semplice verificarsi della condizione di mancato superamento del limite anzidetto di 2,5 l'importo minimo pensionistico.

Come per l'integrazione al minimo va dichiarato il reddito individuale presunto per l'anno di riferimento (anno in corso), con necessità di dichiarazione definitiva -ai fini degli eventuali conguagli, attivi o passivi- alla scadenza dei termini previsti per la denuncia dei redditi: le Agenzie INPS chiederanno pertanto a tempo debito apposita dichiarazione.

Per la individuazione della retribuzione da prendere a riferimento ai fini del calcolo dell'indennità di cui al presente punto 1.4, si deve tener conto che l'art. 17, comma 4, della legge 53/2000, ha disposto l'abrogazione delle norme incompatibili con quelle della medesima legge.

Pertanto l'articolo 16, comma 1, della legge n. 1204/71 è da considerare abrogato per la parte riferita al periodo retributivo da prendere a riferimento per il calcolo dell'indennità, con la conseguenza che ai sensi del nuovo articolo 15 , 5° comma, della stessa legge (applicabilità dei criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni di malattia, esclusi i ratei di mensilità aggiuntive) la retribuzione da prendere a riferimento è quella del periodo mensile o quadrisettimanale scaduto ed immediatamente precedente ciascun periodo di astensione richiesto, anche frazionatamente.

1.5 DOCUMENTAZIONE

In attesa della revisione della modulistica per la indennità di astensione facoltativa, i genitori che intendano chiedere l'astensione facoltativa anche per i figli nati prima del 28.3.2000 (data di entrata in vigore della ) dovranno presentare all'INPS e al datore di lavoro domanda di astensione facoltativa ai sensi della legge 8 marzo 2000, n. 53, allegando la seguente documentazione.

Domanda della madre:

a) certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità o certificazione da cui risultinogli stessi elementi ovvero dichiarazione sostitutiva, sempre che la documentazione non sia già stata presentata; b) dichiarazione non autenticata di responsabilità del padre relativa agli eventuali periodi di astensione facoltativa dallo stesso fruiti per il figlio di cui trattasi (con indicazione del datore di lavoro per i lavoratori dipendenti), ovvero dichiarazione relativa alla sua qualità di non avente diritto all'astensione (libero professionista, autonomo, a domicilio o addetto ai servizi domestici); c) analoga dichiarazione della madre dei periodi di astensione facoltativa dalla stessa eventualmente già fruiti; d) impegno di entrambi i genitori a comunicare eventuali variazioni successive.

Domanda del padre:

a) certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità o certificazione da cui risultino gli stessi elementi ovvero dichiarazione sostitutiva, sempre che la documentazione non sia già stata presentata; b) dichiarazione non autenticata di responsabilità della madre relativa agli eventuali periodi di astensione facoltativa dalla stessa fruiti per il figlio di cui trattasi, con indicazione del datore di lavoro se lavoratrice dipendente ovvero dichiarazione relativa alla sua qualità di non avente diritto all'astensione (libera professionista, lavoratrice a domicilio o addetta ai servizi domestici, ecc.); c) analoga dichiarazione del padre dei periodi di astensione dallo stesso eventualmente già fruiti; d) impegno di entrambi i genitori a comunicare eventuali variazioni successive.

1.6 CONTRIBUZIONE FIGURATIVA, VOLONTARIA O RISCATTI.

Per i periodi di astensione facoltativa è prevista, a seconda dei casi, la contribuzione figurativa, la facoltà di riscatto e il versamento dei contributi volontari.

Sulla materia saranno impartite istruzioni a parte.

2) RIPOSI ORARI (c.d. per allattamento).

2.1 DIRITTO DEL PADRE

L' prevede, quale articolo aggiuntivo (art. 6 ter) all'art. 6 della legge n. 903/77, la possibilità per il padre lavoratore dipendente di fruire dei riposi di cui all'art. 10 della legge (4) e del relativo trattamento economico:

a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre (5):

b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;

c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente.

Per i casi previsti dalle lettere a) e b) il diritto del padre lavoratore era già riconosciuto dalle precedenti disposizioni, da ultimo riepilogate con circolare n. 182 del 4.8.1997, par. 10.3, lett. a). L'ipotesi della lettera b) è comprensiva anche del caso di lavoratrice dipendente che non si può avvalere dell'astensione facoltativa in quanto appartenente a categoria non avente diritto ai riposi in questione (lavoratrice domestica e a domicilio); non comprende, invece, il caso di madre che non se avvalga perché sta fruendo di astensione obbligatoria o facoltativa.

L'ipotesi introdotta dalla lett. c), invece, è innovativa, in quanto al padre lavoratore dipendente è riconosciuto il diritto ai riposi anche quando la madre, lavoratrice, non abbia la qualifica di "dipendente", vale a dire sia una lavoratrice autonoma, libera professionista, ecc..

E' da ritenere escluso un diritto del padre ai riposi orari quando la madre non svolge attività lavorativa (fatta salva l'ipotesi di grave infermità di cui alla nota 5).

In merito al numero di ore di riposo spettanti al padre, si precisa che lo stesso ne può fruire in base al proprio orario giornaliero di lavoro. Sono superate anche per tale aspetto le disposizioni di cui alla citata circolare n. 182/97, par. 10.3, lett. a).

2.2 PARTO PLURIMO

Secondo il comma 3 (dell'art. 3), modificativo dell' della legge 1204/71, i periodi di risposo spettanti durante il primo anno di vita del bambino sono raddoppiati in caso di parto plurimo e le ore aggiuntive possono essere fruite anche dal padre.

Le ore aggiuntive (2 ore, ridotte a 1 se l'orario di lavoro giornaliero è inferiore a 6 ore) possono essere riconosciute al padre anche durante i periodi di astensione obbligatoria e facoltativa della madre.

Al di fuori della ipotesi di cui al capoverso precedente e tenendo conto di quanto previsto al punto 2.1, lett. b) -nel presupposto, cioè, che uno dei due genitori non si avvalga dei riposi doppi- ciascun genitore ha diritto a fruire di un numero di ore di riposo raddoppiate rispetto a quelle previste per un solo figlio , vale a dire di 4 ore o di 2 a seconda che l'orario giornaliero di lavoro sia pari o superiore a 6 ore, ovvero sia inferiore a 6 ore.

Le ore fruibili sono identificate secondo l'orario di lavoro del genitore che si avvale dei riposi.

Esempio di ripartizione delle ore tra i genitori in caso di parto plurimo:

Madre Padre

(orario lavoro di almeno 6 ore giornaliere) (orario lavoro di almeno 6 ore giornaliere) (orario lavoro inferiore a 6 ore giornaliere)

4 ore 0 ore 0 ore3 ore 1 ora 1 ora2 ore 2 ore 1 ora1 ora 3 ore 2 ore0 ore 4 ore 2 oreastensione obbligatoria o facoltativa 2 ore 1 ora

Madre Padre

(orario lavoro inferiore a 6 ore giornaliere) (orario lavoro di almeno 6 ore giornaliere) (orario lavoro inferiore a 6 ore giornaliere)

2 ore 0 ore 0 ore1 ora 2 ore 1 ora0 ore 4 ore 2 oreastensione obbligatoria o facoltativa 2 ore 1 ora

2.3 GENITORI ADOTTIVI O AFFIDATARI

I genitori adottivi o affidatari hanno diritto ai riposi orari fino al compimento di 1 anno di età del bambino (v. circolari n. 228 del 14.11.88 e n. 182 del 4.8.97).

Poiché, come sopra detto, le disposizioni dell'art. 3 della legge 53/2000, comprensive quindi di quelle relative ai riposi orari in caso di parto plurimo, si applicano anche ai genitori adottivi o affidatari, ne consegue che in caso di adozione o affidamento di bambini, anche non fratelli, entrati in famiglia anche in date diverse, che abbiano, ciascuno, meno di 1 anno di età, i genitori adottivi o affidatari hanno diritto al raddoppio delle ore di riposo, analogamente ai genitori naturali.

2.4 DOCUMENTAZIONE

Per la domanda di riposi orari ai sensi della legge dovranno osservarsi le seguenti disposizioni valevoli fino alla ristrutturazione della relativa modulistica.

Domanda della madre:

Deve essere presentata al datore di lavoro, secondo le disposizioni precedentemente impartite.

I datori di lavoro (sia quelli tenuti che quelli non tenuti alla denuncia contributiva mensile) continueranno ad attenersi alle disposizioni di cui alla circ. n. 134371 del 2.4.1981.

Domanda del padre

Deve essere presentata all'INPS e al datore di lavoro in tutti i casi di cui al punto 2.1, lett. a), b) e c), nonché in caso di richiesta di ore aggiuntive per parto plurimo, di cui al punto 2.2.

Nel caso a) (figli affidati al solo padre) la domanda deve essere corredata dal certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità o certificazione da cui risultino gli stessi elementi ovvero dichiarazione sostitutiva, sempre che la documentazione non già stata presentata e dalla certificazione (o dichiarazione sostitutiva) di morte della madre, ovvero dalla certificazione sanitaria attestante la grave infermità della madre, ovvero da un provvedimento formale da cui risulti l'affidamento esclusivo del bambino al padre.

Nel caso b) (in alternativa alla madre lavoratrice dipendente) e nel caso di parto plurimo la domanda deve essere corredata oltre che dal certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità o certificazione da cui risultino gli stessi elementi ovvero dichiarazione sostitutiva, sempre che la documentazione non già stata presentata, da una dichiarazione della madre relativa alla non fruizione delle di ore di riposo, confermata dal relativo datore di lavoro.

Nel caso c) (madre lavoratrice non dipendente) e nel caso di parto plurimo la domanda deve essere corredata oltre che dal certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità o certificazione da cui risultino gli stessi elementi ovvero dichiarazione sostitutiva, sempre che la documentazione non già stata presentata, da una dichiarazione della madre relativa alla sua attività di lavoro non dipendente.

In tutti i casi entrambi i genitori devono impegnarsi a comunicare eventuali variazioni successive.

2.5 CONTRIBUZIONE

Ai periodi di riposo si applicano le disposizioni in materia di contribuzione figurativa, riscatto, versamento di contributi volontari. Sull'argomento saranno impartite istruzioni a parte.

3) LAVORATRICI AUTONOME

Il comma 1 dell'art. 3 più volte citato prevede anche il diritto, in favore delle lavoratrici autonome artigiane, commercianti e CD-CM, di cui alla legge n. 546/87 (la quale, si rammenta, non riguarda i padri lavoratori autonomi) di astenersi facoltativamente dal lavoro - per i bambini nati dal 1.1.2000 - per un periodo massimo di tre mesi, anche frazionabili, entro il 1? anno di vita del bambino.

Il trattamento economico per astensione facoltativa è pari al 30% della retribuzione convenzionale utilizzata, a seconda della categoria di appartenenza, per il periodo di indennità di maternità previsto dalla legge n. 546/87 citata, e va corrisposto seguendo gli stessi criteri vigenti per il calcolo della suddetta indennità: per le CD-CM la retribuzione da prendere a riferimento è quella dell'anno precedente al parto, per le artigiane e per le esercenti attività commerciali è quella dell'anno di inizio della prestazione.

Considerato che la nuova norma è stata aggiunta all'art. 1 della legge 1204/71, dopo il 3? comma, e visti i riferimenti nella stessa contenuti, appare chiaro che il diritto è riconoscibile solo in caso di effettiva astensione dall'attività lavorativa autonoma, astensione da comprovarsi mediante dichiarazione di responsabilità dell'interessata, la cui veridicità potrà essere accertata con gli abituali sistemi di verifica.

Ai fini dell'esercizio del diritto alla astensione facoltativa, la lavoratrice dovrà presentare domanda all'INPS prima dell'inizio del periodo di astensione. Pertanto potranno essere indennizzati solo periodi successivi alla data di presentazione della domanda.

Poiché le disposizioni relative alla astensione facoltativa sono ora applicabili anche alle madri adottive o affidatarie (v. art. 3, comma 5 della legge 53/2000) e poiché in precedenza per la lavoratrice autonoma, madre adottiva o affidataria, non era previsto un diritto alla astensione facoltativa, le nuove disposizioni riguardanti la astensione facoltativa sono da intendere applicabili nei confronti delle lavoratrici autonome, adottive o affidatarie di minori che al momento dell'adozione o affidamento abbiano fino a 12 anni di età, nel senso che alle stesse il diritto a tre mesi di astensione facoltativa è riconosciuto sempre che lo esercitino nei primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare.

4) FLESSIBILITA' DELL'ASTENSIONE OBBLIGATORIA

L' introduce un articolo aggiuntivo (art.4 bis) alla , che prevede la facoltà per le lavoratrici di astenersi obbligatoriamente dal lavoro anche soltanto dal mese precedente la data presunta del parto, spostando il periodo non fruito prima del parto al periodo successivo al parto, che, pertanto, potrà essere prolungato fino a quattro mesi.

L'esercizio di tale facoltà, peraltro, è subordinato alla attestazione sanitaria del ginecologo del SSN o con esso convenzionato nonché a quella del medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro, ove la legislazione vigente preveda un obbligo di sorveglianza sanitaria.

5) PARTI PREMATURI

L' della legge 53/2000, modificativo dell' della legge 1204/71, stabilisce:

"Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto.

La lavoratrice è tenuta a presentare entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto".

Per quanto riguarda le disposizioni applicative si fa rinvio alle istruzioni impartite con circolari n. 231 del 28.12.99 e n. 45 del 21.2.2000, tenendo presente che la nuova legge stabilisce un limite di 30 giorni per la certificazione (o dichiarazione sostitutiva) relativa alla data del parto, da presentare per poter fruire del prolungamento dell'astensione post-partum.

6) ASTENSIONE DAL LAVORO DEL PADRE LAVORATORE (con indennità all'80%)

L'articolo 13 della legge prevede, quale articolo aggiuntivo (6 bis) all'articolo 6 della legge n. 903/1977, il diritto di astenersi dal lavoro nei primi tre mesi dalla nascita del figlio (e cioè fino al giorno del compimento del terzo mese di età del bambino) in caso di morte o di grave infermità della madre o di abbandono del figlio da parte della stessa ovvero di affidamento esclusivo al padre (6).

Le condizioni di morte o di grave infermità della madre o di affidamento esclusivo al padre erano già riconosciute ai fini della erogazione al padre della indennità di maternità nella misura dell'80% della retribuzione. Si confermano pertanto le istruzioni della citata circolare 182/1997, con la precisazione che l'interessato deve presentare al datore di lavoro (e all'INPS) la certificazione relativa alle condizioni suddette (comma 2 dell'articolo in questione).

Nell'ipotesi di abbandono da parte della madre la legge prevede che il padre che intenda avvalersi del diritto alla indennità per i tre mesi successivi alla nascita del figlio, deve renderne dichiarazione ai sensi della legge n.15/1968, art. 4. Se l'abbandono è avvenuto durante i tre mesi successivi al parto, alla madre non spetta più, dal momento dell'abbandono, alcuna indennità, che perciò potrà essere corrisposta al padre per il restante periodo di astensione obbligatoria.

7) ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE n. 53/2000

Le presenti disposizioni sono applicabili, salvo quelle concernenti la astensione facoltativa alle lavoratrici autonome , anche alle astensioni facoltative e ai riposi orari in corso di fruizione alla data di entrata in vigore della legge (28.3.2000).

E' ovvio che, qualora la madre abbia già fruito dell'astensione facoltativa di 6 mesi ai sensi della precedente normativa, il diritto al prolungamento della stessa, fino agli otto anni di età del bambino, può essere esercitato solo dal padre (fino al massimo di ulteriori 5 mesi) fermi restando i criteri di cui al punto 1.4 per l'eventuale indennizzabilità dei suddetti ulteriori mesi.

IL DIRETTORE GENERALE TRIZZINO

NOTE

(1) L'art. 15, nella nuova versione, conferma il trattamento economico previdenziale per astensione obbligatoria nella misura dell'80% della retribuzione.

(2) Per reddito assoggettabile all'IRPEF deve intendersi il reddito al lordo di qualsiasi detrazione comunque specificata (oneri deducibili, detrazioni imposta) introdotta solo per alleviare la pressione di imposta ai singoli soggetti, e al netto dei soli contributi previdenziali e assistenziali.

Nel computo dei redditi vanno compresi anche quelli conseguiti all'estero o derivanti da lavoro presso organismi internazionali che, se prodotti in Italia, sarebbero assoggettati all'IRPEF.

(3) Devono essere esclusi, oltre ai redditi suddetti:

i redditi già tassati per intero alla fonte (interessi, premi o altri frutti corrisposti al possessore di obbligazioni)

i redditi esenti (pensioni di guerra, pensioni privilegiate ordinarie tabellari spettanti ai militari di leva, rendite INAIL, indennità di accompagnamento, pensioni e indennità percepite da ciechi, invalidi civili e sordomuti, pensioni erogate da organismi esteri aventi natura risarcitoria).

(4) Trattasi, com'è noto, di ore giornaliere da fruire entro il primo anno di età del bambino, nella misura di due se l'orario giornaliero di lavoro è superiore a 5 ore e 59 minuti, di una se l'orario stesso è inferiore a 6 ore.

(5) Alla situazione di affidamento al solo padre è equiparata quella di decesso o grave infermità della madre, indipendentemente dalla sua condizione di lavoratrice o meno (v. sent. n. 1/87 e ordinanza n. 144/87 della Corte Costituzionale).

(6) E' ininfluente la data di parto, di decesso, di insorgenza dell'infermità, di abbandono, ecc. della madre.

Allegato 1

ARTICOLI DELLA LEGGE 30 DICEMBRE 1971, N. 1204, COME RISULTANO MODIFICATI DAGLI ARTT. 3 E 12 DELLA LEGGE 8 MARZO 2000, N. 53.

ART. 1

Le disposizioni del presente titolo si applicano alle lavoratrici, comprese le apprendiste, che prestano la loro opera alle dipendenze di privati datori di lavoro, nonché alle dipendenti dalle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dagli altri enti pubblici e dalle società cooperative, anche se socie di queste ultime.

Alle lavoratrici a domicilio si applicano le norme del presente titolo di cui agli articoli 2, 4, 6, e 9.

Alle lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari si applicano le norme del presente titolo di cui agli articoli 4, 5, 6, 8 e 9.

Il diritto di astenersi dal lavoro di cui all'art. 7, ed il relativo trattamento economico, sono riconosciuti anche se l'altro genitore non ne ha diritto. Le disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7 e al comma 2 dell'articolo 15 sono estese alle lavoratrici di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546, madri di bambini nati a decorrere dal 1° gennaio 2000. Alle predette lavoratrici i diritti previsti dal comma 1 dell'articolo 7 e dal comma 2 dell'articolo 15 spettano limitatamente ad un periodo di tre mesi, entro il primo anno di vita del bambino.

Sono fatte salve, in ogni caso, le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti, e da ogni altra disposizione.

ART. 4 bis.

1. Ferma restando la durata complessiva dell'astensione dal lavoro, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.

2. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità e per la solidarietà sociale, sentite le parti sociali, definisce, con proprio decreto da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'elenco dei lavori ai quali non si applicano le disposizioni dell'articolo 4-bis della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, introdotto dal comma 1 del presente articolo.

3. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità e per la solidarietà sociale, provvede, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad aggiornare l'elenco dei lavori pericolosi, faticosi ed insalubri di cui all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026.

ART. 7

1. Nei primi otto anni di vita del bambino ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. Le astensioni dal lavoro dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell'ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete:

a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria di cui all'articolo 4, primo comma, lettera c), della presente legge, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;

b) al padre lavoratore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;

c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.

2. Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non inferiore a tre mesi, il limite di cui alla lettera b) del comma 1 è elevato a sette mesi e il limite complessivo delle astensione dal lavoro dei genitori di cui al medesimo comma è conseguentemente elevato a undici mesi.

3. Ai fini dell'esercizio del diritto di cui al comma 1, il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non inferiore a quindici giorni.

4. Entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto, altresì, di astenersi dal lavoro durante le malattie del bambino di età inferiore a otto anni ovvero di età compresa fra tre e otto anni, in quest'ultimo caso nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno per ciascun genitore, dietro presentazione di certificato rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. La malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe il decorso del periodo di ferie in godimento da parte del genitore.

5. I periodi di astensione dal lavoro di cui ai commi 1 e 4 sono computati nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia. Ai fini della fruizione del congedo di cui al comma 4, la lavoratrice ed il lavoratore sono tenuti a presentare una dichiarazione rilasciata ai sensi dell'articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l'altro genitore non sia in astensione dal lavoro negli stessi giorni per il medesimo motivo.

ART. 10

Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri durante il primo anno di vita del bambino due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore.

I periodi di riposo di cui al precedente comma hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda.

I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno, e in tal caso non comportano il diritto ad uscire dall'azienda, quando la lavoratrice voglia usufruire della camera di allattamento o dell'asilo nido, istituiti dal datore di lavoro nelle dipendenze dei locali di lavoro.

I riposi di cui ai precedenti commi sono indipendenti da quelli previsti dagli articoli 18 e 19 della legge 26 aprile 1934, n. 653, sulla tutela del lavoro delle donne.

Ai periodi di riposo di cui al presente articolo si applicano le disposizioni in materia di contribuzione figurativa, nonché di riscatto ovvero di versamento dei relativi contributi previsti dal comma 2, lettera b), dell'articolo 15.

In caso di parto plurimo i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dal primo comma del presente articolo possono essere utilizzate anche dal padre.

ART. 15

1. Le lavoratrici hanno diritto ad un'indennità giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro stabilita dagli articoli 4 e 5 della presente legge. Tale indennità è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia.

2. Per i periodi di astensione facoltativa di cui all'articolo 7, comma 1, ai lavoratori e alle lavoratrici è dovuta:

a) fino al terzo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi; il relativo periodo, entro il limite predetto, è coperto da contribuzione figurativa;

b) fuori dei casi di cui alla lettera a), fino al compimento dell'ottavo anno di vita del bambino, e comunque per il restante periodo di astensione facoltativa, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, nell'ipotesi in cui il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria; il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa, attribuendo come valore retributivo per tale periodo il 200 per cento del valore massimo dell'assegno sociale, proporzionato ai periodi di riferimento, salva la facoltà di integrazione da parte dell'interessato, con riscatto ai sensi dell'articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, ovvero con versamento dei relativi contributi secondo i criteri e le modalità della prosecuzione volontaria.

3. Per i periodi di astensione per malattia del bambino di cui all'articolo 7, comma 4, è dovuta:

a) fino al compimento del terzo anno di vita del bambino, la contribuzione figurativa;

b) successivamente al terzo anno di vita del bambino e fino al compimento dell'ottavo anno, la copertura contributiva calcolata, con le modalità previste dal comma 2, lettera b).

4. Il reddito individuale di cui al comma 2, lettera b), è determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l'integrazione al minimo.

5. Le indennità di cui al presente articolo sono corrisposte con gli stessi criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie dall'ente assicuratore della malattia presso il quale la lavoratrice o il lavoratore è assicurato e non sono subordinate a particolari requisiti contributivi o di anzianità assicurativa.

Circolare INPS - 17 luglio 2000, n. 133

"Benefici a favore delle persone handicappate. Legge 8 marzo 2000, n. 53. Art. 33, commi 1, 2, 3 e 6 della legge n. 104/92."

Nota bene: la ha parzialmente rivisto le indicazioni fornite dalla presente circolare in particolare in riferimento alle condizioni di accesso ai permessi lavorativi concessi ai genitori di persone con handicap grave maggiorenni.

SOMMARIO:

- La persona handicappata che lavora può fruire di permessi" a giorni" o di permessi" ad ore". - Il genitore di persona handicappata minorenne può fruire dei permessi dell'art. 33, commi 1, 2 e 3, anche quando l'altro genitore non ne ha diritto. - I genitori di persone handicappate maggiorenni e i parenti ed affini entro il 3° grado possono utilizzare i giorni di permesso anche se non convivono con il soggetto handicappato, purché gli prestino assistenza in via continuativa ed esclusiva. - I permessi "a giorni" possono essere frazionati ad ore. - Data di accertamento dell'handicap e data di decorrenza dei permessi. - Giorni di permesso in caso di part time verticale. - Giorni di permesso per i lavoratori agricoli stagionali con contratto di almeno un mese.

Si premette che, se pure nel corso delle presenti istruzioni, si indicano genericamente persone "handicappate", senza altra precisazione, ci si riferisce comunque sempre alle persone con handicap in situazioni di gravità, di cui al 3° comma dell'art. 3 della legge n. 104/1992, non ricoverate a tempo pieno (art. 33, commi 1, 2 e 3 della legge n. 104/1992).

Gli artt. e della legge 8 marzo 2000, n. 53 hanno apportato modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, .

1 - PERSONE HANDICAPPATE CHE LAVORANO

Il comma 6 dell'della legge n. 104/92 prevede, tra l'altro, che la persona handicappata che lavora può "usufruire dei permessi di cui ai commi 2 e 3 (rispettivamente, permessi "ad ore" e permessi "a giorni").

L', lett. c), della legge 8.3.2000, n. 53 stabilisce che al comma 6 dell' della legge 104/92, dopo le parole "può usufruire", è inserita la seguente: "alternativamente".

La presente norma conferma quindi il criterio in vigore (v. par. 1, lett. B, della ), secondo cui la persona handicappata che lavora può beneficiare, alternativamente, o dei permessi "ad ore" o dei permessi "a giorni".

Peraltro, mentre si ribadisce, in linea generale, che il tipo di permesso richiesto (a giorni od ad ore), può essere senz'altro cambiato da un mese all'altro previa semplice modifica della domanda a suo tempo avanzata, e non, in linea di massima, nell'ambito del singolo mese di calendario, si precisa che la variazione può essere eccezionalmente consentita, anche nell'ambito di ciascun mese, nel caso in cui sopraggiungano esigenze improvvise, non prevedibili all'atto della richiesta di permessi, esigenze che, peraltro, devono essere opportunamente documentate dal lavoratore.

In tal caso, la modifica dei permessi va effettuata adottando i criteri rilevabili dagli esempi seguenti.

Si supponga che un lavoratore, con orario giornaliero lavorativo di 8 ore per 5 giorni alla settimana, abbia già beneficiato, in un determinato mese, di riposi orari per 20 ore, e che successivamente documenti la necessità di utilizzare i giorni in luogo dei restanti permessi orari. Le 20 ore fruite dovranno essere convertite in giorni, con eventuale arrotondamento all'unità inferiore se la frazione di giorno è pari o inferiore allo 0,50, ovvero all'unità superiore se la frazione supera lo 0,50. Nell'esempio, quindi, si ha: 20 ore: 8 = 2,50 gg. (e cioè 2 gg. arrotondati). Il lavoratore ha fruito di ore corrispondenti a 2 gg. e quindi può chiedere 1 giorno di permesso senza diritto ad ulteriori permessi orari nel mese. Se, invece, avesse già fruito di 21 ore (equivalenti a 2,62 gg. = 3 gg. arrotondati) non potrebbe più fruire neppure di 1 giorno di permesso, sempre relativamente a quel mese. Analogo calcolo va effettuato nel caso inverso, se si tratta, cioè, di convertire i giorni in ore. Se, ad esempio, lo stesso

lavoratore ha utilizzato 2 giorni di permesso, potrà fruire, in quel determinato mese, di 8 ore di riposo, in luogo del giorno di permesso che non intende più utilizzare.

2 - GENITORI E PARENTI O AFFINI ENTRO IL 3° GRADO DELLA PERSONA HANDICAPPATA

2.1 - Generalità

L' della legge 53/2000 stabilisce: "Le disposizioni dell'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall' della presente legge, si applicano anche qualora l'altro genitore non ne abbia diritto nonché ai genitori ed ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorché non convivente".

2.2 - Genitori di figli minorenni

Va preliminarmente chiarito che l', secondo cui le disposizioni dell' si applicano anche quando l'altro genitore non ha diritto, è da intendere riferito ai (soli) figli handicappati minorenni.

E' da ritenere esclusa la applicabilità dello stesso art. 20 nella parte in cui prevede la continuità e la esclusività dell'assistenza alla persona handicappata da parte del lavoratore; ciò, anche nel presupposto che per i figli minorenni non va richiesta la convivenza, come anche precisato con .

Tanto premesso, in base alla nuova norma è ora possibile per il genitore lavoratore fruire del prolungamento dell'astensione facoltativa o dei riposi orari fino ai 3 anni di età del bambino nonché dei giorni di permesso dopo i 3 anni e fino ai 18, anche qualora l'altro genitore non abbia diritto a tali benefici (perché, ad esempio, è casalingo/a, non svolge attività lavorativa, è lavoratore autonomo ecc.).

Nel caso in cui, invece, entrambi i genitori siano lavoratori dipendenti, i permessi continuano a spettare ad entrambi, ma in maniera alternativa. Ciò significa che possono spettare indifferentemente alla madre o al padre, ma non con fruizione contemporanea, fatto salvo quanto precisato al par. 2.2.3.

2.2.1 - Prolungamento dell'astensione facoltativa fino a tre anni di età del bambino handicappato.

Il comma 1 dell' della legge 104/92 stabilisce che la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore handicappato grave, hanno diritto al prolungamento fino a tre anni (di età del bambino) del periodo di astensione facoltativa.

In proposito si rammenta che, trattandosi di astensione facoltativa, sia pure prolungata, con diritto alla indennità pari al 30% della retribuzione per tutto il periodo, il rapporto di lavoro deve continuare ad essere in atto, con obbligo di prestazione dell'attività lavorativa, anche durante il prolungamento; si ricorda anche che per i lavoratori agricoli a tempo determinato il diritto alla astensione facoltativa ed al suo prolungamento è subordinato all'iscrizione negli elenchi validi per ciascun anno di riferimento (anno precedente a quello di astensione).

Peraltro, con riferimento alle innovazioni apportate dalla , occorre fare alcune precisazioni in merito alle interrelazioni tra l'astensione facoltativa "normale" ed il suo prolungamento.

E' da ritenere, infatti, che la norma dell' della stessa legge 53 non abbia inteso escludere, per i genitori di persone handicappate, né la possibilità di fruire, come gli altri, della normale astensione facoltativa entro gli otto anni di età del bambino, né la possibilità di beneficiare del prolungamento della astensione facoltativa fino a tre anni di età del bambino; non ha quindi posto come condizione per il prolungamento stesso il precedente godimento della integrale astensione normale.

Tenendo conto di tali considerazioni, diventa possibile ammettere il prolungamento da parte di un genitore (alternativamente, madre o padre) anche quando non sia stato in precedenza esaurito il periodo della "normale" astensione facoltativa.

Se ciò si verifica, peraltro, il fatto che l'ulteriore periodo di astensione sia qualificato come "prolungamento" non può non comportare riflessi: pertanto in linea generale il prolungamento stesso potrà iniziare solo dopo il periodo della normale astensione facoltativa teoricamente fruibile dalla madre (6 mesi), periodo che inizia a decorrere dal giorno successivo alla fine dell'astensione obbligatoria e che ordinariamente è pari a nove mesi successivi al parto.

Fermo restando che il godimento del "normale" periodo di astensione può essere spostato fino all'8° anno di età del bambino, nei casi in cui uno dei genitori non appartenga a categoria avente diritto all'astensione obbligatoria e/o a quella facoltativa dal lavoro, si precisa:

- se è solo il padre che lavora, il prolungamento in questione è riconoscibile dal giorno successivo alla scadenza del proprio teorico periodo di "normale" astensione facoltativa, e cioè di 7 mesi, a partire dalla data di nascita del bambino;

- se si tratta di "genitore solo" - padre o madre - (1), il prolungamento è riconoscibile dal giorno successivo alla scadenza del teorico particolare periodo di astensione (10 mesi);

- se la madre è lavoratrice non avente diritto all'astensione facoltativa e, quindi, al suo prolungamento, il padre può fruire del prolungamento dal giorno successivo alla scadenza del proprio teorico periodo di "normale" astensione facoltativa (7 mesi), decorrente dalla fine dell'astensione obbligatoria della madre;

- se la madre è lavoratrice autonoma, il padre può fruire del prolungamento dal giorno successivo alla

scadenza del proprio teorico periodo di "normale" astensione facoltativa (7 mesi), decorrente dalla fine del periodo (3 mesi) di astensione facoltativa della madre, decorrente, a sua volta, dal giorno successivo al periodo indennizzabile dopo il parto (3 mesi).

Nel caso in cui, invece, la "normale" astensione facoltativa sia stata fruita in tutto o in parte, prima del prolungamento, da uno o da entrambi i genitori, si avranno le seguenti situazioni di fruibilità dei residui periodi di "normale"astensione facoltativa:

- se la madre ha beneficiato di 6 mesi prima del prolungamento, il padre può usufruire di 5 mesi di astensione facoltativa "normale" sia entro il 3° anno di età del bambino, sia fra il 3° e l'8° anno (mesi peraltro indennizzabili, in entrambi i casi, solo in presenza di determinate condizioni reddituali: v. circ. n. 109 del 6.6.2000);

- se il padre ha beneficiato di 7 mesi prima del prolungamento, la madre può usufruire di 4 mesi di astensione facoltativa "normale" sia entro il 3° anno di età del bambino, sia fra il 3° e l'8° anno (mesi soggetti a limiti di indennizzabilità analoghi a quelli di cui all'alinea precedente);

- se entrambi i genitori si sono ripartiti i periodi di astensione facoltativa "normale", con conseguente prolungamento da parte di un genitore, ovvero con prolungamento alternativo da parte di entrambi, il genitore che eventualmente non abbia utilizzato il proprio periodo residuo (fruibile peraltro sempre entro il limite complessivo di 10 o 11 mesi), può completarlo sia entro il 3° anno di età del bambino, sia fra i 3° e l'8° anno, con i suddetti limiti di indennizzabilità.

2.2.2 - Riposi orari fino a tre anni di età del bambino handicappato

Il comma 2 dell'art. 33 della legge 104 prevede la possibilità per i genitori di fruire di riposi orari fino a tre anni di età del bambino, in alternativa al prolungamento dell'astensione facoltativa; si rammenta che, per uniforme applicazione della disposizione sia nel settore privato che in quello pubblico, il numero di ore di riposo spettanti è da rapportare alla durata dell'orario giornaliero di lavoro (2 ore per orario pari o superiore a 6 ore, 1 ora in caso contrario).

Fino ad 1 anno di età i riposi non sono quelli alternativi al prolungamento dell'astensione facoltativa, ma quelli c.d. per allattamento del nuovo art. 10 della legge 1204 (v. in proposito ). Ciò significa che, conformemente alle istruzioni della circolare suddetta, durante l'utilizzo di questi riposi orari da parte della madre, il padre può fruire della astensione facoltativa "normale", e che, invece, l'utilizzo della astensione facoltativa "normale" da parte della madre preclude la fruizione dei riposi orari da parte del padre.

Tra il 2° e il 3° anno di età del bambino, i riposi orari diventano quelli alternativi al prolungamento dell'astensione facoltativa.

Si sottolinea che anche tali riposi, come il prolungamento dell'astensione di cui al paragrafo precedente, spettano in maniera alternativa tra i due genitori, e, trattandosi di beneficio che sostituisce il prolungamento, l'utilizzo dei riposi orari da parte di un genitore non esclude, secondo i criteri utilizzati per l'astensione suddetta, che l'altro possa godere della "normale" astensione facoltativa eventualmente ancora spettantegli.

2.2.3 - Giorni di permesso mensile tra il 3° e il 18° anno di età del figlio handicappato.

Analogamente al prolungamento dell'astensione facoltativa ed ai riposi orari, i giorni di permesso possono essere usufruiti dai genitori (di figli minorenni) alternativamente, ma il numero massimo mensile (3 gg.) può essere ripartito tra i genitori stessi anche con assenze contestuali dal rispettivo lavoro (ad esempio, madre 2 gg., padre 1 giorno, anche coincidente con uno dei due giorni della madre).

L'alternatività, in sostanza, si intende riferita solo al numero complessivo dei giorni di riposo fruibili nel mese (tre).

I giorni di permesso possono essere utilizzati da un genitore anche quando l'altro fruisce della "normale" astensione facoltativa.

2.3 -Genitori di figli maggiorenni e familiari di persone handicappate non conviventi

In base all' della legge 53, i genitori e i familiari lavoratori di persone handicappate possono fruire dei giorni di permesso mensile anche se il portatore di handicap non è convivente a condizione che l'assistenza sia continua ed esclusiva, requisiti che devono sussistere contemporaneamente.

Si rammenta (v. par. 2.2) che i genitori qui presi in considerazione sono quelli di figli maggiorenni.

2.3.1 - Continuità dell'assistenza

La "continuità" consiste nell'effettiva assistenza del soggetto handicappato, per le sue necessità quotidiane, da parte del lavoratore, genitore o parente del soggetto stesso, per il quale vengono richiesti i giorni di permesso.

Pertanto la continuità di assistenza non è individuabile nei casi di oggettiva lontananza delle abitazioni, lontananza da considerare non necessariamente in senso spaziale, ma anche soltanto semplicemente

temporale.

2.3.2 - Esclusività dell'assistenza

La "esclusività" va intesa nel senso che il lavoratore richiedente i permessi deve essere l'unico soggetto che presta assistenza alla persona handicappata: la esclusività stessa non può perciò considerarsi realizzata quando il soggetto handicappato non convivente con il lavoratore richiedente, risulta convivere, a sua volta, in un nucleo familiare in cui sono presenti lavoratori che beneficiano dei permessi per questo stesso handicappato, ovvero soggetti non lavoratori in grado di assisterlo.

2.4 - Genitori di figli maggiorenni e familiari di persone handicappate conviventi

Se il lavoratore richiedente i permessi è convivente con la persona handicappata continua ad essere implicito - anche tenendo conto dei criteri enunciati dal Consiglio di Stato con parere n. 784/95- che ai fini della concessione dei permessi non debbano essere presenti nella famiglia altri soggetti che possano fornire assistenza.

Si confermano, pertanto, le istruzioni precedenti (v. ) che subordinano la concessione dei permessi alla inesistenza, nel nucleo familiare, di soggetti non lavoratori in grado di assistere la persona handicappata.

2.5 - Impossibilità di assistenza da parte del familiare non lavoratore

Oltre ai motivi, obiettivamente rilevanti, di impossibilità all'assistenza da parte del genitore non lavoratore, indicati nella (par. 2, lett. A), da ritenere applicabili non solo al genitore suddetto, ma anche ad altro familiare (ugualmente non lavoratore e unico altro soggetto in grado di prestare assistenza) (2), si elencano gli ulteriori motivi di impossibilità di assistenza da parte di soggetti non lavoratori conviventi con il soggetto handicappato individuati dal Comitato amministratore G.I.A.S con deliberazione n. 32 del 7.3.2000 (all. 1), per i quali, quindi, al lavoratore (genitore o parente o affine entro il 3° grado (3), convivente o meno -v. par 2.3 e 2.4- con l'handicappato) possono essere riconosciuti i permessi, senza necessità di valutazioni medico-legali:

riconoscimento, da parte dell'INPS o di altri Enti pubblici, di pensioni che presuppongano, di per sé, una incapacità al lavoro pari al 100% (quali le pensioni di inabilità o analoghe provvidenze in qualsiasi modo denominate);

riconoscimento, da parte dell'INPS o di altri Enti pubblici, di pensioni, o di analoghe provvidenze in qualsiasi modo denominate (quali le pensioni di invalidità civile, gli assegni di invalidità INPS, le rendite INAIL, e simili), che individuino, direttamente o indirettamente, una infermità superiore ai 2/3;

età inferiore ai 18 anni (anche nel caso in cui il familiare non sia studente);

infermità temporanea per i periodi di ricovero ospedaliero;

età superiore ai 70 anni, in presenza di una qualsiasi invalidità comunque riconosciuta; per gli invalidi di età inferiore a 70 anni, possono essere applicati i criteri di cui al capoverso successivo.

I motivi di carattere sanitario, debitamente documentati, del familiare non lavoratore, come ad esempio le infermità temporanee che non diano luogo a ricovero ospedaliero, dovranno essere valutati dal medico di Sede al fine di stabilire se e per quale periodo, in relazione alla natura dell'handicap del disabile nonché al tipo di affezione del familiare non lavoratore, sussista una impossibilità, per quest'ultimo, di prestare assistenza.

Inoltre un ulteriore motivo di impedimento - ugualmente identificato, in altra circostanza, dal Comitato G.I.A.S.- all'assistenza da parte del familiare non lavoratore convivente con la persona handicappata può essere quello determinato dalla mancanza di patente di guida del non lavoratore; motivo valido, peraltro, solo se il lavoratore documenta la necessità di trasportare, nei giorni richiesti, il figlio o parente handicappato per visite mediche, terapie specifiche e simili e dichiara l'impossibilità di far trasportare la persona handicappata da altri soggetti conviventi non lavoratori, in quanto sprovvisti di patente di guida.

3 - CHIARIMENTI E VARIE

3.1 - Decorrenza dell'inizio dei benefici in casi particolari

Ad integrazione di quanto previsto dalla circ. 80/95 (par. 1, 16° cpv. e nota 6) si precisa che le indennità per le agevolazioni di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 33 della legge 104/92, possono essere riconosciute, sempre che vi sia stata effettiva astensione dal lavoro, a partire da una data diversa da quella di rilascio dell'attestato (o certificato o verbale) relativo al riconoscimento dell'handicap grave da parte della speciale Commissione medica A.S.L., non solo qualora nello stesso sia espressamente indicata una validità decorrente da data anteriore a quella del riconoscimento dell'handicap grave, ma in tutti i casi in cui la formulazione della diagnosi da parte della Commissione sia tale (ad es. quanto è presente il riferimento ad una eziologia prenatale) da far considerare l'handicap grave senza dubbio esistente da data anteriore a quella di presentazione alla ASL della domanda di riconoscimento (non anteriore comunque a quella di presentazione all'INPS e al datore di lavoro della relativa domanda).

3.2 - Part time verticale

In caso di contratto di lavoro part time verticale, con attività lavorativa (ad orario pieno o ad orario ridotto) limitata ad alcuni giorni del mese, il numero dei giorni di permesso spettanti va ridimensionato proporzionalmente.

Il risultato numerico va arrotondato all'unità inferiore o a quella superiore a seconda che la frazione sia fino allo 0,50 o superiore:

Si procede infatti con la seguente proporzione: x : a = b : c (dove "a" corrisponde al n° dei gg. di lavoro effettivi; "b" a quello dei (3) gg. di permesso teorici; "c" a quello dei gg. lavorativi)

Si riporta un esempio di 8 giorni di lavoro al mese su un totale di 27 giorni lavorativi teoricamente eseguibili (l'azienda non effettua quindi la "settimana corta").

Perciò:

x : 8 = 3 : 27 x = 24 : 27; x = 0,8 (gg. di permesso, da arrotondare a 1).

Nel mese considerato spetterà quindi 1 solo giorno di permesso

3.3 - Operai agricoli a tempo determinato

In merito ai lavoratori agricoli a tempo determinato, nel confermare in via generale quanto previsto dalla circ. 80/95 (par. 5) circa la impossibilità della materiale fruizione di giorni di permesso per se stessi, quali portatori di handicap, o per i figli o i familiari handicappati, quando si tratta di lavoratori agricoli occupati "a giornata", si precisa che il riconoscimento dei giorni di permesso è possibile, invece, quando detti lavoratori sono occupati con contratto stagionale di durata pari almeno ad un mese, con previsione di attività lavorativa per 6 (o 5 giorni se viene effettuata "settimana corta") alla settimana. Tale possibilità è comunque da escludere per le frazioni di mese, vale a dire per i mesi in cui l'attività viene svolta solo per alcuni giorni.

3.4 - Contributi figurativi

La legge, all'articolo 19, lett. a), precisa che i permessi dell'articolo 33, comma 3, della legge n.1204/1992 (permessi "a giorni"), sono coperti da contribuzione figurativa.

I permessi di cui al comma 2 (permessi "ad ore") risultano ora coperti da contribuzione figurativa, riscattabili, oppure possono formare oggetto di versamenti volontari (v. nuovo art. 10 della legge n. 1204/71).

Sull'argomento saranno impartite disposizioni a parte.

3.5 - Modulario e documentazione

Nell'attesa della revisione della modulistica attuale, la stessa potrà essere utilizzata, con gli opportuni adattamenti e con la presentazione delle dichiarazioni di responsabilità, laddove necessarie.

Si ricorda in proposito che le certificazioni mediche non possono essere sostituite da autocertificazioni.

IL DIRETTORE GENERALE TRIZZINO

Note (1) - La situazione di "genitore solo" può verificarsi in caso di morte di un genitore, o di abbandono del figlio da parte di uno dei genitori, ovvero di affidamento del figlio ad uno solo dei genitori, risultante da un provvedimento formale (v. circ. n. 109/2000, par. 1.3).

(2) - Si rammentano i "motivi obiettivamente rilevanti" indicati nella citata circolare, applicabili anche a persona non lavoratrice, diversa dal genitore, sempre che risulti essere l'unica in famiglia in grado di prestare assistenza:

- grave malattia - presenza in famiglia di più di tre minorenni - presenza in famiglia di un bambino inferiore a 6 anni - necessità di assistenza anche in ore notturne e anche da parte del lavoratore (da valutare a cura del medico di Sede).

(3) - Si riporta, ad ogni buon fine, quanto riepilogato nella nota (5) della a proposito del computo dei gradi di parentela e di affinità:

"E' noto che i gradi di parentela si computano (art. 76 c.c.) conteggiando, per la parentela in linea retta, le generazioni, dal capostipite (escluso) al parente considerato; così ad es. la parentela nonno/nipote è di 2° grado, quella madre/figlio di 1° grado, e così via.

In linea collaterale, invece, si deve risalire dalla persona, generazione per generazione, al capostipite comune e poi così ridiscendere alla persona interessata, sempre escludendo dal conteggio il capostipite: ad esempio il grado di parentela tra fratelli è di 2° grado, quello zio/nipote è di 3° grado, quello tra cugini è di 4° grado (questi ultimi sono perciò esclusi dai benefici della legge).

L'affinità è il rapporto che unisce un coniuge con i parenti dell'altro coniuge (art. 78 c.c.). Il grado di affinità è il medesimo che ha il coniuge con il proprio parente: così ad esempio il grado di affinità suocero/nuora (o suocera/genero) è di 1° grado; quello tra cognati di è di 2° grado, e così via. Si sottolinea che gli affini di un coniuge non sono affini tra loro: così ad esempio la moglie del cognato di una persona non è affine con quest'ultima."

Allegato 1

I.N.P.S.

DELIBERAZIONE N. 32 DEL 7.3.2000

OGGETTO: Legge n. 104/92. Presenza, nella famiglia del soggetto handicappato grave, di familiare non lavoratore.

IL COMITATO AMMINISTRATORE DELLA GESTIONE DEGLI INTERVENTI ASSISTENZIALI E DI SOSTEGNO ALLE GESTIONI PREVIDENZIALI

(Seduta del 7.3.2000)

- visto l'art. 33, comma 3, della legge n. 104/92;

- viste le disposizioni vigenti, secondo cui il riconoscimento della indennità relativa ai giorni di permesso previsti dall'art. 33, comma 3, della legge n. 104/92 è subordinato alla impossibilità, per altre persone presenti nella famiglia del soggetto handicappato grave, di assisterlo;

- considerato che tale impossibilità è stata individuata nell'espletamento di una attività lavorativa, ovvero, qualora il familiare non sia lavoratore, nei "motivi obiettivamente rilevanti" di quest'ultimo, quali i gravi motivi di salute o un obiettivo insormontabile impedimento;

- rilevato che determinate situazioni oggettive possono comportare effettivamente una impossibilità del familiare non lavoratore di prestare assistenza al portatore di handicap;

- ritenuto che le anzidette situazioni oggettive, purché debitamente documentate, non necessitino di particolari accertamenti da parte dell'Istituto ai fini della concessione, alle condizioni previste, dei permessi in questione al lavoratore, genitore, parente o affine entro il terzo grado dell'handicappato;

- tenuto conto che in caso di figlio minorenne l'obbligo di assistenza in capo ai genitori è da ritenere prevalente rispetto a quello di altri familiari;

DELIBERA

1) Ai fini della concessione dei giorni di permesso previsti dall'art. 33, comma 3, della legge n. 104/92, qualora nella famiglia del portatore di handicap siano presenti familiari non lavoratori, le situazioni di impossibilità, per questi ultimi, di assistere l'handicappato sono individuabili al verificarsi delle seguenti ipotesi:

a) riconoscimento, da parte dell'INPS o di altri Enti pubblici, di pensioni che presuppongano, di per sé, una incapacità al lavoro pari al 100% (quali le pensioni di inabilità o analoghe provvidenze in qualsiasi modo denominate)

b) riconoscimento, da parte dell'INPS o di altri Enti pubblici, di pensioni, o di analoghe provvidenze in qualsiasi modo denominate (quali le pensioni di invalidità civile, gli assegni di invalidità INPS, le rendite INAIL, e simili), che individuino, direttamente o indirettamente, una infermità superiore ai 2/3;

c) età superiore ai 70 anni, in presenza di una qualsiasi invalidità comunque riconosciuta;

d) età inferiore ai 18 anni (anche nel caso in cui non sia studente);

e) infermità temporanea per i periodi di ricovero ospedaliero.

2) Altre infermità temporanee, debitamente documentate, o, più in generale, i motivi di carattere sanitario, anch'essi debitamente documentati, del familiare non lavoratore dovranno essere valutati dal medico della Sede INPS al fine di stabilire se e per quale periodo, in relazione alla natura dell'handicap del disabile nonché al tipo di affezione del familiare non lavoratore, sussista una impossibilità, per quest'ultimo, di prestare assistenza.

3) In caso di genitori entrambi lavoratori e di figlio minorenne handicappato grave, la presenza di familiari non lavoratori non pregiudica la possibilità, per uno dei due genitori, di fruire, secondo le condizioni previste, dei permessi per assistere tale figlio.

Circolare INPS - 17 luglio 2000, n. 133

"Benefici a favore delle persone handicappate. Legge 8 marzo 2000, n. 53. Art. 33, commi 1, 2, 3 e 6 della legge n. 104/92."

Nota bene: la ha parzialmente rivisto le indicazioni fornite dalla presente circolare in particolare in riferimento alle condizioni di accesso ai permessi lavorativi concessi ai genitori di persone con handicap grave maggiorenni.

SOMMARIO:

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- La persona handicappata che lavora può fruire di permessi" a giorni" o di permessi" ad ore". - Il genitore di persona handicappata minorenne può fruire dei permessi dell'art. 33, commi 1, 2 e 3, anche quando l'altro genitore non ne ha diritto. - I genitori di persone handicappate maggiorenni e i parenti ed affini entro il 3° grado possono utilizzare i giorni di permesso anche se non convivono con il soggetto handicappato, purché gli prestino assistenza in via continuativa ed esclusiva. - I permessi "a giorni" possono essere frazionati ad ore. - Data di accertamento dell'handicap e data di decorrenza dei permessi. - Giorni di permesso in caso di part time verticale. - Giorni di permesso per i lavoratori agricoli stagionali con contratto di almeno un mese.

Si premette che, se pure nel corso delle presenti istruzioni, si indicano genericamente persone "handicappate", senza altra precisazione, ci si riferisce comunque sempre alle persone con handicap in situazioni di gravità, di cui al 3° comma dell'art. 3 della legge n. 104/1992, non ricoverate a tempo pieno (art. 33, commi 1, 2 e 3 della legge n. 104/1992).

Gli artt. e della legge 8 marzo 2000, n. 53 hanno apportato modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, .

1 - PERSONE HANDICAPPATE CHE LAVORANO

Il comma 6 dell'della legge n. 104/92 prevede, tra l'altro, che la persona handicappata che lavora può "usufruire dei permessi di cui ai commi 2 e 3 (rispettivamente, permessi "ad ore" e permessi "a giorni").

L', lett. c), della legge 8.3.2000, n. 53 stabilisce che al comma 6 dell' della legge 104/92, dopo le parole "può usufruire", è inserita la seguente: "alternativamente".

La presente norma conferma quindi il criterio in vigore (v. par. 1, lett. B, della ), secondo cui la persona handicappata che lavora può beneficiare, alternativamente, o dei permessi "ad ore" o dei permessi "a giorni".

Peraltro, mentre si ribadisce, in linea generale, che il tipo di permesso richiesto (a giorni od ad ore), può essere senz'altro cambiato da un mese all'altro previa semplice modifica della domanda a suo tempo avanzata, e non, in linea di massima, nell'ambito del singolo mese di calendario, si precisa che la variazione può essere eccezionalmente consentita, anche nell'ambito di ciascun mese, nel caso in cui sopraggiungano esigenze improvvise, non prevedibili all'atto della richiesta di permessi, esigenze che, peraltro, devono essere opportunamente documentate dal lavoratore.

In tal caso, la modifica dei permessi va effettuata adottando i criteri rilevabili dagli esempi seguenti.

Si supponga che un lavoratore, con orario giornaliero lavorativo di 8 ore per 5 giorni alla settimana, abbia già beneficiato, in un determinato mese, di riposi orari per 20 ore, e che successivamente documenti la necessità di utilizzare i giorni in luogo dei restanti permessi orari. Le 20 ore fruite dovranno essere convertite in giorni, con eventuale arrotondamento all'unità inferiore se la frazione di giorno è pari o inferiore allo 0,50, ovvero all'unità superiore se la frazione supera lo 0,50. Nell'esempio, quindi, si ha: 20 ore: 8 = 2,50 gg. (e cioè 2 gg. arrotondati). Il lavoratore ha fruito di ore corrispondenti a 2 gg. e quindi può chiedere 1 giorno di permesso senza diritto ad ulteriori permessi orari nel mese. Se, invece, avesse già fruito di 21 ore (equivalenti a 2,62 gg. = 3 gg. arrotondati) non potrebbe più fruire neppure di 1 giorno di permesso, sempre relativamente a quel mese. Analogo calcolo va effettuato nel caso inverso, se si tratta, cioè, di convertire i giorni in ore. Se, ad esempio, lo stesso lavoratore ha utilizzato 2 giorni di permesso, potrà fruire, in quel determinato mese, di 8 ore di riposo, in luogo del giorno di permesso che non intende più utilizzare.

2 - GENITORI E PARENTI O AFFINI ENTRO IL 3° GRADO DELLA PERSONA HANDICAPPATA

2.1 - Generalità

L' della legge 53/2000 stabilisce: "Le disposizioni dell'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall' della presente legge, si applicano anche qualora l'altro genitore non ne abbia diritto nonché ai genitori ed ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorché non convivente".

2.2 - Genitori di figli minorenni

Va preliminarmente chiarito che l', secondo cui le disposizioni dell' si applicano anche quando l'altro genitore non ha diritto, è da intendere riferito ai (soli) figli handicappati minorenni.

E' da ritenere esclusa la applicabilità dello stesso art. 20 nella parte in cui prevede la continuità e la esclusività dell'assistenza alla persona handicappata da parte del lavoratore; ciò, anche nel presupposto che per i figli minorenni non va richiesta la convivenza, come anche precisato con .

Tanto premesso, in base alla nuova norma è ora possibile per il genitore lavoratore fruire del prolungamento dell'astensione facoltativa o dei riposi orari fino ai 3 anni di età del bambino nonché dei giorni di permesso dopo i 3 anni e fino ai 18, anche qualora l'altro genitore non abbia diritto a tali benefici (perché, ad esempio, è casalingo/a, non svolge attività lavorativa, è lavoratore autonomo ecc.).

Nel caso in cui, invece, entrambi i genitori siano lavoratori dipendenti, i permessi continuano a spettare

ad entrambi, ma in maniera alternativa. Ciò significa che possono spettare indifferentemente alla madre o al padre, ma non con fruizione contemporanea, fatto salvo quanto precisato al par. 2.2.3.

2.2.1 - Prolungamento dell'astensione facoltativa fino a tre anni di età del bambino handicappato.

Il comma 1 dell' della legge 104/92 stabilisce che la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore handicappato grave, hanno diritto al prolungamento fino a tre anni (di età del bambino) del periodo di astensione facoltativa.

In proposito si rammenta che, trattandosi di astensione facoltativa, sia pure prolungata, con diritto alla indennità pari al 30% della retribuzione per tutto il periodo, il rapporto di lavoro deve continuare ad essere in atto, con obbligo di prestazione dell'attività lavorativa, anche durante il prolungamento; si ricorda anche che per i lavoratori agricoli a tempo determinato il diritto alla astensione facoltativa ed al suo prolungamento è subordinato all'iscrizione negli elenchi validi per ciascun anno di riferimento (anno precedente a quello di astensione).

Peraltro, con riferimento alle innovazioni apportate dalla , occorre fare alcune precisazioni in merito alle interrelazioni tra l'astensione facoltativa "normale" ed il suo prolungamento.

E' da ritenere, infatti, che la norma dell' della stessa legge 53 non abbia inteso escludere, per i genitori di persone handicappate, né la possibilità di fruire, come gli altri, della normale astensione facoltativa entro gli otto anni di età del bambino, né la possibilità di beneficiare del prolungamento della astensione facoltativa fino a tre anni di età del bambino; non ha quindi posto come condizione per il prolungamento stesso il precedente godimento della integrale astensione normale.

Tenendo conto di tali considerazioni, diventa possibile ammettere il prolungamento da parte di un genitore (alternativamente, madre o padre) anche quando non sia stato in precedenza esaurito il periodo della "normale" astensione facoltativa.

Se ciò si verifica, peraltro, il fatto che l'ulteriore periodo di astensione sia qualificato come "prolungamento" non può non comportare riflessi: pertanto in linea generale il prolungamento stesso potrà iniziare solo dopo il periodo della normale astensione facoltativa teoricamente fruibile dalla madre (6 mesi), periodo che inizia a decorrere dal giorno successivo alla fine dell'astensione obbligatoria e che ordinariamente è pari a nove mesi successivi al parto.

Fermo restando che il godimento del "normale" periodo di astensione può essere spostato fino all'8° anno di età del bambino, nei casi in cui uno dei genitori non appartenga a categoria avente diritto all'astensione obbligatoria e/o a quella facoltativa dal lavoro, si precisa:

- se è solo il padre che lavora, il prolungamento in questione è riconoscibile dal giorno successivo alla scadenza del proprio teorico periodo di "normale" astensione facoltativa, e cioè di 7 mesi, a partire dalla data di nascita del bambino;

- se si tratta di "genitore solo" - padre o madre - (1), il prolungamento è riconoscibile dal giorno successivo alla scadenza del teorico particolare periodo di astensione (10 mesi);

- se la madre è lavoratrice non avente diritto all'astensione facoltativa e, quindi, al suo prolungamento, il padre può fruire del prolungamento dal giorno successivo alla scadenza del proprio teorico periodo di "normale" astensione facoltativa (7 mesi), decorrente dalla fine dell'astensione obbligatoria della madre;

- se la madre è lavoratrice autonoma, il padre può fruire del prolungamento dal giorno successivo alla scadenza del proprio teorico periodo di "normale" astensione facoltativa (7 mesi), decorrente dalla fine del periodo (3 mesi) di astensione facoltativa della madre, decorrente, a sua volta, dal giorno successivo al periodo indennizzabile dopo il parto (3 mesi).

Nel caso in cui, invece, la "normale" astensione facoltativa sia stata fruita in tutto o in parte, prima del prolungamento, da uno o da entrambi i genitori, si avranno le seguenti situazioni di fruibilità dei residui periodi di "normale"astensione facoltativa:

- se la madre ha beneficiato di 6 mesi prima del prolungamento, il padre può usufruire di 5 mesi di astensione facoltativa "normale" sia entro il 3° anno di età del bambino, sia fra il 3° e l'8° anno (mesi peraltro indennizzabili, in entrambi i casi, solo in presenza di determinate condizioni reddituali: v. circ. n. 109 del 6.6.2000);

- se il padre ha beneficiato di 7 mesi prima del prolungamento, la madre può usufruire di 4 mesi di astensione facoltativa "normale" sia entro il 3° anno di età del bambino, sia fra il 3° e l'8° anno (mesi soggetti a limiti di indennizzabilità analoghi a quelli di cui all'alinea precedente);

- se entrambi i genitori si sono ripartiti i periodi di astensione facoltativa "normale", con conseguente prolungamento da parte di un genitore, ovvero con prolungamento alternativo da parte di entrambi, il genitore che eventualmente non abbia utilizzato il proprio periodo residuo (fruibile peraltro sempre entro il limite complessivo di 10 o 11 mesi), può completarlo sia entro il 3° anno di età del bambino, sia fra i 3° e l'8° anno, con i suddetti limiti di indennizzabilità.

2.2.2 - Riposi orari fino a tre anni di età del bambino handicappato

Il comma 2 dell'art. 33 della legge 104 prevede la possibilità per i genitori di fruire di riposi orari fino a tre anni di età del bambino, in alternativa al prolungamento dell'astensione facoltativa; si

rammenta che, per uniforme applicazione della disposizione sia nel settore privato che in quello pubblico, il numero di ore di riposo spettanti è da rapportare alla durata dell'orario giornaliero di lavoro (2 ore per orario pari o superiore a 6 ore, 1 ora in caso contrario).

Fino ad 1 anno di età i riposi non sono quelli alternativi al prolungamento dell'astensione facoltativa, ma quelli c.d. per allattamento del nuovo art. 10 della legge 1204 (v. in proposito ). Ciò significa che, conformemente alle istruzioni della circolare suddetta, durante l'utilizzo di questi riposi orari da parte della madre, il padre può fruire della astensione facoltativa "normale", e che, invece, l'utilizzo della astensione facoltativa "normale" da parte della madre preclude la fruizione dei riposi orari da parte del padre.

Tra il 2° e il 3° anno di età del bambino, i riposi orari diventano quelli alternativi al prolungamento dell'astensione facoltativa.

Si sottolinea che anche tali riposi, come il prolungamento dell'astensione di cui al paragrafo precedente, spettano in maniera alternativa tra i due genitori, e, trattandosi di beneficio che sostituisce il prolungamento, l'utilizzo dei riposi orari da parte di un genitore non esclude, secondo i criteri utilizzati per l'astensione suddetta, che l'altro possa godere della "normale" astensione facoltativa eventualmente ancora spettantegli.

2.2.3 - Giorni di permesso mensile tra il 3° e il 18° anno di età del figlio handicappato.

Analogamente al prolungamento dell'astensione facoltativa ed ai riposi orari, i giorni di permesso possono essere usufruiti dai genitori (di figli minorenni) alternativamente, ma il numero massimo mensile (3 gg.) può essere ripartito tra i genitori stessi anche con assenze contestuali dal rispettivo lavoro (ad esempio, madre 2 gg., padre 1 giorno, anche coincidente con uno dei due giorni della madre).

L'alternatività, in sostanza, si intende riferita solo al numero complessivo dei giorni di riposo fruibili nel mese (tre).

I giorni di permesso possono essere utilizzati da un genitore anche quando l'altro fruisce della "normale" astensione facoltativa.

2.3 -Genitori di figli maggiorenni e familiari di persone handicappate non conviventi

In base all' della legge 53, i genitori e i familiari lavoratori di persone handicappate possono fruire dei giorni di permesso mensile anche se il portatore di handicap non è convivente a condizione che l'assistenza sia continua ed esclusiva, requisiti che devono sussistere contemporaneamente.

Si rammenta (v. par. 2.2) che i genitori qui presi in considerazione sono quelli di figli maggiorenni.

2.3.1 - Continuità dell'assistenza

La "continuità" consiste nell'effettiva assistenza del soggetto handicappato, per le sue necessità quotidiane, da parte del lavoratore, genitore o parente del soggetto stesso, per il quale vengono richiesti i giorni di permesso.

Pertanto la continuità di assistenza non è individuabile nei casi di oggettiva lontananza delle abitazioni, lontananza da considerare non necessariamente in senso spaziale, ma anche soltanto semplicemente temporale.

2.3.2 - Esclusività dell'assistenza

La "esclusività" va intesa nel senso che il lavoratore richiedente i permessi deve essere l'unico soggetto che presta assistenza alla persona handicappata: la esclusività stessa non può perciò considerarsi realizzata quando il soggetto handicappato non convivente con il lavoratore richiedente, risulta convivere, a sua volta, in un nucleo familiare in cui sono presenti lavoratori che beneficiano dei permessi per questo stesso handicappato, ovvero soggetti non lavoratori in grado di assisterlo.

2.4 - Genitori di figli maggiorenni e familiari di persone handicappate conviventi

Se il lavoratore richiedente i permessi è convivente con la persona handicappata continua ad essere implicito - anche tenendo conto dei criteri enunciati dal Consiglio di Stato con parere n. 784/95- che ai fini della concessione dei permessi non debbano essere presenti nella famiglia altri soggetti che possano fornire assistenza.

Si confermano, pertanto, le istruzioni precedenti (v. ) che subordinano la concessione dei permessi alla inesistenza, nel nucleo familiare, di soggetti non lavoratori in grado di assistere la persona handicappata.

2.5 - Impossibilità di assistenza da parte del familiare non lavoratore

Oltre ai motivi, obiettivamente rilevanti, di impossibilità all'assistenza da parte del genitore non lavoratore, indicati nella (par. 2, lett. A), da ritenere applicabili non solo al genitore suddetto, ma anche ad altro familiare (ugualmente non lavoratore e unico altro soggetto in grado di prestare assistenza) (2), si elencano gli ulteriori motivi di impossibilità di assistenza da parte di soggetti non lavoratori

conviventi con il soggetto handicappato individuati dal Comitato amministratore G.I.A.S con deliberazione n. 32 del 7.3.2000 (all. 1), per i quali, quindi, al lavoratore (genitore o parente o affine entro il 3° grado (3), convivente o meno -v. par 2.3 e 2.4- con l'handicappato) possono essere riconosciuti i permessi, senza necessità di valutazioni medico-legali:

riconoscimento, da parte dell'INPS o di altri Enti pubblici, di pensioni che presuppongano, di per sé, una incapacità al lavoro pari al 100% (quali le pensioni di inabilità o analoghe provvidenze in qualsiasi modo denominate);

riconoscimento, da parte dell'INPS o di altri Enti pubblici, di pensioni, o di analoghe provvidenze in qualsiasi modo denominate (quali le pensioni di invalidità civile, gli assegni di invalidità INPS, le rendite INAIL, e simili), che individuino, direttamente o indirettamente, una infermità superiore ai 2/3;

età inferiore ai 18 anni (anche nel caso in cui il familiare non sia studente);

infermità temporanea per i periodi di ricovero ospedaliero;

età superiore ai 70 anni, in presenza di una qualsiasi invalidità comunque riconosciuta; per gli invalidi di età inferiore a 70 anni, possono essere applicati i criteri di cui al capoverso successivo.

I motivi di carattere sanitario, debitamente documentati, del familiare non lavoratore, come ad esempio le infermità temporanee che non diano luogo a ricovero ospedaliero, dovranno essere valutati dal medico di Sede al fine di stabilire se e per quale periodo, in relazione alla natura dell'handicap del disabile nonché al tipo di affezione del familiare non lavoratore, sussista una impossibilità, per quest'ultimo, di prestare assistenza.

Inoltre un ulteriore motivo di impedimento - ugualmente identificato, in altra circostanza, dal Comitato G.I.A.S.- all'assistenza da parte del familiare non lavoratore convivente con la persona handicappata può essere quello determinato dalla mancanza di patente di guida del non lavoratore; motivo valido, peraltro, solo se il lavoratore documenta la necessità di trasportare, nei giorni richiesti, il figlio o parente handicappato per visite mediche, terapie specifiche e simili e dichiara l'impossibilità di far trasportare la persona handicappata da altri soggetti conviventi non lavoratori, in quanto sprovvisti di patente di guida.

3 - CHIARIMENTI E VARIE

3.1 - Decorrenza dell'inizio dei benefici in casi particolari

Ad integrazione di quanto previsto dalla circ. 80/95 (par. 1, 16° cpv. e nota 6) si precisa che le indennità per le agevolazioni di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 33 della legge 104/92, possono essere riconosciute, sempre che vi sia stata effettiva astensione dal lavoro, a partire da una data diversa da quella di rilascio dell'attestato (o certificato o verbale) relativo al riconoscimento dell'handicap grave da parte della speciale Commissione medica A.S.L., non solo qualora nello stesso sia espressamente indicata una validità decorrente da data anteriore a quella del riconoscimento dell'handicap grave, ma in tutti i casi in cui la formulazione della diagnosi da parte della Commissione sia tale (ad es. quanto è presente il riferimento ad una eziologia prenatale) da far considerare l'handicap grave senza dubbio esistente da data anteriore a quella di presentazione alla ASL della domanda di riconoscimento (non anteriore comunque a quella di presentazione all'INPS e al datore di lavoro della relativa domanda).

3.2 - Part time verticale

In caso di contratto di lavoro part time verticale, con attività lavorativa (ad orario pieno o ad orario ridotto) limitata ad alcuni giorni del mese, il numero dei giorni di permesso spettanti va ridimensionato proporzionalmente.

Il risultato numerico va arrotondato all'unità inferiore o a quella superiore a seconda che la frazione sia fino allo 0,50 o superiore:

Si procede infatti con la seguente proporzione: x : a = b : c (dove "a" corrisponde al n° dei gg. di lavoro effettivi; "b" a quello dei (3) gg. di permesso teorici; "c" a quello dei gg. lavorativi)

Si riporta un esempio di 8 giorni di lavoro al mese su un totale di 27 giorni lavorativi teoricamente eseguibili (l'azienda non effettua quindi la "settimana corta").

Perciò:

x : 8 = 3 : 27 x = 24 : 27; x = 0,8 (gg. di permesso, da arrotondare a 1).

Nel mese considerato spetterà quindi 1 solo giorno di permesso

3.3 - Operai agricoli a tempo determinato

In merito ai lavoratori agricoli a tempo determinato, nel confermare in via generale quanto previsto dalla circ. 80/95 (par. 5) circa la impossibilità della materiale fruizione di giorni di permesso per se stessi, quali portatori di handicap, o per i figli o i familiari handicappati, quando si tratta di lavoratori agricoli occupati "a giornata", si precisa che il riconoscimento dei giorni di permesso è possibile, invece, quando detti lavoratori sono occupati con contratto stagionale di durata pari almeno ad un mese, con previsione di attività lavorativa per 6 (o 5 giorni se viene effettuata "settimana corta") alla settimana. Tale possibilità è comunque da escludere per le frazioni di mese, vale a dire per i mesi in cui l'attività

viene svolta solo per alcuni giorni.

3.4 - Contributi figurativi

La legge, all'articolo 19, lett. a), precisa che i permessi dell'articolo 33, comma 3, della legge n.1204/1992 (permessi "a giorni"), sono coperti da contribuzione figurativa.

I permessi di cui al comma 2 (permessi "ad ore") risultano ora coperti da contribuzione figurativa, riscattabili, oppure possono formare oggetto di versamenti volontari (v. nuovo art. 10 della legge n. 1204/71).

Sull'argomento saranno impartite disposizioni a parte.

3.5 - Modulario e documentazione

Nell'attesa della revisione della modulistica attuale, la stessa potrà essere utilizzata, con gli opportuni adattamenti e con la presentazione delle dichiarazioni di responsabilità, laddove necessarie.

Si ricorda in proposito che le certificazioni mediche non possono essere sostituite da autocertificazioni.

IL DIRETTORE GENERALE TRIZZINO

Note (1) - La situazione di "genitore solo" può verificarsi in caso di morte di un genitore, o di abbandono del figlio da parte di uno dei genitori, ovvero di affidamento del figlio ad uno solo dei genitori, risultante da un provvedimento formale (v. circ. n. 109/2000, par. 1.3).

(2) - Si rammentano i "motivi obiettivamente rilevanti" indicati nella citata circolare, applicabili anche a persona non lavoratrice, diversa dal genitore, sempre che risulti essere l'unica in famiglia in grado di prestare assistenza:

- grave malattia - presenza in famiglia di più di tre minorenni - presenza in famiglia di un bambino inferiore a 6 anni - necessità di assistenza anche in ore notturne e anche da parte del lavoratore (da valutare a cura del medico di Sede).

(3) - Si riporta, ad ogni buon fine, quanto riepilogato nella nota (5) della a proposito del computo dei gradi di parentela e di affinità:

"E' noto che i gradi di parentela si computano (art. 76 c.c.) conteggiando, per la parentela in linea retta, le generazioni, dal capostipite (escluso) al parente considerato; così ad es. la parentela nonno/nipote è di 2° grado, quella madre/figlio di 1° grado, e così via.

In linea collaterale, invece, si deve risalire dalla persona, generazione per generazione, al capostipite comune e poi così ridiscendere alla persona interessata, sempre escludendo dal conteggio il capostipite: ad esempio il grado di parentela tra fratelli è di 2° grado, quello zio/nipote è di 3° grado, quello tra cugini è di 4° grado (questi ultimi sono perciò esclusi dai benefici della legge).

L'affinità è il rapporto che unisce un coniuge con i parenti dell'altro coniuge (art. 78 c.c.). Il grado di affinità è il medesimo che ha il coniuge con il proprio parente: così ad esempio il grado di affinità suocero/nuora (o suocera/genero) è di 1° grado; quello tra cognati di è di 2° grado, e così via. Si sottolinea che gli affini di un coniuge non sono affini tra loro: così ad esempio la moglie del cognato di una persona non è affine con quest'ultima."

Allegato 1

I.N.P.S.

DELIBERAZIONE N. 32 DEL 7.3.2000

OGGETTO: Legge n. 104/92. Presenza, nella famiglia del soggetto handicappato grave, di familiare non lavoratore.

IL COMITATO AMMINISTRATORE DELLA GESTIONE DEGLI INTERVENTI ASSISTENZIALI E DI SOSTEGNO ALLE GESTIONI PREVIDENZIALI

(Seduta del 7.3.2000)

- visto l'art. 33, comma 3, della legge n. 104/92;

- viste le disposizioni vigenti, secondo cui il riconoscimento della indennità relativa ai giorni di permesso previsti dall'art. 33, comma 3, della legge n. 104/92 è subordinato alla impossibilità, per altre persone presenti nella famiglia del soggetto handicappato grave, di assisterlo;

- considerato che tale impossibilità è stata individuata nell'espletamento di una attività lavorativa, ovvero, qualora il familiare non sia lavoratore, nei "motivi obiettivamente rilevanti" di quest'ultimo, quali i gravi motivi di salute o un obiettivo insormontabile impedimento;

- rilevato che determinate situazioni oggettive possono comportare effettivamente una impossibilità del familiare non lavoratore di prestare assistenza al portatore di handicap;

- ritenuto che le anzidette situazioni oggettive, purché debitamente documentate, non necessitino di particolari accertamenti da parte dell'Istituto ai fini della concessione, alle condizioni previste, dei permessi in questione al lavoratore, genitore, parente o affine entro il terzo grado dell'handicappato;

- tenuto conto che in caso di figlio minorenne l'obbligo di assistenza in capo ai genitori è da ritenere prevalente rispetto a quello di altri familiari;

DELIBERA

1) Ai fini della concessione dei giorni di permesso previsti dall'art. 33, comma 3, della legge n. 104/92, qualora nella famiglia del portatore di handicap siano presenti familiari non lavoratori, le situazioni di impossibilità, per questi ultimi, di assistere l'handicappato sono individuabili al verificarsi delle seguenti ipotesi:

a) riconoscimento, da parte dell'INPS o di altri Enti pubblici, di pensioni che presuppongano, di per sé, una incapacità al lavoro pari al 100% (quali le pensioni di inabilità o analoghe provvidenze in qualsiasi modo denominate)

b) riconoscimento, da parte dell'INPS o di altri Enti pubblici, di pensioni, o di analoghe provvidenze in qualsiasi modo denominate (quali le pensioni di invalidità civile, gli assegni di invalidità INPS, le rendite INAIL, e simili), che individuino, direttamente o indirettamente, una infermità superiore ai 2/3;

c) età superiore ai 70 anni, in presenza di una qualsiasi invalidità comunque riconosciuta;

d) età inferiore ai 18 anni (anche nel caso in cui non sia studente);

e) infermità temporanea per i periodi di ricovero ospedaliero.

2) Altre infermità temporanee, debitamente documentate, o, più in generale, i motivi di carattere sanitario, anch'essi debitamente documentati, del familiare non lavoratore dovranno essere valutati dal medico della Sede INPS al fine di stabilire se e per quale periodo, in relazione alla natura dell'handicap del disabile nonché al tipo di affezione del familiare non lavoratore, sussista una impossibilità, per quest'ultimo, di prestare assistenza.

3) In caso di genitori entrambi lavoratori e di figlio minorenne handicappato grave, la presenza di familiari non lavoratori non pregiudica la possibilità, per uno dei due genitori, di fruire, secondo le condizioni previste, dei permessi per assistere tale figlio.

Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151

"Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"

(Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 26 aprile 2001 - Supplemento Ordinario n. 93)

Nota: si segnalano in particolare i seguenti articoli:

Prolungamento del congedo

Riposi e permessi per i figli con handicap grave

Lavoro notturno

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto l’articolo 87 della Costituzione;

Visto l’articolo 15 della , recante delega al Governo per l’emanazione di un decreto legislativo contenente il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità, nel quale devono essere riunite e coordinate tra loro le disposizioni vigenti in materia, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo;

Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400;

Vista la deliberazione preliminare del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 15 dicembre 2000;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del 15 gennaio 2001;

Acquisito il parere delle competenti commissioni parlamentari;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 21 marzo 2001;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro per la solidarietà sociale, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della sanità, per le pari opportunità e per la funzione pubblica;

Emana il seguente decreto legislativo:

Capo I DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 1. Oggetto (, art. 1, comma 5; , art. 17, comma 3)

1. Il presente testo unico disciplina i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternità e paternità di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché il sostegno economico alla maternità e alla paternità.

2. Sono fatte salve le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti collettivi, e da ogni altra disposizione.

Art. 2. Definizioni (, articoli 1, comma 1, e 13)

1. Ai fini del presente testo unico:

a) per "congedo di maternità" si intende l’astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice;

b) per "congedo di paternità" si intende l’astensione dal lavoro del lavoratore, fruito in alternativa al congedo di maternità;

c) per "congedo parentale", si intende l’astensione facoltativa della lavoratrice o del lavoratore;

d) per "congedo per la malattia del figlio" si intende l’astensione facoltativa dal lavoro della lavoratrice o del lavoratore in dipendenza della malattia stessa;

e) per "lavoratrice" o "lavoratore", salvo che non sia altrimenti specificato, si intendono i dipendenti, compresi quelli con contratto di apprendistato, di amministrazioni pubbliche, di privati datori di lavoro nonché i soci lavoratori di cooperative.

2. Le indennità di cui al presente testo unico corrispondono, per le pubbliche amministrazioni, ai trattamenti economici previsti, ai sensi della legislazione vigente, da disposizioni normative e contrattuali. I trattamenti economici non possono essere inferiori alle predette indennità.

Art. 3. Divieto di discriminazione

1. È vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale, attuata attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, secondo quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 1 della legge 9 dicembre 1977, n. 903.

2. È vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda le iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale, per quanto concerne sia l’accesso sia i contenuti, secondo quanto previsto dal comma 3 dell’articolo 1 della legge 9 dicembre 1977, n. 903.

3. È vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda la retribuzione, la classificazione professionale, l’attribuzione di qualifiche e mansioni e la progressione nella carriera, secondo quanto previsto dagli articoli 2 e 3 della legge 9 dicembre 1977, n. 903.

Art. 4. Sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo (, art. 11; , art. 10)

1. In sostituzione delle lavoratrici e dei lavoratori assenti dal lavoro, in virtù delle disposizioni del presente testo unico, il datore di lavoro può assumere personale con contratto a tempo determinato o temporaneo, ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 1, secondo comma, lettera b), della legge 18 aprile 1962, n. 230, e dell’articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 24 giugno 1997, n. 196, e con l’osservanza delle disposizioni delle leggi medesime.

2. L’assunzione di personale a tempo determinato e di personale temporaneo, in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo ai sensi del presente testo unico può avvenire anche con anticipo fino ad un mese rispetto al periodo di inizio del congedo, salvo periodi superiori previsti dalla contrattazione collettiva.

3. Nelle aziende con meno di venti dipendenti, per i contributi a carico del datore di lavoro che assume personale con contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo, è concesso uno sgravio contributivo del 50 per cento. Quando la sostituzione avviene con contratto di lavoro temporaneo, l’impresa utilizzatrice recupera dalla società di fornitura le somme corrispondenti allo sgravio da questa ottenuto.

4. Le disposizioni del comma 3 trovano applicazione fino al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in congedo o per un anno dall’accoglienza del minore adottato o in affidamento.

5. Nelle aziende in cui operano lavoratrici autonome di cui al Capo XI, è possibile procedere, in caso di

maternità delle suddette lavoratrici, e comunque entro il primo anno di età del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, all’assunzione di personale a tempo determinato e di personale temporaneo, per un periodo massimo di dodici mesi, con le medesime agevolazioni di cui al comma 3.

Art. 5. Anticipazione del trattamento di fine rapporto (, art. 7)

1. Durante i periodi di fruizione dei congedi di cui all’articolo 32, il trattamento di fine rapporto può essere anticipato ai fini del sostegno economico, ai sensi dell’articolo 7 della . Gli statuti delle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni, possono prevedere la possibilità di conseguire tale anticipazione.

Capo II TUTELA DELLA SALUTE DELLA LAVORATRICE

Art. 6. Tutela della sicurezza e della salute (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 1; , art. 9)

1. Il presente Capo prescrive misure per la tutela della sicurezza e della salute delle lavoratrici durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di età del figlio, che hanno informato il datore di lavoro del proprio stato, conformemente alle disposizioni vigenti, fatto salvo quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 8.

2. La tutela si applica, altresì, alle lavoratrici che hanno ricevuto bambini in adozione o in affidamento, fino al compimento dei sette mesi di età.

3. Salva l’ordinaria assistenza sanitaria e ospedaliera a carico del Servizio sanitario nazionale, le lavoratrici, durante la gravidanza, possono fruire presso le strutture sanitarie pubbliche o private accreditate, con esclusione dal costo delle prestazioni erogate, oltre che delle periodiche visite ostetrico-ginecologiche, delle prestazioni specialistiche per la tutela della maternità, in funzione preconcezionale e di prevenzione del rischio fetale, previste dal decreto del Ministro della sanità di cui all’articolo 1, comma 5, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, purchè prescritte secondo le modalità ivi indicate.

Art. 7. Lavori vietati (, articoli 3, 30, comma 8, e 31, comma 1; decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 3; , art. 12, comma 3)

1. È vietato adibire le lavoratrici al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri. I lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono indicati dall’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, riportato nell’allegato A del presente testo unico. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità e per la solidarietà sociale, sentite le parti sociali, provvede ad aggiornare l’elenco di cui all’allegato A.

2. Tra i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono inclusi quelli che comportano il rischio di esposizione agli agenti ed alle condizioni di lavoro, indicati nell’elenco di cui all’allegato B.

3. La lavoratrice è addetta ad altre mansioni per il periodo per il quale è previsto il divieto.

4. La lavoratrice è, altresì, spostata ad altre mansioni nei casi in cui i servizi ispettivi del Ministero del lavoro, d’ufficio o su istanza della lavoratrice, accertino che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna.

5. La lavoratrice adibita a mansioni inferiori a quelle abituali conserva la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originale. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, qualora la lavoratrice sia adibita a mansioni equivalenti o superiori.

6. Quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, il servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio, può disporre l’interdizione dal lavoro per tutto il periodo di cui al presente Capo, in attuazione di quanto previsto all’articolo 17.

7. L’inosservanza delle disposizioni contenute nei commi 1, 2, 3 e 4 è punita con l’arresto fino a sei mesi.

Art. 8. Esposizione a radiazioni ionizzanti (decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, art. 69)

1. Le donne, durante la gravidanza, non possono svolgere attività in zone classificate o, comunque, essere adibite ad attività che potrebbero esporre il nascituro ad una dose che ecceda un millisievert durante il periodo della gravidanza.

2. È fatto obbligo alle lavoratrici di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza, non appena accertato.

3. È altresì vietato adibire le donne che allattano ad attività comportanti un rischio di contaminazione.

Art. 9. Polizia di Stato, penitenziaria e municipale (legge 7 agosto 1990, n. 232, art. 13; , art. 14)

1. Fermo restando quanto previsto dal presente Capo, durante la gravidanza è vietato adibire al lavoro operativo le appartenenti alla Polizia di Stato.

2. Per le appartenenti alla Polizia di Stato, gli accertamenti tecnico-sanitari previsti dal presente testo unico sono devoluti al servizio sanitario dell’amministrazione della pubblica sicurezza, in conformità all’articolo 6, lettera z), della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e successive modificazioni.

3. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano al personale femminile del corpo di polizia penitenziaria e ai corpi di polizia municipale.

Art. 10. Personale militare femminile (decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, art. 4, comma 3)

1. Fatti salvi i periodi di divieto di adibire al lavoro le donne previsti agli articoli 16 e 17, comma 1, durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi successivi al parto il personale militare femminile non può svolgere incarichi pericolosi, faticosi ed insalubri, da determinarsi con decreti adottati, sentito il comitato consultivo di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 20 ottobre 1999, n. 380, dal Ministro della difesa, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e delle pari opportunità per il personale delle Forze armate, nonché con il Ministro dei trasporti e della navigazione per il personale delle capitanerie di porto, e dal Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e delle pari opportunità per il personale del Corpo della guardia di finanza.

Art. 11. Valutazione dei rischi (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 4)

1. Fermo restando quanto stabilito dall’articolo 7, commi 1 e 2, il datore di lavoro, nell’ambito ed agli effetti della valutazione di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, valuta i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, in particolare i rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all’allegato C, nel rispetto delle linee direttrici elaborate dalla Commissione dell’Unione europea, individuando le misure di prevenzione e protezione da adottare.

2. L’obbligo di informazione stabilito dall’articolo 21 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, comprende quello di informare le lavoratrici ed i loro rappresentati per la sicurezza sui risultati della valutazione e sulle conseguenti misure di protezione e di prevenzione adottate.

Art. 12. Conseguenze della valutazione (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 5)

1. Qualora i risultati della valutazione di cui all’articolo 11, comma 1, rivelino un rischio per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, il datore di lavoro adotta le misure necessarie affinchè l’esposizione al rischio delle lavoratrici sia evitata, modificandone temporaneamente le condizioni o l’orario di lavoro.

2. Ove la modifica delle condizioni o dell’orario di lavoro non sia possibile per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro applica quanto stabilito dall’articolo 7, commi 3, 4 e 5, dandone contestuale informazione scritta al servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio, che può disporre l’interdizione dal lavoro per tutto il periodo di cui all’articolo 6, comma 1, in attuazione di quanto previsto all’articolo 17.

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 trovano applicazione al di fuori dei casi di divieto sanciti dall’articolo 7, commi 1 e 2.

4. L’inosservanza della disposizione di cui al comma 1 è punita con la sanzione di cui all’articolo 7, comma 7.

Art. 13. Adeguamento alla disciplina comunitaria (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, articoli 2 e 8)

1. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, sentita la Commissione consultiva permanente di cui all’articolo 26 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, sono recepite le linee direttrici elaborate dalla Commissione dell’Unione europea, concernenti la valutazione degli agenti chimici, fisici e biologici, nonché dei processi industriali ritenuti pericolosi per la sicurezza o la salute delle lavoratrici e riguardanti anche i movimenti, le posizioni di lavoro, la fatica mentale e fisica e gli altri disagi fisici e mentali connessi con l’attività svolta dalle predette lavoratrici.

2. Con la stessa procedura di cui al comma 1, si provvede ad adeguare ed integrare la disciplina contenuta nel decreto di cui al comma 1, nonché a modificare ed integrare gli elenchi di cui agli allegati B e C, in conformità alle modifiche alle linee direttrici e alle altre modifiche adottate in sede comunitaria.

Art. 14. Controlli prenatali (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 7)

1. Le lavoratrici gestanti hanno diritto a permessi retribuiti per l’effettuazione di esami prenatali, accertamenti clinici ovvero visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi debbono essere eseguiti durante l’orario di lavoro.

2. Per la fruizione dei permessi di cui al comma 1 le lavoratrici presentano al datore di lavoro apposita istanza e successivamente presentano la relativa documentazione giustificativa attestante la data e l’orario di effettuazione degli esami.

Art. 15. Disposizioni applicabili (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 9)

1. Per quanto non diversamente previsto dal presente Capo, restano ferme le disposizioni recate dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, nonché da ogni altra disposizione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.

Capo III CONGEDO DI MATERNITÀ

Art. 16. Divieto di adibire al lavoro le donne (, art. 4, comma 1 e 4)

1. È vietato adibire al lavoro le donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all’articolo 20; b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi dopo il parto; d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto.

Art. 17. Estensione del divieto (, articoli 4, commi 2 e 3, 5, e 30, commi 6, 7, 9 e 10)

1. Il divieto è anticipato a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all’avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli. Tali lavori sono determinati con propri decreti dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative. Fino all’emanazione del primo decreto ministeriale, l’anticipazione del divieto di lavoro è disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio.

2. Il servizio ispettivo del Ministero del lavoro può disporre, sulla base di accertamento medico, avvalendosi dei competenti organi del Servizio sanitario nazionale, ai sensi degli articoli 2 e 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, l’interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza, fino al periodo di astensione di cui alla lettera a), comma 1, dell’articolo 16, per uno o più periodi, la cui durata sarà determinata dal servizio stesso, per i seguenti motivi: a) nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza; b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino; c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12.

3. L’astensione dal lavoro di cui alla lettera a) del comma 2 è disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, secondo le risultanze dell’accertamento medico ivi previsto. In ogni caso il provvedimento dovrà essere emanato entro sette giorni dalla ricezione dell’istanza della lavoratrice.

4. L’astensione dal lavoro di cui alle lettere b) e c) del comma 2 può essere disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, d’ufficio o su istanza della lavoratrice, qualora nel corso della propria attività di vigilanza constati l’esistenza delle condizioni che danno luogo all’astensione medesima.

5. I provvedimenti dei servizi ispettivi previsti dai presente articolo sono definitivi.

Art. 18. Sanzioni (, art. 31, comma 1)

1. L’inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 16 e 17 è punita con l’arresto fino a sei mesi.

Art. 19. Interruzione della gravidanza (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 20)

1. L’interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria, nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194, è considerata a tutti gli effetti come malattia.

2. Ai sensi dell’articolo 17 della legge 22 maggio 1978, n. 194, la pena prevista per chiunque cagioni ad una donna, per colpa, l’interruzione della gravidanza o un parto prematuro è aumentata se il fatto è commesso con la violazione delle norme poste a tutela del lavoro.

Art. 20. Flessibilità del congedo di maternità (, art. 4-bis; , art. 12, comma 2)

1. Ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.

2. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità e per la solidarietà sociale, sentite le parti sociali, definisce con proprio decreto l’elenco dei lavori ai quali non si applicano le disposizioni del comma 1.

Art. 21. Documentazione (, articoli 4, comma 5, e 28)

1. Prima dell’inizio del periodo di divieto di lavoro di cui all’articolo 16, lettera a), le lavoratrici devono consegnare al datore di lavoro e all’istituto erogatore dell’indennità di maternità il certificato medico indicante la data presunta del parto. La data indicata nel certificato fa stato, nonostante qualsiasi errore di previsione.

2. La lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato di nascita del figlio, ovvero la dichiarazione sostitutiva, ai sensi dell’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

Art. 22. Trattamento economico e normativo (, articoli 6, e , commi 1 e 5; legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 3, comma 2; decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, art. 6, commi 4 e 5)

1. Le lavoratrici hanno diritto ad un’indennità giornaliera pari all’80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità, anche in attuazione degli articoli 7, comma 6, e 12, comma 2.

2. L’indennità è corrisposta con le modalità di cui all’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, ed è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia.

3. I periodi di congedo di maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie.

4. I medesimi periodi non si computano ai fini del raggiungimento dei limiti di permanenza nelle liste di mobilità di cui all’articolo 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223, fermi restando i limiti temporali di fruizione dell’indennità di mobilità. I medesimi periodi si computano ai fini del raggiungimento del limite minimo di sei mesi di lavoro effettivamente prestato per poter beneficiare dell’indennità di mobilità.

5. Gli stessi periodi sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti.

6. Le ferie e le assenze eventualmente spettanti alla lavoratrice ad altro titolo non vanno godute contemporaneamente ai periodi di congedo di maternità.

7. Non viene cancellata dalla lista di mobilità ai sensi dell’articolo 9 della legge 23 luglio 1991, n. 223, la lavoratrice che, in periodo di congedo di maternità, rifiuta l’offerta di lavoro, di impiego in opere o servizi di pubblica utilità, ovvero l’avviamento a corsi di formazione professionale.

Art. 23. Calcolo dell’indennità (, art. 16)

1. Agli effetti della determinazione della misura dell’indennità, per retribuzione s’intende la retribuzione media globale giornaliera del periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo di maternità.

2. Al suddetto importo va aggiunto il rateo giornaliero relativo alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilità e agli altri premi o mensilità o trattamenti accessori eventualmente erogati alla lavoratrice.

3. Concorrono a formare la retribuzione gli stessi elementi che vengono considerati agli effetti della determinazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria per le indennità economiche di malattia.

4. Per retribuzione media globale giornaliera si intende l’importo che si ottiene dividendo per trenta l’importo totale della retribuzione del mese precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo. Qualora le lavoratrici non abbiano svolto l’intero periodo lavorativo mensile per sospensione del rapporto di lavoro con diritto alla conservazione del posto per interruzione del rapporto stesso o per recente assunzione si applica quanto previsto al comma 5, lettera c).

5. Nei confronti delle operaie dei settori non agricoli, per retribuzione media globale giornaliera s’intende: a) nei casi in cui, o per contratto di lavoro o per la effettuazione di ore di lavoro straordinario, l’orario medio effettivamente praticato superi le otto ore giornaliere, l’importo che si ottiene dividendo l’ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il

numero dei giorni lavorati o comunque retribuiti; b) nei casi in cui, o per esigenze organizzative contingenti dell’azienda o per particolari ragioni di carattere personale della lavoratrice, l’orario medio effettivamente praticato risulti inferiore a quello previsto dal contratto di lavoro della categoria, l’importo che si ottiene dividendo l’ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero delle ore di lavoro effettuato e moltiplicando il quoziente ottenuto per il numero delle ore giornaliere di lavoro previste dal contratto stesso. Nei casi in cui i contratti di lavoro prevedano, nell’ambito di una settimana, un orario di lavoro identico per i primi cinque giorni della settimana e un orario ridotto per il sesto giorno, l’orario giornaliero è quello che si ottiene dividendo per sei il numero complessivo delle ore settimanali contrattualmente stabilite; c) in tutti gli altri casi, l’importo che si ottiene dividendo l’ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero di giorni lavorati, o comunque retribuiti, risultanti dal periodo stesso.

Art. 24. Prolungamento del diritto alla corresponsione del trattamento economico (, art. 17; decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, art. 6, comma 3)

1. L’indennità di maternità è corrisposta anche nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro previsti dall’articolo 54, comma 3, lettere b) e c), che si verifichino durante i periodi di congedo di maternità previsti dagli articoli 16 e 17.

2. Le lavoratrici gestanti che si trovino, all’inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate, sono ammesse al godimento dell’indennità giornaliera di maternità purchè tra l’inizio della sospensione, dell’assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di sessanta giorni.

3. Ai fini del computo dei predetti sessanta giorni, non si tiene conto delle assenze dovute a malattia o ad infortunio sul lavoro, accertate e riconosciute dagli enti gestori delle relative assicurazioni sociali, nè del periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità, nè del periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento, nè del periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.

4. Qualora il congedo di maternità abbia inizio trascorsi sessanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice si trovi, all’inizio del periodo di congedo stesso, disoccupata e in godimento dell’indennità di disoccupazione, ha diritto all’indennità giornaliera di maternità anzichè all’indennità ordinaria di disoccupazione.

5. La lavoratrice, che si trova nelle condizioni indicate nel comma 4, ma che non è in godimento della indennità di disoccupazione perchè nell’ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi non soggette all’obbligo dell’assicurazione contro la disoccupazione, ha diritto all’indennità giornaliera di maternità, purchè al momento dell’inizio del congedo di maternità non siano trascorsi più di centottanta giorni dalla data di risoluzione del rapporto e, nell’ultimo biennio che precede il suddetto periodo, risultino a suo favore, nell’assicurazione obbligatoria per le indennità di maternità, ventisei contributi settimanali.

6. La lavoratrice che, nel caso di congedo di maternità iniziato dopo sessanta giorni dalla data di sospensione dal lavoro, si trovi, all’inizio del congedo stesso, sospesa e in godimento del trattamento di integrazione salariale a carico della Cassa integrazione guadagni, ha diritto, in luogo di tale trattamento, all’indennità giornaliera di maternità.

7. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai casi di fruizione dell’indennità di mobilità di cui all’articolo 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223.

Art. 25. Trattamento previdenziale (decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, art. 2, commi 1, 4, 6)

1. Per i periodi di congedo di maternità, non è richiesta, in costanza di rapporto di lavoro, alcuna anzianità contributiva pregressa ai fini dell’accreditamento dei contributi figurativi per il diritto alla pensione e per la determinazione della misura stessa.

2. In favore dei soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, i periodi corrispondenti al congedo di maternità di cui agli articoli 16 e 17, verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, sono considerati utili ai fini pensionistici, a condizione che il soggetto possa far valere, all’atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro. La contribuzione figurativa viene accreditata secondo le disposizioni di cui all’articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155, con effetto dal periodo in cui si colloca l’evento.

3. Per i soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti ed ai fondi sostitutivi dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, gli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 2 sono addebitati alla relativa gestione pensionistica. Per i soggetti iscritti ai fondi esclusivi dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia ed i superstiti, gli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 2 sono posti a carico dell’ultima gestione pensionistica del quinquennio lavorativo richiesto nel medesimo comma.

Art. 26. Adozioni e affidamenti (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6, comma 1)

1. Il congedo di maternità di cui alla lettera c), comma 1, dell’articolo 16 può essere richiesto dalla lavoratrice che abbia adottato, o che abbia ottenuto in affidamento un bambino di età non superiore a sei anni all’atto dell’adozione o dell’affidamento.

2. Il congedo deve essere fruito durante i primi tre mesi successivi all’effettivo ingresso del bambino nella famiglia della lavoratrice.

Art. 27. Adozioni e affidamenti preadottivi internazionali (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6, comma 1; legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 31, comma 3, lettera n), e 39-quater, lettere a) e c)

1. Nel caso di adozione e di affidamento preadottivo internazionali, disciplinati dal Titolo III della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, il congedo di maternità di cui al comma 1 dell’articolo 26 spetta anche se il minore adottato o affidato abbia superato i sei anni e sino al compimento della maggiore età.

2. Per l’adozione e l’affidamento preadottivo internazionali, la lavoratrice ha, altresì, diritto a fruire di un congedo di durata corrispondente al periodo di permanenza nello Stato straniero richiesto per l’adozione e l’affidamento. Il congedo non comporta indennità né retribuzione.

3. L’ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la procedura di adozione certifica la durata del congedo di cui al comma 1 dell’articolo 26, nonché la durata del periodo di permanenza all’estero nel caso del congedo previsto al comma 2 del presente articolo.

Capo IV CONGEDO DI PATERNITÀ

Art. 28. Congedo di paternità (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6-bis, commi 1 e 2)

1. Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.

2. Il padre lavoratore che intenda avvalersi del diritto di cui al comma 1 presenta al datore di lavoro la certificazione relativa alle condizioni ivi previste. In caso di abbandono, il padre lavoratore ne rende dichiarazione ai sensi dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

Art. 29. Trattamento economico e normativo (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6-bis, comma 3)

1. Il trattamento economico e normativo è quello spettante ai sensi degli articoli 22 e 23.

Art. 30. Trattamento previdenziale

1. Il trattamento previdenziale è quello previsto dall’articolo 25.

Art. 31. Adozioni e affidamenti

1. Il congedo di cui agli articoli 26, comma 1, e 27, comma 1, che non sia stato chiesto dalla lavoratrice, spetta, alle medesime condizioni, al lavoratore.

2. Il congedo di cui all’articolo 27, comma 2, spetta, alle medesime condizioni, al lavoratore.

3. Al lavoratore, alle medesime condizioni previste dai commi 1 e 2, è riconosciuto il diritto di cui all’articolo 28.

Capo V CONGEDO PARENTALE

Art. 32. Congedo parentale (, articoli 1, comma 4, e 7, commi 1, 2 e 3)

1. Per ogni bambino, nei primi suoi otto anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. I relativi congedi parentali dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell’ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete: a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità di cui al Capo III, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;

b) al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso di cui al comma 2;

c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.

2. Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a tre mesi, il limite complessivo dei congedi parentali dei genitori è elevato a undici mesi.

3. Ai fini dell’esercizio del diritto di cui al comma 1, il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non inferiore a quindici giorni.

4. Il congedo parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto.

Art. 33. Prolungamento del congedo (, art. 33, commi 1 e 2; , art. 20)

1. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre di minore con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, hanno diritto al prolungamento fino a tre anni del congedo parentale a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.

2. In alternativa al prolungamento del congedo possono essere fruiti i riposi di cui all’articolo 42, comma 1.

3. Il congedo spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto.

4. Resta fermo il diritto di fruire del congedo di cui all’articolo 32. Il prolungamento di cui al comma 1 decorre dal termine del periodo corrispondente alla durata massima del congedo parentale spettante al richiedente ai sensi dell’articolo 32.

Art. 34. Trattamento economico e normativo (l, articoli 15, commi 2 e 4, e 7, comma 5)

1. Per i periodi di congedo parentale di cui all’articolo 32 alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al terzo anno di vita del bambino, un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi. L’indennità è calcolata secondo quanto previsto all’articolo 23, ad esclusione del comma 2 dello stesso.

2. Si applica il comma 1 per tutto il periodo di prolungamento del congedo di cui all’articolo 33.

3. Per i periodi di congedo parentale di cui all’articolo 32 ulteriori rispetto a quanto previsto ai commi 1 e 2 è dovuta un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione, a condizione che il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria. Il reddito è determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l’integrazione al minimo.

4. L’indennità è corrisposta con le modalità di cui all’articolo 22, comma 2.

5. I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia.

6. Si applica quanto previsto all’articolo 22, commi 4, 6 e 7.

Art. 35. Trattamento previdenziale (, art. 15, comma 2, lettere a) e b); decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, articoli 2, commi 2, 3 e 5)

1. I periodi di congedo parentale che danno diritto al trattamento economico e normativo di cui all’articolo 34, commi 1 e 2, sono coperti da contribuzione figurativa. Si applica quanto previsto al comma 1 dell’articolo 25.

2. I periodi di congedo parentale di cui all’articolo 34, comma 3, compresi quelli che non danno diritto al trattamento economico, sono coperti da contribuzione figurativa, attribuendo come valore retributivo per tale periodo il 200 per cento del valore massimo dell’assegno sociale, proporzionato ai periodi di riferimento, salva la facoltà di integrazione da parte dell’interessato, con riscatto ai sensi dell’articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, ovvero con versamento dei relativi contributi secondo i criteri e le modalità della prosecuzione volontaria.

3. Per i dipendenti di amministrazioni pubbliche e per i soggetti iscritti ai fondi sostitutivi dell’assicurazione generale obbligatoria gestita dall’Istituto nazionale previdenza sociale (INPS) ai quali viene corrisposta una retribuzione ridotta o non viene corrisposta alcuna retribuzione nei periodi di congedo parentale, sussiste il diritto, per la parte differenziale mancante alla misura intera o per l’intera retribuzione mancante, alla contribuzione figurativa da accreditare secondo le disposizioni di cui all’articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155.

4. Gli oneri derivanti dal riconoscimento della contribuzione figurativa di cui al comma 3, per i soggetti iscritti ai fondi esclusivi o sostitutivi dell’assicurazione generale obbligatoria, restano a carico della gestione previdenziale cui i soggetti medesimi risultino iscritti durante il predetto periodo.

5. Per i soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, i periodi non coperti da assicurazione e corrispondenti a quelli che danno luogo al congedo parentale, collocati temporalmente al di fuori del rapporto di lavoro, possono essere riscattati, nella misura massima di cinque anni, con le modalità di cui all’articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, e successive modificazioni, a condizione che i richiedenti possano far valere, all’atto della domanda, complessivamente almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di effettiva attività lavorativa.

Art. 36. Adozioni e affidamenti (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6, comma 2; , art. 33, comma 7; , art. 3, comma 5)

1. Il congedo parentale di cui al presente Capo spetta anche per le adozioni e gli affidamenti.

2. Il limite di età, di cui all’articolo 34, comma 1, è elevato a sei anni. In ogni caso, il congedo parentale può essere fruito nei primi tre anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.

3. Qualora, all’atto dell’adozione o dell’affidamento, il minore abbia un’età compresa fra i sei e i dodici anni, il congedo parentale è fruito nei primi tre anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.

Art. 37 Adozioni e affidamenti preadottivi internazionali (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6, comma 2; legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 31, comma 3, lettera n), e 39-quater, lettera b)

1. In caso di adozione e di affidamento preadottivo internazionale si applicano le disposizioni dell’articolo 36.

2. L’Ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la procedura di adozione certifica la durata del congedo parentale.

Art. 38. Sanzioni (, art. 31, comma 3)

1. Il rifiuto, l’opposizione o l’ostacolo all’esercizio dei diritti di assenza dal lavoro di cui al presente Capo sono puniti con la sanzione amministrativa da lire un milione a lire cinque milioni.

Capo VI RIPOSI E PERMESSI

Art. 39. Riposi giornalieri della madre (, art. 10)

1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore.

2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un’ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall’azienda.

3. I periodi di riposo sono di mezz’ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell’asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.

Art. 40. Riposi giornalieri del padre (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6-ter)

1. I periodi di riposo di cui all’articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore:

a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;

b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;

c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente;

d) in caso di morte o di grave infermità della madre.

Art. 41. Riposi per parti plurimi (, art. 10, comma 6)

1. In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dall’articolo 39, comma 1, possono essere utilizzate anche dal padre.

Art. 42. Riposi e permessi per i figli con handicap grave (, articoli 4, comma 4-bis, e )

1. Fino al compimento del terzo anno di vita del bambino con handicap in situazione di gravità e in alternativa al prolungamento del periodo di congedo parentale, si applica l’articolo 33, comma 2, della , relativo alle due ore di riposo giornaliero retribuito.

2. Successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino con handicap in situazione di gravità, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre hanno diritto ai permessi di cui all’articolo 33, comma 3, della . Detti permessi sono fruibili anche in maniera continuativa nell’ambito del mese.

3. Successivamente al raggiungimento della maggiore età del figlio con handicap in situazione di gravità, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre hanno diritto ai permessi di cui all’articolo 33, comma 3, della . Ai sensi dell’articolo 20 della , detti permessi, fruibili anche in maniera continuativa nell’ambito del mese, spettano a condizione che sussista convivenza con il figlio o, in assenza di convivenza, che l’assistenza al figlio sia continuativa ed esclusiva.

4. I riposi e i permessi, ai sensi dell’articolo 33, comma 4 della , possono essere cumulati con il congedo parentale ordinario e con il congedo per la malattia del figlio.

5. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre o, dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge medesima da almeno cinque anni e che abbiano titolo a fruire dei benefici di cui all’, commi 1, 2 e 3, della medesima legge per l’assistenza del figlio, hanno diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, entro sessanta giorni dalla richiesta. Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa; l’indennità e la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo massimo di lire 70 milioni annue per il congedo di durata annuale. Detto importo è rivalutato annualmente, a decorrere dall’anno 2002, sulla base della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. L’indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità. I datori di lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l’importo dell’indennità dall’ammontare dei contributi previdenziali dovuti all’ente previdenziale competente. Per i dipendenti dei predetti datori di lavoro privati, compresi quelli per i quali non è prevista l’assicurazione per le prestazioni di maternità, l’indennità di cui al presente comma è corrisposta con le modalità di cui all’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33. Il congedo fruito ai sensi del presente comma alternativamente da entrambi i genitori non può superare la durata complessiva di due anni; durante il periodo di congedo entrambi i genitori non possono fruire dei benefici di cui all’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, fatte salve le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 del medesimo articolo.

6. I riposi, i permessi e i congedi di cui al presente articolo spettano anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto.

Art. 43. Trattamento economico e normativo (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 8; l, art. 33, comma 4; decreto-legge 27 agosto 1993, n. 324, convertito dalla legge 27 ottobre 1993, n. 423, art. 2, comma 3-ter)

1. Per i riposi e i permessi di cui al presente Capo è dovuta un’indennità, a carico dell’ente assicuratore, pari all’intero ammontare della retribuzione relativa ai riposi e ai permessi medesimi. L’indennità è anticipata dal datore di lavoro ed è portata a conguaglio con gli apporti contributivi dovuti all’ente assicuratore.

2. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 34, comma 5.

Art. 44. Trattamento previdenziale (, art. 10, comma 5; , art. 33, comma 4)

1. Ai periodi di riposo di cui al presente Capo si applicano le disposizioni di cui all’articolo 35, comma 2.

2. I tre giorni di permesso mensile di cui all’articolo 42, commi 2 e 3, sono coperti da contribuzione figurativa.

Art. 45. Adozioni e affidamenti (, art. 3, comma 5; , art. 33, comma 7)

1. Le disposizioni in materia di riposi di cui agli articoli 39, 40 e 41 si applicano anche in caso di adozione e di affidamento entro il primo anno di vita del bambino.

2. Le disposizioni di cui all’articolo 42 si applicano anche in caso di adozione e di affidamento di soggetti con handicap in situazione di gravità.

Art. 46. Sanzioni (, art. 31, comma 3)

1. L’inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 39, 40 e 41 è punita con la sanzione amministrativa da lire un milione a lire cinque milioni.

Capo VII CONGEDI PER LA MALATTIA DEL FIGLIO

Art. 47. Congedo per la malattia del figlio (, articoli 1, comma 4, 7, comma 4, e 30, comma 5)

1. Entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto di astenersi dal lavoro per periodi corrispondenti alle malattie di ciascun figlio di età non superiore a tre anni.

2. Ciascun genitore, alternativamente, ha altresì diritto di astenersi dal lavoro, nel limite di cinque giorni lavorativi all’anno, per le malattie di ogni figlio di età compresa fra i tre e gli otto anni.

3. Per fruire dei congedi di cui ai commi 1 e 2 il genitore deve presentare il certificato di malattia rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato.

4. La malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe, a richiesta del genitore, il decorso delle ferie in godimento per i periodi di cui ai commi 1 e 2.

5. Ai congedi di cui al presente articolo non si applicano le disposizioni sul controllo della malattia del lavoratore.

6. Il congedo spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto.

Art. 48. Trattamento economico e normativo (, art. 7, comma 5)

1. I periodi di congedo per la malattia del figlio sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia.

2. Si applica quanto previsto all’articolo 22, commi 4, 6 e 7.

Art. 49. Trattamento previdenziale (, art. 15, comma 3)

1. Per i periodi di congedo per la malattia del figlio è dovuta la contribuzione figurativa fino al compimento del terzo anno di vita del bambino. Si applica quanto previsto all’articolo 25.

2. Successivamente al terzo anno di vita del bambino e fino al compimento dell’ottavo anno, è dovuta la copertura contributiva calcolata con le modalità previste dall’articolo 35, comma 2.

3. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 35, commi 3, 4 e 5.

Art. 50. Adozioni e affidamenti (, art. 3, comma 5)

1. Il congedo per la malattia del bambino di cui al presente Capo spetta anche per le adozioni e gli affidamenti.

2. Il limite di età, di cui all’articolo 47, comma 1, è elevato a sei anni. Fino al compimento dell’ottavo anno di età si applica la disposizione di cui al comma 2 del medesimo articolo.

3. Qualora, all’atto dell’adozione o dell’affidamento, il minore abbia un’età compresa fra i sei e i dodici anni, il congedo per la malattia del bambino è fruito nei primi tre anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare alle condizioni previste dall’articolo 47, comma 2.

Art. 51. Documentazione (, art. 7, comma 5)

1. Ai fini della fruizione del congedo di cui al presente Capo, la lavoratrice ed il lavoratore sono tenuti a presentare una dichiarazione rilasciata ai sensi dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante che l’altro genitore non sia in congedo negli stessi giorni per il medesimo motivo.

Art. 52. Sanzioni (, art. 31, comma 3)

1. Il rifiuto, l’opposizione o l’ostacolo all’esercizio dei diritti di assenza dal lavoro di cui al presente Capo sono puniti con la sanzione amministrativa da lire un milione a lire cinque milioni.

Capo VIII LAVORO NOTTURNO

Art. 53. Lavoro notturno (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 5, commi 1 e 2, lettere a) e b)

1. È vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino.

2. Non sono obbligati a prestare lavoro notturno:

a) la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa;

b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni.

3. Ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera c), della legge 9 dicembre 1977, n. 903, non sono altresì obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un

soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni.

Capo IX DIVIETO DI LICENZIAMENTO, DIMISSIONI, DIRITTO AL RIENTRO

Art. 54. Divieto di licenziamento (, art. 2, commi 1, 2, 3, 5, e art. 31, comma 2; legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6-bis, comma 4; decreto legislativo 9 settembre 1994, n. 566, art. 2, comma 2; , art. 18, comma 1)

1. Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino.

2. Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, è tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l’esistenza all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.

3. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:

a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;

b) di cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;

c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;

d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all’articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni.

4. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l’attività dell’azienda o del reparto cui essa è addetta, semprechè il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non può altresì essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni.

5. Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, è nullo.

6. È altresì nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore.

7. In caso di fruizione del congedo di paternità, di cui all’articolo 28, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di età del bambino. Si applicano le disposizioni del presente articolo, commi 3, 4 e 5.

8. L’inosservanza delle disposizioni contenute nel presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire cinque milioni. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

9. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Il divieto di licenziamento si applica fino a un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare, in caso di fruizione del congedo di maternità e di paternità.

Art. 55. Dimissioni (, art. 12; , art. 18, comma 2)

1. In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a norma dell’articolo 54, il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento.

2. La disposizione di cui al comma 1 si applica al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità.

3. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche nel caso di adozione e di affidamento, entro un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.

4. La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio. A detta convalida è condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro.

5. Nel caso di dimissioni di cui al presente articolo, la lavoratrice o il lavoratore non sono tenuti al preavviso.

Art. 56. Diritto al rientro e alla conservazione del posto (, art. 2, comma 6; , art. 17, comma 1)

1. Al termine dei periodi di divieto di lavoro previsti dal Capo II e III, le lavoratrici hanno diritto di conservare il posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate all’inizio del periodo di gravidanza o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino; hanno altresì diritto di

essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti.

2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche al lavoratore al rientro al lavoro dopo la fruizione del congedo di paternità.

3. Negli altri casi di congedo, di permesso o di riposo disciplinati dal presente testo unico, la lavoratrice e il lavoratore hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, al rientro nella stessa unità produttiva ove erano occupati al momento della richiesta, o in altra ubicata nel medesimo comune; hanno altresì diritto di essere adibiti alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti.

4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano fino a un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.

Capo X DISPOSIZIONI SPECIALI

Art. 57. Rapporti di lavoro a termine nelle pubbliche amministrazioni (decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, convertito dalla legge 1° giugno 1991, n. 166, art. 8)

1. Ferma restando la titolarità del diritto ai congedi di cui al presente testo unico, alle lavoratrici e ai lavoratori assunti dalle amministrazioni pubbliche con contratto a tempo determinato, di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 230, o con contratto di lavoro temporaneo, di cui alla legge 24 giugno 1997, n. 196, spetta il trattamento economico pari all’indennità prevista dal presente testo unico per i congedi di maternità, di paternità e parentali, salvo che i relativi ordinamenti prevedano condizioni di migliore favore.

2. Alle lavoratrici e ai lavoratori di cui al comma 1 si applica altresì quanto previsto dall’articolo 24, con corresponsione del trattamento economico a cura dell’amministrazione pubblica presso cui si è svolto l’ultimo rapporto di lavoro.

Art. 58. Personale militare (decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, art. 4, comma 2, e 5, commi 2 e 3)

1. Le assenze dal servizio per motivi connessi allo stato di maternità, disciplinate dal presente testo unico, non pregiudicano la posizione di stato giuridico del personale in servizio permanente delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza, salvo quanto previsto dal comma 2.

2. I periodi di congedo di maternità, previsti dagli articoli 16 e 17, sono validi a tutti gli effetti ai fini dell’anzianità di servizio. Gli stessi periodi sono computabili ai fini della progressione di carriera, salva la necessità dell’effettivo compimento nonché del completamento degli obblighi di comando, di attribuzioni specifiche, di servizio presso enti o reparti e di imbarco, previsti dalla normativa vigente.

3. Il personale militare che si assenta dal servizio per congedo parentale e per la malattia del figlio è posto in licenza straordinaria per motivi privati, equiparata a tutti gli effetti a quanto previsto agli articoli 32 e 47. Il periodo trascorso in tale licenza è computabile, ai fini della progressione di carriera, nei limiti previsti dalla disciplina vigente in materia di documenti caratteristici degli ufficiali, dei sottufficiali e dei militari di truppa dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica relativamente al periodo massimo di assenza che determina la fine del servizio.

Art. 59. Lavoro stagionale (, art. 2, comma 4)

1. Le lavoratrici addette ad industrie e lavorazioni che diano luogo a disoccupazione stagionale, di cui alla tabella annessa al decreto ministeriale 30 novembre 1964, e successive modificazioni, le quali siano licenziate a norma della lettera b) del comma 3 dell’articolo 54, hanno diritto, per tutto il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, semprechè non si trovino in periodo di congedo di maternità, alla ripresa dell’attività lavorativa stagionale e alla precedenza nelle riassunzioni.

2. Alle lavoratrici e ai lavoratori stagionali si applicano le disposizioni dell’articolo 7 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, in materia contributiva.

3. Alle straniere titolari di permesso di soggiorno per lavoro stagionale è riconosciuta l’assicurazione di maternità, ai sensi della lettera d), comma 1, dell’articolo 25 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

Art. 60. Lavoro a tempo parziale (decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, art. 4, comma 2)

1. In attuazione di quanto previsto dal decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, e, in particolare, del principio di non discriminazione, la lavoratrice e il lavoratore a tempo parziale beneficiano dei medesimi diritti di un dipendente a tempo pieno comparabile, per quanto riguarda la durata dei congedi previsti dal presente testo unico. Il relativo trattamento economico è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa.

2. Ove la lavoratrice o il lavoratore a tempo parziale e il datore di lavoro abbiano concordato la trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo pieno per un periodo in parte coincidente con quello del congedo di maternità, è assunta a riferimento la base di calcolo più favorevole della retribuzione, agli effetti di quanto previsto dall’articolo 23, comma 4.

3. Alle lavoratrici e ai lavoratori di cui al comma 1 si applicano le disposizioni dell’articolo 8 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, in materia contributiva.

Art. 61. Lavoro a domicilio (, articoli 1, , , ; , art. 3)

1. Le lavoratrici e i lavoratori a domicilio hanno diritto al congedo di maternità e di paternità. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 6, comma 3, 16, 17, 22, comma 3, e 54, ivi compreso il relativo trattamento economico e normativo.

2. Durante il periodo di congedo, spetta l’indennità giornaliera di cui all’articolo 22, a carico dell’INPS, in misura pari all’80 per cento del salario medio contrattuale giornaliero, vigente nella provincia per i lavoratori interni, aventi qualifica operaia, della stessa industria.

3. Qualora, per l’assenza nella stessa provincia di industrie similari che occupano lavoratori interni, non possa farsi riferimento al salario contrattuale provinciale di cui al comma 2, si farà riferimento alla media dei salari contrattuali provinciali vigenti per la stessa industria nella regione, e, qualora anche ciò non fosse possibile, si farà riferimento alla media dei salari provinciali vigenti nella stessa industria del territorio nazionale.

4. Per i settori di lavoro a domicilio per i quali non esistono corrispondenti industrie che occupano lavoratori interni, con apposito decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali interessate, si prenderà a riferimento il salario medio contrattuale giornaliero vigente nella provincia per i lavoratori aventi qualifica operaia dell’industria che presenta maggiori caratteri di affinità.

5. La corresponsione dell’indennità di cui al comma 2 è subordinata alla condizione che, all’inizio del congedo di maternità, la lavoratrice riconsegni al committente tutte le merci e il lavoro avuto in consegna, anche se non ultimato.

Art. 62. Lavoro domestico (, articoli 1, , , ; , art. 3)

1. Le lavoratrici e i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari hanno diritto al congedo di maternità e di paternità. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 6, comma 3, 16, 17, 22, comma 3 e 6, ivi compreso il relativo trattamento economico e normativo.

2. Per il personale addetto ai servizi domestici familiari, l’indennità di cui all’articolo 22 ed il relativo finanziamento sono regolati secondo le modalità e le disposizioni stabilite dal decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1403.

Art. 63. Lavoro in agricoltura (decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito dalla legge 26 febbraio 1982, n. 54, art. 14; decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 5; decreto legislativo 16 aprile 1997, n. 146, art. 4; legge 17 maggio 1999, n. 144, art. 45, comma 21)

1. Le prestazioni di maternità e di paternità di cui alle presenti disposizioni per le lavoratrici e i lavoratori agricoli a tempo indeterminato sono corrisposte, ferme restando le modalità erogative di cui all’articolo 1, comma 6 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, con gli stessi criteri previsti per i lavoratori dell’industria.

2. Le lavoratrici e i lavoratori agricoli con contratto a tempo determinato iscritti o aventi diritto all’iscrizione negli elenchi nominativi di cui all’articolo 7, n. 5), del decreto-legge 3 febbraio 1970, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 1970, n. 83, hanno diritto alle prestazioni di maternità e di paternità a condizione che risultino iscritti nei predetti elenchi nell’anno precedente per almeno 51 giornate.

3. È consentita l’ammissione delle lavoratrici e dei lavoratori alle prestazioni di maternità e di paternità, mediante certificazione di iscrizione d’urgenza negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli, ai sensi dell’articolo 4, comma 4, del decreto legislativo luogotenenziale 9 aprile 1946, n. 212, e successive modificazioni.

4. Per le lavoratrici e i lavoratori agricoli a tempo indeterminato le prestazioni per i congedi, riposi e permessi di cui ai Capi III, IV, V e VI sono calcolate sulla base della retribuzione di cui all’articolo 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, prendendo a riferimento il periodo mensile di paga precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo.

5. Per le lavoratrici e i lavoratori agricoli a tempo determinato, esclusi quelli di cui al comma 6, le prestazioni per i congedi, riposi e permessi sono determinate sulla base della retribuzione fissata secondo le modalità di cui all’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488, ai sensi dell’articolo 3 della legge 8 agosto 1972, n. 457.

6. Per le lavoratrici e i lavoratori agricoli di cui al comma 2 il salario medio convenzionale determinato con decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e rilevato nel 1995, resta fermo, ai fini della contribuzione e delle prestazioni temporanee, fino a quando il suo importo per le singole qualifiche degli operai agricoli non sia superato da quello spettante nelle singole province in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. A decorrere da tale momento trova applicazione l’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, e successive modificazioni.

7. Per le lavoratrici e i lavoratori agricoli compartecipanti e piccoli coloni l’ammontare della retribuzione media è stabilito in misura pari a quella di cui al comma 5.

Art. 64. Collaborazioni coordinate e continuative

1. In materia di tutela della maternità, alle lavoratrici di cui all’articolo 2, comma 26 della legge 8 agosto 1995, n. 335, non iscritte ad altre forme obbligatorie, si applicano le disposizioni di cui al comma 16 dell’articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni.

2. Ai sensi del comma 12 dell’articolo 80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, la tutela della maternità prevista dalla disposizione di cui al comma 16, quarto periodo, dell’articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, avviene nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente.

Art. 65. Attività socialmente utili (decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, art. 8, comma 3, 15, 16 e 17; decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81, articoli 4 e 10)

1. Le lavoratrici e i lavoratori di cui al decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni, impegnati in attività socialmente utili hanno diritto al congedo di maternità e di paternità. Alle lavoratrici si applica altresì la disciplina di cui all’articolo 17 del presente testo unico.

2. Alle lavoratrici e ai lavoratori di cui al comma 1, che non possono vantare una precedente copertura assicurativa ai sensi dell’articolo 24, per i periodi di congedo di maternità e di paternità, viene corrisposta dall’INPS un’indennità pari all’80 per cento dell’importo dell’assegno previsto dall’articolo 8, comma 3, del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468. I conseguenti oneri sono rimborsati, annualmente, tramite rendiconto dell’INPS, a carico del Fondo per l’occupazione di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, o del soggetto finanziatore dell’attività socialmente utile.

3. Alle lavoratrici e ai lavoratori viene riconosciuto il diritto a partecipare alle medesime attività socialmente utili ancora in corso o prorogate al termine del periodo di congedo di maternità e di paternità.

4. Alle lavoratrici e ai lavoratori impegnati a tempo pieno in lavori socialmente utili sono riconosciuti, senza riduzione dell’assegno, i riposi di cui agli articoli 39 e 40.

5. L’assegno è erogato anche per i permessi di cui all’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, anche ai sensi di quanto previsto all’articolo 42, commi 2, 3 e 6, del presente testo unico.

Capo XI LAVORATRICI AUTONOME

Art. 66. Indennità di maternità per le lavoratrici autonome e le imprenditrici agricole (legge 29 dicembre 1987, n. 546, art. 1)

1. Alle lavoratrici autonome, coltivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali di cui alle leggi 26 ottobre 1957, n. 1047, 4 luglio 1959, n. 463, e 22 luglio 1966, n. 613, e alle imprenditrici agricole a titolo principale, è corrisposta una indennità giornaliera per il periodo di gravidanza e per quello successivo al parto calcolata ai sensi dell’articolo 68.

Art. 67. Modalità di erogazione (legge 29 dicembre 1987, n. 546, art. 2)

1. L’indennità di cui all’articolo 66 viene erogata dall’INPS a seguito di apposita domanda in carta libera, corredata da un certificato medico rilasciato dall’azienda sanitaria locale competente per territorio, attestante la data di inizio della gravidanza e quella presunta del parto ovvero dell’interruzione della gravidanza spontanea o volontaria ai sensi della legge 22 maggio 1978, n. 194.

2. In caso di adozione o di affidamento, l’indennità di maternità di cui all’articolo 66 spetta, sulla base di idonea documentazione, per tre mesi successivi all’effettivo ingresso del bambino nella famiglia a condizione che questo non abbia superato i sei anni di età, secondo quanto previsto all’articolo 26, o i 18 anni di età, secondo quanto previsto all’articolo 27.

3. L’INPS provvede d’ufficio agli accertamenti amministrativi necessari.

Art. 68. Misura dell’indennità (legge 29 dicembre 1987, n. 546, articoli 3, 4 e 5)

1. Alle coltivatrici dirette, colone e mezzadre e alle imprenditrici agricole è corrisposta, per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi alla stessa, una indennità giornaliera pari all’80 per cento della retribuzione minima giornaliera per gli operai agricoli a tempo indeterminato, come prevista dall’articolo 14, comma 7, del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 54, in relazione all’anno precedente il parto.

2. Alle lavoratrici autonome, artigiane ed esercenti attività commerciali è corrisposta, per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi alla stessa data effettiva del parto, una indennità giornaliere pari all’80 per cento del salario minimo giornaliero stabilito dall’articolo 1 del decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 settembre 1981, n. 537, nella misura risultante, per la qualifica di impiegato, dalla tabella A e dai successivi decreti ministeriali di cui al secondo comma del medesimo articolo 1.

3. In caso di interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria, nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194, verificatasi non prima del terzo mese di gravidanza, su certificazione medica rilasciata dall’azienda sanitaria locale competente per territorio, è corrisposta una indennità giornaliera calcolata ai sensi dei commi 1 e 2 per un periodo di trenta giorni.

Art. 69. Congedo parentale (, art. 1, comma 4)

1. Alle lavoratrici di cui al presente Capo, madri di bambini nati a decorrere dal 1° gennaio 2000, è esteso il diritto al congedo parentale di cui all’articolo 32, compreso il relativo trattamento economico, limitatamente ad un periodo di tre mesi, entro il primo anno di vita del bambino.

Capo XII LIBERE PROFESSIONISTE

Art. 70. Indennità di maternità per le libere professioniste (legge 11 dicembre 1990, n. 379, art. 1)

1. Alle libere professioniste, iscritte a una cassa di previdenza e assistenza di cui alla tabella D allegata al presente testo unico, è corrisposta un’indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi alla stessa.

2. L’indennità di cui al comma 1 viene corrisposta in misura pari all’80 per cento di cinque dodicesimi del reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello della domanda.

3. In ogni caso l’indennità di cui al comma 1 non può essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione calcolata nella misura pari all’80 per cento del salario minimo giornaliero stabilito dall’articolo 1 del decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 settembre 1981, n. 537, e successive modificazioni, nella misura risultante, per la qualifica di impiegato, dalla tabella A e dai successivi decreti ministeriali di cui al secondo comma del medesimo articolo.

Art. 71. Termini e modalità della domanda (legge 11 dicembre 1990, n. 379, art. 2)

1. L’indennità di cui all’articolo 70 è corrisposta, indipendentemente dall’effettiva astensione dall’attività, dalla competente cassa di previdenza e assistenza per i liberi professionisti, a seguito di apposita domanda presentata dall’interessata a partire dal compimento del sesto mese di gravidanza ed entro il termine perentorio di centottanta giorni dal parto.

2. La domanda, in carta libera, deve essere corredata da certificato medico comprovante la data di inizio della gravidanza e quella presunta del parto, nonché dalla dichiarazione redatta ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante l’inesistenza del diritto alle indennità di maternità di cui al Capo III e al Capo XI.

3. L’indennità di maternità spetta in misura intera anche nel caso in cui, dopo il compimento del sesto mese di gravidanza, questa sia interrotta per motivi spontanei o volontari, nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194.

4. Le competenti casse di previdenza e assistenza per i liberi professionisti provvedono d’ufficio agli accertamenti amministrativi necessari.

Art. 72. Adozioni e affidamenti (legge 11 dicembre 1990, n. 379, art. 3)

1. L’indennità di cui all’articolo 70 spetta altresì per l’ingresso del bambino adottato o affidato, a condizione che non abbia superato i sei anni di età.

2. La domanda, in carta libera, deve essere presentata dalla madre alla competente cassa di previdenza e assistenza per i liberi professionisti entro il termine perentorio di centottanta giorni dall’ingresso del bambino e deve essere corredata da idonee dichiarazioni, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestanti l’inesistenza del diritto a indennità di maternità per qualsiasi altro titolo e la data di effettivo ingresso del bambino nella famiglia.

3. Alla domanda di cui al comma 2 va allegata copia autentica del provvedimento di adozione o di affidamento.

Art. 73. Indennità in caso di interruzione della gravidanza (legge 11 dicembre 1990, n. 379, art. 4)

1. In caso di interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria, nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194, verificatasi non prima del terzo mese di gravidanza, l’indennità di cui all’articolo 70 è corrisposta nella misura pari all’80 per cento di una mensilità del reddito o della retribuzione determinati ai sensi dei commi 2 e 3 del citato articolo 70.

2. La domanda deve essere corredata da certificato medico, rilasciato dalla U.S.L. che ha fornito le prestazioni sanitarie, comprovante il giorno dell’avvenuta interruzione della gravidanza, spontanea o

volontaria, ai sensi della legge 22 maggio 1978, n. 194, e deve essere presentata alla competente cassa di previdenza e assistenza per i liberi professionisti entro il termine perentorio di centottanta giorni dalla data dell’interruzione della gravidanza.

Capo XIII SOSTEGNO ALLA MATERNITÀ E ALLA PATERNITÀ

Art. 74. Assegno di maternità di base (legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 66, commi 1, 2, 3, 4, 5-bis, 6; legge 23 dicembre 1999, n. 488, art. 49, comma 12; , art. 80, commi 10 e 11)

1. Per ogni figlio nato dal 1° gennaio 2001, o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento dalla stessa data, alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o in possesso di carta di soggiorno ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che non beneficiano dell’indennità di cui agli articoli 22, 66 e 70 del presente testo unico, è concesso un assegno di maternità pari a complessive L. 2.500.000.

2. Ai trattamenti di maternità corrispondono anche i trattamenti economici di maternità corrisposti da datori di lavoro non tenuti al versamento dei contributi di maternità.

3. L’assegno è concesso dai comuni nella misura prevista alla data del parto, alle condizioni di cui al comma 4. I comuni provvedono ad informare gli interessati invitandoli a certificare il possesso dei requisiti all’atto dell’iscrizione all’anagrafe comunale dei nuovi nati.

4. L’assegno di maternità di cui al comma 1, nonché l’integrazione di cui al comma 6, spetta qualora il nucleo familiare di appartenenza della madre risulti in possesso di risorse economiche non superiori ai valori dell’indicatore della situazione economica (ISE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, tabella 1, pari a lire 50 milioni annue con riferimento a nuclei familiari con tre componenti.

5. Per nuclei familiari con diversa composizione detto requisito economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza prevista dal predetto decreto legislativo n. 109 del 1998, tenendo anche conto delle maggiorazioni ivi previste.

6. Qualora il trattamento della maternità corrisposto alle lavoratrici che godono di forme di tutela economica della maternità diverse dall’assegno istituito al comma 1 risulti inferiore all’importo di cui al medesimo comma 1, le lavoratrici interessate possono avanzare ai comuni richiesta per la concessione della quota differenziale.

7. L’importo dell’assegno è rivalutato al 1° gennaio di ogni anno, sulla base della variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati calcolato dall’ISTAT.

8. L’assegno di cui al comma 1, ferma restando la titolarità concessiva in capo ai comuni, è erogato dall’INPS sulla base dei dati forniti dai comuni, secondo modalità da definire nell’ambito dei decreti di cui al comma 9.

9. Con uno o più decreti del Ministro per la solidarietà sociale, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sono emanate le necessarie disposizioni regolamentari per l’attuazione del presente articolo.

10. Con tali decreti sono disciplinati i casi nei quali l’assegno, se non ancora concesso o erogato, può essere corrisposto al padre o all’adottante del minore.

11. Per i procedimenti di concessione dell’assegno di maternità relativi ai figli nati dal 2 luglio 1999 al 30 giugno 2000 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448. Per i procedimenti di concessione dell’assegno di maternità relativi ai figli nati dal 1° luglio 2000 al 31 dicembre 2000 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al comma 12 dell’articolo 49 della legge 23 dicembre 1999, n. 488.

Art. 75. Assegno di maternità per lavori atipici e discontinui (legge 23 dicembre 1999, n. 488, art. 49, commi 8, 9, 11, 12, 13, 14; , art. 80, comma 10)

1. Alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie ovvero in possesso di carta di soggiorno ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per le quali sono in atto o sono stati versati contributi per la tutela previdenziale obbligatoria della maternità, è corrisposto, per ogni figlio nato, o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento dal 2 luglio 2000, un assegno di importo complessivo pari a lire 3 milioni, per l’intero nel caso in cui non beneficiano dell’indennità di cui agli articoli 22, 66 e 70 del presente testo unico, ovvero per la quota differenziale rispetto alla prestazione complessiva in godimento se questa risulta inferiore, quando si verifica uno dei seguenti casi: a) quando la donna lavoratrice ha in corso di godimento una qualsiasi forma di tutela previdenziale o economica della maternità e possa far valere almeno tre mesi di contribuzione nel periodo che va dai diciotto ai nove mesi antecedenti alla nascita o all’effettivo ingresso del minore nel nucleo familiare; b) qualora il periodo intercorrente tra la data della perdita del diritto a prestazioni previdenziali o assistenziali derivanti dallo svolgimento, per almeno tre mesi, di attività lavorativa, così come individuate con i decreti di cui al comma 5, e la data della nascita o dell’effettivo ingresso del minore nel nucleo familiare, non sia superiore a quello del godimento di tali prestazioni, e comunque non sia superiore a nove mesi. Con i medesimi decreti è altresì definita la data di inizio del predetto

periodo nei casi in cui questa non risulti esattamente individuabile; c) in caso di recesso, anche volontario, dal rapporto di lavoro durante il periodo di gravidanza, qualora la donna possa far valere tre mesi di contribuzione nel periodo che va dai diciotto ai nove mesi antecedenti alla nascita.

2. Ai trattamenti di maternità corrispondono anche i trattamenti economici di maternità corrisposti da datori di lavoro non tenuti al versamento dei contributi di maternità.

3. L’assegno di cui al comma 1 è concesso ed erogato dall’INPS, a domanda dell’interessata, da presentare in carta semplice nel termine perentorio di sei mesi dalla nascita o dall’effettivo ingresso del minore nel nucleo familiare.

4. L’importo dell’assegno è rivalutato al 1° gennaio di ogni anno, sulla base della variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati calcolato dall’ISTAT.

5. Con i decreti di cui al comma 6 sono disciplinati i casi nei quali l’assegno, se non ancora concesso o erogato, può essere corrisposto al padre o all’adottante del minore.

6. Con uno o più decreti del Ministro per la solidarietà sociale, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sono emanate le disposizioni regolamentari necessarie per l’attuazione del presente articolo.

Capo XIV VIGILANZA

Art. 76. Documentazione (, articoli 29 e , commi 2, 3 e 4)

1. Al rilascio dei certificati medici di cui al presente testo unico, salvo i casi di ulteriore specificazione, sono abilitati i medici del Servizio sanitario nazionale.

2. Qualora i certificati siano redatti da medici diversi da quelli di cui al comma 1, il datore di lavoro o l’istituto presso il quale la lavoratrice è assicurata per il trattamento di maternità hanno facoltà di accettare i certificati stessi ovvero di richiederne la regolarizzazione alla lavoratrice interessata.

3. I medici dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro hanno facoltà di controllo.

4. Tutti i documenti occorrenti per l’applicazione del presente testo unico sono esenti da ogni imposta, tassa, diritto o spesa di qualsiasi specie e natura.

Art. 77. Vigilanza (, articoli 30, comma 1, e 31, comma 4)

1. L’autorità competente a ricevere il rapporto per le violazioni amministrative previste dal presente testo unico e ad emettere l’ordinanza di ingiunzione è il servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio.

2. La vigilanza sul presente testo unico, ad eccezione dei Capi XI, XII e XIII, è demandata al Ministero del lavoro e della previdenza sociale che la esercita attraverso i servizi ispettivi.

3. La vigilanza in materia di controlli di carattere sanitario spetta alle regioni, e per esse al Servizio sanitario nazionale.

Capo XV DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ONERI CONTRIBUTIVI

Art. 78. Riduzione degli oneri di maternità (legge 23 dicembre 1999, n. 488, art. 49, commi 1, 4, e 11)

1. Con riferimento ai parti, alle adozioni o agli affidamenti intervenuti successivamente al 1° luglio 2000 per i quali è riconosciuta dal vigente ordinamento la tutela previdenziale obbligatoria, il complessivo importo della prestazione dovuta se inferiore a lire 3 milioni, ovvero una quota fino a lire 3 milioni se il predetto complessivo importo risulta pari o superiore a tale valore, è posto a carico del bilancio dello Stato. Conseguentemente, e, quanto agli anni successivi al 2001, subordinatamente all’adozione dei decreti di cui al comma 2 dell’articolo 49 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, sono ridotti gli oneri contributivi per maternità, a carico dei datori di lavoro, per 0,20 punti percentuali.

2. Gli oneri contributivi per maternità, a carico dei datori di lavoro del settore dei pubblici servizi di trasporto e nel settore elettrico, sono ridotti dello 0,57 per cento.

3. L’importo della quota di cui al comma 1 è rivalutato al 1° gennaio di ogni anno, sulla base della variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati calcolato dall’ISTAT.

Art. 79. Oneri contributivi nel lavoro subordinato privato (, art. 21)

1. Per la copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al presente testo unico relativi alle lavoratrici e ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato privato e in attuazione della riduzione degli oneri di cui all’articolo 78, è dovuto dai datori di lavoro un contributo sulle retribuzioni di tutti i lavoratori dipendenti nelle seguenti misure: a) dello 0,46 per cento sulla retribuzione per il settore dell’industria, dell’artigianato, marittimi, spettacolo; b) dello 0,24 per cento sulla retribuzione per il settore del terziario

e servizi, proprietari di fabbricati e servizi di culto; c) dello 0,13 per cento sulla retribuzione per il settore del credito, assicurazione e servizi tributari appaltati; d) dello 0,03 per cento per gli operai agricoli e dello 0,43 per cento per gli impiegati agricoli. Il contributo è calcolato, per gli operai a tempo indeterminato secondo le disposizioni di cui al decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito dalla legge 26 febbraio 1982, n. 54, per gli operai agricoli a tempo determinato secondo le disposizioni del decreto legislativo 16 aprile 1997, n. 146; e per i piccoli coloni e compartecipanti familiari prendendo a riferimento i salari medi convenzionali di cui all’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488; e) dello 0,01 per cento per gli allievi dei cantieri scuola e lavoro di cui alla legge 6 agosto 1975, n. 418.

2. Per gli apprendisti è dovuto un contributo di lire 32 settimanali.

3. Per i giornalisti iscritti all’Istituto nazionale di previdenza per i giornalisti italiani "Giovanni Amendola" è dovuto un contributo pari allo 0,65 per cento della retribuzione.

4. In relazione al versamento dei contributi di cui al presente articolo, alle trasgressioni degli obblighi relativi ed a quanto altro concerne il contributo medesimo, si applicano le disposizioni relative ai contributi obbligatori.

5. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con quello per il tesoro, la misura dei contributi stabiliti dal presente articolo può essere modificata in relazione alle effettive esigenze delle relative gestioni.

Art. 80. Oneri derivanti dall’assegno di maternità di base (legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 66, commi 5 e 5-bis)

1. Per il finanziamento dell’assegno di maternità di cui all’articolo 74 è istituito un Fondo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la cui dotazione è stabilita in lire 25 miliardi per l’anno 1999, in lire 125 miliardi per l’anno 2000 e in lire 150 miliardi a decorrere dall’anno 2001.

2. A tal fine sono trasferite dal bilancio dello Stato all’INPS le relative somme, con conguaglio, alla fine di ogni esercizio, sulla base di specifica rendicontazione.

Art. 81. Oneri derivanti dall’assegno di maternità per lavori atipici e discontinui (legge 23 dicembre 1999, n. 488, art. 49, comma 9)

1. L’assegno di cui all’articolo 75 è posto a carico dello Stato.

Art. 82. Oneri derivanti dal trattamento di maternità delle lavoratrici autonome (legge 29 dicembre 1987, n. 546, art. 6, 7 e 8; legge 23 dicembre 1999, n. 488, art. 49, comma 1)

1. Alla copertura degli oneri derivanti dall’applicazione del Capo XI, si provvede con un contributo annuo di lire 14.500 per ogni iscritto all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, vecchiaia e superstiti per le gestioni dei coltivatori diretti, coloni e mezzadri, artigiani ed esercenti attività commerciali.

2. Al fine di assicurare l’equilibrio delle singole gestioni previdenziali, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, sentito il consiglio di amministrazione dell’INPS, con proprio decreto stabilisce le variazioni dei contributi di cui al comma 1, in misura percentuale uguale alle variazioni delle corrispettive indennità.

Art. 83. Oneri derivanti dal trattamento di maternità delle libere professioniste (legge 11 dicembre 1990, n. 379, art. 5; legge 23 dicembre 1999, n. 488, art. 49, comma 1)

1. Alla copertura degli oneri derivanti dall’applicazione del Capo XII, si provvede con un contributo annuo a carico di ogni iscritto a casse di previdenza e assistenza per i liberi professionisti. Il contributo è annualmente rivalutato con lo stesso indice di aumento dei contributi dovuti in misura fissa di cui all’articolo 22 della legge 3 giugno 1975, n. 160, e successive modificazioni.

2. A seguito della riduzione degli oneri di maternità di cui all’articolo 78, alla ridefinizione dei contributi dovuti si provvede con i decreti di cui al comma 5 dell’articolo 75, sulla base di un procedimento che preliminarmente consideri una situazione di equilibrio tra contributi versati e prestazioni assicurate.

3. I Ministri del lavoro e della previdenza sociale e del tesoro, accertato che le singole casse di previdenza e assistenza per i liberi professionisti abbiano disponibilità finanziarie atte a far fronte agli oneri derivanti dalla presente legge, possono decidere la riduzione della contribuzione o la totale eliminazione di detto contributo, sentito il parere dei consigli di amministrazione delle casse.

Art. 84. Oneri derivanti dal trattamento di maternità delle collaboratrici coordinate e continuative (legge 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 16)

1. Per i soggetti che non risultano iscritti ad altre forme obbligatorie, il contributo alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è elevato di una ulteriore aliquota contributiva pari a 0,5 punti percentuali, per il finanziamento dell’onere derivante dall’estensione agli stessi anche della tutela relativa alla maternità.

Capo XVI DISPOSIZIONI FINALI

Art. 85. Disposizioni in vigore

1. Restano in vigore, in particolare, le seguenti disposizioni legislative, fatte salve le disapplicazioni disposte dai contratti collettivi ai sensi dell’articolo 72, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29: a) l’articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3; b) l’articolo 157-sexies del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, come sostituito dall’articolo 1 del decreto legislativo 7 aprile 2000, n. 103; c) l’articolo 3 della legge 8 agosto 1972, n. 457; d) l’articolo 10 della legge 18 maggio 1973, n. 304; e) la lettera c) del comma 2 dell’articolo 5 della legge 9 dicembre 1977, n. 903; f) l’articolo 74 della legge 23 dicembre 1978, n. 833; g) l’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33; h) il comma 2 dell’articolo 54 della legge 1° aprile 1981, n. 121; i) l’articolo 12 della legge 23 aprile 1981, n. 155; j) l’articolo 8-bis del decreto-legge 30 aprile 1981, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 giugno 1981, n. 331; k) l’articolo 14 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 54; l) l’articolo 7 della legge 26 aprile 1985, n. 162; m) la lettera d) del comma 1 dell’articolo 4 del decreto-legge 4 agosto 1987, n. 325, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 402; n) il comma 1-bis dell’articolo 3 del decreto-legge 22 gennaio 1990, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1990, n. 58; o) il comma 8 dell’articolo 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223; p) il comma 2 dell’articolo 7, il comma 2 dell’articolo 18 e il comma 2 dell’articolo 27 del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443; q) il comma 4 dell’articolo 2 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197; r) il comma 2, seconda parte, dell’articolo 5 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 201; s) il comma 40 dell’articolo 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335; t) gli articoli 5, 7 e 8 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564; u) l’articolo 23 della legge 4 marzo 1997, n. 62; v) il comma 16 dell’articolo 59 della legge 27 dicembre 1991, n. 449; w) il comma 2 dell’articolo 2 del decreto-legge 20 gennaio 1998, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 1998, n. 52; x) il comma 1 dell’articolo 25 e il comma 3 dell’articolo 34 e il comma 3 dell’articolo 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; y) la lettera a) del comma 5 dell’articolo 1 del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124; z) l’articolo 18 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 135; aa) la lettera e) del comma 2, dell’articolo 1 del decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230; bb) l’articolo 65 della legge 2 agosto 1999, n. 302; cc) il comma 1 dell’articolo 41 della legge 23 dicembre 1999, n. 488; dd) i commi 2 e 3 dell’articolo 12 della legge 8 marzo 2000, n. 53, limitatamente alla previsione del termine di sei mesi ivi previsto: ee) il comma 2 dell’articolo 10 e il comma 2 dell’articolo 23 del decreto legislativo 21 maggio 2000, n. 146; ff) gli articoli 5 e 18, il comma 3 dell’articolo 25, il comma 3 dell’articolo 32, il comma 6 dell’articolo 41 e il comma 3 dell’articolo 47 del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334; gg) il comma 12 dell’articolo 80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

2. Restano in vigore, in particolare, le seguenti disposizioni regolamentari: a) il decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1403; b) il decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, ad eccezione degli articoli 1, 11 e 21; c) il comma 4 dell’articolo 58 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382; d) il comma 2, dell’articolo 20-quinquies e il comma 2 dell’articolo 25-quater del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 337; e) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 2 giugno 1982; f) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 23 maggio 1991; g) l’articolo 14 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 aprile 1994, n. 439, fino al momento della sua abrogazione così come prevista dalla lettera c) del comma 1 dell’articolo 10 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 287; h) il decreto del Ministro della sanità 6 marzo 1995; i) il comma 4 dell’articolo 8 e il comma 3 dell’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465; j) il comma 2 dell’articolo 7 del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 25 marzo 1998, n. 142; k) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 27 maggio 1998; l) il comma 1 dell’articolo 1 del decreto del Ministro della sanità 10 settembre 1998; m) gli articoli 1 e 3 del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 12 febbraio 1999; n) il comma 2 dell’articolo 6 del decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica 30 aprile 1999, n. 224; o) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 4 agosto 1999; p) il comma 6 dell’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394; q) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 20 dicembre 1999, n. 553; r) il decreto del Ministro della sanità 24 aprile 2000.

Art. 86. Disposizioni abrogate (legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 3, comma 2; legge 29 dicembre 1987, n. 546, articolo 9; legge 8 marzo 2000, n. 53, articoli 15 e 17, comma 4)

1. Restano abrogate le seguenti disposizioni: a) gli articoli 18 e 19 della legge 26 aprile 1934, n. 653; b) la legge 26 agosto 1950, n. 860.

2. Dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, sono abrogate, in particolare, le seguenti disposizioni legislative: a) la e successive modificazioni; b) il secondo comma dell’articolo 3; i commi 1

e 2, lettere a) e b), dell’articolo 5; gli articoli 6, 6-bis, 6-ter e 8 della legge 9 dicembre 1977, n. 903; c) la lettera n) del comma 3 dell’articolo 31 e l’articolo 39-quater della legge 4 maggio 1983, n. 184, nonché le parole "e gli articoli 6 e 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, si applicano anche agli affidatari di cui al comma precedente" del secondo comma dell’articolo 80 della legge 4 maggio 1983, n. 184; d) il comma 4 dell’articolo 31 della legge 28 febbraio 1986, n. 41; e) la legge 29 dicembre 1987, n. 546; f) l’articolo 13 della legge 7 agosto 1990, n. 232, così come modificato dall’articolo 3 del decreto-legge 6 maggio 1994, n. 271, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 1994, n. 433; g) la legge 11 dicembre 1990, n. 379; h) l’articolo 8 del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° giugno 1991, n. 166; i) il comma 1 dell’articolo 33 della ; j) i commi 1 e 3 dell’articolo 14 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503; k) i commi 3, 4 e 5 dell’articolo 6 del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236; l) il comma 2 dell’articolo 2 del decreto legislativo 9 settembre 1994, n. 566; m) l’articolo 69 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230; n) l’articolo 2 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564; o) il decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645; p) il comma 15 dell’articolo 8 del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468; q) l’articolo 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, così come modificato dagli articoli 50 e 63 della legge 17 maggio 1999, n. 144; r) i commi 1, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14 dell’articolo 49 della legge 23 dicembre 1999, n. 488; s) i commi 2 e 3 dell’articolo 4 e i commi 2 e 3 dell’articolo 5 del decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24; t) il comma 5 dell’articolo 3, il comma 4-bis dell’articolo 4 e l’articolo 10 e i commi 2 e 3 dell’articolo 12, salvo quanto previsto dalla lettera dd) dell’articolo 85 del presente testo unico, e gli articoli 14, 17 e 18 della legge 8 marzo 2000, n. 53; u) i commi 10 e 11 dell’articolo 80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

3. Dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, sono abrogate le seguenti disposizioni regolamentari: a) gli articoli 1, 11 e 21 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026. (1)

(1) lettera così moficata dall'errata corrige pubblcato il Gazzetta Ufficiale 8 ottobre 2001, n. 234

Art. 87. Disposizioni regolamentari di attuazione

1. Fino all’entrata in vigore delle disposizioni regolamentari di attuazione del presente testo unico, emanate ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, si applicano le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, salvo quanto stabilito dall’articolo 86 del presente testo unico.

2. Le disposizioni del citato decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, che fanno riferimento alla disciplina della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sono da intendersi riferite alle corrispondenti disposizioni del presente testo unico.

Art. 88. Entrata in vigore

1. Il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Allegato A (Articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026)

ELENCO DEI LAVORI FATICOSI, PERICOLOSI E INSALUBRI DI CUI ALL’ART. 7

Il divieto di cui all’art. 7, primo comma, del testo unico si intende riferito al trasporto, sia a braccia e a spalle, sia con carretti a ruote su strada o su guida, e al sollevamento dei pesi, compreso il carico e scarico e ogni altra operazione connessa. I lavori faticosi, pericolosi ed insalubri, vietati ai sensi dello stesso articolo, sono i seguenti: A) quelli previsti dal decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 345 e dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 262; B) quelli indicati nella tabella allegata al decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, per i quali vige l’obbligo delle visite mediche preventive e periodiche: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto; C) quelli che espongono alla silicosi e all’asbestosi, nonché alle altre malattie professionali di cui agli allegati 4 e 5 al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni: durante la gestazione e fino a 7 mesi dopo il parto; D) i lavori che comportano l’esposizione alle radiazioni ionizzanti: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto; E) i lavori su scale ed impalcature mobili e fisse: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro; F) i lavori di manovalanza pesante: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro; G) i lavori che comportano una stazione in piedi per più di metà dell’orario o che obbligano ad una posizione particolarmente affaticante, durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro; H) i lavori con macchina mossa a pedale, o comandata a pedale, quando il ritmo del movimento sia frequente, o esiga un notevole sforzo: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro; I) i lavori con macchine scuotenti o con utensili che trasmettono intense vibrazioni: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro; L) i lavori di assistenza e cura degli infermi nei sanatori e nei reparti per malattie infettive e per malattie nervose e mentali: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto; M) i lavori agricoli che implicano la

manipolazione e l’uso di sostanze tossiche o altrimenti nocive nella concimazione del terreno e nella cura del bestiame: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto; N) i lavori di monda e trapianto del riso: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro; O) i lavori a bordo delle navi, degli aerei, dei treni, dei pullman e di ogni altro mezzo di comunicazione in moto: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro.

Allegato B (Decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, allegato 2)

ELENCO NON ESAURIENTE DI AGENTI E CONDIZIONI DI LAVORO DI CUI ALL’ART. 7

A. Lavoratrici gestanti di cui all’art. 6 del testo unico. 1. Agenti: a) agenti fisici: lavoro in atmosfera di sovrapressione elevata, ad esempio in camere sotto pressione, immersione subacquea; b) agenti biologici: toxoplasma; virus della rosolia, a meno che sussista la prova che la lavoratrice è sufficientemente protetta contro questi agenti dal suo stato di immunizzazione; c) agenti chimici: piombo e suoi derivati, nella misura in cui questi agenti possono essere assorbiti dall’organismo umano. 2. Condizioni di lavoro: lavori sotterranei di carattere minerario. B. Lavoratrici in periodo successivo al parto di cui all’art. 6 del testo unico. 1. Agenti: a) agenti chimici: piombo e suoi derivati, nella misura in cui tali agenti possono essere assorbiti dall’organismo umano. 2. Condizioni di lavoro: lavori sotterranei di carattere minerario.

Allegato C (Decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, allegato 1)

ELENCO NON ESAURIENTE DI AGENTI PROCESSI E CONDIZIONI DI LAVORO DI CUI ALL’ART. 11

A. Agenti. 1. Agenti fisici, allorchè vengono considerati come agenti che comportano lesioni del feto e/o rischiano di provocare il distacco della placenta, in particolare: a) colpi, vibrazioni meccaniche o movimenti; b) movimentazione manuale di carichi pesanti che comportano rischi, soprattutto dorsolombari; c) rumore; d) radiazioni ionizzanti; e) radiazioni non ionizzanti; f) sollecitazioni termiche; g) movimenti e posizioni di lavoro, spostamenti, sia all’interno sia all’esterno dello stabilimento, fatica mentale e fisica e altri disagi fisici connessi all’attività svolta dalle lavoratrici di cui all’art. 1. 2. Agenti biologici. Agenti biologici dei gruppi di rischio da 2 a 4 ai sensi dell’art. 75 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni, nella misura in cui sia noto che tali agenti o le terapie che essi rendono necessarie mettono in pericolo la salute delle gestanti e del nascituro, semprechè non figurino ancora nell’allegato II. 3. Agenti chimici. Gli agenti chimici seguenti, nella misura in cui sia noto che mettono in pericolo la salute delle gestanti e del nascituro, semprechè non figurino ancora nell’allegato II: a) sostanze etichettate R 40; R 45; R 46 e R 47 ai sensi della direttiva n. 67/548/CEE, purchè non figurino ancora nell’allegato II; b) agenti chimici che figurano nell’allegato VIII del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni; c) mercurio e suoi derivati; d) medicamenti antimitotici; e) monossido di carbonio; f) agenti chimici pericolosi di comprovato assorbimento cutaneo. B. Processi. Processi industriali che figurano nell’allegato VIII del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni. C. Condizioni di lavoro. Lavori sotterranei di carattere minerario.

Allegato D (legge 11 dicembre 1990, n. 379, art. 1)

ELENCO DELLE CASSE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA PER I LIBERI PROFESSIONISTI DI CUI ALL’ART. 70

1. Cassa nazionale del notariato. 2. Cassa azionale di previdenza ed assistenza a favore degli avvocati e procuratori. 3. Ente nazionale di previdenza e di assistenza farmacisti. 4. Ente nazionale di previdenza e assistenza veterinari. 5. Ente nazionale di previdenza e assistenza medici. 6. Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei geometri. 7. Cassa di previdenza per l’assicurazione degli sportivi. 8. Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti. 9. Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri e gli architetti liberi professionisti. 10. Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali. 11. Ente nazionale di previdenza e assistenza per i consulenti del lavoro.

14. Modalità di attuazione dell'integrazione

1. Il Ministro della pubblica istruzione provvede alla formazione e all'aggiornamento del personale docente per l'acquisizione di conoscenze in materia di integrazione scolastica degli studenti handicappati, ai sensi dell'articolo 26 del D.P.R. 23 agosto 1988, n. 399, nel rispetto delle modalità di coordinamento con il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica di cui all'articolo 4 della legge 9 maggio 1989, n. 168. Il Ministro della pubblica istruzione provvede altresì:

a) all'attivazione di forme sistematiche di orientamento, particolarmente qualificate per la persona handicappata, con inizio almeno dalla prima classe della scuola secondaria di primo grado;

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b) all'organizzazione dell'attività educativa e didattica secondo il criterio della flessibilità nell'articolazione delle sezioni e delle classi, anche aperte, in relazione alla programmazione scolastica individualizzata;

c) a garantire la continuità educativa fra i diversi gradi di scuola, prevedendo forme obbligatorie di consultazione tra insegnanti del ciclo inferiore e del ciclo superiore ed il massimo sviluppo dell'esperienza scolastica della persona handicappata in tutti gli ordini e gradi di scuola, consentendo il completamento della scuola dell'obbligo anche sino al compimento del diciottesimo anno di età; nell'interesse dell'alunno, con deliberazione del collegio dei docenti, sentiti gli specialisti di cui all'articolo 4, secondo comma, lettera l), del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 416, su proposta del consiglio di classe o di interclasse, può essere consentita una terza ripetenza in singole classi.

2. I piani di studio delle scuole di specializzazione di cui all'articolo 4 della legge 19 novembre 1990, n. 341, per il conseguimento del diploma abilitante all'insegnamento nelle scuole secondarie, comprendono, nei limiti degli stanziamenti già preordinati in base alla legislazione vigente per la definizione dei suddetti piani di studio, discipline facoltative, attinenti all'integrazione degli alunni handicappati, determinate ai sensi dell'articolo 4, comma 3, della citata legge n. 341 del 1990. Nel diploma di specializzazione conseguito ai sensi del predetto articolo 4 deve essere specificato se l'insegnante ha sostenuto gli esami relativi all'attività didattica di sostegno per le discipline cui il diploma stesso si riferisce, nel qual caso la specializzazione ha valore abilitante anche per l'attività didattica di sostegno.

3. La tabella del corso di laurea definita ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della citata legge n. 341 del 1990 comprende, nei limiti degli stanziamenti già preordinati in base alla legislazione vigente per la definizione delle tabelle dei corsi di laurea, insegnamenti facoltativi attinenti all'integrazione scolastica degli alunni handicappati. Il diploma di laurea per l'insegnamento nelle scuole materne ed elementari di cui all'articolo 3, comma 2, della citata legge n. 341 del 1990 costituisce titolo per l'ammissione ai concorsi per l'attività didattica di sostegno solo se siano stati sostenuti gli esami relativi, individuati come obbligatori per la preparazione all'attività didattica di sostegno, nell'ambito della tabella suddetta definita ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della medesima legge n. 341 del 1990.

4. L'insegnamento delle discipline facoltative previste nei piani di studio delle scuole di specializzazione di cui al comma 2 e dei corsi di laurea di cui al comma 3 può essere impartito anche da enti o istituti specializzati all'uopo convenzionati con le università, le quali disciplinano le modalità di espletamento degli esami e i relativi controlli. I docenti relatori dei corsi di specializzazione devono essere in possesso del diploma di laurea e del diploma di specializzazione.

5. Fino alla prima applicazione dell'articolo 9 della citata legge n. 341 del 1990, relativamente alle scuole di specializzazione si applicano le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 417, e successive modificazioni, al decreto del Presidente della Repubblica 31 ottobre 1975, n. 970 e all'articolo 65 della legge 20 maggio 1982, n. 270.

6. L'utilizzazione in posti di sostegno di docenti privi dei prescritti titoli di specializzazione è consentita unicamente qualora manchino docenti di ruolo o non di ruolo specializzati. 7. Gli accordi di programma di cui all'articolo 13, comma 1, lettera a), possono prevedere lo svolgimento di corsi di aggiornamento comuni per il personale delle scuole, delle unità sanitarie locali e degli enti locali, impegnati in piani educativi e di recupero individualizzati.

15. Gruppi di lavoro per l'integrazione scolastica

1. Presso ogni ufficio scolastico provinciale è istituito un gruppo di lavoro composto da: un ispettore tecnico nominato dal provveditore agli studi, un esperto della scuola utilizzato ai sensi dell'articolo 14, decimo comma, della legge 20 maggio 1982, n. 270, e successive modificazioni, due esperti designati dagli enti locali, due esperti delle unità sanitarie locali, tre esperti designati dalle associazioni delle persone handicappate maggiormente rappresentative a livello provinciale nominati dal provveditore agli studi sulla base dei criteri indicati dal Ministro della pubblica istruzione entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Il gruppo di lavoro dura in carica tre anni.

2. Presso ogni circolo didattico ed istituto di scuola secondaria di primo e secondo grado sono costituiti gruppi di studio e di lavoro composti da insegnanti, operatori dei servizi, familiari e studenti con il compito di collaborare alle iniziative educative e di integrazione predisposte dal piano educativo.

3. I gruppi di lavoro di cui al comma 1 hanno compiti di consulenza e proposta al provveditore agli studi, di consulenza alle singole scuole, di collaborazione con gli enti locali e le unità sanitarie locali per la conclusione e la verifica dell'esecuzione degli accordi di programma di cui agli articoli 13, 39 e 40, per l'impostazione e l'attuazione dei piani educativi individualizzati, nonché per qualsiasi altra attività inerente all'integrazione degli alunni in difficoltà di apprendimento.

4. I gruppi di lavoro predispongono annualmente una relazione da inviare al Ministro della pubblica istruzione ed al presidente della giunta regionale. Il presidente della giunta regionale può avvalersi della relazione ai fini della

verifica dello stato di attuazione degli accordi di programma di cui agli artt. 13, 39 e 40 (2).

(2) Vedi, anche, il D.M. 26 giugno 1992.

16. Valutazione del rendimento e prove d'esame

1. Nella valutazione degli alunni handicappati da parte degli insegnanti è indicato, sulla base del piano educativo individualizzato, per quali discipline siano stati adottati particolari criteri didattici, quali attività integrative e di sostegno siano state svolte, anche in sostituzione parziale dei contenuti programmatici di alcune discipline.

2. Nella scuola dell'obbligo sono predisposte, sulla base degli elementi conoscitivi di cui al comma 1, prove d'esame corrispondenti agli insegnamenti impartiti e idonee a valutare il progresso dell'allievo in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali.

3. Nell'ambito della scuola secondaria di secondo grado, per gli alunni handicappati sono consentite prove equipollenti e tempi più lunghi per l'effettuazione delle prove scritte o grafiche e la presenza di assistenti per l'autonomia e la comunicazione.

4. Gli alunni handicappati sostengono le prove finalizzate alla valutazione del rendimento scolastico o allo svolgimento di esami anche universitari con l'uso degli ausili loro necessari.

5. Il trattamento individualizzato previsto dai commi 3 e 4 in favore degli studenti handicappati è consentito per il superamento degli esami universitari previa intesa con il docente della materia e con l'ausilio del servizio di tutorato di cui all'articolo 13, comma 6 -bis . É consentito, altresì, sia l'impiego di specifici mezzi tecnici in relazione alla tipologia di handicap , sia la possibilità di svolgere prove equipollenti su proposta del servizio di tutorato specializzato. (2 bis)

5 - bis. Le università, con proprie disposizioni, istituiscono un docente delegato dal rettore con funzioni di coordinamento, monitoraggio e supporto di tutte le iniziative concernenti l'integrazione nell'ambito dell'ateneo. (2 ter)

(2 bis) comma così modificato dalla Legge 28 gennaio 1999, n. 17. (2 ter) comma aggiunto dalla Legge 28 gennaio 1999, n. 17.

17. Formazione professionale

1. Le regioni, in attuazione di quanto previsto dagli articoli 3, primo comma, lettere l) e m), e 8, primo comma, lettere g) e h), della legge 21 dicembre 1978, n. 845, realizzano l'inserimento della persona handicappata negli ordinari corsi di formazione professionale dei centri pubblici e privati e garantiscono agli allievi handicappati che non siano in grado di avvalersi dei metodi di apprendimento ordinari l'acquisizione di una qualifica anche mediante attività specifiche nell'ambito delle attività del centro di formazione professionale tenendo conto dell'orientamento emerso dai piani educativi individualizzati realizzati durante l'iter scolastico. A tal fine forniscono ai centri i sussidi e le attrezzature necessarie.

2. I corsi di formazione professionale tengono conto delle diverse capacità ed esigenze della persona handicappata che, di conseguenza, è inserita in classi comuni o in corsi specifici o in corsi prelavorativi.

3. Nei centri di formazione professionale sono istituiti corsi per le persone handicappate non in grado di frequentare i corsi normali. I corsi possono essere realizzati nei centri di riabilitazione, quando vi siano svolti programmi di ergoterapia e programmi finalizzati all'addestramento professionale, ovvero possono essere realizzati dagli enti di cui all'articolo 5 della citata legge n. 845 del 1978, nonché da organizzazioni di volontariato e da enti autorizzati da leggi vigenti. Le regioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, provvedono ad adeguare alle disposizioni di cui al presente comma i programmi pluriennali e i piani annuali di attuazione per le attività di formazione professionale di cui all'articolo 5 della medesima legge n. 845 del 1978.

4. Agli allievi che abbiano frequentato i corsi di cui al comma 2 è rilasciato un attestato di frequenza utile ai fini della graduatoria per il collocamento obbligatorio nel quadro economico-produttivo territoriale.

5. Fermo restando quanto previsto in favore delle persone handicappate dalla citata legge n. 845 del 1978, una quota del fondo comune di cui all'articolo 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, è destinata ad iniziative di formazione e di avviamento al lavoro in forme sperimentali, quali tirocini, contratti di formazione, iniziative territoriali di lavoro guidato, corsi prelavorativi, sulla base di criteri e procedure fissati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

18. Integrazione lavorativa

1. Le regioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, disciplinano l'istituzione e la tenuta dell'albo regionale degli enti, istituzioni, cooperative sociali, di lavoro, di servizi, e dei centri di lavoro guidato, associazioni ed organizzazioni di volontariato che svolgono attività idonee a favorire l'inserimento e l'integrazione lavorativa di persone handicappate.

2. Requisiti per l'iscrizione all'albo dei cui al comma 1, oltre a quelli previsti dalle leggi regionali, sono:

a) avere personalità giuridica di diritto pubblico o privato o natura di associazione, con i requisiti di cui al capo II del titolo II del libro I del codice civile; b) garantire idonei livelli di prestazioni, di qualificazione del personale e di efficienza operativa.

3. Le regioni disciplinano le modalità di revisione ed aggiornamento biennale dell'albo di cui al comma 1.

4. I rapporti dei comuni, dei consorzi tra comuni e tra comuni e province, delle comunità montane e delle unità sanitarie locali con gli organismi di cui al comma 1 sono regolati da convenzioni conformi allo schema tipo approvato con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità e con il Ministro per gli affari sociali, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge (3).

5. L'iscrizione all'albo di cui al comma 1 è condizione necessaria per accedere alle convenzioni di cui all'articolo 38. 6. Le regioni possono provvedere con proprie leggi:

a) a disciplinare le agevolazioni alle singole persone handicappate per recarsi al posto di lavoro e per l'avvio e lo svolgimento di attività lavorative autonome; b) a disciplinare gli incentivi, le agevolazioni e i contributi ai datori di lavoro anche ai fini dell'adattamento del posto di lavoro per l'assunzione delle persone handicappate.

(3) Il D.M. 30 novembre 1994 (G.U. 16 dicembre 1994, n. 293) ha stato approvato lo schema-tipo di convenzione previsto dal presente articolo.

19. Soggetti aventi diritto al collocamento obbligatorio

1. In attesa dell'entrata in vigore della nuova disciplina del collocamento obbligatorio, le disposizioni di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 482, e successive modificazioni, devono intendersi applicabili anche a coloro che sono affetti da minorazione psichica, i quali abbiano una capacità lavorativa che ne consente l'impiego in mansioni compatibili. Ai fini dell'avviamento al lavoro, la valutazione della persona handicappata tiene conto della capacità lavorativa e relazionale dell'individuo e non solo della minorazione fisica o psichica. La capacità lavorativa è accertata dalle commissioni di cui all'articolo 4 della presente legge, integrate ai sensi dello stesso articolo da uno specialista nelle discipline neurologiche, psichiatriche o psicologiche.

20. Prove d'esame nei concorsi pubblici e per l'abilitazione alle professioni

1. La persona handicappata sostiene le prove d'esame nei concorsi pubblici e per l'abilitazione alle professioni con l'uso degli ausili necessari e nei tempi aggiuntivi eventualmente necessari in relazione allo specifico handicap.

2. Nella domanda di partecipazione al concorso e all'esame per l'abilitazione alle professioni il candidato specifica l'ausilio necessario in relazione al proprio handicap, nonché l'eventuale necessità di tempi aggiuntivi.

21. Precedenza nell'assegnazione di sede

1. La persona handicappata con un grado di invalidità superiore ai due terzi o con minorazioni iscritte alle categorie prima, seconda e terza della tabella A annessa alla legge 10 agosto 1950, n. 648, assunta presso gli enti pubblici come vincitrice di concorso o ad altro titolo, ha diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili.

2. I soggetti di cui al comma 1 hanno la precedenza in sede di trasferimento a domanda.

22. Accertamenti ai fini del lavoro pubblico e privato

1. Ai fini dell'assunzione al lavoro pubblico e privato non è richiesta la certificazione di sana e robusta costituzione fisica.

23. Rimozione di ostacoli per l'esercizio di attività sportive, turistiche e ricreative

1. L'attività e la pratica delle discipline sportive sono favorite senza limitazione alcuna. Il Ministro della sanità, con proprio decreto da emanare entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, definisce i protocolli per la concessione dell'idoneità alla pratica sportiva agonistica alle persone handicappate.

2. Le regioni e i comuni, i consorzi di comuni ed il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) realizzano, in conformità alle disposizioni vigenti in materia di eliminazione delle barriere architettoniche, ciascuno per gli impianti di propria competenza, l'accessibilità e la fruibilità delle strutture sportive e dei connessi servizi da parte delle persone handicappate.

3. Le concessioni demaniali per gli impianti di balneazione ed i loro rinnovi sono subordinati alla visitabilità degli impianti ai sensi del decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236, di attuazione della legge 9 gennaio 1989, n. 13, e all'effettiva possibilità di accesso al mare delle persone handicappate.

4. Le concessioni autostradali ed i loro rinnovi sono subordinati alla visitabilità degli impianti ai sensi del citato decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236.

5. Chiunque, nell'esercizio delle attività di cui all'articolo 5, primo comma, della legge 17 maggio 1983, n. 217, o di

altri pubblici esercizi, discrimina persone handicappate è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire un milione a lire dieci milioni e con la chiusura dell'esercizio da uno a sei mesi.

24. Eliminazione o superamento delle barriere architettoniche

1. Tutte le opere edilizie riguardanti edifici pubblici e privati aperti al pubblico che sono suscettibili di limitare l'accessibilità e la visitabilità di cui alla legge 9 gennaio 1989, n. 13 , e successive modificazioni, sono eseguite in conformità alle disposizioni di cui alla legge 30 marzo 1971, n. 118, e successive modificazioni, al regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, alla citata legge n. 13 del 1989, e successive modificazioni, e al citato decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236.

2. Per gli edifici pubblici e privati aperti al pubblico soggetti ai vincoli di cui alle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni, e 29 giugno 1939, n. 1497, e successive modificazioni, nonché ai vincoli previsti da leggi speciali aventi le medesime finalità, qualora le autorizzazioni previste dagli articoli 4 e 5 della citata legge n. 13 del 1989 non possano venire concesse, per il mancato rilascio del nulla osta da parte delle autorità competenti alla tutela del vincolo, la conformità alle norme vigenti in materia di accessibilità e di superamento delle barriere architettoniche può essere realizzata con opere provvisionali, come definite dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, nei limiti della compatibilità suggerita dai vincoli stessi.

3. Alle comunicazioni al comune dei progetti di esecuzione dei lavori riguardanti edifici pubblici e aperti al pubblico, di cui al comma 1, rese ai sensi degli articoli 15, terzo comma, e 26, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni, sono allegate una documentazione grafica e una dichiarazione di conformità alla normativa vigente in materia di accessibilità e di superamento delle barriere architettoniche, anche ai sensi del comma 2 del presente articolo.

4. Il rilascio della concessione o autorizzazione edilizia per le opere di cui al comma 1 è subordinato alla verifica della conformità del progetto compiuta dall'ufficio tecnico o dal tecnico incaricato dal comune. Il sindaco, nel rilasciare il certificato di agibilità e di abitabilità per le opere di cui al comma 1, deve accertare che le opere siano state realizzate nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di eliminazione delle barriere architettoniche. A tal fine può richiedere al proprietario dell'immobile o all'intestatario della concessione una dichiarazione resa sotto forma di perizia giurata redatta da un tecnico abilitato.

5. Nel caso di opere pubbliche, fermi restando il divieto di finanziamento di cui all'articolo 32, comma 20, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, e l'obbligo della dichiarazione del progettista, l'accertamento di conformità alla normativa vigente in materia di eliminazione delle barriere architettoniche spetta all'Amministrazione competente, che ne dà atto in sede di approvazione del progetto.

6. La richiesta di modifica di destinazione d'uso di edifici in luoghi pubblici o aperti al pubblico è accompagnata dalla dichiarazione di cui al comma 3. Il rilascio del certificato di agibilità e di abitabilità è condizionato alla verifica tecnica della conformità della dichiarazione allo stato dell'immobile.

7. Tutte le opere realizzate negli edifici pubblici e privati aperti al pubblico in difformità dalle disposizioni vigenti in materia di accessibilità e di eliminazione delle barriere architettoniche, nelle quali le difformità siano tali da rendere impossibile l'utilizzazione dell'opera da parte delle persone handicappate, sono dichiarate inabitabili e inagibili. Il progettista, il direttore dei lavori, il responsabile tecnico degli accertamenti per l'agibilità o l'abitabilità ed il collaudatore, ciascuno per la propria competenza, sono direttamente responsabili. Essi sono puniti con l'ammenda da lire 10 milioni a lire 50 milioni e con la sospensione dai rispettivi albi professionali per un periodo compreso da uno a sei mesi.

8. Il Comitato per l'edilizia residenziale (CER), di cui all'articolo 3 della legge 5 agosto 1978, n. 457, fermo restando il divieto di finanziamento di cui all'articolo 32, comma 20, della citata legge n. 41 del 1986, dispone che una quota dei fondi per la realizzazione di opere di urbanizzazione e per interventi di recupero sia utilizzata per la eliminazione delle barriere architettoniche negli insediamenti di edilizia residenziale pubblica realizzati prima della data di entrata in vigore della presente legge.

9. I piani di cui all'articolo 32, comma 21, della citata legge n. 41 del 1986 sono modificati con integrazioni relative all'accessibilità degli spazi urbani, con particolare riferimento all'individuazione e alla realizzazione di percorsi accessibili, all'installazione di semafori acustici per non vedenti, alla rimozione della segnaletica installata in modo da ostacolare la circolazione delle persone handicappate.

10. Nell'ambito della complessiva somma che in ciascun anno la Cassa depositi e prestiti concede agli enti locali per la contrazione di mutui con finalità di investimento, una quota almeno pari al 2 per cento è destinata ai prestiti finalizzati ad interventi di ristrutturazione e recupero in attuazione delle norme di cui al regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384.

11. I comuni adeguano i propri regolamenti edilizi alle disposizioni di cui all'articolo 27 della citata legge n. 118 del 1971, all'articolo 2 del citato regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 1978, alla citata legge n. 13 del 1989, e successive modificazioni, e al citato decreto del Ministro dei lavori

pubblici 14 giugno 1989, n. 236 entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Scaduto tale termine, le norme dei regolamenti edilizi comunali contrastanti con le disposizioni del presente articolo perdono efficacia.

25. Accesso alla informazione e alla comunicazione

1. Il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni contribuisce alla realizzazione di progetti elaborati dalle concessionarie per i servizi radiotelevisivi e telefonici volti a favorire l'accesso all'informazione radiotelevisiva e alla telefonia anche mediante installazione di decodificatori e di apparecchiature complementari, nonché mediante l'adeguamento delle cabine telefoniche.

2. All'atto di rinnovo o in occasione di modifiche delle convenzioni per la concessione di servizi radiotelevisivi o telefonici sono previste iniziative atte a favorire la ricezione da parte di persone con handicap sensoriali di programmi di informazione, culturali e di svago e la diffusione di decodificatori.

26. Mobilità e trasporti collettivi

1. Le regioni disciplinano le modalità con le quali i comuni dispongono gli interventi per consentire alle persone handicappate la possibilità di muoversi liberamente sul territorio, usufruendo, alle stesse condizioni degli altri cittadini, dei servizi di trasporto collettivo appositamente adattati o di servizi alternativi.

2. I comuni assicurano, nell'ambito delle proprie ordinarie risorse di bilancio, modalità di trasporto individuali per le persone handicappate non in grado di servirsi dei mezzi pubblici.

3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni elaborano, nell'ambito dei piani regionali di trasporto e dei piani di adeguamento delle infrastrutture urbane, piani di mobilità delle persone handicappate da attuare anche mediante la conclusione di accordi di programma ai sensi dell'articolo 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142. I suddetti piani prevedono servizi alternativi per le zone non coperte dai servizi di trasporto collettivo. Fino alla completa attuazione dei piani, le regioni e gli enti locali assicurano i servizi già istituiti. I piani di mobilità delle persone handicappate predisposti dalle regioni sono coordinati con i piani di trasporto predisposti dai comuni.

4. Una quota non inferiore all'1 per cento dell'ammontare dei mutui autorizzati a favore dell'Ente ferrovie dello Stato è destinata agli interventi per l'eliminazione delle barriere architettoniche nelle strutture edilizie e nel materiale rotabile appartenenti all'Ente medesimo, attraverso capitolati d'appalto formati sulla base dell'articolo 20 del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384.

5. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dei trasporti provvede alla omologazione di almeno un prototipo di autobus urbano ed extraurbano, di taxi, di vagone ferroviario, conformemente alle finalità della presente legge.

6. Sulla base dei piani regionali e della verifica della funzionalità dei prototipi omologati di cui al comma 5, il Ministro dei trasporti predispone i capitolati d'appalto contenenti prescrizioni per adeguare alle finalità della presente legge i mezzi di trasporto su gomma in corrispondenza con la loro sostituzione.

42. Copertura finanziaria

1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari sociali, è istituito il Fondo per l'integrazione degli interventi regionali e delle province autonome in favore dei cittadini handicappati.

2. Il Ministro per gli affari sociali provvede, sentito il Comitato nazionale per le politiche dell'handicap di cui all'articolo 41, alla ripartizione annuale del Fondo tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in proporzione al numero degli abitanti.

3. A partire dal terzo anno di applicazione della presente legge, il criterio della proporzionalità di cui al comma 2 può essere integrato da altri criteri, approvati dal Comitato di cui all'articolo 41, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano di cui all'articolo 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, con riferimento a situazioni di particolare concentrazione di persone handicappate e di servizi di alta specializzazione, nonché a situazioni di grave arretratezza di alcune aree.

4. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono a ripartire i fondi di loro spettanza tra gli enti competenti a realizzare i servizi, dando priorità agli interventi in favore delle persone handicappate in situazione di gravità e agli interventi per la prevenzione.

5. Per le finalità previste dalla presente legge non possono essere incrementate le dotazioni organiche del personale della scuola di ogni ordine e grado oltre i limiti consentiti dalle disponibilità finanziarie all'uopo preordinate dal comma 6, lettera h).

6. E' autorizzata la spesa di lire 120 miliardi per l'anno 1992 e di lire 150 miliardi a decorrere dal 1993, da ripartire, per ciascun anno, secondo le seguenti finalità:

a) lire 2 miliardi e 300 milioni per l'integrazione delle commissioni di cui all'articolo 4; b) lire 1 miliardo per il finanziamento del soggiorno all'estero per cure nei casi previsti dall'articolo 11; c) lire 4 miliardi per il potenziamento dei servizi di istruzione dei minori ricoverati di cui all'articolo 12; d) lire 8 miliardi per le attrezzature per le scuole di cui all'articolo 13, comma 1, lettera b); e) lire 2 miliardi per le attrezzature per le università di cui all'articolo 13, comma 1, lettera b); f) lire 1 miliardo e 600 milioni per l'attribuzione di incarichi a interpreti per studenti non udenti nelle università di cui all'articolo 13, comma 1, lettera d); g) lire 4 miliardi per l'avvio della sperimentazione di cui all'articolo 13, comma 1, lettera e); h) lire 19 miliardi per l'anno 1992 e lire 38 miliardi per l'anno 1993 per l'assunzione di personale docente di sostegno nelle scuole secondarie di secondo grado prevista dall'articolo 13, comma 4; i) lire 4 miliardi e 538 milioni per la formazione del personale docente prevista dall'articolo 14; l) lire 2 miliardi per gli oneri di funzionamento dei gruppi di lavoro di cui all'articolo 15; m) lire 5 miliardi per i contributi ai progetti per l'accesso ai servizi radiotelevisivi e telefonici previsti all'articolo 25; n) lire 4 miliardi per un contributo del 20 per cento per la modifica degli strumenti di guida ai sensi dell'articolo 27, comma 1; o) lire 20 miliardi per ciascuno degli anni 1992 e 1993 per le agevolazioni per i genitori che lavorano, previste dall'articolo 33; p) lire 50 milioni per gli oneri di funzionamento del Comitato e della commissione di cui all'articolo 41; q) lire 42 miliardi e 512 milioni per l'anno 1992 e lire 53 miliardi e 512 milioni a partire dall'anno 1993 per il finanziamento del Fondo per l'integrazione degli interventi regionali e delle province autonome in favore dei cittadini handicappati di cui al comma 1 del presente articolo.

7. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, pari a lire 120 miliardi per l'anno 1992 e a lire 150 miliardi a decorrere dall'anno 1993, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1992-1994, al capitolo 6856 dello stato di previsionie del Ministero del tesoro per il 1992, all'uopo utilizzando l'accantonamento "Provvedimenti in favore di portatori di handicap".

8. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

43. Abrogazioni

1. L'articolo 230 del testo unico approvato con regio decreto 5 febbraio 1928, n. 577, l'articolo 415 del regolamento approvato con regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297, ed i commi secondo e terzo dell'articolo 28, della legge 30 marzo 1971, n. 118, sono abrogati.

44. Entrata in vigore

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.