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I boschi montani di conifere QUADERNI HABITAT 18

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I boschi montani di conifere

Q U A D E R N I H A B I TAT

18

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Q U A D E R N I H A B I TAT

M I N I S T E R O D E L L’ A M B I E N T E E D E L L A T U T E L A D E L T E R R I T O R I O E D E L M A R E

M U S E O F R I U L A N O D I S T O R I A N AT U R A L E · C O M U N E D I U D I N E

I boschi montani di conifereUn mantello di sottili aghi verdi

Quaderni habitatMinistero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del MareMuseo Friulano di Storia Naturale - Comune di Udine

coordinatori scientificiAlessandro Minelli · Sandro Ruffo · Fabio Stoch

comitato di redazioneAldo Cosentino · Alessandro La Posta · Carlo Morandini · Giuseppe Muscio

"I boschi montani di conifere · Un mantello di sottili aghi verdi"a cura di Alessandro Minelli

testi diLucio Bonato · Cesare Lasen · Alessandro Minelli · Margherita Solari · Marcello Tomaselli · Marco Uliana

con la collaborazione diSebastiano Barbagallo · Fabio Padovan · Alberto Zilli

illustrazioni diRoberto Zanella

progetto grafico diFurio Colman

foto diNevio Agostini 43, 44, 46, 124, 135, 138, 141 · Archivio Museo Friulano di Storia Naturale, 18/1, 18/2,19/1, 19/2, 20, 22, 30, 31, 32/1, 32/2, 50/1, 50/2, 144/1, 144/2, 144/3, 144/4, 144/5, 146/3 ·Archivio Naturmedia (Ferrari) 56, 57 · Archivio Naturmedia (Petraglia) 11, 28, 60, 61, 144/6 ·Archivio Naturmedia, 10, 23, 54 · Mauro Arzillo 118 · Stefano Bossi 79, 80, 82 · Beatrice Carletti 67·Giuseppe Carpaneto 103/1, 104 · Carlo Càssola 21, 25, 29, 35, 39, 45 · Vitantonio Dell'Orto 6, 12, 24,33, 36, 38, 100, 102, 106, 109, 111, 114, 115, 122, 130, 136, 137, 145 · Giovanni Dose 40/1 ·Dario Ersetti 42, 59 · Luciano Gaudenzio 108, 110, 112, 113, 142 · Cesare Lasen 41 ·Giuliano Mainardis 14, 26, 34, 83, 103/2, 121, 123, 125 · Andrea Mocchiutti 52, 53, 147 ·Giuseppe Muscio 128, 133 · Paolo Paolucci 119 · Ivo Pecile 9, 13, 16, 17, 49, 139, 140, 143 ·Gianni Pilato 40/2 · Paola Sergo 58, 132 · Luca Simonetto 15 · Fabio Stergulc 94 · Francesca Tami 105 ·Marco Uliana 63, 66, 68, 69, 70, 72, 73, 74, 76, 77, 78, 81, 85, 86, 87, 88, 90, 91, 92, 93, 98, 99, 120,127, 131, 134 · Augusto Vigna Taglianti 7, 37, 48, 51, 62, 64, 65, 75, 84, 89, 95, 96, 97, 101, 129,146/1,146/2,146/4,149

©2007 Museo Friulano di Storia Naturale · Udine

Vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie.Tutti i diritti sono riservati.

ISBN 88 88192 32 8ISSN 1724-7209

In copertina: Aspetto invernale di un bosco di conifere (foto Luciano Gaudenzio)

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Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9Cesare Lasen · Marcello Tomaselli

Boschi di conifere nelle Alpi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

Cesare Lasen

Boschi di conifere nell’Appennino e in Sicilia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

Marcello Tomaselli

Aspetti faunistici: gli invertebrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

Marco Uliana · Alessandro Minelli

Aspetti faunistici: i vertebrati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101

Lucio Bonato

Aspetti di conservazione e gestione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125

Lucio Bonato · Cesare Lasen · Marco Uliana

Proposte didattiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143

Margherita Solari

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151

Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153

Indice delle specie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155

IndiceQuaderni habitat

6La macchiamediterranea

24Gli habitatitaliani

12I prati aridi

18I boschimontani diconifere

2Risorgivee fontanili

3Le forestedella PianuraPadana

4Dune espiaggesabbiose

5Torrentimontani

1Grotte efenomenocarsico

8Laghi costierie stagnisalmastri

9Le torbieremontane

10Ambientinivali

11Pozze, stagnie paludi

7Coste marinerocciose

14Laghettid’alta quota

15Le faggeteappenniniche

16Dominiopelagico

17Laghivulcanici

13Ghiaioni erupi dimontagna

20Le acquesotterranee

21Fiumi eboschi ripari

22Biocostruzionimarine

23Lagune,estuarie delta

19Praterie afanerogamemarine

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Il nostro paesaggio montano, e in parti-colare quello alpino, è caratterizzato dauna copertura forestale in cui le conife-re assumono un ruolo prevalente, tantoche abeti e pini, più di larici e cirmoli,sono considerati elementi familiari espesso protagonisti nella cultura quoti-diana. E questo non solo per miti,saghe e leggende, o tra la gente istrui-ta. Può anzi succedere che la classicaconfusione, in cui incappano ancheorgani di stampa e mediatici, tra pini ed abeti, non coinvolga le genti di monta-gna che da queste piante hanno ottenuto sì risorse importanti per la sopravvi-venza, ma che hanno imparato anche a rispettare per valori non materiali.Nelle Alpi, le conifere improntano il paesaggio soprattutto nelle aree più internea clima continentale, dove prevale la componente boreale, mentre sulle Prealpie nelle catene esterne, risulta sempre molto competitivo il faggio. Negli Appennini, sia pur con apprezzabili differenze tra nord e sud, il boscomontano è dominato dal faggio, che si spinge fino al limite superiore dellavegetazione arborea. Ad esso è associato, sia pure in modo discontinuo, l’abe-te bianco. Le presenze di pini oromediterranei, talvolta di formidabile effettopaesaggistico, e di grande valore biogeografico, sono assai localizzate, adeccezione del pino silano, assai diffuso in Calabria e Sicilia.

■ Le Alpi

I boschi di conifere occupano estesi settori nell’arco alpino, soprattutto nellearee più interne a clima subcontinentale, dalla fascia montana e spesso dal fon-dovalle, a quote inferiori ai 1000 metri, fino al limite superiore della foresta chevaria da est a ovest, dai 1600-1800 metri delle più estreme Alpi orientali ai2500-2600 m delle Alpi occidentali. Nell’arco alpino i boschi di conifere sonodiffusi da est a ovest e comprendono numerosi tipi, differenziabili in base allaspecie prevalente (pino silvestre, pino nero, pino uncinato, abete rosso, abetebianco, larice, pino cembro), al tipo di gestione, alla fascia altitudinale, all’e-

7IntroduzioneCESARE LASEN · MARCELLO TOMASELLI

Lariceto in autunno

Bosco Alevé (Piemonte)

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sposizione e ai fattori microclimatici.Alle mughete, formazioni arbustiveampiamente diffuse nelle Dolomiti eanche nelle Prealpi, saranno dedicatisolo alcuni cenni. Peccete, abieteti elarici-cembreti sono formazioni quasisempre climatogene, cioè stadi maturi,terminali, della serie, mentre le pinete,spesso azonali, quindi non legate aparticolari fasce altitudinali, sono ingenere pioniere, e durano a lungo soloin condizioni del suolo primitive, conscarse possibilità di evoluzione versosuoli più profondi capaci di supportarespecie più esigenti.

Cenni storici. A partire dal ritiro dei ghiacciai quaternari, il paesaggio vegetaleha subito sostanziali modifiche ed anche in epoca storica, sulla base di ricerchetoponomastiche e raffigurazioni artistiche, risultano evidenti cambiamenti signi-ficativi di copertura vegetale. La storia del paesaggio postglaciale, tuttavia, èstata scritta sulla base delle indagini polliniche: le successioni climatiche inter-venute, soprattutto negli ultimi 12000 anni, sono ormai note e consolidate, contrascurabili variazioni a livello locale. In una prima fase, con clima ancora fred-do e asciutto, il pino silvestre (oltre al pino cembro), con betulla, salici e ontani,dominava il paesaggio e solo in seguito si è affermato l’abete rosso, provenien-te da est. L’abete bianco, da sud, sarebbe sopraggiunto ancora più tardi, incorrispondenza di una fase più temperata e umida, favorevole anche al tasso,pianta diffusa in tutto il territorio, mai tuttavia quale specie dominante.Nell’ultimo millennio, per effetto di variazioni climatiche documentate, e per lanormale evoluzione dei suoli (modificazioni cicliche) si sono verificati apprezza-bili cambiamenti delle fasce di vegetazione. Alcuni boschi che oggi sono a nettaprevalenza di conifere erano in passato (XVI secolo) molto più ricchi di faggio enon di rado tali situazioni sono registrate dalla toponomastica locale. In lineagenerale si osserva un sensibile innalzamento del limite della foresta, in virtù delmiglioramento termico. L’abete rosso appare ovunque specie molto competiti-va, mentre abete bianco e pino cembro, ecologicamente più esigenti, manifesta-no sofferenza in alcuni settori dell’arco alpino, mentre in altri rinnovano conabbondanza e tendono ad espandersi. In particolare l’abete bianco risente sia diperiodi siccitosi che del morso degli ungulati selvatici, oltre ad essere stato noto-riamente penalizzato da alcune scelte selvicolturali. Il pino cembro, invece, èstato indubbiamente sfavorito, rispetto al larice, nella gestione dei pascoli.

■ Gli Appennini

Le conifere svolgono un ruolo molto meno rilevante nella copertura forestaledella fascia montana dell’Appennino rispetto a quello ricoperto nell’analogafascia delle Alpi. Lungo tutta la catena appenninica la formazione forestaleattualmente prevalente all’interno della fascia montana è, infatti, un bosco dilatifoglie decidue con uno strato arboreo spesso monospecifico e comunquesempre povero di specie, caratterizzato dalla presenza esclusiva o dalla net-ta predominanza del faggio. L’attuale prevalenza del faggio ha motivazioni diordine storico, legate a cause sia naturali che antropiche. Cerchiamo di esa-minarle a partire da quelle di ordine naturale.La predominanza del faggio ha origini relativamente recenti, se valutata allascala temporale di riferimento adottata per la ricostruzione della storia delpopolamento vegetale di un territorio. I dati ottenuti dalle indagini paleobo-taniche, che analizzano la disposizione stratificata del polline fossile dellepiante arboree nei sedimenti accumulati sul fondo dei bacini lacustri e suquesta base ricostruiscono la composizione della vegetazione di epochepassate, ci consentono di ricostruire le vicende del popolamento forestaleappenninico a partire dalla fine dell’ultima glaciazione, vale a dire da circa13500 anni fa fino ad oggi.Nel periodo (Tardiglaciale) compreso tra questa data e circa 10300 anni fa, lacopertura forestale era limitata ai settori centro-meridionali della catena appen-

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Diagramma pollinico che mostra l’evolversi nelpostglaciale delle fasi a dominanza di pino,abete rosso e abete bianco (dintorni di Bolzano)

Una abetina nell’Appennino Emiliano

SUBATLANTICO

SUBBOREALE

ATLANTICO

BOREALE

PREBOREALE

1000 d. C.

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1000 a. C.

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000 20 40 60 80

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Il periodo successivo (Atlantico) ècompreso tra 7500 e 4500 anni fa ed ècaratterizzato da un clima ancora rela-tivamente caldo ma più umido di quel-lo del periodo precedente e, nella suafase finale, da precipitazioni più rego-lari. Proprio durante quest’ultima fase,all’incirca 5000 anni fa, si verificò lapenetrazione del faggio nelle forestead abete bianco dell’Appennino set-tentrionale. A differenza dell’abetebianco, che è in grado di sopportareanche periodi di siccità moderata, ilfaggio richiede, infatti, un regime plu-viometrico caratterizzato da precipita-zioni uniformi durante tutto il periodo vegetativo. Nel periodo successivo,denominato Preboreale, compreso tra 4500 e 2800 anni fa, il faggio si vennedefinitivamente affermando come la specie arborea più diffusa sui rilieviappenninici, sostituendo in parte l’abete bianco, favorito anche dall'attivitàantropica (siamo ormai entrati in quella che si definisce epoca storica).L’inizio della deforestazione delle aree montane, attuata per aumentare lesuperfici destinate al pascolo ed ai prati da sfalcio necessari per ottenereforaggio, sfavorì particolarmente l’abete bianco che, a differenza del faggio, siriproduce solo da seme e non per polloni. Un’altra causa del progressivodeclino dell’abete bianco rispetto al faggio fu la sua maggiore utilizzazione perfornire legno per la costruzione di edifici, ponti ed altri manufatti. Il sopravven-to del faggio sull’abete bianco, legato all’attività antropica, si realizzò con lestesse modalità e per le stesse ragioni anche nell’Appennino centrale e meri-dionale. In quest’ultimo settore, a fare le spese dell’avanzata del faggio furonoanche il pino silano e il pino loricato.Durante il periodo delle Repubbliche Marinare si accrebbe il fabbisogno diabete bianco come produttore di legno da utilizzare per la costruzione dellenavi; in particolare, si manifestò l’esigenza di far crescere individui secolariper le alberature delle navi. Iniziarono così le reintroduzioni delle conifere lun-go la catena appenninica che coinvolsero non solo l’abete bianco, ma anchel’abete rosso e, purtroppo, in tempi meno remoti, anche un certo numero diconifere esotiche. Alcuni di questi impianti vennero realizzati in aree dove giàfiguravano popolazioni relittuali di conifere ed hanno quindi carattere misto;ma la maggior parte dei rimboschimenti furono del tutto artificiali. In questomodo le conifere hanno recuperato una parte, sia pure modesta, dell’anticoterreno loro sottratto dall’avanzata del faggio.

11ninica ed era, per la massima parte, rappresentata da formazioni aperte a pini(verosimilmente a pino silano e pino loricato), con presenza sporadica di abeterosso, il cui polline è costantemente presente solo in tracce nei sedimenti. Nel-le fasi più calde del Tardiglaciale inizia un processo di forestazione con la for-mazione di consorzi misti ad abete bianco e faggio, che si sviluppano maggior-mente nel periodo successivo denominato Olocene, determinando la regres-sione delle pinete ed il loro progressivo ritiro verso sud e la graduale scompar-sa dell’abete rosso da questa parte della catena. Per quanto riguarda l’Appen-nino settentrionale, il quadro appare notevolmente diverso, sia nel Tardiglacialeche nell’Olocene. Nel Tardiglaciale, caratterizzato da un clima più freddo e sec-co dell’attuale, i rilievi a quote superiori agli 800 metri erano ricoperti da forma-zioni aperte prevalentemente erbacee con presenza di arbusti ed alberi pionie-ri, rappresentati da specie del genere Pinus (verosimilmente pino uncinato epino silvestre). Nelle fasi climaticamente più favorevoli di questo periodo questiconsorzi pionieri si svilupparono in autentiche pinete.All’inizio dell’Olocene, nel cosiddetto periodo Preboreale (da 10300 a 8800 annifa) comparve l’abete bianco, proveniente principalmente dall’Appennino centra-le e favorito da un clima nettamente e progressivamente più caldo. Nel periodosuccessivo, denominato Boreale e compreso tra 8800 e 7500 anni fa e caratte-rizzato da un clima ancora più caldo e secco, l’abete bianco diventò dominantenella fascia montana, mentre le formazioni a pini si ritirarono verso la sommitàdei rilievi, dove erano presenti anche popolamenti sporadici di abete rosso.

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Pinete con pino loricato (Pinus leucodermis) nel Massiccio del Pollino (Calabria)

Pino uncinato (Pinus uncinata) sul MonteRagola (Appennino Ligure)

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■ Fasce climatiche e vegetazionepotenziale

La vegetazione forestale rappresenta,salvo situazioni estreme o quote trop-po elevate, lo stadio finale (climax) dimaggiore equilibrio e stabilità. Inverità, sia pure per tempi non troppobrevi, le variazioni dei fattori ecologicifondamentali inducono modificazionidel popolamento vegetale che posso-no essere compensate dal sistema inmodo graduale, originando cicli e suc-cessioni sui quali, peraltro, si disponedi informazioni solo parziali. A maggiorragione, se si considera, in tutto il nostro paese, nelle Alpi come negli Appen-nini, l’influenza esercitata dalle attività umane nel corso dei secoli, risulterà dif-ficile sostenere l’esistenza di foreste completamente naturali. Si preferisce,quindi, parlare di vegetazione potenziale, piuttosto che di un climax, concettotroppo teorico. Per trattare dei boschi montani di conifere e delle loro caratte-ristiche ecologiche, è opportuno delineare un quadro della vegetazione poten-ziale di riferimento nell’arco alpino e nella catena appenninica, secondo il gra-diente altitudinale e gli altri principali fattori ecologici.La pianura, i fondovalle alluvionali e i primi versanti, negli orizzonti collinari esubmontani, sono interessati dai boschi misti di latifoglie. Solo eccezional-mente, nelle vallate più interne e in particolari condizioni del suolo o topografi-che, le conifere risultano competitive.Nella fascia montana, invece, la competizione tra boschi a prevalenza di latifo-glie (segnatamente il faggio) o di conifere, è determinata, in prima approssima-zione, dal regime pluviometrico e dalle escursioni termiche, ciò che si traducenei concetti di oceanicità (piogge, di regola abbondanti e ben distribuite neidiversi mesi, con massimi nelle stagioni equinoziali, cioè primavera e autunno,e deboli escursioni termiche) e continentalità (piovosità complessiva annua piùscarsa, precipitazioni con massimo estivo, forti escursioni termiche sia diurne

13Boschi di conifere nelle AlpiCESARE LASEN

Abeti e larici in Val di Fassa (Trentino Alto Adige)

Il margine di una cembreta con sottobosco arododendro in Valle Aurina (Alto Adige)

Page 8: I boschi montani di conifere - Gruppo OrobieviveI boschi di conifere occupano estesi settori nell’arco alpino, soprattutto nelle aree più interne a clima subcontinentale, dalla

che stagionali). In linea generale, il fag-gio gradisce i versanti e le vallate a cli-ma oceanico (quindi abbonda nei set-tori esterni e nelle catene periferiche,cosiddette esalpiche), mentre le coni-fere risultano più competitive, anche aquote basse, procedendo verso lacatena centrale delle Alpi (settoriendalpici), con il massimo raggiuntonelle vallate trasversali a clima steppi-co in cui la piovosità si riduce a valoriprossimi ai 500 mm annui.Nella fascia intermedia (settori mesal-pici) la competizione è più accesa e siriscontrano spesso boschi misti neiquali l’abete bianco svolge un ruolomolto importante e forma comunitàvegetali sia con l’accompagnamentodi molte specie che gravitano nellefaggete (abieti-faggeti e piceo-abieti-faggeti), sia associato a componenti deiboschi boreali di conifere, in cui l’abete rosso è spesso specie prevalente(piceo-abieteti). Di rilevante interesse fitogeografico sono considerati i popola-menti a prevalenza di abete bianco che penetrano nelle vallate continentali piùinterne (spesso per effetto di particolari situazioni morfologiche e microclima-tiche) ed anche quelli più esterni, prealpini, in cui è ipotizzabile un’origine piùmeridionale, mediterraneo-montana.Nell’ambito dei boschi di conifere, specialmente a quote elevate, assumeimportanza vitale il larice, che grazie alla sua plasticità e rusticità riesce adessere competitivo in molte situazioni difficili, sia come pianta pioniera checome specie che meglio delle altre sopporta la neve e si spinge ad alta quota,anche nei settori alpini esterni (sia pure preferendo anch’esso quelli interni conclima tendenzialmente continentale). In particolare, nelle Alpi occidentali il lari-ce risulta, anche per motivi storici, competitivo nella fascia che di solito è occu-pata prevalentemente dall’abete rosso. Nelle vallate a clima continentale e aquote superiori ai 1600-1700 m (a est anche a quote superiori, per l’aumentataconcorrenza dell’abete rosso), diventa importante il ruolo svolto dal pino cem-bro che forma consorzi misti con il larice (larici-cembreti) o anche puri (menofrequenti), che rappresentano i boschi più belli ed espressivi, per valore pae-saggistico, dell’arco alpino e spesso anche quelli a più elevata naturalità, trat-tandosi quasi ovunque di boschi cosiddetti di protezione, situati a quote bensuperiori ai 2000 m e quindi da tempo non soggetti a utilizzazione.

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Zuc della Guardia (Friuli Venezia Giulia)

Abete rosso (Picea abies)

Al nord (in particolare nelle Alpi centro-orientali dove è più competitivo), l’abe-te rosso è la conifera per eccellenza, lapiù diffusa e anche la più utilizzata per irimboschimenti. Mostra grande plasti-cità ecologica e capacità di adatta-mento anche al di fuori della fascia cli-matica di sua pertinenza, che è quellaboreale, in particolare negli orizzontialtomontano e subalpino inferiore.Esprime la sua massima potenzialità inaree a clima subcontinentale (endalpi-che), nelle quali è spesso presenteanche a quote inferiori, nella fasciamontana.A quote più elevate subisce la concor-renza di larice e/o pino cembro, mentrenella fascia montana è spesso accom-pagnato dal pino silvestre, al qualesuccede con l’evoluzione dei suoli, ove

questa sia possibile. Per effetto dellatradizione selvicolturale, forma spessoanche consorzi misti con faggio (piceo-faggeti) e abete bianco (piceo-abieteti),soprattutto nelle Alpi orientali, neidistretti cosiddetti mesalpici.L’abete rosso mostra grande vitalitàanche come pianta pioniera che invadepascoli acidi, abbandonati, talvoltaanche in prossimità di depositi detritici(dove di solito è più vitale il larice). Indepressioni e fondovalle freddi tende asostituire abete bianco e faggio, menoresistenti alle gelate primaverili. Ama lependici luminose ed è quindi, general-mente, favorito dagli interventi selvicol-turali ordinari. Rispetto all’abete bian-co, inoltre, è molto meno appetibile pergli ungulati selvatici. Non ha preferenzerispetto alla natura del substrato, madalla decomposizione dei suoi aghi siorigina un humus grezzo (moder) chedà reazione acida. Di conseguenza, l’a-bete rosso viene considerato specietendenzialmente acidofila.Nella fascia climatica di competenzavegeta bene sia su suoli superficialiche in quelli profondi, in qualsiasi con-dizione di esposizione e acclività. Nonmancano comunità vegetali che si svi-luppano su blocchi e in prossimità del-le cosiddette “buche del ghiaccio”. Perquanto concerne il livello di umidità delsuolo, l’abete rosso mostra grandeadattabilità, essendo competitivo siasu suoli torbosi, o comunque moltoumidi, sia su suoli secchi soggetti aforte dilavamento. Quale specie chegradisce il clima continentale, sopportabene anche le forti escursioni termiche,sia diurne che stagionali.Lungo la catena appenninica la massi-ma parte dei popolamenti risulta esse-re di origine colturale. L’indigenato del-l’abete rosso è sicuramente dimostratoo altamente presumibile per alcunepopolazioni localizzate nell’Appenninosettentrionale.

Cesare Lasen14

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In tale quadro generale della vegeta-zione potenziale montana e subalpinadelle Alpi non sono ancora state nomi-nate, volutamente, le pinete, nono-stante esse siano altamente rappre-sentative e spesso molto diffuse. Ciòsignifica che non dovrebbe trattarsisolo di formazioni transitorie, ma diboschi ad elevata stabilità e lunga-mente durevoli. Effettivamente, lepinete sono, quasi sempre, comunità aspiccato carattere primitivo che occu-pano versanti e stazioni in cui l’evolu-zione del suolo è bloccata da fattoritopografici oppure è, in ogni caso,molto lenta. Quindi, in relazione aldinamismo naturale che interessa iversanti soggetti a processi erosivi,questi boschi di conifere si rivelanosempre molto concorrenziali, svolgendo funzioni ecologiche di primaria impor-tanza e assicurando una copertura vegetale e una protezione anche in condi-zioni geomorfologiche e topografiche molto difficili.Oltre al pino silvestre, la cui distribuzione è generalizzata in tutto il territorioalpino, e che dimostra eccezionale capacità di adattamento alle situazioniestreme (terreni molto acidi, o molto basici, estremamente poveri di nutrienti,inclusi quelli torbosi; substrati ghiaiosi soggetti a forti variazioni di umidità, sta-zioni ventose o versanti con forti escursioni termiche), anche il pino nero, all’e-stremo nordorientale dell’arco alpino, mostra grande vitalità e occupa estesisettori nella fascia pedemontana e fino alle valli interne in aree con elevata pio-vosità o umidità atmosferica, ma su terreni asciutti, sempre acclivi o superfi-ciali, con roccia quasi affiorante, in ambienti dove la concorrenza è limitata eprevalgono fattori estremi. Le pinete, inoltre, non vengono considerate comu-nità vegetali di tipo zonale, cioè legate a fasce altimetriche specifiche. Questovale anche per il pino uncinato, specie a gravitazione occidentale. Le mughetecaratterizzano estese fasce, soprattutto a livello subalpino, nell’orizzonte degliarbusti contorti, ma anch’esse, pur assai stabili, non sono considerate comu-nità vegetali di livello terminale (climatogene), in quanto, laddove il suolo nonviene dilavato ed è in grado di evolvere, si verifica l’acidificazione superficialee si depositano sostanze umiche che favoriscono soprattutto il rododendroferrugineo e, condizioni termiche permettendo, in tempi più lunghi, anche illarice e/o il pino cembro.

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Alpi Carniche (Friuli Venezia Giulia)

Larici in Val di Fassa (Trentino)

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19■ Il corteggio floristico

Tra i floristi e gli appassionati di foto-grafia, che amano soprattutto gli spaziaperti, dalle praterie ai detriti, dallezone umide alle fessure delle rocce, iboschi non sono considerati tra gliambienti più invitanti per le proprieescursioni. Comprensibilmente, sesolo si pensa a boschi di abete rossomolto chiusi, poveri di sottoboscoerbaceo o ricoperti, anche in condizio-ni di elevata naturalità, da monotonedistese di ericacee. In verità non man-cano, sapendo cercare con cura, spe-cie appariscenti o di indubbio interes-se floristico, soprattutto fra le orchi-dee. La scarpetta di Venere (Cypripe-dium calceolus), per esempio, gravitaai margini tra peccete e mughete, l’el-leborine violacea (Epipactis atroru-bens) predilige le pinete aride. Altreorchidee, meno vistose, ma non perquesto meno interessanti e preziose,vanno cercate, con insistenza, tra imorbidi cuscinetti muscosi, soprattut-to nei boschi di abete rosso. Così laminuta listera minore (Listera cordata),

in ambienti freschi, perfino su sfagni, oppure la curiosa godiera (Goodyerarepens), che predilige ambienti asciutti, e in particolare le pinete evolute.A parte gli abieteti, il cui corredo floristico è spesso più simile a quello dellefaggete, con casi particolari per quelli di bassa quota in ambienti di forra,spesso molto ricchi di specie, o i larici-cembreti di quota che ospitano le spe-cie erbacee provenienti dai pascoli circostanti, sono le peccete e le pinete ledue categorie di habitat che possono presentare una base comune. In condi-zioni naturali e a quote elevate, la copertura di ericacee rappresenta uno deglistati più frequenti. Mirtillo nero (Vaccinium myrtillus), mirtillo rosso (V. vitis-idaea) che, qualora prevalente, indica stazioni a carattere più continentale, fal-so mirtillo (V. gaultherioides), molto più frequente in ambienti di brughierarelativamente aridi, mentre il raro Vaccinium uliginosum sensu stricto è limita-to ad alcune stazioni torbose, erica (Erica carnea), spesso nettamente e

uniformemente dominante nelle pine-te, brugo (Calluna vulgaris), uva ursina(Arctostaphylos uva-ursi), che caratte-rizza stazioni ventose e crinali, rodo-dendro irsuto (Rhododendron hirsu-tum) e rododendro ferrugineo (R. fer-rugineum) sono componenti checaratterizzano spesso i diversi tipi eche solo raramente mancano.Pur non essendo un’ericacea anche ilginepro nano (Juniperus nana) ha com-portamento analogo, soprattutto inambienti subalpini, più aperti. Tra gliaghi delle conifere, in condizioni discarsa luminosità si potrà osservare lasaprofita, di colore giallastro, ipopitide(Monotropa hypopytis), oppure la notapiroletta soldanella (Moneses uniflora).Altre pirolette mostrano di gradire l’hu-mus acido indecomposto degli aghi,siano essi di abete rosso o di pino sil-vestre, o anche di pino mugo. Già inprimavera la poligala falso bosso (Poly-gala chamaebuxus) attrae per le suescreziature dal giallo al purpureo, susfondi ancora indistinti. Nelle pinete,una delle fioriture più spettacolari èquella, precoce, della dafne odorosa(Daphne cneorum), profumatissima, seppur velenosa come le congeneri. Aproposito di profumi, nelle pinete, sempre luminose e aperte, vegeta anche lamanina profumata (Gymnadenia odoratissima). Pur non esclusiva delle pinete,anche l’amor nascosto (Aquilegia atrata) spicca, all’inizio dell’estate, per ivistosi e speronati fiori violacei. Come in tutte le comunità vegetali, tuttavia,non mancano piante dai fiori poco vistosi, come le graminacee e le ciperaceeche, peraltro, sono importanti nel segnalare le diverse condizioni ecologiche.In tutti i suoli poco profondi di natura calcareo-dolomitica, su versanti ripidicon forti variazioni di umidità del suolo, per esempio, sono frequenti, fra lealtre, la sesleria comune (Sesleria caerulea) e la cannella comune (Calamagro-stis varia), mentre la comparsa di cannella di bosco (C. arundinacea) segnalastazioni più fresche, con suolo più profondo e acido e un’altra specie di can-nella (C. villosa) è spesso dominante su estesi tratti e radure, anche al margine.

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Ipopitide (Monotropa hypopytis)

Dafne odorosa (Daphne cneorum)

Elleborine violacea (Epipactis atrorubens)

Erica (Erica carnea)

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21La presenza di arbusti quali il pero corvino (Amelanchier ovalis) e il cotognastro(Cotoneaster nebrodensis) indica stazioni parimenti calde e asciutte, quindi èpiù caratteristica delle pinete. Nelle pinete continentali delle vallate a climasteppico, il tempo della fioritura degli astragali (Astragalus spp.) rappresentauno spettacolo da non perdere.Su humus acido, sia nelle peccete come nelle pinete e nelle mughete, è fre-quente notare estese e caratteristiche coperture di muschi. Tra i più caratteristi-ci e diffusi Ptilium crista-castrensis, Rhytidiadelphus, Dicranum, Polytrichum,Pleurotium, Hylocomium, ecc. Tra le specie che meglio caratterizzano il sotto-bosco delle fustaie di conifere, su humus acido (quindi in particolare, ma nonsolo, le peccete) si ricordano lo strisciante e comune licopodio, Lycopodiumannotinum (interessanti utilizzazioni in alcune zone alpine, sia come filtro per illatte che per tradizioni popolari di origine pagana, l’òm salvàrech dell’Agordi-no), ed altre entità affini, spesso più rare e localizzate (ad esempio dei generiDiphasium e Diphasiastrum). Tra gli arbusti sono diffusi soprattutto la madresel-va turchina (Lonicera coerulea), il sorbo alpino (Sorbus chamaemespilus) e l’u-nica liana alpina (Clematis alpina) dai vistosi fiori azzurro-violacei. Sempre suhumus acido (ma anche in faggeta) si può notare un’altra orchidea priva di clo-rofilla e con pochissimi fiori, la coralloriza (Corallorhiza trifida). Diverse specie dierba lucciola (Luzula luzuloides, L. nivea, L. luzulina, L. sieberi, L. pedemontana,ecc.) sono pure frequenti in molti tipi di boschi di conifere, generalmente più omeno acidofili, al pari del migliarino capellino (Avenella flexuosa) e della spiga-

rola delle foreste (Melampyrum sylvaticum), pianta semiparassita che fiorisce inpiena estate. Molto importante è il contributo delle felci, appariscenti anche inautunno. Si tratta di piante quasi mai esclusive di questi boschi, forse a parte lalonchite minore (Blechnum spicant), nettamente silicicola, ma che talora carat-terizzano stadi di sviluppo rigogliosi determinati dalla sequenza delle utilizza-zioni. Anch’esse sono importanti nel differenziare i vari tipi e le fasi successio-nali. Nei boschi delle vallate alpine centro-occidentali, merita un cenno la famo-sa e graziosa linnea (Linnaea borealis), strisciante tra massi ricoperti dimuschio, specie emblematica, di rilevante valore biogeografico, che rappre-senta, come l’ancor più rara primulacea trientalis (Trientalis europaea) un relittodell’epoca glaciale.Le differenze nel corredo floristico dei diversi boschi di conifere risentono inol-tre delle componenti fitogeografiche che tra le Alpi sudorientali e le occidentali,non meno che nell’Appennino centro-meridionale, risultano ben distinte, anchese l’ambiente nemorale, com’è noto, tende a livellare, soprattutto su suoli evo-luti, tali differenze. Infatti, la diversa composizione del corteggio floristico tra iboschi delle Alpi occidentali e quelli delle Alpi orientali emerge soprattutto suisuoli più superficiali, e sui substrati calcareo-dolomitici (quindi più nelle pineteche negli abieteti), mentre le comunità sviluppate su suoli più profondi e suisubstrati silicatici risultano meno differenziate. Alcune entità endemiche, adesempio, sono vicarianti geografiche. Questo è il caso, per esempio, dellafestuca occidentale (Festuca flavescens), appartenente al gruppo di Festuca

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Licopodio (Lycopodium annotinum) Clematide alpina (Clematis alpina)

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■ Inquadramento sinecologico dei boschi a conifere delle Alpi

Si ritiene opportuno presentare i boschi montani di conifere in Italia, nella lorodiversità, secondo due diversi approcci: quello fitosociologico, fondamentale,e quello tipologico o fisionomico, particolarmente utile in campagna.

Inquadramento fitosociologico. Laquasi totalità dei boschi montani diconifere è riconducibile a due classifitosociologiche: Vaccinio-Piceetea,che include le formazioni su suoli acidied evoluti, di regola stabili e più omeno prossimi al climax (stadio piùmaturo ed evoluto) ed Erico-Pineteache comprende comunità (soprattut-to, ma non esclusivamente, pinete)che si sviluppano sui substrati carbo-natici e di regola su suoli primitivi, cioèsuperficiali, poco evoluti. Limitata-mente ad ambienti steppici delle valla-te più continentali, soprattutto la Val Venosta e la Val di Susa, inoltre, alcunecenosi sono riconducibili alla classe Pulsatillo-Pinetea. Essa è rappresentatasolo dall’alleanza Ononido-Pinion, alla quale si riferiscono alcune pinete ari-de, quali il noto astragalo-pineto della foresta di Montechiaro, formazioni conlarice e ginepro sabino (Juniperus sabina) e anche cenosi dei greti alluvionalicon salici di ripa (Salix eleagnos, S. purpurea). Tra le pochissime specie carat-teristiche e/o differenziali di questa classe, si ricordano, oltre al ginepro, l’o-nonide a foglie rotonde (Ononis rotundifolia), alcuni astragali e la viola a fogliepennate (Viola pinnata).Va inoltre ricordato che alcuni autori tendono a includere le formazioni di abe-te bianco (e non solo gli abieti–faggeti, come sarebbe ovviamente comprensi-bile, ma anche i piceo-abieteti), nella classe Querco-Fagetea. Le mughete ditorbiera acida, a sfagni, sono classificate nell’ambito degli Oxycocco-Spha-gnetea, in particolare nell’associazione Pinetum rotundatae (in passato cono-sciuta come Pino mugo-Sphagnetum). Recentemente è stata anche propostal’istituzione di una specifica classe per inglobare tutte le formazioni a pinomugo, Roso pendulinae-Pinetea mugi.Il tentativo di dare organicità a uno schema che consenta di fornire un’inter-pretazione semplice e condivisa di tutti i boschi di conifere alpini è ostacola-to, fra l’altro, dai diversi schemi di riferimento utilizzati nelle Alpi occidentalied orientali.

varia, che è rappresentato nelle Alpi centrali e orientali da altre specie, anche sesolo sporadicamente, non essendo nemorali, entrano nella composizione deiboschi, peraltro piuttosto radi. Elementi caratteristici per i settori occidentali,pur non essendo specie dei boschi in senso stretto, sono, tra gli altri l’iperico diBelleval (Hypericum richeri), l’astranzia minore (Astrantia minor), l’acero alpino(Acer opulifolium), lo sparviere lanoso (Hieracium lanatum), la carice del Col diTenda (Carex tendae), l’avena di Seyne (Helictotrichon sedenense), la genzianaligure (Gentiana ligustica), la primula marginata (Primula marginata), la minuartiaa foglie di larice (Minuartia laricifolia), ecc. Nelle Alpi orientali è spesso significativo il contingente di specie a gravitazio-ne sudestalpina e dinarica, tra le quali si possono citare la ginestra raggiata(Genista radiata), il citiso purpureo (Chamaecytisus purpureus), l’anemonetrifogliata (Anemone trifolia), la lattuga fetida (Aposeris foetida), il ciclaminodelle Alpi (Cyclamen purpurascens), il salice glabro (Salix glabra), ecc. Traqueste l’anemone trifogliata è sicuramente specie nemorale e azonale, utile adifferenziare le popolazioni orientali nelle diverse fasce di vegetazione. Latossilaggine illirica (Homogyne sylvestris), invece, che predilige i boschi mistidi abete bianco e faggio, penetra in territorio italiano solo all’estremità piùorientale. Si tratta di specie, in ogni caso, mai esclusive dei boschi di conife-re. In essi, infatti, si osserva, con la sola eccezione, appunto, degli ambientirupestri o molto acclivi, una sostanziale uniformità che ben rispecchia il lorocarattere boreale e centroeuropeo.

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Ginestra raggiata (Genista radiata)

Mirtillo nero (Vaccinium myrtillus)

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25Per quanto concerne le pinete di pinosilvestre e/o pino nero, oltre alle citatesituazioni xeriche e continentali dellevallate steppiche (che sono le piùinteressanti, probabilmente, a livellonaturalistico), da riferire a Ononido-Pinion, si sottolinea la differenza tra lepinete centroalpine e comunque inter-ne, afferenti a Erico-Pinion sylvestris equelle più orientali, termofile e subo-ceaniche, di Fraxino orni-Ostryon car-pinifoliae, nelle quali si includono siaquelle a prevalenza di pino nero chequelle dei greti alluvionali (Alno inca-nae-Pinetum sylvestris).Nell’ambito di questa alleanza, le pine-te di pino nero sono riferite a Fraxinoorni-Pinetum nigrae e quelle di pinosilvestre a Chamaecytiso purpurei-Pinetum sylvestris. Solo nelle vallate interne a clima continentale, nelle Alpiorientali, si considera l’Erico-Pinetum sylvestris. Le pinete su suoli silicatici, ocomunque di substrati poveri di basi, sono di regola incluse nell’alleanzaDicrano-Pinion, appartenente alla classe Vaccinio-Piceetalia. Si tratta di pine-te di suoli magri (poveri di nutrienti, come del resto tutte le pinete), ma conmaggiore capacità di ritenzione idrica. Pinete su suoli torbosi, in ogni casomolto rare e di rilevante valore naturalistico, sono da riferire all’alleanza Betu-lion pubescentis.Nelle Alpi occidentali sono diffuse pinete anche su substrati serpentinosi e, aquote più basse, fino all’alta pianura, si formano pinete acidofile di brughiera,per lo più secondarie, di ripresa su terreni incolti. In tal caso sono presentielementi di Calluno-Ulicetea e di Quercetalia robori-petraeae.Un approccio interessante, fondato sulla dinamica vegetazionale, e quindi sulconcetto di serie, è stato sviluppato in alcuni territori (ad esempio il Trentino).Una carta delle serie di vegetazione (in cui il riferimento principale è quellodella comunità terminale), articolata per ogni regione, è attualmente in fase dipubblicazione, su scala 1:250.000, per iniziativa ministeriale.Per il Veneto, ad esempio, sono riconosciute, tra quelle considerate domi-nanti, le seguenti serie: Pinetum cembrae, Adenostylo glabrae-Piceetum,Adenostylo glabrae-Abietetum e Fraxino orni-Pinetum nigrae per i substraticarbonatici e Homogyno-Piceetum e Luzulo nemorosae-Piceetum, per quel-li silicatici.

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Lariceto in Valnontey (Val d’Aosta)

Citiso purpureo (Chamaecytisus purpureus)

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Livello fisionomico. Da una sintesi sulle conoscenze tipologiche delle regionialpine, si può rilevare una notevole diversità di situazioni ecologiche e selvicol-turali. Per ogni categoria (in tipologia forestale il livello più ampio e generico), itipi riconosciuti e descritti sono numerosi.

Non sono qui contemplati i piceo-faggeti (da trattare con le faggete anche nelcaso in cui l’abete rosso appaia dominante) ed anche le formazioni antropogene.Complessivamente si individuano una sessantina di tipi che sono indubbia-mente indicativi della grande varietà di situazioni in cui l’habitat che qui vienetrattato si articola.

Pinete di pino silvestre e/o pino nero. Le formazioni con pino silvestre, edeventualmente pino nero, danno luogo a una serie molto articolata di tipi, e ciònonostante le evidenti affinità ecologiche, fisionomiche e floristiche.I criteri per differenziarle si fondano sulla primitività dei suoli (di rupe, di fal-da detritica, ecc.), sulla natura dei substrati (carbonatici, silicatici, ancheserpentinosi in Valle d’Aosta), su basi geomorfologiche (dei greti, dei terraz-zi fluvio-glaciali o morene), sul grado di continentalità (esalpiche, mesalpi-che, endalpiche), su eventuali presenze significative di altre specie legnose(con faggio, con abete rosso) o erbacee (ad esempio con Molinia e felceaquilina, Pteridium aquilinum). Più raramente, trattandosi di formazioni azo-nali, si considera la fascia altitudinale. In Lombardia e Piemonte le pinete dipino silvestre, di probabile origine secondaria, scendono fino in pianura, supianalti, terrazzi morenici e brughiere.Alcuni tipi di pineta, specialmente quelle primitive e delle vallate interne conti-nentali, ospitano entità floristiche di pregio. Si tratta spesso di specie tipichedei prati aridi o degli ambienti di margine, ecotonali. Rilevante il valore fitogeo-grafico di queste formazioni, alcune di esse rare e al limite dell’areale. È il casodel pino nero che nelle Alpi orientali ha il suo limite occidentale e ospita entitàa gravitazione illirica - accompagnato da euforbia della Carnia (Euphorbia ker-neri) e ambretta di Ressmann (Knautia ressmannii) fino alla Valle del Mis - cheraggiunge il litorale al confine tra Veneto e Friuli, e che ha stazioni molto inte-ressanti sul versante adriatico dell’Appennino. Astragalo-Pinetum sylvestris,Ononido-Pinetum sylvestris, Odontito-Pinetum sylvestris e Onobrychidi-Pine-

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TIPI RICONOSCIUTI E DESCRITTI N. NOTE

MUGHETE 6 in aggiunta, formazioni a pino uncinato

PINETE DI PINO NERO E PINO SILVESTRE 17

ABIETETI 10 con numerosi sottotipi e varianti

PECCETE 15 in aggiunta, tipi secondari e di sostituzione

LARICETI, LARICI-CEMBRETI, CEMBRETE 10

Pino silvestre (Pinus sylvestris)

Specie ad ampio spettro ecologico,diffusa nell’arco alpino e in parte del-l’Appennino settentrionale.Dalla fascia collinare (sporadicamen-te, anche in pianura) e dai greti ghiaio-si di fondovalle, con optimum nellafascia montana, si spinge raramentefino al limite della fascia subalpina(2000-2100 m di quota nel settoreoccidentale).Si tratta di una specie pioniera, fruga-le, in grado di vincere la concorrenzain ambienti difficili, quasi estremi. Lasi osserva infatti dominare sulle conoi-di e sulle falde detritiche dolomitiche

interessate da periodi di rilevante ari-dità estiva, come su versanti rupestriassolati soggetti a forte ruscellamentosuperficiale. Molto vitale è anche inambienti torbosi, spesso assieme adabete rosso, pino mugo e betullapubescente.Nei distretti interni più continentali(endalpici), infine, forma boschi ter-mofili, a contatto con la roverella, giàa quote poco più che collinari, e incontiguità con prati steppici, di rile-vante valore fitogeografico.A quote più elevate, inoltre, può for-mare boschi puri, oppure misti conabete rosso e, in stazioni secche esuoli superficiali, anche con larice epino cembro. Come gli altri pini è spe-cie tendenzialmente eliofila, pioniera,a comportamento azonale. Vegeta siain condizioni estreme di elevata aci-dità (anche in brughiere a quote piùbasse, con la rovere) che su terreninettamente alcalini.Per effetto di incendi e di un progres-sivo uso del suolo che ne ha impeditol’evoluzione (ceduazioni intense, rac-colta di strame), il pino silvestre puòessere consociato al faggio in alcunevallate dolomitiche. Nella parte piùorientale, tra la Valle del Cordevole e ilconfine con Austria e Slovenia, formaspesso consorzi misti con il pino nero.Nelle Alpi occidentali si associa alpino uncinato.Sui greti torrentizi delle Alpi orientali,inoltre, a conferma della sua grandeadattabilità e del carattere pioniero, ilpino silvestre forma consorzi misti conontano bianco e, spesso, anche conabete rosso nelle stazioni più consoli-date e mature.La distribuzione appenninica del pinosilvestre è limitata al settore settentrio-nale, dove forma popolamenti, taloraanche puri e numericamente consi-stenti, dal territorio parmense a quellobolognese.

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tum sono associazioni segnalate nellevallate a clima steppico-continentale;esse ospitano talvolta entità rare,generalmente gravitanti in stazioni pra-tive aride, quali alcuni astragali (Astra-galus austriacus, A. centralpinus e A.excapus tra i più notevoli, oltre ai relati-vamente più diffusi A. monspessula-nus, A. onobrychys e A. purpureus),inseriti in liste rosse regionali. Numero-se sono, inoltre, le orchidee che vege-tano nei diversi tipi di queste pinete.Nel paesaggio vegetale alpino i rimbo-schimenti con pino nero occupanosettori significativi al punto da condizionare la stessa evoluzione dei suoli e daconferire al paesaggio un’impronta non trascurabile. In alcuni casi essi sem-brano, a un occhio non esperto, delle formazioni naturaliformi. Ad esempio,nella sola Val Venosta, sul versante a solatio (Sonnenberg) sono stati censiti970 ha di queste formazioni e ad esse è stata attribuita una specifica valenzasociologica: Carici supinae-Pinetum nigrae. Nella maggioranza dei casi tali for-mazioni insistono su fasce climatiche a prevalenza di latifoglie, soprattutto diambienti caldi e secchi (xerotermiche), in particolare con roverella. Nei settoriorientali e prealpini il pino nero è stato spesso utilizzato per impianti nellafascia di competenza del faggio.Il fascino che le pinete suscitano è dovuto alla luminosità delle chiome, allaloro regolarità, ai fusti elastici piegati dal vento. Le pinete rappresentano, inol-tre, un tipo di bosco che può essere definito “giovanile” (stadio non maturo,spesso destinato, nel tempo, a essere sostituito da formazioni esigenti suolipiù profondi) e che, come per i lariceti, si amerebbe poter mantenere a lungo,per l’armonia del paesaggio.

Pinete di pino uncinato. Sono limitate al Piemonte e ad un nucleo presso ilconfine di stato in Alto Adige. Quest’ultima pineta di pino uncinato è rappre-sentata dal bosco di Arlui, presso Resia, su substrato gessoso, con pino unci-nato dominante su larghi tratti e con prevalenza di piante caratteristiche degliErico-Pinetalia e dei Seslerietalia, quindi a carattere nettamente basifilo. In Pie-monte, regione in cui il pino uncinato ha una diffusione assai più significativa,la situazione è molto varia, in quanto le comunità costituite da questa elegan-te specie di pino montano sono distribuite tra 900 e 2100 m di quota e artico-late in 4 diversi sottotipi, sia basifili che acidofili, xerofili o mesofili. Essi afferi-scono, quindi, sia a comunità di Vaccinio-Piceion che di Juniperion nanae.

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Astragalo austriaco (Astragalus austriacus)

Pino uncinato (Pinus uncinata)

Questa specie, considerata molto vici-na al pino mugo, ma a portamentoeretto, è complessivamente pococonosciuta in Italia. Proprio per questomotivo, tuttavia, è meritevole di atten-zioni particolari. La sua distribuzione èdi tipo occidentale, soprattutto Pie-monte e Val d’Aosta, con stazioni nelLivignasco e in Alto Adige pressoResia, al confine con la Svizzera, doveinvece forma noti ed estesi popola-menti nel Parco Nazionale dell’Engadi-na. Questo pino occupa una fascia alti-tudinale altimontano-subalpina e pre-dilige (per motivi di concorrenza) ver-santi e stazioni di cresta su suoli primi-tivi, spesso su detriti consolidati. Lasua rinnovazione avviene sia su suolonudo, in erosione, che sotto copertura.L’apparato radicale sembra più adattoai substrati rocciosi, ma vegeta anchesu quelli incoerenti. I suoi popolamentisono spesso misti con altre conifere

(larice, pino silvestre, pino cembro) equalche latifoglia (sorbo degli uccella-tori, maggiociondolo alpino), a confer-ma che si tratta di comunità che man-tengono connotati primitivi in ambientidifficili, su terreni, spesso di naturagessosa, soggetti a movimenti e per-turbazioni. Sembra, inoltre, facilmenteattaccabile da agenti patogeni. Prediligesuoli a matrice carbonatica, sia pureacidificati in superficie. La sua distribu-zione interessa le vallate a clima marca-tamente continentale, a bassa piovo-sità. Le uniche stazioni appenninichedella specie sono localizzate nel settoreligure-emiliano.La posizione tassonomica di questaentità è ancora controversa, ma la mag-gioranza degli autori riconosce il rangospecifico di questo pino, nell’ambito diPinus mugo aggregato. Il termine pinomontano, di regola, va consideratosinonimo del complesso di tali entità.

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31L’aspetto più xerotermofilo, caratterizzato soprattutto dal citiso a foglie sessili(Cytisus sessilifolius), inoltre, è ricco di elementi occidentali mediterraneo-montani e rientra probabilmente nella classe Junipero-Pinetea. L’associazionedi riferimento per le situazioni evolute è l’Huperzio selagini-Pinetum uncinatae.La sovrapposizione con il pino mugo, nelle Alpi occidentali, rende la situazio-ne ancora più complessa. Queste pinete non hanno specie caratteristiche pro-prie e si localizzano in corrispondenza di creste, displuvi, versanti scoscesicon affioramenti rocciosi. Esse ospitano, pertanto, nello strato arbustivo ederbaceo, specie di varia provenienza, sia dai pascoli subalpini che dai boschipiù maturi di conifere o anche di faggio.Trattandosi di formazioni complessivamente rare, esse vanno consideratepregevoli e meritevoli di particolari attenzioni, anche perché sono espressio-ni di situazioni molto naturaliformi, scarsamente influenzate dalle attivitàantropiche.

Pinete di pino mugo. Considerandoche il pino mugo è specie arbustiva eche gravita spesso sopra il limite dellaforesta, queste pinete rientrano solo informa marginale nel complesso di for-mazioni alle quali è dedicato questoquaderno. Tuttavia, le evidenti affinitàcon gli altri pini e l’importanza cheesso riveste nel paesaggio dellenostre montagne inducono a dedicar-gli almeno un cenno.Nelle Alpi orientali si riconosconomughete fisionomiche, termofile, chepossono occupare versanti soleggiatisubmontani e scendere anche fino al fondovalle (Amelanchiero-Pinetummugo), da attribuire all’alleanza Erico-Fraxinion orni. Tra le specie caratteristi-che, anche la lantana (Viburnum lantana) dai fusti molto flessibili e tenaci. Que-ste mughete gravitano nella fascia degli ostrieti e delle faggete termofile. Aquote maggiori, sui versanti a sud, quindi ancora termofili, è diffuso l’Erico car-neae-Pinetum prostratae, mentre in ambienti più freschi e microtermi si svilup-pa il Rhododendro hirsuti-Pinetum prostratae. Le mughete dei substrati carbo-natici, ma decalcificati in superficie con humus profondo, sono state attribuiteal Sorbo chamaemespili-Pinetum mugo, che spesso forma mosaici con lecomunità precedenti, in relazione alla topografia di dettaglio. Rhododendroferruginei-Pinetum prostratae è, invece, esclusivo dei substrati silicatici. NelleAlpi occidentali, in stazioni boreali, calcaree e lungamente innevate, è segnala-

Lantana (Viburnum lantana)

Pino mugo (Pinus mugo)

Rispetto a tutte le altre conifere domi-nanti, questa specie così nota soprat-tutto nell’arco alpino, e così caratteristi-ca nel settore dolomitico e nelle Alpiorientali, si riconosce per il portamentoprostrato, formando densi arbusteti chedi solito gravitano a quote elevate, benoltre il limite della foresta, ma che pos-sono raggiungere anche i fondovalleprealpini (poche centinaia di metri diquota) in stazioni impervie, fredde e sul-le alluvioni ghiaioso-sabbiose dei tor-renti nell’Italia nordorientale. Non man-cano stazioni nella catena appenninica,sia al nord che al centro-sud fino allaMaiella e all’Appennino Campano.La straordinaria plasticità ecologica diquesta pianta, spiccatamente pionierae resistente, le consente di vegetareanche in stazioni estreme di torbieraacida a sfagni, dove dà vita a una dellecomunità più caratteristiche e merite-voli di conservazione. I mughi che sisviluppano in questo ambiente vengo-no spesso riferiti alla varietà rotundata,il cui valore tassonomico è ancoraassai discusso.L’eterogeneità degli ambienti che colo-nizza e le differenze nel portamento (dadecisamente prostrato a quasi eretto)hanno indotto a indagare sull’esistenzadi tipi tassonomicamente distinguibili ealcuni autori riconoscono, ad esempio,una stirpe boreale rispetto ad una meri-dionale sulla base di caratteri morfolo-gici, in realtà piuttosto deboli. Ciòdipende anche, e forse soprattutto, dal-l’esistenza di popolazioni di origine ibri-da, generalmente ammesse come tali eche investono anche i rapporti con ilpino uncinato.Nel pino mugo, oltre all’eccezionaleflessibilità dei fusti, resistenti sia allaneve sia alle scariche detritiche, colpi-scono la vitalità in ambienti estremi,anche in nicchie rocciose, e la capacitàdi sopportare forti variazioni di umiditànel suolo e ancor maggiori escursioni

termiche. I frequentatori dei sentieridolomitici sanno che risalire una densamugheta in una calda giornata estiva liespone a zaffate di calura impressio-nanti, ma apprezzano certamente laresistenza di questa conifera, dovendo-si aggrappare ad essa per superarepassaggi difficoltosi.Pur essendo una specie che caratteriz-za soprattutto i detriti di falda spiccata-mente dolomitici, con estensioni local-mente molto rilevanti che conferisconouna caratteristica impronta all’interopaesaggio, esso non disdegna neppuredetriti di matrice silicatica, anche parti-colarmente poveri e acidi, comportan-dosi da specie frugale, oligotrofica.Oltre che in formazioni pure, il pinomugo vegeta assieme ad altri arbustidella fascia subalpina e nel sottoboscodi peccete, lariceti, cembrete e pinetedi pino silvestre.

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ta l’associazione Arctostaphylo-Pine-tum mugo (riferibile all’alleanza Juni-perion nanae) che differisce dallemughete microterme delle Alpi orienta-li per l’assenza di erica e di rododen-dro irsuto e per significative differenzefloristiche nelle specie erbacee. Il cor-teggio floristico dei diversi tipi dimugheta è assai variabile, e non è pro-prio delle stesse. Merita, infine, ricor-dare i rari e preziosissimi lembi dimugheta a sfagni, tipico stadio termi-nale di una torbiera alta, ombrotroficain quanto resa indipendente dal livellodella falda e alimentata dalle soleacque piovane. Le mughete sonoespressione di un paesaggio i cui trattisono molto naturaliformi, prezioseanche nella loro frugalità e talvolta,quando sono estese su interi versanti, anche per l’uniformità. Esse sono unodegli aspetti più caratteristici dell’ambiente dolomitico.

Peccete. Le formazioni ad abete rosso sono forse, tra i boschi montani diconifere, le più note, le più produttive e quelle che maggiormente richiamanol’immagine della foresta boreale, almeno sulle Alpi. In verità le peccete sononettamente dominanti soprattutto nelle Alpi centro-orientali, con optimum nel-le regioni dolomitiche e verso la catena centrale, e diventano sempre menodiffuse verso le Alpi occidentali (vedi tabella a pag. 126).Nelle stazioni ottimali con clima continentale, le peccete sono diffuse dallezone fredde dei fondovalle alpini fino al limite della foresta, sui 2200 metri; ingenere sono superate in quota dai larici-cembreti. La tradizionale distinzionetra pecceta montana e subalpina, che per molti decenni è stata consideratal’unica meritevole di attenzione da parte di botanici e forestali, è oggi superatadalle nuove conoscenze tipologiche anzitutto, ma anche fitosociologiche.Basti pensare che una recente monografia dei boschi di abete rosso in Slove-nia, riconosce ben 23 distinte associazioni vegetali. In effetti l’abete rosso puòessere specie prevalente in differenti condizioni ecologiche. Nelle Alpi orienta-li la classe Vaccinio-Piceetea è articolata nei due ordini Piceetalia, dei substra-ti silicatici o dei suoli decalcificati, podsolizzati, e Athyrio-Piceetalia che inclu-de boschi mesotrofici, su suoli ricchi, spesso con abete bianco. Tra i boschiacidi dei substrati silicatici, si segnalano il Larici-Piceetum (più noto come

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Mugheta alle pendici del Gruppo del Sella(Trentino Alto Adige)

Pino cembro o cirmolo (Pinus cembra)

Vittorio Marchesoni, noto geobotanicotrentino, definì il pino cembro “l’alberopiù espressivamente alpino”.La sua bellezza, con sagome conichemolto armoniche, lo rende attraentecome il contrasto di colore (verdeintenso) con il larice (verde chiaro) chespesso lo accompagna. Il cirmolo con-tende al larice le fasce di vegetazionearborea più elevate, restando limitatoai settori a clima continentale (manca,ad esempio, nelle Alpi Carniche e Giu-lie, e nelle aree esterne più piovose).Non è infrequente osservarlo abbarbi-cato su spalti rupestri in siti inaccessi-bili.Anch’esso, al pari delle altre coniferealpine, è sostanzialmente indifferentealla natura del substrato, sia esso car-bonatico o siliceo. Ama spazi aperti eluminosi (raramente cresce bene sotto

copertura), ma mostra ampia tolleranzaper altri fattori ecologici. Rispetto allarice, tuttavia, esige stazioni con suolipiù asciutti, anche se non mancanocomunità in cui il sottobosco è caratte-rizzato da specie di statura robustacon foglie larghe, che prediligono suolifreschi e ricchi di nutrienti (megaforbienitro-igrofile).La sua diffusione nella fascia subalpina(raramente, infatti, scende in quellaaltimontana, dove è mescolato all’abe-te rosso) è favorita dalla nocciolaia(Nucifraga caryocatactes), che fa prov-vista dei suoi semi. Sopporta moltobene le forti escursioni termiche, men-tre rifugge da aree con ristagno idrico.In passato la sua diffusione è stata limi-tata, in alcune province, dalle scelteselvicolturali, ma negli ambienti lasciatiindisturbati appare oggi in ripresa.

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Homogyno-Piceetum), corrispondentealla vera e tipica pecceta subalpina e ilLuzulo nemorosae-Piceetum, in granparte coincidente con la pecceta mon-tana ed anche con il piceo-abieteto. Inquesto ordine si includono anche lerare ma interessanti peccete a sfagni.All’interno degli Athyrio-Piceetalia risul-tano ben rappresentate le peccete deisuoli carbonatici (a umidità del suoloassai variabile), riferibili all’associazio-ne Adenostylo glabrae-Piceetum, ed anche quelle a megaforbie con Adenosty-les alliariae. Le peccete montane con abete bianco e con alcune entità fagetali,quindi meno continentali e distrofiche, corrispondono all’associazione Veronicolatifoliae-Piceetum. Altre due associazioni rientrano nell’alleanza Abieti-Piceion,che richiama nel nome l’abieteto: si tratta del Calamagrostidi-Abietetum edell’Oxalido-Abietetum, due tipi di pecceta diffusi in Lombardia, spesso carat-terizzati dalla prevalenza fisionomica dell’abete rosso.Su ripidi versanti esposti a sud in stazioni a clima continentale, spesso confenomeni di ruscellamento superficiale, si segnala il Calamagrostio variae-Piceetum. Su substrati carbonatici, in zone poco acclivi ma ventose ed espostea sud (anche pianori carsificati) è presente la pecceta montana xerica Caricialbae-Piceetum. In corrispondenza di buche del ghiaccio e blocchi detritici daiquali fuoriesce aria fredda, si segnala l’Asplenio-Piceetum molto localizzato,ma di grande interesse vegetazionale, in quanto molto raro e che simula anchea quote modeste condizioni subalpine. A livello tipologico, come per le pinete,si possono riconoscere nell’arco alpino una ventina di tipi, classificati secondola natura del substrato e la fascia altitudinale. Nell’ambito delle peccete silicati-che si distinguono quelle dei suoli xerici da quelle dei suoli mesici. Peccete par-ticolari sono quelle azonali su alluvioni a Petasites paradoxus, quelle in ambien-ti di forra con aceri e frassini, quelle a Molinia in corrispondenza di ristagni idri-ci (Trentino) e, infine, quelle più primitive di falda o di rupe. La notevole diffusio-ne delle peccete è spesso determinata da motivi antropici: si tratta quindi, spe-cialmente a quote basse, di peccete secondarie di sostituzione. Su terreni aci-di, anche relativamente profondi, si osserva la grande capacità di rinnovazionedell’abete rosso su aree già occupate da pascoli.L’abete rosso, che connota il paesaggio con il verde cupo, può assumerediversi portamenti e tra questi sono singolari soprattutto quelli con piantecolonnari, filanti, specialmente nel periodo invernale. In condizioni climatichefavorevoli anche le peccete diventano boschi attraenti e in tal senso non è dif-ficile percepire la differenza rispetto a quelle secondarie.

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Farfaraccio niveo (Petasites paradoxus)

Pino nero (Pinus nigra)

Si tratta di un’entità tassonomicamentecomplessa, suddivisa in diverse sotto-specie, di cui due sicuramente presentiin Italia. La sottospecie tipica Pinusnigra ssp. nigra, pino nero detto ancheaustriaco, ha gravitazione illirica, pre-sente solo nell’estremo nord-est dell’ar-co alpino, con limite occidentale, natu-rale, nel Parco Nazionale Dolomiti Bellu-nesi, verso la Valle del Mis. Essa rag-giunge, dalla fascia collinare e montanainferiore in cui gravita, anche il litoralepresso Bibione e le foci del Tagliamento.Nell’Appennino, la sua presenza, spon-tanea, è estremamente sporadica dal-l’Abruzzo fino alla Calabria settentrio-nale. Alcuni ritengono che la varietàcosiddetta di Villetta Barrea, comunedel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio eMolise, meriti una maggiore considera-zione tassonomica, cioè un rangosuperiore a quello della varietà.Altrove è stato largamente utilizzato neirimboschimenti, tanto che in alcunesituazioni anche il suo corteggio floristi-co (insieme di specie presenti nellostrato erbaceo) assomiglia a quello del-le stazioni autoctone, naturali. A livellocollinare e submontano vegeta inambienti rupestri, in vallate piovose oricche di umidità atmosferica, pur evi-tando decisamente luoghi con ristagniidrici. Rispetto ad altre specie è partico-larmente efficiente nel risparmiareacqua, regolando gli stomi, nelle gior-nate assolate. Spesso è in competizio-ne con le specie che costituiscono gliorno-ostrieti e i querceti di roverella(carpino nero, orniello, querce).A quote maggiori, entra in competizionecon il faggio e, localmente, si spingefino a 1400-1500 metri (Dolomiti orien-tali di sinistra Piave). Nella parte occi-dentale del suo areale forma spessoconsociazioni con il pino silvestre chegradisce un clima tendenzialmente piùcontinentale. Il pino nero, di grande bel-lezza e facilmente riconoscibile a

distanza per il verde più intenso e gliaghi molto più lunghi, è specie spiccata-mente pioniera che occupa stazioniacclivi dove l’evoluzione del suolo risul-ta molto problematica. A differenza delpino silvestre, evita i greti ghiaiosi allu-vionali ed anche i siti torbosi. Inoltre, èspecie decisamente basifila (che predili-ge i suoli alcalini) e rifiuta, pertanto, isubstrati silicatici.La seconda sottospecie presente in Ita-lia (Pinus nigra ssp. calabrica, notocome pino silano o pino di Calabria) hauna distribuzione assai disgiunta checomprende Calabria, Sicilia e Corsicaed un’isolatissima stazione sui MontiPisani nella Toscana nordoccidentale. Adifferenza della sottospecie tipica, ilpino silano cresce su substrati silicaticie lave, dove forma consorzi aperti,spesso costituiti da esemplari di grandetaglia e pregio estetico, che si alternanoalla faggeta nella fascia montana. Lepopolazioni calabresi sono state recen-temente riconosciute come apparte-nenti ad una sottospecie autonoma.

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Abieteti. Nell’ambito di questo volu-me, dedicato ai boschi montani di coni-fere, ci si occupa solo delle formazionipovere di latifoglie, cioè dei piceo-abieteti e non degli abieti-faggeti,quindi di formazioni che rientrano neiVaccinio-Piceetea e non nei Querco-Fagetea. Nelle Alpi orientali gli abietetioccupano una fascia climatica inter-media tra le faggete e le peccete e sicollocano soprattutto nei settori mesal-pici, nella fascia montana, da un mini-mo di 600 a un massimo di 1600 m.Soltanto in territori con evidenti feno-meni di inversione termica (ad esem-pio sulle pendici che circondano la Piana del Cansiglio) gli abieteti si colloca-no a quote inferiori rispetto alle faggete, come del resto in Appennino. Neisettori meso-endalpici essi sono sempre superati in quota da peccete e lari-ci-cembreti.Alcune comunità che nella terminologia fitosociologica richiamano gli abiete-ti sono, in realtà, delle peccete. È il caso degli ambienti lungamente innevati amegaforbie (Adenostylo alliariae-Abietetum), oltre che del già citato abietetodei suoli mesici e fertili Oxalido-Abietetum. Al contrario, gli abieteti dei suolisilicatici magri sono riferiti al Luzulo nemorosae-Piceetum. Il rapporto tra abe-te rosso ed abete bianco, in molti casi, è condizionato dal trattamento selvi-colturale.La sola presenza dell’abete bianco e della sua spontanea rinnovazione, peral-tro, rappresenta un indizio ecologico molto interessante. La rinnovazione diabete bianco è spesso soggetta al morso degli ungulati che, se presenti inpopolazioni rilevanti, possono selezionarlo negativamente, favorendo altrespecie. Nelle aree in cui la pecceta è veramente climacica, la partecipazionedell’abete bianco è debole o del tutto assente, indipendentemente dal tipo digestione. Gli abieteti dei suoli carbonatici, che spesso sono interessati anchedalla presenza, sia pure subordinata, del faggio, sono espressione dell’Adeno-stylo glabrae-Abietetum. In gran parte delle Dolomiti si tratta dei boschi mon-tani più belli e caratteristici, soggetti a ruscellamento superficiale, con alter-nanza di periodi di relativa aridità, soprattutto estiva, compensata dall’umiditàatmosferica. In stazioni acclivi e ancora più xerotermofile è stato descritto, peril Trentino, anche il Carici albae-Abietetum. In proposito, sono state individua-te per il Trentino ben otto diverse associazioni, due sole delle quali afferentiall’alleanza Piceion abietis, il Vaccinio-Abietetum albae e il Calamagrostio villo-

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Abetina con larici sul Monte Vaccia (Valle Sturadi Demonte, Piemonte)

Larici in Val Ferret (Val d’Aosta)

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39sae-Abietetum albae. Le altre sonoclassificate in Luzulo-Fagion e, oltrealle due sopra citate, si segnalano ilCardamino pentaphylli-Abietetum, disuoli con scheletro, ma profondi e ric-chi di nutrienti, spesso in ambienti diforra, il Galio odorati-Abietetum albae,dei suoli più mesici e fertili, e due altrecenosi dei suoli più acidi e ricchi inabete rosso, il Pyrolo-Abietetum albaee il Luzulo niveae-Abietetum albae. InFriuli Venezia Giulia, regione particolarmente ricca di abieteti, per le condizioniclimatiche di elevata piovosità, si riconoscono solo due associazioni, quelladei suoli carbonatici (Adenostylo glabrae-Abietetum) e quella dei suoli mesici epiù fertili (Oxalido-Abietetum). In Lombardia si riconosce, oltre a quest’ultima,il solo Calamagrostidi-Abietetum. Nella sintesi di Pignatti sui boschi italiani (1998), l’abetina a rododendro (Rho-dodendro-Abietetum) è riconosciuta, nell’ambito della foresta boreale, qualeespressione climax della fascia subatlantica superiore e boreale in alcune valla-te piemontesi (1300-1800 m), anche sulle Alpi Marittime. Gli altri tipi di forma-zioni a prevalenza di abete bianco, secondo lo stesso autore, vanno trattati nel-l’ambito delle faggete, riconoscendo complessivamente i sette tipi seguenti:● Abieti-faggeta a Cardamine trifolia (Cardamini trifoliae-Fagetum) per AlpiCarniche e Venete● Abieti-faggeta a Oxalis (Oxalido-Abietetum), climatogena nella fascia suba-tlantica superiore delle Alpi centro-orientali, soprattutto nelle catene periferi-che. Anche l’Adenostylo glabrae-Abietetum e parte del Carici albae-Abietetumsarebbero da interpretare quali estremi di un unico campo di variabilità all’in-terno del quale si possono riconoscere numerose silvofacies.● Abetina a Carex alba (Carici albae-Abietetum). Considerata climax in setto-ri subcontinentali, su versanti acclivi e suoli meno umidi, particolarmente diffu-sa in Veneto e Trentino-Alto Adige.● Abetina a Calamagrostis (Calamagrostidi-Abietetum). Localizzata nel setto-re insubrico, a clima oceanico, e quasi sempre dominata da abete rosso.Anche nei Lagorai in Trentino.● Abetina a Trochiscanthes (Trochiscantho-Abietetum). Alpi piemontesi meri-dionali, anche in Liguria, con partecipazione di latifoglie tipiche degli ambientidi forra e corredo erbaceo fagetale.● Abetina a Veronica (Veronico urticifoliae-Abietetum). Sostituisce la prece-dente a quote più elevate, fino a quasi 2000 m, nelle Alpi Marittime (e nelle AlpiCozie francesi).

Larice (Larix decidua)

Unica conifera nostrana a foglie cadu-che, è sicuramente uno degli alberi piùrappresentativi e spicca nel paesaggioalpino di alta quota soprattutto per ledorate e brillanti colorazioni assuntenelle luminose giornate autunnali. Spe-cie facilmente adattabile che colonizzapendii franosi, cenge rupestri, pratiabbandonati, è meno competitiva suiterreni più profondi.Pur essendo osservabile anche a quo-te submontane (ma in ambienti difficilie su substrati rocciosi), il larice gravitasulle fasce di vegetazione più elevate,tipicamente a livello subalpino, nellearee a clima continentale, spessoassieme al pino cembro.Il larice trae vantaggio dal pascolamen-to (il calpestio agevola i punti di erosio-ne), e in effetti molti paesaggi alpini

sono il risultato di questa tradizione sil-vopastorale e si cerca di mantenerliancora in vita, ritardando l’affermazio-ne dell’abete rosso. Questa specieama stazioni aperte, ben soleggiatealmeno in estate. Resiste assai benealla copertura nevosa (tipici i fustiginocchiati alla base) e rifugge dallestazioni più aride.Assai caratteristici gli esemplari vetustie a più cime (a candelabro), parzial-mente rinsecchiti dai fulmini, così comequelli rivestiti di licheni, sia corticicoliche pendenti dai rami. Ovunque mostraelevata plasticità ecologica, risultandoindifferente alla natura del substrato eal grado di continentalità.I popolamenti di larice presenti nelsettore appenninico sono tutti di origi-ne colturale.

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Billeri a tre foglie (Cardamine trifolia)

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41Lariceti e larici-cembreti. Nel pae-saggio alpino, le formazioni boreali dilarice e/o pino cembro sono indub-biamente l’espressione più caratteri-stica dei boschi subalpini, verso illimite superiore della foresta. La lorovalenza ecologico-naturalistica non ècertamente inferiore a quella esteti-co-paesaggistica.I lariceti sono stati spesso consideratiformazioni primitive o secondarie,legate al pascolo, senza riconoscereloro una precisa valenza fitosociologi-ca, forse a causa della loro grandeplasticità ecologica.Nella situazione più tipica, con sottobo-sco di rododendro ferrugineo, ci sipotrà riferire al Laricetum deciduae (del-l’ordine Erico-Pinetea) su calcare e alLarici-Piceetum (dell’alleanza Piceionexcelsae) su silice. Per le formazioni con pino cembro, invece, i riferimentisono più facilmente individuabili. I boschi su substrato siliceo sono da ricon-durre al Larici-Pinetum cembrae (che rientra egualmente nell’alleanza Piceionexcelsae) mentre quelli dei substrati calcareo-dolomitici sono da riportare alPinetum cembrae (dell’alleanza Erico-Pinion mugo).A livello tipologico, in tutto l’arco alpino, si distinguono una decina di tipi chebene sintetizzano le diverse situazioni ecologiche. Tra i lariceti, trascurandoquelli secondari, si passa da situazioni primitive (su rupi) a quelle fresche conmegaforbie, a quelle in successione con pecceta in cui l’abete rosso già evi-denzia la sua vocazione climacica. Nei larici-cembreti, analogamente, si pas-sa da quelli primitivi a quelli tipici, a quelli con abete rosso, fino a quelli conontano verde, più freschi, vicarianti dei lariceti a megaforbie. In provincia diBolzano ha la sua massima espressione anche la cembreta pura, diffusa purein Piemonte, in particolare nel bosco dell’Alevé in alta Val Varaita, dove rap-presenta, su detriti di falda consolidati e grossi massi, un aspetto (cembreto-so) dello Junipero-Arctostaphyletum. Si tratta di uno dei maggiori gioiellinaturalistici della vegetazione forestale alpina.Lembi di lariceti e/o larici-cembreti vetusti, ricchi di legno morto, con esem-plari di notevole diametro e dalle conformazioni molto singolari, sono diffusiin diversi settori alpini, soprattutto in parchi e riserve naturali. Per essi sareb-be auspicabile un puntuale censimento.

I funghi dei boschi a conifere

I funghi, essendo organismi eterotrofi,dipendono dalla sostanza organicadisponibile, principalmente derivata dalmondo vegetale, che utilizzano conmodalità diverse.I funghi saprotrofi utilizzano sostanzamorta (tronchi, ceppi, lettiera, ecc.); ifunghi micorrizogeni formano legami disimbiosi, talvolta molto specifici, con leradici degli alberi (micorrize) e possonoin questo modo sopravvivere utilizzan-do carboidrati ceduti dalla pianta incambio di sali minerali e acqua; i funghiparassiti, infine, sono capaci di aggre-dire, a scopo nutrizionale, tessutiviventi degli alberi, producendo inevi-tabili danni sull’ospite. Essi possonoportare la pianta parassitata a morte econtinuare a vivere su di essa conmodalità saprotrofiche. Particolari esi-genze nutrizionali, specifici legamimicorrizici e ospiti obbligati in caso diparassitismo condizionano fortementei popolamenti fungini. Possiamo osser-vare diversi gradi di specificità neilegami con gli alberi.Alcuni funghi risultano legati ad un’uni-ca specie arborea: ricordiamo adesempio il laricino (Suillus grevillei)simbionte del larice, Phellinus hartigiiparassita dell’abete bianco e Strobilu-rus esculentus, colonizzatore sapro-

trofo di coni di abete rosso; altri, comei pinaroli (Suillus granulatus, S. luteus eS. collinitus), mostrano una specializ-zazione meno spinta, potendosi trova-re legati a specie diverse di pini a dueaghi; altre specie ancora, come il fungopatata (Catathelasma imperiale), mani-festano come apparente unica esigen-za, la presenza delle conifere sempre-verdi. È interessante osservare chealcuni generi, come Gomphidius,Chroogomphus e Suillus, comprendo-no unicamente specie legate alle coni-fere e non hanno rappresentanti al difuori di questi boschi. È singolare poi laspecializzazione micorrizica del genereLactarius, che comprende specieassociate in modo specifico con quasitutti gli alberi. Quanto ai funghi porcini,va detto che essi, pur essendo speciemicorrizogene, quindi vincolate neces-sariamente alle radici degli alberi, nonsono legate ad essi in modo specificoe quindi è possibile incontrarli indiffe-rentemente sotto varie conifere e varielatifoglie. In generale l’humus acido e grezzo deiboschi di conifere, con aghi in decom-posizione, rappresenta un substratoassai recettivo per diverse specie fun-gine, con la sola eccezione dei versan-ti e delle località più asciutte.

Fabio Padovan40

Rododendro ferrugineo (Rhododendronferrugineum)

Strobilurus esculentus Laricino (Suillus grevillei)

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Rinviando a quanto riportato nell’intro-duzione per una trattazione più genera-le, ma anche storica, dei boschi a coni-fere dell’area appenninica, è ora oppor-tuno tralasciare nella nostra analisi ipopolamenti di conifere totalmente oprevalentemente artificiali, per fissarel’attenzione sui popolamenti sicura-mente autoctoni che, per la massimaparte, hanno carattere residuale. Alloscopo è necessario suddividere lacatena appenninica in tre settori carat-terizzati da una diversa connotazionefloristico-fitogeografica delle formazio-ni residuali a conifere. Questi settoricorrispondono perfettamente a quellidefiniti dai geografi, che suddividonol’Appennino in tre porzioni (settentrio-nale, centrale e meridionale). Uno spe-cifico e breve paragrafo sarà dedicato alle montagne della Sicilia, i cui popola-menti presentano un’affinità di base con quelli dell’Appennino meridionale.

■ I boschi di conifere dell’Appennino settentrionale

Il naturalista, o anche il semplice turista, che percorre le strade, i sentieri o, nellastagione invernale, discende le piste da sci o risale faticosamente i pendii inneva-ti dell’Appennino settentrionale con le racchette da neve o gli sci muniti di pelli difoca, si trova spesso ad attraversare boschi di conifere che suscitano la suaammirazione, tanto maestosi appaiono gli esemplari arborei, soprattutto quellidelle abetine ad abete bianco. Ebbene, come è già stato anticipato nel capitoloprecedente, la massima parte di questi boschi così estesi e ricchi di piante impo-nenti e vigorose è di origine colturale oppure, in qualche caso, di origine mista.Le formazioni forestali a conifere di sicura origine naturale hanno in questo setto-re appenninico una distribuzione sporadica e l’estensione dei singoli popolamen-

43Boschi di conifere nell’Appennino e in SiciliaMARCELLO TOMASELLI

Pino loricato (Pinus leucodermis)

Abetina nell’area di Campigna (Emilia Romagna)

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4544 adulti che possono raggiungere i 25 mdi altezza. I popolamenti del crinaleligure-emiliano situati negli habitat aelevata petrosità o copertura detriticasono formati, per la maggior parte, daindividui a portamento prostrato o pro-strato-ascendente che richiama quellodell’affine pino mugo, mentre individuieretti con habitus arboreo, anche se dialtezza relativamente modesta, si rin-vengono sui suoli più stabili ed evoluti.L’aspetto dei popolamenti a pino uncinato è quello tipico di formazioni prefo-restali (che preludono cioè allo sviluppo di un vero e proprio bosco) o perifore-stali (situate, cioè, al margine del bosco chiuso vero e proprio), con nuclei den-si intervallati a radure con vegetazione erbacea o a bassi arbusti. Sui versantipiù acclivi e rocciosi la formazione a pino uncinato è a diretto contatto conboschi naturali ad abete bianco; mentre su pendii più dolci con suoli più evo-luti confina con la faggeta altomontana. Lo strato arbustivo dei popolamenti apino uncinato del M. Nero è caratterizzato dalla predominanza del mirtillo nero(Vaccinium myrtillus) e del mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea), accompagnatidalla rosa alpina (Rosa pendulina); nello strato erbaceo la specie più frequenteè il migliarino capellino (Avenella flexuosa).

Popolamenti a pino silvestre. Nelle Alpi il pino silvestre trova il suo habitatottimale nelle valli più continentali, dove si concentra nella fascia montana, purformando spesso boschi più termofili anche nell’ambito della fascia collinare.Nell’Appennino settentrionale il pino silvestre si trova al limite meridionale del-la sua distribuzione italiana ed è confinato a poche stazioni di tipo relittuale trail settore parmense e quello bolognese, tutte comprese nella fascia collinare equindi, in senso stretto, fuori dall’ambito di questa trattazione. La maggior par-te di questi popolamenti sono costituiti da un numero limitato di individui pre-senti all’interno di boschi misti termofili con latifoglie decidue a predominanzadi roverella (Quercus pubescens), mentre altri si sviluppano nel contesto diarbusteti termofili a ginepro comune (Juniperus communis) e citiso a fogliesessili (Cytisus sessilifolius). Vi sono, infine, popolamenti pressoché puri concarattere pioniero che colonizzano versanti acclivi, a elevata petrosità edesposti nei quadranti meridionali.I popolamenti a pino silvestre, puri o misti con altre conifere, che si riscontra-no nella fascia montana sono tutti di origine colturale. È stata riscontrata unacerta tendenza del pino a disseminare ed a riprodursi spontaneamente daseme anche al di fuori di questi popolamenti.

ti è, generalmente, piuttosto ridotta. Una caratteristica fitogeografica accomunale specie di conifere che nell’Appennino settentrionale formano popolamenti il cuiindigenato appare definitivamente accertato: si tratta di specie a distribuzionegenerale estesa ad ampie aree dell’emisfero boreale, come nel caso del peccio oabete rosso, che è specie eurosiberiana, e del pino silvestre che è specie eura-siatica, oppure sono specie con distribuzione generale meno ampia, ma semprecon baricentro situato a nord dell’Appennino, come nel caso dell’abete bianco,che ha un areale generale di tipo centro-europeo, o del pino uncinato, che è entitàtipica delle montagne centroeuropee occidentali, in quanto distribuita, oltre chesulle Alpi, anche nel Massiccio centrale e nei Pirenei. Per tre di queste specie(pino uncinato, pino silvestre e abete rosso) le popolazioni naturali appenninichesono le più meridionali in Italia. La trattazione dei boschi di conifere dell’Appenni-no settentrionale partirà dai popolamenti di queste ultime tre specie.

Popolamenti a pino uncinato. Hanno una distribuzione estremamente loca-lizzata ed occupano una superficie di modesta estensione in corrispondenzadel crinale spartiacque ligure-emiliano, dove si concentrano presso la som-mità del M. Nero ad una quota compresa tra 1500 m circa e la vetta (1752 m).L’habitat è costituito da creste sommitali, versanti acclivi con elevata petrositàsuperficiale e falde detritiche stabilizzate. Distribuzione, entità e tipologia dihabitat denotano la natura relittuale di questi popolamenti. Sulle Alpi e suiPirenei il pino uncinato assume di regola un portamento arboreo, con individui

Popolamento a pino uncinato sul Monte Nero (Emila Romagna)

Rosa alpina (Rosa pendulina)

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Popolamenti ad abete rosso. L’indigenato dell’abete rosso nell’AppenninoTosco-Emiliano è stato riconosciuto fin dagli anni trenta del secolo scorso adopera del botanico fiorentino Alberto Chiarugi che interpretò in tal senso i datifloristici e quelli derivanti dall’analisi dei pollini fossili relativi al principale popo-lamento fino ad allora rinvenuto nell’Appennino settentrionale. Tale popola-mento era (ed è tuttora) localizzato in una valle laterale e secondaria dell’Ap-pennino Toscano in provincia di Pistoia (la Valle del torrente Sestaione) all’in-terno della Riserva Naturale di Campolino, dove si concentra ad altitudinicomprese, all’incirca, tra 1600 e 1750 m di quota. Nelle formazioni boschive della Valle del Sestaione l’abete rosso non costituiscepopolamenti puri, bensì consorzi misti con abete bianco e faggio. L’abete rossosi concentra in due distinte comunità forestali disposte lungo un gradiente altitu-dinale. Tra 1600 e 1700 m di quota l’abete rosso costituisce una componentequantitativamente minoritaria di una formazione mista ad abete bianco (la spe-cie predominante) e faggio. Il sottobosco di questa fitocenosi è caratterizzatodalla presenza di caprifoglio nero (Lonicera nigra), erba lucciola di Sieber (Luzulasieberi), piroletta pendula (Orthilia secunda) e mirtillo nero (Vaccinium myrtillus)che nelle Alpi solitamente caratterizzano i boschi di conifere. Oltre i 1700 m, incorrispondenza di stazioni rocciose aventi significato di rifugio pedologico, ilbosco si fa più rado, il faggio scompare e l’abete rosso diventa dominante, men-tre il sottobosco è costituito da una brughiera compatta di mirtillo nero e falsomirtillo (Vaccinium gaultherioides). Siamo nel cosiddetto “Pigelleto Chiarugi”, dalnome comune di pigella o piella attribuito localmente all’abete rosso, che costi-tuisce il cuore della Riserva Naturale di Campolino. Per completare il quadroricordiamo che individui isolati di abete rosso si rinvengono occasionalmenteanche a quote inferiori, per lo più in corrispondenza di affioramenti rocciosi nelcontesto di formazioni a predominanza di faggio, con presenza di abete biancoe di latifoglie più termofile quali acero di monte (Acer pseudoplatanus) e tiglionostrano (Tilia platyphyllos). Questa situazione sarà analizzata in dettaglio nelparagrafo relativo ai consorzi misti di faggio e abete bianco.L’indigenato dell’abete rosso nell’Appennino settentrionale non è tuttavia limi-tato alla valle del Sestaione. Nella seconda metà del secolo scorso sono statiindividuati altri popolamenti, sempre misti con abete bianco, di cui si è ipotiz-zato l’indigenato. Un popolamento quasi puro sia pure di modesta estensione,localizzato in prossimità del Passo del Cerreto nell’Appennino Reggiano è sta-to ritenuto di origine naturale da alcuni autori. Le analisi genetiche recente-mente compiute non hanno avvalorato questa ipotesi e, pertanto, la naturalitàdi tale popolamento rimane per lo meno dubbia. Definitivamente accertataappare la naturalità di un popolamento, numericamente assai ricco e costitui-to da circa 200 individui adulti di cui alcuni secolari, scoperto di recente nel-l’alta Val Cedra nell’Appennino Parmense.

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Bosco con abete bianco e abete rosso nell’Appennino Tosco-Romagnolo

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49Popolamenti ad abete bianco. La presenza di questa conifera nell’Appenni-no settentrionale appare quantitativamente assai più rilevante rispetto alleprecedenti. La massima parte dei popolamenti è tuttavia costituita da abeti-ne colturali; non mancano, comunque, gli esempi di formazioni di sicura ori-gine naturale, anche se il loro numero è abbastanza ridotto.L’abete bianco nativo si rinviene per lo più all’interno di consorzi misti colfaggio, nel contesto di formazioni forestali che fisionomicamente assumonol’aspetto di abieti-faggeti. I rari esempi di popolamenti puri sono localizzatiin stazioni di rifugio pedologico, ovvero in corrispondenza di affioramentirocciosi, dove la relativa aridità del substrato impedisce la competizione delfaggio. Nell’ambito dell’Appennino settentrionale l’abete bianco si ritrova sianella porzione occidentale, corrispondente ai settori ligure-emiliano e tosco-emiliano, sia in una zona ristretta dell’Appennino Tosco-Romagnolo, com-presa all’interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falte-rona e Campigna. Procedendo da nord-ovest verso sud-est i primi popolamenti ad abete bian-co si rinvengono in corrispondenza del versante settentrionale del M. Nero, interritorio piacentino. In questa località l’abete bianco forma boschi pressochépuri a densità variabile, che si presentano come formazioni aperte in un con-testo di praterie altomontane, oppure come situazioni forestali relativamentechiuse. In ambedue i casi i popolamenti sono dislocati su versanti acclivi adelevata petrosità.

Sporadicamente l’abete bianco si può ritrovare nello strato arboreo delle fag-gete della fascia montana superiore, accompagnato dal sorbo degli uccella-tori (Sorbus aucuparia) e dal sorbo montano (Sorbus aria).Nel settore tosco-emiliano l’abete bianco si rinviene nel contesto della fasciamontana dominata dal faggio, in popolamenti di entità variabile e con distri-buzione assai discontinua e sporadica. Alcuni di questi popolamenti sonopuri o quasi puri, ovvero con scarsa presenza o addirittura assenza del fag-gio, ed appaiono concentrati su aree di modesta estensione. Essi sono costi-tuiti da poche decine fino ad un migliaio di individui e sono localizzati, anchein questo caso, in corrispondenza di affioramenti rocciosi. Stazioni di abetebianco con queste caratteristiche sono state rinvenute nell’Appennino Par-mense (in Val Cedra) e nell’Appennino Reggiano (sul versante settentrionaledel M. La Nuda a circa 1700 m di quota, sul M. Ventasso ed in Val d’Ozola,alle falde del M. Cusna).Le concentrazioni di abete bianco insediato su suoli più profondi ed evolutiche occasionalmente si rinvengono all’interno delle faggete, sono in verità diindigenato assai dubbio e molto più probabilmente hanno un’origine coltura-le o mista, ovvero parzialmente colturale.Nell’Appennino Tosco-Emiliano tali faggete con abete bianco si rinvengono tra1300 e 1700 m di quota circa e corrispondono a popolamenti riferibili a duedistinte associazioni vegetali: Gymnocarpio-Fagetum e Daphne laureolae-Fagetum.

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Sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia) L’Abetina Reale nell’Appennino Reggiano (Emilia-Romagna)

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51Il Gymnocarpio-Fagetum si localizzaad altitudini comprese tra 1500 m e1700-1750 m di quota, in stazionirelativamente fredde a diretto contat-to con le brughiere a mirtilli che cre-scono oltre il limite superiore delbosco.Nello strato arboreo faggio e abetebianco sono occasionalmente accom-pagnati da abete rosso (solo nelle sta-zioni citate nel relativo paragrafo),acero di monte, sorbo degli uccellato-ri e maggiociondolo alpino (Laburnumalpinum).Il Daphne laureolae-Fagetum com-prende faggete che si sviluppano,indicativamente, tra 1100 e 1500 m diquota. Si tratta di boschi floristica-mente più ricchi dei precedenti e,soprattutto, dotati di un maggior numero di specie tipiche delle formazioni afaggio. Nello strato arboreo si ritrovano tutte le specie citate precedente-mente per il Gymnocarpio-Fagetum, ad eccezione dell’abete rosso, che pre-dilige ambienti più freddi, e con l’aggiunta occasionale del carpino nero(Ostrya carpinifolia).Nell’Appennino Tosco-Romagnolo estesi boschi misti di faggio ed abete bian-co sono presenti all’interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi.Anche in questo caso gli studi compiuti hanno rivelato la presenza di duedistinte associazioni, differenziate per distribuzione altitudinale: Galeopsi-Fagetum e Aceri platanoidis-Fagetum.I popolamenti della prima associazione sono per lo più formati da faggete purecon elevata ricchezza specifica situate tra 1200 e 1600 m di quota; solo in sta-zioni su detrito stabilizzato compaiono nello strato arboreo acero di monte eabete bianco.L’Aceri platanoidis-Fagetum è situato ad altitudini inferiori, comprese tra 800 e1200 m di quota. La sua composizione floristica è ancora più ricca di quellariscontrata nell’associazione precedente. Nello strato arboreo, oltre al faggioed all’abete bianco sono presenti l’acero riccio (Acer platanoides), l’acero dimonte, il tiglio nostrano, l’olmo montano (Ulmus glabra), il frassino comune(Fraxinus excelsior). Tra abete bianco e le latifoglie più esigenti esiste una fortecompetizione; nelle stazioni più umide e con suoli più ricchi queste ultimesopravanzano decisamente l’abete bianco.

Maggiociondolo alpino (Laburnum alpinum)

Abete bianco (Abies alba)

Nell’arco alpino gli abieteti sono assaimeno estesi delle peccete e, general-mente, si trovano in consociazione confaggio o con abete rosso. Essi occupa-no la fascia atlantica (quindi a quotemontane, dai 600-800 m fino ai 1500-1600 m). Nel complesso, l’abete biancogradisce condizioni termiche meno rigi-de ed evita le stazioni più acclivi e conforti escursioni termiche.L’abete bianco è molto più esigentedell’abete rosso per quanto concernel’umidità. In particolare soffre i periodidi aridità estiva e gradisce, quindi, pen-dii con esposizione fresca e vallate pio-vose o con elevata umidità atmosferi-ca. In alcune vallate dolomitiche, adesempio, caratterizza ambienti di forra.Soltanto nei distretti in cui incontrasituazioni altamente favorevoli, e vivein formazioni quasi pure, l’abete biancodimostra di essere competitivo anchesu versanti ripidi e suoli non troppoprofondi, eccezionalmente anche suprati o pascoli abbandonati.

Rispetto all’abete rosso sopportameglio, anche per molti anni, gli effettidella copertura. Di conseguenza, i taglie le aperture molto estese lo penalizza-no. Si può considerare specie menooceanica del faggio e meno continenta-le dell’abete rosso; esso gradisce,quindi, condizioni intermedie (mesofile)anche per questo fattore. Nelle Alpisudoccidentali, in cui l’abete rosso èprogressivamente meno competitivo,l’abete bianco fa valere le sue origini piùmeridionali. In alcuni settori alpini laspecie è stata penalizzata da scelte dipolitica selvicolturale. L’abete bianco èpresente lungo la catena appenninicafino alla Calabria. Anche in questo casola massima parte dei popolamenti sonodi origine colturale. Le stazioni naturalisono tuttavia relativamente frequenti edistribuite, sia pure in modo sporadico,a coprire tutta la catena. L’abete bianconella maggior parte dei casi forma con-sorzi misti col faggio. Raramente siriscontrano abetine pure.

Cesare Lasen50

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■ I boschi a conifere dell’Appennino centrale

Nell’Appennino centrale vengono meno pino uncinato, pino silvestre ed abeterosso. I popolamenti di conifere sono pertanto formati per la massima parte daabete bianco, che in questo territorio si rinviene in associazione non soltantocon il faggio, ma anche con il cerro (Quercus cerris). Un ruolo marginale rive-stono alcuni popolamenti di una particolare varietà di pino nero presenti nelParco Nazionale d’Abruzzo e gli arbusteti a pino mugo localizzati oltre il limitesuperiore della faggeta nella Majella e nel Parco Nazionale d’Abruzzo.La presenza di consorzi misti costituiti da faggio ed abete bianco si riscontraoccasionalmente in tutto l’Appennino centrale, da quello marchigiano a quellomolisano, con la massima concentrazione nell’area a cavallo tra Abruzzo eMolise, dove si rinvengono diversi abieti-faggeti, alcuni dei quali istituiti a riser-va (Rosello, Selva Grande, Abeti Soprani, Vallazuna, Montecastelbarone, Col-lemeluccio, Montedimezzo).Nelle vallate che incidono la dorsale appenninica, le faggete con abete bian-co si ritrovano sui versanti calcarei o calcareo-marnosi non troppo acclivi, adaltitudini comprese tra 1200 e 1700 m di quota. Nello strato arboreo il faggioè generalmente la specie di gran lunga predominante, mentre l’abete biancocompare in modo piuttosto sporadico. Altre specie arboree frequenti sonol’acero di monte e il sorbo degli uccellatori. Dal punto di vista fitosociologicoqueste formazioni boschive sono state attribuite all’associazione Polysticho-

Fagetum. Procedendo verso il Molise,gli abieti-faggeti acquistano un’im-pronta floristica “più meridionale”,caratterizzata dalla comparsa di spe-cie la cui distribuzione geograficacomprende l’Italia meridionale e laporzione meridionale della PenisolaBalcanica; tra queste possiamo citarel’acero di Lobelius (Acer lobelii), tra lepiante arboree e il geranio striato(Geranium versicolor), tra le pianteerbacee. A quote inferiori, generalmente com-prese tra 700 e 1000 m circa, l’abetebianco forma consorzi misti in cui puòessere affiancato, oltre che dal faggio,anche da altre latifoglie, quali il cerro,il carpino bianco (Carpinus betulus),l’acero di Lobelius, l’acero d’Ungheria(Acer obtusatum), l’acero oppio (Acer campestre), il tiglio nostrano e il frassi-no comune. All’interno di queste formazioni boschive molto ricche di specie,il cerro assume spesso il ruolo dominante, costituendo vere e proprie cerretecon abete bianco. Dal punto di vista fitosociologico, questi consorzi mistirelativamente termofili sono stati valutati dagli specialisti come varianti adabete bianco delle associazioni Anemono-Fagetum sylvaticae e Aceri lobelii-Fagetum sylvaticae. Quest’ultima associazione si presenta sempre fisionomi-camente come una faggeta ed è diversificata dalla presenza dell’acero diLobelius. L’Anemono-Fagetum sylvaticae si differenzia per la maggiore inci-denza del cerro.Resta un ultimo tipo di habitat, ancora forse poco noto e studiato, in cui nel-l’Appennino centrale si può rinvenire, con una certa frequenza, l’abete bianco:si tratta del bosco di forra, che riveste i versanti acclivi delle valli strette eprofonde che occasionalmente incidono i rilievi. In questo habitat, in cui pre-dominano nettamente le latifoglie mesofile, l’abete bianco ha un ruolo tuttosommato marginale. Tra le latifoglie frequenti sono gli aceri (acero oppio, ace-ro di monte, acero di Lobelius e acero d’Ungheria), con l’acero di Lobelius cherisulta spesso dominante. Tiglio nostrano, frassino comune, olmo montano efaggio (presente in questo caso solo sporadicamente) completano il quadrodelle specie costitutive dello strato arboreo, che può raggiungere i 25 m dialtezza. L’associazione vegetale di riferimento per questi boschi è l’Aceretumobtusati-pseudoplatani recentemente individuata nell’Appennino Marchigiano.

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Pineta a pino nero (Parco Nazionale d’Abruzzo)

Pinete di reimpianto nel Parco Nazionale d’Abruzzo

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54 55Per quanto riguarda i popolamenti a pino nero, essi non si diversificanosostanzialmente, né come composizione floristica, né come habitat, daquelli, più frequenti, che si rinvengono nell’Appennino meridionale e sarannotrattati nel prossimo paragrafo. Gli arbusteti a pino mugo sono stati studiatiin modo dettagliato solo di recente e sono stati suddivisi in tre comunitàvegetali distinte sia floristicamente, che come habitat.Alle quote più elevate (tra 2000 e 2450 m), sia sulla Majella che nel ParcoNazionale d’Abruzzo sono presenti popolamenti a pino mugo differenziatidalla piroletta pendula e dal salice retuso (Salix retusa), attribuiti all’associa-zione Orthilio secundae-Pinetum mugo. Si localizzano in corrispondenzadelle tasche di suolo più profondo che si formano sulle creste più elevate. Aquote inferiori (tra 1800 e 2100 m), sui versanti meridionali e acclivi di alcunevette del Parco Nazionale d’Abruzzo con substrato dolomitico, è stata indivi-duata l’associazione Polygalo chamaebuxus-Pinetum mugo differenziatadalla poligala falso-bosso (Polygala chamaebuxus) e dal fior di stecco o daf-ne mezereo (Daphne mezereum).Nello stesso intervallo altitudinale, però su pendii non troppo ripidi e su suo-lo profondo, esclusivamente sulla Majella, è stato rinvenuto un aggruppa-mento ad erba di S. Giovanni di Belleval (Hypericum richeri) e pino mugo.Verosimilmente si tratta di una mugheta secondaria, derivante dal taglio del-la faggeta al suo limite altitudinale superiore, praticato in passato per incre-mentare le aree a pascolo.

■ I boschi a conifere dell’Appennino meridionale

Le montagne dell’Appennino campano, lucano e calabro si distinguono netta-mente da quelle dell’Appennino centrale per la rilevanza assunta da boschi diconifere dominati da pini oromediterranei (vale a dire tipici delle montagne checircondano il bacino di questo mare). Un altro elemento differenziale è rappre-sentato dalla maggiore presenza dell’abete bianco, che tuttavia, anche in que-sto settore, non forma consorzi puri, ma partecipa alla costituzione di boschimisti con faggio e cerro, in posizione che può variare da marcatamente subor-dinata a dominante. Le ragioni del maggior rilievo assunto dall’abete bianconella formazione dei boschi montani dell’Appennino meridionale sono molte-plici. Sicuramente in epoca storica un ruolo importante è stato svolto dall’ado-zione di pratiche selvicolturali favorevoli alla conservazione di questa essenza.Andando più indietro nel tempo occorre considerare anche il ridotto impattoche le glaciazioni hanno esercitato sulla flora dell’Appennino meridionale.Durante il periodo glaciale nella parte settentrionale e centrale della penisolaitaliana l’abete bianco era, infatti, confinato solo a ristrette strisce di territorio aridosso delle coste, mentre nell’Italia meridionale la specie era diffusa anchesui rilievi interni dove sopravvivevano nuclei forestali relitti, verosimilmente dimodesta estensione. Da questi nuclei prese origine un’ondata di ricolonizza-zione verso nord non appena le glaciazioni terminarono e le condizioni climati-che ritornarono favorevoli alla diffusione dell’abete bianco.

Boschi di latifoglie con abete bianco. Attualmente nell’Appennino meridio-nale le popolazioni di abete bianco sono distribuite ad altitudini comprese tra650 e 1800 m sul livello del mare ed entrano a far parte di quattro diversi tipi dicomunità forestali, in combinazione con varie latifoglie decidue, tra cui alter-nativamente predominano faggio o cerro.Dal punto di vista floristico queste formazioni boschive sono accomunate dal-la presenza di un ristretto numero di specie erbacee endemiche, cioè esclusi-ve dell’Italia meridionale oppure presenti anche nella parte meridionale dellapenisola balcanica. L’elenco comprende l’euforbia corallina (Euphorbia coral-lioides), il fisospermo verticillato (Physospermum verticillatum), l’erba limonabianca (Melittis albida), nei boschi situati a quote inferiori, e la campanula del-le faggete (Campanula trichocalycina), il geranio striato (Geranium versicolor),e il ranuncolo di Calabria (Ranunculus brutius), nei faggeti di alta quota. In alcuni distretti montuosi della Basilicata incontriamo, a quote comprese tra900 e 1200 m circa, formazioni forestali miste in cui nello strato arboreo il cer-ro predomina su abete bianco e agrifoglio (Ilex aquifolium), che assumono ilruolo di specie subdominanti. Si tratta di comunità forestali particolarmentericche di specie, con uno strato di arbusti ben sviluppato e diversificato e conPoligala falso-bosso (Polygala chamaebuxus)

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uno strato erbaceo anch’esso numeri-camente assai ricco. Dal punto di vistafitosociologico sono state inquadratein una subassociazione ad abete bian-co dell’associazione Physospermoverticillati-Quercetum cerridis. In un ambito altitudinale compreso tra800 e 1500 m circa, e perciò parzial-mente sovrapponibile a quello occu-pato dalla precedente associazione,si rinvengono degli abieti-faggeti, incui le due specie principali sono accompagnate da agrifoglio (Ilex aquifo-lium), tasso (Taxus baccata), acero di Lobelius e, più sporadicamente, dacerro e ontano napoletano (Alnus cordata). Queste formazioni sono stateinquadrate in una variante ad abete bianco dell’associazione Anemonoapenninae-Fagetum sylvaticae, che si sviluppa soprattutto in stazioni localiz-zate sui versanti settentrionali o esposte alle correnti umide occidentali pro-venienti dal Mare Tirreno.Sulle montagne della Basilicata, ad altitudini comprese tra 1000 e 1450 m,sono stati rinvenuti alcuni consorzi forestali misti costituiti da uno strato arbo-reo di faggio, abete bianco e, in posizione subordinata, di acero di Lobelius.Queste formazioni sono concentrate sui rilievi rivolti verso il Mare Ionio, carat-terizzati da substrati litologici costituiti da arenarie. Tali rilievi sono, inoltre,caratterizzati da un clima decisamente meno oceanico rispetto a quelli orien-tati verso il Tirreno. Dal punto di vista fitosociologico questi boschi vanno rife-riti ad una variante ad abete bianco dell’Aceri lobelii-Fagetum sylvaticae, asso-ciazione descritta in origine proprio nelle montagne del versante ionico dellaBasilicata e successivamente rinvenuta anche in Abruzzo e in Molise, comeriportato nel paragrafo precedente.Restano infine da considerare le faggete d’alta quota, comprese tra 1450 e1800 m e concentrate nel Massiccio del Pollino, al confine tra Basilicata eCalabria. In questi boschi l’abete bianco è meno frequente e solo raramentecodominante col faggio nello strato arboreo. Quando sono presenti, gli esem-plari più vecchi di abete bianco riescono a svettare oltre la chioma del faggio.Altre specie che ricorrono, sia pure sporadicamente, nello strato arboreo oarbustivo sono una particolare sottospecie del sorbo degli uccellatori (Sorbusaucuparia ssp. praemorsa), l’acero di Lobelius e l’acero oppio. Dal punto divista floristico si tratta di una faggeta relativamente povera di specie anche sedifferenziata da entità erbacee che si localizzano preferenzialmente in questiboschi altomontani, quali ad esempio la campanula delle faggete e il ranun-colo di Calabria.

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Paesaggio dominato dal pino silano nella Sila (Calabria)

Agrifoglio (Ilex aquifolium)

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Pinete con pini oromediterranei.Sotto questa denominazione si acco-munano le formazioni boschive carat-terizzate dalla predominanza di pini lacui distribuzione si concentra sullemontagne perimediterranee. Durantel’era terziaria le pinete oromediterra-nee costituivano verosimilmente unafascia di vegetazione montana moltoestesa e ben definita, localizzata suiversanti più caldi ed asciutti, mentre suquelli più umidi e freschi erano diffuse formazioni a tasso ed agrifoglio. In con-seguenza dell’espansione delle faggete, avvenuta nel post-glaciale, i boschi apino si sono ritirati sulle creste ventose e sui versanti aridi inadatti ad ospitareil faggio e l’abete bianco. Nell’Appennino meridionale sono stati al momento individuati e studiati tredifferenti tipi di boschi a dominanza di pini oromediterranei: 1) la pinetaappenninica a pino nero di Villetta Barrea (Pinus nigra var. italica); 2) la pinetaa pino silano (Pinus nigra ssp. calabrica); 3) la pineta a pino loricato (Pinusleucodermis).Le pinete a pino nero di Villetta Barrea non sono esclusive dell’Appenninomeridionale, ma sono presenti anche nel Parco Nazionale d’Abruzzo, comeaccennato nel precedente paragrafo. Popolamenti isolati e di modeste dimen-sioni si ritrovano su alcuni rilievi della Campania e della Basilicata, mentrepinete abbastanza estese sono localizzate più a sud, nel massiccio del Pollinoe sui Monti di Orsomarso in Calabria. Si tratta di formazioni boschive apertesviluppate su substrato carbonatico, in corrispondenza di versanti acclivi adelevata petrosità ed esposti alle correnti umide provenienti dal Mare Tirreno.L’altitudine è compresa tra 950 e 1250 m circa. Lo strato arboreo è relativa-mente rado, tratto questo comune a tutte le pinete oromediterranee. Il pinonero può essere accompagnato da leccio (Quercus ilex), carpino nero, orniello(Fraxinus ornus) e, meno frequentemente, da faggio e carpino orientale (Carpi-nus orientalis). Alle quote più elevate sono stati riscontrati consorzi misti conpino loricato. È presente, di regola, un fitto strato di bassi arbusti, in cui pre-dominano la ginestra sericea (Genista sericea) e il citiso spinoso (Chamaecyti-sus spinescens). L’associazione fitosociologica cui sono state riferite questepinete è il Genisto sericeae-Pinetum nigrae.Le pinete a pino silano sono dominate dalla presenza del pino omonimo(Pinus nigra ssp. calabrica) recentemente riconosciuto come sottospecieindipendente all’interno del complesso ciclo di Pinus nigra e pertanto distintoda Pinus nigra ssp. laricio il cui areale risulta, di conseguenza, ristretto alla

59Abete dei Nebrodi e pino loricato

Abete dei Nebrodi (Abies nebrodensis)

Si tratta di una specie arborea endemi-ca della Sicilia, dove costituiva consor-zi misti col faggio, distrutti quasi com-pletamente nei secoli scorsi dagliincendi o dai tagli indiscriminati attuatiper aumentare il territorio dedicato alpascolo.Attualmente ne sopravvivono allo statonaturale circa 25 individui localizzati inuna ristretta area della catena delleMadonie e situati in ambienti aperti almargine della faggeta, tra 1400 e 1650m di quota.Per prevenirne l’estinzione la specie èstata riprodotta da seme in migliaia diesemplari. Dal punto di vista morfologi-co l’abete dei Nebrodi (vedi foto) èassai affine all’abete bianco da cui sidifferenzia per la taglia più ridotta, lefoglie più corte, più rigide e subspinosee le pigne molto più lunghe.Nel massiccio dell’Aspromonte sonopresenti popolazioni di abeti con carat-teristiche intermedie tra abete bianco eabete dei Nebrodi, attualmente in cor-so di studio per un’esatta definizionedella loro collocazione tassonomica.

Pino loricato (Pinus leucodermis)

È una specie arborea dal portamentoassai spettacolare ed eletta a simbolodel Parco Nazionale del Pollino, perquanto la sua distribuzione sia piùampia e comprenda anche altri rilievidell’Appennino lucano e calabrese e siritrovi perfino sulle montagne balcani-che. È un albero di media grandezza,caratterizzato da una corteccia partico-lare, fessurata in placche romboidaliche la rendono somigliante ad unacorazza. Al suo limite altitudinale supe-riore di distribuzione può assumere unportamento quasi prostrato. La crescitaè particolarmente lenta e l’albero risultaassai longevo. Se ne conoscono diversiesemplari pluricentenari: il record sem-bra sia di un’esemplare che avrebbeoltre 950 anni. Il pino loricato formaconsorzi aperti sui pendii carbonatici aquote comprese tra 600 e 1800 m, conesposizione prevalente verso sud.La specie, in declino fino ad una ventinad’anni fa, appare ora in recupero graziealla riduzione del pascolo e, special-mente nei suoi habitat di elezione, non èinfrequente un’attiva rinnovazione.

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Pineta a pino loricato (Pinus leucodermis)

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■ I boschi a conifere della Sicilia

Se escludiamo necessariamente l’abete dei Nebrodi, sopravvissuto con un’u-nica popolazione relitta di ridotte dimensioni che non forma un vero e propriobosco, gli unici popolamenti forestali a conifere che si rinvengono in Siciliasono quelli costituiti dal pino silano sulle pendici dell’Etna.Dal punto di vista floristico questi popolamenti appaiono nettamente differen-ziati da quelli calabresi per la presenza di specie arbustive ed erbacee ende-miche della Sicilia od estese anche ad altre isole mediterranee. Tra questecitiamo la ginestra dell’Etna (Genista aetnensis) e la carlina dei Nebrodi (Car-lina nebrodensis).Nel suo aspetto più tipico il bosco a pino silano dell’Etna è caratterizzato dauno strato arboreo in cui predomina il pino omonimo, frequentementeaccompagnato dalla roverella (Quercus pubescens) e, alle quote più elevate,dal faggio. Nello strato arbustivo predomina la ginestra dell’Etna, in quelloerbaceo la calamagrostide (Calamagrostis epigejos).L’associazione di riferimento è la Calamagrostio epigejos-Pinetum calabricae.Al limite superiore della sua distribuzione altitudinale, oppure su suoli laviciancora poco evoluti, l’associazione si presenta in un aspetto pioniero sottoforma di bosco rado a pino silano, con uno strato arbustivo in cui predomina-no due specie endemiche della Sicilia: l’astragalo siciliano (Astragalus sicu-lus) e il crespino dell’Etna (Berberis aetnensis).

61Corsica. Nell’Appennino meridionalele pinete a pino silano si rinvengono inCalabria (Sila e Aspromonte), dove silocalizzano costantemente su sub-strati silicei (scisti, gneiss e graniti) eda quote comprese all’incirca tra 1200e 1800 m, in generale sui versantiacclivi, soleggiati ed aridi, sfavorevolial faggio. Si tratta di formazioni fore-stali che possono risultare anche rela-tivamente fitte e costituite da fustaiedi pini che in qualche popolamentoannoverano individui secolari che rag-giungono diametri ed altezze conside-revoli (fino a 185 cm di diametro e cir-ca 50 m di altezza). Nello strato arbo-reo il pino silano predomina nettamen-te sia per altezza, che per copertura,accompagnato con una certa frequen-

za solo dal faggio. Nello strato arbustivo, piuttosto rado, si rinvengono spora-dicamente arbusti acidofili quali la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius) el’erica arborea (Erica arborea). Nello strato erbaceo predomina la costolinalevigata (Hypochoeris laevigata) e sono presenti diverse specie acidofile.L’associazione fitosociologica di riferimento per le pinete a pino silano è l’Hy-pochoerido-Pinetum calabricae.Le pinete a pino loricato sono formazioni aperte e rade che si rinvengono sualcuni rilievi dell’avellinese, della Basilicata (M. Alpi) e nel massiccio del Polli-no. Il pino loricato cresce su scarpate e pendii rocciosi carbonatici esposti asud, in genere a quote comprese tra i 1600 e i 2100 m. I popolamenti a pinoloricato non possono essere considerati come veri e propri consorzi boschivi,perché la copertura arborea dei popolamenti è troppo rada, con i singoli albe-ri spesso distanti tra loro e isolati. Alle quote più elevate il pino loricato formapopolamenti aperti con uno strato arbustivo denso formato dal ginepro nano(Juniperus nana), mentre a quote inferiori il ginepro è sostituito dal citiso spi-noso. Recentemente, nella Calabria nordoccidentale sono stati individuatialcuni popolamenti a pino loricato situati a circa 600 m di quota e facenti par-te di un consorzio forestale misto più denso e fitto di quelli riscontrati alle alti-tudini superiori. Lo strato arboreo è costituito, oltre che dal pino, che comun-que predomina, anche da alcune latifoglie termofile, quali carpino nero, orniel-lo e acero d’Ungheria. Nello strato arbustivo predominano il ginepro emisferi-co (Juniperus hemisphaerica) e il sorbo meridionale (Sorbus graeca).

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Astragalo siciliano (Astragalus siculus)

Pinus nigra ssp. laricio