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I Naviganti 4: “Mélangées”

di Monica Monti Castiglioni con la collaborazione di Seti

Dedicato a mia Madre

Rating: PG-13 Genere: Romanzo – avventura Riassunto: L’Enterprise NX-01 si ritrova in un luogo e un tempo imprecisato per dispetto di

un essere onnipotente che voleva fare uno scherzetto a un capitano dell’Enterprise.... che non è Archer.

Spoilers: Tutta Enterprise e il finale di The Next Generation, qualche riferimento qua e là a

tutto Star Trek. Dichiarazioni: “Star Trek: Enterprise” e tutti i suoi personaggi sono proprietà della Para-

mount e dei suoi autori. Questo è un racconto di fantasia, creato da una fan al solo scopo di intrattenimento e senza scopo di lucro.

Nota: Questa storia è ambientata tra “Terra Prima/Demoni” e “Questi Sono i Viaggi”. Ogni somiglianza a racconti, fanfiction, persone reali o fatti realmente accaduti è puramente

casuale.

******* Jonathan Archer, capitano della nave stellare Enterprise NX-01, sospirò leggermente quando

Hoshi Sato, l’ufficiale alle comunicazioni scosse di nuovo la testa. «No, signore.» disse la giovane. «Nessun segnale, nessuna trasmissione subspaziale.» Archer, in piedi accanto alla postazione di Sato, si rivolse al timoniere, Travis Mayweather:

«Ha capito dove siamo?» Il ragazzo scosse la testa. «No, signore. Non ci sono stelle riconoscibili.» O meglio: non ci

sono stelle. E la cosa era davvero allucinante. «Ha idea di cosa sia successo?» chiese il capitano all’ufficiale scientifico, la vulcaniana T’Pol. Lei scosse leggermente la testa. Tutti gli ufficiali presenti in plancia si girarono di scatto, quando una voce sconosciuta salutò

il capitano in francese. «Bonjour, mon capitaine!» Archer rimase a fissare l’uomo, appena apparso, che indossava una divisa rossa e nera, sul

suo petto Archer ebbe appena il tempo di riconoscere il simbolo di curvatura, dato che,

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quando stava per dire: “E tu chi (cazzo) sei?!”, l’uomo, guardandosi in giro brevemente, disse: «Pardonnez-moi, j'ai raté navire.» e svanì nel nulla.

Jonathan riportò l’attenzione su Hoshi: «Devo andare da Phlox a farmi visitare o lo avete vi-sto anche voi?»

«Chiunque fosse parlava in francese.» disse la linguista. «Ha detto “Buon giorno, mio capita-no.” E poi ha aggiunto: “Mi scusi, ho sbagliato nave.”»

«Sbagliato nave? In che senso?» Hoshi scrollò leggermente le spalle. «Dai nostri dati noi siamo isolati....» Archer non poté finire la frase, perché dalla postazione

scientifica partì un segnale. «Allarme di prossimità.» comunicò T’Pol. Il capitano ebbe appena il tempo di girarsi verso lo schermo e urlare: «Travis, vira!» Il guardiamarina, che già stava eseguendo la manovra, virò di colpo verso destra, tirando

quindi la nave verso il basso. Chiunque non era seduto o aggrappato saldamente, cadde a ter-ra, Travis compreso, l’Enterprise scivolò aggraziatamente sotto la nave appena comparsa, ma la gondola di dritta toccò lo scafo e scintille partirono nello spazio vuoto. (Possono partire scintille nello spazio vuoto?)

«Travis!» esclamò Archer, raggiungendo il timoniere. «Sto bene.» disse il ragazzo, ma fece una smorfia di dolore. «Chiami l’infermeria.» disse il capitano a Hoshi. «Trip a ponte!» Archer raggiunse un interfono. «Qui Archer.» «Abbiamo perso la gondola di dritta, ma che diavolo succede?» Il capitano sospirò leggermente. “Non toccate i motori a Trip.” «E’ quello che vorrei sapere

io.» «Capitano.» chiamò T’Pol per attirare la sua attenzione. «Credo di aver capito dove siamo.»

Indicò sullo schermo principale. Una bellissima galassia a spirale stava lentamente apparendo davanti a loro. «E’ come se stessimo uscendo da una bolla di oscurità e ora ci ritroviamo.... tra la Vita Lattea e la Galassia di Andromeda.»

Archer la guardò come se fosse pazza. «Non è possibile.» T’Pol gli lanciò uno sguardo che sembrava dire: “sono d’accordo con lei”, ma poi tornò a

fissare lo schermo. «Oh.» fece Hoshi. «Che spettacolo meraviglioso.» La Via Lattea, in tutta la sua grandiosità e

bellezza, era ormai completamente apparsa sui loro schermi. «Dov’è il nostro Sole?» Nessuno le rispose. La piccola stella gialla Sol, così come un’altra piccola stella gialla, Keid,

il sole di Vulcano, erano troppo piccole per essere distinte, anche solo parzialmente, nella Galassia.

«Ma come ci siamo finiti qui?» chiese Travis, che, ancora seduto a terra, si teneva una gamba dolorante.

«Capitano! Una comunicazione in arrivo. Audio e video.» Archer annuì: «Sullo schermo.» disse, un po’ a malincuore, dato che in fondo gli dispiaceva

togliere la vista della loro Galassia. L’uomo sullo schermo aveva la stessa divisa del “francese” che era apparso e scomparso po-

co prima. «Capitano.... Archer....?» Ma non disse altro, tanto che fu Archer a prendere la paro-la. «Qui è il capitano Jonathan Archer dell’astronave Enterprise. Mi può spiegare perché uno dei suoi uomini è stato teletrasportato a bordo della mia nave per alcuni secondi? E gradirei sapere perché ci siete venuti contro. Abbiamo perso una gondola di curvatura.»

«Noi....» L’uomo sorrise, apparendo quasi imbarazzato. «Sono il capitano Jean-Luc Picard, dell’astronave Enterprise.» Poi aggiunse. «Enterprise NCC-1701-D.»

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Archer lo guardò seriamente e camminò fino al centro del ponte. «Non esiste un’Enterprise con quella designazione. Chi siete realmente?»

«Capitano Archer,» riprese l’altro, la sua voce sembrava emozionata. «Mi permetta di farle prima una domanda. L’uomo di cui parlava prima è alto, capelli ricci e scuri, la salutava in francese?»

«Sì.» Jonathan cominciava ad essere stanco di quella situazione. Picard, sullo schermo, sospirò e si girò verso destra. «E’ di nuovo Q.» «Mi vuole spiegare?» replicò Archer. «Siamo al di là anche dell’ultima frontiera e per di più

senza una gondola.» L’altro annuì. «Sarò lieto di fornirle le informazioni di cui sono in possesso, capitano Archer.

Le chiedo di poter essere teletrasportato a bordo.» Jonathan lanciò un’occhiata al timone vuoto, Travis era stato portato in infermeria e pensò

che un attracco (non è la parola giusta) sarebbe stato fuori discussione, visto il danno che l’altra nave aveva fatto loro. Quindi se questo tale voleva rischiare con il teletrasporto, che lo facesse pure. Anche il capitano, ormai, utilizzava il teletrasporto, ma solo quando non c’erano assolutamente altri mezzi.

«Ha il permesso di salire a bordo.» disse Archer. «Ma solo lei. Archer chiudo.» Il volto di Picard sullo schermo fu sostituito dalla vista della nave. Ora potevano chiaramen-

te vedere la scritta “Enterprise NCC-1701-D” sullo scafo. «Riconosce la configurazione?» chie-se Archer, senza girarsi, a T’Pol.

La vulcaniana alzò un sopracciglio, ma non rispose. «Allora?» «Mi sembra ovvio.» disse T’Pol. «E’ una configurazione praticamente identica a quella

dell’Enterprise NX-01. Una sezione a disco e due gondole di curvatura su piloni. Questa nave ha in più una sezione cilindrica di carena.»

Non poteva darle torto. Ma voleva lo stesso controbattere. Non fece in tempo. Lo sfrigolio del teletrasporto e la luce di energia che tornava materia (in teoria dovrebbe essere il contra-rio, comunque vabe’) apparvero per lasciare subito il posto all’uomo alto e magro che si era presentato come il capitano dell’altra nave.

«Capitano Archer.» disse. «Per me è un onore incontrarla.» «Può seguirmi nel mio ufficio?» chiese Archer e, senza aspettare una risposta, si diresse nella

piccola stanza retrostante il ponte. Quando Picard entrò e la porta si chiuse alle sue spalle, Archer gli fece cenno di sedersi. «Ho la sensazione che qualcuno stia giocando uno scherzo poco divertente alla mia nave.» «Non solo alla sua, capitano.» disse Picard, in tono pacato. «E mi dirà che anche la sua “nave” è nei guai e lei non ne sa nulla.» Si abbassò per schivare

un condotto sul soffitto e si sedette alla scrivania. Picard pensò che lui non aveva mai avuto problemi del genere. Non si era mai reso conto di

quanto fosse in effetti piccola l’NX-01, lui che era abituato agli spazi ampi delle navi di classe Galaxy. «Non proprio. L’essere che lei ha visto sul ponte di comando poco prima che noi ap-parissimo, non è un membro del mio equipaggio e mi ha già fatto diversi scherzi.» Picard sor-rise leggermente. «Devo però dirle che è un onore incontrarla.»

Archer non replicò, ma rimase a fissarlo. «Vede.... le sarà difficile crederlo, ma io e il mio equipaggio veniamo dal ventiquattresimo

secolo.» Jonathan sospirò. «C’è di mezzo ancora Daniels, in tutto questo?» «No, capitano, ha fermato lei la guerra temporale, un anno fa, e da allora Daniels non è più

entrato in contatto con noi.» Lui scosse la testa. «E allora chi?»

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«Da.... Q.» «Q....? Q cosa?» «Q e basta. Viene da un Continuum spazio-tempo diverso dal nostro e....» «Si fermi.» lo interruppe Archer. «Ho già avuto a che fare con essere transdimensionali e so

che non è piacevole. Ma a parte questo.... Q, lei chi è?» «Gliel’ho detto. Sono il capitano Jean-Luc Picard dell’astronave Enterprise NCC-1701-D del-

la Federazione dei Pianeti Uniti.» «Federazione.» Archer si alzò in piedi e camminò lentamente avanti e indietro per quei po-

chi passi che la saletta gli concedeva senza dover abbassarsi. «Io ho già sentito parlare di que-sta cosa è.... E’ particolare.»

«So che Daniels le ha detto che lei sarà uno dei fondatori.» Archer si fermò e si chinò in avanti, appoggiando i palmi sul piano della scrivania. «Signor

Picard, finora ho visto viaggiare nel tempo uomini e donne, con i loro vestiti e pistole phaser, ma non intere navi.» Archer chiuse per un istante gli occhi. A dire la verità aveva visto uscire dalla curvatura la Verne, che non solo veniva da futuro, ma da quello di un altro universo. «per lo meno non navi grandi come la sua.»

«Ma è possibile viaggiare nel tempo anche con navi di classe Galaxy, come l’Enterprise 1701-D. Un mio predecessore viaggiò avanti e indietro con una nave klingon.»

Archer annuì lentamente ed ebbe la tentazione di chiedergli se giocasse molto spesso a foo-tball americano senza casco.

«Mes capitaines!» La voce venne dalla sinistra di Jonathan e lui ebbe la tentazione di sfilare la pistola phaser da dietro la sua sedia e sparare. «In questo caso il plurale è dovuto.»

«E’ colpa sua.» disse Picard ad Archer, poi si rivolse all’autoinvitato. «Cosa vuoi da me ‘sta volta Q?»

«Ho fatto un po’ di confusione, voi chiamate le vostre navi tutte Enterprise....» Indicò Archer. «La sua si chiama Enterprise, quella di Kirk anche, e tutte le altre, come le navi di Harriman e di Garrett.... Insomma, solo la mia amica Janeway ha avuto il coraggio di prendersi una Vo-yager. E’ già tanto che non abbia spostato qui anche una nave d’acqua.»

«VENGA AL PUNTO!» esclamarono insieme i due capitani. Si scambiarono una fugace oc-chiata e riportarono l’attenzione subito su Q.

«Voglio dire che portare qui lui» gesticolò verso Archer. «è stato un errore.» Sorrise beffar-damente a Picard. «Ma ora voglio vedere come te la cavi.»

«Qui dove? E soprattutto quando?» chiese Picard. Q gli sorrise e svanì nel nulla. «Quando? In che senso *quando*?» chiese Archer. «Viviamo a duecento anni di differenza, capitano Archer.» rispose lui. «Non so in che epoca

Q ci abbia mandato. Se nella mia, nella sua o....» «In una via di mezzo.» concluse Archer. «Visto che siamo a metà strada tra due galassie....» Un cicalio leggero arrivò dalla divisa di Picard. «Riker a Picard.» Archer lo guardò stranamente. Il capitano sfiorò il suo comunicatore. «Sì, numero uno?» «Trasmissione per lei in arrivo, capitano.» Picard si rivolse ad Archer. «Posso ricevere la chiamata qui?» Jonathan scrollò le spalle. Tanto ormai, peggio di così. L’altro uomo si alzò in piedi e uscì sul ponte di comando. Si avvicinò ad Hoshi e, quasi sus-

surrando, le disse: «Guardiamarina Sato, potrebbe accettare la trasmissione che arriverà dall’Enterprise D?»

Lei lanciò uno sguardo ad Archer, che le annuì. Poi fece scorrere le mani velocemente sulla

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consolle, quindi disse: «E’ sullo schermo.» Il volto di una giovane dalle orecchie a punta rimpiazzò la visione della grande nave. «Capi-

tano Picard.» disse, in saluto. «Capitano T’Pol.» replicò lui. «Dove si trova?» Archer sgranò gli occhi e lanciò un’occhiata al suo ufficiale scientifico, la quale, da brava

vulcaniana, lottava per sopprimere lo stupore. «Piuttosto dovreste dirmi dove vi trovate voi. Ho seguito la traccia del Continuum, ma fatico

a impostare la quinta dimensione. Mi dia una mano, o la mia missione andrà a farsi friggere.» «A metà strada tra la Via Lattea e Andromeda.» La ragazza sullo schermo alzò un sopracciglio. «Dove nessun uomo è mai giunto prima.» «Già.» Picard lasciò andare una risata amara. «Sappiamo entrambi come siamo finiti qui.» «Ma capitano, lei.... quello non è lo sfondo dell’Enterprise....» Archer camminò fino ad apparire nel suo campo visivo e poté sentire distintamente la vul-

caniana tirare un fiato di sorpresa. «Cazzarola, l’Ammiraglio Jonathan Archer!» esclamò. «Capitano Archer.» corresse lui. «E questa storia che tutti sembrano conoscermi, mentre io

non ho la minima idea di chi siate sta cominciato a stancarmi.» «Ma allora quella è l’Enterprise NX-01! Posso attraccare? Posso salire a bordo? Posso salutar-

vi? Posso incontrarvi?» Picard lanciò un’occhiataccia alla giovane, ben sapendo che poteva fare poco di più: il “ca-

pitano T’Pol” non dipendeva da lui. «T’Pol, penso sia meglio che attracchi alla mia nave.» «Sì, però io....» «T’Pol.» replicò Picard in un tono che non ammetteva repliche. «D’accordo.» Sfiorò il comunicatore che aveva sul petto. «Kirk a Enterprise.» Si girò verso Pi-

card e gli lanciò un enorme sorriso. «Quanta gente può dire di aver mai detto una cosa del genere?»

Se Picard non avesse avuto la mente ingombra dai pensieri su Q, avrebbe di sicuro risposto qualcosa di tagliente.

«Qui Riker.» si sentì. «Ah.» fece lei. «Giusto, perché Picard è sull’altra Enterprise.» Picard le lanciò un sorriso. «Capitano T’Pol, che ne dice di chiudere la comunicazione con

l’NX-01?» Ci mancava solo che la donna si mettesse a litigare in diretta con William Riker. «Avete dei comunicatori molto piccoli....» disse Hoshi, decisamente interessata. «Sì.» Picard annuì. «Sono quelli di nuova generazione. Fanno anche da traduttore universale,

grazie a lei.» Hoshi arrossì leggermente e gli sorrise. «La....» Archer si schiarì la gola. «La punta della freccia....» «Il simbolo della curvatura che disegnò sua madre guardando gli schemi dei motori di suo

padre.» concluse Picard. «Sì, è quella.» Archer sorrise. «Devo dire che questo incontro mi sta disorientando non poco.... ma sapere

che i motori a curvatura hanno un futuro, come l’esplorazione spaziale e le navi Enterprise.... è.... bellissimo.»

Il turboascensore si aprì e uscì Trip Tucker, capo ingegnere. «Ma allora le voci che sono ar-rivate sotto sono vere!» esclamò, fissando la nave sullo schermo. «Duecento anni dal futu-ro....»

«Trip.» disse Archer. «Ti presento il capitano Picard. Lui è....» «Il comandante Tucker.» concluse Picard. «E’ un piacere.» Trip gli sorrise e gli strinse la mano. «A che curvatura arriva?» Archer era certo di una cosa: se c’era di mezzo un motore, Trip non aveva problemi a fare

amicizie e conversazione.

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Picard esitò un istante a parlare. «Velocità di crociera curvatura 6, possiamo andare per po-che ore a 9,8 senza danneggiare i motori.»

Tucker avanzò sul ponte, fissando la nave. «Mi fa dare un’occhiata ai motori?» Hoshi sorrise. Aspettava quella frase. Picard preferì restare sul vago. «Vedrò quello che posso fare.» «Ma quella...» sussurrò poi Trip. «C’è una navetta.... là, a dritta. Assomiglia....» Si girò verso

T’Pol. «E’ la Verne! E’ la navetta di T’Mir!» «No, comandante.» Lo interruppe Picard, quasi dispiaciuto di dover abbattere il suo entusia-

smo. «E’ la navetta Kirk, non è la Verne.» Trip si appoggiò alla stazione si T’Pol con un braccio e rimase a fissare la navetta che attrac-

cava al largo porto d’ingresso della 1701-D. «Le assomiglia, però.» «Come la Verne è una nave temporale interuniversale. Il suo capitano è qui per studiare i

Q.» disse Picard. «Ci chiamano di nuovo, capitano.» disse Hoshi. «Sullo schermo.» «Kirk a Enterprise!» esclamò la ragazza vulcaniana. Picard sospirò. «Sì, capitano T’Pol, dica.» «L’attracco è stato perfetto, ha visto?» Lui socchiuse gli occhi. «Cosa doveva dirmi?» «Kirk a Enterprise!» Lei sorrise da orecchio a orecchio. «Non è una frase splendida? Penso

che a tutti dovrebbe essere data, almeno una volta nella vita, la possibilità di dirlo, non cre-de?»

«Non sorride un po’ troppo per essere una vulcaniana?» disse Archer, in sottofondo. «E’ vulcaniana solo per metà.» replicò Picard. «Per un quarto!» corresse la giovane. «Kirk a Enterprise. Posso farmi teletrasportare sull’NX-

01 ora?» «Abbiamo dei particolari da mettere a punto, prima.» La giovane gli lanciò uno sguardo deluso. «C’è qualcuno che si chiama Scott sull’NX-01?» Picard alzò gli occhi al cielo. «Dai, solo per azionare il teletrasporto!» «Possiamo parlarne dopo?» «Va bene.» replicò lei. «Kirk a Enterprise. Chiudo.» In quel momento Picard pensò che se l’avesse detto un’altra volta, le avrebbe sparato. «Abbiamo una gondola completamente distrutta.» riprese Trip. «E magari se....» «Vi daremo tutto l’aiuto possibile.» disse Picard. «Ora però è meglio che io torni sulla mia

nave. Per lo meno cercherò di capire come uscire da questa situazione e riportarci ognuno nel tempo e nello spazio corretto.» Sfiorò il comunicatore. «Picard a Enterprise. Uno da tele-trasportare.»

Quando svanì in uno scintillio di luce, Hoshi si rivolse al suo capitano. «Usano il teletraspor-to come noi usiamo il turboascensore....»

«Che facciamo noi, intanto?» chiese Trip. Archer sospirò. «Una diagnostica completa della nave. Così ripareremo tutto al più presto.

Chiama Malcolm e fatti dare una mano da lui.» Tornato sulla sua Enterprise, Picard incrociò subito William Riker. «Dov’è T’Pol?» «Nel suo ufficio, ma io l’ho evitata.» disse lui. «Ottimo lavoro.» replicò Picard. «Ma come ben sa, numero uno, l’ultima volta ci ha aiutato a

liberarci di Q.»

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«Certo. Sa essere irritante quanto lui.» Picard entrò nel suo ufficio, pronto per parlare con il capitano T’Pol. Nel frattempo, anche sull’Enterprise NX-01 il capitano stava parlando con T’Pol nel suo uffi-

cio. «Quindi le rivelazioni quantiche datano l’Enterprise-D come proveniente dal ventiquattresi-

mo secolo.... intorno al 2364.» «Capitano, le ricordo che le datazioni quantiche a distanza non sono molto attendibili.» Archer sospirò e si appoggiò all’infisso dell’oblò, guardando l’enorme nave che si stagliava

davanti a lui. «Sì, possono sbagliare di dieci, vent’anni. Non di più.» T’Pol non replicò, rimase in piedi ferma, anche lei intenta a fissare la nave. «Che cosa ne pensa?» «Riguardo a cosa?» «All’Enterprise D. Non crede che sia.... emozionante vedere il futuro della Federazione?» «I Vulcaniani....» Archer la interruppe, ridendo leggermente. «Sì, lo so, mi perdoni. Non provate emozioni,

quindi la vista del futuro non vi porta nulla.» T’Pol rimase in silenzio per un istante. «È affascinante.» Il capitano si girò verso di lei, guardandola interrogativamente. «Affascinante. È quello che

dice di solito.» «Non sono stata abituata a parlare di ciò che provo, capitano.» replicò lei. «Non so descriver-

lo a parole, ma credo che sia ciò che lei intende per “emozionante”. Dà un senso di.... orgo-glio?»

Lui le sorrise e annuì. Si chiese se sulla capacità (già scarsa) di T’Pol di reprimere le emozio-ni avesse influito di più il trellium-D o i quattro anni passati con un branco di Umani illogici, un Denobulano espansivo e un cane scodinzolante. E soprattutto con un Umano quale Trip Tucker. «Pensa che sia vero, allora? Che siamo stati scaraventati qui e ora da questo.... Q?»

«Al momento non trovo una spiegazione più logica, ma non è detto che non ci sia.» Archer osservò il bacino di attracco della nave. «E del capitano T’Pol?» «Il mio è un nome vulcaniano, è logico supporre che ad altre bambine sia stato messo il mio

stesso nome.» «Ha sentito cosa ha detto? Che è solo per un quarto vulcaniana. Ed è qui con una navetta

che assomiglia in tutto e per tutto alla Verne. Insomma, T’Pol, l’idea che quella ragazza sia....» T’Pol lo interruppe. «Capitano, preferirei che questa ipotesi e queste notizie rimanessero tra

di noi.» «Che cosa intende?» «Capisco che una conclusione logica è che quella ragazza possa essere, a tutti gli effetti, la

figlia di T’Mir.» Lei lo sapeva. Era un segreto tra lei e quella figlia che non aveva mai generato, ma T’Mir gliel’aveva detto, prima di ripartire per il suo universo. «Ma non voglio false illusio-ni.»

«O non ne vuole dare a Trip?» sussurrò lui. «Soprattutto al comandante Tucker.» Archer annuì. «Dia una mano a lui e a Malcolm a finire la diagnostica. Prima avremo il rap-

porto dei danni e prima potremo presentare il conto a Picard.» T’Pol annuì leggermente e uscì dall’ufficio. Archer rimase a fissare ancora l’Enterprise D: aveva visto il capitano T’Pol solo di sfuggita,

ma pensò di aver colto una certa somiglianza con T’Mir, anche se, per certi tratti, non riusciva ad inquadrare la similarità. --Eppure dev’essere qualcuno che conosco.-- pensò.

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Picard entrò nel suo ufficio, la giovane Vulcaniana era già seduta davanti alla scrivania. «Sai cosa rischiamo?»

«Ciao Jean, fa piacere anche a me rivederti.» disse lei. «Lo so, rischiamo di modificare il pas-sato. Ma ti vorrei fare qualche nome, giusto per ricordarti che non saremmo i primi.... vedia-mo....» Fece finta di pensare intensamente. «L’ammiraglio James T. Kirk, con tutto o parte del suo equipaggio, ha frognato più di una volta nel passato. Ti ricordo le balene megattere, tanto per dirne una.»

«Ha salvato la Terra.» replicò Picard, sedendosi di fronte a lei. «E quella volta che ha rischiato di far vincere ai nazisti la seconda guerra mondiale?» «Ha rimesso a poste le cose.» «Vogliamo parlare di Montgomery Scott, che ha fatto inventare l’alluminio trasparente qual-

cosa come cento anni prima del tempo?» «Queste sono solo voci, non è stato mai confermato nulla. E anche se fosse, è stato per sal-

vare la Terra.» «E l’invenzione del velcro, avvenuta grazie a una certa T’Mir, omonima di un’altra T’Mir che

ha evitato che una nave xindi del futuro di un altro universo distruggesse l’Enterprise NX-01?» Lui le sorrise leggermente. «So a cosa stai pensando, T’Pol. Ma è troppo rischioso.» «Se guardi i casini che ha combinato....» «Sì, lo so, hai ragione.» La interruppe. «Ma in questo caso è opportuno.... evitare troppi

coinvolgimenti.» La ragazza si alzò in piedi. «Ti rendi conto che su quella nave c’è mio padre? Il mio vero

padre, quello che non ho mai potuto conoscere?» Picard scosse leggermente la testa. «Vuoi dire tuo padre genetico. L’uomo che ti allevata e

cresciuta è il tuo vero padre.» «A lui non è stata concessa la possibilità di crescermi. E io voglio incontrarlo.» «Sai meglio di me cosa ti sia possibile e cosa no.» T’Pol distolse lo sguardo. «Quando Soval mi ha dato questa missione, non credevo che avrei

trovato anche l’NX-01. E’ stata una sorpresa per me.» «Non credo che lui lo sapesse, altrimenti credo che avrebbe mandato un altro studioso dei

Q.» T’Pol sospirò. «Sono abbastanza brava come ingegnere e so che il comandante Tucker avrà

bisogno di un aiuto per sistemare quella gondola.» «Vedrò quel che posso fare.» T’Pol si alzò. «Jean, non sono sotto la tua giurisdizione.» «No, ma io devo impedire che la linea temporale venga inquinata.» Gli sorrise. «C’è già una persona che sa della mia esistenza su quella nave.» Lui scosse leggermente la testa. «Come?» «Gliel’ha detto mia madre, prima di partire.» Picard sospirò. «Credo che potrai far parte della squadra che riparerà la gondola.» Lei gli sorrise. «Grazie, capitano.» Si avviò verso la porta, ma poco prima di uscire si girò

verso di lui. «Scusa, Jean, questa è una cosa che devo proprio dirti....» Lui le lanciò uno sguardo interrogativo. «Le poltroncine lilla.... sono davvero orripilanti.» Il capitano rise leggermente. «Secondo me invece, danno un tocco....» «Un tocco 1990.» disse lei. «Vado a trovare Spot. Mi accompagni fuori? Ho paura di Riker.» Picard aveva proposto una notte di sonno per essere lucidi e tranquilli, quando si fossero

messi a riparare la gondola. Archer aveva accettato di buon grado, soprattutto perché tutto

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quel caos gli aveva dato un mal di testa incredibile. Sapere che la missione della Flotta Astrale non sarebbe finita a breve lo rincuorava degli

sforzi e delle pene subite in quegli anni. Mentre Picard gli parlava dallo schermo, non aveva potuto fare a meno di notare, dietro di lui, un Klingon. Pensò a quali enormi progressi dove-vano essere stati fatti se i Klingon servivano a bordo dell’Enterprise, sottostando agli ordini di un capitano terrestre. Sempre che Picard fosse interamente terrestre. Sembrava un po’ Vulca-niano, a ben pensarci.

Fu distolto dai suoi pensieri da Trip che si stava alzando da tavola. «Grazie della cena.» disse Tucker. «Vado a risposare anch’io, così domattina sarò pronto per

ricevere la squadra dell’Enterprise D.» Uscito dalla mensa del capitano, Trip iniziò a scendere verso il suo alloggio, ma poi decise, quasi all’ultimo momento, di fare una deviazione. Suonò il campanello ed entrò quando sentì il permesso. «Ehi.» disse, sorridendo alla Vulcaniana, ste-sa a letto a leggere. «Cosa leggi di bello?» Si sedette sul letto accanto a lei e abbassò il libro per vedere. Era scritto in vulcaniano e lui non capì assolutamente nulla.

T’Pol ritrasse il libro e lo chiuse. «Uno studio su Surak.» rispose. «Sa di noioso.» replicò Trip. «Sai.... stavo pensando....» S’interruppe e guardò fuori dall’oblò

l’Enterprise D che fluttuava nello spazio vuoto privo di stelle singole. «Ti capita spesso?» Trip riportò l’attenzione su T’Pol. «Cosa?» «Di pensare. Me l’hai detto come se fosse una novità.» Lui scoppiò a ridere e si chinò in avanti. «Ti ho passato una maledetta cattiva abitudine, lo

sai?» Lei alzò un sopracciglio. «Pensavo a T’Mir. Quando ho visto quella navetta.... Come si chiama?» «Kirk.» «Quando ho visto la Kirk.... ho veramente sperato che fosse tornata T’Mir.» T’Pol annuì leggermente. «Sì, lo capisco.» «Prima lei.... poi Lorian.... poi Elizabeth.» Sospirò. «Ma per lo meno T’Mir dovrebbe star bene, ora. Almeno spero.» «Forse “ora” non è il termine esatto. Non è stata ancora concepita.» «Sì, ma il capitano diceva che è probabile che siamo stati catapultati nel ventiquattresimo

secolo.» Sospirò. «Di tre figli non ne abbiamo mai rivisto uno.» «Né concepito uno.» sussurrò T’Pol. Trip la guardò negli occhi. «Che ne dici di un po’ di neuropressione? Abbiamo bisogno di

essere in perfetta forma, domani?» T’Pol gli mise una mano sulla nuca e lo tirò a sé, baciandolo: «Va bene anche altro?» «Comandante Tucker!» Trip sgranò gli occhi, fissando l’uomo dalla pelle scura, apparso davanti a lui, che gli mo-

strava un enorme sorriso. Geordie La Forge lasciò a terra la borsa degli attrezzi e andò a stringergli la mano. «E’ un

immenso onore per me conoscerla.... e lavorare con lei!» «Grazie.» rispose lui, senza ricambiare l’entusiasmo. In quel momento comprendeva le per-

plessità che la sera prima Archer gli aveva esposto. «Le presento il comandante Data e il capitano T’Pol.» «Piacere.» Si schiarì la gola. «Non vorrei essere invadente, ma.... è un visore speciale quello

che indossa?» «Sì, vedo uno spettro un po’ più ampio del vostro.»

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Trip annuì lentamente. «Interessante....» «Iniziamo le riparazioni?» chiese La Forge. «Certo. Ecco, il maggior danno è qui.» Trip indicò il fianco della gondola. «Fortunatamente

non si è aperta nessuna breccia, ma i condotti e cavi di calibrazione sono fuori uso. La mia squadra sta riparando danni minori altrove. Ho riguardato la manovra di Travis, voglio dire, del guardiamarina Mayweather, e non ha toccato il vostro scafo.... come lo polarizzate, per provocare questi danni?»

«Usiamo scudi.» rispose La Forge. «Immagino che non verranno inventati ancora per qualche anno.» replicò Trip, un po’ delu-

so. «In effetti l’invenzione degli scudi avverrà....» iniziò Data. «DATA!» esclamò Geordie. «Mi scusi, comandante.» replicò lui. «Meglio metterci al lavoro.» disse La Forge. Trip fissò Data per qualche secondo, poi disse: «Noi ci siamo già visti da qualche parte?» «No, signore.» «Ha un volto familiare.» «E’ probabile che lei....» L’androide fu interrotto nuova da Geordie. «Data! Ho bisogno che

guardi tu questo collettore.» Tucker scrollò le spalle e riprese a lavorare assieme agli altri. «Mi farà dare un’occhiata ai

motori a curvatura?» Geordie gli sorrise. «Se fosse per me, non avrei problemi.» «Com’è andare a curvatura 9,8?» L’altro sorrise. «Be’.... veloce. Peccato che non siamo ancora riusciti a raggiungere curvatura

10.» «10? Caspita.» Trip sospirò. «Per quel che ne so, è come essere in tutto l’universo nello stes-

so momento.» «E’ maledettamente difficile evitare gli asteroidi.» disse il capitano T’Pol, da dietro il pilone. Geordie rise e Data, sentendolo, emise una risata forzata. Trip sorrise e, mentre saldava un cavo, disse: «Questa battuta l’ho già sentita....» Cercò di ri-

cordarsi chi e quando gliel’avesse detta. «Ce la riportò Travis, gliel’aveva detta T’Mir.» disse Malcolm Reed, arrivato in quel momen-

to. T’Pol gli lanciò un’occhiata, spostandosi poi ulteriormente dietro il pilone. «Già.» disse Trip. «Hai ragione. Come ho fatto a dimenticarmene?» Malcolm raccattò un cavo da terra. «C’è bisogno d’aiuto?» «E lo chiedi anche?» «Mi chiedevo» Reed si rivolse a La Forge. «che tipi di armamenti avete sull’Enteprise D?» «Al momento non ci possono dire nulla.» rispose Tucker. «Segreto del futuro.» «Purtroppo è così.» disse Geordie. «Ma confido nel farvi fare un giro al più presto, natural-

mente se....» Rise. «se io posso fare un giro sulla mitica NX-01!» «Sei il benvenuto.» disse Trip, guardando un cavo e ricordando quando aveva visto per la

prima volta sua figlia. «T’Mir ci sfagiolò tutto subito.... sia della sua parentela, sia della sua nave. L’unica cosa che ci tenne nascosta era la sua vera missione.» continuò. «Peccato che dei suoi motori a curvatura 7 era tutto andato a farsi friggere.»

«Be’, lei veniva dal futuro di un altro universo. Era più difficile che inquinasse la nostra linea temporale.»

«Io comunque è una cosa che non comprendo.» disse T’Pol. «Spiegamela tu, Data, che sei intelligentissimo. Perché Kirk ha potuto paspare nella linea temporale come e quando voleva

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e noi no?» «Capitano, mi sfugge il significato del verbo “paspare”.» «A me no!» esclamò Geordie. «Quindi vi chiedo, per favore, di cessare questa conversazio-

ne. Cerchiamo di riparare questa gondola al più presto.» «Ho un grado più alto del tuo, Geordie, ricordi?» «Charline, confronti mele e arance, tu vieni da....» «EHM!» esclamò T’Pol interrompendolo, mentre si alzava e velocemente si allontanava dal

luogo dove stavano lavorando per riprendere a lavorare altrove. «Chi è questo Kirk di cui parlate così tanto?» chiese Trip. «Be’, c’è chi lo considera il più grande capitano della Flotta Stellare.... c’è chi lo considera il

più grande casinista della Flotta Stellare.» Geordie ritrasse una mano e sospirò. «Non sapevo che gli spazi di questa nave fossero così stretti.»

«Ci provo io.» disse Trip. «Ci sono abituato.» «T’Pol ha le mani piccole, non farà nessuna fatica.» La Forge si rivolse a Data. «Puoi chiamar-

la tu?» «Certo.» Data si alzò in piedi e si girò verso la ragazza. «Capitano Tucker Reed! Può venire

qui un minuto?» Trip scattò in piedi. «Come l’ha chiamata?!» Malcolm lasciò cadere la pinza che aveva in mano, fissando Data. T’Pol trasalì, si girò verso di loro, sfiorò il comunicatore e disse: «T’Pol a Enterprise D. Una

da teletrasportare d’urgenza.» Pochi attimi dopo, T’Pol svanì in un lampo di luce. Geordie si avvicinò a Data. «Credo in fatto di casini batterai presto l’ammiraglio Kirk, Data.» Lui scosse leggermente la testa. «Cos’ho fatto ora?» «Worf ti ha aggiornato sui protocolli da seguire con il capitano T’Pol?» «No.» «Allora il premio casinista lo daremo a lui.» Trip si schiarì la gola per attirare la loro attenzione. «Il.... il sosia giallognolo di Soong qui

l’ha chiamata Tucker Reed. Potete spiegarci il perché?» Geordie sospirò. «No, credo che se qualcuno possa spiegarvelo, sia proprio il capitano Char-

line T’Pol Tucker Reed.» Beverly Crusher abbassò il tricorder. «No, non hai niente.» «Non posso non avere niente, ho un mal di testa atroce. E’ fortissimo, grande come una clas-

se Galaxy. Sto male. Ho i crampi. Ho la lebbra xyrilliana, la peste venusiana, il colera terre-stre, la sindrome di Pan’ar, il piede d’atleta, la sindrome di Krycek e quella del gatto.» Si la-sciò cadere indietro sul lettino. «Dammi un ipospray che mi stenda per qualche ora.»

«Non ti darò niente perché non hai niente.» replicò la dottoressa. «Ti prego, stendimi, fammi star fuori per una settimana....» «No. Alzati e vattene, non ho tempo da perdere con la finta vergogna.» T’Pol si tirò a sedere. «Beverly, ti prego. Come ci torno su quella nave, ora?» «Qual è il problema? Sei figlia e nipote, non omicida.» «Sì, ma.... è una situazione imbarazzante.» «Allora non tornarci, il comandante Tucker è un ottimo ingegnere e se l’è sempre cavata da

solo. Ora con l’aiuto di Geordie e Data farà anche meno fatica.» Bervely le sorrise. «E non do-vrei spiegare a te quanto è bravo tuo nonno, anche se di un altro universo.»

Lei scrollò le spalle. «È talmente bello che capisco perché mia nonna se lo sia preso.» Si alzò in piedi, sospirando. «Jean s’incavolerà. Ma a questo punto, quasi quasi, potrei anche andare a parlare con mio padre.»

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Picard apparve sulla porta. «T’Pol.» «Processata per direttissima!» esclamò lei. «Stendimi, Beverly! Ho la shranite!» «No, non sono qui per ricordarti che ti sei dimenticata di dire a Worf di aggiornare Data sul-

la tua posizione.... o di aggiornarlo tu stessa. Sono qui perché hai una visita.» «Visita?» chiese lei. Picard annuì. «Dall’NX-01.» Si scostò e il comandante T’Pol entrò in infermeria. «Capitano.»

le disse. «Comandante.» replicò lei. «Possiamo parlare in privato?» La giovane si alzò in piedi. «Sì, andiamo nel mio alloggio.» Beverly Crusher raggiunse le due T’Pol prima che uscissero dall’infermeria e chiese al co-

mandante: «Il dottor Phlox è a bordo?» «Sì.» rispose lei. «Devo assolutamente incontrarlo, i suoi appunti sulle nanocreauture borg sono stati impor-

tantissimi per me.» Così dicendo, Beverly scomparve oltre una porta laterale. T’Pol alzò un sopracciglio, quindi seguì il capitano verso un alloggio poco distante da lì. «Questa nave è enorme.» disse, entrando. L’alloggio di T’Pol non era stabilmente suo, era

per gli ospiti. Era formato da un ingresso con un’ampia sala che aveva quattro enormi finestre oblique sullo spazio. Una porta a sinistra dava su un piccolo disimpegno che portava alla ca-mera da letto e al bagno.

«Sì, anche se l’arredamento è discutibile.» Le indicò il divanetto sotto le finestre. «Si sieda, comandante.»

«Non prendiamoci in giro, T’Pol.» disse l’altra. «So benissimo chi sei e tu sai chi sono io.» La giovane sorrise. «Allora devi chiamarmi Charline, è così che mi chiamano in famiglia.» Si

avvicinò a un replicatore. «Tè?» «Alla camomilla?» Charline sorrise. «Certo.» Si girò verso il replicatore. «Tè caldo alla camomilla.» Sotto la luce azzurrognola si materializzò una tazza fumante. «Ho visto qualcosa del genere....» T’Pol si interruppe. «Lo so, in una stazione automatica di riparazione.» «Latte caldo zuccherato.» disse Charline al replicatore. Quindi prese le due tazze e andò a

sedersi accanto a T’Pol. La vulcaniana sorseggiò il tè. Con una vena di paura, chiese: «Come sta tua madre?» «Bene.» Charline sorrise. «Le mancate molto tutti e tre, ma sta bene.» «Tre?» «Tu, Trip e Malcolm.» Charline bevve un sorso di latte. «Mio padre è morto qualche anno fa.

È stata molto dura per tutti noi.» «Non so come Malcolm e Trip abbiano fatto a non cogliere subito la vostra somiglianza. Co-

sa fa ora T’Mir?» «Insegna all’Accademia della Flotta Stellare, a San Francisco. Ormai è passata dalla parte dei

teorici della curvatura.» T’Pol appoggiò la tazza vuota al tavolino di fronte a sé. «Non passa giorno che non pensi a

lei.» «Lo so.» Charline finì di bere il latte. Si sporse in avanti e abbracciò T’Pol, che ricambiò deli-

catamente. «Non credevo che avrei mai avuto la possibilità di vederti. Tu riuscirai di sicuro a tornare in-

dietro da qui....» Le prese il volto tra le mani e la baciò sulla fronte. «Dille che le voglio bene.» Charline le sorrise. «Sì, di sicuro.» Si alzò e andò a rimettere le tazze nel replicatore. «Sai,

anch’io non pensavo che vi avrei mai visti. Non credevo che avrei mai visto il mio.... padre

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genetico.» «Cosa intendi per padre genetico?» chiese T’Pol, che voleva scoprire quanto sapesse Charli-

ne, prima di parlare. Lei scrollò le spalle. «Diciamo quello che mi ha concepito?» «Quindi tu sai che....» Lasciò la frase in sospeso. «So che è il Malcolm Reed di questo universo. Ma è semplice, basta fare quattro conti e tu

sai meglio di me quanto siamo bravi noi Vulcaniani a farli a mente. T’Mir è partita da questo universo nove mesi prima della mia nascita, mio padre è uscito dalla sospensione vitale cin-que mesi prima. Non c’erano i tempi tecnici.»

«Sospensione vitale?» «Sì, fu colpito mortalmente mentre l’Enterprise cercava T’Mir. Ma sopravvisse.» Charline so-

spirò. «Si amavano davvero tanto.» disse. Le sorrise. «Ho un fratello minore. Si chiama Jona-than Lorian. Adesso è in servizio su una nave a curvatura 7.»

«È ufficiale tattico?» Charline scosse la testa. «No, mio padre l’ha voluto tenere lontano dalle armi. È un astrono-

mo. È in missione nella sezione di uranografia.» «Ottimo.» disse T’Pol. «Pensi di tornare a salutare gli altri sull’NX-01?» Charline sospirò. «Sì, tanto ormai Data ha fatto il danno. Andiamo al teletrasporto.» «Lo usate spesso.» «È diventato molto sicuro. Più delle navette, ormai.» Trip era in piedi contro la paratia della sala tattica, con le braccia incrociate. «Quindi....» disse. «Tu.... in pratica tu sei mia nipote. Cioè, sei la nipote del mio io dell’altro

universo.» «Esatto.» rispose Charline. «E saresti anche la.... figlia del Malcolm dell’altro universo.» continuò lui. «No.» disse Charline. «O meglio, il Malcolm dell’altro universo mi ha cresciuta, come se fos-

si sua figlia.... come un padre. E siamo geneticamente legati, ma a tutti gli effetti....» Si girò verso Reed. «Mio padre sei tu.»

«C-come faccio ad essere tuo padre?» chiese lui, balbettando. «Io e tua madre.... cioè, noi....» Si schiarì la gola. Era già abbastanza difficile parlare di sesso, figuriamoci farlo con una figlia. «Insomma, l’abbiamo fatto una sola volta.»

«Sì, in sala di decontaminazione.» disse Charline. «E’ bastata quella volta.» «Tu gran figlio di....!» esclamò Trip. Malcolm batté in ritirata abbastanza in fretta da evitare un altro pugno per quell’episodio. «Comandante Tucker!» T’Pol lo richiamò all’ordine. «Ha messo incinta nostra figlia!» «Se dici così sembrerebbe che tu non sia contento che io esisto.» disse Charline. Trip sospirò. «Ma no! No, cosa dici....» L’abbracciò. «Io sono contentissimo che tu ci sia.» Lei gli sorrise. «Be’, allora smettila di litigare con mio padre.» Fece un passo indietro e si ri-

volse ai suoi nonni. «Mi lasciate un attimo sola con Malcolm?» «Ho un dejà-vù.» disse Trip, senza muoversi. «Certo, andiamo.» replicò T’Pol. Prese Tucker per un braccio e lo portò fuori da lì. Charline si girò verso Malcolm e si sedette sul tavolo. «Non dev’essere facile.» Lui scosse la testa. «No. Non lo è.» Rise nervosamente. «Ricordo che Trip mi ha detto che

era stato abbastanza sconvolgente ritrovarsi.... una figlia adulta. Ma anche molto bello. Solo che con lui c’era anche la madre presente.»

«Sì, è vero. E poi si è preparato per Lorian.»

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Malcolm rise leggermente. «Così la stirpe dei Reed non è finita con me.» «No.» disse lei. Reed sospirò e camminò fino alla consolle della sala. «Scusa se.... se non so cosa dire.» Charline si avvicinò a lui. «Non c’è bisogno di dire niente.» Gli mise una mano sulla spalla e

lui le sorrise. «Sei tutta tua madre.» le disse. «Le assomigli moltissimo.» Malcolm si girò e la abbracciò de-

licatamente. «So che ti voglio bene, anche se non ti ho mai visto prima.» Lei sorrise e appoggiò la fronte alla sua spalla. «Anch’io.» «Ti chiedo la sua mano.» Reed fece un salto indietro, quando sentì una voce venire dalla porta. Alzò lo sguardo e vide

di nuovo quell’uomo che era apparso in plancia il giorno prima, parlando in francese. «Q!» esclamò Charline. «Perché.... insomma, ero.... stavo parlando un minuto con mio pa-

dre, cosa vuoi?» L’uomo si avvicinò a loro. «La tua mano. E a quale persona è più appropriato chiederlo se

non a tuo padre?» Malcolm si girò verso Charline. «Tu lo conosci?» «Sì, lui è Q. E non voglio stare con lui.» Lei le sorrise. «Ma chère, hai una mente così interessante. Ti chiedo solo di passare un po’ di

tempo con me.» «Ficcati un siluro nel Q.» «Mi piace la tua aggressività.» «Hai sentito cos’ha detto?» Malcolm si mise tra di loro. «Non vuole stare con te.» Q si scostò appena per guardare Charline dietro di lui. «Paparino è protettivo, eh?» «Vattene.» disse lei, restando con le spalle girate verso di lui. «D’accordo, vi lascio discuterne un po’. Ne parleremo ancora, mon amour.» E svanì di nuo-

vo. «Ma.... chi è?» Charline scrollò le spalle. «Lascia stare. Si è invaghito di me solo perché ho litigato pesante-

mente con il comandante Riker.» «Solo per quello?» chiese Reed, sorridendole. «E chi è questo comandante Riker?» Lei sbuffò. «Mah, un uomo insignificante. Non farmi parlare di lui.» «Assomiglia tanto alla Verne.» Charline guardò fuori dal portello della Kirk. «Capitano Archer.» gli sorrise. «E’ un po’ che

non ci si vede.» «Veramente io non l’ho mai vista.» disse lui, appoggiandosi con una mano alla navetta. «No, giusto, ho visto l’Archer nel mio universo, una ventina di anni fa.» «Vent’anni?» Charline si scostò i ciuffi dalla fronte. «Sì, be’....» «Sono morto?» Lei sospirò. «Sì, nell’altro universo sì. Ma.... aveva una bell’età, per un terrestre.» «T’Pol mi ha detto che sua madre sta bene.» Salì sulla navetta. «Me la saluti.» «Certo.» «E’ più grande della Verne.» «Sì, più confortevole. Sono passati quarant’anni dal volo di mia madre. Ne è passata di ac-

qua sotto i ponti.» «Lei.... avrebbe quarant’anni?» chiese Archer. Lui aveva pochi anni in più, ma quella ragazza

ne dimostrava la metà.

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«Ammiraglio.... voglio dire, capitano, i miei geni vulcaniani solo diluiti, ma comunque ci sono.»

«Giusto.» Jonathan le sorrise. «Che ci fa a bordo dell’Enterprise-D?» «Il capitano Picard s’è deciso a farmi fare un giro, senza entrare nei particolari.» Charline gli fece cenno di sedersi a un tavolino. «A parte gli arredi, come le sembra?» «E’ bellissima.» rispose Archer. «E’ bella, grande, veloce. E’ bello che ci sia a bordo uno

dei.... “pronipoti” di Soong, che ci siano le famiglie. E un Klingon come ufficiale tattico.» «Worf è.... è una delle persone più incredibili che io abbia mai conosciuto. Sa essere simpa-

ticissimo, senza rendersene conto.» Jonathan annuì. «Però devo dire che.... mi piace di più la mia NX-01.» Charline rise. «Non posso darle torto.» «Hai pensato alla mia proposta?» Archer e Charline si girarono verso il timone, dove Q era apparso. «Ti ho già detto di no!» esclamò lei. «E l’ha fatto anche mio padre.» «Mi dai una buona ragione, per questo rifiuto?» Charline si sentì ribollire il sangue. Si alzò, girò intorno al tavolino per avvicinarsi ad Archer,

si chinò su di lui e, mettendogli le mani sulle spalle, lo baciò sulla bocca. Q emise un gemito schifato. «Va bene, ho capito.» Un’accelerazione improvvisa della Kirk fece cadere Charline addosso ad Archer, che la

strinse tra le braccia per non farla finire a terra. «Cosa stai facendo, Q?!» urlò lei. «Usciamo dall’hangar di lancio dell’Enterprise-D e andiamo a fare un giro.» «Oh, falla finita!» Charline si tirò in piedi e andò verso il timone. «Riportaci dentro.» «Ho pensato che vi porterò in un altro “dentro”.» disse lui. «Così avrai tempo di decidere se

è meglio lui,» indicò Archer verso il retro della navetta. «o io.» Detto questo svanì. «Merda!» esclamò Charline, sedendosi velocemente al timone. «Che succede?» chiese Archer, arrivando dietro di lei. Sullo schermo poteva vedere un pia-

neta verde chiaro avvicinarsi a tutta velocità. «Ci ha spostato altrove il fetente!» «Dove?» «Non lo so, ma ha anche fatto qualcosa ai motori. Siamo in caduta libera verso il pianeta!» Archer avrebbe voluto prendere i comandi, ma aveva la netta sensazione che quella nave

fosse più difficile da pilotare e comprendere della Verne.... e probabilmente anche dell’Enterprise-D. Si aggrappò alla maniglia sopra il portellone per cercare di tenersi in piedi. «Non ha i retrorazzi?»

«Sì, sono già attivati!» La navetta scese in picchiata verso terra. L’ultima cosa che vide Archer, prima dello schianto, fu l’erba verde davanti alla navetta. «Che cosa vuol dire “non è a bordo”?» Trip sentì la sua voce crescere nel tono. Il comandante Riker non fece una piega: «Al momento il capitano Archer non è bordo

dell’Enterprise D.» «Questo l’ho capito, ma mi vuole spiegare dov’è?» «Quest’informazione non ci è nota.» «Be’, direi che forse è il caso di iniziare a cercarlo. Tucker, chiudo.» Trip sbuffò.

«Quell’uomo è un idiota. Mi chiedo come abbia fatto a diventare il secondo in comando.» (Che goduria!) Si girò verso T’Pol. «C’è qualche altra nave in giro?»

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«Sì.» replicò lei. «C’è una navetta dell’Enterprise D.» «Segni di vita?» «Due. Ma non sono umani.» Trip scosse la testa. «Il capitano non avrebbe lasciato la nave senza avvertirci.» «E se c’entrasse quel tale? Quel.... Q?» chiese Malcolm. «Perché dovrebbe c’entrare?» chiese Trip. Reed esitò un istante. «Possiamo sapere se Charline è ancora a bordo dell’Enterprise D?» Hoshi scorse le mani velocemente sulla consolle. «Non risponde. Provo a contattare la sicu-

rezza dell’Enterprise D.» Attese ancora qualche istante. «No, non è a bordo.» Charline aprì gli occhi, sentendo un forte dolore che le pulsava nella tempia. Emise un gemi-

to e si tirò in piedi aggrappandosi al timone. Premette il tasto per la comunicazione: «Kirk a Enterprise.» disse. «Per favore, rispondete. Kirk a Enterprise.» Attese qualche istante. «Capita-no Tucker Reed a.... a chiunque sia in ascolto. Abbiamo bisogno di aiuto, noi....» Charline si girò di scatto, ricordando improvvisamente di avere un passeggero.

Corse verso il fondo della navetta e si inginocchiò accanto ad Archer. «Jonathan, mi senti?» Il capitano non rispose. Gli mise una mano sulla gola. Quando sentì il

battito cardiaco, forte e regolare, tirò un sospiro di sollievo. Si alzò di corsa per prendere un tricorder. Quando iniziò a passarlo vicino ad Archer, lui si

svegliò. Fece per alzarsi, ma la voce di Charline e un dolore atroce al fianco destro lo fecero desistere.

«Cosa è.... voglio dire, come mai siamo vivi?» «I razzi ausiliari di caduta hanno funzionato.» Guardò il tricorder. «Più o meno.» Si alzò di

nuovo per prendere una valigetta per il pronto soccorso. «Manderò un segnale automatico di aiuto.»

«Fallo subito, io posso farcela da solo....» Fece di nuovo per alzarsi, ma lei gli mise una ma-no sulla spalla sinistra.

«No, stai sdraiato. Hai una spalla dislocata e due costole rotte. Ti do qualcosa per il dolore, poi penseremo a come rappezzarti.»

«Non ce n’è biso....» Interruppe la parola a metà fissando l’ipospray che Charline gli aveva piazzato sul braccio. «In effetti va meglio.... Ma da quando gli ipospray si somministrano at-traverso l’uniforme?»

«Da qualche decennio.» replicò lei, senza pensarci troppo. «Ok, ora resta qui un minuto, va-do ad inviare il segnale d’aiuto.»

«La navetta non è progettata per farlo in automatico?» «Lo sarebbe, ma il sistema è andato fuori uso quando abbiamo sbattuto a terra.» Archer guardò fuori dall’oblò laterale, scorgendo solo cielo azzurro velato di nuvole bian-

che. «Dove siamo?» Charline alzò lo sguardo per la prima volta fuori dalla navetta. Scosse leggermente la testa.

Mosse le mani velocemente sulla consolle. «L’atmosfera è respirabile e sembra che non ci siano parassiti nocivi.»

«E’ un pianeta di classe Minshara?» «Minshara?» chiese lei. «Adatto alla vita umanoide.» «Ah, sì! Classe M.» esclamò lei. «Sì. Più o meno.... Oh cavolo.» Aprì il portello e guardò fuo-

ri. «Siamo su Ceti Alfa V. Quel bastardo e la sua ironia del cazz....» «E’ abitato?» Charline scosse la testa. «No. O per lo meno non dovrebbe. Qui davanti c’è una baita, ma

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credo che sia una costruzione di Q.» «Perfetto....» sussurrò Archer. «Bene, è ora di alzarsi.» Charline gli porse un braccio. «Attaccati a me. Usa solo il braccio sinistro.» «Questo è poco, ma sicuro....» sussurrò lui. Il dolore al fianco destro aumentò e lui strinse i

denti per non urlare. «Ce la fai ad arrivare alla baita?» «Sì, tranquilla.» Percorsero i dieci metri che li dividevano dalla porta d’ingresso più in fretta di quanto Char-

line avrebbe ritenuto opportuno con le ferite di Jonathan. Bussò alla porta, ma nessuno rispose. Alzò il tricorder. «A parte noi due, non ci sono segni

di vita nel raggio di.... qualche anno luce.» «Come fai a capirlo da quel tricorder?» chiese lui, mentre entravano nella baita. «Ehm, ah.... Ecco....» Indicò una sedia. «Siediti, vedrò di rimetterti a posto almeno la spalla.» La stanza principale era una sala con un angolo cottura, tavolo e sedie, un caminetto e un

divano dai toni caldi. «Non mi hai risposto.» disse Archer. «E’ un tricorder del futuro.» Aprì una porta sul fondo della sala. «Qui c’è il bagno.» Passò

all’altra porta. «Qui una camera da letto.» «Da quale futuro?» Charline sospirò e tornò vicino a lui. «Molto nel futuro. E’ un aggeggio che non dovrei avere

nemmeno io, non dirlo a nessuno, ok?» «Ok.» replicò lui. «Te l’ha dato la dottoressa Crusher?» «Jon.... sto parlando di ben oltre l’epoca di Daniels.» Archer alzò il braccio destro per prendere il tricorder tra le mani, ma se ne pentì subito. «Non muoverti.» disse lei. «E non toccare il tricorder. Non sono autorizzata a fartelo vedere.»

Gli mise le mani ai lati della spalla. «Vado?» «Immagino che tu abbia competenze mediche per rimettermela a posto.» «Sì, ho studiato alla Flotta Stellare, ho fatto svariati corsi di primo soccorso.» «Vai.» Archer sentì un improvviso, atroce dolore alla spalla. Questa volta non riuscì a tratte-

nere un urlo. «Scusa.» fece lei. «Va meglio?» Il capitano mosse lentamente la spalla. «Sì, direi di sì.» «Togliti la divisa, devo medicarti.» «Hai anche uno stimolatore osteogenico?» Archer si slacciò l’uniforme e sfilò lentamente il

braccio ancora indolenzito. «No.» rispose lei. Estrasse un cerotto circolare dalla valigetta. «Purtroppo ho solo un paio di

cerotti a rilascio lento, ci metteranno un po’ di più a saldarti le costole....» Lo appoggiò delica-tamente sulla pelle sopra le due costole rotte e Archer fece un balzo sulla sedia. «Scusa, t’ho fatto male?»

«No, hai le mani gelate.» «Mani fredde, cuore caldo.» Charline sorrise leggermente. «Ha un effetto collaterale dovuto

all’anestetico, dà sonnolenza.» «L’hai sperimentato?» «No, ma l’ho studiato.» Gli porse il braccio. «Vieni.» «Dove?» «Di là, tu non puoi fare molto conciato così.» Arrivarono vicino al letto. «Sdraiati e cerca di

dormire un po’.» «No, non posso dormire ora. Dobbiamo trovare il modo di ritornare indietro.» «Tra poco ti verrà parecchio sonno.» Lo spinse sul letto. «Forza, sdraiati.»

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«Se io....» «Senti, so che tu sei più vecchio di me, hai più anni di servizio di me, sei nato prima di me,

eccetera eccetera, ma sono anch’io un capitano della Flotta, quindi fammi il piacere di obbe-dirmi per una volta.»

Archer fece per controbattere, ma iniziò a sentire una forte sonnolenza e decise di acconten-tare Charline. Si stese, dicendo: «Va bene, solo due minuti.»

«Ecco, bravo.» Raccattò una coperta dai piedi del letto e gliela stese sopra. «Grazie.» sussurrò lui, nel sonno. «La Kirk ha lasciato l’hangar di lancio due ore fa.» Picard indicò sul monitor del suo compu-

ter. Trip si sporse in avanti, sopra la spalla del capitano. «Si può sapere chi pilotava?» «La Kirk non trasmette queste informazioni per motivi di sicurezza.» rispose Picard. Riker, seduto (stravaccato da cafonazzo come al solito) sulla sedia di fronte, iniziò: «E’ una

nave che viene....» «Dal futuro di un altro universo.» lo interruppe Trip. «Lo so, la prima a dire questa frase è sta-

ta mia figlia T’Mir.» «E’ una scelta particolare di termini, il suo “mia figlia”.» disse Riker, sorridendo. Trip gli lanciò uno sguardo di traverso. «Mi scusi?» [UCCIDILOOOOOOOOO!!] «Il capitano T’Mir non è propriamente sua figlia. E’ la figlia del comandate Tucker dell’altro

universo.» «Mi piacerebbe stare qui a conversare amabilmente di questioncine filosofiche.... ma ho bi-

sogno di scoprire dove sono finiti il capitano Archer e....» Sospirò. Se avesse detto “mia nipo-te”, l’altro avrebbe potuto avere di nuovo da ridire. Pensò di “tagliare la testa al toro”: «Il capi-tano T’Pol. Da chi è stato dato il comando di aprire l’hangar?»

«Dall’interno della navetta Kirk.» Picard alzò lo sguardo sulla porta quando sentì suonare il campanello. «Avanti.» disse.

Worf apparve sulla soglia assieme a Malcolm, che sembrava quasi scomparire accanto alla figura imponente del Klingon. «Signore.»

«Cosa avete scoperto?» «Non ci sono tracce di curvatura.» rispose Reed. Trip poté notare al volo che la sua voce era

tesa. In quel momento non si trattava solo del capitano Archer. Si trattava di sua figlia. E in quel caso nemmeno Riker avrebbe potuto dir nulla sulla paternità.

«E’ stato Q.» disse Picard. Reed annuì lentamente. «Charline mi aveva appena detto che Q....» Si interruppe. Era imba-

razzato, ma soprattutto irritato: era pur sempre la sua bambina! «Q aveva un debole per il capitano T’Pol.» annuì Picard. «E cosa c’entra il capitano Archer?» chiese Worf. «Si è solo trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.» replicò Riker. «Jon?.... Jon?.... Jonathan?.... Capitano Archer.» Jonathan Archer aprì gli occhi lentamente. Mise a fuoco e vide Charline. «Quanto ho dormi-

to?» «Cinque ore.» rispose lei. «Non avrei voluto svegliarti, ma la cena è pronta.» «Cena?» replicò lui. «Sì, sono stata più di quattro ore a cercare di contattare qualcuno.... senza successo. Dopo di

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che ha cominciato a venirmi fame.» Archer si mise a sedere, lasciando andare una smorfia per il dolore costante alle costole. «E

dove hai trovato il cibo?» «C’è il frigorifero pieno. Non abbiamo replicatori, però.» Lo aiutò a mettersi in equilibrio. «Q ha pensato a tutto....» «Perfino ai cioccolatini.» Archer si sedette a tavola e osservò il cioccolatino vicino al piatto. «A forma di cuore?»

[Commento di Sabina: “No, i cioccolatini a forma di cuore no!”] Charline alzò gli occhi al cielo. «Di *Q*uore.» «Hai detto che non c’è verso di contattare nessuno?» Iniziò a mangiare la pasta, in effetti an-

che lui aveva molta fame. La donna scosse la testa. «No. Comunque la Kirk continua ad inviare il segnale automatico. I

motori temporali e spaziali sono completamente fusi. Posso tentare di recuperare quelli inte-runiversali, ma viaggiare solo per universi paralleli vorrebbe dire rischiare parecchio.»

«Cioè?» «Dovremmo cambiare universo finché non ne troviamo uno dove possono darci una mano.

Passando per universi ostili o desertici, dato che non ho i controlli di rotta.» «Credo che sia un rischio che dobbiamo correre.» Charline annuì e sospirò. «Sì, senza dubbio.» «C’è qualcosa che mi sfugge?» chiese lui. «Non sono sicura di riuscire a ripararli.» Archer prese un’altra forchettata di mezze penne. «Per quel che vale, posso darti una mano.

Anche se....» «Be’, il tuo aiuto di sicuro sarà prezioso.» riprese lei. «Ma non abbiamo i componenti e senza

replicatori né alcunché per costruirli.... sarà molto difficile.» Il capitano annuì. «Ci vorrebbe Trip.» Charline rise. «Già.» «La gondola è riparata alla perfezione.» disse il comandante Tucker, appoggiato alla ringhie-

ra della passerella, mentre fissava il punto dove poche ore prima la squadra di La Forge stava lavorando. «Hanno fatto un ottimo lavoro.»

«E’ tecnologia nuova di 200 anni. Hai potuto guardare i motori dell’Enterprise D?» gli chiese T’Pol, in piedi accanto a lui con in mano un PADD.

«Sì, Geordie mi ha lasciato dare un’occhiata, ma abbiamo dovuto farlo quasi di nascosto.» Scosse la testa. «C’era quel tenente Riker che rompeva le palle.»

«E’ un comandante.» precisò lei. Tucker scrollò le spalle. «Sei preoccupato per Charline e per il capitano?» Lui annuì. «Certo che....» Lasciò andare una leggera risata. «“Charline T’Pol”.... E’ davvero a-

troce.» «T’Mir l’ha voluta chiamare così per noi, lo sai.» «Non per noi. Ma per i genitori del suo universo.» «Inizi a parlare come Riker?» chiese lei, appoggiandosi alla ringhiera accanto a lui. «No, cavolo, questo mai.» T’Pol annuì. «Non so se davvero l’abbia chiamata così per i nostri “alter ego” del suo univer-

so o per noi. In fondo Charline è stata concepita su questa nave.» «Se l’avessi saputo, le avrei detto di cambiare nome.» Rise. «E’ osceno.... “Charline T’Pol Tu-

cker Reed”.... è bruttissimo.»

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«Era contenta, non vedevo il punto di rovinarle la felicità per un nome.» Trip si girò verso di lei e le lanciò uno sguardo interrogativo. «Come?» «E’ solo un nome.» replicò T’Pol, quindi si diresse verso l’uscita della gondola. «No, aspetta.» Lei si girò e lo fissò. «Hai detto.... tu lo sapevi?» «Sapevo cosa?» «Che T’Mir era incinta. Lo sapevi quando se n’è andata da qui. Sapevi che T’Mir aspettava

una figlia da Malcolm?» T’Pol esitò a rispondere. «Sì.» disse, alla fine. «Me l’ha detto mentre eravamo in mare.» «E si può sapere perché me l’hai tenuto nascosto?!» La voce di Trip era più forte di quanto lui

stesso avrebbe voluto. La Vulcaniana lo fissò negli occhi: «Me l’ha fatto promettere lei.» «E perché?!» «Non voleva che tu soffrissi la perdita di una figlia e una nipote contemporaneamente, im-

magino.» «Forse potevate lasciare la scelta a me.... e Malcolm.» T’Pol rimase a guardarlo senza rispondere. Trip scosse la testa. «Sì, d’accordo, è stata una scelta di T’Mir. Ma una scelta discutibile.» «Anche quella di partecipare a una missione suicida e di tenercela nascosta lo è.» replicò

T’Pol. «Così come, dal punto di vista teorico della sua missione, quella di rivelarci chi fosse.» Trip chiuse gli occhi. «A volte mi manca così tanto.» Li riaprì quando sentì la mano di T’Pol

sulla sua spalla. «Anche a me.» sussurrò lei. «Ma almeno sappiamo che sta bene.» Lui le sorrise. «Andiamo a cercare nostra nipote?» Lei annuì e lo seguì fuori dalla gondola. Archer socchiuse gli occhi e fissò il tricorder accanto a lui. Fece per prenderlo, ma la mano

che lo teneva si ritrasse di scatto. «Cosa stai facendo?» chiese. «Non volevo svegliarti.» disse Charline. «Controllavo come vanno le tue costole. Ne hai un

altro paio che sono state saldate.» «Sì, un incidente di percorso.» «A.G. Robinson lo chiami “incidente di percorso”?» Archer sospirò, ma sorrise. «C’è qualcosa della mia vita che non sai?» «Jon, io sono la figlia di T’Mir, la Vulcaniana più ficcanaso dai tempi di P’Jem.» Lui allungò la mano di nuovo e questa volta batté sul tempo la donna, togliendole di mano

il tricorder. Charline sospirò. «Sta dicendo che le costole stanno guarendo, ma più lentamente di quello

che il cerotto dovrebbe fare.» «E perché?» «Credo che sia perché siamo in un altro universo, con leggi fisiche e chimiche un po’ diver-

se.» «Come fai a usarlo?» chiese, notando che non c’erano tasti. «Ha lo schermo a tocco?» Fece

passare la punta dell’indice sullo schermo, ma non successe nulla. Charline glielo strappò dalla mano. «Te l’ho detto, viene da un futuro molto lontano.» Archer le lanciò uno sguardo interrogativo. «Cosa mi tieni nascosto?» «Un sacco di cose.» replicò lei. Sospirò e gli passò indietro il tricorder. «Cosa vorresti vede-

re?» Lui scrollò le spalle: «Un’analisi della zona.»

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Sul tricorder apparve una mappa. «Come.... come diavolo hai fatto?» chiese Archer. Fede per mettersi a sedere, ma la frattura

sulle costole lo insultò a gran voce, quindi si lasciò andare di nuovo contro il materasso. «Sono Vulcaniana solo per un quarto, ma le doti telepatiche le ho mantenute.» «Vuoi dire.... che questo piccolo tricorder funziona telepaticamente?» Charline annuì. «Te l’ho detto. Viene da molto nel futuro.» Lanciò uno sguardo al tricoder,

dal quale subito iniziò ad uscire una canzone. “Ma l’amore no l’amore mio non può disperdersi nel vento con le rose....” Archer sorrise leggermente. «Pazzesco.» «Amo questa canzone.» disse lei. «Quando i miei nonni scoprirono che T’Pol era incinta di

T’Mir, Trip era solito cantarla in continuazione, ovunque.... tutti si accorsero che era innamo-rato e ovviamente pensarono a T’Pol.» Scosse leggermente la testa. «No, era un amore ancor più grande e più profondo.»

«Per sua figlia.» disse Jonathan. «E’ un amore interuniversale. Era pazzo di lei.» «Vieni. E’ pronta la colazione.» «E’ già mattina?» «Te l’ho detto che il cerotto aveva effetti collaterali.» «Se viene dal futuro, non dovrebbe avere effetti collaterali....» notò Archer, mentre si alzava

lentamente. «Lo stimolatore osteogenico con cui mi ripararono le costole anni fa non aveva questo effetto.»

«No, ma era un apparecchio avanzato. Questi cerotti sono d’emergenza. Ma la sonnolenza dovrebbe svanire a breve.»

«Avanti.» disse Trip, sentendo il campanello. Malcolm entrò lentamente nella stanza senza parlare. «Novità?» gli chiese Tucker, girandosi. «No, la traccia di curvatura non porta a nulla. Svanisce nel raggio di duemila chilometri. Un

niente.» Trip sospirò. «Se è davvero stato Q a portarli via, perché far sparire anche il capitano Ar-

cher?» Reed scosse la testa. «Non so, ma ovunque sia, sono convinto che il capitano avrebbe cerca-

to di contattarci.» «Magari non può farlo.» «Già.» rispose Malcolm. «No, non fare il pessimista come il solito.» Trip gli mise una mano sulla spalla. «Sono partiti

sulla Kirk, che è una navetta interuniversale. Magari sono finiti in un altro universo.» Malcolm lasciò andare una risata amara. «Non che mi consoli.» «E’ più facile tornare che da altri luoghi.» Solo allora Malcolm notò la fotografia sullo schermo del computer a cui il comandante stava

lavorando quando lui era entrato. Ritraeva T’Mir, sorridente verso la fotocamera, con la testa appoggiata alla spalla di Trip che stava scattando la foto col braccio teso.

«Credo di riuscire a capirti pienamente solo ora.» sussurrò. «Scoprire di avere una figlia, e perderla subito.»

«Loro ci sono ancora.» disse Trip. «Solo che non sono.... non sono in questo universo.» «Non è poco.» replicò lui.

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«Sì, ma da quel che vedo sembra più facile cambiare universo che galassia.» Charline lanciò l’iperchiave fuori dalla navetta. Archer si girò per guardarla. «Che succede?» «Son stufa. E’ tutto il giorno che lavoriamo a ‘sti cazzo di motori e non ne caviamo nulla di

buono.» Uscì dalla Kirk. «Vado a farmi una doccia, poi preparo la cena.» «Ti spiace se resto qui a lavorare ancora un po’?» Charline scosse la testa. «No, fai pure. Ma non ci troverai nulla di decente.» Quando uscì dalla doccia trovò la tavola apparecchiata e una pentola che bolliva. «Ehi.» Sor-

rise ad Archer, vedendolo intento a mescolare. «Non dovevi disturbarti, avrei fatto io.» «È l’unica cosa che so cucinare.» disse lui. «Spero sia mangiabile.» Charline sorseggiò una cucchiaiata del brodo. «Sì, è buono. Deve cuocere ancora un po’.» Lui annuì. «Com’è che sai tutte queste cose sulla cucina?» Lei distolse lo sguardo. «È una storia lunga.» «D’accordo. Be’, vado a farmi una doccia anch’io, ne ho proprio bisogno.» Charline gli sorrise. «Sai, nel mio universo Gustave Flaubert disse che “gli eroi non hanno

buon odore”.» «Anche nel mio.» Jonathan rise. «“Eroe”?» «Eroe.» replicò lei. «Sei silenziosa, stasera.» disse Archer. «Ho detto qualcosa di sbagliato riguardo la cucina?» «No.» Charline gli sorrise. «Figurati.» «Be’, credo che abbiamo tempo, allora, per una lunga storia.» Lei esitò. «Non è lunga, in realtà. È solo stupida.» Si alzò e iniziò a sparecchiare. «Tu sai be-

nissimo che i miei genitori erano nella Flotta Stellare.» «Sì.» «Be’.... in realtà non volevano che noi seguissimo le loro impronte.» «“Noi”?» «Io e mio fratello Jonathan.» «Jonathan?» Archer non poté fare a meno di sorriderne. «Jonathan Lorian Tucker Reed. Be’, che c’è? È un bel nome, il nome di un amico di famiglia.

Non dovresti stupirtene. È un nome che piaceva anche ai tuoi genitori.» Lui rise. «Sì, hai ragione. Ma.... immagino che voi abbiate lo stesso seguito le loro orme.» «Non proprio. Jonathan ha studiato astronomia e alla fine rimanere sulla Terra era riduttivo.

Quindi si è imbarcato e ora lavora nell’uranografia.» «E tu?» Charline sospirò. Iniziò a mettere meticolosamente i piatti nella lavastoviglie. «Se non vuoi parlarne....» «No. Non.... non è questo. Io non avevo le doti né dei miei genitori, né di Jonathan. In real-

tà, avevo tante piccole doti nessuna delle quali era approfondita. Così.... ho deciso di tentare la via.... della cucina.»

«Sei diventata una cuoca?» Cercò di non far trasparire lo stupore dalla sua voce. «Non una cuoca qualsiasi. Capo cuoca della prima nave a curvatura 8.» Archer le sorrise. «Grandiosa. E come sei finita a studiare Q?» «In seguito ho scoperto di avere quest’altra dote.» Prese il tricorder. «Dopo che ho avuto un

incontro con una persona dal futuro e ho avuto questo tricorder, ho scoperto che c’era qual-cosa in me che in altri non c’era.»

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«È una persona particolare?» Charline rise. «Se intendi un amante, no. Parlo di “persona” perché è il risultato di diversi

secoli di nascite interspecie. Non si può dire che sia Vulcaniano, Umano, Romulano, Trill, Bajoriano....»

«Fermati.» disse Archer. «Hai citato almeno un paio di razze che non conosco. Tutte incro-ciabili?»

«Sì, siamo tutti figli di una stessa genia originale.» Gli sorrise. «Ma ti sto dicendo troppo.» Al-zò il tricorder. «Le tue costole si stanno saldando perfettamente.» Gli passò un cerotto. «Que-sto ha un dosaggio minore. Fatti una bella dormita.»

«D’accordo, dottoressa.» Archer prese il cerotto e andò in camera. Ne uscì nemmeno due minuti dopo, guardando la ragazza che era sdraiata sul divanetto a due posti, con gli occhi chiusi e il tricorder appoggiato al petto.

Rimase qualche secondo a guardarla. La ragazza, senza aprire gli occhi, sorrise. Poi scoppiò a ridere. «Disturbo?» chiese Archer, sentendosi come se la stesse spiando. Charline aprì gli occhi e si girò. «No, stavo leggendo un libro di storia.» «La storia fa ridere?» «Ah be’.... sono arrivata a quando i Ferengi hanno cercato di rubarsi mezza Enterprise.» Archer la guardò interrogativamente. «Lo leggo telepaticamente.» spiegò lei. «No, intendevo.... quell’episodio.... voglio dire, eravamo tutti d’accordo, compresa T’Pol, di

non lasciar nulla scritto in proposito.» T’Mir rise. «Non sai che avevi un agente temporale a bordo, all’epoca?» «Daniels!» Archer scosse la testa. «“T’Pol osservò Trip, vestito solo in biancheria intima. Trip disse: “Sì, mi sono già accorto di

non essere in uniforme.” T’Pol replicò: “Immagino che abbia una valida spiegazione.””» «Questa non la sapevo nemmeno io.» «Avrei voluto tanto conoscere meglio i miei nonni.» Spense, sempre mentalmente, il tricor-

der. «Senti, tu hai dormito sempre su quel divanetto, in queste notti?» chiese lui. «Sì, tranquillo. Non ho bisogno di molto spazio.» «Non sarebbe gentile da parte mia lasciarti dormire qui. Prenditi il letto, dormirò io sul diva-

no stanotte.» «Con due costole ancora da guarire? Ma figurati. Sta’ tranquillo, sto bene.» «Ma....» «Jon, tranquillo! Dormo bene qui.» «Non è corretto. Senti, il letto ha due piazze, c’è posto per entrambi.» Le sorrise. «Mi com-

porterò da vero gentiluomo.» Charline rise. «Non lo metto in dubbio.» Si alzò e, portando con sé il tricorder, andò nella

camera da letto. «Se leggi telepaticamente, puoi leggere anche al buio, giusto?» Lei annuì. «Sì, ma non l’ho portato qui per questo.» Appoggiò il tricorder al comodino e si

sdraiò sotto le coperte, rivolta verso Archer. «Spegni la luce.» Lui fece come lei aveva detto e pochi secondi dopo l’ora in caratteri rossi apparve proiettata

in un piccolo ologramma. Jonathan non poté fare a meno di scoppiare a ridere. «Quel tricorder fa di tutto!» Si girò sul

fianco e trattene a malapena un urlo. Charline si mise a sedere di scatto e accese la luce. «Che c’è?» «Niente.... scusami. Sono solo queste due costole che ancora fanno male.»

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«Ok, allora mettiti sul fianco sinistro.» «Cosa?» «Girati!» Archer, anche se non troppo convinto, fece come lei aveva detto. Charline appoggiò delicatamente il palmo della mano destra sopra le costole dolenti e infilò

l’altra sotto la sua maglietta. Jonathan fece un balzo sul letto. «Cosa stai facendo?!» «Calmati! E’ solo neuropressione, pensavo la conoscessi.» «Ah.... quella. Sì, ma.... non è il caso.» «Stai fermo. Non fa male, te lo assicuro. L’ho imparata da mia madre, che a sua volta l’ha

imparata da sua madre.» Spinse lentamente, ma con forza, su due punti ai lati della spina dor-sale. «Inspira profondamente. Perfetto, così....» Pochi minuti dopo ritrasse la mano. «Come va?»

Jonathan si rigirò sulla schiena e guardò la donna. «Molto meglio.... non pensavo bastasse così poco....»

Charline gli sorrise. «Mi pare che sia.... buona educazione ricambiare.» le disse, lentamente, rimanendo a fissare

i suoi occhi, identici a quelli di T’Pol. «Non ce n’è bisogno....» sussurrò lei. «Ma....» Senza dire altro si chinò in avanti e lo baciò

sulla bocca. Chiuse gli occhi, assaporando quel bacio. Sentì la mano dell’uomo appoggiarsi delicatamente alla sua guancia. Poi si ritrasse leggermente, per fissarlo negli occhi. «Non è opportuno, vero?» chiese.

«No.» replicò lui. «Non è opportuno.» Malcolm seguì con lo sguardo il percorso della Kirk fino al punto in cui svaniva. «Ehi.» Si girò, salutando Trip: «Comandante.» «Stai ancora cercando qualche anomalia sulla mappa?» Reed annuì. «Solo che purtroppo non ne trovo. Hai parlato ancora con il capitano Picard?» «Sì, ma anche l’Enterprise D non ha trovato nulla di nuovo. Mi hanno detto che è tipico del-

le apparizioni di Q. Non lasciano alcuna traccia, nulla.» «Comincio a preoccuparmi. È passato del tempo ormai.» Sospirò. «Anzi, l’equipaggio intero

comincia ad essere preoccupato del fatto che siamo a un milione di anni luce da casa.» Trip annuì. «Lo so, se ci fosse qui Archer, troverebbe un lato positivo. Ma.... vediamola co-

me Phlox: ottimismo.» Gli mise una mano sulla spalla. «Malcolm, ho fiducia nelle capacità del nostro capitano. E anche se non la conosco, so che Charline ha ottime capacità.»

«Come fai a dirlo?» sospirò lui. «Mi baso sui suoi antenati.» Malcolm sorrise leggermente. «Già. Hai ragione.» Senza dire altro si chinò in avanti e lo baciò sulla bocca. Chiuse gli occhi, assaporando quel

bacio. Sentì la mano dell’uomo appoggiarsi delicatamente alla sua guancia. Poi si ritrasse leg-germente, per fissarlo negli occhi. «Non è opportuno, vero?» chiese.

«No.» replicò lui. «Non è opportuno.» Charline rimase un secondo in silenzio. «Ma chissene frega!» esclamò. Si mise a sedere a ca-

valcioni sopra le gambe di Archer, tirò la sua maglietta per sfilarla, mentre lui faceva lo stesso con la sua.

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Naturalmente s’incastrarono a metà strada. «Vai prima tu.» disse Charline, lasciando la presa. Poi, appena si fu liberata dell’indumento,

andò a cercare di slacciare i pantaloni di lui. «Merda!» esclamò. «Che succede?» Archer cercò di alzarsi, ma le costole protestarono ancora e si lasciò andare

contro il materasso. «La tua cerniera si è incastrata nei miei pantaloni!» Tirò i suoi indumenti e Archer poté senti-

re nettamente lo strappo della stoffa. «Credo di avercela fatta.» replicò lei, scalciando via i brandelli di stoffa. Più velocemente fe-

cero finire sul pavimento gli ultimi indumenti rimasti. Charline si abbassò su di lui e si chinò in avanti per baciarlo. Jonathan infilò le mani tra i

corti capelli neri, pettinati - o meglio spettinati - come quelli di T’Mir. Mentre univano i loro corpi, muovendosi in sincronia, Jonathan pensò che tutto quello non

aveva senso, ma era molto piacevole. «Anche Malcolm le stava riguardando.» disse Trip, entrando nell’alloggio di T’Pol. «Non c’è alcuna traccia della loro sparizione.» disse lei. «Sì, le ho riguardate anche assieme al comandante La Forge.» «Sei stato ancora sull’Enterprise D?» T’Pol spense il monitor del computer e si sedette sul let-

to. «Ci starei una vita a studiare quei motori.» Sospirò. «Ho pensato a come descrivono questo

Q. Onnipotente, onnisciente.... e la maggior parte dei suoi colleghi se ne sbattono dell’Umanità e di questo mondo.»

T’Pol alzò un sopracciglio. «Dove vuoi arrivare?» «Mi sembra una descrizione molto adatta agli dei, non credi?» «Agente Tucker Reed a rapporto.» .... C’era qualcosa che stava disturbando il suo sonno. .... «Agente Tucker Reed a rapporto.» .... E non era il corpo caldo della donna che teneva stretta a sé. .... «Agente Tucker Reed a rapporto.» .... Jonathan Archer aprì gli occhi e si guardò in giro. Era ancora nella baita. Era a letto. Era nu-

do. Aveva tra le braccia Charline T’Pol Tucker Reed, la quale stava dormendo pacificamente, ignara del richiamo insistente.

.... «Agente Tucker Reed a rapporto.» .... «Agente?» sussurrò Archer. Le diede un baciò sulla fronte. «Charline....» sussurrò. .... «Agente Tucker Reed a rapporto.» .... «Charline.» ripeté a voce più alta. ....

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«Agente Tucker Reed a rapporto.» .... La donna aprì gli occhi di scatto. «Oh merda.» disse. Si alzò di scatto a sedere. «Signore, a-

gente Tucker Reed a rapporto, signore.» Archer la guardò stupito, ma lei non sembrò farci caso. «Dov’è finita, agente?! Faccia subito rapporto!» In quel momento Archer si accorse che la voce proveniva dal tricorder. «Sono stata vittima di un inganno di Q, signore. La Kirk è stata gravemente danneggiata. A-

vete ricevuto il segnale di soccorso?» «No, agente. Abbiamo dovuto scandagliare le frequenze per trovare il suo tricorder.» «Ho riconosciuto il pianeta, è Ceti Alfa V.» La risposta questa volta, arrivò a tardare. «E’ in presenza di Khan Noonien Singh?» «No, signore. A spanne l’anno dovrebbe essere il 2153.» «Ma siamo nel 2155....» sussurrò Archer. La voce dal tricorder riprese. «Sa darci la quinta coordinata?» «No, signore. Non riuscite a risalirci voi con il mio segnale?» «Non ancora. Non spenga il tricorder e resti in attesa di nuove istruzioni. Chiudo.» «Sissignore.» disse Charline. Sospirò. «Agente?» chiese Archer. Lei si girò di scatto. «Uh-ah, eh....» Era nettamente imbarazzata. «Sì.... io.... io non sono una

studiosa di Q e nemmeno la mia vera qualifica è quella di cuoca.» Sospirò. Si alzò in piedi e andò a frugare nell’armadio alla ricerca di qualcosa di intatto da mettersi. «So che ti devo una spiegazione, Jon.»

«Sì, forse anche più di una. La quinta dimensione.... non è la prima volta che la citi. Ma ini-ziamo dal fatto che non sei un capitano, ma un’agente.»

«Possiamo farlo a colazione? Il mio stomaco reclama cibo.» propose, più che altro per pren-dere tempo.

Dopo essersi sistemati, si sedettero a tavola davanti a una tazza di latte caldo. «Be’, in realtà non è vero che non ho capacità. Ho lo stesso talento di mia madre: siamo delle ottime “nau-tae”.»

«“Nautae”?» «Sì, “nauta” è il termine con cui indichiamo un viaggiatore interuniversale. In effetti è la tra-

duzione latina di “navigante”, “viaggiatore”, “cruiser” in inglese.» «Cioè mi stai dicendo che non basta una navetta come la Verne.... o la Kirk, per essere un

“nauta”?» «Esatto. Ci vogliono anche delle capacità particolari, ma questo lo scopriranno solo parec-

chio dopo che mia madre sarà tornata dal viaggio con cui l’avete conosciuta.» «E io come ho fatto a finire qui?» «Questo devi chiederlo a Q. Inoltre basta che il pilota della navetta sia un nauta perché tu

possa spostarti.» (Ovvero: uno scrittore in grado di far entrare in un altro universo il lettore! ;D Sono un mito, in queste teorie combacia tutto!)

«Tu sei una “nauta” e quindi hai avuto questo incarico dalla Flotta Astrale.» «Flotta Stellare, sì.» «E non sei un capitano, ma un’agente?» Archer prese un lungo sorso di latte caldo. «Non proprio. Sono un’agente universale.... diciamo l’equivalente di Daniels, ma invece di

controllare la linea temporale, controlliamo gli universi. Poi dato che abbiamo una nave da comandare, siamo anche capitani.»

Archer lanciò un’occhiata fuori dalla finestra per guardare la Kirk. La navetta era conciata male e aveva ancora il muso affondato nella terra.

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«Ho studiato davvero da cuoca, e sono stata davvero la capo cuoca della prima nave a cur-vatura 8.» disse lei, quasi sottovoce.

«Era la tua copertura.» disse Archer, rimanendo a fissare la Kirk. «Già.» «Quindi tu....» Jonathan tornò a guardarla. «Tu navighi attraverso gli universi per controllare

che nessuno faccia danni?» «Esatto. In fondo anche T’Mir ha fatto una cosa del genere. È venuta qui.... cioè, non qui, ma

nel tuo universo, per sistemare i danni che stavano facendo gli Xindi del nostro universo.» Archer si alzò in piedi e iniziò a camminare avanti e indietro. «E ora la tua copertura è di

studiosa di Q?» «Sì, per l’Enterprise D.» «Perché lo stai dicendo a me, allora?» Charline sospirò. «Perché voglio che tu sappia che ti ho mentito solo su questo.» Si alzò in

piedi e gli mise una mano sulla spalla. «Sul resto no.» Lui annuì e le coprì una mano con la sua. «E la quinta dimensione?» «Riguarda gli universi paralleli, o meglio il multiverso.» disse lei. «Riconduciamoci al nostro

universo, che ha quattro dimensioni.» Si mise di fronte a lui. «Ipotizziamo che tu sia nelle co-ordinate spaziali 1, 1, 1.»

«Sì, d’accordo. Tu potresti essere in 2, 1, 1.» «Esatto. Aggiungiamo la coordinata temporale. Tu sei in 1, 1, 1, 1, mentre io in 2, 1, 1, 1.

Sono tutte uguali tranne la coordinata spaziale x.» «D’accordo. E allora?» «Noi coesistiamo nella stessa coordinata temporale, e in due coordinate spaziali uguali, a

patto che ci sia una terza coordinata spaziale diversa.» Charline lo prese per mano e lo fece spostare di lato, quindi prese la posizione che lui aveva prima. «Ora io sono nelle coordinate spaziali 1, 1, 1.»

«Già.» disse Archer. «Ma nella coordinata temporale 2. Quindi ora sei nelle coordinate 1, 1, 1, 2.»

«Ciò vuol dire che io e te possiamo coesistere nelle stesse coordinate spaziali, basta che la coordinata temporale sia diversa.»

Jonathan annuì. «Credo di aver capito. È necessario ragionare in spazi pentadimensionali. Due persone, due mondi, due universi possono coesistere nelle stesse coordinate spaziali e nella stessa coordinata temporale, a patto che ci sia una quinta coordinata diversa.»

«Precisamente!» esclamò Charline. «Quindi un universo parallelo non è “al di fuori”, in un punto esterno a questo universo, ma

esiste contemporaneamente a questo, nello stesso luogo, nello stesso tempo, ma in una di-mensione diversa del multiverso.»

«Sì, esattamente.» (‘Sta mia teoria mi piace un sacco!) «Io ho sempre immaginato gli universi come delle bolle.... che combaciavano proprio come

delle bolle di sapone.» «È un’immagine suggestiva.» disse Charline. «Ma è più corretta quella della quinta dimensio-

ne.» Archer annuì. «T’Mir non ci parlò molto di questi universi paralleli.» «Si dice che per ogni universo ce ne sia anche uno Specchio. Un universo in cui tutto è il

contrario che qui.» «Il contrario?» Charline sospirò. «I miei nonni.... T’Pol e Trip.... pare che abbiano avuto un incontro molto

ravvicinato con l’universo specchio del nostro, poco prima che T'Mir nascesse. Trip fu cata-

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pultato nell’altro universo. T’Pol ebbe una brutta esperienza con un perfido capitano Archer.» «Questo implica che io sia buono.» «Lo sei.» Charline gli sorrise. «Quindi è più di una teoria, questa cosa dell’universo Specchio.» «A tal proposito ci sono rapporti, nel mio universo, del capitano Archer, del comandante

Tucker, del guardiamarina Sato, e nel tuo del capitano Kirk e di tutto il suo equipaggio.» «Il Kirk che ha dato il nome alla tua navetta?» Charline sfoderò un ampio sorriso. «Certo, quel Kirk.» «Toglimi una curiosità. Chiameranno mai una navetta Archer?» Lei lo abbracciò e si alzò sulla punta dei piedi per baciarlo sulle labbra. «Sì, ma il tuo nome

sarà dato anche a pianeti.» (http://www.hypertrek.org/index.php/archer4?&ndx=149) Chiuse gli occhi e appoggiò la fronte al suo petto. Non voleva che nel suo sguardo potesse leggere la delusione dovuta al fatto che Kirk e Picard sarebbero passati alla storia come capitani dell’Enterprise ben più famosi di lui.

«Fermo dove sei.» Archer si girò verso la donna e sorrise. «Devo stare fermo qui? Sotto l’albero?» «Sì, lì, torno subito.» Charline entrò in casa e ne uscì subito di corsa con in mano il tricorder. «Cosa vuoi fare?» La donna appoggiò il tricorder al muretto di fronte e si mise accanto a lui, ai piedi di un

grande olmo dalle foglie verdissime, cingendogli i fianchi con un braccio. «Sorridi verso il tri-corder.» disse.

Lui scoppiò a ridere. «Tricorder, PADD, orologio, comunicatore e persino macchina fotogra-fica?»

Charline annuì. «Ci manca solo che faccia il caffè!» esclamò Jonathan. Lei rise. «Lo fa!» Corse a raccattare il tricorder e lo porse ad Archer. «Guarda come siam ve-

nuti bene.» Lui annuì. «Vero.» «E non hai visto il meglio.» Dal tricorder uscì un sottile raggio, che si aprì a formare l’ologramma della foto. Archer sorrise leggermente, guardando le due figure abbracciate. «Stai pensando alla tua nave, vero?» Lui sospirò. «Sì.» Alzò lo sguardo verso il cielo azzurro sbiadito di Ceti Alfa V. «Mi chiedo se

sono riusciti a tornare a casa, se ci stanno ancora cercando o se.... o se le cose non sono an-date bene.»

Charline si sedette a cavalcioni sul muretto accanto a lui. «Purtroppo non posso darti rispo-ste a riguardo, credo che addirittura i miei capi ci abbiano perso.» Mosse leggermente il tri-corder. «Eppure questo funziona ancora, emette il segnale.»

«Ma è passato più di un mese.» disse lui. «Le speranze di tornare indietro si affievoliscono, così come quelle che l’Enterprise.... che le due Enterprise tornino a casa, se sono ancora a metà strada tra la Via Lattea e Andromeda.»

«Non è detto che lo siano. Picard ha molte risorse.» Archer le sorrise, si chinò in avanti e la baciò. «Forse dobbiamo iniziare a pensare al nostro

futuro su questo pianeta, se rimarremo qui.» Charline lo abbracciò e si lasciò andare contro di lui. «Non ho intenzione di star qui per il

resto della mia vita, Jon. Tra centodieci anni diventerà un postaccio.» «Perché?» Jonathan le diede un bacio sui capelli.

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«Hai mai sentito parlare di Khan Noonien Singh?» «E’ un potenziato, uno dei responsabili delle guerre eugenetiche. Scappò assieme a un

gruppo di suoi “fratelli” su una nave....» «La Botany Bay. La ritroverà James Kirk nel 2267.» «Questo Kirk appare un po’ troppo spesso, sai?» Charline sorrise leggermente, le sue guance si tinsero di rosso, come il sangue che aveva e-

reditato dal padre e dal nonno. Archer lasciò andare un istrionico gemito di dolore. «Come posso competere con lui?» Lei rise. «È stata solo un’avventura, non una cosa seria come.... come questa con te.» disse

lei, baciandolo sulla guancia. «E io amo molto di più te, che lui.» «Di più?» Le lanciò uno sguardo falsamente ferito. «Solo te.» replicò lei. «Tornando a Ceti Alfa V, diventerà il luogo dell’esilio di Singh. E se i

miei geni vulcaniani continuano a reggere così bene, io sarà ancora qui, per allora.» «Be’, puoi sempre salire sulla nave di Kirk, no?» Jonathan rise. «A proposito, come si chiama

la nave di Kirk?» Charline sospirò, sorridendo. «Come vuoi che si chiami? Enterprise! Tutte le grandi navi si

chiamano Enterprise!» «Devo contraddirti, ma chère! La mia amica Janeway comanda la Voyager.» Charline si girò verso Q, appena apparso, puntandogli contro il tricorder. «Dimmi che ha anche un phaser!» esclamò Archer. «Sì, ma solo sullo stordimento.» Charline sospirò e abbassò il tricorder. «E su di lui non fun-

ziona.» Si alzò dal muretto. «Ci hai lasciato qui per più di un mese, te ne rendi conto?!» «Non vi è mancato niente. Né il cibo, né l’acqua....» Le sorrise. «Né l’amour....» «Dov’è la mia nave?» chiese Archer, mettendosi a fianco di Charline. «Dove l’hai lasciata.» «In tutte e cinque le coordinate?» chiese Charline. «Più o meno. Un leggero spostamento, di pochi giorni, ma niente di che.» Q sospirò e sorri-

se alla ragazza. «Mon amour, ho capito di non aver speranze contro quest’uomo. Così uma-no.»

Lei alzò un sopracciglio e Archer fu colpito in quel momento dalla sua somiglianza con T’Pol.

«Per questo ho deciso di lasciarti andare.... e lasciarvi scegliere.» «Di cosa parli?» chiese lei, un velo di noia nella sua voce. «Potete restare qui. Il capitano Kirk sceglierà un altro pianeta, per Singh, se sei tu a chieder-

glielo.» Q indicò intorno a sé. «Questo è un piccolo paradiso. Non avrete bisogno di lavorare, né di faticare.... avrete tutto.»

«E perché mai faresti questo?» chiese Archer. «L’amour!» esclamò lui. Charline alzò gli occhi al cielo. «Ma ho l’impressione che non sia quello che volete, vero?» Loro non risposero. «Volete tornare indietro. Alle vostre rispettive cinque coordinate.» «E cosa vuoi in cambio?» chiese Charline. «Perché credi che voglia qualcosa in cambio?» Q le sorrise. «Tra pochi giorni Picard farà un

enorme errore....» «Che cosa?!» esclamò Charline. «Picard non farebbe mai....» «Una “cazzata”?» chiese Q. «Non è così che la chiami? Invece sì, tocchetterà un po’ troppo

nella linea temporale e annullerà la nascita della vita sulla Terra.... ma, ma chère, io non pos-so permettere che una bellezza come te non esista.» Le sorrise.

31

«Facci tornare indietro.» disse lei. «Ti rendi conto che perderai il tuo capitano Archer?» Lei lanciò uno sguardo a Jonathan. «Dobbiamo tornare indietro.» replicò lui. T’Pol ricordava che Trip le aveva parlato di una tecnologia del genere, quando era tornato

dal suo soggiorno sulla nave xyrilliana. Una sala con fotoni risequenziati che creavano incre-dibili ologrammi. Era tutto così perfetto che sembrava reale. Troppo reale.

T’Pol si guardò in giro in quella che appariva, in tutto e per tutto, l’infermeria dell’Enterprise NX-01. Fece un passo indietro, terrorizzata, come se allontanarsi da quella situazione potesse cancellare l’orrore davanti ai suoi occhi.

Aveva lottato tanto, da giovane, per riuscire a reprimere le sue emozioni. Il trellium-D, vive-re con umani, Trip stesso avevano incrinato quei muri di difesa alzati con tanta fatica.

Si chiese se ciò che aveva davanti agli occhi, che stava provocando in lei un’ondata così for-te di emozioni, fosse vero.

Se si poteva iniziare una gravidanza in una sala ologrammi, si poteva anche morire? Si girò guardando i vasi pieni di strane sostanze su uno dei banchi di lavoro di Phlox. --No.-- si disse. --Non è l’infermeria di Phlox. E’ solo una ricostruzione.-- Ma perché era andata lì? Perché c’era quel programma? Era solo una simulazione o.... o era una lezione di storia? Si girò di nuovo, continuando a guardare la scena svolgersi, finché non sentì una voce.

«Computer, ferma il programma.» La scena si congelò davanti ai suoi occhi e T’Pol si girò ver-so la voce.

«Comandante T’Pol. Come mai è qui?» chiese Riker, camminando lentamente verso di lei. T’Pol rimase ferma, rigida. «Il comandante La Forge mi ha portato qui per farmi vedere una

simulazione dell’Enterprise.... dell’NX-01. Poi è stato chiamato a rapporto e mi ha detto di richiedere i programmi che volevo. Ne ho chiesto uno a caso.... sempre dell’Enterprise NX-01.»

«“A caso”?» chiese Riker, sorridendole. «Non è molto vulcaniano.» T’Pol si mosse a disagio. «Non.... chi.... che cos’è questo.... questo programma?» «E’ una simulazione che ho creato io per cercare di capire alcune situazioni.» T’Pol si girò: «Lei? L’ha creata lei?» «A volte studiare il passato è utile per prendere decisioni nel presente.» «Computer, riprendi.» disse T’Pol. Riker si appoggiò al mobiletto, di fianco a T’Pol. La scena

proseguì davanti ai loro occhi, quindi il programma finì. T’Pol si girò verso Riker e, in un impeto ancor meno vulcaniano della casualità, gli tirò un

pugno in pieno viso, così forte da farlo finire sul pavimento nero a righe gialle della sala olo-grammi.

(Aaaaaaaaaaaaaahhhhhhh! Che goduria!) Quindi, senza dire altro, corse fuori dalla sala ologrammi verso il teletrasporto. Miles O’Brien era alla consolle e fu nettamente stupito quando vide una Vulcaniana scon-

volta attraversare le porte. Non poté fare a meno di notare T’Pol con ancora la mano che cer-cava l’interruttore per aprire la porta automatica.

«Comadante.» le sorrise. «Posso fare qualcosa per lei?» «Mi teletrasporti sull’NX-01.» disse velocemente. Poi aggiunse: «Per favore.» «In un punto in particolare?» T’Pol salì sulla pedana. «Ponte B, alloggio del comandante Tucker. Mi mandi il più vicino

possibile a lui.»

32

O’Brien annuì e azionò il teletrasporto. Trip si girò di scatto quando sentì il rumore ormai noto e vide una luce attraverso il vetro

della doccia. «T’Pol? Ti sei fatta teletrasportare nel mio bagno?» chiese, decisamente stupito. T’Pol entrò nel box, con stivali e divisa, l’acqua che scorreva ancora. «Stai bene?» «Sì.» disse lei, gli prese il volto tra le mani e lo baciò sulle labbra. «Tu stai bene?» Lui rise. «Sì, certo.» La strinse tra le braccia. «Ora anche meglio.» Le sorrise. «È successo

qualcosa?» «Sì.» Iniziò a sfilarsi la divisa bagnata. «Ho tirato un pugno in piena faccia a Riker.» Trip la guardò stupito, ma allo stesso tempo gli veniva da ridere. «Cos’hai fatto?!» «Lascia perdere.» «No, mi hai messo curiosità, cos’ha fatto per scatenare una tale reazione da parte tua?» T’Pol si fermò, con una manica della divisa ancora infilata: «Vuoi che te lo spiego o preferi-

sci che mi tolga questa uniforme completamente?» Lui sorrise. «Sai benissimo cosa scelgo.» Iniziò ad aiutarla a spogliarsi, dato che l’uniforme

bagnata era difficile da sfilare. «Sì, è logico.» concluse lei. «Capto un segnale subspaziale di curvatura.» comunicò Travis. «Che cos’è?» chiese Tucker a T’Pol. «E’ una navetta.» Trip poté scorgere una sorta di imitazione del sorriso negli occhi della Vul-

caniana. «È la Kirk.» Malcolm premette il pulsante di comunicazione. «Reed a Kirk!» esclamò. Poi si bloccò di

colpo. Alzò lo sguardo su Trip e T’Pol e disse: «Col vostro permesso.» Trip annuì, sorridendogli. «Kirk a Enterprise! Ehi, ciao papi!» La voce di Charline, che stava ridendo, riempì la plancia.

«Siamo a circa venti minuti di distanza da voi.» «C’è anche il capitano Archer?» chiese T’Pol. «Certo. Sono qui, T’Pol.» comunicò Archer. «E ci sono anch’io!» esclamò Q. «Q vi darà un passaggio a casa.» spiegò Charline. «In tutte e cinque le coordinate giuste.» aggiunse Archer, sorridendo alla donna. «Di cosa sta parlando, capitano?» chiese Trip. «E dove siete stati in questi quattro giorni?» «Te lo spiegherò poi. Archer, chiudo.» Premette il tasto di comunicazione. «Vi lascio soli qualche minuto, ci rivediamo nel tuo universo, capitano Tucker Reed.» Charline annuì. «A dopo.» «Sei sicura di volerlo fare?» chiese Archer. «Ma certo, in fondo mi ha solo chiesto una cena. Lo sbolognerò in fretta, mia madre mi ha

insegnato un trucco per allontanare gli uomini.» «E sarebbe?» «Oh, be’, tu conosci T’Pol.... ti è mai venuta voglia di buttarla fuori da un portello stagno?» Archer rise. «Tornerai nel tuo universo.... e proseguirai a fare l’agente universale?» Lei annuì. «Sì. Mi mancherai, lo sai?» Jonathan annuì. «Anche tu.» Sospirò. «Chi t’aspetta a casa?» «Mia madre.» rispose lei. «Mio fratello sarà ancora in missione.» «Nessun altro?» «Cosa intendi?» chiese lei. «Be’.... nessun fidanzato?»

33

Charline rise nervosamente. «Smettila.» «Un paio di settimane fa mi hai detto che, secondo le tue informazioni, Hoshi ha una cotta

per me.» «No, non ho parlato di “cotta”. Tu lo ricordi così per toglierti il pensiero. Ho detto che è in-

namorata di te. È diverso.» Archer sorrise. «E non c’è nessuno innamorato di te?» La ragazza tardò a rispondere. «Diciamo che.... c’è una persona a cui voglio molto bene.» «Andrai a trovarlo?» «Dovrei andare su Deep Space 9.» «Cos’è?» «Una base stellare.» Archer le sorrise: «Però non mi sembri il tipo da stare ferma in una base.» «No, non lo sono.» «E lui è il capitano?» Charline rise. «No, è l’ufficiale medico. Jonathan, ma che discorsi sono?!» «Probabilmente non ci vedremo più.... per lo meno non potremo stare assieme come in que-

sto mese. Voglio sapere che sarai in buone mani.» Lei gli sorrise. «Tu ti preoccupi sempre tanto per tutti.» «Come si chiama?» «Julian Bashir.» rispose lei, alla fine. «Senti.... C’è una cosa, a proposito di preoccupazione,

di cui devo parlarti. Una cosa molto importante.» Lui annuì. «Ti ascolto.» «Nel 2161 la missione dell’NX-01 finirà. Tu diventerai uno dei fondatori della Federazione

Unita dei Pianeti. Io vivrò in quella federazione e ti assicuro che sarà una delle cose più belle mai create dall’Umanità.»

«Daniels me ne ha accennato.» «Già, dovrai indossare una divisa davvero orrenda, ma questo è un dettaglio.» Charline an-

nuì. «Avrete un’ultima missione, prima di tornare sulla Terra. Dovrete....» La donna sospirò, muovendo le mani velocemente sul timone. «...dare una mano a Shran. Non credere quando ti diranno che è morto, sono palle.»

«Perché mi stai dicendo questo?» Charline tardò a rispondere. «Perché un ufficiale al tuo comando, farà un colpo di testa da

idiota, contravverrà ai tuoi ordini e rimarrà ucciso.» Lui la fissò. «Come?» «In una sorta di azione kamikaze. È un vizio di famiglia.» Archer sentì il suo stomaco stringersi. “Vizio di famiglia”? L’immagine di T’Mir che parlava

della missione nella quale avrebbe dovuto farsi saltare in aria con la nave xindi gli balenò alla mente. «Chi.... chi è questo ufficiale?»

Charline lo guardò. «Charles Tucker III.» «Trip?!» esclamò Archer. «Sì, è il suo soprannome.» «Perché.... perché mi stai dicendo questo? Come.... come posso evitarlo?» La ragazza si morse le labbra. «Il punto è che non puoi.» Archer si alzò in piedi così di scatto che Charline ebbe paura che pestasse una craniata nel

tetto della Kirk. «Devo evitarlo.» «Non puoi, Jon.» «Nemmeno ora che lo so?!» «Per la storia quel giorno Trip dovrà morire.» disse lei. Si girò e gli lanciò un sorriso malizio-

so. «Ma non è detto che lo debba fare davvero.»

34

«Ma chère, lo so che ti dispiace.» Q le mise una mano delicatamente sulla spalla. «Sai, non lo trovo corretto.» disse Charline, lanciandogli uno sguardo di odio. «Lo sai meglio di me che ho dovuto cancellare dalla loro memoria tutti i ricordi.» disse Q,

mentre, assieme alla donna, s’incamminavano verso l’hangar navette dell’NX-01 per riprende-re la Kirk e tornare sull’Enterprise D.

«Sì, ma....» Lei si fermò, si girò verso di lui. «Potresti lasciarmi da sola qui.... dieci minuti, so-lo per.... un ultimo giro.» Gli sorrise. «Per favore.» Sbatté le ciglia. Si sporse verso di lui e gli diede un leggero bacio sulle labbra. «So che tu sei un gentiluomo.»

Q le sorrise. «D’accordo. Ti aspetto sulla Kirk, cherì.» «Grazie.» Charline si girò e corse verso l’alloggio di Trip Tucker. Q aveva addormentato tut-

ti, sulla nave, per farli ritrovare là da dov’erano stati prelevati, ma senza alcun ricordo di tutto ciò che era successo. Niente incontro con Charline, né con Q, niente Enterprise 1701-D, niente Ceti Alfa V.

Entrò e trovò Trip addormentato prono sul letto, aveva un’aria beata da bambino. Charline si sedette al computer e digitò velocemente. «Ecco. Un piccolo regalino dall’Enterprise D. Un paio di specifiche tecniche per la curvatura 6 stabile. Per citare Scotty, chi lo dirà che non sei stato tu inventarle?» Diede un bacio sulla guancia a suo nonno. «Avrei voluto conoscerti me-glio.»

Uscì di corsa e s’infilò nell’alloggio di Reed. Quando era stato addormentato da Q, Malcolm stava leggendo. Charline alzò il libro appena per leggere il titolo. «Il Corbett. Storia inglese. Libri pallosi anche in questo universo, eh, papi?» Lo abbracciò. «Ti voglio bene. Te ne vorrò sempre.» Diede un bacio sulla guancia anche a lui, quindi si diresse verso l’alloggio di Ar-cher. Chiuse la porta dietro di sé. Si sedette sul bordo del letto, dove Archer stava dormendo. Sospirò. «Mi mancherai tanto, lo sai?» Si sfilò dalla divisa il tricorder. Mentalmente gli diede precise istruzioni, quindi lo infilò sotto la mano di Jonathan. Si chinò in avanti e lo baciò sulle labbra. «Che famiglia, Jon. Mia nonna con il capo ingegnere, mia madre con l’ufficiale tattico, e io col capitano.» Rise. «Non ti dimenticherò mai.»

«Tornerai a trovarci presto?» chiese Beverly Crusher, in piedi davanti al portello della navetta

Kirk. «Presto, tardi....» S’intromise Picard. «Quando viaggi su cinque coordinate non cambia mol-

to.» Charline sorrise leggermente. «E’ probabile che mi diano un altro incarico, ora che Q mi ha

invitato a cena.» «Tieni gli occhi aperti.» disse Picard. «E le gambe chiuse.» continuò Charline. «Ci vediamo nel mio futuro, ragazzi.» Il capitano Jonathan Archer aprì lentamente gli occhi. Era già ora di alzarsi? «Computer, che

ore sono?» «Sono le ore sei e cinquanta.» rispose la voce femminile. «Sì, è quasi ora.» Si stirò, ma si accorse che sotto le dita aveva qualcosa di estraneo, liscio e

regolare. Accese la luce. «Che cos’è?» Si chiese. La tavoletta piatta assomigliava a un PADD, ma non aveva pulsanti. Non aveva idea di come gli fosse finito in mano. Premette su quello che sembrava uno schermo, per controllare che non avesse la funzione tattile di accensione, ma non successe nulla. Scrollò le spalle e lo appoggiò sul comodino.

35

A quel punto un sottile raggio si aprì e apparve un ologramma tridimensionale che lo ritrae-va assieme a una persona che non riconobbe. «Ma che diavolo....?» Rimase a fissare la foto-grafia, poi sussurrò: «Quella ragazza....» Gli era familiare.

La foto scomparve. Uscì una voce femminile: anche quella gli sembrava nota, ma non sape-va posizionarla. «Capitano Jonathan Archer. Lei non si ricorda di me e purtroppo dobbiamo lasciare che sia così. Ho registrato questo messaggio perché è importante che lei lo ricordi. Riguarda una missione, il 14 febbraio 2161.»

«Un’azione kamikaze.» sussurrò Archer, senza quasi rendersene conto.... «T’Pol.» Entrando in plancia, Archer non disse altro. Si diresse subito nel suo ufficio, seguito

dalla Vulcaniana. Quando la porta si chiuse dietro di loro, le passò il PADD che si era trovato in mano. «Rico-

nosce questo aggeggio?» «Sembra un PADD, signore.» disse lei, rigirandolo tra le mani. «Ma sembra anche rotto.» «Già, ora sì. Ma prima funzionava. Me lo sono ritrovato in mano svegliandomi stamattina.» T’Pol alzò un sopracciglio. Sentiva a pelle il nervosismo del capitano. «Be’, non me lo spiego, però....» Si girò, ritrovandosi a fissare gli occhi di T’Pol a pochi cen-

timetri. Ebbe un attimo di smarrimento, come se di colpo il suo ufficiale scientifico non fosse più lei. Aveva visto altrove quegli occhi. Prese un profondo respiro. «Chiunque mi abbia mes-so in mano quel PADD voleva avvertirmi di.... un fatto che avverrà nel 2161.»

«C’è ancora parecchio tempo, per allora, capitano.» Archer annuì. «Sì. In effetti sì.» Sospirò. No, non doveva dirlo a T’Pol. Non ancora. Il PADD

non sembrava funzionare, al momento. «Per favore, esamini quel PADD. Prenda quante più informazioni riesce a trarne.»

«Credo che il comandante Tucker sia più adatto per....» «NO!» esclamò lui e poté vedere T’Pol sobbalzare impercettibilmente. Si chiese quante volte

T’Pol avesse soppresso una certa paura nello stare tra gli Umani. «No, voglio.... voglio che lo studi lei. Non lo faccia vedere ad altri. Non c’è fretta, ancora per.... qualche anno. D’accordo?»

Lei annuì. «C’è altro, capitano?» Archer scosse la testa. «No, può andare. Grazie.» La guardò uscire, quindi si appoggiò

all’infisso dell’oblò: le stelle passavano regolari a curvatura accanto alla nave, sullo sfondo poteva riconoscere Rigel. Perché si sentiva così strano? Perché solo lui sembrava risentire molto di quella che Phlox aveva chiamato “onda soporifera” che aveva fatto cadere tutti ad-dormentati la sera prima? Perché aveva la netta sensazione che qualcosa di importante nella sua vita gli stava sfuggendo? Sospirò. Ora era essenziale riuscire a studiare alla perfezione un piano per il 2161.

*******

«Mi dispiace, Capitano.» stava dicendo Phlox in un txono che grondava dolore. «Se n’è an-

dato.» Una pausa. Poi Phlox parlò ancora: «Computer, registra: la morte è avvenuta alle 19:30 del 14 febbraio 2161.»

Sentendosi irresponsabilmente calmo, ora che il fatto era avvenuto, Trip aprì gli occhi. Lanciò un’occhiata al suo riflesso, che appariva bizzarro e distorto come in uno specchio del

luna park, sul soffitto metallico e curvo della camera. Poté notare che il medico denobulano aveva fatto certamente un ottimo lavoro nel farlo

sembrare orribile, nonostante la fretta con cui aveva dovuto lavorare.

36

Una larga, livida ustione serpeggiava sul suo collo e molte altre ferite e macchie coprivano sia la sua pelle sia la sua uniforme strappata.

--Allora è così che è essere morti.-- pensò, cercando, per la prima volta, di entrare nell’ottica del fatto. --Divertente. Non fa nemmeno male come pensavo.--

....

Pax Galactica. Nemici diventano alleati. Vecchi segreti sono finalmente svelati. Antiche cre-

denze e verità ampiamente accettate vengono messe in dubbio. L’uomo si dà a ricerche pia-cevoli.

In questa età dell’oro, due vecchi amici si riuniscono. Cercano di capire e si chiedono come mai ciò in cui hanno creduto a lungo, ciò che è stato loro insegnato è tutto errato.

Più di duecento anni fa, la vita di uno dei primi pionieri della Flotta Astrale è arrivata a una tragica fine e il Capitano Jonathan Archer, il leggendario comandante della prima astronave terrestre a curvatura cinque, ha perso un carissimo amico.

O questo, per lo meno, è ciò che si è creduto per anni. Ma col passare del tempo e con la declassificazione di alcuni file di importanza cruciale, la

verità su quel fatale giorno - il giorno in cui il comandante Charles “Trip” Tucker III *non* è morto - può finalmente essere rivelata.

Perché la Flotta Astrale ha dovuto riscrivere la storia? E perché solo ora la verità può essere svelata?

(Da “Star Trek: Enterprise - The Good That Men Do” di Andy Mangels & Michael A. Martin,

ed. Pocket Books)

*******

Mai come in questo caso è opportuno dire.... The Truth Is Out There.... Very “out”.

FINE Questo racconto è nato grazie a Seti. Io volevo scrivere ancora su Enterprise perché è stu-

pendo.... mi piace in particolare scrivere per Trip e Malcolm, ma anche gli altri son grandiosi. Seti voleva un racconto che parlasse molto di Archer. L’idea di far invaghire Q di Charline è sua! E anche molte altre!

Il feedback positivo e/o costruttivo è benvenuto su [email protected]

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