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I Padroni del Tempo

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Trent’anni di attività formativa della Cooperativa Iter di Rovereto - di Luisa Pachera

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I padroni del temponon conoscono la fretta,

vivono il presentesenza mai essere in anticipo,

senza mai essere in ritardo.

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© 2011 - Edizioni Osiride [266] 38068 Rovereto (TN) via Pasqui, 10 [email protected] www.osiride.it

ISBN 978-88-7498-156-4

Provincia autonoma di Trento

Foto archivio Osiride

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edizioniosiride

Luisa Pachera

I PADRONI DEL TEMPOTrent’anni di attività formativa della Cooperativa Iter di Rovereto

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L’autrice

I padroni del tempo sono ragazzi e ragazze che diventano uomini e donne senza mai invecchiare. Le rughe si sommano sul loro viso, i capelli perdono lucentezza e i movimenti diventano meno sciolti, eppure il loro sguardo rimane limpido come quello di un bambino. Quando ho conosciuto i ragazzi della Iter, ho capito che erano i padroni del tem-po, delle persone che portano l’orologio senza mai guardarlo, che vivono senza l’ansia di fare tutto nel minor tempo possibile, che invecchiano senza invecchiare. Mi sono piaciuti subito, tanto che scrivere un libro per loro e su di loro, è stato un vero piacere. E non è stato nemmeno diffi cile, io ho bussato alla porta della Iter e, in un attimo, mi ci sono ritrovata al centro, qualcuno mi ha aperto, mi ha presa per mano e mi ha condotta in un mondo che non conoscevo.Per tutto questo voglio ringraziare il direttore Paolo Mazzurana e tutti gli operatori e volontari che mi hanno aiutata a muovere i primi passi nella cooperativa, che mi hanno insegnato a capire i tanti linguaggi di quell’universo e a tradurli in parole, senza di loro mi sarebbe sfuggito il meglio. Ringrazio anche le persone che hanno accettato di rispondere alle mie doman-de, i fondatori e i collaboratori, i familiari e i politici che nel libro ho identifi cato con il termine di amici per mettere in luce la loro appartenenza emotiva alla real-tà della cooperativa. Attraverso le loro parole ho potuto ricostruire la storia di una realtà sociale che da 30 anni gestisce il presente dei suoi utenti con lo sguardo rivolto al futuro. Infi ne voglio ringraziare i ragazzi per l’affetto che mi hanno dimostrato nei mesi in cui ho raccolto il materiale per il libro. Tutti sono stati molto gentili e disponibili nello spiegarmi come facevano a costruire le scatole, a piegare le teche e a incollare le alette o gli adesivi sui sacchettini di carta. Riconosco di essere stata un po’ noiosa con le mie domande, e li ringrazio, quindi, della loro pazienza, qualche volta mi è sembrato di scorgere nei loro occhi un fi lo di compatimento, un’ombra che poi lasciava il posto al sorriso e a un’ulteriore spiegazione del loro lavoro. Ognuno lo ha fatto con le sue parole, a volte uniche, sempre preziose, scandite lentamente come solo i padroni del tempo possono fare.

Luisa Pachera

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Il presidente

Iter, cammino, per me è iniziato nel 1982, quando, allora dipendente della Cassa Rurale di Rovereto, sono stato convocato dal presidente commendatore Carlo Baldessarini che mi ha presentato la direttrice della Cooperativa sociale Iter, la signora Rosetta Laezza. In quell’occasione il commendatore Baldessarini mi ha detto che, se c’era bisogno di acquistare degli articoli di cartoleria per la banca, dovevo rivolgermi alla Iter. Così ho fatto. Col tempo ho avuto modo di conoscere la realtà della cooperativa e di apprezzarne l’impegno profuso per i ragazzi. Da allora la Iter la porto nel cuore, oggi sono particolarmente felice ed orgoglio-so del mio ruolo di Presidente, ho raccolto una grande eredità fatta di amore, di umanità e di professionalità che mi viene da tutti i collaboratori. Desidero che il cammino futuro prosegua nella direzione di dare risposte adeguate ai bisogni dei nostri ragazzi e delle famiglie per garantire serenità e fi ducia nel futuro. Tutto que-sto lo costruiremo assieme: Consiglio di amministrazione, genitori e familiari, direzio-ne, operatori e volontari. La Iter è una famiglia in cammino da 30 anni, facciamo in modo che questo percorso ci porti alla meta contenti di avere svolto il nostro compito a favore dei nostri ragazzi.

Silvano Piazzini

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Il direttore

Il mondo della disabilità è in costante evoluzione. Nell’arco di pochi anni le leggi, le diverse opportunità offerte dai servizi e l’incremento delle situazioni di svantaggio, hanno dato origine a trasformazioni profonde. Molte di esse sono, al momento, appannaggio dei soli addetti ai lavori, mentre nella mentalità diffusa sopravvivono ancora vecchi concetti e pregiudizi a volte diffi cili da sradicare.È proprio da questa considerazione che nasce I padroni del tempo, un libro in cui le persone si raccontano dando valore alle loro azioni ed emozioni. Il testo punta l’attenzione sulla disabilità, cioè sulla diffi coltà connessa con una particolare me-nomazione, piuttosto che sull’handicap, che è invece lo svantaggio che ne può derivare (ma che non necessariamente è una deriva). Essere informati sulla disa-bilità signifi ca esserlo anche sulle abilità esistenti nonostante il defi cit e su come, partendo da queste, sia possibile superare le diffi coltà e raggiungere la migliore integrazione possibile. Fin dalla sua nascita, avvenuta nel 1981 grazie all’amministrazione Monti, la Iter ha inteso il lavoro come il mezzo per eccellenza in grado di dare dignità alle persone svantaggiate. Gli sviluppi che ne sono seguiti, hanno coinvolto i suoi utenti in un processo coerente che ha visto la realizzazione delle più importanti fi nalità educa-tive di supporto alla persona. Il libro che abbiamo voluto per festeggiare il trentesimo anniversario della coope-rativa, mette in luce questo processo attraverso la presentazione dei suoi protago-nisti, che sono il capitale umano della cooperativa, nella piena convinzione che, alla base di un’effi cace programmazione e realizzazione dei servizi sociali, debba esserci una profonda conoscenza delle risorse del territorio. Le cooperative sociali sono in grado di coniugare alcuni principi che, in passa-to, erano considerati inconciliabili, tra questi l’etica sociale, intesa come scopo, e quella imprenditoriale, recepita invece come metodo, ci consentono di realizzare delle opere di ingegneria sociale di alto valore morale ed economico.Il nostro obiettivo è quello di continuare a coltivare le giuste relazioni all’interno della comunità col fi ne di mantenere e sensibilizzare i soggetti presenti sul territorio, amalgamando il concetto del lavoro ai bisogni della persona.Padroni del tempo si diventa solo quando si è compreso che non si vede bene che col cuore, che l’essenziale è invisibile agli occhi, come ha scritto Antoine de Saint-Exupéry nel Piccolo principe.

Paolo Mazzurana

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I PADRONI DEL TEMPO

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Vengo al lavoro tutti i giorni.Sono qui alla mattina presto perché c’è tanto da fare.Svuoto i cestini, metto in ordine e controllo che tutto sia a posto.Poi arrivano i miei amici, vanno in laboratorio e cominciano a lavorare.Io sto con loro e faccio di tutto, a volte preparo le scatole e a volte i sacchetti, perché mi piace lavorare.

Oggi sono arrivato alle 8 e 5 perché ho l’impegno di mettere in ordine.È importante. Adesso ho quasi fi nito, devo solo spazzare il pavimento, poi posso cominciare il mio lavoro.La Cartotecnica ci ha portato dei cartoncini che devo piegare, devo prepararli per i cani che fanno la cacca in giro e non va bene.Appena ho fi nito di scopare, vado a farli.

Lezi el giornale, ma lezi sa ghè scrit...A mi no me pias la guera,bombardar l’è na roba bruta, che no va bem.Prima ghera Saddam e ades la Libia...ma no gai altro da far?Quando no se va d’acordo,se parla e se fa paze. Mi no capiso...

MARCO BALDESSARINI

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LUIGI BAZZANELLA

Mi fago le seradure dele porte, quele blindate del Gasperotti.Laoro bem, perché l’è cosita che se fa.

Mi piace scrivere, ma non posso farlo spesso e mi rincresce.La mia badante Nina non vuole che scriva alle persone e allora non lo faccio. O forse..., dai, dammi un foglio che ti scrivo.

Cara amicaio sto bene e spero anche di te.Le cose vanno bene anche alla cooperativa. Io ti voglio bene e anche tu vorrai bene a me. Saluti Luigi

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ANDREA BERTOLINI

Ormai sono abituato e non ho paura a tagliare...Se sto attento non posso farmi male, con una mano faccio una cosa e con l’altra premo il pulsante che muove la lama, così non può succedere niente. Piego, taglio, piego, taglio...mi piace questo lavoro, lo faccio da una vita.

Preparo un portafotografi e col cartoncino colorato.È bello..., davanti ci metto un foglio di plexiglas che sembra vetro. Non è diffi cile farlo, il diffi cile è spiegarlo con le parole. E poi non ho tempo, devo lavorare...Qui metto il cartoncino per prendere le misure, passo la colla e ci attacco sopra una striscia di carta colorata, poi prendo due altri cartoncini, li metto vicini e...Vedi che è diffi cile da spiegare?

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STEFANO BETTA

Adesso vado a mangiare dagli indiani, ma questa mattina ho lavorato con i cartoni per fare le scatole,erano blu, li ho piegati e ci ho messo la colla. Mi piace fare le scatole della Jolly.

Vengo alla Iter col taxi perché abito a Serravalle nella parte bassa del paese, verso Santa Margherita.Vivo assieme a mio papà Arnaldo e mia sorella Luisella, ma non con la mamma che non c’è più. Alle 5 e un quarto vengono a prendermi e torno a casa.Qualche volta vado a fare una passeggiata, un tempo ci andavo da solo, ma adesso mi accompagnano.Quando torno a casa guardo un po’ la televisione fi no all’ora di cena. Spero sempre ci sia il pasticcio o i gratini col latte,che sono tanto buoni.

Io sono un lavoratore della Iter.Con le mie mani so fare tante cose, oggi ne faccio una per le porte blindate.Prendo tre pezzi sinistri e tre pezzi destri, li metto vicini, nel senso giusto, e li passo al mio amico che li attacca assieme. Poi comincio daccapo.

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IVANO BISOFFI

Mi som bravo, ma som vecio.Ancoi compiso 48 anni, 28 per gamba.Dai..., nem a bever el cafè.

Me pias star ala Iter,gò tanti amizi,ala matina vago al bar col Maurizio,bevo el cafè, laoro e vago a spas.Qualche volta vago anca en gita.

Manca i cartoni, i è fi nii...e gò fam,dai, nem a magnar.

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MAURIZIO BONGIOVANNI

Ah..., i fi ori i è bei, ma l’è mejo lasarli en dove i è.Le done le buta via i soldi per comprarli, dopo le i porta a casa e ghe vem el mal de testa. A me mama coi fi ori ghe vem sempre el mal de testa.

Questo l’è en lavoro chicchirichì, digo sempre mi..., chicchirichì Meto ensieme el kit de la Gallo, che el fa chicchirichì, chicchirichì...A mi le done le me ama, se ne vedo una, me agito e sbaglio a meter zo i tocheti de la Gallo, chicchirichì.

Sa diseli da le me parti, al Vò? Èi tuti morti o ghe ancor qualchedun de vivo? Caro mio, se te vem en tumor... te vai!L’è come me zio che el fuma e el fuma e el ne stofega zo tuti. Basta fumar, ghe digo sempre, che se te vem en tumor, dopo te devi tegnirtelo.Ma elo nol me ascolta e el continua a fumar...l’è dur come el mur, cosita me mama la daverze le fi nestre.

Èla sposà ela signorina? No..., perché mi saría libero.

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LUANA BRAUSS

A pranzo ho mangiato la pasta col sugo, era squisita,poi sono tornata alla Iter e ho bevuto il caffè.Adesso faccio i sacchetti per la cacca dei cani,devo incollarci sopra delle alette, è un lavoro facile e divertente, mi piace farlo.

Mia sorella ha avuto una bambina, si chiama Astrid ed è bellissima, è piccolina, è nata venerdì 11 marzo, mangia il latte della sua mamma, fa la pipì, la cacca e tutto quanto...Le piace fare il bagnetto, ma non vuole rimanere sola nella culla, preferisce il lettone della sua mamma e papà.Io l’ho tenuta anche in braccio, mi ha fatto uhaa, uhaa...Mia sorella abita a Marco, io invece a Lizzanella con la mamma e con il papà, ma andiamo a trovarla spesso. Ho anche una sorella più piccola che si chiama Alessia e ha 26 anni, io ne ho 32. Il 1° settembre, di sabato, lei si è sposata e abbiamo fatto una bella festa,io ero la sua testimone assieme alla sorella maggiore.

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MARINA BRIGHENTI

Io sto bene, ciao, e tu? Sono contenta perché Alessio mi ha chiesto scusa e io l’ho perdonato. Venerdì andiamo in piscina e poi facciamo il pic-nic e mangiamo il panino con la bondola. Sììì..., mi piace il panino con la bondola e l’aranciata! E mi piace cantare con gli alpini. Sono belli, hanno il cappello.Quando èlo che i vem a sonar ala Iter? I è bravi, i ne fa le fortaje e i stromboi, che boni che i è... Quando viene Antonio a suonare che io canto? Il Paolo deve portare il pianoforte, sì dai Paolo... Mi piace tanto ascoltare la musica e anche cantare Era una notte che pioveva e la canzone dell’uccellino.

Ma dimmi un po’, po’, po’ se l’avessi qua, qua, quaquell’uccellino, quell’uccellino.

Speta n’atimo, tasi...

Ma dimmi un po’, po’, po’ se l’avessi qua, qua, quaquell’uccellino, quell’uccellino.

T’ho dit de taser, ascolta...

E l’è volato sulla caregal’è là che el canta, l’è là che el prega... E l’era volato sulla trapuntal’è là che el punta quell’uc-cel-li-no!

Fammi una fotografi a che poi la porto in co-mu-ni-tà, la metto nell’armadio e la guardo ogni mattina. Io abito vicino all’ospedale, in Viale Verona, e vengo qui tutti i giorni. Mi piace venire qui e mi piace anche mangiareil formaggio. Ogni martedì vado al mercato con un soldino nel portamonete per assaggiare il formaggio. Più di tutto, però, mi piace il pane con la bondola. Ma quando èlo che magnem el panim co la bondola en piscina...?

Ivano, ascolta... ascolteme, Ivanoooo!

Tanti auguri a te,tanti auguri a te,tanti auguri Ivano, tanti auguri a te!

Evviva l’Ivano! L’Ivano l’è bravo!

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SILVANO CANALIA

Sto facendo una teca, ma ho sbagliato. Mettere la colla sembra facile, ma non lo è, a volte è complicato, bisogna stare attenti a dove la si mette.Questo lavoro ho dovuto rifarlo perché non era dentro la riga ed era brutto da vedere. Ho tolto il cartoncino piano piano, poi ho rimesso un po’ di colla e adesso aspetto che si asciughi bene..., così il problema sparisce. Questa è l’arte da imparare. Ghe sempre n’arte da ‘mparar e no se sa mai sa ghè davanti.

Mi rilego i libri, i fago novi.Tiro via la copertina vecia e preparo quela nova.Togo i fascicoli e i conto, i meto al so posto giusti, en ordine. Uno dopo l’altro. Quando som sicuro che i è a posto, ghei passo al Bruno che el li encola e el ghe mete la copertina nova.Me pias far i libri, gò le mam d’oro.

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DOMENICO CONZATTI

A mi me pias uciar, ades fago na sciarpa per me mama, varda quanti colori che la ga. Anca me mama la ucia, ma la fa maioni, la fa tanti ponti e cadenele, l’è brava.

Gat dei gomitoli de lana vecia da darme? La me serve per uciar. Fago tanti bei laori co la lana, i hatu visti?

Ancoi meto i buloni nel sachetim, ne meto dentro uno, a volte doi...Dopo ghel passo ala Loredana che la va avanti e la fi nise el laoro.

Scuseme che t’ho enterota,scuseme, scuseme...no volevo, scuseme!

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ANTONELLA COSENTINO

Io metto i coni di carta uno dentro nell’altro. Ne prendo uno, lo allargo e lo infi lo negli altri che tengo in mano. Non so a cosa servono, ma è il mio lavoro e ho imparato a farlo bene.Faccio piano perché non è facile.

Sono di Caldonazzo, ma abito a Calliano da una signora con un bambino che conosco da tempo. Lei lavorava a Lenzima e, quando ha smesso, mi ha chiesto se volevo stare con lei e io le ho detto “va bene, volentieri”. Durante la settimana vengo qui alla Iter, ma il sabato o la domenica, se c’è bel tempo, vado coi miei compagni a farmi un giro. Andiamo con il pulmino di Villa Maria, che noi chiamiamo Jampi, è piccolo, ma per noi va giusto bene. Di solito siamo in tre e siamo amici perché ci conosciamo da tanto tempo, assieme andiamo a Trento o in qualche altro posto... Se è una bella giornata, cosa stai a fare in casa?

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MARCO DALDOSS

Chi sem en trei che ne ciamem Marco, ma sem tuti diversi.Mi fago sacheti per el Manica, togo la carta e tiro via l’adesivo. No l’è fazile perché ogni tant nol se destaca, ghe se voleria le onge longhe e mi no le gò.Ecco... ghe l’ho fata! Ades, piam pianim, el meto qua, cosita... e dopo ghe maco sora co la mam per tacarlo bem.Varda che bel che l’è vegnù!

Metto i profumi nelle scatole,non è un lavoro diffi cile, ma devo farlo in fretta perché, se non libero il tavolo all’Ezio,lui non può fare la sua parte.Ezio prepara le confezioni di profumoe io le metto nelle scatole grandi,a fi le di quattro al colpo.

Io sono di Besenello, sono già 24 anni che vengo qui.A casa ci sono i miei genitori e una sorella più piccola che mi aspettano.

Ancoi laoro con la cola.Ne meto en fi lo e aspeto che la se taca.Fago i sacheti per meter dentro la roba che fa i cagni en giro.

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GIORGIO GAZZINI

Ogni giorno il Pio mi porta a casa per mangiare.Io non vado in mensa perché mi fa male.Mi piace il formaggio e mi piace anche la verdura cotta,poi le pesche e l’anguria.Bevo tanta acqua. Poi torno alla Iter col Pio.

Meto el sachetim en mez ai fermi.Togo en cartonzim,ghe meto la cola e el taco ensieme.Dopo tiro via el sachetim e ho fi nì.Te piaselo?

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MAURO GIULIANI

Io sono Mauro e faccio di tutto,adesso piego le teche, ma domani non so.

Ancoi fago misteroti. Togo el cartoncino, meto la cola e dopo la stendo col penel.

Ades fago el profumo.Prima meto la presa dela luce, dopo la botiglieta, drita, no storta, e le istruzioni. Per ultim sero la scatoleta.

Vardo en giornale che me pias, Rovereto Sport.Ghè su na fanciulla che zuga,na bambina che fa ginastica, e dei ragazzi che scia e fa judo.Dopo ghè anca en tirassegno,en campo da sport, na palestra, na piscina,na torretta per l’arrampicata e... e basta.L’è anca massa.

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LOREDANA GOZZER

Io sono di Trento, ma da anni vivo a Sacco nella Cooperativa Penelope. All’inizio ero nell’appartamento del primo piano, ma poi mi sono fatta trasferire perché non mi piaceva stare lì, c’era un ragazzo che mi prendeva in giro per come camminavo... Ho dovuto insistere e insistere, poi, fi nalmente, mi hanno spostata al piano di sopra. Siamo in sei ragazzi, quattro maschi e due femmine, io dormo in camera assieme a Flora. Con noi lavorano cinque o sei operatori che si danno il turno per seguirci, alcuni sono fi ssi, altri no. Ognuno di noi ha i suoi compiti e deve aiutare a tenere l’appartamento in ordine, c’è chi va a fare la spesa e chi fa dell’altro, io stiro ogni venerdì, non mi piace, ma canto e il tempo passa in fretta. E poi cuciniamo, questa sera tocca a Paolo preparare la cena, domenica invece è il mio turno e ho deciso di fare la pizza per tutti. Io però non ho voglia di mangiarla, così preparerò la pizza per i miei amici e un piatto di pasta per me o magari un’insalatona. Mi piace la verdura, a volte la mangio mentre la lavo senza neanche condirla, è buona.

Annarosa mi ha messo le roselline di panno sul fermaglio dei capelli.È stato un regalo per il mio compleanno che mi piace molto, io ho portato le pastine per tutti.

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UMBERTO LAEZZA

Sono qui da sempre, fi n dall’inizio quando eravamo solo in 7 ragazzi. Quello è stato un periodo veramente bello, lavoravamo per la Domovideo, per la Marsilli e facevamo le cartelle per il Comune di Bolzano. Questi sono stati i nostri primi datori di lavoro, poi sono arrivati la Cartotecnica, il Manica e altri ancora. Abbiamo iniziato così. Allora non era questa la nostra sede, ci trovavamo nell’ex chiesa della Sacra Famiglia e poi in un altro postoin centro città. Adesso le cose sono un po’ cambiate, spesso facciamo delle scatole del tutto anonime, che valgono poco, ma io ricordo che anni fa preparavamo sia l’esterno che l’interno delle confezioni dell’Amaretto di Saronno. Le facevamo a mano, una per una, per cui erano preziose, costavano più del liquore che c’era dentro.

Pióve, pióve... giornà giusta da som.Ma domam l’è festa e vago en montagna lo stess.

Abito a Rovereto e vengo alla Iter con il pulmino del Servizio disabili della Provincia, passano a prendermi alle 8 e mezzo, arrivo in pochi minuti e subito mi metto al lavoro, poi vado a mangiare coi miei amici. Quando ho fi nito, torno qui e ci resto fi no alle 5 e un quarto, quindi smetto e torno a casa col solito pulmino. Il sabato e la domenica, a volte, vado con i miei genitori nella mia casa in montagna, ma non sempre, spesso rimango a Rovereto ad ascoltare musica. Il nonno, cioè il papà di mio papà, era di Napoli, così mi piace molto la musica napoletana.

Ancoi la Marina l’è levà co la luna storta e l’è mejo taser.

Bisogna prendere il numero per bere il caffè, altrimenti si litiga.Una volta, quando tornavamo da pranzo, ognuno voleva bere subito il suo caffè e chi faceva la voce grossa, lo prendeva per primo. Non era giusto, così Paolo ha deciso che ognuno prende il suo numero e aspetta il suo turno.

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TATIANA LARENTIS

Noi facciamo delle confezioni che servono per costruire le docce. Stefano prepara un sacchettino, io aggiungo qualcosa e lo do a un altro che poi continua. Lavoriamo assieme, così facciamo prima. Siamo come una cooperativa dentro la cooperativa.

Ma tu lo sai che una volta io sono caduta dal furgone? Hanno dovuto chiamare il carro attrezzi, sapessi che avventura...

Io abito ad Aldeno con la mia famiglia e vengo alla Iter con il Servizio muoversi, che è un consorzio di autonoleggiatori che ha fatto un appalto con la Provincia per portare in giro i disabili. Alcune macchine sono attrezzate per le persone con gravi diffi coltà, ma io posso utilizzare anche quelle del tutto normali. È tanto tempo che uso questo Servizio, quasi dall’inizio, e mi ci trovo bene, però ultimamente è un po’ peggiorato, perché ci sono delle regole da rispettare che prima non c’erano. Io credo che anche nel trasporto dovrebbero essere favorite quelle persone che hanno più problemi, per esempio chi ha due disabilità come me che ci vedo anche poco, dovrebbe essere maggiormente aiutato. Una volta era così, ma adesso è diverso ed è un peccato.

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THOMAS LIBARDI

Io vado in bicicletta. Mi piace questo sport, così, appena posso, corro ad allenarmi. A settembre vado a Genova per partecipare al campionato nazionale, mi accompagna un mio amico che è anche il mio allenatore e mi fermo tre giorni. È la prima volta che faccio una gara, non è importante come fi nisce, ma che non mi faccia male. Quando ci penso mi agito un po’, ma poi mi passa. La prima volta che sono andato a correre sulla pista di Mori, sono scivolato e sono caduto, ma non era colpa mia, la ruota dietro aveva il copertone liscio...Ci sono rimasto male, ma poi non è più successo perché sto molto attento. Faccio anche altri sport, mi piace nuotare e anche sciare, ma andare in bicicletta è ancora più bello, l’anno scorso ho pedalato per 2.500 chilometri.

Una volta sono andato in vacanza a Londra perché volevo visitare la casa di Freddie Mercury, il viaggio è andato bene, ma arrivato all’aeroporto, mi sono perso. Anzi no, io non mi sono affatto perso, è stato il mio accompagnatore che si è nascosto per vedere cosa facevo. Ero lì tranquillo e beato che pensavo ai fatti miei, quando, a un certo punto, mi sono guardato attorno e non c’era più nessuno. Ero solo in mezzo a tanta gente che non parlava la mia lingua. La mia prima reazione è stata di arrabbiarmi, poi ho preso il cellulare e ho chiamato il mio amico che era nascosto poco lontano e mi stava facendo un fi lmino con la cinepresa.

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STEFANO MANFRINI

Io sono il nipote di Ezio. Lui è mio nonno e mi porta l’acqua tutte le mattine.Io la bevo poco alla volta, è buona.

Nonno Ezio ha deciso che io sono il Sindaco di Noriglio, è un bel gioco.Io abito lì perché è un bel paese, mi piace.Vado in Comune, in chiesa e poi... e poi non lo so. Ho tanti fratelli, ma vivo con mia sorella Ornella, suo marito Francesco e mia nipote che è piccola e mi chiama zio.

Io metto la colla per i sacchettini delle cacche dei cani.Domani faccio una cosa diversa, ma non so quale.

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ADRIANO MERLO

Abito a Rovereto, il sabato e la domenica vivo con il mio papà al Brione,ma gli altri giorni della settimana sto nella casa famiglia di via Pasqui,con me c’è anche l’Ivano. Il venerdì sera torno dal mio papà e gli faccio compagnia.Ho due sorelle, Roberta e Elena, una lavora all’Orvea e l’altra da nessuna parte perché deve seguire il Nicolò che è alla Guardini. Alla Iter mi piace incollare le alette alle teche, è un bel lavoro. La mia passione, però, sono le ruspe, mi piacerebbe tanto guidarne una.

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ALESSIO MOIOLA

Oggi faccio le teche. È diffi cile, ma io sto attento e le faccio bene.Abito a Lizzana e vengo qui da tanto tempo.

Faccio i biglietti di auguri assieme agli altri.Io devo scegliere un bottone da mettere in mezzo a un fi ore di panno. È un lavoro facile, ma sto attento perché deve essere il bottone giusto, se no il biglietto viene male.

A Cornacalda non si vede bene la televisione, la Rai, per esempio, non si prende.Così mi piace guardare La7.

Ciao bella. Ti amo, siora.

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PAOLO NICCOLINI

Quello è il mio amico Stefano, il nipotino di nonno Ezio. A guardarlo bene si vede che assomiglia un po’ anche a me, e allora io potrei essere il suo papà, così formiamo una vera famiglia col nonno, il papà e il nipote. Paola potrebbe essere la mamma di Stefano, così potremmo fare una bella commedia! Mi piace recitare e anche danzare, fare due passi avanti, ruotare, piegarmi, due passi indietro, girarmi, volare...

Io lavoro volentieri al telaio, prendo il legnetto col fi lo di lana e lo passo sotto di qua e sotto di là. Guarda che bello!

Faccio il portinaio tutti i lunedì, martedì e giovedì dalle 8 e mezzo alle 9 e mezzo. Dopo di me c’è Luigi, così, appena ho fi nito, vado a chiamarlo.Per sapere quando è l’ora, tengo d’occhio gli orologi,all’entrata ce ne sono due, uno va avanti e l’altro indietro, Quello giusto non c’è, così li leggo entrambi e faccio a metà.Il mio compito è guardare nello schermo e controllare chi entra e chi esce.Se vanno fuori non faccio niente, se vengono dentro schiaccio il pulsante e apro la porta. Posso anche chiedere chi è prima di aprire.Mentre sto qui, guardo il giornale, è vecchio, ma mi piace lo stesso.

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ENZO PASSAMANI

Il lavoro della portineria è molto importante,ora ci sono io, ma fra un’ora tocca a Loredana,abbiamo un calendario da rispettare. Io sono qui il martedì, il mercoledì e il venerdì, faccio dall’una e mezzo alle due e mezzo e poi lascio il posto a un altro. Quando il campanello suona, bisogna controllare sugli schermi chi è e poi aprire. Non è diffi cile, ma bisogna stare attenti.

Ho avuto mal di gola, per questo è un po’ che non vengo. Il 6 luglio sono 26 anni che sono in cooperativa, la prima volta è stato nel 1985. Mi piace stare qui. Peccato che a volte non ci sia tanto lavoro da fare.

Fra pochi giorni parto per il mare e sono contento. Vado a Riccione con mia mamma, stesso mare, stesso albergo, stessi amici da tanto tempo.Noi ci troviamo bene in quel posto, così non cambiamo, ci sentiamo di casa.Viaggiamo su un pulmino perché siamo in pochi ed è bello stare in compagnia.

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OLIMPIO PEDROTTI

Mi vago a casa prima dei altri, sempre.Abito a Tierno con me fradel.Apena arivo a casa me buto zo sul divano e spolso,dopo vago nei campi col Vittorio, che l’è me fradel. Fago tanti misteri, cavo anca l’erba.Gò le vigne che le è bele,le piante de kiwi, enveze, le è vece e no le fa pu gnente, così doveria baterle fora,ma no me decido.

Ciao, com’èla?Me dat en basim?

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EZIO ROMICH

Io lavoro con la colla, ne metto un po’ di qua e anche un po’ di là, poi passo la teca a lui e comincio daccapo. Questo è il mio lavoro e cerco di farlo bene. Vengo qui tutti i giorni e devo essere sempre concentrato per fare tutto giusto. Io sono convinto che quando uno è sul lavoro deve dire “ci sono io e il lavoro e basta”, perché se sei concentrato vai avanti, altrimenti non combini niente. Vado a casa alle 5 di sera e vengo qua alle 9 di mattina, prima non arrivo perché il pulmino deve fare un giro lungo per andare a prendere altre due persone. Prima vengono da me che abito a Rovereto, poi andiamo a Noriglio per uno che lavora al Ponte, infi ne passiamo a prendere lo Stefanino, quello piccolo che è il ragazzo più simpatico di tutti, ed è anche il mio nipotino..., sì, mio nipote! Non è uno scherzo, basta provare a chiederlo a lui e si capisce subito che è vero.

Ezio: Stefano, è vero che sei mio nipote?Stefano: Sì!Ezio: È vero che sono tuo nonno? Stefano: Sì!

Visto? Non è uno scherzo... Io sono il nonno della Iter, il nonno di Stefano..., e lui è il nipotino a cui porto una bottiglietta d’acqua ogni mattina. È la pura verità! Lui la beve poco alla volta e se la tiene sempre vicina. Un giorno qualcuno mi ha detto di non farmi chiamare nonno che mi fa sembrare vecchio, ma non è vero, io sono contento di essere il nonno del mio Stefanin.

Ho l’accento padovano perché sono nato a Padova,la città dove ho vissuto fi no ai 20 anni, adesso ne ho 55. È bella Padova, è piena di portici e se piove non ti bagni.Ricordo una canzone che dice:

Di qua e de là m’incanto ghe xè i porteghi e la cupola del Santo...

A Padova c’è una chiesa senza nome,veramente... ce l’ha il nome, ma non serve per trovarla.Se dici vado al Santo, sai che vai a Sant’Antonio. Io sono nato padovano, voglio vivere da padovano e morire da padovano. Questa è la mia mentalità.

Mi piace lavorare, ma anche scrivere,a volte compongo poesie per le mie amiche del cuore.Quando vado a casa, mi butto sul letto e dormo, così la mente si libera, posso pensare e poi scrivere.

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TIZIANA SARTORI

Adesso mi trovo nei guai perché non so come girare il fi lo di lana. Mi piace lavorare col telaio, ma quando sono in fondo alla riga, non so come fare a tornare indietro, così chiedo aiuto. La cosa che non mi piace del telaio, è il pettine. Io lavoro e lavoro, faccio un pezzo lungo di tessuto ben intrecciato, poi prendo il pettine e tutto si restringe, diventa poco e niente.

A casa ho un bar. Ci sono stata per tanto tempo, ma a un certo punto mi sono stufata e ho voluto cercarmi un lavoro diverso.Così ho chiesto consiglio ad Annarosa, che veniva spesso con suo marito a casa mia, e lei mi ha portata alla Iter.Sono stata la prima femmina della cooperativa e quando sono arrivata mi hanno fatto festa.

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TOMAS SCOTTINI

Io sono qui per imparare quello che serve per entrare nel mondo del lavoro.Prima di tutto devo rispettare alcuni prerequisiti, per esempio devo essere puntuale e attenermi alle consegne, devo comportarmi bene ed essere disponibile all’interno del contesto in cui opero.Ho già lavorato in tanti posti, ma ora sono qui a tagliare il pvc riciclato in diverse misure. Lo facciamo per una signora che ci porta dei vecchi manifesti pubblicitari da tagliare, così poi crea delle borse un po’ speciali. Il mio lavoro non è diffi cile, mi serve per prendere confi denza con la taglierina e le altre macchine.

In laboratorio io ci sono saltuariamente perché spesso sono in giro a fare le consegne col furgone, adesso, per esempio, vado ad Ala per il Banco alimentare. A volte, quando sono in sede, coordino il lavoro degli altri, guardo che le cartelle siano fatte bene, dago n’ociada, le meto zo en ordine..., dopo vem bem anca i operatori a controllarle, ma el primo passaggio l’è mio.L’è n’am comodo che som qua e som contento, dai..., le mansiom assortite le me piass..., fago de tut e me perdo via.

A me non piace lavorare con il telaio, per il resto mi arrangio, al bisogno faccio anche l’orlo dei pantaloni. Con i jeans è un po’ diffi cile perché il tessuto è spesso e duro, così inumidisco il nastro orlo svelto, poi lo metto in triplice strato e lo copro con la piega facendo attenzione che non esca. A questo punto ci passo sopra il ferro da stiro, prima al rovescio e poi al diritto. È facile, ma ci vuole pazienza. Il segreto è tagliare via il bordo dell’orlo vecchio perché è troppo duro e rovina tutto il lavoro.

Faccio la manutenzione dei furgoni. Oggi ho pulito quello azzurro e ho trovato un difetto, così mi sono ricopiato i dati e ho scritto una lettera col computer per ordinare il pezzo di ricambio. Tenere i mezzi in ordine è una cosa fondamentale, io li pulisco e controllo che non abbiano problemi. Quando l’odore interno non è buono, ci spruzzo anche il deodorante.

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MAURO STEDILE

A Pasqua eravamo in nove,ha cucinato la mamma,ha fatto il pasticcio, la frittata, gli spiedini di pollo, le patate al forno e il tiramisù.Che buono!

Faccio le scatole per l’aceto balsamico.Piego, piego e piego ancora, in fretta.Ta-tan..., fatto! Sono veloce.Veloce come la Ferrari. Al Museo della Ferrari a Modena c’era la mia scatola con l’aceto. Costava 85 euro!

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NICOLA STEFANATI

Sono di Rovereto,a volte è la mamma che mi porta alla Iter, altre ci vengo da solo in tram.Arrivo alle 8 e 15 e mi metto subito al lavoro secondo il mio orario settimanale.A quest’ora, per esempio, dovrei fare il controllo degli erogatori... Se in bagno manca la carta igienica, vado nell’armadio e la prendo,stessa cosa faccio con il sapone liquido, è importante che ce ne sia sempre un po’ perché altrimenti non possiamo lavarci le mani. Il mio è un lavoro facile, ma io ci sto attento e lo faccio bene.

Mi piace molto andare in piscina,adesso sto imparando a nuotare normalmente e sono molto contento. Ci vado tutti i venerdì, i miei insegnanti sono Luca e un altro istruttore.Nuoto nella piscina profonda,mi metto sotto il livello dell’acqua,poi spingo coi piedi e torno su, a metà risalita comincio a muovermi a rana.All’inizio sapevo nuotare solo sul dorso e in un altro stile che è a metà strada tra rana e delfi no. A casa ho la mamma, il papà e una sorella più grande, Elisa, che sta decidendo che lavoro fare, credo che sarà una brava insegnante. Mio papà costruisce delle cose bellissime con il legno e la ceramica,ha fatto anche una lattiera e un servizio da caffè con tanto di zuccheriera.

Noi prepariamo le confezioni del profumo,chi le compera deve solo togliere il tappo, agitaree mettere la presa dentro la spina della corrente elettrica.Subito si accenderà una lucetta e inizierà a uscire il profumo.

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LORENZO VIVORI

A Pasqua se spacca i ovi, che bel.

Piego le scatole dell’aceto, faccio così, così e così.Uno, due, tre, quattro... Fatta!Abito a Volano con i miei genitori che hanno un forno. Vengo qui con il furgone che porta il pane e alla sera viene a prendermi mio papà.

Io faccio judo, sono cintura blu e sono bravo.Mi alleno il giovedì e il martedì sera,mi porta mio papà, io indosso il chimono bianco e la cintura blu.Ho fatto la sfi da col Gianpaolo che è il mio allenatore.Sono andato anche in Francia per combattere contro i francesi,abbiamo perso, ma mi è piaciuto lo stesso.

Ciao bella!

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MARCO ZANOLLI

Lisa dagli occhi blu... la la la la la...sei sempre sempre tu.

Io faccio le teche. Inserisco questo gancetto qua, poi lo giro e lo metto dall’altra parte. Sia a destra che a sinistra. Per ultimo metto l’elastico che manca. Se c’è uno che m’insegna, capisco al volo, se no, è diffi cile.

Mi som el Marco da Mori, prima ero all’I.P.I.A. con la Spadaro, la maestra, ma adess laoro con la Cooperativa Iter, ensieme ai me amizi, ai volontari, ai operatori e a tuti quanti. Vegno chi tute le matine en coriera coi me compagni, desmonto e fago el resto dela strada a pé. Ala sera vago via e torno a casa.

Sta chi con mi e fame compagnia, tote na sedia e sentete chi vizim, dai...

Sono stato al concerto rock e mi hanno dato una maglietta.Guarda che bella che è.

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ROBERTO ZENCHER

Fra poco compio 47 anni, che bello!Quel giorno al ristorante facciamo festa e beviamo tutti il caffè, evviva!

Oggi a pranzo ho mangiato la pasta, era speciale, aveva il sugo di verdure e mi piaceva tanto.

Il lavoro più bello è mettere il profumo nelle scatolette di plastica, non è diffi cile. Sono molti anni che sono alla Iter e ho imparato a fare tante cose, sono bravo. Abito nella casa famiglia La sorgente in Corso Verona 84 a Rovereto,sto assieme alla Marina. A casa c’è la mamma con il Carlo, il papà invece non c’è più.Gioco a basket e vinco sempre, l’altro giorno ho fatto 100 punti.

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IL FARE

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Tiziana: Il nostro Umberto è il maresciallo della Iter!

Umberto: Sì..., il generale!

Tiziana: Tuo nonno era maresciallo e tua nonna maestra, così tu sei il nostro maresciallo!

Umberto: Mio nonno era napoletano e mia nonna trentina, abitavano a Calliano, dove sono nati cinque fi gli.

Tiziana: Tu sei mio amico, ci conosciamo da tanti anni e siamo sempre assieme.

Umberto: Eh, sì...

Tiziana: All’inizio alla Iter c’erano solo maschi.

Umberto: No, c’era anche Annarosa.

Tiziana: Sì, ma noi ragazze siamo venute dopo, molto dopo.

Umberto: Io mi ricordo quando sei arrivata, sei stata la prima ragazza della Iter.

Tiziana: Sì, sono stata la prima ed ero contenta.

Umberto: Anche noi eravamo contenti.

Tiziana: Dopo un anno esatto mi avete fatto una festa e mi avete regalato...

Umberto: ... dei fi ori!

Tiziana: Sì, dei bellissimi fi ori per il mio primo compleanno alla Iter. Mi ricordo bene, io ero in mezzo e voi tutti attorno.

Umberto: È stato bello!

Tiziana: In settembre sarà il mio decimo compleanno alla Iter.

Umberto: ... e il mio trentesimo.

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Marina: Auguri Alessio!

Alessio: No, non dirlo, non voglio...

Marina: È l’8 marzo! Auguri!

Alessio: Nooo, è la Festa delle donne...

Marina: Dai Alessio..., auguri!

Alessio: Non voglio gli auguri, sono per le donne!

Marina: Alessio, dai, dai!!!

Alessio: Non voglio...

Marina: Daiii!

Alessio: Non mi piace, sono un uomo!

Marina: Dai!!! A u g u r i A l e s s i o!

Alessio: No, no, nooo!

Marina: Allora..., auguri Silvano!

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Loredana: Desideri un caffè?

Tiziana: Dai, prendi una sedia che parliamo un po’ assieme.

Loredana: Normale o lungo? Col latte o senza? Con tanto o poco zucchero?

Tiziana: Siediti..., che abbiamo tutto il tempo che vogliamo.

Loredana: Certo, noi siamo i padroni del tempo!

Umberto: Magari..., sarebbe bello avere sempre vent’anni.

Marco B.: Noi siamo i padroni del bel tempo e del brutto tempo. Ieri c’è stato il temporale e il vento ha piegato tutte le piante... L’è sta en disastro!

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Alessio: Noi facciamo i fi ori di panno per i bigliettini di auguri.

Silvano: Io prendo il panno, lo metto su una fustella con il disegno, poi sopra ci premo un pezzo di plastica e passo tutto nel rullo della macchina.

Alessio: Lui gira la manovella della macchina...

Silvano: ... e il disegno si stampa sul panno che viene tagliato.

Alessio: Escono due fi ori, uno grande e uno piccolo.

Stefano M.: Io scelgo i fi ori da mettere assieme.

Tiziana: Devono essere di due bei colori diversi, contrastanti.

Stefano M.: Li metto uno sopra l’altro, quello grande va sotto.

Alessio: Io invece scelgo il bottone da mettere sopra i due fi ori.

Tiziana: E Annarosa li cucisce assieme.

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Olimpio: Mi fago scatole, scatole e ancora scatole. Viva le scatole!

Marco Z.: Sta’ atento Olimpio, no far cossita.

Olimpio: Ti tasi che mi fago quel che voi!

Marco Z.: Ma dai, vei chi...

Olimpio: No che no vegno.

Marina: El scherza, l’Olimpio...

Marco Z.: Ah, mi no so se el scherza o el fa dal bom!

Marina: Vera che te scherzi Olimpio? Dai, dime de sì...

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Mauro G.: Noi facciamo i cavallotti per le porte blindate.

Antonella: Io preparo il pezzo di destra.

Mauro G.: Io quello di sinistra.

Alessio: E io li lego assieme con il nastro adesivo, metto quello rosso al cavallotto di sinistra e quello bianco a quello di destra. Devo stare attento.

Dario: Io invece con l’adesivo attacco le scatolette di cartone.

Loredana: Bravo, ma devi tirarlo liscio... senza pieghe.

Dario: Così va bene?

Loredana: Per me va sempre bene, per forza... sei il mio fi danzato!

Dario: Dai, non scherzare...

Loredana: L’altro giorno mi hai detto che sono simpatica, è vero o no?

Dario: È vero, è vero.

Loredana: Allora... se non siamo fi danzati, siamo almeno amici!

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Marina: Che ne dici Nicola se ci sposiamo assieme io e te?

Nicola: Mah..., veramente...

Marina: Pensaci, sarebbe un’idea, no?

Nicola: Non lo so, non credo.

Marina: Ti metti l’anello come uno sposo e facciamo marito e moglie.

Nicola: No..., no!

Marina: Dai..., facciamo una bella festa.

Nicola: Io preferisco sposare una ragazza più giovane di te!

Marina: Allora, quando vai al tuo matrimonio, mi porti le nozze?

Nicola: Cosa?

Marina: I confetti, quelli bianchi...

Nicola: Va bene, te li porto.

Marina: Però sarebbe una bella idea se ci sposiamo io e te, non credi?

Nicola: Non credo proprio...

Marina: Ma almeno ci pensi un pochino?

Nicola: Te l’ho detto, io preferisco sposare una ragazza più giovane.

Marina: Allora sarà per un’altra volta, ciao Nicola!

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GLI AMICI

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Milena e Mario BianchiVolontari

Abbiamo entrambi la passione per la cucina e se ci fossimo conosciuti prima, for-se, avremmo aperto un ristorante. Invece ognuno di noi ha seguito la sua strada, si è sposato, ha avuto fi gli e ha vissuto la sua vita, fi no a che ci siamo incontrati e, rimasti vedovi, ci siamo messi assieme. Oltre alla cucina abbiamo altri interessi in comune, per esempio ci piace andare in montagna per funghi e anche, quando possibile, aiutare chi è meno fortunato di noi. La nostra vita non è stata semplice, ma assieme siamo felici e ci sembra di avere più del necessario, per questo sentia-mo il desiderio di renderci utili. Ci siamo avvicinati alla Iter qualche anno fa, quando un parente che conosceva la nostra passione per la cucina, ci ha suggerito di organizzare un pranzo per i ra-gazzi della cooperativa. L’idea ci è subito piaciuta, siamo andati a parlare con la direttrice e ci siamo messi al lavoro.Il primo pranzo l’abbiamo preparato nella baita degli alpini a Patone, dove c’era-no circa 70 persone che hanno mangiato di gusto con nostra grande soddisfazio-ne. Lì abbiamo capito che quella era la nostra strada per fare qualcosa di bello che portasse gioia agli altri e anche a noi stessi.In seguito abbiamo organizzato dei pranzi nella sede della Iter portandoci tutto da casa, primo, secondo e dolce, già cotti e solo da riscaldare. Ma siamo stati anche a Mezzomonte, in una struttura della Pro loco con una cucina ben attrezzata che ci ha permesso di preparare quasi tutto al momento. Lo spazio è importante, ma noi lavoriamo bene ovunque, perché ci dividiamo i compiti a seconda delle nostre preferenze, a uno piace cucinare i primi piatti e all’altro i secondi, andiamo d’ac-cordo anche su questo. Per l’ultimo pranzo abbiamo proposto un menu speciale che è stato molto ap-prezzato, così i ragazzi sono stati contenti e noi più di loro. Abbiamo servito 75 porzioni di un risotto ai porri delizioso, cotto al punto giusto e ben mantecato con burro e parmigiano, è piaciuto a tutti. Per secondo abbiamo preparato tredici chili di carne di maiale, che avevamo ordinato al nostro macellaio di fi ducia, l’abbiamo cotta al forno con le verdure come se fosse un brasato e alla fi ne si tagliava con un grissino, era squisita. E non sono mancate le patatine fritte, che avevamo precotto il giorno prima a casa, e che abbiamo passato un paio di minuti al forno per renderle croccanti. Ne abbiamo fatte una montagna e non è stato facile, ma ne valeva la pena perché i ragazzi le hanno mangiate veramente di gusto. Quello è stato un pranzo speciale, ma il prossimo sarà ancora migliore. Abbiamo delle ottime idee per il menu ed è già tempo di mettersi al lavoro.

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Lia Borz CorradiniVolontaria

Sergio ed io, di solito, andiamo alla Iter il mercoledì, qualche volta viene con noi anche mia cognata Maria Pia, così ci pare di essere veramente in famiglia. Tutto è cominciato negli anni Ottanta, quando mio marito era vigile urbano e nei suoi giri in città, non mancava di passare a salutare i ragazzi nella vecchia sede di via Calcinari. Ogni volta era una festa, in cooperativa tutti gli dimostravano un affetto talmente grande, che lui ha dovuto promettere di diventare volontario non appena fosse andato in pensione. Al momento giusto ha mantenuto la parola e col tempo ha trascinato nella sua avventura anche buona parte della famiglia. Quando era viva mia suocera, ricordo che i ragazzi venivano nel nostro giardino a mangiare le frittate e si divertivano un mondo. Ora le cose sono un po’ cambiate, ma da un paio di anni, verso la metà di agosto, ci raggiungono nella nostra casa di montagna, a Fondo Piccolo, e facciamo festa. Appena arrivano, loro vanno a fare una passeggiata, mentre noi prepariamo il pranzo con l’amico Alfredo che cuoce la carne alla griglia. Mangiamo in allegria, quella non manca mai, e stiamo insieme qualche ora, poi i ragazzi ripartono per la città e noi stiamo a salutarli fi n-ché non sono lontani. Anche in questo ci sentiamo famiglia, siamo un gruppo di persone diverse che amano passare del tempo assieme, che si sentono coinvolte emotivamente l’una con l’altra. Ad ogni suo compleanno, mio marito porta la pizza per tutti i ragazzi perché dice che vuole festeggiare in famiglia, ma anche per il matrimonio di no-stro fi glio e per la nascita del suo primo bambino abbiamo voluto fare festa alla Iter. Queste sono emozioni forti che è giusto spartire con gli amici. Quando per qualche motivo stiamo un po’ di tempo lontani, ci sentiamo prendere dalla nostal-gia, come sempre succede tra gente che si vuole bene.

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Sisto CampostriniGià Presidente della Cooperativa Iter

Sono un uomo del fare, credo di non essere mai stato con le mani in mano ne-anche da bambino, in questo ho sicuramente preso da mia madre, che era una donna piena di forza di volontà e di voglia di lavorare. Lei veniva da una famiglia di mugnai che aveva un mulino lungo il torrente che scendeva dal Monte Baldo ad Avio, e fi n da piccola seguiva il papà nelle sue varie mansioni. Mi piace imma-ginarla mentre gli teneva la mano e lo ascoltava parlare con i clienti... Crescendo non è cambiata, ha cominciato a lavorare da giovane e ha continuato a farlo anche quando ci siamo trasferiti a Rovereto, dove gestiva la trattoria Ancora e lo spaccio in cui vendeva il nostro vino. Il papà intanto era impegnato nel commer-cio del legname e io gli davo una mano, mi dividevo tra lo studio e i boschi, e da entrambi ricavavo le giuste soddisfazioni.Dopo essermi laureato in ingegneria il ritmo di lavoro si è accentuato ancora di più, ben presto ho aperto uno studio professionale e ho avviato delle colla-borazioni con la Provincia e i Comuni che mi hanno portato a operare un po’ ovunque. Tra i tanti incarichi ricoperti, ricordo con piacere quello di Presidente dell’Azienda elettrica di Rovereto, che aveva sede nell’edifi cio in cui adesso opera la Cooperativa Iter. All’inizio degli anni Ottanta ero molto impegnato nel sociale, perché mi chiama-vano spesso a presiedere commissioni o enti benefi ci sia pubblici che privati, così, quando l’amico Pierluigi Laezza mi ha invitato nella sala consiliare per assistere all’atto fondativo della Cooperativa Iter, mi è sembrato giusto andarci, era il mio modo di partecipare a un’impresa che mi sembrava bella e importante. Ricordo che c’erano il Sindaco e qualche assessore e consigliere, alcuni genitori con i loro ragazzi disabili e poche altre persone. Dopo un primo momento in cui sono stati illustrati gli intenti della nuova istituzione, il notaio Falqui Massida ha cominciato a leggere l’atto costitutivo, ma, a un certo punto, si è fermato e ha chiesto chi fosse il Presidente della cooperativa che stava per essere fondata. Tutti si sono guardati attorno senza sapere cosa dire, solo Pierluigi non ha avuto esitazioni, ha alzato il dito per indicarmi e ha fatto il mio nome. Io ho sorriso e ho accettato, cos’altro potevo fare? Da allora sono passati 30 anni e non mi sono mai pentito di quella decisione non meditata, quando entro alla Iter sono orgoglioso del lavoro che abbiamo fatto tutti assieme.

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Sabina ChiaseraGià assessore comunale di Rovereto

Raccontare della Iter è come rivisitare un pezzo di storia roveretana, un’avventura partecipata che potrebbe costituire un modello di come le cose possono nascere e svilupparsi con i connotati di un progetto di comunità. Sono diventata amministratore comunale nel 1978, con la prima giunta di Pietro Monti nella quale ricoprivo il ruolo di assessore alle Politiche sociali. Da subito ho dovuto affrontare il problema della disabilità che mi ha portato a intrecciare stretti rapporti con due straordinari dirigenti scolastici, Sergio Zanon dell’Istituto Profes-sionale per l’Industria e l’Artigianato e Amalia Guardini dell’Opera Armida Barelli. Assieme volevamo operare affi nché i giovani disabili potessero continuare, anche oltre l’obbligo scolastico, ad acquisire autonomia, movimento e iniziativa, ricer-cando in se stessi le giuste abilità da promuovere e da sviluppare. Dare attuazione a un progetto tanto ambizioso, non era affatto semplice, ma a volte le circostanze s’intrecciano dando vita a percorsi nuovi e interessanti. Tra i componenti della nostra giunta, infatti, c’era Pierluigi Laezza, che, in quanto geni-tore di un ragazzo disabile, ha saputo farci comprendere la portata del problema che non era solo di Rovereto, ma dell’intera Vallagarina. È stato così che il Sindaco ha incaricato noi due assessori di affrontare la situazione della disabilità locale per cercare delle soluzioni atte a migliorare la qualità di vita dei soggetti coinvolti. Subito abbiamo convocato Sergio Zanon e Amalia Guardini e con loro abbiamo cominciato a ragionare, a capire che il problema era molto complesso e che per risolverlo dovevamo affrontarlo per gradi. Noi avevamo in testa dove volevamo arrivare, ma dovevamo darci delle priorità proporzionate alle nostre forze se vo-levamo essere produttivi ed effi caci. L’Opera Armida Barelli aveva già a disposi-zione un laboratorio di maglieria e sartoria per ragazze, per cui, nel 1980, siamo partiti con l’esperienza della Cooperativa Iniziative Lavori Sociali, che prenderà poi il nome della sua fondatrice Amalia Guardini. Il passo successivo era quello di pensare ai ragazzi e ci siamo messi al lavoro per dar vita alla Iter.L’idea era quella di creare un contesto a metà strada tra la scuola e l’azienda, volevamo coinvolgere le imprese locali nella fornitura dei servizi, ma nel contempo speravamo che la conoscenza e la frequentazione dei ragazzi favorisse un loro futu-ro inserimento lavorativo. L’obiettivo era elevato e non volevamo commettere errori, così abbiamo creato un gruppo di lavoro formato da volontari, genitori e insegnanti e abbiamo cominciato a viaggiare per conoscere le esperienze realizzate altrove. Siamo stati a Castelfranco Veneto, a Cesano Boscone, a Bosisio Parini e al Centro don Calabria, ogni volta che tornavamo indietro avevamo le idee più chiare, ripren-devamo in mano lo statuto che stavamo redigendo e lo miglioravamo.

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È stata un’avventura dell’intera città perché ai nostri viaggi di studio hanno parte-cipato non solo gli addetti ai lavori, ma anche i genitori e gli amministratori. Chiusa questa fase si è dato il via alla cooperativa con una cerimonia presso la sala del Consiglio comunale di Rovereto. Di seguito la Iter ha cambiato più volte sede per svilupparsi secondo le proprie necessità fi no a raggiungere il successo odierno. Il lavoro come elemento emancipatorio, la cura del bello nei ragazzi, il coinvolgi-mento dei genitori e il fondamentale sostegno del Comune di Rovereto, sono al-cuni degli elementi che hanno da subito caratterizzato la gestione della direttrice Rosetta Laezza. Ma il lavoro in città non era ancora fi nito.Dopo la nascita della Guardini e della Iter eravamo a buon punto del progetto ini-ziale, ma ci mancava l’ultimo obiettivo che ci eravamo proposti, quello di offrire le stesse opportunità anche ai ragazzi portatori di disabilità più gravi. Io mi ero presa un impegno con i loro genitori e non volevo tirarmi indietro, così, per prima cosa, ho indi-viduato la sede, poi ho costituito un gruppo di lavoro formato da familiari e volontari che, in breve tempo, ha creato le condizioni per dar vita alla nuova realtà cittadina. Tutto era pronto per partire, mancava solo il denaro, che, per fortuna, ci è arrivato dalla Cassa Rurale di Rovereto che ha deciso di festeggiare con generosità il suo anniversario di fondazione. Questa donazione è stata molto importante perché, nel 1985, ci ha permesso di dare vita alla Cooperativa Il Ponte. Con questa realizzazione avevamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo propo-sti, nel frattempo, però, se n’erano aggiunti degli altri, alcuni dei quali, purtroppo, sono ancora da attuare. Uno dei sogni che coltivo, per esempio, è di costituire una equipe medico-scientifi ca che, attraverso il servizio di neuropsichiatria del nostro ospedale, collabori con quei nosocomi nazionali che hanno al loro attivo un’am-pia sperimentazione e un’approfondita specializzazione nei problemi legati alla disabilità. Credo che una simile realizzazione sarebbe utile a tutti, ma in particolar modo a quelle famiglie che non sanno come richiedere un intervento sanitario di elevata qualità per i loro cari. Nei miei 17 anni di amministratore comunale ho visto la Iter, la Guardini e Il Ponte crescere e radicarsi grazie alla collaborazione di tanti elementi della città. Sareb-be bello che Rovereto riuscisse a recuperare questa dimensione di solidarietà e di appartenenza alla vita della sua gente che era connaturale al contesto cittadino di un tempo. Assieme si potrebbero fare molte cose, per esempio creare una rete che leghi le tre cooperative in un sistema fl uido di circolazione interna che consen-ta a ognuna di dare il massimo delle sue potenzialità. O forse si potrebbe fare altro, Rovereto ha la forza, la capacità e la sensibilità per operare nel migliore dei modi.

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Silvano DeaviPresidente di Consolida

Sono Presidente di Consolida da un paio di anni, ma è dal 1990 che lavoro nel mondo delle cooperative sociali, sono uno dei fondatori della A.L.P.I. che ora dirigo.Consolida è un consorzio di secondo livello che racchiude circa 60 delle 80 coopera-tive sociali presenti in Trentino. Al suo interno trovano spazio aziende che si occupano dell’intero arco dei servizi alla persona, dall’assistenza negli asili nido fi no a quel-la offerta dai necrofori fossori. Nei suoi 25 anni di attività, Consolida ha visto le sue associate affi ancare l’ente pubblico nell’offerta di quei servizi sussidiari che hanno arricchito la qualità della vita dei cittadini. La loro azione è stata innovativa, perché non appena individuavano un problema, ne ricercavano la soluzione e mettevano in atto le opportune strategie per superarlo. Se i servizi sociali nella nostra provincia sono di elevata qualità, lo dobbiamo anche alle tante cooperative che vi operano ormai da decenni e che hanno saputo trovare la giusta risposta alle esigenze della cittadinanza. Quanto abbiamo realizzato è importante, ma ora dobbiamo fare di più, dobbia-mo rinnovarci. La società non è statica, ma in continua evoluzione, per questo è opportuno che le cooperative sociali recuperino il loro impeto innovativo per ade-guarsi alle nuove esigenze, non ultime quelle di tipo fi nanziario. La crisi economica del momento impone dei cambiamenti strutturali atti a contenere le spese senza intaccare la qualità dei servizi erogati. Questo principio vale per tutte le coopera-tive sociali, ma specialmente per quelle che, come la Iter, operano con fi nanzia-menti pubblici. In questo campo non esiste una strategia unica, ogni società deve trovare la sua strada, magari attuando una stretta collaborazione con quelle che erogano servizi simili sullo stesso territorio. Credo che un preciso coordinamento tra le cooperative Iter, Guardini e Il Ponte potrebbe portare ulteriori benefi ci alla comunità della Vallagarina. Bisogna recuperare i valori che hanno fatto nascere le nostre realtà sociali per inserirli in un contesto moderno, ritrovare lo spirito innovativo dei fondatori per rispondere alle domande di un mondo che nel frattempo è profondamente cambiato. In altre parole dobbiamo rigenerarci, cercare di rispondere alle nuo-ve domande che ci vengono dalla società, solo così saremo in grado di stare al passo coi tempi. C’è un lungo cammino che la Iter e le altre sorelle di Consolida devono compiere.

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Rino EccherGià psicologo della Cooperativa Iter

Nel 1981 facevo parte di un centro di consulenza psicologica quando mi è stata offerta l’opportunità di collaborare con la Cooperativa Iter che stava nascendo a Rovereto con l’intento di operare nel campo della formazione e dell’inserimento dei disabili nel mondo lavorativo. Io conoscevo bene la realtà industriale trentina ed ero insegnante, per cui ho accettato la proposta con entusiasmo. Il mio primo approccio con il nuovo lavoro è stato quello di sondare i rapporti tra cervello e manualità per individuare le connessioni tra la capacità intellettiva di un soggetto e la sua potenzialità operativa, applicativa e quindi lavorativa. A tale scopo mi recavo in cooperativa una volta alla settimana e mi fermavo una mezza giornata per parlare con i ragazzi o per sottoporli a dei semplici test attitudinali che avevano l’obiettivo di verifi care le loro potenzialità sensoriali e la loro capacità di cogliere le caratteristiche dell’ambiente circostante. All’inizio li incontravo nel chiu-so del mio studio, ma col tempo ho cominciato a farlo durante alcune uscite che mettevano in luce il loro grado di comprensione della realtà anche in funzione di un eventuale inserimento nel mondo del lavoro. Il mio ambito d’intervento toccava anche le famiglie, specialmente le madri che erano spesso angosciate per il futuro dei loro fi gli. In passato non c’era una lunga aspettativa di vita per i disabili, ma i progressi fatti dalla medicina nell’ultimo decen-nio, hanno consentito a molti d’invecchiare e di sopravvivere ai genitori. Il fenome-no comporta implicazioni sociali di rilievo che sono state affrontate e studiate gra-zie al progetto Dopo di noi, che ha saputo ricercare e individuare quelle famiglie fragili che si presumeva non sarebbero riuscite a badare per lungo tempo ai loro cari affetti da disabilità. Il successo di questa ricerca ha portato l’Amministrazione comunale a coinvol-gere pure le altre cooperative sociali di Rovereto col fi ne di offrire un supporto ai tanti ospiti che vi stavano invecchiando. Anche a seguito dei risultati raccolti in questo contesto, sono poi nati i gruppi famiglia e le comunità alloggio che tutto-ra ospitano i soggetti con disabilità psicofi siche che non godono di un adeguato sostegno familiare. Tra questi ci sono ragazzi che durante la settimana prendono il pulmino per venire alla Iter e passarvi la giornata, alla sera tornano nella loro comunità che assomiglia molto a una famiglia, a una buona famiglia, e questo mi riempie il cuore di gioia.

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Laura Erbisti ZanolliFamiliare

Quello che volevo per mio fi glio era una vita dignitosa e serena, piena di tanti piccoli obiettivi da raggiungere che fossero alla sua portata, che lo stimolassero a fare di più e che allo stesso tempo gli dessero gioia, soddisfazione. Volevo che stesse in mezzo alla gente, perché era sbagliato tenerlo stretto alle mie gonne, lui doveva avere un suo percorso di vita che lo rendesse orgoglioso di quello che faceva e che gli per-mettesse di tornare a casa felice di avere qualcosa da raccontare. Quando Marco è nato ho capito subito che aveva dei problemi. Era piccolo, te-neva gli occhi serrati e tremava dal freddo. Io gli riempivo la culla di bottiglie di acqua calda per fargli sentire un tepore simile a quello del mio corpo, molto di più non potevo fare. Avevo una bambina piccola e di seguito sono nati altri fi gli, in dodici anni ne ho messi al mondo sei, tutti belli e tutti amati, ma Marco era unico. L’ho mandato alla scuola materna che aveva sette anni, io avrei preferito tenerlo ancora con me, ma il Comune ha minacciato di portarmelo via e di metterlo in un istituto se non lo facevo, così ho dovuto cedere. Per qualche tempo ha frequentato le classi speciali in paese, poi è andato un anno a Nomi e quindi a Rovereto, prima in via Dante e poi all’I.P.I.A. di piazzale Orsi. Qui c’era la maestra Spadaro che è rimasta nel cuore di tutti, lei voleva molto bene ai suoi allievi e si sforzava d’insegnare loro a leggere e a scrivere, ma non sempre ci riusciva. Poi qualcuno ha avuto la grande idea di creare la Iter, un posto dove i nostri ragazzi potevano crescere ponendosi i giusti obiettivi da raggiungere.Ricordo con piacere e anche con un pizzico di nostalgia l’entusiasmo di quella fase iniziale, le prime riunioni dei genitori e i colloqui con il sindaco Monti che ha compreso i nostri problemi e da subito ci ha aiutato ad affrontarli e a risolverli. Quanta strada abbiamo percorso assieme... La cooperativa Iter è nata così, grazie alla forza di volontà di alcuni genitori e alla disponibilità di tanti volontari. Lì i nostri ragazzi sono rifi oriti perché hanno trovato un ambiente formativo adeguato alle loro capacità. Il primo laboratorio è stato avviato nella chiesa sconsacrata della Sacra Famiglia, era aperto solo mezza giornata, ma era già tanto per noi che venivamo dal nulla. Ricordo che Volani ci mandava delle videocassette a cui applicare le etichette, la Cartotecnica ci faceva confezionare delle scatole e la Marsilli delle retine per metterci i salumi. Mi pare ancora di vederli quei primi 7 ragazzi che lavoravano nella chiesa da poco dismessa... Il posto ci ha portato fortuna perché la cooperativa ha continuato a crescere e ha dovuto cambiare sede un paio di volte perché aveva bisogno di sempre maggiore spazio. Ora si trova in un luogo stupendo, ampio al punto giusto,

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con stanze dedicate a funzioni diverse, c’è perfi no la palestra. Il mio Marco ci va volentieri alla Iter e questo è quello che conta, se potesse vi andrebbe anche di sa-bato e di domenica, e pure quando è ammalato. Ogni mattina prende l’autobus che parte dalla piazza del paese e torna alla sera, contento di quello che ha fatto. È un bravo ragazzo, tutti lo conoscono e tutti gli vogliono bene. D’inverno, quan-do fa freddo o piove, aspetta l’autobus all’interno dell’edicola a fi anco della fermata, gli autisti lo trattano con amicizia come gli studenti che fanno il viaggio con lui fi no in città. All’inizio non è stato facile lasciarlo andare da solo e avrei voluto accompagnarlo dappertutto, ma sapevo che non era giusto, così mi sono imposta di dargli l’auto-nomia che meritava e ora sono contenta, so che sta percorrendo la strada giusta.

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Guido Falqui MassidaNotaio

Io sono innamorato della mia professione di notaio, chi la considera sterile, ne dà un giudizio superfi ciale e sbagliato. Grazie al mio lavoro ho visto nascere tante realtà interessanti, alcune erano anche importanti, io ci ho messo il becco sia come notaio che come persona e questo mi ha molto gratifi cato. Mentre un architetto costruisce qualcosa che rimane, noi notai abbiamo spesso il cruccio di lasciarci alle spalle delle immense montagne di carta. Per fortuna non è sempre così, perché a volte ci capi-ta di costruire qualcosa di bello e di duraturo, qualcosa che certo non è un ponte o una chiesa, ma che è comunque importante. Il mio è un mestiere che mi mette a contatto con gente di ogni genere, impren-ditori, operai, casalinghe e insegnanti passano tutti dal mio uffi cio, per questo ci vuole cuore oltre che cervello per essere un bravo notaio. La nostra funzione non sta nelle carte che compiliamo, ma nel modo in cui riusciamo a mettere in rappor-to la legge con le persone. Nel mio piccolo ho contribuito a costruire tante belle cose, delle realtà consociati-ve a cui ho portato la mia competenza notarile. Questo è il mio modo d’impegnar-mi nel sociale, di rendermi utile creando una struttura associativa o stendendo lo statuto di una cooperativa. Con la Iter è successo proprio così.Ricordo che il suo atto costitutivo lo abbiamo redatto nella sala del Consiglio co-munale di Rovereto, una collocazione insolita e di grande valore simbolico, che voleva evidenziare come la città fosse pronta a farsi carico dei problemi della sua gente. All’incontro erano presenti il Sindaco e gli assessori, alcuni giovani con i loro familiari e poche altre persone. All’inizio abbiamo discusso su come fare in modo che i ragazzi si sentissero protagonisti della loro cooperativa, qualcuno voleva iscri-verli direttamente come soci, ma giuridicamente era diffi cile, se non addirittura impossibile, così abbiamo deciso di mettere i genitori in loro vece. È stata una bella discussione che è poi sfociata nella stesura dell’atto fondativo. In questo modo è nata la struttura giuridica della cooperativa che è stata in segui-to riempita dai suoi veri protagonisti, prima di tutto i ragazzi, ma anche i genitori, i volontari e gli operatori che si sono succeduti nel corso di questi 30 anni. Il mio rapporto con la Iter è continuato nel tempo, quando posso partecipo alle sue assemblee sociali, ma la vicinanza con i ragazzi l’avverto ogni giorno, quando in uffi cio prendo in mano le teche di cartoncino colorato che hanno prodotto ap-positamente per me.

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Mario FestiniImprenditore

La mia è una piccola cartotecnica formata da alcuni operai che un tempo si oc-cupavano anche di legatoria, ma che ora costruiscono per lo più teche, scatole e contenitori vari. Siamo nati una trentina di anni fa, quasi in contemporanea con la Iter che abbiamo conosciuto grazie alla nostra collaborazione con la Cartotec-nica Bertagnin. Ricordo che per anni questa ditta ha portato ai ragazzi del lavoro, che poi io passavo a ritirare per completarlo e riconsegnarlo a Bertagnin. La nostra era una catena in cui la Iter era un anello importante. Col tempo ho instaurato rapporti personali con la cooperativa, specie con alcuni volontari che conosco da sempre e che sono il mio punto di riferimento lavorativo. Anche la contiguità aiuta, io abito dall’altra parte del Leno e mi risulta facile rag-giungere la Iter per portare il materiale da confezionare o per passare a ritirarlo. Di solito mi faccio vivo al mattino presto o all’ora di pranzo, quando anch’io sono più libero, ma per anni sono venuto a ritirare la merce alla sera tardi, la trovavo stipata bene in ordine a fi anco del portone d’ingresso ormai chiuso. Alla Iter conosco tutti, ma con alcuni ragazzi ho un rapporto speciale, con Thomas e Andrea per esempio. Il primo è tifoso del Milan come me, per cui abbiamo un ot-timo argomento di conversazione, il secondo invece è juventino, così non manca-no le occasioni per stuzzicarci a vicenda. Anche Mauretto tifa per la Juventus e si diverte un mondo a provocarmi, all’inizio del campionato mi prepara il calendario delle partite che poi aggiorna man mano che arrivano i risultati. Se il Milan perde, mi asciuga gli occhiali come se fossero bagnati di lacrime, se invece è la Juve ad andare male, lo prendo in giro, lo abbraccio e fi ngo di consolarlo. Mi piacerebbe avere più tempo per dedicare a loro, perché questi piccoli intervalli tra un lavoro e l’altro mi mettono allegria e mi stimolano ad andare avanti.

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Giorgio FioriniConsigliere

Il fermento sociale e culturale che ha portato alla nascita della Iter e di altre coope-rative simili, ha radici lontane. Ricordo che negli anni Sessanta tutto girava attorno alla fi gura dell’ingegnere Giuseppe Veronesi che era stato sindaco di Rovereto e deputato a Roma, ma che non disdegnava di scrivere i verbali delle nostre riunioni come l’ultimo degli arrivati. Veronesi è stato un uomo che ci ha insegnato molto, in lui si riconoscevano tutti gli amici che operavano nell’ambito del patronato Acli, tra questi c’ero anch’io. Per noi rappresentava l’uomo del fare e del cooperare, due istanze che hanno trovato la giusta applicazione nel fermento edilizio che ha caratterizzato il territorio trentino per alcuni decenni. Veronesi raccontava spesso di aver vissuto nel dopoguerra la diffi cile esperienza della coabitazione forzata, per questo auspicava la costruzione di nuove case che consentissero alle famiglie di crearsi uno spazio in cui vivere. Le risorse economiche per avviare questo sviluppo, però, erano scarse, così negli anni Cinquanta aveva dato vita a una cooperativa edilizia che si ispirava al modello del caseifi cio turna-rio che dal latte di tutti i soci, ogni giorno e a turno, ricavava burro e formaggio per uno dei conferenti. Allo stesso modo la cooperativa edilizia voluta da Veronesi, concentrava le sue forze nell’edifi cazione dell’alloggio di un solo socio, per poi passare a quello di un altro e di un altro ancora. Questa prassi è stata poi abban-donata, ma era di grande fascino perché affondava le radici nello spirito puro della cooperazione. A quel tempo noi giovani eravamo considerati una ricchezza da formare e poten-ziare in vista del bene comune. In questo processo gli anziani avevano un ruolo im-portante ma defi lato, c’erano ed erano molto attenti, però rimanevano in disparte per consentirci di crescere imparando da soli. Io sono diventato Presidente di una cooperativa a 24 anni, non avevo alcuna esperienza e, ovviamente, ero un po’ preoccupato, non ero però spaventato, perché sapevo che accanto a me c’era-no persone sagge e preparate che erano pronte a darmi una mano. È da questa mescolanza di forza giovanile ed esperienza matura che è nato quel fermento sociale che, in seguito, ci ha permesso di fare tanto e bene. Alla fi ne degli anni Settanta, Rovereto soffriva di una profonda crisi occupazionale dalla quale siamo usciti grazie alla legge voluta dal ministro Tina Anselmi che ci ha stimolati a unire le nostre forze ripescando dal passato l’esperienza cooperati-vistica. In città c’era grande fermento e una spiccata attenzione verso il mondo del sociale. Anche in questo l’ingegnere Veronesi ci è stato maestro, lui era un convinto assertore del valore formativo del lavoro e ha promosso la nascita sia dell’Istituto professionale che ora porta il suo nome, che dell’Opera Armida Barelli,

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dalla quale è poi nata la cooperativa ora conosciuta come Amalia Guardini. È da questo fermento creativo che ha preso forma la Iter, da una precisa esigenza so-ciale recepita dall’Amministrazione comunale e messa in atto grazie alla struttura giuridica della cooperazione. Io ho lavorato in questo ambito, sono entrato nel Consiglio di amministrazione della Iter fi n dall’inizio e vi sono tuttora, lì ho portato la mia esperienza acquisita nel mon-do della cooperazione, era quanto sapevo fare. Ricordo come fosse ieri l’emozione dell’avvio della sua attività. Era inverno, ma nella ex chiesa della Sacra Famiglia c’era un bel tepore e si stava bene, al centro c’era un bancone con seduti attorno dei ragazzi che cercavano di assembla-re delle videocassette. C’erano dei familiari che li aiutavano, ma a me pareva che quel lavoro fosse troppo diffi cile per loro e ho temuto il peggio. Sono uscito in preda all’apprensione, convinto che la cooperativa avrebbe avuto vita breve. Invece non è stato così, grazie alla tenacia di chi ha creduto in questo progetto, i ragazzi sono cresciuti e sono cambiati, si sono formati con il lavoro e per il lavoro, e la Iter è diventata una splendida realtà di cui tutti siamo orgogliosi. Sono contento di essermi sbagliato nel dare quel giudizio affrettato, molto contento.

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Laura Gabrielli MansoldoGià direttrice della Cooperativa Amalia Guardini

All’inizio degli anni Ottanta mi sono incontrata più volte con Pierluigi Laezza e Sabina Chiasera per dar vita a una cooperativa che accogliesse in modo ade-guato i ragazzi portatori di disabilità. Ci siamo guardati attorno per conoscere le realtà già esistenti, abbiamo studiato e approfondito il problema, poi abbiamo deciso di partire istituendo una prima struttura adatta ai soggetti meno gravi che, stimolati in maniera opportuna, potevano dare buoni risultati di crescita sia individuale che sociale. È nata così la Iter, una cooperativa il cui nome è stato da me proposto pensando al cammino che ogni ragazzo avrebbe compiuto al suo interno. Ricordo con emozione quei primi momenti eroici, all’inizio io mi occupavo del-la segreteria e dell’organizzazione di certe attività, quindi ho seguito i ragazzi dal punto di vista psicomotorio, fi no a che, nel 1991, sono stata chiamata a dirigere la Cooperativa Amalia Guardini. Il nuovo incarico mi ha costretta a interrompere il mio coinvolgimento professio-nale con la Iter, ma non quello relazionale ed emozionale che è continuato nel tempo e che persiste tuttora. Il lavoro alla Guardini è stato molto coinvolgente, in quegli anni avevamo il problema dei laboratori che erano suddivisi in più edifi ci, con la maglieria da una parte e l’assemblaggio dall’altra. Solo nel 2004 ci è stata assegnata una sede adeguata che ci ha permesso di accogliere nuovi ragazzi e di ampliare le ore di coloro che frequentavano a tempo parziale. Nel 1991 segui-vamo 10 femmine e un maschio, nel 2008 erano più di 20. Mentre la Guardini cresceva, anche la Iter cambiava sede e aumentava i suoi iscritti fi no a giungere, al compimento del suo trentesimo anno, a una proposta di attività formative ricca ed esaustiva. Il ruolo che essa svolge sul territorio ha una valenza sociale che non si limita al puro sostegno delle famiglie in diffi coltà.I genitori che riescono a superare il dolore e la frustrazione che deriva dall’avere dei fi gli con gravi problemi psicofi sici, ben presto si rendono conto della loro ric-chezza che li ripaga abbondantemente di ogni sofferenza. I nostri ragazzi sono persone libere da pregiudizi, spontanee e molto affettuose che possono riempirti la vita. All’interno di un progetto formativo adeguato, possono perfi no sorprenderti acquisendo capacità che si credono lontane dalla loro portata. Chi lavora con i disabili sa che non deve dare niente per scontato, che deve provare e riprovare a sviluppare certe abilità, senza lasciarsi scoraggiare dall’insuccesso, perché loro hanno delle risorse che sono spesso mascherate. Ogni meta deve essere raggiun-ta e assimilata con la giusta lentezza, per questo sono convinta che, in qualche misura, loro siano veramente i padroni del tempo.

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Ornella GiordaniVolontaria

All’inizio degli anni Ottanta mi sono occupata di alcuni ragazzi disabili che abita-vano poco lontano da casa mia, uno di questi frequentava la Cooperativa Iter e mi ha chiesto di andarlo a trovare in sede. Io l’ho accontentato e ho trovato un ambiente gradevole, così sono tornata e quando la signora Laezza mi ha chie-sto di diventare operatrice, ho accettato con piacere. A quel tempo c’era molto lavoro, più di quanto i ragazzi da soli potessero svolgere, per questo, a un certo punto, abbiamo deciso di formare un gruppo di volontariato serale. Per 15 anni, due volte a settimana, dalle 20 alle 22, alcuni amici mi raggiungevano in sede per completare il lavoro dei ragazzi e per preparare quello del giorno successivo. Nel frattempo io sono diventata operatrice e ho continuato a svolgere le mie mansioni fi no a quando sono andata in pensione e sono poi rientrata alla Iter come volontaria. Nei miei 25 anni di servizio ho visto passare sotto i miei occhi tanti ragazzi, li ho seguiti nel loro inserimento, nella loro maturazione e, in tanti casi, nella loro trasformazione. Ricordo una ragazza che è giunta da noi molto turbata, veniva da un’esperienza diffi cile vissuta in istituto e temevamo di non poterla recuperare. Invece ci ha riser-vato una bella sorpresa, all’arrivo usava un linguaggio che creava problemi agli altri ragazzi, ma poi, poco alla volta, è cambiata. Ora, quando la sento parlare, mi torna in mente com’era e mi commuovo. Da quando sono in pensione, mi reco alla Iter un paio di volte alla settimana per seguire due progetti a cui tengo molto. Il martedì porto i ragazzi al mercato secondo un programma ideato per dare una mossa a quell’adorabile pigrona di Marina. Ricordo che un tempo era dif-fi cile convincerla a camminare, così abbiamo pensato di stimolarla portandola al mercato. L’idea ha funzionato e ci ha permesso di lavorare anche su altre abilità prima carenti, sulla memoria, per esempio. Adesso, alle dieci di ogni martedì, Marina si prepara, mette la giacca e controlla di avere con sé il sol-dino per gli assaggi al banchetto del formaggio, non dimentica mai niente e cammina per un’ora e mezza senza mai lamentarsi. È una meraviglia vederla muoversi con i suoi amici tra le bancarelle del mercato, una conquista, se non una vittoria. Anche il progetto del venerdì in piscina mi ha dato buone soddisfazioni. Il fatto di essere donna mi ha permesso di entrare negli spogliatoi femminili e di portare con me delle ragazze, tra queste c’è anche Marina che all’inizio era rigida e bloccata e ora nuota disinvolta come un pesce. Le conquiste che compie nell’acqua, le porta poi ai suoi amici in cooperativa.

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Giorgio GiovanelliConsulente aziendale

Faccio il consulente del lavoro, sono molto impegnato e la mia vita è organizzata in modo tale da lasciare poco spazio al tempo libero, non ho modo, quindi, di pra-ticare il volontariato, quantomeno non quello nella forma classica. È anche una questione di temperamento, io non sono portato per svolgere un’attività all’inter-no di un’associazione, ma se qualcuno ha bisogno di me dal punto di vista pro-fessionale..., io sono pronto a intervenire. Questo è il tipo di aiuto che posso offrire, il mio lavoro è a disposizione di quelle società che si occupano del benessere sociale, come la Iter, per esempio, che ho seguito fi n dalla sua nascita. Dove c’è volontariato, ci sono anch’io, pronto a risolvere quei problemi burocratici che sono legati all’organizzazione del lavoro. Nella mia professione io sono stato fortunato. Nel 1966 non la pensavo così quan-do è fallita la fabbrica di Ala in cui ero impiegato, allora ero giovane e credevo di essere in fondo a un baratro, mentre invece mi stavo preparando per spiccare il salto. Subito dopo, infatti, sono venuto a Rovereto dove ho aperto lo studio di consulenza aziendale che mi ha dato tante soddisfazioni. Così, quando un gruppo di persone, specialmente se giovani, viene a chiedermi aiuto per dar vita a una nuova attività, non posso esimermi dal ripensare a quel momento diffi cile della mia vita. È anche per questo che il mio studio è a loro disposizione, quantomeno fi no a quando non riescono a camminare in modo spedito con le loro gambe. Anche con la Iter è andata così.

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Paola GiudiciDirigente del Servizio attività sociali del Comune di Rovereto

Io non sono madre, ma di fi gli ne ho avuti almeno una settantina, tutti quelli che ho seguito e visto crescere nel mio lungo percorso professionale. Ho iniziato a lavorare all’Ospedalino di Trento, poi sono stata assunta come assi-stente sociale presso il Comune di Rovereto, dove ho visto nascere l’assistenza do-miciliare. All’inizio seguivamo solo alcuni anziani tra i 65 e i 70 anni, ora le richieste sono molto aumentate e l’età dei nostri assistiti supera spesso i 90. A volte ci capita di vedere dei vecchi alle prese con genitori ancora più vecchi, oppure delle mam-me ormai avanti negli anni che devono assistere i fi gli malati o disabili... Così, nel tempo, il nostro servizio è cambiato e si è esteso anche ad altri disagi, come quello delle madri che non riescono ad accudire i fi gli perché affette da malattie fi siche o psichiatriche. Ricordo una mia assistente che, ogni mattina presto, si recava da una famiglia per prendersi cura dei bambini e mandarli a scuola, li svegliava e li la-vava, preparava la colazione, controllava la cartella e li accompagnava in strada proprio come avrebbe dovuto fare la loro mamma. I problemi erano tanti e spesso, nell’affrontarli, si usciva dall’ambito strettamente assistenziale per sconfi nare in quello educativo. Quando entravo in una casa dove i bambini pranzavano con pane e nutella davanti al televisore perennemente ac-ceso, io mi sforzavo di mettere in atto quegli accorgimenti di tipo pedagogico che potevano indurre a un cambiamento positivo. Quasi sempre la madre mi dava ragione per poi continuare a fare come prima.Quando le competenze legate alla mia professione sono passate al Comprenso-rio, io ho cominciato a girare per le valli dove ho toccato con mano situazioni di disagio ancora più profonde. Nelle mie visite ho incontrato disabili che non usciva-no mai di casa, che erano segregati su una sedia a rotelle o in un letto come dei prigionieri. A tenerli lì era una cultura deformata che solo negli ultimi tempi è stata superata, una sorta di amore malato dei genitori che proteggevano i fi gli senza accorgersi che li stavano soffocando. Ricordo di aver provato con tutte le forze a oppormi a questa realtà, a insistere perché questi ragazzi fossero portati nelle cooperative sociali che, nel frattempo, erano nate a Rovereto, ma raramente sono stata ascoltata. In seguito mi sono allontanata dal servizio attivo per dedicarmi all’insegnamento e alla formazione, è stata una bella esperienza che è fi nita quando, nel 1996, sono rientrata a Rovereto col ruolo di direttore della Divisione socio-assistenziale del Co-mune. Ora sono a capo del Servizio attività sociali che, tra le tante cose, si occupa di mantenere aperto il dialogo con le cooperative sociali che operano sul territorio. Il primo contatto con la Iter l’ho avuto quando sono andata in sede a proporre

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l’inserimento di una ragazza che aveva bisogno di un ambiente sereno dove lavo-rare, possibilmente, in posizione eretta. Ricordo che la signora Laezza è stata molto gentile, ma risoluta, in breve mi ha detto che non poteva accontentarmi perché la cooperativa accoglieva solo disabili maschi. Sono rimasta stupita perché mi sembrava strano che ci fosse una simile preclusione, ma così era e non solo alla Iter dove la prima femmina è entrata nel 2000. Ricordo con una certa amarezza il lavoro svolto per permettere alle cooperative di dotarsi di alloggi per ospitare i propri ragazzi durante la notte e il fi ne settimana. Questo bisogno era stato messo in luce dal progetto Dopo di noi che aveva studia-to l’invecchiamento dei disabili in rapporto alla possibilità di rimanere in famiglia. Il Comune di Rovereto aveva abbracciato l’idea di dare autonomia ai ragazzi e si era attivato con le cooperative per realizzarlo, a un tratto, però, era intervenuta la Provincia che aveva preso una decisione autonoma costringendo tutti a fare un passo indietro. Non è stata una cosa piacevole. Ora sono trascorsi tanti anni dalla mia entrata nel mondo del lavoro e posso guar-dare alla mia carriera con serenità e soddisfazione. Anche l’esperienza che ho vissuto come Presidente della Cooperativa Amalia Guardini ha contribuito a com-pletare il mio percorso di crescita. Il mio impegno ha riempito la mia vita e sono curiosa di scoprire come riuscirò a organizzarmi quando, fra non molto, andrò in pensione. Sono pronta a reinventarmi una nuova esistenza, come ho già fatto al-cune volte in passato, ma spero di mantenere ben saldi i contatti con quelle per-sone che ho imparato ad apprezzare e ad amare.

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Annarosa GiulianiOperatrice

Il mio percorso con la Iter è cominciato ben prima della sua fondazione, esatta-mente con la nascita di mio fratello che è avvenuta nel 1962. Io avevo un anno e mezzo, per cui di quel tempo non ricordo nulla, solo che mia madre ha parto-rito in casa due gemelli piccoli e gracili, che ben presto si sono ammalati di una grave forma di broncopolmonite che ha portato l’uno alla morte e ha segnato l’altro per tutta la vita. Mauro era un bel bambino e gli abbiamo subito voluto bene, all’inizio non si sape-va cosa avesse, ma tutti erano in continua apprensione per lui, il medico veniva a visitarlo regolarmente e mia madre pareva aspettarsi il peggio da un momento all’altro. Così è cresciuto coccolato da tutti, per un po’ di tempo ha frequentato le elementari a Mori, quindi è stato inserito a Nomi con gli amici Marco e Giorgio, infi ne ha seguito i corsi tenuti all’I.P.I.A. da Francesca Spadaro, una maestra che tutti ricordiamo con grande affetto. Dopo quest’ultima esperienza pareva che per mio fratello e i suoi compagni non ci fossero altre prospettive di crescita culturale e sociale, invece, ben presto, si è af-facciata l’ipotesi di costituire una cooperativa che li potesse occupare con attività adatte alle loro capacità. Noi tutti eravamo molto contenti di questa prospettiva, ricordo che mia madre aspettava con trepidazione le lettere che ci venivano spe-dite dal Comune di Rovereto, lei era fi duciosa perché erano fi rmate da assessori sensibili e preparati, ma altri genitori non erano affatto ottimisti, temevano di dover affrontare un’altra delusione ed erano preoccupati. Il 26 marzo del 1981 siamo stati convocati in municipio per una riunione informati-va, la lettera d’invito era indirizzata anche a me, così, il giorno stabilito, ho portato mia madre con mio fratello e Laura col fi glio Marco al nostro appuntamento. Ho ancora nelle orecchie le frasi che si scambiavano le due madri in macchina, una era piena di fi ducia, l’altra era preoccupata e temeva di andare incontro a un’ul-teriore delusione. Per fortuna gli intenti dell’Amministrazione erano seri e buoni, così in autunno è nata la Cooperativa Iter che, qualche mese dopo, ha iniziato uffi cialmente la sua attività.Ricordo molto bene quel pomeriggio d’inverno, l’aria era fredda, ma c’era un bel sole che ci faceva ben sperare. Dovevamo incontrarci davanti alla ex chiesa della Sacra Famiglia, ma ho fatto fatica a trovarla perché a quel tempo era un po’ fuori città e pochi la conoscevano. Quando siamo arrivati non c’era nessuno e abbiamo pensato di aver sbagliato posto, dopo un po’ è giunto un uomo con il nostro stesso sguardo dubbioso, quindi un altro e un altro ancora, così abbiamo

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cominciato a tranquillizzarci. Alla fi ne eravamo un bel gruppetto, c’erano sette ragazzi con i genitori e un paio di sorelle, una di queste ero io.Il primo problema che abbiamo dovuto affrontare è stato quello della chiave che nessuno aveva, quando fi nalmente siamo riusciti a entrare, abbiamo visto nella navata della ex chiesa un grande tavolo a ferro di cavallo con sopra del materiale indefi nito. Era il primo lavoro che la Domovideo di Volani ci aveva assegnato. Ci siamo seduti e abbiamo ascoltato il maestro Zenatti illustrare, con parole sem-plici e chiare, i compiti che ci attendevano. Dovevamo piegare il cartoncino già tagliato e segnato per dare forma a delle scatole per le videocassette, mettere la colla sulle alette e chiuderle evitando sbavature. Quindi dovevamo applicare gli adesivi che identifi cavano le diverse pellicole e bisognava stare attenti, perché era facile confonderle e sbagliare. A quel tempo io ero disoccupata così, ogni pomeriggio, portavo mio fratello e altri tre ragazzi alla Iter e mi fermavo a lavorare con loro come volontaria. Alla sera mettevo in ordine e scopavo il pavimento, avremmo dovuto farlo a turno, ma la più giovane ero io e, guarda caso..., toccava sempre a me. Al ritorno facevo spes-so una sosta al bar della stazione delle corriere, entravo coi miei quattro cavalieri e prendevo una bibita o un gelato per tutti, a volte il gestore ci offriva una coca cola ed eravamo contenti. Nel frattempo io stavo cercando un lavoro e mi sono assentata per una settimana. Al mio rientro il maestro Zenatti mi è venuto incontro e mi ha detto di non farlo mai più, perché i ragazzi avevano bisogno di me e io non potevo deluderli, alla fi ne ha anche aggiunto che, se avevo l’urgenza di trovarmi un impiego, la cooperativa avrebbe potuto assumermi. Così è stato e da volontaria qual ero, sono diventata operatrice come sono tuttora. Ricordo con affetto quel buon vecchio maestro che è mancato pochi mesi dopo il nostro avvio, spesso mi diceva delle cose che io non capivo, ma che, col tempo, ho incominciato ad apprezzare. In tutti questi anni alla Iter non ho imparato un mestiere, ne ho imparati centomila. Per tanto tempo ho fatto un po’ di tutto, dall’ago al missile, mi occupavo anche delle pulizie e, al bisogno, davo la cera ai pavimenti. Nel luglio del 1982 ci siamo trasferiti nella sede di via Calcinari, che per me era un posto magnifi co perché si trovava in centro città ed era facilmente raggiungibile da tutti. Lì capitava spesso che qualcuno entrasse a salutare i ragazzi, specialmen-te il giorno del mercato venivano parenti e amici, perfi no i vigili erano di casa...Ricordo con nostalgia quel posto piccolo e angusto, ma tanto vitale e stimolante per tutti noi della Iter.

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In quegli anni il lavoro non mancava, avevamo delle grosse commesse che era-no diffi cili da portare a termine nei tempi richiesti, ma che non potevamo rifi utare pena la perdita del cliente. Così abbiamo preso l’abitudine di portare all’esterno il lavoro, ne davamo alle suore della Beata Giovanna, ad alcune parrocchie della città, a parenti e amici, a tutti coloro che ci volevano bene e intendevano aiutarci. È in quel periodo che si è formato un gruppo di volontari che si trovava un paio di sere a settimana nella nostra sede per completare il lavoro che noi non riuscivamo a fi nire. Quell’aiuto è stato molto importante, perché ci ha per-messo di mantenere nella Iter un ambiente sereno e privo dello stress indotto dai tempi di consegna troppo ristretti. I ragazzi avevano bisogno di acquisire abilità, non di lavorare con frenesia, così noi li proteggevamo facendo da fi ltro tra loro e le ditte nostre clienti. Il trasferimento nella nuova sede ci ha dato spazi nuovi in cui organizzare il nostro lavoro, ma ci ha allontanati un po’ dal cuore della città. Le poche centinaia di me-tri che ci dividono dal centro storico di Rovereto, sembrano offrire un pretesto alle persone che non hanno voglia di confrontarsi con la diversità. Al mondo ognuno è diverso, mio fratello è differente da me, come io lo sono dalle mie sorelle..., su questo, in teoria, siamo tutti d’accordo, ma in pratica permane una certa diffi den-za nei confronti dei nostri ragazzi. C’è bisogno di familiarità per superare la paura del diverso, spesso la gente si circonda di steccati per non farsi coinvolgere, si crea una corazza rigida per impedire di essere ferita, e sbaglia perché dal confronto con gli altri c’è sempre da guadagnare. Sono passati 30 anni dal pomeriggio in cui ho accompagnato Mauro e Marco alla Sacra Famiglia, da allora sono cambiate tante cose, io ho imparato il linguaggio dei ragazzi, ognuno ne ha uno personale, inconfondibile, e ho imparato a lavorare con le mani, con la testa e col cuore. Sono maturata assieme a loro e ho acqui-sito tante abilità. Ogni sera, quando imbocco il portone della Iter, trovo il tempo di farmi un esame di coscienza, mi chiedo com’è andata la giornata, se tutto è proceduto bene, sono contenta, se ho fatto qualcosa che non mi è piaciuto, mi riprometto di fare meglio la mattina dopo. Due minuti di autocoscienza che mi ac-compagnano mentre esco in cortile e lo attraverso, poi arrivo al cancello, sorrido e mi avvio verso casa.

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Pierluigi LaezzaFondatore

L’umanità è formata da persone differenti, tutte diversamente abili come i nostri ra-gazzi. La Cooperativa Iter è nata sulla base di questo principio di uguaglianza nella diversità, che trova la sua realizzazione nell’espressione delle potenzialità individuali. Trenta anni fa sembravano concetti diffi cili da comprendere, ma il cammino che hanno percorso i nostri giovani ci dice che avevamo ragione, i loro progressi ci con-fortano e ci spronano a proseguire. Siamo partiti con 7 ragazzi, ora sono una trentina quelli che frequentano i nostri laboratori, nessuno ci ha mai deluso. La Iter è il loro viaggio, il loro cammino... Come non essere soddisfatti?Vengo da una famiglia che ha sempre prestato molta attenzione al prossimo, quando sono partito per fare il sottotenente degli Alpini, mia madre mi ha racco-mandato di trattare bene i miei soldati, perché una goccia di miele valeva più di un barile di aceto... Era una brava maestra, mia madre, una donna che parlava poco, ma che mi ha insegnato a godere del rapporto con gli altri, è grazie a lei se, fi n da ragazzo, ho sempre amato agire con la gente e per la gente. Io ho una predisposizione per il fare, per 50 anni ho svolto una professione che mi ha permesso di costruire molte cose, ma le vere soddisfazioni le ho ricevute dal mio impegno con la Iter e dalla mia attività di assessore comunale e di consiglie-re alla Casa di riposo. Ricordo con piacere il rapporto che avevo con gli anziani di questa struttura, appena potevo andavo a trovarli per sentirli raccontare della loro gioventù, in particolare della guerra che aveva lasciato tracce pesanti nel-la loro vita. Erano vecchi e malati, eppure narravano le loro storie con grande serenità, dalle loro parole ho capito che ogni individuo, per quanto in condizioni diffi cili e precarie, ha una ricchezza interiore che deve essere valorizzata. Forse è anche grazie a questi incontri se, qualche anno dopo, è nata in me l’idea di fondare la Iter. A quel tempo ero assessore, per cui ne ho parlato con il sindaco Monti che ha compreso l’importanza di dare un futuro ai nostri ragazzi e mi ha spin-to ad agire. Subito si è formato un gruppo di lavoro per studiare il problema anche alla luce di esperienze simili realizzate altrove, poi, nell’autunno del 1981, ci siamo ritrovati nella sala del Consiglio comunale e abbiamo dato vita alla Iter. Provo ancora emozione quando penso a quel momento, ricordo che tra i presenti c’era anche Sisto Campostrini, un caro amico molto impegnato nel sociale, che io stesso ho indicato al notaio come presidente della nostra cooperativa. Lui non se l’aspettava, ma ha accettato l’incarico di buon grado e per 30 anni ha messo la sua umanità e la sua competenza a disposizione della nostra società. Anche nello scegliere il direttore della cooperativa non ho avuto dubbi, conosce-vo la sensibilità e la capacità di mia moglie e sapevo che avrebbe svolto un otti-

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mo lavoro, nonostante i timori che lei manifestava. I fatti mi hanno dato ragione. Questo è stato l’avvio della nostra avventura. L’idea iniziale era buona ed è stata nostra, ma il resto del lavoro lo hanno fatto i ragazzi assieme agli operatori e ai volontari, tutte persone capaci, motivate e serie. Io andavo in sede ogni giorno e parlavo con l’uno e con l’altro, si rideva e scherzava e intanto loro, giorno dopo giorno, hanno realizzato il nostro sogno. Dai ragazzi ho avuto continue verifi che di impegno, di serietà e di affetto, emozioni che mi hanno riempito la vita. Fin dall’inizio la cooperativa ha considerato il lavoro come l’elemento formativo di eccellenza per i nostri ragazzi. È ancora così, ma, da una decina di anni, abbiamo deciso di portare avanti anche un secondo percorso educativo, il Progetto di qua-lità globale che coinvolge altri aspetti dell’essere umano, l’amore per la natura e per il bello, per esempio. L’obiettivo primario di questo progetto era la formazione culturale, che doveva realizzarsi attraverso l’avvicinamento dei ragazzi alla musi-ca, all’arte e alle bellezze del territorio. L’idea era buona, ma bisognava riempirla di contenuti, per questo ho istituito un gruppo di studio che aveva il compito di defi nire una precisa linea di azione. All’ini-zio non sapevamo bene cosa fare, così abbiamo deciso di portare i ragazzi a Brentonico e di stare a vedere. Appena arrivati in montagna li abbiamo lasciati guardarsi attorno e spontaneamente sono scaturite quelle curiosità che hanno poi segnato il percorso del nostro progetto. Negli anni che sono seguiti abbiamo fatto centinaia di viaggi, siamo stati spesso in montagna, ma anche a Roma in visita al papa, alla Biennale di Venezia e a Firenze, abbiamo assistito a momenti musicali e visitato mostre e musei. Da tempo i nostri ragazzi sono di casa al Mart, perché non serve una cultura profonda per comprendere l’arte, il rapporto con il bello è istintivo e il piacere che si prova nell’osservare una statua di Modigliani è qualcosa che appartiene a tutti. In questi anni abbiamo raccolto molte sfi de. Ogni volta che mi trovavo davanti a una proposta bella ma diffi cile, mi chiedevo perché mai non avrei dovuto provare a realizzarla. Questa fi losofi a di risposta positiva alle sfi de, è la stessa che ha fatto nascere la Iter, un progetto che è stato poi realizzato dall’intera città. All’inizio ab-biamo incontrato molte diffi coltà, ma Rovereto è un terreno fertile per il sociale e non ci ha mai delusi. Le sue associazioni, il suo volontariato e anche le sue ammini-strazioni ci hanno sempre spinti a proseguire nel nostro cammino. Il resto ce l’hanno messo i ragazzi, il loro impegno e il loro entusiasmo sono le strutture che sostengono la nostra cooperativa. L’esperienza di questi 30 anni con la Iter mi ha insegnato molte cose, essenzialmente che l’uomo è un essere meraviglioso.

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Maurizio LibardiFamiliare

Vengo alla Iter tutte le mattine, non lo faccio solo perché trovo sia giusto impe-gnarmi con i ragazzi che sono i compagni di mio fi glio, ma essenzialmente perché mi piace stare con loro. In cooperativa mi occupo di tante cose, ma il mio compito principale è quello di portare a spasso Ivano. Lui ha bisogno di muoversi, ma non ci vede e da solo gli risulta impossibile, per questo, ogni mattina, lo prendo sottobrac-cio e lo conduco al bar che si trova a due passi dalla nostra sede. Lì ci beviamo un buon caffè, poi partiamo per le nostre avventure in città. Il martedì giriamo per il mercato, ma gli altri giorni ci spingiamo più lontano, qualche volta arriviamo all’ex Manifattura tabacchi di Sacco e poi torniamo indietro. Ogni tanto lui mi chiede se vedo qualche panchina per fermarsi a riposare, ma io gli rispondo che non ce ne sono e proseguiamo sulla nostra strada. Queste lunghe camminate sono diventate una gradevole abitudine per entrambi, fanno piacere anche a me. Col tempo mi sono affezionato a Ivano e so che an-che lui mi vuole bene e aspetta ogni mattina il mio arrivo con gioia. Qualche volta gli faccio uno scherzo, mi avvicino in silenzio e gli sfi oro la testa con la mano, lui riconosce il mio tocco e balza in piedi, “dai, nem a bever el caffè”, mi dice con-tento, e ci avviamo. Quando posso lo accompagno pure nelle gite organizzate dalla cooperativa, l’anno scorso siamo andati a una fi era di Riva del Garda e sono stato con lui tutto il giorno, io non ho visto niente, ma in compenso lui si è divertito un mondo. La mia vita è molto piena, lo era in passato e lo è anche adesso che sono in pensione, perché non mi piace rimanere con le mani in mano, così, ogni giorno, faccio qualche lavoretto e mi occupo di sport, ma, essenzialmente, vado alla Iter a trovare i miei ragazzi.

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Erminio LorenziniGià assessore comunale e provinciale

Rovereto è sempre stata una città ricca di iniziative sociali e di volontariato, un vero laboratorio di solidarietà che è tuttora attivo, ma che negli anni passati ha visto momenti di grande splendore. Ho iniziato a fare politica che avevo 24 anni e ho smesso a 60, in questo periodo ho visto la città modifi care il suo aspetto, organizzare dei servizi importanti per le persone in diffi coltà, non solo per i disabili e gli anziani, ma anche per i meno abbienti che stentavano ad arrivare a fi ne mese. Ricordo con orgoglio che Ro-vereto è stata la prima città in Italia a istituire il cosiddetto minimo vitale, era il 1970 ed io, a quel tempo, ero assessore alla Politiche sociali della giunta Bene-detti. L’idea non era nuova, l’avevo presa da uno studio redatto per conto della Fondazione Zancan, ma già Antonio Rosmini, in qualità di Presidente della Con-gregazione di carità, aveva auspicato un’assistenza ai poveri basata sulle reali esigenze dei nuclei familiari in diffi coltà. Noi abbiamo realizzato proprio questo suo obiettivo, abbandonando l’idea di un’assistenza di tipo discrezionale, per intervenire in modo obiettivo a seconda del bisogno reddituale minimo di ogni famiglia socialmente debole.Un paio di anni dopo abbiamo dato il via anche all’assistenza domiciliare per gli anziani, una pratica da noi del tutto nuova, ma già sperimentata in altre zone d’Italia. Siamo partiti con un’assistente sociale dataci in prestito dalla Regione, poi ne abbiamo assunta una nostra, assieme a 6 o 7 assistenti domiciliari e a un’infer-miera che s’incontravano ogni venerdì sera per fare il piano di servizio settimanale. È stata una bella avventura. Rovereto era all’avanguardia nel campo delle politiche sociali, in questo ambito aveva una sensibilità speciale che io ho cercato di portare con me negli anni in cui ho ricoperto la carica di assessore alla Sanità e attività sociali della Provincia di Trento. L’istituzione dell’Unità di Odontostomatologia per disabili del 1990 e la Leg-ge 14 del 1991, che ha riordinato i servizi socio-assistenziali sul territorio, per esem-pio, avevano questo spirito tipicamente roveretano. Nel frattempo avevo visto nascere due cooperative sociali, la C.I.L.S., poi diven-tata Amalia Guardini, e la Iter, sorte per mano degli assessori Chiasera e Laezza e di alcuni genitori particolarmente attivi. In quegli anni io ero molto impegnato, prima come Presidente della Casa di soggiorno per anziani e poi come assessore provinciale, ma non ho mai smesso di seguire con attenzione queste realtà così importanti per la nostra comunità. Alla fi ne degli anni Novanta sono tornato a svolgere il ruolo di amministratore nel Comune di Rovereto e ho avuto modo di frequentare spesso i ragazzi della Iter.

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Ricordo che avevano problemi di spazio, così il sindaco Ballardini ed io abbiamo predisposto l’ampliamento della loro sede liberando il magazzino che era stato dell’Azienda elettrica cittadina. È stata una bella conquista. Da qualche tempo non mi occupo più di politica attiva, ma non ho smesso di pra-ticare i miei vecchi interessi. Seguo l’operato delle cooperative sociali con atten-zione, negli anni la Iter ha offerto un servizio non solo ai disabili e alle loro famiglie, ma anche all’intera società, contribuendo a superare molti dei tabù legati alla disabilità fi sica e psichica. Ogni domenica in chiesa guardo il mio amico Alessio seguire la messa, fare la comunione e cantare nel coro. All’uscita si ferma sempre a salutarmi e ogni volta mi commuovo.

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Paolo ManicaImprenditore

I rapporti della ditta Manica con la Cooperativa Iter risalgono a mio padre che conosceva bene sia i coniugi Laezza che l’ingegnere Sisto Campostrini, poi sono continuati con me e non fi niranno neanche con i miei fi gli, ne sono sicuro. Non è tanto una questione di benefi cenza, ma di aiuto fattivo a chi ne ha bisogno, un processo che vede nel lavoro il riscatto individuale e sociale della persona. Fa par-te della nostra fi losofi a di vita. È per questo che diamo da svolgere delle piccole mansioni ai ragazzi della cooperativa, perché grazie a esse si sentano partecipi della società in cui vivono. La nostra azienda è sempre stata ancorata al sociale, è l’impostazione che le ha dato mio padre quando l’ha fondata seguendo i principi morali che aveva appre-so da sua madre.Nonna Veronica era una donna eccezionale, vestiva come una vecchia donna dell’Ottocento con il fazzoletto in testa e il grembiule legato attorno ai fi anchi, era veramente unica, aveva un carattere forte, ma era anche molto sensibile e generosa, aiutava la gente del posto anche a scapito della sua famiglia. Negli anni precedenti la guerra, in paese c’era molta povertà e lei regalava le uova delle sue poche galline a chi ne aveva bisogno. Amava scrivere su dei bigliettini delle preghiere e degli ammonimenti a sfondo religioso che poi appendeva sui portoni delle case, si muoveva a fatica, ma non stava mai ferma. Nella sua vita ha lavorato tanto, ma riusciva a guardare lontano e a credere nel futuro, per questo ha appoggiato mio padre, quando, nel dopoguerra, ha deciso di fondare la sua azienda per produrre il solfato di rame. Se non fosse stato per lei, mio nonno non avrebbe permesso a suo fi glio di vendere il campo che gli ha dato le risorse per avviare la nostra impresa. Io ho portato avanti l’attività di mio padre prima con mio fratello e poi con i miei fi gli, ora abbiamo 60 dipendenti che lavorano in sede, una buona rete di vendita e molte persone impiegate nell’indotto, e siamo contenti. La nostra è un’azienda diffi cile da gestire perché lavora nel settore chimico attuando una continua ricer-ca di prodotti ecosostenibili. Ci piace guardare al futuro mantenendo ben fermi i piedi per terra, come faceva nonna Veronica.

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Paolo MaregaPresidente della Cassa Rurale di Rovereto

Il nostro Istituto di credito è tra i fondatori della Cooperativa Iter perché da sempre è attento alle esigenze del territorio e collabora alla realizzazione di quelle istanze che favoriscono la crescita culturale e sociale della sua popolazione. Nel 1981 era Presidente il cavalier Baldessari, che era particolarmente sensibile a queste solleci-tazioni e ha aderito con entusiasmo alla fondazione della nuova società. Da quel momento la nostra banca è sempre stata vicina alla Iter aiutandola nel suo percorso di crescita e nelle sue iniziative principali. Facilitare la realizzazione di un progetto o favorire la risoluzione di un problema, per noi non era solo un dovere, ma anche un piacere. La stessa cosa abbiamo fatto con altre istituzioni che operano per accre-scere il livello culturale e sociale della nostra cittadinanza, perché questo è uno degli scopi che ha portato alla fondazione del credito cooperativo.La nostra banca è sorta nel 1899 col nome di Cassa di Credito della società ope-raia cattolica. La città di Rovereto ha sempre avuto una fi sionomia più industriale, che rurale, per questo era nata una cooperativa a sostegno della classe operaia, che aveva nelle sue fi nalità lo sviluppo della cultura del risparmio e della mutualità. Per favorire questo processo è stata da subito concessa l’apertura di un conto di deposito per piccole cifre di denaro e si sono presi accordi con alcuni negozi che offrivano uno sconto per gli acquisti dei nostri soci. La cosa interessante era che solo una parte di questo sconto andava a immediato benefi cio del cliente, l’altra veniva depositata sul suo conto bancario. In questo modo è stata svolta anche un’azione educativa invogliando la nostra gente al risparmio e rendendola parte-cipe di una realtà comune.Le guerre e le crisi economiche che sono seguite a questi primi anni di attività, hanno lasciato ferite dolorose nelle nostre famiglie e, di conseguenza, anche nelle società che ne gestivano il risparmio. Fortunatamente, però, la nostra banca ha continuato a mantenere ben saldo il suo rapporto con il territorio superando tutte le vicissitudini che hanno turbato la fi nanza nazionale e internazionale. Nel 1950 è entrata a far parte della Federazione delle Cooperative trentine modifi cando la sua denomina-zione, ma non i suoi intenti, anche con il nome di Cassa Rurale, infatti, sono rimaste ben vive le fi nalità sociali che l’hanno vista nascere e crescere.

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Alfredo MartiniVolontario

Da quando il mio amico Bruno mi ha coinvolto in questa bella avventura, sento di avere tante cose in comune con la Iter. Essenzialmente ci sono i ragazzi che ormai fanno parte della mia famiglia e che mi accolgono con affetto ogni qual volta passo a salutarli. Ma c’è anche dell’altro. Ora sono in pensione, ma per 30 anni ho lavorato nell’Azienda elettrica del Co-mune di Rovereto che aveva sede proprio nell’edifi cio in cui si trova ora la Iter. La disposizione dei locali, ovviamente, è cambiata, ma le mura sono quelle di sempre e ogni volta che vi entro, vengo assalito dai ricordi e mi emoziono. Nel posto in cui si trovano gli uffi ci, un tempo c’era il nostro magazzino e dove adesso i ragazzi be-vono il caffè, c’era l’offi cina. Appena sopra la scala, era situato il Centro telecon-trollo, che è stato l’ultimo a lasciare l’edifi cio, e proprio sull’angolo, si apriva l’uffi cio del Presidente, che era lo stesso ingegnere Campostrini che, per 30 anni, è stato alla guida della cooperativa. È anche per questi ricordi che mi emoziono quando vado a trovare i ragazzi della Iter.Ma forse è solo una questione di carattere, io sono un estroverso e mi piace lavora-re con gli altri e per gli altri. Faccio parte dell’associazione Polisportiva di Lizzanella con la quale organizzo il Giro cicloturistico e tante altre iniziative, ma la mia spe-cialità è cucinare per i momenti di festa, preparare fortaje e stromboi, ma anche gnocchi e bigoli con le sardelle per le sagre paesane, per le scuole e le tante co-munità che me lo domandano. È quello che faccio anche per i ragazzi della Iter ogni qual volta mi si presenta l’occasione. Abbiamo passato assieme tanti bei momenti, le giornate trascorse a malga Tof o nella casa di montagna dei miei amici Corradini, per esempio, sono impresse in modo indelebile nella mia memoria. Anche le feste organizzate in sede hanno sempre grande successo. Un paio di volte all’anno vado a cucinare per i ragazzi le mie fortaje fatte con farina, uova, latte, acqua gasata e poco altro, che piacciono a tutti e mettono allegria. Di solito vengono ad aiutarmi anche i miei amici alpini che incantano i ragazzi con le loro canzoni e, quando ce ne andiamo, siamo tutti più contenti.

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Rosa Masera LaezzaFondatrice e già direttrice della Cooperativa Iter

Quando entro alla Iter, mi sento bene. Se ho qualche pensiero fastidioso che mi gira per la testa, subito scompare e mi torna il sorriso. Questa cooperativa è un posto speciale per tanta gente, per i nostri ragazzi, prima di tutto, ma anche per chi ci lavora o viene a offrire il suo tempo da volontario, lo è anche per me che l’ho vista nascere e affermarsi in questi anni di preziosa attività. Al suo interno io ho vissuto un’esperienza appagante che adesso ritrovo nell’accoglienza affettuosa che mi riservano i ragazzi. Se mi guardo indietro, vedo questi 30 anni rincorrersi veloci, sono passati talmente in fretta che quasi non me ne sono accorta. Tutto è cominciato quando mio mari-to e io ci siamo resi conto che, fi nita la scuola, i ragazzi con diffi coltà come nostro fi glio, sarebbero rimasti esclusi dalla vita sociale. Ci sembrava una cosa sbagliata e ingiusta, così ci siamo attivati per dar vita a una cooperativa che desse loro un futuro. La Iter è nata da questo forte bisogno formativo teso a colmare un’ingiusta emarginazione e discriminazione sociale. A quel tempo io non pensavo di diventare direttrice, perché non avevo una prepa-razione specifi ca e temevo di non essere all’altezza. Il mio unico desiderio era che i nostri ragazzi avessero un posto in cui crescere sereni, in cui svagarsi e nel contempo fare qualcosa di utile. Così, accettare quel ruolo è stato diffi cile, ma lo è stato ancor di più lasciarlo, perché alla Iter ho passato gli anni più belli della mia vita. L’inizio della nostra attività non è stato semplice perché le risorse erano poche, i problemi e i bisogni tanti, ma, per fortuna, avevamo molti amici imprenditori che hanno risposto alle nostre richieste di aiuto. Da loro non volevamo benefi cenza, ma lavoro per i nostri ragazzi, tante piccole mansioni da svolgere che riempissero il loro tempo e ci permettessero di guardare al futuro con ottimismo. Il coinvolgimento positivo di queste persone, con la presenza dei genitori e dei primi volontari, mi ha spinta a rimboccarmi le maniche per lavorare con la testa e con il cuore. I risultati mi hanno dato conforto, considero il costante aumento dei ragazzi iscritti alla cooperativa come un successo di tutti, anche mio. Uno dei problemi che abbiamo da subito dovuto affrontare è stato quello della sede. Io avrei voluto un ambiente accogliente e solare con pareti colorate e gran-di fi nestre da cui vedere il mondo. Invece la nostra prima sede era piccola e angu-sta, si trovava all’interno di una chiesa sconsacrata e non offriva nulla di quello che io sognavo per i nostri ragazzi. Per fortuna ci siamo rimasti poco e, qualche mese dopo, ci siamo trasferiti in un posto di certo migliore, ma, sfortunatamente, ancora troppo piccolo per ospitare tutti i ragazzi che chiedevano di unirsi a noi. Rifi utare il loro inserimento alla Iter era per me un dolore indicibile.

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Dopo qualche tempo siamo fi nalmente approdati alla nostra sede defi nitiva, pri-ma nella sua forma ridotta e poi in quella odierna allargata. Un posto adeguato alle nostre esigenze, che io ho cercato di rendere ospitale, perché i nostri giovani hanno il diritto di vivere in un ambiente bello e accogliente. In questi anni ho lavorato tanto, ma sono stata anche molto felice. Ogni mattina mi preparavo con cura per i miei ragazzi, era il mio modo di rispettarli, poi andavo in sede dove c’erano sempre tante cose da fare. Il mio non era un compito facile, ma sono stata aiutata da collaboratori eccezionali, operatori competenti, volon-tari generosi e genitori disponibili, senza di loro non avrei potuto fare niente. Anche il presidente Campostrini mi è stato sempre accanto appoggiandomi in ogni pro-getto che intendevo realizzare in cooperativa. Il mio obiettivo principale era quello di offrire ai ragazzi tutto quello di cui aveva-no bisogno sia a livello psichico che fi sico, volevo che vivessero in un ambiente ricco di attività in cui mettersi alla prova e di stimoli che li aiutassero a crescere. Per raggiungere queste mete abbiamo avviato un Progetto qualità che ci ha portati a uscire dalla nostra sede per conoscere la realtà che ci stava attorno. Grazie a esso i nostri ragazzi sono andati in montagna e al mare, hanno visitato città d’arte come Venezia e Firenze, mostre, musei e tutto quello che poteva giovare al loro spirito. Ricordo ancora con emozione l’incontro che abbiamo avuto a Roma con papa Giovanni Paolo II. I ragazzi erano seduti in prima fi la in piazza San Pietro e non si sono mossi nemmeno quando è scoppiato un temporale che li ha bagnati da capo a piedi. Erano incantati davanti al papa che li ha salutati con un affetto del tutto spe-ciale. Quell’incontro mi ha dato una forza interiore che mi ha accompagnata per mesi, un’emozione tanto intensa che, tempo dopo, ho voluto condividere con mio fi glio che non aveva partecipato alla prima visita perché malato. Nel mio lavoro ho coltivato l’aspetto religioso mantenendo stretti rapporti con pa-dre Vigilio, che celebrava per noi la messa nelle principali festività cristiane. Questa era una prassi che ci faceva sentire partecipi di una comunità, allo stesso modo di quando recitavamo le preghiere per chi era malato o aveva qualche problema particolare. So che durante un mio recente ricovero in ospedale, i ragazzi hanno voluto pregare per la mia guarigione, quasi fossi una persona cara a cui lanciare un messaggio d’amore, la cosa mi ha fatto molto piacere. La Cooperativa Iter mi ha dato molto, per questo è stato doloroso per me lasciarla, l’ho fatto con la stessa emozione con cui una madre permette a un fi glio ormai cresciuto di andarsene per crearsi una vita autonoma nel mondo.

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Mariano ModenaGià Presidente dell’Unione commercio turismo di Rovereto

Lo spirito che anima la cooperazione è qualcosa che va oltre lo stare assieme per fi nalità comuni o di tipo corporativo, è qualcosa che implica una percezione della socialità che esce dai confi ni di categoria. È sulla base di questa sensibilità che, nel 1981, l’Unione commercio turismo di Rovereto ha voluto far parte dei soci fondatori della Iter, una nuova realtà consociativa che ha cambiato la vita di tante persone. Negli anni la cooperativa è cresciuta e si è affermata, per questo ci lasciamo coin-volgere volentieri nelle sue iniziative e, appena possiamo, la chiamiamo a parte-cipare alle nostre. Non è raro, infatti, che all’interno delle nostre manifestazioni sia presente uno spazio espositivo a lei dedicato, un posto speciale dove sono messi in mostra i tanti oggetti prodotti dai ragazzi, le scatole e le teche colorate, per esempio, che sono perfette sia per l’uso personale che aziendale. Ci piacerebbe che, in un prossimo futuro, questo materiale fosse esposto anche nelle vetrine dei negozi dei consociati all’Unione commercio. Il mio coinvolgimento con la Cooperativa Iter risale all’inizio degli anni Ottanta, quando mi recavo ogni giorno in sede per portare la frutta, le bibite e lo yogurt per la merenda dei ragazzi. Entravo, consegnavo la merce, ma non me ne anda-vo subito, perché trovavo sempre una scusa per fermarmi e scambiare qualche parola con i ragazzi o con il personale. Il nostro rapporto non si basava sull’eccel-lenza delle grandi cose, ma sull’affetto e sulla stima che nasceva dall’incontrarsi quotidianamente. Il massimo del coinvolgimento, comunque, lo provavo duran-te le gite fuori città e nelle feste che si svolgevano in sede. Allora non si trattava solo di rubare qualche minuto al mio lavoro per scambiare quattro chiacchiere in compagnia, c’era una partecipazione personale nell’organizzazione che mi dava molto piacere e che ricordo con un fi lo di nostalgia.

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Pietro MontiGià Sindaco di Rovereto

La cooperativa Iter è nata in un periodo di fermento creativo che ha toccato molti aspetti della città di Rovereto, quelli di tipo culturale, produttivo e urba-nistico, ma anche sociale e assistenziale. Molti progetti che si sono sviluppati in seguito, sono sorti proprio all’inizio degli anni Ottanta.A quel tempo non si vedevano in giro molti ragazzi portatori di disabilità signifi ca-tive, non solo per via di una certa ritrosia tipica di tanti genitori, ma essenzialmen-te perché mancavano le strutture in grado di consentire loro di uscire ed essere partecipi della società. La maggior parte dei familiari era capace di gestire il problema in modo adeguato solo all’interno della propria casa, fuori era diffi cile, spesso impossibile, per questo occorreva un intervento esterno teso a migliorare la qualità della vita sia delle famiglie che dei disabili che vi erano inseriti. Questa esigenza è stata portata in Giunta dagli assessori Sabina Chiasera e Pier-luigi Laezza, che hanno chiesto un coinvolgimento dell’Amministrazione nella creazione di una struttura che offrisse un’opportunità di crescita ai tanti giovani affetti da problemi di ordine fi sico e psichico. La Iter è nata così, da un’ottima idea seguita da un impegno preciso e costante che è continuato anche nelle amministrazioni che si sono succedute. Il fatto che Sabina Chiasera abbia man-tenuto per 17 anni consecutivi la carica di assessore comunale, ha permesso di tenere viva l’attenzione dell’ente pubblico sulle cooperative sociali che nel frattempo si erano costituite, in particolare sulla Iter che godeva della presenza attiva di Pierluigi e Rosetta Laezza. Credo che l’aspetto vincente di un buon governo cittadino stia nella condivi-sione di certi programmi che devono continuare nel tempo. Per un quarto di secolo Rovereto ha avuto amministrazioni diverse che hanno saputo proseguire e completare progetti iniziati in passato. Questa continuazione nella diversità ha portato a tanti successi sia nel campo assistenziale che culturale e produttivo. Quando nel 1995 sono tornato a ricoprire la carica di Sindaco, ho trovato la Iter molto cresciuta e la cosa mi ha fatto piacere. Nel tempo ho avuto modo di visitare la cooperativa in più occasioni, ma ricordo ancora con emozione la pri-ma volta che mi sono recato nella sua sede. I ragazzi erano seduti attorno a un tavolo, lavoravano e chiacchieravano senza perdere la concentrazione, erano contenti di quello che facevano e io con loro.

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Michele OdorizziConsigliere di Confcooperative

Alla fi ne degli anni Settanta a Rovereto c’era un fermento culturale e sociale che ha segnato la storia dell’intera provincia. In quel periodo sono nate alcune coope-rative che erano all’avanguardia nei loro intenti mutualistici e che sono state rego-lamentate nel 1988 da una Legge regionale che ha anticipato di tre anni quella nazionale che ha istituito la cooperazione sociale. Mi sarebbe piaciuto vivere quel periodo così creativo e intenso che ha segnato profondamente la nostra storia. Col tempo sono stati fatti tanti passi in avanti e ora, all’interno di Confcooperative, ci sono più di 7.000 cooperative sociali che danno lavoro a 200.000 persone. Alcune di queste realtà sono grandi, altre piccole, tutte sono sorte a seguito di quelle esperienze innovative di costruzione di un welfare locale che voleva dare una risposta ai bisogni della collettività. La Iter è nata così, dall’auto-organizzazione di alcune persone che intendevano offrire una prospettiva di vita migliore ai loro familiari portatori di una disabilità di tipo fi sico o psichico. All’individuazione del bisogno, è seguita l’attivazione dei meccanismi che hanno portato alla sua risoluzione o, quantomeno, al suo ridimen-sionamento. Il percorso seguito dalla Iter mirava all’inclusione sociale e all’emanci-pazione della persona attraverso l’avvicinamento al lavoro, ma la società presen-tava problemi anche di tipo diverso e altrettante modalità per risolverli. A Trento, per esempio, c’era padre Dante Clauser che si occupava dei barboni di strada nel Punto d’incontro, il centro nel quale da giovane ho anch’io operato. Da allora molte cose sono cambiate, assieme abbiamo raggiunto alcuni risultati che forse la società civile dovrebbe conoscere meglio. Credo sia importante che le cooperative sociali imparino a comunicare quello che fanno attraverso la stampa e le nuove tecnologie, senza però dimenticare che la conoscenza mi-gliore è quella che passa dall’incontro, dallo scambio diretto delle informazioni, dall’essere testimoni dell’autenticità e della bontà di una certa azione. Questo passaggio di dati è molto importante perché una cooperativa sociale non deve chiudersi in se stessa, ma aprirsi al mondo, deve attuare un progetto che non è di tipo auto-referenziale e nemmeno semplicemente imprenditoriale, altrimen-ti perderebbe la possibilità d’incidere sul sociale. Essa non è un’associazione e nemmeno una fondazione, ma un’entità che opera sfi dando il mondo produt-tivo, scegliendo una forma d’impresa che coniuga l’economico con il sociale, che punta sull’emancipazione individuale attraverso il lavoro inteso come valore fondante della nostra Costituzione. Ho conosciuto la Iter nel 2000, quando, in qualità di Presidente di Consolida, mi sono impegnato a ristabilire un rapporto con le cooperative associate che nel

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tempo si era un po’ allentato. Ricordo di avere contattato in più occasioni la signora Laezza, che un giorno mi ha invitato a una festa con tanta cortesia e in-sistenza, che non ho potuto fare a meno di accettare. Erano anni che Consolida non partecipava a una simile iniziativa, per cui ci sono andato con molta curiosi-tà, ma anche con un po’ di titubanza. È stata un’esperienza molto bella che rammento ancora con piacere, la cosa che più mi ha colpito è stata la partecipazione dei genitori che non erano dei semplici ospiti, ma protagonisti attivi della festa assieme ai loro fi gli. Il loro comportamento genuino e schietto mi ha comunicato una forte emozione che mi ha fatto rivaluta-re quel tipo d’incontro e mi ha indotto a tornare in altre occasioni. Questo è stato il primo elemento che mi ha colpito nella mia frequentazione con la Iter, il secondo riguardava la cura con cui era tenuta la sede. Le tende, i quadri e i fi ori sopra i mobili, mostravano un’attenzione verso il bello che proveniva direttamente dalla direttrice Laezza, ma che aveva contagiato anche le persone che operavano nella struttura. Credo che amare le cose belle, sia amare anche le persone che le possono condividere, un’altra importante lezione da non dimenticare. La terza cosa che ricordo con emozione è legata ai volontari che operavano alla Iter. Un aspetto tipico della cooperazione sociale è la presenza al suo interno di persone non retribuite che affi ancano i dipendenti nei loro progetti e nelle mansio-ni quotidiane. Alla Iter ho trovato volontari che erano presenti fi n dalla fondazione con una continuità nel tempo che si può comprendere solo con la presenza di relazioni interpersonali molto importanti e positive. Alla Iter sono tornato tante volte e ho avuto modo di verifi care nel tempo la consi-stenza di questi tre elementi, che ho cercato d’inserire nel nostro contesto consor-tile richiamando su di essi l’attenzione dei gruppi di lavoro già in atto. L’operazione è servita e ci ha consentito di rinsaldare la relazione tra cooperative e consorzio, di trovare quel giusto rapporto tra le parti che ha poi facilitato il lavoro a tutti.

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Giovanna Maria PaganiPresidente della Cooperativa Il Ponte

Sono di origini bresciane, ma conosco Rovereto fi n dalla mia infanzia, così, quando mio marito vi si è trasferito per motivi di lavoro, l’ho seguito volentieri. Qui ho stabili-to rapporti di amicizia e di collaborazione molto importanti, al punto che non vorrei vivere altrove. Mi piace abitate in una valle, le montagne mi fanno da cornice e mi limitano, ma mi danno anche protezione. E sono contenta quando posso confron-tarmi con la gente del posto, degli uomini e delle donne che a volte sono un po’ chiusi e ombrosi, ma allo stesso tempo cortesi e disponibili al confronto. Che Rovereto fosse una città sensibile ai temi sociali l’ho capito da subito, ma ne ho avuto la conferma una ventina d’anni fa, quando un’amica mi ha chiesto di ac-compagnarla alla Cooperativa Il Ponte dove lei prestava opera di volontariato. Non volevo deluderla, così l’ho seguita, ma ero a disagio perché conoscevo i problemi degli ospiti di quella struttura e temevo di non poter essere affatto utile. Invece mi sbagliavo, perché al Ponte c’era posto per tutti, anche per me. Ricordo con piacere l’emozione che i ragazzi mi hanno trasmesso in quella prima occa-sione, una sensazione così forte che mi ha indotta a tornare e tornare nel tempo. Con gli anni alcune cose sono cambiate, ma non tutte. Ora sono diventata Presi-dente della cooperativa, ma continuo a prestare servizio di volontariato, perché il rapporto personale che ho instaurato con i miei ragazzi, è un bene prezioso a cui non voglio rinunciare. La stessa cosa succede alla Iter, che è un’istituzione molto simile alla nostra e con la quale collaboriamo volentieri. Anche lì, come da noi, il lavoro organizzativo e l’impegno burocratico sono spesso molto pesanti, ma non scalfi scono le buone relazioni che abbiamo stabilito con i nostri ospiti. A volte è suffi ciente una mezza frase pronunciata col sorriso sulla bocca per cambiare il corso della giornata. Per i nostri ragazzi, ma anche per noi.

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Bruno PelizzariVolontario

Frequento la cooperativa da un quarto di secolo per cui tra le sue mura mi sen-to di casa. Tutto è iniziato nel 1986, quando Ornella, un’operatrice della Iter che era amica di mia moglie, ci ha chiesto aiuto per portare a termine dei lavori che i ragazzi da soli non riuscivano a completare. Loro facevano quello che poteva-no, ma alcune operazioni esigevano una manualità che non tutti possedevano e spesso era diffi cile rispettare i tempi di consegna richiesti da certe ditte produttrici. È per questo motivo che è nato il nostro gruppo di volontariato, che s’incontrava un paio di sere alla settimana per aiutare la cooperativa a rispettare i tempi e la qualità del lavoro che le veniva assegnato. Poi, nel 1988, le cose sono cambiate, sono andato in pensione e mia moglie mi ha convinto a instaurare un rapporto più stretto con la Iter. Io sono sempre stato un uomo del fare e non mi piaceva l’idea di passare il tempo con le mani in mano, così ho cominciato a recarmi in cooperativa anche di giorno, prima senza un ora-rio preciso, una o due volte a settimana, poi più regolarmente. Adesso ci vado un paio di ore al mattino e un paio al pomeriggio e sono contento perché ho instau-rato con i ragazzi un rapporto di tipo familiare che mi piace molto. All’inizio li affi ancavo nel lavoro che stavano svolgendo, li aiutavo a mettere la col-la al punto giusto, a piegare il cartoncino lungo una determinata linea o a riempire le scatole di quanto dovuto, poi mi sono specializzato in attività che richiedevano una precisa manualità e ho cambiato il mio modo di collaborare. Ho imparato a rilegare libri grazie all’aiuto di Annarosa e del maestro Tassi, due presenze storiche della cooperativa. Un tempo c’era tanta gente che ci portava i fascicoli trovati nelle riviste perché noi li rilegassimo in un volume, ora è raro che succeda e al massimo mi capita di dover ripulire e rinnovare dei vecchi libri rovinati dall’incuria. Il lavoro, in ogni caso, è delicato e sono pochi i ragazzi che possono aiutarmi, Silvano è uno di questi, lui riesce ad allineare i fascicoli nell’ordine giusto e mi facilita nel compito fi nale, assieme siamo degli ottimi rilegatori. Quando mi capita di vedere in giro uno di questi libri, mi si riempie il cuore di orgo-glio, perché so quanta attenzione ci abbiamo messo a farlo.

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Diego Schelfi Presidente della Federazione delle Cooperative trentine

Vengo da Brentonico, un paese in cui da sempre esiste un forte spirito cooperativi-stico che coinvolge numerose famiglie. La mia era una di queste, per cui non pos-so pensare alla mia infanzia senza rivivere qualche avvenimento che ha segnato la cooperazione locale. Mio padre s’incontrava spesso con i suoi amici nella no-stra cucina per discutere della gestione del caseifi cio di cui era Presidente o della Famiglia Cooperativa che, a suo parere, non funzionava come avrebbe dovuto. Parlavano per ore e ore, ma noi ragazzini non potevamo rimanere a lungo, ci la-sciavano ascoltare qualche minuto, poi ci mandavano a letto con la convinzione che stessero lavorando a un progetto di vitale importanza. Ed era proprio così, quegli uomini seduti attorno al tavolo della mia cucina, stavano mettendo le basi del nostro futuro. Dobbiamo essere loro riconoscenti. Da allora la cooperazione ha fatto tanta strada, ma mi piacerebbe ritrovare nei nostri giovani un po’ dello spirito battagliero di quei tempi e magari anche quel senso di appartenenza alla comunità di cui sento affi evolirsi la forza, quella sod-disfazione di sentirsi piccola parte fondante di un grande intero. L’orgoglio e la fi ducia sono due sentimenti molto importanti, ricordo che da bambino ero felice quando incontravo mio zio la domenica in piazza, lui era il Presidente della Cassa Rurale e nel salutarlo mi sentivo grande come lui. Io sono un uomo fortunato perché nella mia vita ho avuto dei bravi maestri, in paese e in famiglia, ma anche fuori. Finiti gli studi ho avuto modo di conosce-re persone come Giuseppe Veronesi e Giorgio Fiorini che credevano profonda-mente nel valore della cooperazione. Sono stati loro che, dopo la metà degli anni Settanta, hanno organizzato a Rovereto degli incontri sulla Legge 285 che favoriva l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro anche attraverso alcune forme di cooperazione. Erano riunioni molto affollate nelle quali ho ritrovato tanti amici, all’uscita eravamo consapevoli di non avere le idee del tutto chiare, ma sentivamo dentro di noi una carica che ci proiettava nel mondo. In poco tempo, così, sono nate tante cooperative sociali e di lavoro, anch’io e i miei amici ne ab-biamo avviata una che ha avuto vita breve, ma che è stata la giusta premessa di altre esperienze importanti. Le diverse cooperative che sono nate in quegli anni hanno avuto origine da un humus che era connaturale a Rovereto. In quella città c’erano le persone con la sensibilità giusta, degli amministratori comunali che hanno dato molto e che sono riusciti a coinvolgere i giovani che scalpitavano dalla voglia di fare. “Dai, dai che provem...”, ci dicevamo l’un l’altro, qualcuno aveva dei dubbi, ma andavamo avanti lo stesso. Io ero ingegnere e avrei potuto fare dell’altro, ma ho lasciato tutto

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per dedicarmi alla cooperazione, la stessa cosa hanno fatto alcuni amici che si sono licenziati da impieghi ben remunerati per vivere la mia stessa avventura. Si lavorava assieme nella piena consapevolezza che, per bravo che uno possa essere, assieme agli altri, era migliore. Mi ricordo i ragionamenti che facevamo all’inizio..., dicevamo che non importava se uno era centralinista, perché se face-va bene il suo mestiere, contava più del Presidente. È dalla consapevolezza dell’importanza del lavoro comune che ha avuto origine l’humus che ha arricchito la vita sociale di Rovereto, che ha fatto nascere coope-rative come la Iter e che ha sviluppato quelle attività di volontariato di cui tuttora la città gode i benefi ci. Quando penso a quei giorni provo un senso di profonda nostalgia. Quello è stato un periodo molto bello della nostra vita e credo che i giovani abbiano il diritto di viverlo con la nostra stessa intensità. Li porterebbe lontano, molto più in là di dove siamo arrivati noi. Le nuove generazioni hanno bisogno della cooperazione almeno quanto essa ha bisogno di loro, ma se vogliamo che queste due entità s’incontrino e diano il meglio di loro stesse, dobbiamo farci da parte e lasciare che i giovani portino la loro forza e le loro idee all’interno dell’istituzione. Bisogna lasciarli fare, guardarli da lontano e consentire loro di mettersi alla prova, solo così il Trentino in genera-le e la cooperazione in particolare, potranno realizzare la speranza di un futuro sempre migliore.

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Carlo SpagnolliMedico

Da sempre sono convinto che esista un collegamento diretto tra educazione e volontariato, se scaviamo nella vita dei tanto bravi volontari che lavorano in Italia e nel mondo, troviamo sempre una famiglia che ha saputo formare le loro giuste emozioni e le loro aspirazioni umanitarie. È stato così anche per me, che ho avuto dei genitori meravigliosi che mi hanno inconsapevolmente portato alla vita che ho poi scelto di vivere. Il mio impatto con l’Africa è stato molto forte, lì sono venuto a contatto con la vera sofferenza e, in un attimo, mi sono reso conto che i miei problemi non contavano niente a confronto delle diffi coltà di chi mi stava accanto. Quello è un continente magnifi co che ti educa a distinguere l’essenziale dal superfl uo, chi ha il cuore sano e la mente lucida, lo capisce e se ne innamora, oppure scappa. Io sono arrivato che credevo di sapere tutto, avevo un’ottima laurea in medicina ma nessuna esperienza, così mi sono guardato attorno e mi sono sentito impoten-te, vedevo i bambini morire di morbillo, di tubercolosi e di malaria e non sapevo che fare. Subito mi sono sentito ridimensionato, ho messo i piedi per terra e ho co-minciato a imparare da chi mi stava attorno, dai colleghi e dai pazienti, da tutti. È stata l’Uganda a farmi diventare un vero medico. Lì ho trovato la mia maturazione personale e professionale, col tempo ho incontrato anche l’amore, per cui non credo che quel posto potesse darmi di più.Quando torno in Italia mi piace guardarmi attorno per rintracciare un po’ della mia Africa nei nostri paesi tanto più fortunati. Una traccia molto evidente l’ho trovata alla Iter, dove ho incontrato dei ragazzi che sono anime pure come i nostri amma-lati e i nostri orfani africani, loro non hanno niente di materiale da offrirci, solo una grande ricchezza spirituale che ci tocca nel profondo. Sono persone fragili che richiedono molta attenzione, ma che sanno dare più di quanto ricevono. Tra di loro mi trovo bene, mi sembra di essere a casa.

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Gianni TassiVolontario

Ho insegnato per quindici anni nell’Istituto medico-pedagogico di Nomi, negli ulti-mi dieci ho organizzato anche i laboratori di falegnameria, di meccanica e di car-totecnica e legatoria. Il Provveditorato agli Studi di Trento ha messo a disposizione i macchinari che ci servivano, così abbiamo chiamato degli esperti che ci hanno insegnato i vari mestieri e ci siamo messi al lavoro. È stata una bella esperienza che è continuata fi no all’abolizione delle scuole speciali, da quel momento abbiamo chiuso i nostri laboratori e io sono passato alle elementari di Nomi. In seguito ho insegnato qualche ora a settimana all’I.P.I.A. di Rovereto, dove ho avuto modo di conoscere alcuni dei ragazzi che ancora adesso frequentano la Iter.È stato grazie all’esperienza che ho maturato in questi istituti che gli assessori Chia-sera e Laezza mi hanno interpellato quando hanno deciso di dar vita alla Coope-rativa Iter. Loro avevano le idee chiare su quanto volevano realizzare, ma nutriva-no dei dubbi sull’attività da far svolgere ai ragazzi. Io ho scartato subito i laboratori di meccanica e di falegnameria e ho proposto quello di cartotecnica e legatoria, che mi sembrava l’unico adatto alle loro capacità. Così abbiamo recuperato l’at-trezzatura che giaceva inutilizzata a Nomi e abbiamo allestito lo spazio che ci è stato assegnato nella ex chiesa della Sacra Famiglia, un luogo a cui tenevo molto perché era dove, qualche anno prima, mi ero sposato. Il nostro primo lavoro ce l’ha dato la Domovideo di Volani. Ricordo che sono an-dato a prenderlo assieme al maestro Zenatti, si trattava di confezionare le custodie di cartoncino in cui andavano infi late le videocassette di alcune opere cinema-tografi che. Non era un lavoro particolarmente diffi cile, ma bisognava stare attenti a piegare il cartoncino bene e ad applicare la dose giusta di colla che, in nessun modo, doveva colare. Noi mostravamo come fare alle mamme che, a loro volta, lo insegnavano ai fi gli. C’era anche Annarosa, che a quel tempo era poco più che una ragazzina, è un piacere vederla ancora operare con la sua carica di umanità e la sua lunga esperienza. Quello è stato solo l’inizio del lungo cammino della cooperativa, ricordo che ci è vo-luto del tempo e tanta pazienza per arrivare al successo odierno, ma noi abbiamo capito subito che l’approccio era giusto e che si poteva andare avanti bene. Durante i primi anni venivo alla Iter un paio di pomeriggi alla settimana perché ancora insegnavo, poi, nel 1985, sono andato in pensione e da allora, fi no a poco tempo fa, ero quasi sempre presente. Me ne sono andato dopo 25 anni di attività in cui ho visto maturare personalmente e professionalmente tanta gente, guardare Andrea e Silvano intenti nel loro lavoro, mi riempie il cuore di gioia e anche di soddisfazione.

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Pio TodeschiImprenditore

Il mio rapporto con i ragazzi della Iter ha preso il via negli anni Settanta, quando ancora la cooperativa non esisteva. Io sono stato il primo a Castellano a comperarmi la vettura, una Fiat 750 da sogno, che poi ho cambiato negli anni a seguire. In paese facevo servizio di taxi perché la gente non aveva i mezzi per raggiungere la stazione dei treni o l’ospedale di Ro-vereto. Spesso mi capitava di andare a prendere le levatrici a Villa o a Presano per condurle in casa delle partorienti, poi le riportavo indietro ed ero contento quan-do mi dicevano che era nato un bel bambino vispo e sano. A volte attraversavo mezza Europa come autista dei conti Marzani di Daiano o dei marchesi Guerrieri Gonzaga di Villa Lagarina e di San Leonardo. In uno di questi viaggi ricordo che il conte Sigurtà di Valeggio sul Mincio, mi ha raccontato di aver visto all’estero degli automobilisti che indossavano una strana fascia di traverso sul petto. La cosa mi ha incuriosito e ho deciso di procurarmi anch’io quell’aggeggio tanto esotico e moderno. L’ho richiesto ai miei rifornitori di Rovereto e di Bolzano, che non sono riusciti a trovarlo e che mi hanno perfi no canzonato per questo mio desiderio. Solo quando ho tirato in ballo il nome del conte di Sigurtà, il responsabile della Fiat di Verona mi ha preso sul serio e si è dato da fare, così, ben presto, è riuscito a fornirmi l’agognata fascia che ho fi ssato con due bulloni di fi anco al sedile del viaggiatore. Era la prima cintura di sicurezza che avessi mai visto e mi pareva bellissima. Col tempo mi sono comperato un pulmino Volkswagen del tutto simile a quello con cui erano arrivati alcuni ospiti dei conti Marzani, io l’ho visto e me ne sono su-bito innamorato. Da allora ho avviato quell’attività di autotrasporto collettivo che continuo ancora adesso con i miei fi gli e i miei dipendenti. Il primo trasporto con persone disabili l’ho fatto per portare dei ragazzi agli Artigia-nelli di Trento, li raccoglievo il lunedì mattina in tutta la valle e li riconducevo a casa ogni venerdì sera. Un altro gruppo lo portavo a Nomi e, più tardi, anche all’I.P.I.A. di Rovereto. Poi sono nate le cooperative Guardini e Iter e io ho continuato il mio avanti e indietro con l’entusiasmo di sempre. Sono contento del mio lavoro perché ho un buon rapporto con i ragazzi, mi piace ascoltarli chiacchierare e ridere mentre io passo da un paese all’altro per racco-glierli e portarli in città. Il primo giro lo faccio per quelli che abitano in famiglia, alle 7 e 30 sono alle Sorne, poi vado a Cazzano, a Besagno, a Tierno, a Marco, a Lizzana, a San Giorgio e, fi nalmente, arrivo in città. Nel secondo giro passo a rac-cogliere i ragazzi che vivono nelle case famiglia disseminate nella valle. Li porto alla Iter, ma anche alle altre cooperative della zona. A mezzogiorno faccio nuovi

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giri che toccano Lenzima e Volano, poi alle 16 porto a casa i ragazzi del Ponte e alle 17 quelli della Iter. Il mio è un bel lavoro, è vario e non mi annoia mai perché mi permette di avere rapporti con tante persone, con i giovani che trasporto, prima di tutto, ma anche con le loro famiglie, specialmente con le madri che vedo spesso preoccupate per il futuro dei loro fi gli. Io sono anziano e qualche volta arrivo a sera con le ossa indo-lenzite, eppure non è raro che scenda dal pulmino per aiutare qualche ragazzo a salire in casa..., mi sembra il minimo che possa fare.

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Padre Vigilio TorresaniParroco di Santa Caterina

Io sono arrivato a Rovereto nel 1991, quando la Iter stava per celebrare il suo deci-mo anno di fondazione. Venivo dal convento di Terzolas in Val di Sole e della città non conoscevo niente, per me erano giorni di avvicinamento alla nuova realtà in cui ero chiamato a operare, così sono stato ben contento di partecipare alla festa per l’anniversario della nascita della cooperativa. Mi sono seduto in disparte ad ascoltare e, in un colpo solo, ho imparato tante cose. L’elemento che più mi ha colpito è stato la forza propositiva dei fondatori che si riversava positivamente sul lavoro dei responsabili e degli operatori. Quanto hanno detto in quell’occasione mi è molto piaciuto e mi ha spinto a tornare più volte dai ragazzi della Iter che, a quel tempo, erano circa una decina e formavano una specie di famiglia, un grup-po affi atato che si basava sul buon rapporto esistente tra gli utenti e i responsabili.Col tempo il numero dei ragazzi è sensibilmente aumentato e la cooperativa ha dovuto adeguarsi a una realtà nuova e più impegnativa. Ogni arrivo ha portato con sé molta gioia e qualche preoccupazione, come succede nelle famiglie che accolgono la nascita di un fi glio con tanta felicità e un po’ di apprensione. Con l’amore e la professionalità, però, si possono affrontare tutti i problemi e spesso anche risolverli. I ragazzi della Iter hanno gravi diffi coltà di ordine psichico e fi sico, ma hanno pure una grande ricchezza interiore che deve essere compresa e valorizzata dagli operatori e dai volontari che stanno loro vicino, tutte persone che lavorano col cuore oltre che con la testa. Io ho avuto modo di osservarle durante le brevi va-canze che un tempo i ragazzi trascorrevano nella nostra casa di Santa Caterina a Monclassico, e ne sono rimasto favorevolmente colpito. Ricordo quei giorni tra-scorsi in montagna con grande piacere, i ragazzi hanno fatto bellissime escursioni spingendosi in luoghi meravigliosi per godere dello splendore della natura e del dono dell’amicizia. La Cooperativa Iter è una ricchezza della nostra comunità, una realtà umana e so-ciale che rende onore a Rovereto e impreziosisce la parrocchia di Santa Caterina.

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Alessandro TrincoImprenditore

Il nostro rapporto con la Iter risale al 1989, a quando abbiamo trasferito la nostra azienda nell’attuale sede a due passi dalla cooperativa. Noi conoscevamo bene il geometra Laezza ed è stato quasi automatico prenderci in carico la manutenzio-ne dei furgoni Iter, attraversavamo la strada ed eravamo sul posto. Così facendo siamo venuti a contatto con una realtà di cui non sapevamo niente e ci siamo lasciati coinvolgere, ce ne siamo quasi innamorati. Mia madre, più di tutti, si è mol-to affezionata a quelli che considera i suoi ragazzi e, fi no a poco tempo fa, non mancava di partecipare alle loro feste e celebrazioni. Ora non sta molto bene e si muove di rado, ma appena può va a trovarli e porta con sé quei pasticcini di cui sono tanto ghiotti. Io ne approfi tto e l’accompagno. Entrare alla Iter mi fa bene, conosco i ragazzi e stare con loro mi dà serenità, mi fa dimenticare lo stress che spesso accumulo durante la giornata. Mi piace instaurare buoni rapporti con le persone, anche con i nostri clienti cerco sempre di raggiun-gere un contatto emotivo che mi gratifi chi al di fuori della sfera professionale, ma non sempre è possibile. Così, quando ho un attimo di tempo, scappo in coopera-tiva a rigenerarmi. Entro in laboratorio e mi aggiro tra i banconi, guardo i ragazzi lavorare e subito sto meglio. Mi piace l’idea di avere con loro un rapporto di reci-procità, io aggiusto i loro furgoni e loro mi confezionano degli splendidi biglietti di auguri. Quando li spedisco mi sento contento.

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Giuliano VenturiniVolontario

Non so da quanto la mia famiglia possiede il negozio con la corniceria e la vetreria, di sicuro dal 1926, forse anche da prima. Mio padre ci ha lavorato una vita intera, poi siamo subentrati noi fratelli e infi ne i miei fi gli, la terza generazione. Col tempo la nostra attività è cambiata, una volta i vetri si rompevano spesso e noi eravamo sempre impegnati, ora è diverso, le macchine fanno tutto in un lampo e il perso-nale è stato ridotto. Io sono andato in pensione nel 1997, ma per un certo periodo ho continuato a dare una mano in magazzino, ci andavo un paio di giorni alla settimana, quanto bastava per consentire ai miei ragazzi di camminare con le loro gambe. Più che altro mi occupavo di piccoli lavori manuali che mi davano una certa soddisfazione, come tutti i corniciai ho polso sicuro e occhio preciso, per cui, posso dire, di essere un bravo artigiano. Adesso ci vado meno nel mio magazzino, ogni giorno ci butto uno sguardo e passo dal negozio, ma poi me ne vado dai miei ragazzi alla Iter, che, di sicuro, hanno più bisogno di me che i miei fi gli. Il mio rapporto con la cooperativa risale indietro nel tempo. Ricordo quando negli anni Ottanta la signora Laezza veniva a rifornirsi nel nostro negozio delle tazze e dei bicchieri che le servivano per i suoi ragazzi. Lei era una nostra buona cliente, però non volevamo che si sentisse costretta a comperare la nostra merce che era molto bella, ma anche costosa, così, in qualche occasione, è capitato che mia moglie le suggerisse di fare acquisti in magazzini decisamente più economici. La signora Laezza l’ascoltava, ma poi, immancabilmente, tornava da noi. Una volta ci ha spiegato che i suoi ragazzi avevano già abbastanza problemi per conto loro, senza che dovessero circondarsi di cose brutte e di cattiva qualità. Lei aveva un gusto estetico molto raffi nato che trovava giusto condividere con tutti. Col tempo ho imparato a conoscere meglio lei e anche la sua cooperativa. Quan-do mio padre è andato in pensione, era un’anima in pena, non riusciva a stare con le mani in mano, proprio come succede adesso a me. Per qualche tempo me lo sono portato in laboratorio, ma poi le sue capacità lavorative sono diminuite e non riuscivo più a trovare niente con cui occuparlo. Così mi sono rivolto alla Iter che ha cominciato a passarmi dei lavoretti che lo tenevano impegnato e sereno, erano meglio di qualsiasi medicina. Una volta ricordo che è caduto e si è fatto male, all’ospedale gli hanno ingessato il braccio, ma lui non poteva star lì senza far niente, così ha tagliato parte dell’ingessatura e liberato il polso quanto bastava per poter riprendere il lavoro che voleva ultimare per la Iter. In questo modo è tor-nato tranquillo e quando i medici gli hanno tolto il gesso si sono stupiti della mobili-tà che aveva il suo braccio, non pareva affatto debilitato. Loro non sapevano che aveva staccato 30.000 pezzetti di plastica da un modellino di aeroplano.

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Poi gli anni sono passati, mio padre se n’è andato e ora tocca a me collaborare con la cooperativa. È dal 1997 che vengo a dare una mano ai nostri ragazzi, prima lo facevo saltuariamente, ma ora sono qui ogni giorno. Solo in piena estate me ne sto lontano e vado in montagna a raccogliere legna, ma appena ritorno in città, mi ripresento in laboratorio. Con me lavorano anche altri volontari, alcuni sono amici che io stesso ho introdotto alla Iter, perché la nostra è una specie di catena, uno viene, si trova bene e coinvolge un altro. Io sono stato portato qui da padre Vigilio. All’inizio non ero sicuro che fosse il posto giusto per me, ma, da allora, sono sempre tornato. Sono un artigiano e so fare di tutto, insegno ai ragazzi a piegare, incollare, staccare, riempire..., e completo quello che loro non riescono a fi nire. Ogni tanto mi porto dietro mezzo chilo di ca-ramelle, perché è una gioia vederli contenti, qualche volta Marina fi nge di avere giù la voce per averne una in più e io mi commuovo.

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Indice

L’autrice 5

Il presidente 6

Il direttore 7

I PADRONI DEL TEMPO 9

IL FARE 75

GLI AMICI 105

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Finito di stampareper i tipi delle Edizioni Osiride

il 13 luglio 2011

Printed in Italy

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