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Mercoledì 16 ottobre 2013 43 Mercoledì 16 ottobre 2013 42 Idee & Società REDAZIONE: via Rossini, 2 - 87040 Castrolibero (CS) - Tel. (0984) 852828 - Fax (0984) 853893 - E-mail: [email protected] Idee&Società Antonio Bassolino si racconta in “Le Dolomiti di Napoli” La forza della salita l’insidia della discesa Il sindaco rosso di Napoli che San Gennaro Antonio Bassolino allora sindaco di Napoli bacia l’ampolla con il sangue di San Gennaro che gli porge il cardinale Michele Giordano A sinistra Bassolino ai piedi di una montagna Pubblichiamo in anteprima un capitolo del libro «VUOLE salire?» mi chiede un vigi- le. «Andiamo!» È la festa dell’Immacolata del 1993. Piazza del Gesù è stracolma e siamo appena usciti dalla Chiesa del Gesù Nuovo, assieme al cardinale Michele Giordano e a numerose altre persone. Sono stato eletto sindaco tre giorni prima, non ho ancora giu- rato ma indosso già la fascia tricolo- re che durante il mio mandato ho cer- cato di mettere sempre e soltanto per cause giuste e di interesse generale. È il mio primo impegno pubblico. Co- me prescrive la tradizione, il capo del cerimoniale mi consegna un grande fascio di fiori e mi avvio verso la scala mobile dei vigili del fuoco. Uno di loro de- ve prenderlo e por- tarlo lassù, sulla sta- tua della Madonna. Invece, come riflesso dell’inedito e bellissi- mo clima che si vive in quei giorni e che si respira dapprima in chiesa e più tardi in piazza, il vigile del fuoco rompe la tradizione e con un grande sorriso mi chiede, nel mo- do più semplice e diretto: «Sindaco, vuole salire?» Sistemato il fascio di fiori, cominciamo a salire. Pian pia- no, si apre la vista sui tetti, sulle stra- de e sui vicoli del centro antico della città. La piazza si trasforma e, dal picco- lo ascensore scoperto (in realtà una scala con la stecca di protezione che arriva all’altezza delle gambe) osser- vo le persone divenire sempre più piccole come in un’antica fiaba. Rag- giunta la cima ho un leggero gira- mento di testa, frutto sicuramente delle cento e talvolta anche più siga- rette che fumo ogni giorno. Addirit- tura anche in chiesa, poco prima, ho fumato, con la benevolenza e al tem- po stesso il rimprovero del parroco. Il vigile prende in mano il fascio dei miei fiori e sale sullo scalino per de- porlo sulla statua della Madonna. Chiudo gli occhi e li riapro sollecitato da un interminabile applauso che sa- le dalla piazza. Guardo le migliaia di piccole persone e volgo lo sguardo quanto più lontano possibile sulla città. Rivivo questa scena ogni volta che raggiungo la cima di una monta- gna: sul Sass Rigais, stanco e indebo- lito dall’emorragia, e su altre monta- gne e cime quando le raggiungo feli- ce e accaldato. «Buon lavoro, sindaco!» «Grazie, anche a voi!» Torno sul palco accolto dal sor- riso compiaciuto di Michele e dalla gioio- sa condivisione della piazza: è come se l’in- tera città avesse por- tato i fiori alla Madon- na. Quella sera, a tar- da ora, l’ultimo servi- zio del Tg3 notte è de- dicato ai fiori alla Madonna. Roberto Morrione, un bravo giornalista cat- tolico che purtroppo è scomparso in età ancora giovane, dice: «Con que- ste immagini, che resteranno a lun- go nella nostra mente, del sindaco rosso di Napoli che porta i fiori alla Madonna, chiudiamo questa edizio- ne del telegiornale.» Sono tornato al- tre volte in quella piazza e su quella scala. Ogni anno, sempre da sinda- co. Un anno sono uscito da solo dalla chiesa con il grande fascio di fiori in mano, e sono salito sulla scala. Con Michele e con la polizia concordam- mo di fare così: era un momento dif- ficile e sembrò giusto, a tutti noi, non esporre il cardinale a una piazza che, porta i fiori alla Madonna e i fedeli in quell’occasione, manifestava più del solito tensioni e problemi di varia natura. Per me, fin dalla prima volta, si è trattato di una scelta immediata e spontanea, poi ripetuta negli anni con partecipazione emotiva e razio- nale. Lo considero, infatti, un omag- gio alla Madonna insieme a un omaggio alla città, a quella gran par- te del popolo napoletano che si rico- nosce nei riferimenti religiosi della Chiesa e in particolare della Madon- na e di san Gennaro. La prima ricorrenza di san Genna- ro che ho vissuto come sindaco, e che ricordo anche come la più importan- te, è stata il 19 settembre 1994. Due mesi prima si era tenuto a Napoli il G7 e tutti i capi di Stato e di governo dei paesi più importanti del mondo, compreso per la prima volta Eltsin, avevano passeggiato per le strade della città. Proprio nelle vicinanze del duomo, Clinton aveva mangiato quella pizza che poi andò in onda in tutte le televisioni del pianeta. Con Mitterrand camminammo per le stradine intorno a San Domenico Maggiore e Spaccanapoli. Nacque un bel rapporto, tanto che nella sera- ta alla Reggia di Caserta, non essen- doci potuti incontrare per l’intero pomeriggio, mi fece un affettuoso rimprovero: «Invece di portarmi a vi- sitare la città, mi hai lasciato da solo con tutti questi.» “Tutti questi”erano gli altri capi di Stato e di governo. In quel periodo ogni iniziativa pubblica, ogni mani- festazione e ricorrenza, ogni appun- tamento religioso e civile coinvolge la gente molto più del solito. Mi sve- glio presto la mattina di quel 19 set- tembre, e mi accorgo subito che sono preso da una tensione particolare, perfino da un’agitazione inconsue- ta. Ero più sereno nel pomeriggio del ballottaggio con Alessandra Musso- lini. Allora tutto dipendeva da me e da coloro che mi avevano sostenuto e, insomma, era giusto pensare che si era fatto tutto quello che era uma- namente possibile fare. Ora, invece, non dipende solo da me e dal mio im- pegno, entro in una diversa dimen- sione, in un ambito quasi imprevedi- bile. L’unico contributo che posso da- re è riuscire a soffrire insieme. Esse- re in sintonia con il groviglio di sen- timenti che attraversa la città. Parte- cipare senza eccessivi controlli ra- zionali, lasciando scorrere in modo libero le emozioni che ti prendono e che vivi come un fatto più importan- te e persino più significativo di tanti avvenimenti politici. Esco di casa an- sioso e giungo al duomo in anticipo. Mi fermo a parlare con i venditori ambulanti, che sono lì dalle prime ore del mattino, e con le delegazioni e i cittadini che cominciano ad arriva- re. Indosso la fascia, entro in duomo e scambio due parole con i membri della Deputazione di san Gennaro, di cui è presidente il sindaco di Napoli. .... Il cardinale prende l’ampolla e l’av- vicina al mio viso e ai miei occhi, con un ampio sorriso e con la delicata di- screzione che si deve a un laico. Guardo l’ampolla: il sangue è denso e solido e, per la prima volta, le mie lab- bra la sfiorano con un bacio che ri- suona nella mia testa e in quella degli altri. Attraversiamo la cattedrale tra due ali di folla, formata da migliaia di napoletani di ogni ceto sociale, stipa- ti fino all’inverosimile dentro e fuori dalla chiesa, e dai tanti turisti. Vado a sedermi, assieme alla Deputazio- ne, sull’altare maggiore, proprio di fronte al cardinale. La liturgia pre- vede le preghiere, le parole di Gior- dano, di nuovo le preghiere ripetute dai fedeli e quindi l’ampolla viene presa, girata ed ecco il fazzoletto bianco che sventola e la gente in chie- sa commossa e plaudente. Mi giro e noto persone piangere, inginoc- chiarsi, donne del popolo e i miei no- bili deputati scambiarsi sguardi gioiosi. Fuori dalla chiesa si sparano i fuochi d’artificio e nel giro di pochi minuti, di voce in voce e di persona in persona, ancora prima dell’annun- cio nei telegiornali, tutta Napoli è in- formata del prodigio, dell’avvenuta liquefazione. Il cardinale tiene ben ferma l’ampolla, la mostra a tutti i settori della chiesa, me la offre e scoc- ca il mio primo bacio pubblico al san- gue di san Gennaro. Torno a casa molto più felice della sera delle ele- zioni. Allora la gioia, che avrei voluto condividere con mio padre che tanto aveva cercato di ostacolare la mia passione politica ma in quell’occa- sione sarebbe stato orgoglioso del fi- glio, si univa alla comprensibile preoccupazione di guidare una città difficile come Napoli. Adesso che tut- to è andato bene, e la tensione che avevo addosso si è sciolta, mi sento in più profonda sintonia con la città. In tutte le case napoletane si vive l’at- mosfera di una bella giornata. E nemmeno le critiche al mio gesto da parte di alcuni ambienti superlaici possono turbare un sentimento del genere. Ho un bel ricordo anche de- gli anni di allora: il nostro rapporto con la città è forte e in- timo, enorme è la no- stra forza politica. ... Resta comunque il fatto che il prodigio è importante per la cit- tà ed è uno dei mo- menti più significati- vi della devozione verso san Gennaro. Qualche anno dopo vivemmo un momento delica- to. Avevamo attraversato il cuore di Napoli, eravamo dentro Santa Chia- ra, le preghiere continuavano ma il sangue non si scioglieva. Erano ora- mai già trascorse diverse ore da quando erano stati prelevati dalla cappella il busto e l’ampolla. Ritor- nammo al duomo, con un po’ di di- spiacere e di tristezza. Nella cappella aspettava e resisteva, anche se era tardi, un gruppo di anziane. Non erano le “parenti” di san Gennaro (con questo termine si intendono persone che sostenevano di avere rapporti di discendenza con il san- to). Erano donne del popolo, di gran- de devozione e fedeltà: «San Gennà fance ’a grazia»; «Faccia gialla, fance ’a grazia.». “Faccia gialla”non è un’offesa. È il “soprannome” composto e affettuo- so, attribuito al santo e ricavato dall’inconfondibile colore del busto d’argento dorato. Si continuava a pregare nella cappella, anche grazie all’indomabile forza di chi si alterna- va e sostituiva alle “parenti” di san Gennaro. Il cardinal Giordano mi lanciò uno sguardogentile come per dire: «Bisogna prenderne atto, si scioglierà domani. » Gli risposi con uno sguardo altret- tanto cortese, attraverso il quale gli chiesi di restare ancora un po’. Al mio sguardo si aggiunse quello di Giulia Parente, assessore al centro storico, al turismo e, di fatto, ai rap- porti con la Curia, che aveva saputo mantenere egregia- mente, essendo molto religiosa e una vera si- gnora. Non c’è niente da fare: il sangue di san Gennaro rimane solido. Giordano è comprensibilmente stanco e mi lancia un ultimo sguardo col quale sembra dirmi: «Non essere testardo, non essere più reali- sta del re, più devoto di me!» Andiamo dietro la cappella, il delegato e il vicepresidente aprono la cassaforte per depositare l’am- polla. È nelle mani del cardinale che la volge verso me, come per farmela baciare: «Un attimo, ancora, per pia- cere.» Passano pochi secondi, quasi rassegnato sono ormai deciso a dare un bacio all’ampolla quando vedo una goccia, una prima goccia stac- carsi dal corpo solido che fino a quel momento non voleva sciogliersi. «Un attimo, un attimo!» È davvero un attimo, e tutti vediamo un’altra goccia che subito, unendosi ad altre, si trasforma in un piccolo rigagnolo e poi si allarga. Il cardinale sorride felice, tutti (i pochi che siamo lì die- tro) ci scambiamo un abbraccio e ba- ciamo l’ampolla. Rientriamo sull’al- tare della cappella, il cardinale mo- stra l’ampolla con il sangue liquefat- to, le indomite donne si alzano in pie- di stupite e poi s’inginocchiano con il viso tra le mani. In quel momento avrei potuto morire di gioia. Mi ren- do ben conto che il rapporto tra Na- poli (il suo popolo, le sue istituzioni) e san Gennaro è molto particolare e può a volte prestarsi, com’è avvenuto in alcuni ambienti di sinistra, so- prattutto quelli più elitari, a rifles- sioni e a considerazioni anche criti- che. Ma se non si comprende san Gennaro e il suo significato nell’am- bito cittadino, non si capisce neppu- re Napoli. Alessandro Dumas definì san Gennaro il vero Dio di Napoli e scrisse pagine di grande interesse, sottolineando il rapporto del santo con la città ... Sappiamo bene che nel corso della sua millenaria storia, Napoli è riu- scita a non farsi schiacciare dalle di- verse dominazioni straniere, so- prattutto a livello culturale. È una città che ha saputo mantenere la pro- pria identità, assimilando le altre culture. La verità è che, di questa identità, san Gennaro è parte costi- tutiva ed essenziale. La figura di san Gennaro non è soltanto religiosa ma anche politica, nel senso più nobile del termine, e civica. Il martire rap- presenta la città intera superando le divisioni tra fede e ragione laica. San Gennaro è un simbolo civico, è un santo civico, il santo più civico. È il sindaco dei santi. A questo ruolo tanto ri- levante contribui- scono anche il valore simbolico del sangue e i rituali strettamen- te collegati al sacrifi- cio di Cristo e dei san- ti martiri della Chie- sa. Simbolo di morte e di dolore quando è condensato nell’ampolla, il sangue, nel momen- to della liquefazione, si trasforma in segno di vita e di speranza. Il sangue oscuro e morto, secco, diventa infatti vivo e liquido come quello che san Gennaro ha versato nella Solfatara di Pozzuoli, nel lontano 19 settembre 305, e che continua a donare per il be- ne della sua Napoli. La Solfatara di Pozzuoli, il sangue di san Gennaro contenuto nell’ampolla della cappel- la e, infine, il Vesuvio con la sua lava sono legati tra loro. Proprio per im- plorare la fine di una delle più rovi- nose eruzioni del Vesuvio, nel di- cembre 1631 si svolse la prima pro- cessione penitenziale. Da più di un secolo e mezzo, il vulcano era rima- sto in apparenza fermo e dunque sia i napoletani sia gli abitanti dei paesi vesuviani non avevano un’esperien- za diretta della potenza distruttrice della lava. Quel dicembre, all’im- provviso, il magma bollente aggredì i paesi vesuviani, mentre rocce e ma- teriali vari erano scagliati fino a die- ci miglia di distanza. Il 16 dicembre si decise, sotto la forte pressione po- polare, l’esposizione delle reliquie di san Gennaro: il sangue era già lique- fatto, e ciò fu motivo di speranza e fi- ducia per tutta la popolazione. Dopo qualche giorno l’eruzione cominciò finalmente a spegnersi, senza aver provocato alcuna vittima in città. Ma la “competizione”tra il Vesuvio e san Gennaro continua nei decenni e nei secoli successivi, e le rispettive storie del santo e del vulcano si intrecciano in modo indissolubi- le. È comunque con quella terribile eru- zione del 1631 che prende inizio la straordinaria epoca dell’iconografia vesu- viana, con tutta la sua enorme influenza sulle arti e sull’archi- tettura: dalla pittura agli apparati festivi, dalla poesia all’agio- grafia, dall’indagine scientifica alla stam- pa. È una nuova rigo- gliosa fioritura arti- stica: la grande paura collettiva produce e sviluppa il desiderio di vivere e di esprimere vitalità nelle forme più varie e più libertarie. Il le- game e l’antinomia tra la morte e la vita conoscono nuove relazioni e connessioni. Come avviene per san Gennaro, anche con il Vesuvio Napo- li ha un rapporto tutto particolare. Senza il Vesuvio Napoli non sarebbe se stessa. Ti manca quando sei in un’altra città, come ha magistral- mente raccontato Raffaele La Ca- pria. Attrazione e timore, amico e ne- mico, la natura e l’uomo, la realtà e l’allegoria. Il Vesuvio è come un’identità fisica e perfino come una categoria dello spirito, alla quale si può appartenere non solo per nasci- ta ma per elezione. ... Il 19 settembre 2009 sono, come sempre, in duomo. Anche se l’emer- genza rifiuti non è al livello dramma- tico dell’anno precedente, la situa- zione rimane molto difficile. Da tem- po ho deciso di non ricandidarmi alla Regione per le elezioni della prima- vera successiva. Il limite è già stato superato e mi dico che il troppo stroppia. Sulla stampa locale e nazio- nale si parlava, comunque, di una mia possibile candidatura. Dopo aver fatto il sindaco con grande pas- sione e naturalezza, sono stato per due volte presidente della Regione. Anche se ho vissuto la prima legisla- tura con gusto per la novità, è co- munque stato diverso dall’esperien- za comunale. La Regione è una sorta di mediazione tra l’immediatezza della città e la generalità dello Stato. La seconda legisla- tura, in partico- lare, è stata portatrice negli ultimi anni di un’impensabile sofferenza, acuita dal dolore per il fuoco amico, che ha toccato livelli inimmaginabi- li. Il mio ex assessore Gino Anzalone mi ha raccontato di un medico avelli- nese che, nelle feste di Natale del 2007, si era recato a fare gli auguri a un’importante autorità istituziona- le e, quando a un certo punto il di- scorso era scivolato su di me, si era sentito fare un’alta profezia romana: «Antonio è un uomo morto.» Una sofferenza accompagnata poi dallo stupore per persone che avevano avuto un ruolo di primo piano per molti anni e ora si muovevano verso lidi tranquilli e sicuri restando silen- ti rispetto a tanti attacchi al proprio percorso istituzionale e alla propria dignità. Ma sulla stampa locale e na- zionale si parla ancora di una mia possibile candidatura. Ecco l’ampol- la con il sangue già liquefatto che Crescenzio Sepe, il nuovo cardinale, mi porge. Un bacio e poi, poco dopo, l’attraversamento del duomo per an- dare verso la Curia. Un gruppo di giornalisti mi ferma e mi chiede: «L’anno prossimo verrà?» «Penso di sì» rispondo. «In che veste?» incalza- no. «Di semplice cittadino.» Il giorno dopo il nordico Mattia Feltri, su «La Stampa », dimostra di aver ben colto la sacralità del luogo e la verità di quelle brevi parole. «Se lo ha detto da- vanti a san Gennaro, è così.» L’anno dopo eccomi come sempre in duomo ma da semplice cittadino. Potrei av- vicinarmi all’altare, grazie al proto- collo e al cordiale invito della Curia. Preferisco, invece, sedermi su una delle ultime panche. Una figura non solo religiosa ma anche politica Se non si capisce il rapporto con il santo non si capisce Napoli La copertina del libro L’attesa davanti all’ampolla del sangue «Il Vesuvio ti manca quando sei altrove» Segue dalla prima pagina splendore e nella sua bellezza, nella sua mise- ria e nella sua nobiltà, la città-mondo di cui gli chiede avidamente notizie Arafat. Antonio Bassolino ha scritto un romanzo, che è anche un libro di memorie e di incontri, di malattie e sofferenze, in cui si intrecciano passato e pre- sente, soprattutto i decenni più vicini e la par- te della sua vita a cui tiene di più: l’esperienza di sindaco di Napoli. “Le Dolomiti di Napoli” (editore Marsilio, pagine 206, euro 15), da oggi nelle librerie, mette quasi tra parentesi i dieci anni di presi- dente della Regione Campania. Ne parla all'i- nizio per ricordare la crisi dei rifiuti «che nei mesi a cavallo tra il 2007 e il 2008 precipita in modo grave». Lui già da tempo non ha più re- sponsabilità, ma «ogni distinzione è travolta. Era come se fossi sempre io il commissario. Anzi, ero commissario, presidente, sindaco di Napoli e di tutti i 551 comuni della Campania, presidente di tutte le province, e magari anche premier e intero governo nazionale. La vicen- da viene usata per colpirmi, nel centrosinistra perfino più che nel centrodestra». Con lui sindaco «per diversi anni Napoli era diventata una delle grandi città italiane più pulite» e «i molti turisti che venivano da tante parti del mondo restavano impressionati po- sitivamente proprio dalla pulizia, dall’antica bellezza nuovamente valorizzata, dal restau- ro di piazze e di monumenti, da un risveglio sociale oltre che culturale. La città aveva ritro- vato una sua identità e riconquistato un suo posto, giusto e meritato, nella considerazione nazionale e internazionale». Il libro ruota attorno a un'idea, che gli dà poi il titolo. Le Dolomiti sono sicuramente un ri- ferimento concreto di un'esperienza persona- le, perché Bassolino è uno scalatore da ferrate. Il racconto, denso e preciso da scrittore di razza, è appassionan- te quando si inerpica su montagne leggen- darie, compresa la ferrata di poco più di un mese fa sul Monte Zebrù dove poche set- timane prima aveva- no trovato la morte sei esperti alpinisti. Ma le Dolomiti assumono simbolicamente il va- lore del carattere del- l'uomo e del suo rapporto con la complessità di una città come Napoli. Perché la montagna è fatta di salite e discese e, quando si vuole o si può,di risalite. In un passaggio dedicato ai due gattini, che gli riempiono casa e vita, l'ex sindaco di Napoli dà la chiave di lettura del libro: «Ginger sale sugli alberi, mentre Fred si esibisce in salti spettacolari. Felici, rincorrono farfalle, inset- ti e lucertole. Dopo aver preso confidenza con un piccolo ulivo, Ginger sale su uno più gran- de e alto. È incredibile quanto sia agile: sem- bra un acrobata, quasi una piccola scimmia. Poi si accorge che scendere è molto più diffici- le che salire, come sappiamo tutti; soprattutto chi frequenta la montagna e raggiunge i luo- ghi più difficili e le cime più affascinanti dove sembra di toccare con il corpo l’infinito». Bassolino ha scalato le Dolomiti di Napoli, in anni di guida della città rischiarati da luci più che da ombre. Le inconfondibili radici po- polari della città si fusero con la riscoperta di una tradizione artistica e culturale di valore europeo. Si respirò una bella aria in quegli an- ni. Piazza Plebiscito si trasformò in un luogo centrale dell'arte mondiale, si impresse un'ac- celerazione alla realizzazione della metropoli- tana, che oggi è già, e nel giro di due anni lo sa- rà definitivamente, la più grande opera di tra- sporto urbano su ferro del nostro paese, e con- temporaneamente un museo con le più belle stazioni d'Europa. “La Salita” è anche l'episodio del film in cui Mario Martone gli fa scalare, nei panni di Toni Servillo, il Vesuvio ponendogli domande insi- diose sulla politica, l'ideologia e il governo del- la città. Poi la discesa, più difficile, come lui ammet- te, della salita, che avviene negli anni del go- verno regionale, soprattutto della seconda le- gislatura che, ammette, avrebbe fatto bene a evitare: «Anni difficili. La fase più drammati- ca della crisi dei rifiuti, purtroppo, cancella tutto... Giorgio Napolitano pronuncia da Ca- pri parole ingiuste, in quei giorni. Ingiuste come quelle sui “giorni tra i peggiori per Na- poli”, dette nel novembre 2006 in riferimento a gravi fatti di ordine pubblico». Ora questo libro, che racconta salita e disce- sa, e che forse prelude ad una risalita, ad un ri- torno. In mezzo ci sono pagine memorabili co- me quelle sul rapporto tra Napoli, San Genna- ro e il Vesuvio, sull'emorragia che lo portò ad un passo dalla morte, e poi vicende politiche tormentate, e tanto, tanto privato. Da questa miscela di vita scaturisce una conclusione che è insieme una confessione e una riflessione: «Per tanto tempo, per molti di noi la vita coin- cideva con la politica, con l’agire collettivo, con la voglia di cambiare il mondo. La dimen- sione politica resta importante ma non può es- sere l’unica e nemmeno dominante. Combat- tere le disuguaglianze, valorizzare la qualità del lavoro e fare avanzare le forze deboli della società restano grandi finalità da perseguire in modo moderno e con animo appassionato. Ma senza la pretesa di caricare sulle nostre spalle l’intero mondo e l’illusione di cambiare perfino la vita stessa delle persone nelle sue di- verse espressioni. Fuori dalla politica c’è tutto un mondo, c’è tanta vita, e forse cercare di cambiare la propria vita è anche un modo per mettere su basi più giuste un rapporto tra po- litica e vita. Tutto questo appare forse più chiaro, perfi- no più naturale se si guarda il mondo con gli occhi dei figli, di quei propri figli ai quali non sono stati dedicati tutta l’attenzione e tutto il tempo che avrebbero meritato. Se si impara a guardare il mondo con gli occhi dei bambini che preparano il futuro! Matteo Cosenza © RIPRODUZIONE RISERVATA Ritratto inedito di un politico tra famiglia fede, passioni e due gattini

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Mercoledì 16 ottobre 2013 43

Mercoledì 16 ottobre 2013 42

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Antonio Bassolino si racconta in “Le Dolomiti di Napoli”

La forza della salital’insidia della discesa

Il sindaco rosso di Napoli che

San Gennaro

Antonio Bassolinoallora sindacodi Napoli bacial’ampolla conil sanguedi San Gennaro chegli porge ilcardinale MicheleGiordanoA sinistraBassolino ai piedidi una montagna

Pubblichiamo in anteprimaun capitolo del libro

«VUOLE salire?» mi chiede un vigi-le. «Andiamo!»

È la festa dell’Immacolata del1993. Piazza del Gesù è stracolma esiamo appena uscitidalla Chiesa delGesù Nuovo, assieme al cardinaleMichele Giordano e a numerose altrepersone. Sono stato eletto sindacotregiorniprima, nonhoancoragiu-ratoma indossogià la fascia tricolo-re che durante il mio mandato ho cer-catodi metteresempree soltantopercause giuste e di interesse generale.È il mio primo impegno pubblico. Co-me prescrive la tradizione, il capo delcerimoniale mi consegna un grandefascio di fiori e mi avvio verso la scalamobile dei vigili delfuoco. Unodi lorode-ve prenderlo e por-tarlo lassù, sulla sta-tua della Madonna.Invece, come riflessodell’inedito e bellissi-mo clima che si vivein quei giorni e che sirespira dapprima inchiesa e più tardi in piazza, il vigiledel fuoco rompe la tradizione e conun grande sorriso mi chiede, nel mo-do più semplice e diretto: «Sindaco,vuole salire?» Sistemato il fascio difiori, cominciamo a salire. Pian pia-no, si apre la vista sui tetti, sulle stra-de e sui vicoli del centro antico dellacittà.

La piazzasi trasforma e,dal picco-lo ascensore scoperto (in realtà unascala con la stecca di protezione chearriva all’altezza delle gambe) osser-vo le persone divenire sempre piùpiccole come in un’antica fiaba. Rag-giunta la cima ho un leggero gira-mento di testa, frutto sicuramentedelle cento e talvolta anche più siga-

rette che fumo ognigiorno. Addirit-tura anche in chiesa,poco prima,hofumato, con la benevolenza e al tem-po stesso il rimprovero del parroco.Il vigile prende in mano il fascio deimiei fiori e sale sullo scalino per de-porlo sulla statua della Madonna.Chiudo gli occhi e li riapro sollecitatoda un interminabile applauso che sa-le dalla piazza. Guardo le migliaia dipiccole persone e volgo lo sguardoquanto più lontano possibile sullacittà. Rivivo questa scena ogni voltache raggiungo la cima di una monta-gna: sul Sass Rigais, stanco e indebo-lito dall’emorragia, e su altre monta-gne ecime quandole raggiungofeli-ce e accaldato.

«Buon lavoro, sindaco!»«Grazie, anche a voi!» Torno sul

palco accolto dal sor-riso compiaciuto diMichele e dalla gioio-sa condivisione dellapiazza: è come se l’in -tera città avesse por-tato i fiori alla Madon-na. Quella sera, a tar-da ora, l’ultimo servi-zio del Tg3 notte è de-

dicato ai fiori alla Madonna. RobertoMorrione, un bravo giornalista cat-tolico che purtroppo è scomparso inetà ancora giovane, dice: «Con que-ste immagini, che resteranno a lun-go nella nostra mente, del sindacorosso di Napoli che porta i fiori allaMadonna, chiudiamo questa edizio-ne del telegiornale.» Sono tornato al-tre volte in quella piazza e su quellascala. Ogni anno, sempre da sinda-co.Un annosono uscitoda solodallachiesacon ilgrande fasciodi fiori inmano, e sono salito sulla scala. ConMichele e con la polizia concordam-mo di fare così: era un momento dif-ficile e sembrò giusto, a tutti noi, nonesporre il cardinale a una piazza che,

porta i fiori alla Madonna

e i fedeliin quell’occasione, manifestava piùdel solito tensioni e problemi di varianatura. Per me, fin dalla prima volta,si è trattato di una scelta immediata espontanea, poi ripetuta negli annicon partecipazione emotiva e razio-nale.Lo considero, infatti, unomag-gio alla Madonna insieme a unomaggio alla città, a quella gran par-te del popolo napoletano che si rico-nosce nei riferimenti religiosi dellaChiesa e in particolare della Madon-na e di san Gennaro.

La prima ricorrenza di san Genna-roche hovissuto comesindaco, echericordo anchecome lapiù importan-te, è stata il 19 settembre 1994. Duemesi prima si era tenuto a Napoli ilG7 e tutti i capi di Stato e di governodei paesi più importanti del mondo,compreso per la prima volta Eltsin,avevano passeggiato per le stradedella città. Proprio nelle vicinanzedel duomo, Clinton aveva mangiatoquella pizza che poi andò in onda intutte le televisioni del pianeta. ConMitterrand camminammo per lestradine intorno a San DomenicoMaggiore e Spaccanapoli. Nacqueunbelrapporto, tantochenellasera-taalla ReggiadiCaserta, nonessen-doci potuti incontrare per l’interopomeriggio, mi fece un affettuosorimprovero: «Invece di portarmi a vi-sitare la città, mi hai lasciato da solocon tutti questi.»

“Tutti questi”erano gli altri capi diStato e di governo. In quel periodoogni iniziativa pubblica, ogni mani-festazione e ricorrenza,ogni appun-tamento religioso e civile coinvolgela gente molto più del solito. Mi sve-glio presto la mattina di quel 19 set-tembre, emi accorgo subitoche sonopreso da una tensione particolare,perfino da un’agitazione inconsue-ta. Ero più sereno nel pomeriggio delballottaggio conAlessandra Musso-

lini. Allora tutto dipendeva da me eda coloro che mi avevano sostenutoe, insomma, era giusto pensare chesi era fatto tutto quello che era uma-namente possibile fare. Ora, invece,non dipendesolo da mee dalmio im-pegno, entro in una diversa dimen-sione,inun ambitoquasiimprevedi-bile. L’unico contributo che posso da-re è riuscire asoffrire insieme. Esse-re in sintonia con ilgroviglio di sen-timenti che attraversa la città. Parte-cipare senza eccessivi controlli ra-zionali, lasciando scorrere in modolibero le emozioni che ti prendono echevivi come unfattopiù importan-te e persinopiùsignificativo di tantiavvenimenti politici. Esco di casa an-siosoegiungo alduomo inanticipo.Mi fermo a parlare con i venditoriambulanti, che sono lì dalle primeore del mattino, e con le delegazioni ei cittadini che comincianoad arriva-re. Indosso la fascia, entro induomoe scambio due parole con i membridella Deputazione di san Gennaro, dicui è presidente il sindaco di Napoli.

....Il cardinale prende l’ampolla e l’av -

vicina al mio viso eai miei occhi, conun ampiosorriso econ ladelicata di-screzione che si deve a un laico.Guardo l’ampolla: il sangue è denso esolido e, per la prima volta, le mie lab-bra la sfiorano con un bacio che ri-suona nella mia testa e in quella deglialtri. Attraversiamo la cattedrale tradue ali di folla, formata da migliaia dinapoletani di ogni ceto sociale, stipa-ti fino all’inverosimile dentro e fuoridalla chiesa, e dai tanti turisti. Vadoa sedermi, assieme alla Deputazio-ne, sull’altare maggiore, proprio difronte al cardinale. La liturgia pre-vede le preghiere, le parole di Gior-dano, dinuovo lepreghiere ripetutedai fedeli e quindi l’ampolla vienepresa, girata ed ecco il fazzoletto

bianco che sventola e la gente in chie-sa commossa e plaudente. Mi giro enoto persone piangere, inginoc-chiarsi, donnedel popolo e imiei no-bili deputati scambiarsi sguardigioiosi. Fuori dalla chiesa si sparanoi fuochi d’artificio e nel giro di pochiminuti, di voce in voce e di persona inpersona, ancora prima dell’annun -cionei telegiornali,tuttaNapoli èin-formata del prodigio, dell’avvenutaliquefazione. Il cardinale tiene benferma l’ampolla, la mostra a tutti isettori della chiesa, me la offre e scoc-cail mioprimo baciopubblico alsan-gue di san Gennaro. Torno a casamolto più felice della sera delle ele-zioni. Allora la gioia, che avrei volutocondividereconmio padrechetantoaveva cercato di ostacolare la miapassione politica ma in quell’occa -sione sarebbestato orgogliosodel fi-glio, si univa alla comprensibilepreoccupazionedi guidareunacittàdifficile come Napoli. Adesso che tut-to è andato bene, e la tensione cheavevo addosso si è sciolta, mi sento inpiù profondasintonia con lacittà. Intutte le case napoletane si vive l’at -mosfera di una bella giornata. Enemmeno le critiche al mio gesto daparte di alcuni ambienti superlaicipossono turbare un sentimento delgenere. Ho un bel ricordo anche de-gli anni di allora: il nostro rapportocon la città è forte e in-timo, enorme è la no-stra forza politica.

...Resta comunque il

fatto che il prodigio èimportante per la cit-tà ed è uno dei mo-menti piùsignificati-vi della devozioneverso san Gennaro. Qualche annodopo vivemmo un momento delica-to. Avevamo attraversato il cuore diNapoli, eravamo dentro Santa Chia-ra, le preghiere continuavano ma ilsanguenon siscioglieva. Eranoora-mai già trascorse diverse ore daquando erano stati prelevati dallacappella il busto e l’ampolla. Ritor-nammo al duomo, con un po’ di di-spiacere e di tristezza. Nella cappellaaspettava e resisteva, anche se eratardi, un gruppo di anziane. Nonerano le “parenti” di san Gennaro(con questo termine si intendonopersone che sostenevano di avererapporti di discendenza con il san-to).Eranodonne delpopolo,digran-

de devozione e fedeltà: «San Gennàfance ’a grazia»; «Faccia gialla, fance’a grazia.».

“Faccia gialla”non è un’offesa. È il“soprannome” composto e affettuo-so, attribuito al santo e ricavatodall’inconfondibile colore del bustod’argento dorato. Si continuava apregare nella cappella, anche grazieall’indomabileforza dichi sialterna-va e sostituiva alle “parenti” di sanGennaro. Il cardinal Giordano milanciò uno sguardogentile come perdire: «Bisogna prenderne atto, siscioglierà domani. »

Gli risposi con uno sguardo altret-tanto cortese, attraverso il quale glichiesi di restare ancora un po’. Almio sguardo si aggiunse quello diGiulia Parente, assessore al centrostorico, al turismo e, di fatto, ai rap-porti con la Curia, che aveva saputomantenere egregia-mente, essendo moltoreligiosa e una vera si-gnora. Non c’è nienteda fare: il sangue disan Gennaro rimanesolido. Giordano ècomprensibilmentestanco e mi lancia unultimo sguardo colquale sembra dirmi:«Non essere testardo,non essere più reali-sta del re, più devoto dime!»

Andiamo dietro lacappella, il delegato eil vicepresidenteaprono la cassaforteper depositare l’am -polla. È nelle mani del cardinale chela volge verso me, come per farmelabaciare: «Unattimo, ancora,per pia-cere.» Passano pochi secondi, quasirassegnatosono ormaideciso adareun bacio all’ampolla quando vedouna goccia, una prima goccia stac-carsi dal corpo solido che fino a quelmomento non voleva sciogliersi.«Un attimo, un attimo!» È davveroun attimo, e tutti vediamo un’altragoccia chesubito, unendosiad altre,si trasformain unpiccolorigagnoloe poi si allarga. Il cardinale sorridefelice, tutti (i pochi che siamo lì die-tro) ci scambiamo un abbraccio e ba-ciamo l’ampolla. Rientriamo sull’al -tare della cappella, il cardinale mo-stra l’ampolla con il sangue liquefat-to,le indomitedonne sialzano inpie-di stupite e poi s’inginocchiano con ilviso tra le mani. In quel momentoavrei potuto morire di gioia. Mi ren-do ben conto che il rapporto tra Na-poli (il suo popolo, le sue istituzioni) esan Gennaro è molto particolare epuò a volte prestarsi, com’è avvenutoin alcuni ambienti di sinistra, so-prattutto quelli più elitari, a rifles-sioni e a considerazioni anche criti-che. Ma se non si comprende sanGennaroe il suosignificatonell’am -bito cittadino, non si capisce neppu-reNapoli. AlessandroDumasdefinìsan Gennaro il vero Dio di Napoli escrisse pagine di grande interesse,sottolineando il rapporto del santocon la città

...Sappiamo bene chenel corso della

sua millenaria storia, Napoli è riu-scitaanon farsi schiacciaredalledi-verse dominazioni straniere, so-prattutto a livello culturale. È unacittà che ha saputo mantenere la pro-pria identità, assimilando le altreculture. La verità è che, di questaidentità, san Gennaro è parte costi-tutiva ed essenziale. La figura di sanGennaro non èsoltanto religiosa maanche politica, nel senso più nobiledel termine, e civica. Il martire rap-presenta lacittà interasuperando ledivisioni tra fede e ragione laica. SanGennaro è un simbolo civico, è unsanto civico, il santo più civico. È il

sindaco dei santi. Aquesto ruolotanto ri-levante contribui-scono anche il valoresimbolico delsangueei ritualistrettamen-te collegati al sacrifi-cio di Cristoe dei san-ti martiri della Chie-sa. Simbolo di morte e

di dolore quando è condensatonell’ampolla, il sangue, nel momen-todella liquefazione,si trasformainsegno divita edi speranza.Il sangueoscuro e morto, secco, diventa infattivivo e liquido come quello che sanGennaro ha versato nella Solfataradi Pozzuoli, nel lontano 19 settembre305, e che continua a donare per il be-ne della sua Napoli. La Solfatara diPozzuoli, il sangue di san Gennarocontenuto nell’ampolla dellacappel-lae, infine, ilVesuviocon lasua lavasono legati tra loro. Proprio per im-plorare la fine di una delle più rovi-nose eruzioni del Vesuvio, nel di-cembre 1631 si svolse la prima pro-cessione penitenziale. Da più di un

secolo e mezzo, il vulcano era rima-sto in apparenza fermo e dunque sia inapoletani sia gli abitanti dei paesivesuviani nonavevano un’esperien -za diretta della potenza distruttricedella lava. Quel dicembre, all’im -provviso,il magmabollenteaggredìi paesi vesuviani, mentrerocce e ma-teriali vari erano scagliati fino adie-ci miglia di distanza. Il 16 dicembresi decise, sotto la forte pressione po-polare, l’esposizionedelle reliquiedisan Gennaro: il sangue era già lique-fatto, e ciò fu motivo di speranza e fi-duciaper tutta la popolazione.Dopoqualche giorno l’eruzione cominciòfinalmente a spegnersi, senza averprovocato alcuna vittima in città. Mala “competizione”tra il Vesuvio e sanGennaro continua nei decenni e neisecoli successivi, e le rispettive storiedel santo e del vulcano si intrecciano

in modo indissolubi-le. È comunque conquella terribile eru-zione del 1631 cheprende inizio lastraordinaria epocadell’iconografia vesu-viana, con tutta la suaenorme influenzasulle arti e sull’archi -tettura: dalla pitturaagli apparati festivi,dalla poesia all’agio -grafia, dall’indaginescientifica alla stam-pa. È una nuova rigo-gliosa fioritura arti-stica: lagrande pauracollettiva produce esviluppa il desiderio

di vivere e di esprimere vitalità nelleforme più varie e più libertarie. Il le-game e l’antinomia tra la morte e lavita conoscono nuove relazioni econnessioni. Come avviene per sanGennaro, anche con il Vesuvio Napo-li ha un rapporto tutto particolare.Senza il Vesuvio Napoli non sarebbese stessa. Ti manca quando sei inun’altra città, come ha magistral-mente raccontato Raffaele La Ca-pria. Attrazione e timore, amico e ne-mico, la natura e l’uomo, la realtà el’allegoria. Il Vesuvio è comeun’identità fisica e perfino come unacategoria dello spirito, alla quale sipuò appartenere non solo per nasci-ta ma per elezione.

...Il 19 settembre 2009 sono, come

sempre, in duomo. Anche se l’emer -genza rifiuti non è al livello dramma-tico dell’anno precedente, la situa-zionerimane moltodifficile. Datem-po ho deciso di non ricandidarmi allaRegione per le elezioni della prima-vera successiva. Il limite è già statosuperato e mi dico che il troppostroppia. Sulla stampa locale e nazio-nale si parlava, comunque, di unamia possibile candidatura. Dopoaver fatto il sindacocon grande pas-sione e naturalezza, sono stato perdue volte presidente della Regione.Ancheseho vissutolaprimalegisla-tura con gusto per la novità, è co-munque stato diverso dall’esperien -za comunale. La Regioneè una sortadi mediazione tra l’immediatezzadella città e la generalitàdello Stato.La seconda legisla- tura, in partico-lare, è stata portatrice negli ultimianni di un’impensabile sofferenza,acuita dal dolore per il fuoco amico,che ha toccato livelli inimmaginabi-li. Ilmio exassessore GinoAnzalonemi ha raccontato di un medico avelli-nese che, nelle feste di Natale del2007, si era recato afare gli auguri aun’importante autorità istituziona-le e, quando a un certo punto il di-scorso era scivolato su di me, si erasentito fare un’alta profezia romana:«Antonio è un uomo morto.» Unasofferenza accompagnata poi dallostupore per persone che avevanoavuto un ruolo di primo piano permolti anni e ora si muovevano versolidi tranquilli e sicuri restando silen-ti rispetto a tanti attacchi al propriopercorso istituzionale e alla propriadignità.Masulla stampalocaleena-zionale si parla ancora di una miapossibile candidatura.Ecco l’ampol -la con il sangue già liquefatto cheCrescenzio Sepe, il nuovo cardinale,mi porge. Un bacio e poi, poco dopo,l’attraversamento del duomo per an-dare verso la Curia. Un gruppo digiornalisti mi ferma e mi chiede:«L’anno prossimo verrà?» «Penso disì» rispondo. «Inche veste?» incalza-no. «Di semplice cittadino.» Il giornodopo il nordico Mattia Feltri, su «LaStampa », dimostra di aver ben coltola sacralità del luogo e la verità diquelle brevi parole. «Se lo ha detto da-vanti a san Gennaro, è così.» L’annodopo eccomi come sempre in duomoma da semplice cittadino. Potrei av-vicinarmi all’altare, grazie al proto-collo e al cordiale invito della Curia.Preferisco, invece, sedermi su unadelle ultime panche.

Una figuranon solo religiosama anche politica

Se non si capisceil rapporto con il santonon si capisce Napoli

La copertina del libro

L’attesa davantiall’ampolla del sangue

«Il Vesuvio ti mancaquando sei altrove»

Segue dalla prima pagina

splendore e nella sua bellezza, nella sua mise-ria e nella sua nobiltà, la città-mondo di cui glichiede avidamente notizie Arafat. AntonioBassolino ha scritto un romanzo, che è ancheun libro di memorie e di incontri, di malattie esofferenze, in cui si intrecciano passato e pre-sente, soprattutto i decenni più vicini e la par-te della sua vita a cui tiene di più: l’esperienzadi sindaco di Napoli.

“Le Dolomiti di Napoli” (editore Marsilio,pagine 206, euro 15), da oggi nelle librerie,mette quasi tra parentesi i dieci anni di presi-dente della Regione Campania. Ne parla all'i-nizio per ricordare la crisi dei rifiuti «che neimesi a cavallo tra il 2007 e il 2008 precipita inmodo grave». Lui già da tempo non ha più re-sponsabilità, ma «ogni distinzione è travolta.Era come se fossi sempre io il commissario.Anzi, ero commissario, presidente, sindaco diNapoli edi tutti i 551 comunidella Campania,presidente di tutte le province, e magari anchepremier e intero governo nazionale. La vicen-da viene usata per colpirmi, nel centrosinistraperfino più che nel centrodestra».

Con lui sindaco «per diversi anni Napoli eradiventata una delle grandi città italiane piùpulite» e «i molti turisti che venivano da tanteparti del mondo restavano impressionati po-sitivamente proprio dalla pulizia, dall’anticabellezza nuovamente valorizzata, dal restau-ro di piazze e di monumenti, da un risvegliosociale oltre che culturale. La città aveva ritro-vato una sua identità e riconquistato un suoposto, giusto emeritato, nella considerazionenazionale e internazionale».

Il libro ruota attorno a un'idea, che gli dà poiil titolo. Le Dolomiti sono sicuramente un ri-ferimento concreto diun'esperienza persona-le, perché Bassolino è uno scalatore da ferrate.

Il racconto, denso epreciso da scrittore dirazza, è appassionan-te quando si inerpicasu montagne leggen-darie, compresa laferrata di poco più diun mese fa sul MonteZebrù dove poche set-timane prima aveva-no trovato la morte seiesperti alpinisti. Male Dolomiti assumonosimbolicamente il va-lore del carattere del-

l'uomo e del suo rapporto con la complessità diuna città come Napoli. Perché la montagna èfatta di salite e discese e, quando si vuole o sipuò,di risalite.

Inun passaggiodedicatoaidue gattini, chegli riempiono casa e vita, l'ex sindaco di Napolidà la chiave di lettura del libro: «Ginger salesugli alberi, mentre Fred si esibisce in saltispettacolari. Felici, rincorrono farfalle, inset-ti e lucertole. Dopo aver preso confidenza conun piccolo ulivo, Ginger sale su uno più gran-de e alto. È incredibile quanto sia agile: sem-bra un acrobata, quasi una piccola scimmia.Poi si accorgechescendereè moltopiùdiffici-le che salire, come sappiamo tutti; soprattuttochi frequenta la montagna e raggiunge i luo-ghi più difficili e le cime più affascinanti dovesembra di toccare con il corpo l’infinito».

Bassolino ha scalato le Dolomiti di Napoli,in anni di guida della città rischiarati da lucipiù che da ombre. Le inconfondibili radici po-polari della città si fusero con la riscoperta diuna tradizione artistica e culturale di valoreeuropeo. Si respirò una bella aria in quegli an-ni. Piazza Plebiscito si trasformò in un luogocentrale dell'arte mondiale, si impresse un'ac-celerazione alla realizzazione della metropoli-tana, che oggi è già, e nel giro di due anni lo sa-rà definitivamente, la più grande opera di tra-sporto urbano su ferro del nostro paese, e con-temporaneamente un museo con le più bellestazioni d'Europa.

“La Salita” è anche l'episodio del film in cuiMario Martone gli fa scalare, nei panni di ToniServillo, ilVesuvio ponendoglidomande insi-diose sulla politica, l'ideologia e il governo del-

la città.Poi la discesa, piùdifficile, come lui ammet-

te, della salita, che avviene negli anni del go-verno regionale, soprattutto della seconda le-gislatura che, ammette, avrebbe fatto bene aevitare: «Anni difficili. La fase più drammati-ca della crisi dei rifiuti, purtroppo, cancellatutto... Giorgio Napolitano pronuncia da Ca-pri parole ingiuste, in quei giorni. Ingiustecome quelle sui “giorni tra i peggiori per Na-poli”, dette nel novembre 2006 in riferimentoa gravi fatti di ordine pubblico».

Ora questo libro, che racconta salita e disce-sa, e che forse prelude ad una risalita, ad un ri-torno. In mezzo ci sono pagine memorabili co-me quelle sul rapporto tra Napoli, San Genna-ro e il Vesuvio, sull'emorragia che lo portò adun passo dalla morte, e poi vicende politichetormentate, e tanto, tanto privato. Da questamiscela di vita scaturisce una conclusione cheè insieme una confessione e una riflessione:«Per tanto tempo, per molti di noi la vita coin-cideva con la politica, con l’agire collettivo,con la voglia di cambiare il mondo. La dimen-sione politica resta importante ma non può es-sere l’unica e nemmeno dominante. Combat-tere le disuguaglianze, valorizzare la qualitàdel lavoro e fare avanzare le forze deboli dellasocietà restano grandi finalità da perseguirein modo moderno e con animo appassionato.Ma senza la pretesa di caricare sulle nostrespalle l’intero mondo e l’illusione di cambiareperfino la vita stessa delle persone nelle sue di-verse espressioni. Fuori dalla politica c’è tuttoun mondo, c’è tanta vita, e forse cercare dicambiare la propria vita è anche un modo permettere su basi più giuste un rapporto tra po-litica e vita.

Tutto questo appare forse più chiaro, perfi-no più naturale se si guarda il mondo con gliocchi dei figli, di quei propri figli ai quali nonsono stati dedicati tutta l’attenzione e tutto iltempo che avrebbero meritato. Se si impara aguardare il mondo con gli occhi dei bambiniche preparano il futuro!

Matteo Cosenza© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ritratto ineditodi un politicotra famigliafede, passionie due gattini