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  Laurea spec ialistica - Corso d i Laurea in Ing egneria Civ ile – IDRAULICA II - prof. Vittorio Bovolin  Appunti integr ativi sull’analisi d imensionale  Dicembre 20 03 - Ver. 1.1  Redatto da Vittorio Bovolin 1   ANALISI DIMENSIONALE  1. - Introduzione Durante il secolo scorso sono state proposte diverse formule esprimenti la legge del moto uniforme, tutte a base sostanzialmente empirica; alcune di queste trovano ancora largo uso nella pratica applicazione. Col passare degli anni la ricerca di tali formule empiriche, e cioè in definitiva l’interpretazione dei risultati sperimentali, venne gradatamente facilitata ed indirizzata su una via razionale dall’introduzione dei concetti dell’analisi dimensionale, dovuti principalmente all’inglese Osborne Reynolds. Nella meccanica dei fluidi è possibile adottare degli accorgimenti per esprimere una variabile dimensionalmente dipendente in funzione di un opportuno set di variabili dimensionalmente indipendenti. Ad esempio, la velocità, in termini dimensionali, è fornita dalla seguente relazione: [ ] v LT  1 . Per ottenere la più semplice rappresentazione dimensionale del prodotto di diverse quantità è necessario, semplicemente, eseguire operazioni algebriche ordinarie sui termini dimensionali che appaiono nella rappresentazione delle grandezze. Il prodotto di una velocità per un tempo, dimensionalmente è esprimibile come: [ ]  [ ] vt LT T L 1 ; ciò sta’ ad indicare che il suddetto prodotto, dimensionalmente, non è altro che una distanza. Se un gruppo di quantità ha una rappresentazione dimensionale il cui prodotto è pari all’unità è definito gruppo adimensionale. Un esempio è dato dal prodotto  ρ µ VD  infatti:  ρ µ VD  M  L  L T  L  M LT 3 1  /  (1.1)  A molti prodotti adimensionali, anche definiti “numeri indice” , più o meno simili al precedente che rappresenta il ben noto numero di Reynolds, sono stati assegnati dei nomi: 1. Numero di Reynolds,  R / e =  ρ µ VD  (1.2.a) 2. Numero di Froude,  F V Lg r  = 2  /  (1.2.b) 3. Numero di Mach, V c =  /  (1.2.c) 4. Numero di Weber, W V L = ρ σ 2  /  (1.2.d) 5. Numero di Eulero,  E p V ul  =  ∆  /  ρ 2  (1.2.e) Nei quali  p rappresenta le variazioni di pressione, L una lunghezza, µ  la viscosità, σ  la tensione superficiale, c la velocità del suono,  g  l’accelerazione di gravità,  ρ  la densità e V  una velocità. E’ noto dalla meccanica che le equazioni derivate sono analiticamente corrette se ogni termine dell’equazione e conseguentemente ogni gruppo di variabili ha la stessa rappresentazione dimensionale. Questa è la legge di omogeneità dimensionale , e la si adotta, ad esempio, per stabilire le dimensioni di grandezze come la viscosità.

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 Appunti integrativi sull’analisi dimensionale

 Dicembre 2003 - Ver. 1.1

 Redatto da Vittorio Bovolin1

 

 ANALISI DIMENSIONALE  

1. - Introduzione Durante il secolo scorso sono state proposte diverse formule esprimenti la legge

del moto uniforme, tutte a base sostanzialmente empirica; alcune di queste trovano

ancora largo uso nella pratica applicazione. Col passare degli anni la ricerca di tali

formule empiriche, e cioè in definitiva l’interpretazione dei risultati sperimentali,

venne gradatamente facilitata ed indirizzata su una via razionale dall’introduzione

dei concetti dell’analisi dimensionale, dovuti principalmente all’inglese Osborne

Reynolds.

Nella meccanica dei fluidi è possibile adottare degli accorgimenti per esprimere

una variabile dimensionalmente dipendente in funzione di un opportuno set di

variabili dimensionalmente indipendenti. Ad esempio, la velocità, in termini

dimensionali, è fornita dalla seguente relazione: [ ]v LT ≡ −1 .

Per ottenere la più semplice rappresentazione dimensionale del prodotto di

diverse quantità è necessario, semplicemente, eseguire operazioni algebriche

ordinarie sui termini dimensionali che appaiono nella rappresentazione delle

grandezze. Il prodotto di una velocità per un tempo, dimensionalmente è esprimibile

come: [ ] [ ]vt LT T L≡ ≡−1; ciò sta’ ad indicare che il suddetto prodotto,

dimensionalmente, non è altro che una distanza.

Se un gruppo di quantità ha una rappresentazione dimensionale il cui prodotto

è pari all’unità è definito gruppo adimensionale. Un esempio è dato dal prodotto ρ 

µ 

VD 

infatti:

 ρ 

µ 

VDM 

 L

 L

T  L

M LT ≡ ≡

3

1 / 

(1.1)

  A molti prodotti adimensionali, anche definiti “numeri indice” , più o meno

simili al precedente che rappresenta il ben noto numero di Reynolds, sono stati

assegnati dei nomi:

1. Numero di Reynolds,  R / e = ρ µ VD (1.2.a)

2. Numero di Froude,  F V Lg  r  = 2 /  (1.2.b)3. Numero di Mach, V c=  /  (1.2.c)

4. Numero di Weber, W V L= ρ σ 2  /  (1.2.d)

5. Numero di Eulero,  E p V  ul  = ∆  / ρ  2(1.2.e)

Nei quali ∆ p rappresenta le variazioni di pressione, L una lunghezza, µ  la

viscosità, σ  la tensione superficiale, c la velocità del suono,  g  l’accelerazione di

gravità,  ρ la densità e V una velocità.

E’ noto dalla meccanica che le equazioni derivate sono analiticamente corrette

se ogni termine dell’equazione e conseguentemente ogni gruppo di variabili ha la

stessa rappresentazione dimensionale. Questa è la legge di omogeneità dimensionale,e la si adotta, ad esempio, per stabilire le dimensioni di grandezze come la viscosità.

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Una relazione dimensionalmente omogenea esprime, nel campo idraulico di

nostro interesse, un qualsivoglia fenomeno fisico quali ad esempio leggi d’efflusso,

resistenza di forma, moto laminare, turbolento, ecc...

Una relazione dimensionalmente omogenea può contenere dei coefficienti chenon sempre sono numeri puri, si considerino ad esempio i due casi seguenti:

•  Efflusso da una luce a battente, e sua espressione dimensionale:

Q mA gh= 2  

(1.3)

[ ] [ ][ ] [ ] L T m L L T L m L T  3 1 2 1 2 1 1 2 3 1− − −≡ ≡ / /  

(1.4)

da cui si evince che il coefficiente m è adimensionale.

• 

Legge di moto uniforme (Gaukler-Strickler):v kR i= 2 3 1 2 / / 

 (1.5)

[ ] [ ] LT k L− ≡1 2 3 /  

(1.6)

il che implica necessariamente che k ha le dimensioni [ ] L T 1 3 1 /  − 

Un ulteriore importante applicazione di tale legge si riscontra allorquando le

variabili che compaiono in un fenomeno fisico sono note, mentre le relazioni tra le

stesse possono essere incognite.

  Attraverso la procedura basata sull’analisi dimensionale, il fenomeno puòessere riformulato come una relazione tra un set di gruppi adimensionali di variabili

in modo tale da poter esprimere una relazione sempre incognita in funzione di altre

note.

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2. - Teorema π di Buckingham

In virtù di tale teorema è possibile trasformare una relazione incognita tra n 

variabili α, β, γ, δ, ... di un fenomeno in una relazione sempre incognita tra un

numero “n-r” di parametri adimensionali indipendenti:

( ) ( ) f n F   r α β γ δ π π π π   , , , ,..., , , ,..., ,= ⇒0 1 2 3 (2.1)

che possono essere formati mediante le n grandezze fisiche α, β, γ, δ, ...

considerate.

Il vantaggio consiste semplicemente nel ridurre il numero di sperimentazioni

diminuendo notevolmente l’onere di tempo delle prove empiriche.

Questo teorema, enunciato per la prima volta da Vosky nel 1890, è stato

formulato in modo rigoroso da Buckingham nel 1915.

Si voglia determinare la forza di trascinamento (nella letteratura anglosassone

“drag force”), o dualmente la resistenza che si oppone al moto, F  di una sfera didiametro D che si muove con una velocità V all’interno di un fluido viscoso. Le altre

variabili che compaiono sono  ρ  e µ , rispettivamente la densità e la viscosità. La forza

di trascinamento f può essere espressa come funzione incognita di queste grandezze,

e precisamente come:

( ) F f D V  =  , , , ρ µ  (2.2)

Si applichi l’analisi dimensionale prima di un qualsiasi programma

sperimentale.

( ) F f D V D V  a b c d  = = , , ,  ρ µ ρ µ   (2.3)

dimensionalmente la relazione può essere espressa come:

[ ] [ ][ ][ ][ ]MLT L L T M L ML T  a b b c c d d  − − − − −≡2 3(2.4)

Risolvendo ora il sistema imponendo l’uguaglianza tra le dimensioni di base,

quali sono state scelte M, L, T :

11 3

2

= += + − −

− = − −

c d a b c d  

b d 

(2.5)

da cui si ottiene:

c d 

b d 

a d 

= −

= −

= −

1

2

2

(2.6)

e quindi in definitiva la forza di trascinamento è esprimibile come:

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 F D V cioè F D V  VD

d d d d  

= = 

 

 − − −2 2 1 2 2  ρ µ ρ  

µ 

 ρ (2.7)

Il processo di trascinamento può essere simulato come una relazione funzionaletra due soli gruppi adimensionali. Il primo è definito π1 (da non confondere col

numero matematico 3.1416...) ed il secondo π2 , per cui:

 F 

V D g 

VD

 ρ 

 ρ 

µ 2 2 = 

 

  (2.8)

Si può facilmente verificare che entrambi i parametri (gruppi adimensionali,

numeri indice od anche π 1 e π 2 ) sono adimensionali. La natura della funzione  g ,

comunque, non è nota. Con l’ausilio di prove sperimentali può essere determinata la

relazione di π . Si supponga che la nostra forza di drag F sia dettata dalle condizioni

V a, Da,  ρ a, µ a. Il gruppo adimensionale ( π 2  )a può immediatamente essere valutato

come  ρ a V a Da / µ a. Corrispondentemente a questo valore di ( π 2  )a, il valore di ( π 1 )a 

viene ricavato dalla curva sperimentale e susseguentemente viene computata F a 

come ( ) ( ) ρ π a a a aV D2 2

1⋅ .

Se non si fosse applicata l’analisi dimensionale e si fosse voluto esprimere F in

funzione di  D, si sarebbero dovuti effettuare tanti esperimenti per quanti valori

diversi della velocità V si desiderava studiare il fenomeno, avendo fissato a monte le

caratteristiche fluidodinamiche  ρ , µ .

In definitiva per un simile approccio si devono adottare sfere di diverso

diametro e fluidi con differenti viscosità e densità per valutare la forza resistente

nelle differenti condizioni cinematiche.  Applicando l’analisi dimensionale, invece, il fenomeno viene simulato da una

relazione funzionale tra due soli gruppi adimensionali.

In accordo col teorema π di Buckingham, il numero di gruppi dimensionalmente

indipendenti non deve essere impiegato per descrivere un fenomeno noto nel quale

compaiono “n” variabili bensì, al massimo “n-r”, dove “r” è generalmente il numero di

variabili indipendenti necessario ad esprimere dimensionalmente le altre.

Nel precedente esempio le variabili erano F, V, D,  ρ , e µ  il che equivale ad avere

un “n”  pari a 5. Nell’esprimere dimensionalmente queste quantità devono essere

adottate tre dimensioni base M, L, T  (sistema internazionale), o F, L, T  (sistematecnico) così che “n-r”  sia pari a 2. E’ chiaro che i gruppi adimensionali sono

indipendenti, non correlabili l’un l’altro da operazioni algebriche, poiché F  appare

solo nel primo gruppo mentre µ appare solo nel secondo.

Il teorema precedente postula che non possono esistere gruppi addizionali

adimensionali indipendenti. Quindi, ogni altro gruppo adimensionale può essere

espresso come combinazione lineare dei due precedentemente ricavati F 

V D ρ  2 2 e

 ρ 

µ 

VD.

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  Ad esempio, F 

VDµ è un gruppo adimensionale scaturito dal prodotto dei due

precedenti ed indipendenti gruppi adimensionali.

La valutazione di “r” del teorema di Buckingham come numero di dimensioni

base necessario ad esprimere dimensionalmente le variabili non sempre è corretto,infatti, nell’analisi degli sforzi possono sorgere problemi nell’esprimere le forze

motrici e/o resistenti perché le dimensioni basilari possono essere solo due se il

sistema di riferimento è quello tecnico (F, L) oppure tre se il sistema è internazionale

(M, L, T).

Le variabili α ,  β , γ , ecc.., sono riportate lungo l’asse orizzontale e le dimensioni

basilari, M, L, T, ecc.., sull’asse verticale. Sotto ogni variabile è riportata una colonna

di valori numerici che rappresentano gli esponenti della dimensione base di una

particolare variabile.

α    β   γ   δ  (2.9)

M  1 0 3 0

L -1 -2 1 2

T  2 1 1 1

Nella precedente relazione la variabile α  deve avere le dimensioni [ ]MT L2 1−,

mentre la variabile [ ] β  ≡ −TL 2. La successione di numeri così formata è definita

matrice dimensionale del processo ed è rappresentata come:

1 0 3 0

1 2 1 2

2 1 1 1

− −

 

 

 

 

(2.10)

La matrice (2.4) può essere resa quadrata semplicemente aggiungendo una riga

di zeri, ovviamente il determinante risulterebbe identicamente nullo. La domanda è

qual è la dimensione del più piccolo sottogruppo per cui il determinante è diverso non

nullo? Ci si chiede ciò perché il numero di righe e/o di colonne di questo determinante

definiscono il rango della matrice originale. Per esempio usando le prime tre righe ecolonne si ottiene:

1 0 3

1 2 1

2 1 1

6 − − = (2.10)

il che equivale ad affermare che il rango massimo della matrice originale è pari

a 3.

  Il corretto valore di “r” nel teorema di Buckingham può ora esseredefinito come il rango della matrice dimensionale. 

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3. - I modelli 

  Accade spesso, nel campo dell'ingegneria idraulica, che i fenomeni che si

accompagnano alle opere da progettare non siano facilmente rappresentabili

mediante una rigorosa schematizzazione matematica. Con ipotesi di base

semplificate è possibile esaminarli con schemi analitici facilmente risolubili i cui

risultati, però, devono poi essere attentamente valutati; in questi casi, inoltre, il

progettista può avvalersi sia della propria esperienza che dell'analisi di opere simili

già realizzate, tenendo comunque presente che ogni opera ha una propria

individualità in relazione a specifici vincoli progettuali.

In definitiva, nei casi in cui la teoria non riesce a fornire un adeguato e

completo supporto, si può ricorrere ad indagini di tipo sperimentale che, mediante

l'osservazione diretta del fenomeno, permettono la verifica delle ipotesi poste a base

della progettazione; esse offrono inoltre utili informazioni sulla rispondenza, al caso

in esame, delle esperienze e delle formule cui ha fatto riferimento il progettista.

Nella pratica tecnica è pertanto invalso l'uso dei modelli fisici per l'osservazione

del fenomeno da studiare su di una riproduzione in scala ridotta.

Lo studio sperimentale su modello può dimostrare la funzionalità dell'opera; o,

altrimenti, deve ricercare le modifiche da apportare per una migliore rispondenza

della stessa ai fini preposti.

Ove le modifiche dovessero risultare sostanziali se ne desume che il

proporzionamento si è basato su di una schematizzazione iniziale del fenomeno

troppo approssimata e si può addirittura pervenire a soluzioni alternative.

Bisogna però tener presente alcune limitazioni nell'utilizzazione di tale tipo di

approccio sperimentale. Infatti, come si vedrà, nella riduzione in scala dell'opera

originaria, non è possibile riprodurre nella sua globalità il fenomeno idraulico in

studio; addirittura esistono alcune grandezze, come ad esempio la granulometria

dell'alveo di un fiume o la scabrezza di una tubazione, che non possono essere

correttamente riportate in scala.

I risultati ottenuti dall'indagine su modello possono quindi dare indicazioni

quantitative delle grandezze fisiche in gioco; ma è in genere diverso, da caso a caso, ilgrado di approssimazione. I risultati sono tanto più aderenti alla realtà quanto più

completa è stata la possibilità di riprodurre il fenomeno fisico in tutti i suoi aspetti.

Si vuole, infine, evidenziare la modesta spesa, in rapporto al costo complessivo

dell'opera da realizzare, occorrente per l'esecuzione delle prove sperimentali; essa,

poi, sarà ampiamente ripagata dalle economie che si ottengono in seguito al migliore

funzionamento degli impianti.

Il concetto di modello è originariamente connesso a quello di similitudine; in

una progressiva estensione del concetto di similitudine geometrica, si definisce la

similitudine cinematica prima, la similitudine dinamica poi ed infine la similitudinemeccanica.

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Il concetto di modello può essere generalizzato. Di talché si dice che un

fenomeno fisico (elettrico, meccanico, idraulico,...) costituisce un modello di un altro

fenomeno fisico quando esiste una corrispondenza biunivoca tra punti del modello ed

i punti del sistema idraulico che si vuole studiare (originale), e tra i tempi del

modello ed i tempi nel sistema originale; corrispondenza che consente, noto il valoredi una   grandezza qualsiasi in un punto ed in un istante del modello (noto perché

misurato), di determinare attraverso una semplice relazione di proporzionalità, il

valore che assume nell’originale la grandezza corrispondente.

La “similitudine geometrica”  tra due figure od oggetti comporta l’uguaglianza

nella forma, cioè l’uguaglianza degli angoli corrispondenti dei due oggetti (per

definizione omologhi), un rapporto costante tra aree di superfici corrispondenti, un

rapporto costante tra volumi corrispondenti.

Il più piccolo tra i due oggetti può essere indicato come “modello” dell’altro, più

grande, che si definisce convenzionalmente “prototipo” .

Il rapporto tra una grandezza misurata sul prototipo e l’omologa misurata sul

modello si chiama “Scala” e viene generalmente indicata con la lettera “M” ; quindi,una scala per le lunghezze sarà:

M l 

l l 

 p

m

= ≥ 1 (3.1)

dove l p ed lm sono lunghezze omologhe. La scala dei tempi risulta essere:

M t 

t t 

 p

m

= (3.2)

dove t p ed tm sono i tempi impiegati a percorrere distanze omologhe. La scala

delle velocità risulta essere:

M v

v

M v

 p

m

 p

m

m

 p

= = = (3.3)

dove v p ed vm sono le velocità di punti omologhi.

Tra il prototipo ed il suo modello esiste una similitudine geometrica quando si

può stabilire una corrispondenza tra i punti dell’uno e dell’altro in modo tale che le

distanze tra i punti omologhi vengono ridotte nella stessa scala per tutti e tre gli assi

del sistema di riferimento ed in modo che gli angoli corrispondenti si mantenganouguali.

E’ possibile realizzare un modello in cui le dimensioni del prototipo vengono

riportate in scale differenti relativamente ad ogni asse (modello distorto):

M l 

l M 

l M 

l lx

 px

mx

ly

 py

my

lz 

 pz 

mz 

= = = (3.4)

In tale ipotesi è possibile ricavare le scale delle velocità Mvx, Mvy, Mvz, e quella

delle accelerazioni M ax , M ay, M az. 

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Si parla poi di “similitudine cinematica”  tra due campi di moto se, in punti e

tempi corrispondenti, esiste una proporzionalità “costante”  tra le grandezze

cinematiche.

Se si verifica cioè che in tutti i punti omologhi:

M t M t M t  

M t M t M t  

vx vy vz  

ax ay az  

= = =

= = =

cos cos cos

cos cos cos

1 2 3

4 5 6 (3.5)

tra modello e prototipo esiste una similitudine cinematica.

Se poi, tra modello e prototipo, esiste anche una similitudine geometrica, le

costanti per la similitudine cinematica si riducono a due:

M M M M 

M t 

M M M M 

M t 

vx vy vz  

ax ay az  

= = = =

= = = =

cos

cos

2 8 

(3.6)

Si considerino ora le forze P in punti omologhi di modello e prototipo, le masse

m e le accelerazioni a con le loro componenti che generalmente si possono scrivere

come:

 P 

 P M 

a

a

m

m

M M 

 pi

mi

 pi

 pi

mi

 pi

mi

li

m= = =2

 

(3.7)

Quando nei punti omologhi si verifica che:

M d M d M d   px py pz  = = =1 2 3  

(3.8)

con d1, d2 , d3  costanti, tra prototipo e modello esiste una similitudine

“dinamica” .

Si parla, infine, di “similitudine meccanica”  quando esiste non solo la

similitudine geometrica, si ha cioè una sola e costante scala delle lunghezze per i treassi, e quella cinematica, cioè le scale delle velocità ed accelerazioni sono costanti

lungo i tre assi di riferimento x, y, z, ma anche la similitudine dinamica per la quale

sono costanti le scale delle forze, pressioni, densità, lavoro, potenze lungo x, y, z.

Nel caso di modelli distorti esiste la similitudine dinamica e quindi la

cinematica, non esiste la similitudine geometrica né quella meccanica.

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4. - Similitudine totale e parziale 

Quando si approccia all’analisi di un fenomeno fisico è importante seguire una

linea guida che consta essenzialmente di tre punti cardine:

1) Individuazione delle grandezze che intervengono nel fenomeno.

2) Identificazione dei numeri indice.

3) Verifica della probabilità di ottenere una similitudine totale o parziale.

Si procede, innanzi tutto, alla definizione geometrica del sistema sede del

fenomeno in esame.

Nel caso di figure semplici (sfere, cubi, sezioni circolari o quadrate, ecc.) ciò può

ottenersi fissando una dimensione caratteristica l. Se si è, invece, in presenza di

figure più complesse occorre, poi, determinare i rapporti delle altre dimensioni

caratteristiche rispetto ad l. Infine si devono aggiungere tutti gli angoli che

completano l’individuazione geometrica del sistema.

In definitiva, per la caratterizzazione geometrica, ci si deve riferire ad una

dimensione caratteristica l ed ad un insieme di rapporti numerici ed angoli.

Mediante una dimensione lineare si potrebbe individuare la scabrezza delle

pareti del sistema, nei casi in cui ciò si rende necessario; in ogni caso, in questa

sede, ci si limita ad indicarla con s.

In secondo luogo viene definito il fluido, attraverso le sue caratteristiche fisiche:

−  la densità  ρ ;

−  la viscosità µ ;

−  la compressibilità ε ;

−  la tensione superficiale σ .

Occorre, poi, fissare l'assetto cinematico col quale si presenta il fenomeno;

esso può ottenersi:

−  nei regimi permanenti, mediante una velocità V  (che può essere, adesempio, una velocità media di sezione, una velocità di efflusso, ecc. );

−  nei regimi non permanenti, mediante una velocità V ed un'accelerazione a 

(nella presente esposizione ci si riferirà al caso particolare, ma più frequente, dei

moti stazionari).

Tra tutte le forze che caratterizzano il fenomeno si riportano dapprima quelle

che sono strettamente dipendenti dalle caratteristiche fisiche del fluido.

Legata alla viscosità µ , che misura la proprietà del fluido a trasmettere forze

tangenziali, è la forza viscosa F v. Se si considerano due strati fluidi a distanza ∆n ed

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aventi rispettivamente velocità V e V+ ∆V , per una superficie S tale forza, che tende

ad accelerare lo strato più lento ed a ritardare quello più veloce, vale:

 F S V 

nv = µ ∆∆ (4.1)

Legata alla compressibilità ε , che misura la proprietà di un fluido a modificare

il proprio volume sotto una variazione di pressione, è la forza elastica:

 F S e = ε  (4.2)

dove S è la superficie di un corpo che, per effetto del suo moto all'interno del

fluido, è soggetto a tale tipo di azione.

La compressibilità (o, più precisamente, il modulo di elasticità a compressione

cubica) vale:

ε  = −∆

 p

W W /(4.3)

dove W  e ∆W  sono, rispettivamente, il volume iniziale del fluido e la sua

variazione sotto l'incremento di pressione ∆ p esercitato su tutta la sua superficie.

I liquidi, per i quali gli incrementi di volume ∆W sono sempre di piccolissima

entità, possono quasi sempre considerarsi incompressibili.

Per i gas, che sono sempre comprimibili, si perviene alla relazione:

ε ρ = c2(4.4)

dove c, velocità di propagazione di una perturbazione, è pari alla velocità del

suono in quel mezzo.

Legata alla tensione superficiale σ è la forza di tensione:

 F l t  = σ  (4.5)

essa deriva da forze attrattive di natura molecolare che pongono in uno stato di

tensione la parte di superficie, di contorno l, di un liquido a contatto con un fluido;

tale forza non assume quasi mai effetti rilevanti nei processi idraulici di più

frequente interesse.

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 Appunti integrativi sull’analisi dimensionale

 Dicembre 2003 - Ver. 1.1

 Redatto da Vittorio Bovolin11

Legate alla densità  ρ  sono le forze di massa esterne le quali, nell'ambito dei

fenomeni idraulici che in genere si esaminano(*) , si riducono alla sola forza dovuta

al campo gravitazionale, che dipende dall'accelerazione di gravità g :

 F mg Wg   g  = = ρ  (4.6)

Con F  p si indica, da ultimo, la risultante delle azioni dovute dalle pressioni al

contorno.

L’insieme costituito da tutte le forze sopra descritte (viscosa, elastica, di

tensione, gravitazionale, al contorno), in generale agenti su di una particella

elementare del sistema in esame, deve soddisfare la seconda legge di Newton e,

quindi, essere in equilibrio con la forza di inerzia:

 F ma Wai = − = − ρ  (4.7)

La definizione del fenomeno in esame, dal punto di vista meccanico, potrebbe

quindi ottenersi individuando i gruppi di forze agenti su tutte le particelle elementari

che costituiscono il sistema; per ciascuna di esse l’insieme di forze presenti dovrà

risultare in equilibrio, rispettando la seconda legge di Newton.

Senza con ciò ledere la generalità di quanto sopra riportato, per la completadefinizione di un generico processo idraulico basterà procedere anche mediante la

determinazione della funzione implicita attraverso i parametri che influenzano le

forze prima introdotte.

Essi sono:

−  le grandezze che caratterizzano geometricamente il sistema;

−  le grandezze che caratterizzano cinematicamente il moto;

−  le grandezze che caratterizzano il fluido;

− 

il parametro che caratterizza il campo delle forze di massa esterne;−  il parametro che caratterizza le azioni al contorno;

−  il parametro che caratterizza l’inerzia.

Con riferimento a quanto fin qui detto si può sinteticamente esprimere in forma

implicita il legame funzionale che lega i parametri di cui innanzi:

 ρ ε ( , , , , , , , , , )l s r t V g p = 0 (4.8)

(*) Per lo studio dei fenomeni idrodinamici, che sono quelli cui qui ci si riferisce, si sono considerate le sole forze derivanti dalle caratteristiche meccaniche in quanto, in tale ambito, risultano ininfluenti le forze

dipendenti dalle caratteristiche elettriche e termiche dei fluidi.  

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ovvero, esplicitando la pressione p:

 p l s r t V g  = ρ ε ' ( , , , , , , , , ) (4.9) 

Relativamente al secondo punto, applicando l’analisi dimensionale ad una

relazione funzionale è necessario determinare quanti e quali numeri indice

scaturiscono ed infine, punto tre, è necessario verificare se esiste ed è concreta la

possibilità di ottenere una similitudine totale. Se così non fosse si è obbligati ad

accontentarsi di una similitudine parziale con la conseguente necessità di pesare

l’influenza dei numeri indice nell’evoluzione del fenomeno. Importante è la

sensibilità dell’operatore nel capire il problema e decidere in quale analogia

realizzare il modello.

Se, infine, si ha il rispetto di solo alcuni numeri indice si possono avereeffetti scala. 

5. - Applicazioni 

L’analogia di Froude (v2 /gh) è da preferire quando:

•  Sono poco importanti le dissipazioni legate alla viscosità.

•  Sono predominanti gli scambi di energia potenziale in cinetica e

viceversa:

•  Luci a battente, stramazzi.

•  Correnti a pelo libero in cui non si vuole studiare la resistenza al

moto ma particolari profili.

•  Risalto idraulico.

•  Profili di moto permanente.

•  Moto ondoso.

•  Colpo d’ariete nel caso in cui si assume di trascurare le perdite.

L’analogia di Reynolds (vd/ν ) è da preferire quando:

•  Sono importanti i fenomeni viscosi:

•  Resistenze al moto (in condotti e canali, di corpi che si muovono in

un fluido)

•  Fenomeni di strato limite.

E’ invece da preferire un modello in similitudine di Weber ( ρ v2 l/σ ) per tutti

quei fenomeni in cui è presente un’interfaccia tra due fluidi o tra fluido ed una

superficie solida:

•  Getti a pelo libero.

•  Correnti con curvature (stramazzi, frangimento onde,..)

Nella pratica si è riscontrato che negli stramazzi sottili quando ∆h>3 cm l’effetto della tensione superficiale può essere trascurato.

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Occorre, quindi, fare dei modelli in analogia di Froude facendo attenzione che

risulti ∆hm>3 cm. Se il modello si fa in analogia di Froude si riscontra che il numero

di Weber, nel modello, è più piccolo di quello del prototipo e quindi il coefficiente di

efflusso per l’effetto scala del numero di Weber aumenta.

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6. - Artificio di Eisner  

Spesso e volentieri, nella pratica applicazione, non è possibile ottenere

contemporaneamente:

 R R e F F  ep em rp rm≡ ≡  (6.1)

Quando in un fenomeno intervengono i due numeri indice occorre quindi fare

un “modello in similitudine parziale” o in analogia di

Froude o Reynolds

è inevitabile quindi che nei risultati del modello vi siano degli effetti scala.

Quando non si è sicuri di poter trascurare l’effetto scala di Reynolds si adotta

l’artificio di Eisner.

Si costruiscono più modelli in analogia di Froude, tale che risulti:

 F F rm rp≡  

(6.2)

e si adottano diverse scale geometriche M l1, M l2 , M l3 , M l4 , M l5 ,..., cui

rispettivamente corrisponderà un preciso numero di Reynolds.

Si può quindi riportare la grandezza in studio in funzione di Re e valutarne

l’effetto scala.