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LLEEZZIIOONNEE
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PPRROOFF.. LLUUCCAA CCEESSTTAARROO
Università Telematica Pegaso Il permesso di costruire. Il procedimento
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 La conferenza di servizi come meccanismo di decisione. ------------------------------------------ 3
1.1. Profili preliminari ------------------------------------------------------------------------------------- 3
1.2. Evoluzione del ruolo funzionale fino al d.l. n. 78/2010 ----------------------------------------- 4
1.3. Le modifiche introdotte dal d.l. n. 78/2010 ------------------------------------------------------- 8
1.4. Questioni aperte ------------------------------------------------------------------------------------- 11
Università Telematica Pegaso Il permesso di costruire. Il procedimento
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 La conferenza di servizi come meccanismo di decisione1.
1.1. Profili preliminari
Il principio di unità, affermato per la tragedia da Aristotele e articolato quanto al tempo, al
luogo e all'azione dai classicisti italiani rinascimentali , trova espressione nel procedimento
amministrativo con l'istituto della conferenza di servizi. In effetti, in questa si rinvengono sia
l'unità di tempo, perché le rappresentazioni di interessi che connotano il suo svolgimento non
sono ordinate secondo una scansione temporale prestabilita, ma si susseguono in un unico
contesto senza soluzione di continuità , sia l'unità di luogo, perché le stesse avvengono attorno
"allo stesso tavolo" (ancorché, in ipotesi, solo telematico, cfr. art. 14, c. 5-bis l. n. 241/1990 e
succ. mod.), sia, e soprattutto, l'unità di azione, perché gli interessi rappresentati sono oggetto
di valutazione non distinta, ma "comune e contestuale" , sicché se è forse forzato affermare che
ciascuna amministrazione partecipante alla conferenza "si trova inevitabilmente a dover farsi
carico anche degli interessi pubblici diversi da quelli affidati alla sua specifica cura", finendo
anche con il "trascende[re] lo spazio giuridico di competenza" , è indubbio che nessuna può
sottrarsi al confronto che si instaura, "reciproco e trasversale" , fra gli interessi rappresentati. Dalla
cifra strutturale discendono i dati funzionali della conferenza di servizi: istituto di semplificazione
(come del resto suggerisce la collocazione della sua disciplina all'interno della l. n. 241) ,
perché l'acquisizione degli interessi da parte dell'amministrazione procedente avviene "in
parallelo" e non "in sequenza", ma al contempo di coordinamento , nel senso che la
conferenza è il luogo dell'incontro e del confronto degli interessi rappresentati, nonché (in
nuce) dello "scambio" e dell'accordo , in ordine alla loro complessiva compatibilità, fra le
amministrazioni che li rappresentano.
Quelli fin qui sommariamente richiamati sono i tratti della conferenza di servizi che
concettualmente la identificano, verrebbe da dire i tratti del suo "ideal-tipo". Altro è la
configurazione normativa, potendo il legislatore diversamente tradurre, articolandola in più figure ,
l'idea della conferenza, in particolare diversamente modulando, oltre alla sua collocazione
all'interno del procedimento, l'ambito di utilizzo, le regole di partecipazione e di funzionamento
(specie per le modalità di assunzione delle decisioni) e quelle relative al mancato idem sentire dei
partecipanti a conclusione dei suoi lavori, con il risultato di assegnare alla singola conferenza uno
1 Si riporta, con opportuni adattamenti, l’articolo di SCIULLO GIROLAMO in Giornale Dir. Amm., 2011, 10, 1138.
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specifico ruolo funzionale, integrativo rispetto a quello, di base, di semplificazione e
coordinamento.
(…)
È noto che la disciplina originaria della l. n. 241 sulla conferenza di servizi ha subito nel
corso degli anni molteplici variazioni, il legislatore essendo intervenuto (non di rado a più riprese)
su ciascuno degli aspetti (iniziativa, funzionamento ecc.) sopra indicati, nell'obiettivo sia di porre
rimedio a difficoltà evidenziate dall'esperienza applicativa, sia soprattutto di rendere l'istituto in
grado di corrispondere al meglio alle esigenze di miglioramento dell'azione amministrativa avvertite
in modo crescente dallo stesso legislatore. Dopo le modifiche introdotte con il d.l. n. 78/2010 la
configurazione normativa della conferenza di servizi sembra essere pervenuta ad un punto di
approdo difficilmente superabile in un quadro di compatibilità con il sistema costituzionale. Nel suo
tipo più rilevante (quello con carattere "decisorio") la conferenza si presenta ormai come
meccanismo, ad applicazione generale, che permette l'assunzione di decisioni amministrative
nonostante l'inerzia o il dissenso anche delle amministrazioni portatrici di interessi pubblici
particolarmente significativi (o "sensibili").
Il presente lavoro prende in considerazione appunto la conferenza "decisoria" e si articola
nei seguenti punti che danno per conosciuti i profili fondamentali della relativa disciplina normativa
: evoluzione del ruolo funzionale specifico che ha interessato l'istituto; indicazione delle novità
introdotte dal d.l. n. 78/2010 con riguardo particolare a detto ruolo; discussione di taluni problemi
posti dall'attuale configurazione.
1.2. Evoluzione del ruolo funzionale fino al d.l. n. 78/2010
Ai fini della migliore comprensione dell'evoluzione subita dal ruolo funzionale specifico
della conferenza decisoria occorre tener conto di una pluralità di elementi, che saranno presi in
esame anzitutto con riferimento alla disciplina che si è succeduta fino al d.l. n. 78/2010.
Un primo elemento è costituito dalla previsione di impiego dell'istituto. La conferenza
decisoria nasce nella l. n. 241/1990 come facoltativa (cfr. art. 14, c. 2) e mantiene tale suo
carattere fondamentalmente (l'art. 17 della l. n. 127/1997 ne sancirà l'obbligatorietà in talune
ipotesi) fino alla l. n. 340/1990 (art. 9), alla quale risale l'attuale formula dell'art. 14, c. 2,
secondo la quale essa è "sempre indetta" tutte le volte che l'amministrazione procedente deve
acquisire intese ecc. e non le ottenga entro trenta giorni dalla ricezione della relativa richiesta.
La l. n. 15/2005 (art. 8) aggiungerà la possibilità di indirla quando nello stesso termine
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intervenga il dissenso di una o più amministrazioni interpellate. A partire dal d.l. n. 163/1995
(art. 3-bis) a richiedere l'indizione potrà essere anche il privato la cui attività sia subordinata ad atti
di consenso. In breve, nei procedimenti con decisioni (o meglio fasi decisorie) pluristrutturate , la
conferenza si presenta come strumento di portata generale (quanto ad impiego) e di carattere,
obbligatorio, allorché non pervenga il previsto consenso delle amministrazioni coinvolte, o
facoltativo, nel caso di manifestazioni di dissenso. In ambedue le ipotesi "utilità" del suo impiego
risiede nella possibilità di avvalersi, da parte dell'amministrazione procedente, delle specificità del
regime di funzionamento.
Un secondo elemento è dato dal tempo di durata della conferenza. Nella l. n. 241/1990
non era stabilito un termine di conclusione, che verrà introdotto dalla l. n. 127/1997, con
determinazione rimessa alle amministrazioni partecipanti (art. 17). Alla l. n. 340/2000 (art. 11)
risale nella sostanza l'attuale previsione dell'art. 14-ter, c. 3, secondo la quale i lavori della
conferenza - salvo che nei casi in cui sia richiesta la Via - non possono superare i novanta
giorni. L'inutile decorso del termine, convenzionalmente o legalmente stabilito, fin dalla l. n.
127/1997 (art. 17) comporta la rilevante conseguenza dell'applicazione della disciplina dettata
per l'ipotesi di tempestiva ultimazione dei lavori (cfr. l'attuale art. 14-ter, c. 3 e 6-bis):
l'amministrazione procedente è tenuta ad adottare la determinazione conclusiva della
conferenza. Sicché, in sintesi, si può affermare che ultimazione tempestiva dei lavori e inutile
spirare del relativo termine sono parificati quanti ad effetti prodotti.
Un terzo elemento è rappresentato dal c.d. silenzio-assenso (talora indicato, con riguardo
al caso della mancata partecipazione, anche come assenza-silenzio) , ma in rapporto ai silenzi
disciplinati dagli artt. 16, 17 e 20, l. n. 241/1990 meglio qualificabile come silenzio-assenso
endoprocedimentale decisorio . Presente già nella stesura originaria dell'art. 14, esso riguardava
inizialmente l'amministrazione che, "regolarmente convocata, non abbia partecipato alla conferenza
o vi abbia partecipato tramite rappresentanti privi della competenza ad esprimere definitivamente la
volontà" (c. 3). La formula, a partire dalla l. n. 340/2000 (art. 11) verrà sostituita con quella, nella
sostanza equivalente , dell'"amministrazione il cui rappresentante non abbia espresso
definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata". La diversità della formula non
incide sull'effetto giuridico: "si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione" in questione. Si
tratta di un rimedio contro l'inerzia o la non collaborazione che al di fuori della conferenza
decisoria determinerebbe, come già notato, una situazione di stallo. Va rilevato che il rimedio,
in origine, non trovava applicazione nel caso di "amministrazioni preposte alla tutela ambientale,
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paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini" (c. 4). L'esclusione non verrà più
menzionata a partire dalla l. n. 127/1997 (art. 17) e sarà, come si dirà, esplicitamente superata
dal d.l. n. 78/2010.
Altro elemento d'interesse risiede nella disciplina della manifestazione del dissenso. Nella
versione originaria dell'art. 14 era ammesso il dissenso c.d. postumo (espresso "entro venti
dalla conferenza ovvero dalla data di ricevimento della comunicazione delle determinazioni
adottate", se dal "contenuto sostanzialmente diverso da quelle inizialmente previste") e non
erano indicati requisiti per la sua manifestazione (c. 3). Con la l. n. 15/2005 (art. 10) verrà superato
il dissenso postumo, mentre già con la l. n. 340/2000 (art. 12) si introdurrà la regola che il
dissenso delle amministrazioni regolarmente convocate, "a pena di inammissibilità, deve
essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può
riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve
recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini del dissenso" .
Dunque da una disciplina fondamentalmente "lasca" si è passati ad una rigorosa, il dissenso
potendosi manifestare solo all'interno della conferenza e dovendo risultare "pertinente,
motivato e "costruttivo"" .
Ultimo, di certo non per ordine di importanza, elemento da considerare sono le regole di
assunzione delle decisioni. Come ricordato, la disciplina originaria della conferenza, affinché
le determinazioni conclusive dei suoi lavori tenessero luogo degli atti di assenso previsti dalle
norme di settore, richiedeva che le stesse fossero "concordate" (art. 14, c. 2). In breve, il
principio dell'unanimità, che conosceva un correttivo ai fini della partecipazione (silenzio-assenso),
vigeva senza eccezioni ai fini dell'esito positivo della conferenza.
Le modifiche intervenute nel corso degli anni hanno progressivamente infranto il principio.
Con la l. n. 537/1993 (art. 2) si stabilì che, nel caso di non raggiungimento dell'unanimità , le
determinazioni dotate di effetto equivalente a quelle concordemente assunte in sede di
conferenza potessero essere prese dal Presidente del Consiglio previa deliberazione del
Consiglio dei ministri. In seguito, il regime dettato si divaricherà in ragione della consistenza degli
interessi rappresentati dalle amministrazioni dissenzienti.
Nel caso di interessi non ritenuti dal legislatore di specifico rilievo, la l. n. 127/1997 (art. 17)
consentì all'amministrazione procedente di assumere la determinazione di conclusione
positiva della conferenza, prevedendone la comunicazione, a seconda dei casi, al Presidente
del Consiglio, al Presidente della regione o al Sindaco, con la possibilità da parte di questi,
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previa delibera dell'organo collegiale (Consiglio dei ministri, Consiglio regionale o comunale)
di sospendere la determinazione inviata, nonché, secondo l'integrazione introdotta dalla l. n.
191/1998 (art. 2), con la facoltà della conferenza di pervenire a una nuova determinazione che
tenesse conto delle osservazioni ricevute. La disciplina fu innovata dalla l. n. 340/2000 (art. 12), che
impose all'amministrazione procedente, sempre in caso di dissenso sulla proposta avanzata, di
assumere "comunque la determinazione di conclusione del procedimento sulla base della
maggioranza delle posizioni espresse". Criterio "quantitativo" questo che è stato superato a
partire dalla l. n. 15/2005 (art. 10), secondo cui "l'amministrazione procedente adotta la
determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze
della conferenza e tenuto conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede".
Soluzioni meno varie e strutturalmente più complesse hanno riguardato il dissenso espresso
da amministrazioni preposte alla cura di interessi valutati dal legislatore di specifica rilevanza (d'ora
in avanti interessi "sensibili"). Secondo la l. n. 127/1997 (art. 17), nell'ipotesi di dissenso di
un'amministrazione preposta "alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio
storico-artistico o alla tutela della salute dei cittadini", l'amministrazione procedente poteva
richiedere, purché non vi fosse stata una procedura di Via negativa, la determinazione di
conclusione del procedimento al Presidente del Consiglio dei ministri, previa delibera
dell'organo collegiale. Con la l. n. 340/2000 il meccanismo sostitutivo cominciò ad articolarsi,
essendosi previsto (art. 12) che, nell'ipotesi in cui l'amministrazione dissenziente o procedente fosse
un'amministrazione statale, la determinazione venisse rimessa al Consiglio dei ministri (con la
partecipazione consultiva del Presidente della Giunta regionale in caso di dissenso espresso da
una regione), mentre, nelle altre ipotesi, che la determinazione spettasse ai competenti organi
collegiali esecutivi degli enti territoriali.
La l. n. 15/2005 (art. 11), oltre ad allargare il novero degli interessi "sensibili" a quello
della tutela della "pubblica utilità", nel chiaro intendimento di voler tener conto del nuovo
assetto del Titolo V, Parte seconda, della Costituzione, articolò ancor più il meccanismo
sostitutivo, prevedendo come autorità competente il Consiglio dei ministri, la Conferenza
Stato-regioni e la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 281/1997, a seconda che il
dissenso vertesse tra amministrazioni statali, tra un'amministrazione statale e una regionale o tra
amministrazioni regionali oppure tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra
enti locali. In realtà i livelli di possibile sostituzione finivano con il risultare più numerosi (fino a
tre), il legislatore essendosi dato carico di prevedere una sede decisionale "di chiusura".
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Meccanismo questo senz'altro complesso, ma non meritevole delle critiche avanzate in dottrina ,
che come si dirà il d.l. n. 78/2010 ha semplificato.
Riepilogando può affermarsi che il principio dell'unanimità nell'assunzione delle
determinazioni conclusive della conferenza decisoria inizialmente previsto, è stato superato,
sia pure con percorsi diversamente modulati in ragione della rilevanza degli interessi coinvolti
e con soluzioni in progress, e non costituisce più un dato qualificante del regime giuridico
dell'istituto.
1.3. Le modifiche introdotte dal d.l. n. 78/2010
Sugli elementi appena considerati il d.l. n. 78/2010 ha apportato dati se non di vera e propria
novità, sicuramente di chiarimento, che finiscono con il potenziare il ruolo della conferenza
decisoria come si è andato delineando nel corso del tempo.
Quanto all'impiego dell'istituto, è stato previsto un nuovo caso di indizione facoltativa,
ossia allorché "è consentito all'amministrazione procedente di provvedere direttamente in assenza
delle determinazioni delle amministrazioni competenti" (nuovo art. 14, c. 2). Il significato
dell'innovazione è controverso. Secondo una lettura, che trova supporto nei lavori preparatori della
legge di conversione , si sarebbe chiarito che non sussiste un obbligo per l'amministrazione
procedente di indire la conferenza in tutti i casi in cui espresse disposizioni "consentano di
prescinderne" (rectius: di prescindere dalle mancate determinazioni delle amministrazioni
coinvolte). In altre parole, più che di una vera e propria nuova ipotesi di indizione facoltativa
(come sostenuto da altra lettura) , si tratterebbe della riduzione dell'area dell'obbligatorietà
della conferenza decisoria. La tesi non pare persuasiva, giacché se l'obbligatorietà dell'indizione
era prima (e resta dopo) legata alla sussistenza del dovere di acquisire atti di assenso e al mancato
ottenimento di questi entro trenta giorni dalla richiesta, risulta chiaro che, laddove la normativa
consentiva di prescindere dall'atto di assenso non conseguito, non poteva configurarsi nessun
obbligo di indizione della conferenza non sussistendone il presupposto (la necessità di ottenere l'atto
di assenso richiesto). Si tratta, invece, di un nuovo caso, in senso proprio, di indizione
facoltativa, che consente all'amministrazione procedente di utilizzare l'istituto quando ritenga
opportuno avvalersi delle possibilità di confronto-scambio-accordo proprie della conferenza .
Altre modifiche hanno riguardato il silenzio-assenso e la manifestazione del dissenso, in
entrambi i casi con riferimento alle amministrazioni preposte alla cura degli interessi "sensibili".
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Per il nuovo art. 14-quater, c. 1, il dissenso di uno o più rappresentanti delle
amministrazioni, "ivi comprese quelle preposte alla tutela ambientale, fermo restando quanto
previsto dall'art. 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, paesaggistico-territoriale, del
patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità", regolarmente
convocate deve essere manifestato a pena di inammissibilità nella conferenza e risultare
"pertinente, motivato e costruttivo". Mentre per il nuovo art. 14-ter, c. 7, si considera acquisito
l'assenso delle amministrazioni, "ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della
pubblica incolumità, alla tutela paesaggistico-territoriale e alla tutela ambientale, esclusi i
provvedimenti in materia di Via, Vas e Aia", il cui rappresentante, all'esito dei lavori della
conferenza non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata.
Si tratta di precisazioni presumibilmente "di chiarimento" (dell'ambito soggettivo delle
disposizioni), giacché con il generico riferimento alle "amministrazioni" già le precedenti formule
normative consentivano di ritenere che anche quelle preposte alla cura di interessi "sensibili"
fossero incluse. Nondimeno l'innovazione è significativa, da un lato, perché priva di base giuridica
"atteggiamenti paralizzanti di alcune amministrazioni (in particolare di quelle preposte alla tutela
degli interessi sensibili)", come si legge in un recente documento governativo , dall'altro, perché ha
consentito al legislatore di indicare taluni limiti alla generale applicazione .
Parrebbe, invece, di portata soggettivamente limitata il nuovo art. 14-ter, c. 3-bis, secondo il
quale, "in caso di opera o attività sottoposta anche ad autorizzazione paesaggistica, il
soprintendente si esprime, in via definitiva, in sede di conferenza di servizi, ove convocata, in
ordine a tutti i provvedimenti di sua competenza ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42". In effetti la disposizione recepisce tardivamente un progetto di modifica normativa
discusso a margine del c.d. piano casa nel 2009 e mirante a risolvere un problema applicativo sorto
a proposito dell'autorizzazione paesaggistica secondo la disciplina allora vigente. Il problema è
venuto meno a seguito della disciplina sopravvenuta , sicché la nuova disposizione potrebbe essere
ritenuta priva di reali contenuti precettivi. Nondimeno essa può reputarsi espressione di un principio
di portata generale. Se a seguito delle modifiche introdotte dal d.l. n. 78/2010 il dissenso di
un'amministrazione (qualsiasi), regolarmente convocata, deve essere manifestato in sede di
conferenza (art. 14-quater, c. 1) e se si considera acquisito l'assenso dell'ammini-strazione il
cui rappresentante, all'esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la
volontà dell'amministrazione rappresentata (art. 14-ter, c. 7), non c'è spazio sul piano
giuridico per un'espressione di volontà al di fuori della conferenza: da un lato il dissenso
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espresso all'esterno della conferenza non rileva, dall'altro il silenzio tenuto in sede di
conferenza (compresa la non partecipazione alla stessa) equivale ad assenso, rendendo per ciò
stesso irrilevante un eventuale assenso manifestato al di fuori. Il che comporta - ed è quanto
afferma l'art. 14-ter, c. 3-bis, per il soprintendente di settore, ma con valenza generalizzabile -
che l'espressione della volontà delle amministrazioni convocate ad una conferenza decisoria
non può avvenire (per essere giuridicamente rilevante) che in quella sede.
Un'ulteriore modifica introdotta dal d.l. n. 78/2010 concerne ancora gli interessi
"sensibili", ma in relazione al superamento del dissenso manifestato da amministrazioni ad
essi preposte. Il nuovo art. 14-quater, c. 3, si inspira ad una logica di semplificazione dei
meccanismi sostitutivi in precedenza previsti, che ora risultano ridotti nel numero (dai precedenti
possibili tre livelli si scende a uno) e snelliti nella disciplina giuridica. Detto sinteticamente, in
presenza di dissenso espresso da una delle menzionate amministrazioni la decisione è rimessa
al Consiglio dei ministri, che si pronuncia, in caso di dissenso fra un'amministrazione statale e
una regionale o fra più amministrazioni regionali, previa intesa con la regione o le regioni
interessate, oppure, in caso di dissenso fra un'amministrazione statale o regionale ed un ente
locale o fra più enti locali, previa intesa con la regione e gli enti locali interessati. In mancanza
dell'intesa (entro trenta giorni), la decisione può comunque essere assunta dal Consiglio dei ministri,
che delibera con la partecipazione del Presidente della regione interessata in caso di dissenso
manifestato da una regione in materia di sua competenza .
Altre modifiche non toccano gli elementi sui quali ci si è soffermati, ma meritano comunque
un accenno perché indirettamente finiscono con il potenziare il (o a dare rilievo al) ruolo funzionale
specifico della conferenza decisoria. Anzitutto la rilevanza esterna degli esiti della conferenza, con
il superamento dell'assetto "dicotomico" (caratterizzante la disciplina a partire dalla l. n. 340/2000,
art. 11). Mentre prima del d.l. n. 78/2010, salve specifiche ipotesi, la "determinazione conclusiva"
ad esito dei lavori della conferenza era distinta dal "provvedimento finale" conclusivo del
procedimento complessivo (precedente art. 14-ter, c. 9 e 6-bis), ora detta duplicità non sussiste
più. Il c. 9 è stato abrogato e, secondo il nuovo c. 6-bis è la determinazione conclusiva della
conferenza che sostituisce gli atti di assenso di competenza delle amministrazioni partecipanti,
o invitate a partecipare ma rimaste assenti. Il che significa che l'atto conclusivo della
conferenza è al contempo atto finale del procedimento, eccettuato il caso in cui siano stati
espressi dissensi da parte di amministrazioni portatrici di interessi "sensibili", che determina
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uno spostamento della sede decisionale in ordine alla questione oggetto della conferenza 2.
In secondo luogo, la disciplina della conferenza di servizi per effetto del nuovo art. 29, c.
2-ter, attiene "ai livelli essenziali delle prestazioni" di cui all'art. 117, c. 2, lett. m), Cost. e si
pone pertanto come vincolante (nel minimo) per le regioni a statuto ordinario e le autonomie
locali.
A questo punto possono tirarsi le fila delle osservazioni condotte sull'evoluzione
conosciuta dalla conferenza decisoria.
L'istituto nasce nella l. n. 241/1990 come modulo procedimentale, di carattere facoltativo,
volto a favorire un raccordo fra amministrazioni nel quale si compongano gli interessi da ciascuna
rappresentati in ordine ad una decisione amministrativa che richiede la loro adesione (decisione
pluristrutturata), raccordo che perciò è in grado di sostituire gli atti unilaterali di assenso altrimenti
necessari.
Fin dall'origine non è di ostacolo al suo funzionamento l'inerzia delle amministrazioni
coinvolte. Nel corso degli anni la sua disciplina si affina, in particolare svincola l'istituto dal rispetto
della regola dell'unanimità.
Oggi esso si palesa come un meccanismo in grado di garantire comunque una decisione
"di ultima istanza" (positiva o negativa), anche in caso di inerzia o di dissenso di
amministrazioni portatrici di interessi di particolare rilievo ("sensibili"). La obbligatorietà e la
generalità (tendenziali) di applicazione ne fanno - com'era nei voti di una parte della dottrina -
"modo ordinario" per l'assunzione di decisioni pluristrutturate (a partecipazione plurima di
amministrazioni) e perciò lo connotano anche come meccanismo idoneo a bilanciare, sul piano del
procedimento, la complessità esistente, sul piano organizzativo, nell'amministrazione italiana .
1.4. Questioni aperte
La configurazione della conferenza decisoria come risultante dalle modifiche introdotte dal
d.l. n. 78/2010 pone nuove questioni o ripropone altre già emerse con riferimento alla precedente
2 In tal senso, sembra doversi ritenere superato l’orientamento espresso con Sentenza Consiglio Stato sez. VI 31
gennaio 2011 n. 712 che, in un caso a c ui era applicabile la disciplina previgente, ha statuito: L'istituto della
conferenza di servizi disciplinato dagli art. 14 e ss. l. 7 agosto 1990 n. 241, in esito alle riforme apportate dalle leggi 24
novembre 2000 n. 340, e 11 febbraio 2005 n. 15, è caratterizzato da una struttura dicotomica, articolata in una fase che
si conclude con la determinazione della Conferenza (anche se di tipo decisorio), di valenza endoprocedimentale, e in
una successiva fase che si conclude con l'adozione del provvedimento finale, di valenza esoprocedimentale
effettivamente determinativa della fattispecie. Deve essere dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la
Università Telematica Pegaso Il permesso di costruire. Il procedimento
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normativa. In questa sede se ne affronteranno brevemente alcune, più legate al taglio dell'analisi
condotta, trascurando altre pur rilevanti quali la compatibilità del nuovo art. 14-quater, c. 3, con il
Titolo V, Parte seconda della Costituzione , e l'applicazione della disciplina della conferenza alle
autonomie territoriali, in quanto qualificata come attinente ai "livelli essenziali delle prestazioni"
dal nuovo art. 29, c. 2-ter .
Una prima questione è costituita dalla individuazione degli interessi "sensibili" e
correlativamente delle amministrazioni ad essi preposte, ai fini dell'applicazione della
disciplina specificamente prevista. Occorre peraltro premettere che la differenza di regime fra
interessi "sensibili" e altri interessi si è ridotta per effetto del d.l. n. 78/2010, gli uni e gli altri
ricevendo identico trattamento negli artt. 14-ter, c. 7, e 14-quater, c. 1 (silenzio-assenso e
modalità di manifestazione del dissenso), ma non è venuta meno nell'art. 14-quater, c. 3
(superamento del dissenso). Così come è opportuno ricordare che la loro individuazione nel corso
degli anni ha subito variazioni: in particolare, quanto al silenzio-assenso, l'originario art. 14, c. 4,
non contemplava la "tutela della pubblica incolumità", che ora figura nell'attuale art. 14-ter,
c. 7, mentre, quanto al superamento del dissenso, uno specifico regime per gli interessi
"sensibili" comincia a delinearsi solo con l'art. 17 della l. n. 127/1997.
Ancorché le scelte operate dal legislatore fin dall'inizio non siano andate esenti da rilievi
critici , può ritenersi che rientri nell'ambito di valutazione spettante al legislatore la selezione degli
interessi e la graduazione della loro tutela, nel rispetto peraltro del canone della ragionevolezza e,
anticipando quanto si osserverà in seguito, nella salvaguardia della adeguata valutazione di quelli
costituzionalmente rilevanti che si profilino in concreto.
Quanto appena affermato non esclude che l'interprete possa procedere ad una qualche forma
di integrazione analogica, in presenza di un dettato normativo frutto, come si è visto, di molte
sedimentazioni e condizionato nella fattura dallo strumento talora utilizzato (il decreto legge). In
particolare, in tema di silenzio-assenso (art. 14-ter, c. 7), la non menzione fra gli interessi `sensibili'
di quello relativo alla tutela del patrimonio storico-artistico appare addebitabile ad una mera svista
del legislatore, considerato che esso figura fra gli interessi `sensibili' nella disciplina delle modalità
di manifestazione del dissenso e in quella del suo superamento (cfr. art. 14-quater, c. 1 e 3), mentre,
come già rilevato, il precetto dell'art. 14-ter, c. 3-bis, secondo cui in caso di autorizzazione
paesaggistica il soprintendente è tenuto ad esprimersi in via definitiva in sede di conferenza, appare
deliberazione conclusiva della conferenza, senza che sia stato impugnato anche il provvedimento finale: ciò in
considerazione della natura endoprocedimentale del verbale della conferenza di servizi.
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generalizzabile quanto a portata soggettiva.
Questione più grave pone la previsione dell'art. 14-ter, c. 7, che esplicitamente assoggetta
alla disciplina del silenzio-assenso le amministrazioni preposte alla tutela della salute e della
pubblica incolumità, alla tutela paesaggistico-territoriale e alla tutela ambientale (esclusi i
provvedimenti in materia di Via, Vas e Aia). Si tratta di interessi di rango costituzionale e la cui
cura, in misura anche non contenuta, può comportare l'esercizio di discrezionalità non solo tecnica,
ma altresì amministrativa.
È noto l'orientamento dottrinale che ha prospettato la tesi dell'incompatibilità del silenzio-
assenso con il potere discrezionale, traendo argomento anche da posizioni espresse dal giudice
costituzionale e da quello comunitario .
Al riguardo non varrebbe osservare che nel caso della conferenza di servizi non si
tratterebbe del `normale' silenzio-assenso (silenzio come accoglimento dell'istanza avanzata dal
privato, esprimente la valutazione definitiva sull'assetto degli interessi coinvolti), ma di un silenzio-
assenso procedimentale (silenzio come valutazione di non sussistenza di elementi contrari alla
adozione e al contenuto prospettato della determinazione conclusiva della conferenza). Anche nel
secondo caso opera, infatti, la finzione insita nel primo : il legislatore "finge" che l'amministrazione
che in sede decisoria avrebbe dovuto provvedere, pronunciandosi, alla cura dell'interesse affidatole,
abbia provveduto restando silente.
È però da ricordare che il ricordato orientamento è stato persuasivamente contrastato sul
piano del fondamento positivo . In particolare si è rilevato che dalla giurisprudenza costituzionale e
comunitaria non emergono indicazioni risolutive, l'illegittimità di casi di silenzio-assenso essendo
fatta discendere, a ben considerare, dalla violazione di principi che presiedono ai rapporti fra fonti
statali e fonti regionali oppure dalla violazione della normativa europea che richiedeva un
provvedimento espresso . Si può anche aggiungere che non mancano nella giurisprudenza
costituzionale pronunce nelle quali il silenzio-assenso trova esplicito avallo come espressione di un
principio fondamentale di discipline di settore .
E tuttavia da questa stessa giurisprudenza emerge l'indicazione che a fronte di interessi di
rango costituzionali l'ammissibilità del silenzio-assenso incontra limiti. A proposito degli
interessi relativi alla tutela del paesaggio - ripetutamente qualificati come "valori
costituzionali primari", - la Corte ha precisato che la "primarietà", se non legittima una
primazia in un'ipotetica scala dei valori costituzionali, "origina la necessità che essi debbano
essere presi in considerazione nei concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e
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dalle pubbliche amministrazioni; in altri termini, la "primarietà" degli interessi che
assurgono alla qualifica di "valori costituzionali" non può che implicare l'esigenza di una
compiuta ed esplicita rappresentazione di tali interessi nei processi decisionali all'interno dei
quali si esprime la discrezionalità delle scelte politiche o amministrative" .
Dunque secondo il giudice costituzionale sussistono interessi definibili "a tutela
costituzionalmente vincolata" o "a protezione necessaria" - dal novero non ancora
puntualmente precisato, ma che ragionevolmente può ritenersi comprendere quelli
menzionati dall'art. 14-ter, c. 7 - che nei processi decisionali (anche) dell'amministrazione
devono essere adeguatamente e esplicitamente rappresentati e bilanciati.
Da questo orientamento non può evidentemente prescindere la interpretazione della
disciplina del silenzio-assenso nella conferenza decisoria. Per una lettura costituzionalmente
corretta occorre ritenere che la qualificazione - prevista dall'art. 14-ter, c. 7- in termini di
assenso del silenzio serbato da un'amministrazione preposta alla cura di un interesse
"sensibile" non abbia il significato di una tacita valutazione di non contrarietà, alla luce di
detto interesse, rispetto alla determinazione conclusiva prospettata dall'amministrazione
procedente (significato inammissibile perché riferito ad una valutazione in ipotesi assente e
comunque implicita), ma abbia il solo effetto di non precludere all'amministrazione
procedente l'assunzione della determinazione conclusiva. Soprattutto è da ritenere che
l'amministrazione procedente non sia esentata dall'inserire all'interno della complessiva
valutazione finale la rappresentazione e la ponderazione di tale interesse. Si tratterà di una
valutazione per così dire "allo stato degli atti", operata cioè sulla base degli elementi emersi
nell'istruttoria e nel corso dei lavori della conferenza, e sulla base di un livello di conoscenze,
in ipotesi non all'altezza di quello che l'amministrazione rimasta silente avrebbe assicurato. Si
tratterà però di una valutazione pur sempre, sul piano costituzionale, giustificata dal comportamento
non ispirato alla "leale collaborazione" dell'amministrazione interessata e conforme al principio
del buon andamento, che non tollera, come precisato dalla Corte, "situazioni paralizzanti" . Nulla
poi impedisce di pensare che in caso di particolare carenza conoscitiva la determinazione di
conclusione della conferenza possa essere assunta in termini condizionati o negativi proprio in
riferimento a tale circostanza.
Quella appena esaminata pone all'attenzione un'altra questione o meglio un interrogativo
formulabile nei seguenti termini: come si giustifica sul piano della disciplina complessiva la
circostanza che il silenzio tenuto da un'amministrazione preposta ad un interesse "sensibile"
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sia privo di quell'effetto paralizzante che viceversa sussiste nel caso di pareri e di valutazioni
tecniche secondo la disciplina dettata dagli artt. 16 e 17 della l. n. 241/1990?
La risposta non è agevole. Si può pensare che la differenza, non sussistente in origine (cfr.
l'iniziale art. 14, c. 4), sia venuta meno in relazione all'obiettivo perseguito dal legislatore di
promuovere l'utilizzo della conferenza. Si può dubitare della ragionevolezza del mantenimento
della disciplina dettata per gli interessi "sensibili" dagli artt. 16 e 17 . Forse però la risposta
va rintracciata in un'esigenza di logica interna della conferenza, `luogo' nel quale sono
chiamate a confrontarsi amministrazioni per l'assunzione di decisioni che richiedono
manifestazioni di volontà fra loro collegate e che come tale non tollera, se non al prezzo del
blocco del suo funzionamento, comportamenti paralizzanti. Si tratterebbe, cioè, non tanto della
scelta del legislatore a favore di un istituto o all'opposto di una non adeguata valutazione
complessiva degli istituti, quanto della necessità avvertita dallo stesso legislatore di garantire il
funzionamento della conferenza, con il superamento delle inerzie che ne avevano condizionato
l'applicazione.
Come che sia, l'interrogativo spinge a riproporre un'altra questione prospettata in riferimento
ad una disciplina della conferenza decisoria che non aveva raggiunto gli approdi attuali e relativa
alla idoneità dell'istituto a perseguire adeguatamente gli interessi pubblici: secondo una posizione
autorevolmente sostenuta, si tratterebbe di uno strumento di semplificazione in cui esigenze diverse
(efficacia ed efficienza da un lato, garanzia e pubblicità dall'altro) tendono ad assestarsi "secondo un
rapporto di prevalenza dell'ansia di provvedere rispetto ai valori di garanzia, pubblicità e
completezza dell'istruttoria" e, si è aggiunto, di (almeno) dubbia rispondenza alla logica della
"razionalità procedurale" sì da risultare possibile fattore di "un'amministrazione senza qualità" .
Al riguardo è senz'altro da convenirsi sul fatto che l'amministrazione per essere "buona
amministrazione" ai sensi dell'art. 97 Cost. deve coniugare il risultato (sempre più importante nella
competizione fra sistemi nazionali) con la legalità, ma ad una valutazione attenta della disciplina e
delle ragioni della sua evoluzione - e ferma restando l'avvertenza che ogni strumento giuridico è
suscettibile di miglioramenti - la conferenza decisoria non sembra operare un inammissibile
scambio transattivo della legalità contro l'efficienza e l'efficacia. L'attuale conformazione
dell'istituto, specie con riguardo ai momenti di funzionamento più delicati (assunzione della
determinazione conclusiva, superamento del dissenso qualificato), cerca di contemperare
esigenze diverse, accompagnando l'obiettivo del perseguimento del "risultato" con un
complesso di garanzie procedurali, motivazionali e sanzionatorie.
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Com'è stato efficacemente rilevato in termini generali, "la semplificazione
amministrativa non è finalizzata all'amministrazione ideale, ma all'amministrazione
adeguata" . E questo può senz'altro assumersi anche per la conferenza di servizi decisoria,
chiamata a operare in quello che il dottor Pangloss con tutta probabilità continuerebbe a
ritenere "il migliore dei mondi possibili". ”