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Intervista di Giuseppe Cap- potto, direttore della Società Corale Città di Cuneo, a Carlo Pavese, direttore del “Coro G” di Torino e Presidente di “Eu- ropa Cantat - Torino 2012”, in occasione del Concerto tenuto per i “Dopocena in Corale 2012” a Cuneo in Sala San Gio- vanni, mercoledì 18 aprile 2012. Il concerto di questa sera che cosa ti ha dato, com’è andato, secondo te che, come tutti i di- rettori, sei molto esigente? Mi permetto di guardare il con- certo di stasera dal punto di vista del coro. Lavorare con i giovani vuol dire rinnovarsi sempre, vuole dire, a volte, avere il coraggio di ab- bandonare ciò che si è costruito per creare qualcosa di nuovo, quindi, questa sera per noi il concerto è stato un concerto di “ricostruzione”. E’ stato molto emozionante vedere che il coro è stato capace di gettare dei ponti tra una formazione e l’al- tra: per sei coristi è stata un’esperienza davvero nuova e diversa ed anche per me è stato come dirigere un nuovo “Coro G”, è stato veramente molto bello. Ho avuto modo di cantare nuovamente in questa sala, che sapevo essere molto bella e non vedevo l’ora di essere ancora qui (dopo il concerto con il Coro dei Piccoli Cantori di To- rino dello scorso luglio, n.d.r.): abbiamo anche usato la sala ab- bastanza “in lungo ed in largo”, quindi, riassumendo, direi che per me è stato un concerto molto emozionante. Siamo contenti di questo. Come ti è parsa la risposta del pubblico? Quando, come in questo caso, il pubblico segue davvero così bene, ascolta così tanto, cerca veramente di sintonizzarsi con il coro, si crea la situazione mi- gliore per fare musica davvero adeguatamente. Voi eseguite spesso musica baltica e scandinava, certo entilissimi amici, veniamo oggi a invitarvi personalmente al nostro pros- simo concerto, di cui qui a fianco vedete lo “strillo” in locandina: si tratta di un repertorio che da tempo ave- vamo in animo di affrontare perché riguarda un com- positore come Bruckner, estremamente importante nella Storia musicale europea dell’Ottocento, e perché in grado di gratificare enormemente sia noi cantori che il pubblico. A partire dagli ultimi mesi dello scorso anno, ci siamo quindi dedicati ad uno studio monografico, che ha trat- tato settimana dopo settimana, mese dopo mese, il lungo excursus delle composizioni corali più significa- tive del Nostro, a partire da quella che viene conside- rata la prima di esse (scritta a soli dodici anni) fino all’ultima, che risale a pochi anni prima della morte, scandagliando così tutta la vita del compositore e divi- dendola nei tre periodi che hanno segnato la sua ope- rosa attività: dalle prime opere risalenti al periodo di Sankt Florian, dove Bruckner mosse i primi passi di musicista, attraversando gli anni di Linz, dove divenne famoso, per terminare all’epoca aurea dal punto di vista compositivo, e cioè agli anni in cui operò a Vienna. Molte composizioni sono a cappella, ma alcune acco- stano al coro l’organo, strumento prediletto da Bruck- ner, mentre altre un significativo insieme di tromboni, e altre ancora un “basso continuo” identificato al tempo (e quindi anche da noi) con l’insieme dell’organo con il violoncello. L’amore di Bruckner per il coro è storia nota: quindi non è stato difficile reperire i mottetti più conosciuti, spesso in diverse edizioni, per poi scegliere quelle che più rispondevano all’originale. Qualche fatica in più è stata necessaria, invece, per reperire le opere minori, ma abbiamo così scoperto una vera “miniera” di mate- riali altrettanto suggestivi e coinvolgenti, tanto che la scelta fra quanto rinvenuto, alla fine, è stata ardua. Cre- diamo comunque di poter offrire oggi un itinerario ve- ramente esaustivo e rappresentativo della maestria di un autore troppo poco eseguito e celebrato rispetto alla grandezza delle sue opere. Ancora una volta, insomma, proponiamo un appunta- mento importante. Ma non è tutto qui! Troverete in altra parte del giornale una interessante in- tervista al Maestro Carlo Pavese, Presidente di “Europa Cantat-Torino 2012”, che è stato nostro ospite il 18 Aprile ai “Dopocena in Corale” con il suo straordinario “Coro G”: è il segno che la nostra Rassegna sta pren- dendo sempre più quota in città, presentando nell’ex- chiesa di San Giovanni esecutori e repertori sempre più rappresentativi e raffinati, come per gli appuntamenti di questi giorni con il Quartetto “Falcao” (3 Maggio) e l’insieme vocale “Domino” (10 Maggio). Anche questo è stato uno sforzo organizzativo e finan- ziario veramente significativo, certo ripagato dal livello veramente elevato di tutte e tre le esibizioni. Ci sembra per ora sia tutto. Ma già stiamo pensando a proporre qualcosina di interessante anche per Natale, sempre in città, per tornare alla tradizione degli auguri natalizi in musica. Speriamo con tutto il cuore di incontrarvi tutti in ognuna di queste occasioni. Grazie per essere sempre con noi! G.C. Notiziario Semestrale dellʼAssociazione Culturale di Promozione Sociale “SOCIETAʼ CORALE CITTA DI CUNEO” Via G. B. Bongioanni, 42 - Cuneo Autorizzazione Tribunale di Cuneo n° 6/77 del 03.06.1977 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27.02.2004 n° 46) art. 1, c. 2 e 3, CB-NO/CUNEO SEM. 1 / 2012 - progr. N. 69 G Intervista a Carlo Pavese direttore del coro “G” di Torino “Il coraggio di rischiare qualcosa e confrontarsi” • segue a pag. 4 PropostaCoraleMag12.qxd:PropostaCoraleImpa 3-05-2012 8:49 Pagina 1

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Intervista di Giuseppe Cap-potto, direttore della SocietàCorale Città di Cuneo, a CarloPavese, direttore del “Coro G”di Torino e Presidente di “Eu-ropa Cantat - Torino 2012”, inoccasione del Concerto tenutoper i “Dopocena in Corale2012” a Cuneo in Sala San Gio-vanni, mercoledì 18 aprile2012.

Il concerto di questa sera che

cosa ti ha dato, com’è andato,

secondo te che, come tutti i di-

rettori, sei molto esigente?

Mi permetto di guardare il con-

certo di stasera dal punto di

vista del coro.

Lavorare con i giovani vuol dire

rinnovarsi sempre, vuole dire, a

volte, avere il coraggio di ab-

bandonare ciò che si è costruito

per creare qualcosa di nuovo,

quindi, questa sera per noi il

concerto è stato un concerto di

“ricostruzione”. E’ stato molto

emozionante vedere che il coro

è stato capace di gettare dei

ponti tra una formazione e l’al-

tra: per sei coristi è stata

un’esperienza davvero nuova e

diversa ed anche per me è stato

come dirigere un nuovo “Coro

G”, è stato veramente molto

bello. Ho avuto modo di cantare

nuovamente in questa sala, che

sapevo essere molto bella e non

vedevo l’ora di essere ancora

qui (dopo il concerto con ilCoro dei Piccoli Cantori di To-rino dello scorso luglio, n.d.r.):abbiamo anche usato la sala ab-

bastanza “in lungo ed in largo”,

quindi, riassumendo, direi che

per me è stato un concerto

molto emozionante.

Siamo contenti di questo.

Come ti è parsa la risposta del

pubblico?

Quando, come in questo caso, il

pubblico segue davvero così

bene, ascolta così tanto, cerca

veramente di sintonizzarsi con il

coro, si crea la situazione mi-

gliore per fare musica davvero

adeguatamente.Voi eseguite spesso musica

baltica e scandinava, certo

entilissimi amici,veniamo oggi a invitarvi personalmente al nostro pros-simo concerto, di cui qui a fianco vedete lo “strillo” inlocandina: si tratta di un repertorio che da tempo ave-vamo in animo di affrontare perché riguarda un com-positore come Bruckner, estremamente importantenella Storia musicale europea dell’Ottocento, e perchéin grado di gratificare enormemente sia noi cantori cheil pubblico.A partire dagli ultimi mesi dello scorso anno, ci siamoquindi dedicati ad uno studio monografico, che ha trat-tato settimana dopo settimana, mese dopo mese, illungo excursus delle composizioni corali più significa-tive del Nostro, a partire da quella che viene conside-rata la prima di esse (scritta a soli dodici anni) finoall’ultima, che risale a pochi anni prima della morte,scandagliando così tutta la vita del compositore e divi-dendola nei tre periodi che hanno segnato la sua ope-rosa attività: dalle prime opere risalenti al periodo diSankt Florian, dove Bruckner mosse i primi passi dimusicista, attraversando gli anni di Linz, dove divennefamoso, per terminare all’epoca aurea dal punto di vistacompositivo, e cioè agli anni in cui operò a Vienna.Molte composizioni sono a cappella, ma alcune acco-stano al coro l’organo, strumento prediletto da Bruck-ner, mentre altre un significativo insieme di tromboni, ealtre ancora un “basso continuo” identificato al tempo(e quindi anche da noi) con l’insieme dell’organo con ilvioloncello.L’amore di Bruckner per il coro è storia nota: quindinon è stato difficile reperire i mottetti più conosciuti,spesso in diverse edizioni, per poi scegliere quelle chepiù rispondevano all’originale. Qualche fatica in più èstata necessaria, invece, per reperire le opere minori,ma abbiamo così scoperto una vera “miniera” di mate-riali altrettanto suggestivi e coinvolgenti, tanto che lascelta fra quanto rinvenuto, alla fine, è stata ardua. Cre-diamo comunque di poter offrire oggi un itinerario ve-ramente esaustivo e rappresentativo della maestria diun autore troppo poco eseguito e celebrato rispetto allagrandezza delle sue opere. Ancora una volta, insomma, proponiamo un appunta-mento importante.Ma non è tutto qui!Troverete in altra parte del giornale una interessante in-tervista al Maestro Carlo Pavese, Presidente di “EuropaCantat-Torino 2012”, che è stato nostro ospite il 18Aprile ai “Dopocena in Corale” con il suo straordinario“Coro G”: è il segno che la nostra Rassegna sta pren-dendo sempre più quota in città, presentando nell’ex-chiesa di San Giovanni esecutori e repertori sempre piùrappresentativi e raffinati, come per gli appuntamentidi questi giorni con il Quartetto “Falcao” (3 Maggio) el’insieme vocale “Domino” (10 Maggio).Anche questo è stato uno sforzo organizzativo e finan-ziario veramente significativo, certo ripagato dal livelloveramente elevato di tutte e tre le esibizioni.Ci sembra per ora sia tutto. Ma già stiamo pensandoa proporre qualcosina di interessante anche per Natale,sempre in città, per tornare alla tradizione degli augurinatalizi in musica. Speriamo con tutto il cuore di incontrarvi tutti in ognunadi queste occasioni.Grazie per essere sempre con noi!

G.C.

Notiziario SemestraledellʼAssociazione Culturale

di Promozione Sociale“SOCIETAʼ CORALE CITTA DI CUNEO”

Via G. B. Bongioanni, 42 - Cuneo

Autorizzazione Tribunale di Cuneo n° 6/77 del 03.06.1977Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003

(Conv. in L. 27.02.2004 n° 46) art. 1, c. 2 e 3, CB-NO/CUNEO

SEM. 1 / 2012 - progr. N. 69

GIntervista a Carlo Pavese direttore del coro “G” di Torino

“Il coraggio di rischiarequalcosa e confrontarsi”

• segue a pag. 4

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“L’unico compositore del nostro tempo ad essere capacedi estrarre la luce dalle tenebre”, disse Hugo Wolf diAnton Bruckner: una “luce” innocente, tinta dei colori ru-stici della campagna ottocentesca austriaca, quella diquesto timido ometto grasso e tondo, che mezzo secolodopo la sua morte incantò ancora Schoenberg e Berg, eprima ancora aveva convinto Wagner e Mahler, i quali nelodavano senza posa la tensione visionaria e le compattesonorità corali.Era nato nel 1826 ad Ansfelden, un piccolo paese in AltaAustria, figlio di un maestro elementare che morì in gio-vane età: Anton venne quindi educato come puero can-tore nell’Abbazia di Sankt Florian ed iniziò presto alavorare anche lui come maestro di scuola e insegnantedi musica. A vent’anni fu nominato organista proprio diSankt Florian, e dieci anni dopo, per concorso, divennetitolare al Duomo di Linz.In questa città, ben più ricca e avanzata della piccolaSankt Florian, iniziò a studiare con regolarità Armonia,Contrappunto ed Orchestrazione, e divenne anche diret-tore di coro in un gruppo di voci maschili, per cui scrissetra l’altro una quarantina di brani, quasi tutti di genereprofano.Nel 1868, infine, fu nominato organista di corte e inse-gnante al Conservatorio di Vienna, dove trascorse il restodella sua vita fino alla morte, avvenuta nel 1896.Come si può facilmente intuire, si trattò di una vita umile,dedita interamente all’arte, all’insegnamento ed alla fedecristiana, che il repertorio che proponiamo vuole riper-correre passo per passo, per oltre un cinquantennio,dalle prime righe composte nell’ambiente di Sankt Flo-rian (a cui il Maestro rimase sempre legatissimo e dovegiace sepolto, ai piedi del suo amato primo organo) finoai successi degli ultimi anni, soprattutto di pari passo conle sue Nove Sinfonie.

Va subito detto che quasi tutte le pagine mottettisti-che di Bruckner vennero scritte prevalentemente sucommissione, per occasioni ben precise o celebrazioni li-turgiche particolari in luoghi ben definiti, e questo spiegaperché nella prima parte della sua vita furono così nu-merose, essendo legato il Nostro al lavoro di derivazioneecclesiastica, almeno fino al trasferimento a Vienna.

I suoi primi passi compositivi corali, quindi, li mossenell’ambiente liturgico: la sua prima pagina conosciuta èun “Pange lingua” a quattro voci a cappella che porta ilnumero di catalogo WAB 31 (la sigla è l’acronimo di Wer-kverzeichnis Anton Bruckner, una catalogazione del 1977che non numera le opere in ordine cronologico ma alfa-betico), un breve brano accordale scritto probabilmentefra il 1835 ed il 1836, quindi a soli dieci anni.

Dopo qualche altra pagina di secondaria importanza,giunto a Sankt Florian, Bruckner mette in musica un paiodi “Asperges me” (proponiamo il WAB 4, ancora perquattro voci a cappella) e vari “Pange lingua” e “Tantumergo” (questi ultimi due sono i testi che Bruckner ha piùfrequentemente musicato), che mettono in luce alcunedelle peculiarità musicali del suo stile compositivo comei ritardi di nona e seconda e le concatenazioni fra tona-lità in relazione di terza le une con le altre: fra questi, pro-poniamo il “Tantum ergo” più interessante, quel WAB42 del 1846, che nelle sue progressioni cromatiche ri-manda allo Schubert più maturo.

Il Nostro continuò a preparare musiche per occa-sione, da corali protestanti a pagine per il rito dei defuntiin lingua tedesca, ma è con il “Libera me” WAB 22 del’54 per coro a cinque voci, tre tromboni, violoncello, con-trabbasso ed organo che si giunge definitivamente allapienezza del suo sentire corale – strumentale: scritto perle esequie del prelato Arneth ed eseguito nuovamente inoccasione del funerale di Bruckner stesso, denota unavibrante ispirazione religiosa che con i suoi passi tempe-stosi come il “Dies irae” lascia presagire la tensioneeroica delle Sinfonie (la prima delle quali – WAB 101 -sarà scritta solamente a 40 anni, nel 1866, e per giuntaverrà rielaborata numerose volte).

La prima “Ave Maria”, a quattro voci ed organo, èdel 1856, e secondo molti critici è da annoverare fra lepagine più belle, trattenendo ancora accenti mozartianima variando insolitamente la scrittura dal rigore polifo-nico dell’avvio fugato all’intensificazione espressiva edrammatica su parole come “Jesus” e alla quieta dol-cezza dell’episodio “Sancta Maria”, ai motivi affidati allevoci soliste femminili.

Tutte queste opere, composte a Sankt Florian, risul-tano caratterizzate da una certa varietà stilistica dovutacertamente al fatto che il compositore, che non avevaancora ricevuto un insegnamento regolare se non perbrevi periodi, stava sviluppando il suo stile tramite lo stu-dio pratico del repertorio musicale che frequentava: latradizione musicale austriaca, soprattutto le composi-zioni di Michael e Joseph Haydn, Mozart e Schubert,come anche quelle di Bach e Mendelssohn, costituì in-fatti la base tecnica su cui Bruckner lavorò in quegli anni,

iniziando comunque ad edificare la sua poetica che so-stenne poi per sempre anche il suo stile compositivo piùmaturo.

La seconda “Ave Maria” risale invece a qualche annodopo, al 1861, al primo periodo di Linz, ed è un mottettoa sette voci a cappella, caratterizzato da frequenti varia-zioni di dinamica e di clima espressivo: senza dubbio unadelle composizioni più significative di questo periodo, tral’altro forse la più conosciuta ed eseguita dai cori di tuttoil mondo.

L’offertorio “Afferentur regi” WAB 1, invece, ritornaal coro accompagnato, per l’esattezza da tre tromboni eda un organo ad libitum, che però noi non schieriamo,per poter dare a questa breve pagina un colore più in-timo e delicato, che si riferisce nel testo all’episodio bi-blico delle Vergini al Tempio. Si nota quil’approfondimento dottrinale iniziato da Bruckner, chesceglie per l’attacco una rigorosa disposizione canonicadelle voci.

Il secondo “Pange lingua” del nostro repertorio (co-nosciuto anche come “Tantum ergo” – ma anche qui civiene in soccorso la catalogazione ufficiale, WAB 33) ri-sale quindi al gennaio 1868, ed è scritto in modo frigio,in osservanza alla recente norma ceciliana che imponevail recupero del modalismo gregoriano della chiesa d’Oc-cidente: si tratta di una composizione strofica, con l’iden-tica ripetizione melodica su tre delle strofe del celebreInno attribuito a San Tommaso d’Aquino.

Il periodo di Linz si chiude con la sublime linearità delmirabile “Locus iste” (1869): il dolce melodismo canta-bile di queste semplici note non ha avuto eguali nel pa-norama contemporaneo, quasi contraddicendo la cifratutta bruckneriana dell’esasperato modalismo che grandifrutti avrebbe dato nel periodo viennese.

Giungendo quindi nella capitale dell’Impero Au-striaco, Bruckner infila in nove anni cinque Sinfonie edun “Requiem” prima di dare alla luce un altro mottettodedicato alla Vergine Maria, “Tota pulchra es”, per quat-tro voci miste (e una voce di tenore solista) accompa-gnate dall’organo: qui si recupera in pieno il patrimoniomelodico gregoriano, anche nella struttura marcata-mente antifonale del brano; dall’atmosfera ingenua-mente suggestiva della prima parte, si passa all’impetoluminoso dell’episodio “Tu laetitia Israel”, a chiarire lasempre latente peculiarità drammatica di Bruckner, cheriveste di emozione una materia altamente simbolicacongedandola alla fine in un clima di estatico mistero.

Il timbro arcaico e l’osservanza gregoriana si colgonoappieno anche nel graduale “Os justi”: questa pagina siaffida però anche ad una nuova sapienza contrappunti-

stica, evidente nell’articolazione fugata dell’episodio “Etlingua ejus”, in cui il Nostro si dichiara esplicitamente os-servante della maestria palestriniana. Ma la chiosa mo-dale dell’”Alleluia” finale riporta quasi all’innocenzarinnovata del tono iniziale.

Ancora il fervore del recupero gregoriano, quindi ti-pico di questa fase compositiva, si ritrova nel “Salvumfac populum tuum”, una pagina rimasta a lungo mano-scritta, in cui il coro misto viene impiegato quasi come un“falso bordone” in un’atmosfera ancora antifonale fra iTenori soli ed il Tutti.

Pagina di raro vigore, lo splendido “Christus factusest” WAB 11 a cappella vive invece pienamente l’età e lospirito delle grandi Sinfonie coeve: la ieraticità dell’at-tacco iniziale non fa che preludere ad una urgenza dram-matica, ad una tensione pressante e ad una remotaangoscia che neppure il finale quietato riesce a smen-tire.

E anche l’antifona “Ecce sacerdos magnus”, percoro misto, tre tromboni ed organo del 1885, scritto peril giubileo millenario della Diocesi di Linz, ha una magni-ficenza che riecheggia il glorioso “Te Deum” per soli, coroed orchestra terminato solo da qualche tempo: la partepiù bella, a parere di molti, è la seconda, quando il corointona il corale “Gloria Patri” a cappella, ove si coglie an-cora l’influsso gregoriano, prima del pacato e religiosochiudersi dell’opera nel progressivo diminuendo fino alpianissimo finale.

Il “Virga Jesse” recupera a cappella il rilievo sinfo-nico del “Christus factus est”, con la sua concitazionecrescente che trionfa radiosamente nell’ ”Alleluja”, ap-pena placato dall’attenuazione dinamica conclusiva, econclude un anno, il 1885, dedicato integralmente allaproduzione corale.

Infine, nel 1891, proprio dopo aver condotto una re-visione del primo “Pange lingua” composto nella primaadolescenza, Bruckner compone l’ultimo mottetto “Ve-xilla Regis”: in questa pagina, complessa ed articolata,egli ritorna al modalismo frigio, attraverso però un’insi-stita scrittura cromatica: un finale in attenuazione, dun-que, certo indi-cativo dell’evolu-zione idioma-tica di Bruckner,già sofferente etutto intento aterminare la suaultima Sinfonia.

GiuseppeCappotto

Anton Bruckner e i suoi mottetti

ANTON BRUCKNER (1824 - 1896)

MOTTETTI

SANKT FLORIAN (1845 - 1856)

Pange lingua (Inno) (WAB 31)- 1835 in do maggiore per coro misto a quattro voci a cappella

Asperges me (Antifona) (WAB 4) - 1844 in fa maggiore per coro misto a quattro voci a cappella

Tantum ergo (Inno) (WAB 42) - 1846 in re maggiore per coro a misto a cinque voci e organo

Libera me (Responsorio) (WAB 22) - 1854 in fa minore per coro misto a cinque voci, tre tromboni,organo e basso

Ave Maria (Antifona) (WAB 5) - 1856 in fa maggiore per coro misto a quattro voci e organo

LINZ (1856 - 1869)

Ave Maria (Antifona) (WAB 6) - 1861in fa maggiore per coro misto a sette voci a cappella

Afferentur regi (Offertorio) (WAB 1) - 1861 in fa maggiore per coro misto a quattro voci, tre trom-boni e organo ad libitum

Pange lingua (Inno) (WAB 33) - 1868in modo frigio per coro misto a quattro voci a cappell

Locus iste (Graduale) (WAB 23) - 1869 in do maggiore per coro misto a quattro voci a cappella

VIENNA (1869 - 1896)

Tota pulchra es (Antifona) (WAB 46) - 1878 in modo frigio pertenore solista, coro misto a quattro voci e organo

Os justi (Graduale) (WAB 30) - 1879in modo lidio per coro misto a otto voci a cappella

Salvum fac populum tuum (Antifona) (WAB 40) - 1884in modo lidio per coro a quattro voci a cappella

Christus factus est (Graduale) (WAB 11) - 1884in re minore per coro misto a quattro voci a cappella

Ecce sacerdos magnus (Antifona) (WAB 13) - 1885in la minore per coro misto a otto voci, tre tromboni e organo

Virga Jesse floruit (Graduale) (WAB 52) - 1885in mi minore per coro misto a quattro voci a cappella

Vexilla regis (Inno) (WAB 51) - 1892in modo frigio per coro misto a quattro voci a cappella

____

Praeludium (WAB 130) - 1847in re minore per organo

Aequalis I – Aequalis II (WAB 114) - 1847 in do minore per insieme di tromboni

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Page 3: “Il coraggio di rischiare qualcosa e confrontarsi” - mdata.it · Intervista di Giuseppe Cap-potto, direttore della Società Corale Città di Cuneo, a Carlo Pavese, direttore del

Una sinfonia di Bruckner, la Nona,fu la prima composizione diretta,

a venti anni, da Furtwängler. Il Maes-tro continuò poi regolarmente a es-eguirne le opere, divenendo uno deimassimi interpreti bruckneriani,nonché presidente della DeutscheBruckner- Gesellschaft. Il testo chequi si riproduce fa parte di un dis-corso tenuto nel 1938, durante una ri-unione di quella Società.[…] La diffusione della musica diBruckner, paragonata ad altre correntimusicali, ha seguito una via del tuttoparticolare, anomala. Si impose apoco a poco: dopo i precedenti diLöwe, Schalk e Nikisch, i direttorid’orchestra posero sempre maggiorconfidenza con queste sinfonie, ricchedi grandi possibilità.Ma la parola assunse un peso essen-ziale per la conoscenza più approfon-dita di Bruckner. Non penso qui agliscritti puramente biografici, ma ai ten-tativi di eminenti musicisti e studiosidi spiegare l’arte di Bruckner e i suoifondamenti teorici. Tutta una lettera-tura si volse verso questa musica lon-tana dal mondo, fornendole validistrumenti per farla trionfare sulle op-poste ideologie. Operando in questadirezione, August Halm concepì lateoria delle due culture musicali, di-stinguendo il mondo di Bruckner (nelquale colloca anche Bach) da quellodi Mozart e Beethoven, cioè i classicipropriamente detti […].A ciò occorre obiettare che non è le-cito valutare Beethoven secondo unmetro bruckneriano. Con lo stesso cri-terio, anche a Bruckner potrebbe ap-plicarsi un giudizio fondato su unmetro beethoveniano; se si ammettel’esistenza di due culture musicali, bi-sognerebbe cominciare con l’evitaredi sottoporre a confronto proprio ciòche al confronto sfugge.Con simili argomenti, non si rende unservizio a Bruckner […]. Non si può

negare, tuttavia, che il movimento didiffusione di Bruckner sia sulla viamigliore per recuperare ciò di cuiBruckner doveva sentire la mancanza,nel corso della sua vita, pervenendo aldi là dello scopo, a una sorta di orto-dossia. Questa, peraltro, ha anche ilsuo risvolto negativo. L’ ortodossiawagneriana e quella brahmsiana, di-ciamo pure i “wagneriani” e i “brahm-siani”, anche se forse erano inevitabiliai loro tempi, hanno provocato sol-tanto disastri nell’età successiva. GiàGoethe disapprovò la mania dei tede-schi di contrapporre sempre l’ uno all’altro, di rompersi il capo per stabilirese fosse più grande lui o Schiller, in-vece di tenersi contenti al possedere

due personalità di tale statura.Oggi il conflitto Wagner-Brahms è datempo risolto; sappiamo che drammamusicale e musica pura possono coe-sistere senza escludersi. Cionono-stante, wagneriani e brahmsiani nonvogliono morire. La vecchia ostilitàcontinua a vivere nelle loro menti esembra quasi che la contrapposizioneBrahms-Bruckner debba in qualchemodo essere considerata la propag-gine di quella […]. A parte tutto que-sto, gli slogan significano davveropoco per un caso come quello diBruckner. Lo si porti sugli scudi perragioni che chiameremo confessio-nali, o lo si consideri l’incarnazionedel paesaggio dell’Austria superiore,

si tratta pur sempre di atteggiamentiche, anche se in qualche particolareappropriati, non si addicono alla vastarealtà della sua personalità. Anche ildefinirlo come particolarmente rap-presentativo dello spirito artistico ger-manico non significa molto: è unadefinizione che si addice benissimoanche a Brahms. V’è da rifletterequando (come evidente conseguenzadegli aneddoti, per lo più assai ten-denziosi, diffusi sulla sua personalità)egli viene esaltato come l’artista inge-nuo, quietamente raccolto nella suafede infantile: ritratto senza dubbiocommovente, ma da non prenderetroppo sul serio. Conosciamo quel-l’atteggiamento invidioso che certa

mediocrità borghese nutre contro igrandi artisti, ai quali, non potendonenegare la grandezza, cerca qualchecosa da rimproverare. Il “cattivo ca-rattere” di Wagner, l’”esasperazionepatologica” di Beethoven, il “filistei-smo” di Brahms, la “mediocrità intel-lettuale” di Bruckner: sono tuttequalificazioni della stessa prove-nienza.Sembra poi particolarmente sospettosentir parlare con tanta ammirazionedell’ingenuità primitiva e della federeligiosa di Bruckner da parte di chidifetta proprio di tutto quel che è in-genuità primitiva e fede: quegli scet-tici ed intellettuali delle grandi città,presso i quali Bruckner sembra daqualche tempo venuto di moda. Nonsi creano grandi opere d’ arte senzaavere in sé le forze più elevate e ilsenso di responsabilità spirituale. Se,dunque, Bruckner appare in questomondo come un estraneo, ciò avvienesoltanto perché egli tiene questomondo in ben scarsa considerazione;perché, nell’ altro, si sente tanto più asuo agio. Il rapporto con la letteratura,cui il movimento di diffusione dellamusica di Bruckner si affida, mostraqui il suo aspetto negativo. L’imma-gine che di Bruckner risulta da un talmodo di procedere è, molto probabil-mente, falsa o bugiarda. La grandiosarealtà della figura semplice e solennedi questo grande artista corre il rischiodi diventare “letteratura”. Ne ha biso-gno Bruckner? […]Anche oggi, mentre Brahms acquistauna risonanza di poco inferiore aquella di Wagner, il peso di Brucknerresta essenzialmente limitato alla sferaculturale tedesca. Io stesso ho direttosinfonie di Bruckner in America, inInghilterra, in Italia: dovunque, lastessa mancanza di comprensione. Enon mi sembra che si possa sperareche, in un prossimo futuro, quest’at-teggiamento cambi […]

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Wilhelm Furtwängler e Bruckner

Per quanto non si possa affer-mare che sia un autore popo-

lare, Anton Bruckner ha una suapresenza nel repertorio, che gliassicura una certa visibilità a ca-vallo tra i classici e i tardo ro-mantici. La prima ragione è deltutto oggettiva: Bruckner è unautore di cui il repertorio dellegrandi orchestre sinfoniche nonpuò fare a meno. E ciò vale, al-meno in parte, anche per i diret-tori d’orchestra. Ne è riprova ilfatto che dove si dà una tradi-zione sinfonica consolidata, ossianon soltanto in Austria e in Ger-mania ma anche in Inghilterra edi riflesso negli Stati Uniti, Bruck-ner è stabilmente eseguito e trat-tato con tutti gli onori; assaimeno invece in Italia e in Francia,paesi nei quali una tradizione sin-fonica altrettanto consolidata, al-meno per quanto riguardal’Ottocento, storicamente nonesiste. Vero è che una certa omo-logazione del repertorio e delleorchestre è da tempo in atto do-vunque e dunque queste distin-zioni sono ormai superate; e diciò Bruckner ha ulteriormentebeneficiato, pur rimanendo fon-damentalmente un autore pro-blematico e non facile.

Il caso di un compositore ope-rante nella seconda metà dell’Ot-tocento e quasi esclusivamentededito alla creazione di sinfonie(in aggiunta figurano solo operesacre vocali, e nel campo dellamusica da camera un pezzounico, peraltro notevolissimo, ilQuintetto per archi), è abba-

stanza raro nella storia di un pe-riodo nel quale proprio il generedella sinfonia era ormai costrettoa coesistere con altre forme diespressione più congeniali allospirito del tempo. Altrettanto raroè il modo in cui Bruckner visse lapropria vocazione di musicista:apparentemente privo di modelli,isolato in una dimensione d’in-tatta devozione, poco o nient’af-fatto disponibile a entrare neldibattito delle idee e delle pole-miche dell’epoca. La sua biografia è così povera diavvenimenti da rasentare l’anoni-mato. Modeste le sue origini (eranato ad Ansfelden, nell’Austriasuperiore, il 4 settembre 1824),provinciali le sue ascendenze (difamiglia contadina, maestro ele-mentare il padre), defilata la suaposizione anche quando entrò incontatto con l’ambiente metro-politano di Vienna, dove pure ri-coprì ruoli istituzionali importanticome insegnante al conservato-rio e all’università. L’immagineche consacra Bruckner è quelladel mite organista della catte-drale di Linz, felice nella sua nic-chia, diligente e fiducioso nellasua attività, in pace con se stessoe con il mondo: dedito solo “aDio e alla musica”, come ebbe adire Liszt. Un’eco di questo mondo spiri-tuale e caratteriale, nel quale co-munemente si vedono gli attributidi un’ingenuità disarmante, diuna specchiata saldezza morale,di una sana robustezza conta-dina occultata dietro la mascheradi una formale timidezza (chi

fosse in realtà Bruckner rimaneper noi, e forse lo fu per luistesso, un mistero), si estendeanche nelle sinfonie; di quelmondo, e delle sue esperienze,serbando anche spiccati tratti sti-listici quasi immodificabili, nellatendenza a sentire la musica,anche nei momenti più profani,come un inno di lode a Dio mo-dellato sulle sonorità solenni del-l’organo. Fede in Dio di unfervente cattolico (legatissimo airiti della liturgia), sensibile allemanifestazioni della gloria divinasommamente incarnate nella fi-sionomia fisica, storica e spiri-tuale, del paesaggio, e di quelloaustriaco in particolare, che perBruckner rimase sempre il pae-saggio dell’anima: il bosco e lacampagna, il ruscello e il villag-gio, la chiesa e la scuola, il ballocampestre e l’abbazia. L’abbazia,soprattutto; e una su tutte, quelladi Sankt Florian, dove avevacompiuto il suo apprendistato enella quale vide sempre un centrodi auguste memorie e di nobileraccoglimento, tanto caro daesser scelto per tempo comeluogo dell’eterno riposo: la criptasotto il “suo” organo, il luogo diculto bruckneriano per eccel-lenza.Esiste però una biografia som-mersa di Bruckner, ed è quellache ci rivela la sua musica, fruttodi un continuo, instancabile su-peramento. Superamento, forse,anche di un’angoscia repressa,che cerca e trova nell’arte losfogo inconscio negato alla vita.Le cattedrali sonore di Bruckner

sono, come ha scritto Max Graf,“l’ultima grande musica barocca,da ascoltarsi nelle grandi chiesea cupola, dove masse di luce ed’ombra fasciano le colonne, lenicchie e le volte, dove schiered’angeli dorati calano sugli altari,dove splendono immagini dimarmo, dove oro ed affreschiinebriano i sensi e tuonano organipossenti”. Ma sono anche, perconverso, organismi che si muo-vono in piena autonomia struttu-rale, retti da un sensodell’equilibrio e delle proporzioniche, per quanto dilatato a dismi-sura, ambisce alla misura clas-sica, all’architettura ariosa e in sécompiuta, senza orpelli: edifici ro-manici e gotici al tempo stesso,che guardando da una prospet-tiva astorica ma non decadenterealizzano l’ideale della musicaassoluta. Pertinace in Bruckner èla convinzione che la sinfonia nondebba abbandonare mai la formaprimaria in quattro movimenti:due possenti colonne esterne in-corniciano sempre i due movi-menti centrali - l’Adagio e loScherzo, sempre in questa suc-cessione, salvo che nelle termi-nali Ottava e Nona - in un arcoteso e grandioso.Anche il vissuto appare trasfigu-rato nelle misure dell’arte. Vere eproprie fissazioni connotanocome un filo rosso la concezionesinfonica di Bruckner: il tremolocome simbolo del risvegliarsioscuro della coscienza, punto dipartenza di un cammino di inizia-zione che converge verso la ce-lebrazione del corale, punto di

massima espansione dello svol-gimento in elaborazione; la parti-colarissima tecnica delleprogressioni, consistente nelloslancio verso la conquista diun’affermazione sonora trionfaleimprovvisamente interrotta e so-spesa sul silenzio; lo stile “a ter-razze”, che mutua dall’organo ipassaggi repentini tra registri di-versi se non opposti, trasferen-doli nello spettro della dinamica enella individuazione delle diversefamiglie strumentali. Sono ele-menti che definiscono non sol-tanto uno stile ma anche unapoetica, fatta di precise costanti. In Bruckner, per esempio, i temi,elementarmente predestinati allavita sinfonica, non tendono a svi-lupparsi intrecciandosi, ma acoesistere giustapponendosi: lasua musica non diviene nel corsodel tempo, ma abbraccia il corsodel tempo riempiendolo e con-quistandolo. Il suo andamento èperifrastico e individua nell’errarei propri spazi immaginari, fisici ementali. Le lunghe arcate a cieloaperto delle meditazioni bruckne-riane sospendono il tempo e lospazio in una assorta contempla-zione statica, per trovare poi negliScherzi impulsi ritmici incisivi epalpitanti di vitalità quasi primor-diale, terrena. Sono panoramiche si squadernano nelle massedella grande orchestra con evi-denza plastica e varietà di forme,ma che rimangono sempre sal-damente orientati da un pro-cesso musicale interno, cui èsotteso un programma interiore.

ARTE E COSCIENZA IN BRUCKNER (DI SERGIO SABLICH)

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Page 4: “Il coraggio di rischiare qualcosa e confrontarsi” - mdata.it · Intervista di Giuseppe Cap-potto, direttore della Società Corale Città di Cuneo, a Carlo Pavese, direttore del

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anche perché tu hai studiato in questi Paesi, che

a noi sembrano lontani non solo geografica-

mente. Ma la musica scandinava, baltica e del

Nord Europa in genere, che cosa ha di diverso

dalle altre? Perché a volte ti “prende” così

tanto? Certo, ripeto, tu hai studiato in quei luo-

ghi e conosci molto bene il loro repertorio, ma

potresti spiegare anche ai nostri lettori o a chi

non ha avuto la tua fortuna e la tua bravura

questo valore aggiunto che ci inviti ad esplorare

in questa musica?

Per ricollegarmi all’ultima cosa che mi dici, noncredo sia fortuna o bravura; sicuramente un po’ difortuna per aver avuto una borsa di studio della DeSono l’ho avuta, ed un po’ di supporto dai miei ge-nitori che mi ha aiutato tantissimo: non è così facileandare a vivere in Svezia perché un paese abba-stanza impegnativo sotto molti punti di vista. Più che altro, però, mi ha aiutato la gran voglia difarlo: credo che, al giorno d’oggi, un direttore, unmusicista che vuole davvero cercare di sintoniz-zarsi con il mondo dovrebbe cercaredi viaggiare, a maggior ragione nelmondo odierno, e vedo infatti chemolti cominciano a farlo. Quandol’ho fatto io, effettivamente, non eracosì comune tra i direttori italiani. Mi sono trovato in questa esperienzanon per merito, ma per un’oggettivaforte intenzione di voler studiare unrepertorio che in Italia non era co-nosciuto e, di conseguenza, l’emo-zione di proporlo ad un pubblico chenon lo ha mai ascoltato prima è statogrande, praticamente come effet-tuare delle prime esecuzioni. Inoltrein Svezia mi sono letteralmente innamorato tantis-simo del suono del coro in se stesso: il repertoriomittel-sud europeo è più legato al programma sto-rico della musica classica, mentre il repertorio nor-dico, secondo me, è più legato anche a esperienzed’oltre oceano ed è sintonizzato con altri modi divivere la musica, la concezione del tempo, comead esempio il minimalismo; sono tutti elementi cheportano a scrivere musica che ha nella purezza delsuono, nel colore del suono, nel puro piacere diascoltare il suono del coro, la caratteristica più im-portante. Questo è un pò diverso dal nostro reper-torio, dove ovviamente il suono può esserealtrettanto godibile, mentre la mente è stimolata afare dei percorsi più compositivi; contrariamenteper la musica scandinava la mente deve sintoniz-zarsi in maniera diversa e questo lo trovo un eser-cizio anche utile e vario all’interno di un concerto.Alcuni compositori italiani, come Caldini che ab-biamo eseguito stasera, hanno imparato questa le-zione: penso che in un concerto eseguire Palestrinaed eseguire musica baltico-minimalistica chieda al-

l’ascoltatore diversi tipi di attenzione, diversi tipidi concentrazione e questo, secondo me, è un gio-vamento per il pubblico: la formula del concerto diun’ora, un’ora e mezza, infatti, è una formula im-pegnativa (a volte anche troppo). Oggi siamo abi-tuati a questa formula, ma ogni tanto, dovremmoanche metterla in discussione e guardare oltre.Credo che, a volte, variare il tipo di repertorio ed iltipo di ascolto sia un modo per stimolare il pub-blico e permettergli di rilanciare la sua attenzione;stare attenti per un’ora e mezza non è facile, og-gettivamente, salvo che non si abbiano un interesseo una conoscenza molto specifica: per questo pensoche in questo repertorio ci sia anche una varietà in-teressante. Tu hai citato Caldini, che avete cantato stasera;

spesso cantate brani di compositori italiani, di

ragazzi, di giovani: tra questi ve ne sono alcuni

che, a tuo avviso, siano più facilmente affronta-

bili per i cori amatoriali? Esiste un repertorio

che tu hai esplorato che puoi consigliare?

Non vorrei fare un elenco di nomi,perché ne dimenticherei di sicuroqualcuno e non lo voglio fare; misento di dire, però, che in Italia c’èuna federazione nazionale che com-prende tutte le associazioni regio-nali, la Fe.N.I.A.R.Co., che ha fattoun grandissimo lavoro sul repertoriocontemporaneo anche dal punto divista editoriale. Credo che le pubbli-cazioni delle varie collane edite daFe.N.I.A.R.Co. contengano dellevere e proprie “perle”, con atten-zione anche all’eseguibilità da partedelle formazioni corali amatoriali.

Io credo che i maestri debbano, con umiltà e co-raggio, studiare la musica contemporanea e spie-gare ai loro cori che questa non ha niente di piùdifficile e complesso della musica antica, niente dipiù gravoso da ascoltare, anzi… a volte può esseremolto godibile per i cori. Credo che dai maestri debba partire questa mag-giore attenzione al mondo di oggi; è meravigliosodialogare con il passato, ma è altrettanto meravi-glioso poter esprimere il mondo di oggi e dare dellepossibilità maggiori a chi nel nostro tempo vuolescrivere musica. Vorrei fare un appello generale ad essere aperti edattenti: non voglio dire che tutta la musica com-posta oggi sia musica interessante e ben scritta,come del resto è stato in tutte le epoche, solo chementre il passato ha già fatto la sua selezione, ilpresente non ha ancora potuto farlo; e finchè noneseguiremo la musica contemporanea non la po-tremo selezionare. Bisogna avere il coraggio di rischiare qualcosa econfrontarsi.

“Il coraggio di rischiarequalcosa e confrontarsi”

Dalla prima paginaArte e coscienza in Buckner

Dalla terza pagina

Non mancano a questi paesaggi inquietudini sottili, fulminei abbandonialla depressione e uno strano pudore, dal quale poi riemerge una forzaenergica e compatta. Le interminabili modulazioni, così fitte e avvinghianti da tradursi a voltein un vero e proprio discorso continuamente “aperto”, rimandano a unavisione di instabilità tipica di un atteggiamento nevrotico, del quale moltofarà tesoro Gustav Mahler nelle sue straniate ossessioni; la frattura ormaiquasi completa del periodare strofico, lo stesso moto a spirale delle pro-gressioni melodiche sono aspetti di una forma mentis che mette a duraprova le certezze granitiche dell’armonia in più ampie speculazioni, pertrovare poi nel porto capiente della dottrina del contrappunto un densocompimento. L’idea di totalità viene rifondata in una nuova visione, nel-l’essenza. La problematica del dopo Beethoven, che tanto angustiòBrahms, vi appare come superata, sostituita semmai da una spontaneainclinazione verso Schubert, che porta alla scoperta di una dimensionedi sogno, insieme individuale e universale, e da un’assimilazione pro-fonda, tenace delle tecniche compositive e della strumentazione di Wa-gner, il suo idolo. Anche da questo punto di vista Bruckner ci apparecome un creatore isolato ma attento, che getta ponti saldissimi verso ilfuturo.Proprio la fanciullesca ammirazione per Wagner (si racconta che in suapresenza una volta fosse caduto in ginocchio, letteralmente in adora-zione) valse a Bruckner più di un’incomprensione alla sua epoca. Avevaavuto l’ingenuità di dedicargli la Terza Sinfonia, infilandoci anche qual-che tema della Tetralogia. La cricca Hanslick-Brahms, che spadroneg-giava a Vienna, si mise immediatamente all’opera: la prima esecuzione,il 16 dicembre 1877, fu accompagnata da una tempesta costante di de-risioni e di fischi, seguita dall’abbandono in massa della sala all’ultimotempo: alla fine vi si trovavano, con l’autore, non più di una dozzina dipersone. Ciò non gli impedì di perseverare e di concepire per Wagner,nell’Adagio funebre della Settima Sinfonia, una delle più struggenti ce-lebrazioni della morte di un grande che la storia della musica ci abbiatramandato. Anche in questi casi Bruckner non perdeva la sua imperturbabilità, ri-mettendosi alla volontà del Signore, del quale era servo fedele, senza ri-sentimenti per chicchessia. Solo una volta, richiesto dall’imperatoreFrancesco Giuseppe su che cosa si potesse fare per lui, rispose umil-mente: “Guardi, Vostra Maestà, se può ottenere che questo Hanslickscriva un po’ meno scortesemente di me”. Erano questi i suoi modi.Non stupisce che venisse etichettato come un debole e che gli amici, ocoloro che credevano in lui, si affannassero per venirgli in soccorso.Agli allievi che si permettevano di consigliare o appartare ritocchi allesue partiture al fine di renderle più abbordabili non si oppose mai condecisione: forse anche quello era un segno della divina Provvidenza. Maoggi che conosciamo per filo e per segno le sue intenzioni e che pos-siamo ritornare alle lezioni originarie, ci accorgiamo di quanto superiorifossero le sue intuizioni, coerenti le sue ampie elaborazioni, soprattuttonecessarie da cima a fondo.Bruckner fu una figura contraddittoria, inesplicabile e in parte quasi as-surda. Il lascito musicale ribadisce la sua grandezza, ma lascia irrisoltol’enigma sui rapporti non soltanto tra vita e arte, ma anche tra arte e co-scienza. L’impressione monolitica di monumentalità deriva in primoluogo dal fatto che egli, nelle sue nove Sinfonie (più due giovanili senzanumero), sembra comporre sempre lo stesso tipo di sinfonia, compieresempre lo stesso tragitto dalle tenebre alla luce. Per quanto possa va-riare la qualità e il formato, il modello di fondo rimane inalterato e indi-vidua una concezione del mondo. Come definirla? Forse, al tempo stesso, immanente e predestinata.Resta però il mistero di che cosa si celi dietro questa incrollabile fiducianell’eloquenza della sinfonia: un sisma profondo e sotto certi aspetti de-vastante. E’ dalla relazione tra questi aspetti che trae vigore e interessela creazione artistica di Bruckner. Per un estremo paradosso la sua ul-tima Sinfonia, dedicata nientemeno che “al buon Dio”, rimase incom-piuta, monca proprio di quel finale che ne avrebbe dovuto suggellarel’apoteosi. Quest’erma sublime che chiude il periplo della vita artistica di Brucknersuggerisce un’incompiutezza che retrospettivamente si riflette su tuttala sua figura: un tratto straordinariamente moderno. Ma senza drammi,senza residui di una coscienza della crisi. O almeno senza segni este-riormente apparenti. Nel pomeriggio dell’11 ottobre 1896, mentre com-poneva al pianoforte il finale della Nona Sinfonia, Bruckner fu preso daun brivido, chiese del tè caldo, si mise a letto e molto semplicemente,semplicemente com’era vissuto, morì. E fu tutto.

Saggio pubblicato in memoria di Sergio Sablich, per gentile concessione della rivista “Amadeus” (ed. 30 maggio 2002)

Il tuo 5 x 1000 dell’IRPEF alla Cultura

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