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1 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E AZIENDALI “MARCO FANNO” CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA E DIREZIONE AZIENDALE TESI DI LAUREA “IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE: ANALISI GENERALE DEL FENOMENORELATORE: CH.MA PROF.SSA Elena Sapienza LAUREANDO: Tommaso Zanon MATRICOLA N. 1014536 ANNO ACCADEMICO 2012 2013

IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E AZIENDALI

“MARCO FANNO”

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA E

DIREZIONE AZIENDALE

TESI DI LAUREA

“IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE: ANALISI GENERALE

DEL FENOMENO”

RELATORE:

CH.MA PROF.SSA Elena Sapienza

LAUREANDO: Tommaso Zanon

MATRICOLA N. 1014536

ANNO ACCADEMICO 2012 – 2013

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2

INDICE

INTRODUZIONE 1

1. IL DELISTING: ASPETTI GENERALI 5

1.1. DEFINIZIONE, FISIONOMIE E CARATTERI GENERALI DEL DELISTING 5

1.2. IL TRADE OFF TRA I COSTI E I BENEFICI DEL GOING PUBLIC: I PRESUPPOSTI PER

IL DELISTING 19

1.3. EARNINGS MANAGEMENT E DELISTING 25

1.4. DAL DELISTING AL GOING DARK 29

1.5. FOREIGN LISTING E FOREIGN DELISTING

33

2. DELISTING INVOLONTARIO E DELISTING VOLONTARIO: DUE

DIVERSE TIPOLOGIE DI USCITA DAL MERCATO REGOLAMENTATO 49

2.1. IL DELISTING INVOLONTARIO: UN FENOMENO TIPICO DEL MERCATO USA 50

2.2. IL DELISTING VOLONTARIO E LE OPERAZIONI DI GOING PRIVATE

60

3. IL PROFILO GIURIDICO DEL DELISTING: INQUADRAMENTO

DEL FENOMENO NELLE DIVERSE NORMATIVE

77

3.1. QUADRO NORMATIVO GENERALE DEL DELISTING NEGLI USA 77

3.2. IL REGIME LEGALE DI DELISTING NEI MERCATI REGOLAMENTATI EMERGENTI 85

3.3. IL DELISTING NELLA NORMATIVA ITALIANA 93

CONCLUSIONI 103

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 109

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3

INTRODUZIONE

Il delisting, una manifestazione per molto tempo percepita come complessa e lontana tipica

dei mercati regolamentati statunitensi, ha conosciuto una significativa diffusione a livello

internazionale a partire dalla fine del XX secolo, con grandi ondate di revoche dalle

contrattazioni che hanno interessato i principali listini mondiali, e in particolare quelli

dell’Europa continentale. La recente affermazione del delisting spiega la scarsità di studi e di

lavori di ricerca sul tema, in particolare in ambito europeo, dove soltanto nei primi anni 2000

sono cominciati ad emergere significativi contributi dottrinali improntati su una disamina di

tale fenomeno. Da qui l’interesse a realizzare un’analisi generale a tutto campo del fenomeno

del delisting e dei principali aspetti di carattere economico – finanziario, culturale e giuridico

ad esso connessi, in modo da fornire un quadro d’insieme che quantomeno dal punto di vista

teorico permetta di conoscere maggiormente un fenomeno sempre più ricorrente.

Una delle principali ragioni alla base di questa progressiva espansione del fenomeno sono

senza dubbio da ritenersi gli eventi macroeconomici negativi manifestatisi successivamente

all’avvento del XXI secolo, quali lo scoppio della dot.com bubble nei primissimi anni

Duemila e la crisi economica – finanziaria esplosa nel 2007. Tuttavia sembrano emergere

anche altre driving forces rilevanti che, anche se in un primo momento risultano essere meno

evidenti, hanno giocato un ruolo altrettanto importante nel determinare un numero crescente

di delistings.

Nel primo capitolo, verrà realizzata un’accurata disamina del delisting con l’aiuto della più

significativa letteratura internazionale disponibile sul tema. Fornendo una preview di come

sarà strutturato tale capitolo, occorre precisare come innanzitutto si cercherà di dare

un’adeguata definizione al fenomeno in esame, per poi analizzare i trend che esso ha assunto

nel corso del tempo nei principali mercati regolamentati globali con particolare attenzione al

suo andamento nel mercato borsistico italiano, e le fisionomie e i connotati con cui tende a

presentarsi; verranno poi evidenziati gli effetti positivi e negativi generalmente associati alla

sua manifestazione, seppure i primi sembrino prevalere nettamente sui secondi facendo

supporre già in questa sede preliminare come il delisting sia da considerare una minaccia da

fronteggiare piuttosto che un evento favorevole da ricercare. Verrà inoltre realizzata

un’indagine sulle diverse motivazioni che possono determinare l’uscita di una società dal

mercato regolamentato ove è quotata, e le finalità generalmente perseguite da questa in caso

di abbandono volontario. Congiuntamente a ciò saranno illustrati quelli che possono

considerarsi dei key successuful factors di una listing strategy ovvero dei requisiti che la

società deve necessariamente presentare per poter ambire ad una quotazione duratura e di

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successo, e per allontanare il pericolo di un eventuale delisting. Sin dalle prime battute

saranno rimarcate le importanti differenze esistenti tra i cd. delisting di stampo anglosassone e

quelli di tipo continentale, che sembrano emergere in particolare relativamente alla forma e

alla struttura dell’operazione, alle motivazioni alla sua base, al soggetto promotore, e alle

finalità con essa perseguite.

Sempre nell’ottica di un’analisi generale sul delisting, si è ritenuto opportuno trattare una

serie di argomenti oggetto di grande attenzione per gli studiosi, quali earnings management,

going dark, going public e cross-listing, indagando sui legami significativi che sembrano

presentare con il fenomeno in esame. A tal proposito, verranno analizzati i benefici e i costi

generalmente associati al going public, rimarcando come il sostanziale peggioramento

registrato dal loro trade off abbia contribuito in modo determinante alla recente diffusione del

fenomeno del delisting, e come la perdita dei vantaggi di quotazione sia una delle principali

implicazioni negative conseguenti all’abbandono di un mercato borsistico. In seguito si

approfondirà l’interessante tema dell’earnings management, valutando l’effettiva esistenza

della relazione che pare emergere tra l’aggressività con cui il management della società può

realizzare una manipolazione degli utili di bilancio, tendenza particolarmente ricorrente in

sede di IPO, e il rischio di delisting involontario che grava sulla società. Necessario sarà

anche soffermarsi sull’analisi del fenomeno del going dark, sempre più frequente negli USA,

ovvero del processo con cui una società abbandona più o meno volontariamente il mercato

regolamentato ove è quotata per entrare in un OTC market, valutando le ripercussioni

generate da un tale evento sul prezzo, sulla liquidità e sul rischio del suo titolo. Infine, a

conclusione del primo capitolo si indagherà sui fenomeni di foreing listing e foreign delisting,

identificando i target markets maggiormente interessati da tali eventi, e cercando di

comprendere le finalità che possono spingere una società a quotarsi in un listino differente da

quello domestico, e d’altro canto le motivazioni più ricorrenti alla base della situazione

opposta, ovvero dell’abbandono del mercato estero ove si era quotata; si valuteranno anche gli

importanti effetti prodotti da questi due fenomeni sul prezzo, sulla liquidità e sul livello di

rischio caratterizzanti il titolo della società nell’home market. Nel secondo capitolo verrà

condotta un’accurata analisi delle caratteristiche, della struttura e delle fisionomie riguardanti

le due diverse tipologie di uscita da un mercato regolamentato, dapprima focalizzandosi sulla

fattispecie di delisting involontario, tipica dei mercati regolamentati USA, per poi considerare

la più ampia ed eterogenea categoria di delisting volontari, all’interno della quale assumono

particolare importanza le operazioni di going private, sostanzialmente riconducibili ad OPA e

Fusioni, ma potenzialmente in grado di assumere diverse denominazioni, forme e strutture a

seconda del soggetto che le promuove e delle finalità perseguite.

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5

Nel terzo capitolo infine si cercherà di tracciare un profilo giuridico del delisting, realizzando

un quadro generale di come il fenomeno in trattazione venga regolamentato a livello

internazionale, attraverso una disamina delle principali caratteristiche dei regime legali vigenti

sul tema in tre diversi contesti economici, politici e culturali: USA, Sud – Est asiatico e

Europa continentale.

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6

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7

1. IL DELISTING: ASPETTI GENERALI

Il delisting è un fenomeno che, a causa della considerevole espansione che sta conoscendo a

livello internazionale, è diventato un argomento di rilevante interesse in ambito dottrinale, con

un numero crescente di studi e di ricerche volte ad indagare sui vari aspetti ad esso collegati.

Nel seguente capitolo verrà condotta un’accurata review della più significativa letteratura

internazionale presente sul delisting. Dopo aver inizialmente definito e presentato il

fenomeno, si cercherà di indagare sulle fisionomie e le caratteristiche che esso tende

solitamente ad assumere, per poi proseguire con un’analisi generale su alcuni argomenti, da

più tempo oggetto dell’attenzione degli studiosi, che sembrano presentare dei legami

significativi con il tema in trattazione, quali: earnings management, going dark, going public

e cross-listing. Nello specifico, verrà evidenziato come il sostanziale peggioramento del trade

off tra i costi e i benefici di quotazione abbia costituito i presupposti per le grandi ondate di

delisting verificatesi a livello internazionale con l’avvento del XXI secolo, per poi indagare

sulla relazione che pare emergere tra il fenomeno dell’earnings management e le probabilità

di delisting che caratterizzano una listed company, e sulle caratteristiche esibite dai sempre

più ricorrenti, soprattutto nei mercati d’oltreoceano, processi di going dark, con i quali una

società abbandona il mercato regolamentato ove è quotata per accedere ad un Over The

Counter Market. Infine, ci si focalizzerà sulle grandi ondate di cross-listing che hanno

caratterizzato i principali mercati azionari mondiali negli anni Novanta a cui sono seguiti

numerosi foreign delistings, approfondendo le cause e gli effetti associati ad un tale evento.

1.1 DEFINIZIONE, FISIONOMIE E CARATTERI GENERALI DEL DELISTING

Con il termine delisting si intende la rimozione permanente di un titolo azionario dal mercato

regolamentato ove era quotato, o altresì il processo attraverso cui una società quotata perviene

alla revoca dalle negoziazioni. La parola delisting trova le sue radici nel termine listing, che

rappresenta l’esatta situazione opposta, ovvero l’ammissione del titolo di una società alla

quotazione in un certo mercato borsistico. Con l’ingresso in un listino, una società acquisisce

un valore di mercato riconosciuto e condiviso da un’ampia comunità finanziaria, e permette ai

suoi shareholders di poter scambiare le azioni in loro possesso, e di ottenere così importanti

benefici in termini di liquidità. Con il delisting invece, la società abbandona lo Stock

Exchange perdendo quel valore di mercato precedentemente acquisito, e le sue azioni non

possono più costituire oggetto di negoziazione in quel mercato.

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8

L’operazione di delisting di un titolo da un mercato regolamentato è denominata a livello

internazionale anche con l’appellativo di going private o public to private1, termini che

denotano chiaramente come a seguito di un tale evento il capitale sociale venga privatizzato,

ovvero ristretto ad un numero limitato di azionisti, e diventi inaccessibile per gli investitori

presenti nel mercato azionario ove la società era quotata.

Il fenomeno oggetto di trattazione, ha conosciuto una significativa diffusione soltanto a partire

dalla fine degli anni Novanta, registrando i livelli di massima espansione nei primissimi anni

2000 a seguito dell’esplosione della dot.com bubble, e successivamente al propagarsi della

crisi economico - finanziaria globale nel 2007, originatasi alla fine dell’anno precedente negli

USA con il problema dei mutui sub prime. A sostegno di quanto asserito, emergono le

evidenze riportate da You (2008), in uno dei più significativi contributi presenti in dottrina

che analizza il delisting in una dimensione internazionale, considerando la totalità delle

imprese revocate dai vari listini mondiali dal 1964 al 2008, e permettendo così di individuare i

patterns che il fenomeno ha assunto nel tempo: nel periodo considerato si sono verificati

complessivamente 73.254 delisting, di cui ben l’80% realizzatesi dopo il 2000.

Altri importanti risultati, che testimoniano come il numero di going privates sia incrementato

in modo considerevole con l’avvento del XXI secolo, sono contenuti nella ricerca, focalizzata

sul mercato USA, condotta da Chaplinsky e Ramchand (2007). Da tale contributo, si evince

che la percentuale di imprese, domestiche e non, che soggiornano in uno dei tre maggiori

mercati regolamentati USA2 per un periodo superiore ai 10 anni è passata da circa il 98% per

le società quotatesi prima del 1980 all’esiguo 30% per quelle che hanno fatto il loro ingresso

in Borsa dal 1990 in poi; con il passare del tempo, si è quindi registrata una netta contrazione

del periodo di permanenza di una società nel mercato regolamentato, che spiega il

significativo incremento, in termini di numero e frequenza, delle operazioni di delisting. La

durata media di quotazione ha subito un drastico calo soprattutto a partire dai primi anni 2000,

passando dai 10 anni registrati a metà anni Novanta, ai soli 5 anni emersi nel 2004, in seguito

al manifestarsi degli effetti provocati dall’esplosione della dot.com bubble, e all’introduzione

nei principali mercati regolamentati di standard di quotazione più rigorosi. Coerentemente con

quanto sopra evidenziato, You, Parhizgari e Srivastava (2012) sottolineano come il gran

numero di imprese approdate alla quotazione nei vari listini mondiali negli anni Novanta,

abbia comportato negli anni successivi la riduzione delle probabilità di sopravvivenza di

ciascuna, poiché l’eccessiva competizione nell’attirare su di sé l’attenzione di analisti e

investitori ha incrementato le difficoltà nel realizzare i benefici teorici connessi alla

1 Da qui in avanti si utilizzeranno in modo alternato questi vocaboli.

2 NYSE, NASDAQ e AMEX.

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quotazione; ciò, associato alle due circostanze sopra menzionate, ha costituito i presupposti

per le grandi ondate di delisting degli anni Duemila.

La recente diffusione del fenomeno del delisting spiega la scarsità di significativi contributi

dottrinali e lavori di ricerca sul tema, soprattutto in ambito europeo, ove il delisting era

percepito sino a poco tempo fa come una manifestazione complessa e lontana, tipica di

mercati maturi e consolidati come quelli Nord americani, e perciò avvolta da un alone di

velato mistero3.

Tuttavia, risulta opportuno precisare come il fenomeno in esame abbia cominciato ad

acquisire maggiore visibilità, e diventare argomento di rilevante discussione in ambito

dottrinale e non, anche a fronte del netto calo delle nuove ammissioni verificatosi negli ultimi

tempi, che ha comportato un sostanziale peggioramento del differenziale IPO4 – Delisting

nella pressoché totalità dei listini mondiali5.

A sostegno di quanto appena affermato, la Figura 1 riporta la situazione relativa al mercato

regolamentato italiano.

FIGURA N. 1: ANDAMENTO DEL DIFFERENZIALE IPO – DELISTING NEL LISTINO DI PIAZZA

AFFARI, DAL 1997 A GIUGNO 2012.

Grafico frutto di un’elaborazione personale. Dati rilevati da http://www.borsaitaliana.it/bitApp/statsearch.bit?

target=statistic&family=group.

3 Negli anni 80-90 del secolo scorso il delisting aveva interessato principalmente il mercato statunitense e quello

canadese. Dalla pressoché totalità degli studi sul tema emerge chiaramente come gli Usa sono da considerarsi i

pionieri di questo fenomeno, successivamente diffusosi in Gran Bretagna, e a seguire negli altri Paesi

dell’Europa Continentale. 4 Initial Public Offering.

5 In particolar modo nei mercati regolamentati dei Paesi più sviluppati.

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L’andamento del mercato italiano negli ultimi 15 anni può essere considerato rappresentativo,

con le dovute precisazioni, di quello che ha caratterizzato gli altri principali mercati

regolamentati dell’Europa continentale, e sembra giustificare la tesi ampiamente condivisa in

dottrina, tra gli altri da You (2008), Macey, O’Hara e Pompilio (2008) e Geranio (2004), in

base alla quale le nuove quotazioni e le uscite dal mercato tendono a seguire rispettivamente i

cicli rialzisti e ribassisti del mercato. Questo diffuso orientamento trova le sue radici nella

teoria del hot and cold market di Helwege e Liang (2004), la quale sottolinea come la

distribuzione delle IPO tenda a concentrarsi nei periodi in cui il mercato presenta un

andamento positivo, ovvero nelle fasi di hot market, mentre viceversa si riduce nei periodi di

mercato al ribasso, di cold market, dove le società quotate sono maggiormente incentivate al

delisting.

Dai contributi di You (2008) e You, Parhizgari e Srivastava (2012) emerge come le

determinanti alla base della significativa estensione a livello mondiale registrata dal fenomeno

del going private successivamente all’avvento del XXI secolo, siano numerose e variegate,

pur presentando non pochi legami tra loro. Queste driving forces possono essere

sostanzialmente riconducibili a tre fattori principali:

all’elevata volatilità che caratterizza l’andamento dei prezzi di mercato in seguito

all’esplosione della crisi economico – finanziaria del 2007, e che ha generato un crollo

della fiducia degli investitori, e di conseguenza una netta riduzione dei trade volumes

sui titoli, e dei relativi valori di mercato di questi ultimi;

ai rilevanti problemi di carattere strutturale e alle inefficienze varie caratterizzanti gran

parte dei mercati regolamentati mondiali, che si mostrano sempre meno capaci di

sostenere, valorizzare e tutelare le società in essi quotate;

all’innalzamento dei requisiti minimi richiesti per la quotazione a seguito

dell’introduzione, nei primi anni 2000, di provvedimenti più rigorosi che hanno reso

più difficile e oneroso mantenere lo status di società quotata. Con riferimento ai Paesi

dell’Unione Europea, occorre inoltre evidenziare come le modifiche apportate alla

normativa comunitaria disciplinante le operazioni di M&A6, ne abbiano favorito la

diffusione, dando un ulteriore slancio ai public to privates.

Sin da queste prime battute, in linea con quanto evidenziato nelle ricerche di You(2008),

Martinez e Serve (2011) e Geranio e Zanotti (2010), è bene precisare come l’ondata di

delisting che ha investito il Vecchio Continente presenta dei connotati ben differenti rispetto a

quelli con cui il fenomeno tende a manifestarsi nei mercati azionari più maturi e consolidati, i

6 Merger and Acquisitions.

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cd. mercati anglosassoni: USA, Canada e UK. Nella maggior parte dei casi infatti, il ritiro dal

listino nei mercati dell’Europa continentale, è stato più o meno espressamente inseguito dalle

imprese, attraverso operazioni di delisting volontario, spesso realizzate tramite M&A o Offerte

Pubbliche di Acquisto (OPA). Limitati sono stati invece i casi di delisting involontario, molto

diffusi nei più competitivi e rigorosi mercati Nord americani, ovvero quelle situazioni in cui la

revoca dalla quotazione è disposta coattivamente dallo Stock Exchange, solitamente a seguito

del venir meno di uno o più requisiti minimi richiesti per la quotazione, di gravi irregolarità

e/o inadempimenti da parte dell’emittente, o più semplicemente per le scarse performance

registrate dall’impresa7. Gli stessi autori evidenziano inoltre, come la revoca dalle

contrattazioni in ambito europeo, e in particolar modo nel mercato regolamentato italiano,

abbia frequentemente riguardato imprese di medio - piccola dimensione e ridotta

capitalizzazione, le cd. small caps8, spesso caratterizzate da performance assai discutibili.

Diversamente da ciò, nei mercati anglosassoni, il fenomeno del delisting ha colpito imprese

con le più svariate caratteristiche in termini di dimensione, market capitalization, performance

economico - finanziarie, storia e provenienza.

Un’altra importante differenza, rimarcata da Martinez e Serve (2011), tra i delisting di stampo

anglosassone e quelli di tipo continentale, riguarda la forma che tende generalmente ad

assumere un’operazione di delisting volontario: nei mercati Nord americani, così come in

quello britannico, sovente una consapevole e volontaria uscita dal mercato regolamentato è

realizzata tramite un’operazione di LBO9, solitamente coadiuvata da investitori istituzionali

come i Fondi di Private Equity, mentre nei mercati regolamentati dell’Europa continentale

molto più ricorrenti sono le già menzionate OPA, nella gran parte dei casi promosse dagli

stessi azionisti di controllo, spesso coincidenti con i soci fondatori dell’impresa che in passato

l’avevano condotta alla quotazione.

Per quanto riguarda le modalità attraverso cui una società può essere delistata, Chaplinsky e

Ramchand (2007) sembrano distinguere tre principali fattispecie esistenti di public to private:

- Imprese che non riuscendo a soddisfare gli standard richiesti per la quotazione, o

avendo commesso particolari inadempimenti e/o irregolarità, o per una qualche altra

ragione, si vedono costrette ad abbandonare le contrattazioni su decisione vincolante

dello Stock Exchange. Sono queste le cd. operazioni di delisting involontario, dove

l’uscita dal mercato prescinde dall’effettiva volontà dell’emittente. Solitamente queste

7 Le due fattispecie esistenti di delisting, volontario ed involontario, verranno singolarmente trattate nel secondo

capitolo. 8 Il sistema imprenditoriale italiano è caratterizzato in prevalenza da small caps, ovvero da aziende di piccola e

media dimensione, spesso a conduzione familiare. 9 LBO o Merger Leveraged Buyout.

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imprese, prima del delisting, erano caratterizzate da performance economico -

finanziarie molto negative e declinanti, e anzi, in certi casi già in sede di IPO

presentavano un assai discutibile stato di salute e quindi un elevato rischio di delisting

nel breve termine, tale da considerare inopportuna la decisione della Borsa di

ammetterle. Spesso, ma non sempre, si tratta di imprese di ridotte dimensioni e

modesta market capitalization10

.

- Imprese che decidono di delistare volontariamente dal mercato borsistico, poiché

necessitano di una maggior flessibilità strategica e gestionale per implementare un

qualche programma di ristrutturazione e/o risanamento, o perché semplicemente non

ritengono più soddisfacente il rapporto tra benefici e costi connessi allo status di

impresa quotata. In altri casi invece, le performance dell’impresa hanno subito un

drastico deterioramento dopo l’IPO, e la decisione di abbandonare le contrattazioni è

quindi da considerarsi soltanto una mossa per anticipare il probabile futuro

provvedimento di revoca dello Stock Exchange. Le società che richiedono

intenzionalmente la revoca dalle contrattazioni spesso sono piccole – medie imprese

con bassa capitalizzazione, che hanno subito un peggioramento delle proprie

performance in seguito all’ingresso nel mercato, evidenziato da un progressivo declino

del prezzo del titolo.

- Imprese che abbandonano il mercato regolamentato successivamente ad un’OPA, ad

un LBO o ad un’operazione di M&A. Solitamente queste imprese sono caratterizzate

da buone performance economico – finanziarie e soddisfano a pieno i requisiti minimi

di quotazione, mostrando quindi di avere la capacità di poter continuare a soggiornare

in modo profittevole nel mercato; tuttavia, in seguito al verificarsi di una delle tre

operazioni sopra menzionate, si vedono costrette ad abbandonare le contrattazioni. A

differenza delle società che delistano volontariamente o involontariamente, le imprese

rientranti in questa categoria presentano le più svariate caratteristiche in termini di

performance, size e market capitalization. Inoltre, in media esse evidenziano un

maggiore livello di prossimità tra le performance registrate in sede di IPO e quelle al

momento del delisting, tale da giustificare come in questi casi, il delisting spesso non

sia una conseguenza del declino del prezzo e della liquidità del titolo azionario.

Pertanto, sia “poor quality” e “low performing company”, che “high quality” e “high

10

Per market capitalization si intende il valore complessivo delle azioni negoziate di una società quotata; si

ottiene moltiplicando il numero di azioni out standing della società per il relativo prezzo di mercato; è una

misura dell’Entreprise Value di una società quotata. La somma delle market capitalizations di tutte le società

quotate in un certo mercato azionario dà il valore complessivo di quel mercato.

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performing company”11

, possono optare, seppur con motivazioni diverse, alla

realizzazione di un’operazione di OPA, LBO o di M&A12

. Queste operazioni, un

tempo tipiche dei mercati anglosassoni, hanno conosciuto una recente diffusione nei

mercati dell’Europa continentale, sia in seguito alla flessibilizzazione della normativa

comunitaria sul tema, sia per l’aumento su questi mercati del numero di rilevanti

investitori istituzionali come Fondi di Private Equity, di Venture Capital e Banche

d’Investimento. Con riferimento alle considerate operazioni di revoca dalle

contrattazioni, potrebbe sorgere qualche perplessità circa la categoria nella quale farle

rientrare. Macey, O’Hara e Pompilio (2008) e Geranio (2004), tendono a risaltare

come la finalità primaria perseguita con esse non sia di certo l’uscita da un mercato

regolamentato; ciò, ne è soltanto una mera conseguenza tecnica, venendo meno alcuni

dei requisiti minimi richiesti per la quotazione. È lo Stock Exchange, pur avendo

pressoché nulla discrezionalità, ad assumere in questi casi la decisione di delistare il

titolo della società. Quanto appena evidenziato, potrebbe quindi indurre a considerare

OPA, LBO e M&A operazioni di delisting involontario. Tuttavia, la dottrina

prevalente13

fa rientrare queste tre differenti fattispecie di going private nell’ambito

dei delistings volontari, sostenendo che, anche se formalmente la decisione di delisting

è assunta dallo Stock Exchange, spesso dietro ad una delle considerate operazioni

sussiste l’intenzione, implicita e secondaria, della società di abbandonare le

contrattazioni, e in ogni caso c’è la piena consapevolezza che la sua realizzazione

comprometterà irrimediabilmente il proseguo della quotazione. Chaplinsky e

Ramchand (2007), anche se maggiormente indirizzati verso questo orientamento

dominante, sottolineano come sia inadeguato fare una rigida e incondizionata

classificazione di queste tre operazioni, facendole rientrare a priori nell’una o

nell’altra categoria; più opportuno pare indagare caso per caso sulle reali motivazioni

che spingono una società a realizzare un’operazione di OPA, di LBO o di M&A,

analizzando accuratamente i comportamenti e le azioni, implicite e non, assunte

nell’ultimo periodo di quotazione dalla società stessa, l’andamento delle sue

performance economico - finanziarie durante il soggiorno nel listino, e le motivazioni

11

Chaplinsky e Ramchand (2007). 12

Alcune imprese scelgono di realizzare un’operazione di M&A, LBO o OPA, perché la considerano l’unica

alternativa possibile al probabile dissesto economico - finanziario a cui sono prossime. Altre imprese invece, pur

presentando delle buone performance, scelgono di fondersi o di essere acquisite perché possiedono degli assets,

o altri valori potenziali, che altre imprese sono disposte a pagare per averli, e quindi a valorizzarli. Più in

generale, tutte e tre le operazioni considerate possono soddisfare l’esigenza di ristrutturazione della corporate

governance che un’impresa può presentare in particolari momenti della sua vita. 13

Tra i tanti vedi: Geranio e Zanotti (2010), Martinez e Serve (2011), Chaplinsky e Ramchand (2007),

Renneboog, Simons, e Wright (2007) e You (2008).

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che sostavano dietro alla passata scelta di quotarsi. Secondo i due autori, soltanto

procedendo in questo modo, si ha una maggior probabilità di comprendere se dietro

alla realizzazione di una delle considerate operazioni sussiste o meno l’effettiva

volontà della società di delistarsi.

Da quanto sinora emerso, pare evidente come il delisting debba essere considerato un

fenomeno altamente negativo, una minaccia da fronteggiare sempre più fortemente negli

ultimi tempi; come rimarcato da Chandy, Sarkar e Tripathy (2004), la manifestazione di un

tale evento potrebbe provocare effetti dannosi per tutti: per la società, che venendo estromessa

dalle contrattazioni rinuncerebbe a tutti i più svariati benefici connessi alla quotazione, per i

suoi shareholders, i quali vedrebbero ridursi nettamente il valore e la liquidità dei titoli

posseduti, per i managers che perderebbero in prestigio, visibilità e motivazione, e per lo

Stock Exchange, che da una parte assisterebbe alla riduzione della sua market capitalization

complessiva e delle opportunità di investimento offerte agli investitori, oltre che al

peggioramento del differenziale IPO - Delisting, perdendo così di attrattività e prestigio, e

dall’altra non potrebbe più beneficiare delle varie commissioni di quotazione e di

negoziazione che la società delistata li riconosceva. In aggiunta a tutto ciò, Macey, O’Hara e

Pompilio (2008) evidenziano come spesso i processi di uscita dal mercato regolamentato

siano lunghi, complessi e costosi, a causa di normative poco trasparenti e inefficaci, e di un

trattamento non egalitario che gli Organi di competenza riservano alle imprese; può infatti

accadere che un’impresa continui a soggiornare in un mercato regolamentato per mesi o

addirittura anni, nonostante manifesti una palese non conformità agli standard di quotazione,

o ancor di più che sia coinvolta in particolari scandali o frodi14

, recando così danno a sè

stessa, ai suoi investitori oltre che al mercato. Emerge quindi la necessità di normative più

chiare e rigorose, che riducano la discrezionalità concessa agli Stock Exchanges nell’assumere

i provvedimenti di revoca, oltre che di una maggior attenzione e competenza degli organi di

Borsa, in modo da regolare più efficacemente i sempre più numerosi processi di delisting15

.

Alcuni autori, tra i quali Renneboog, Simons, e Wright (2007) e Leuz, Triantis e Wang

(2008), hanno realizzato un’analisi più estesa, non limitandosi a considerare le conseguenze

negative associate al delisting, ma risaltandone anche gli effetti e le implicazioni positive. Essi

tendono ad evidenziare come, nel caso una società sia costantemente sottovalutata dal

mercato, e che quindi il prezzo di mercato del titolo non rispecchi il suo reale valore,

l’abbandono delle contrattazioni possa dimostrarsi un evento favorevole per l’impresa e i suoi

14

Numerosi casi negli USA nei primi anni 2000. Enron su tutti. 15

Il tema della regolamentazione del delisting sarà approfondito nel terzo capitolo, nel quale verrà condotta

un’analisi generale su come il fenomeno in esame è disciplinato a livello internazionale.

Page 15: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

15

shareholders, così come quando la stessa presenta la necessità di una maggior flessibilità

strategica e gestionale al fine di attuare un programma di ristrutturazione e/o risanamento.

Inoltre, il going private generalmente comporta un maggior allineamento dei comportamenti e

degli obbiettivi, tendendo così a ridurre lo storico conflitto tra manager e shareholders.

Macey, O’Hara e Pompilio (2008) sottolineano che per certi aspetti il delisting potrebbe

essere considerato addirittura come un fenomeno fisiologico che si manifesta ciclicamente per

compiere una sorta di necessaria selezione delle imprese soggiornanti nei vari Stock

Exchanges, al fine di permettere a quest’ultimi di mantenere elevati livelli di competitività,

efficienza e prestigio. In tal modo, questo processo di pulizia dei mercati regolamentati

tenderà gradualmente ad escludere tutte quelle imprese scarsamente performanti, con

l’obbiettivo di massimizzare il numero di high quality company quotate nel listino, ovvero di

imprese con un buon stato di salute economico – finanziaria, evidenziato da un titolo con un

prezzo di mercato stabilmente elevato e un significativo trade volume. Considerato quanto

appena evidenziato, sembrerebbe che i mercati borsistici dovrebbero incentivare anziché

contrastare i delistings. Tuttavia, i sopra citati autori precisano che una tale affermazione sia

da considerarsi azzardata; la soluzione più ragionevole, come nella maggior parte dei casi,

sembra infatti sostare nel mezzo: il delisting di una società è un fenomeno che presenta

numerose conseguenze negative ed alcuni risvolti positivi, e deve perciò essere analizzato e

valutato ponderatamente caso per caso dallo Stock Exchange. Detto ciò, non tutte le cd. low

quality company, ovvero le imprese con scarse performance economico – finanziarie, devono

essere escluse dalle contrattazioni, o comunque indotte a farlo, nel più breve tempo possibile,

verificando piuttosto l’esistenza di eventuali possibilità di ripresa o di rilancio della società, e

se opportuno, fornirle il necessario supporto cercando di fare quanto possibile per evitarne il

delisting; pertanto, è da ritenere totalmente sconsiderato l’atteggiamento, assunto da diversi

Stock Exchanges negli ultimi tempi, di abbandonare una società al proprio destino o

addirittura revocarla non appena presenta un calo di performance o una qualche non

conformità agli standard di quotazione. In aggiunta a quanto detto, come sostenuto da

Chaplinsky e Ramchand (2007), gli Stock Exchanges dovrebbero evitare un eccessivo

squilibrio tra IPO e delisting, e perciò attuare una sorta di gestione dinamica dei due fenomeni

cercando di regolarne stabilmente l’andamento, in modo da impedire che un’eventuale ondata

di delistings comporti perdite significative per il mercato in termini di attrattività, prestigio e

competitività, e che d’altra parte invece un eccessivo numero di IPO implichi uno smisurato

incremento della competizione tra le diverse società quotate nel listino nell’accaparrarsi i

benefici connessi alla quotazione, realizzabili soltanto attirando l’attenzione di analisti e

Page 16: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

16

investitori sul proprio titolo, portando così alla riduzione delle probabilità di sopravvivenza di

ciascuna.

You (2008) evidenzia inoltre la tendenza di alcuni mercati regolamentati, specie quelli dei

Paesi emergenti, Honk Kong su tutti, di abbassare eccessivamente gli standard di quotazione

al fine di attirare sempre più nuove IPOs e di ridurre le potenziali revoche, con l’obbiettivo di

dare un ulteriore slancio alla già rilevante crescita, misurabile in termini di market

capitalization e volume complessivo delle negoziazioni, che li ha contraddistinti a partire

dalla seconda metà degli anni Novanta. Le preoccupazioni degli autori dottrinali, risaltate

nello studio di You (2008), circa le conseguenze negative che lo sconsiderato comportamento

adottato da questi Stock Exchanges avrebbe potuto generare, si sono rivelate giustificate.

L’elevata deregolamentazione che vige nei mercati borsistici emergenti ha contribuito al

dissesto di molte società quotate che, pur presentando un cattivo stato di salute economico -

finanziario sin dal momento dell’IPO e quindi irrisorie prospettive di un soggiorno

profittevole nel mercato, sono state comunque ammesse alle contrattazioni; il going public

sembra infatti aver inflitto il colpo decisivo a tali imprese, provocandone il tracollo.

Sempre nell’ottica di un’analisi generale del fenomeno, You(2008) e You, Parhizgari, e

Srivastava (2012) risaltano come negli ultimi anni esso abbia interessato prevalentemente i

mercati occidentali, ovvero quelli dei Paesi più sviluppati. Il mercato statunitense, da sempre

considerato il mercato regolamentato per eccellenza, per anni destinazione finale del processo

di crescita ed espansione di numerose imprese nazionali e non, ha registrato una significativa

perdita di attrattività e di competitività in seguito agli eventi verificatesi nel primo decennio

del XXI secolo, rimarcata da un netto calo delle IPOs e da un consistente numero di

delistings. In direzione opposta sembrano muoversi i cd. mercati emergenti, in gran parte

riconducibili a quelli del Sud Est asiatico16

; essi stanno attraversando un periodo di grande

crescita ed espansione, e sono diventati sempre più mercato target di numerose imprese

provenienti dai Paesi vicini, ma anche da Europa e Nord America. Questi mercati infatti, sono

stati toccati soltanto parzialmente dalla crisi economico – finanziaria esplosa nel 2007, e

offrono allettanti opportunità d’investimento per le imprese e gli investitori, oltre che, come

sopra evidenziato, ridotti standard di quotazione e obblighi in tema di disclousure; a

quest’ultimo aspetto però conseguono importanti problemi strutturali del mercato, legati ad

una normativa carente e poco chiara, che non tutela a dovere gli investitori e la concorrenza

tra le imprese, e che pare essere un significativo freno alla definitiva consacrazione di questi

listini.

16

Cina, India, Honk Kong, Singapore, Corea del Sud.

Page 17: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

17

Indagando sui fattori che contribuiscono ad un soggiorno duraturo e profittevole in un

mercato regolamentato, e che perciò tendono ad allontanare il rischio delisting che grava

intorno ad una società quotata, Chaplinsky e Ramchand (2007) considerano fondamentale la

capacità dell’impresa di insediarsi efficacemente sin da subito nel mercato, attirando in modo

persistente l’attenzione di analisti e investitori. Infatti, soltanto con una significativa analyst

coverage17

, ovvero con un elevato livello di market recognition, la società è in grado di

garantire un importante trade volume al suo titolo, favorendone così un andamento positivo in

termini di prezzo e liquidità. Un’impresa che mostra di avere tale capacità, riesce a godere in

misura rilevante dei benefici teorici associati al going public, che l’avevano incentivata ad

accedere al listino, e quindi a sopportare più facilmente i considerevoli costi ed oneri che la

quotazione implica, allontanando il pericolo di un eventuale delisting. Tuttavia, quest’ultimo

aspetto non è di semplice realizzazione, poiché è collegato a numerosi altri fattori. Chaplinsky

e Ramchand (2007) sottolineano che il presentarsi al mercato al momento dell’IPO con un

buon stato di salute economico – finanziaria, ovvero come un’high quality company, e con

una size elevata, in termini di assets ed equity, gioca un ruolo importante nel determinare la

futura capacità dell’impresa di calamitare su di sé l’interesse del mercato. Una società che si

presenta al momento dell’ingresso nel mercato borsistico con dei buoni fundamentals, in

particolare con apprezzabili livelli di earnings, ROA18

, fatturato, e debito, e con una size

rilevante, ha maggiori probabilità di mantenere a lungo lo status di società quotata. A

sostegno di ciò, dallo studio di Li e Zhou (2006), emerge come gran parte delle imprese

delistate dal 1980 al 1999 dai tre principali mercati regolamentati USA, mostravano in sede di

IPO scarsi fondamentali, e spesso erano di dimensioni non particolarmente elevate.

Come sottolineato da Fama e French (2004), sembra esserci una relazione diretta tra prezzo di

collocamento e durata di quotazione. In altre parole, le società che si presentano al mercato

con un prezzo del titolo elevato hanno minor probabilità di incorrere in un delisting nel breve

termine. Infatti, tanto più elevato è il prezzo del titolo in sede di IPO tanto più probabile è che

l’impresa riesca ad attirare sin da subito l’attenzione di investitori e analisti, garantendo un

significativo trade volume delle proprie azioni, e facendo così emergere i presupposti per un

durevole e profittevole soggiorno nel listino.

17

L’analyst coverage è il principale indicatore dell’andamento di un titolo in un mercato borsistico; misura il

livello di investor recognition, ovvero il grado di attenzione posto dal mercato (investitori e analisti) verso

l’impresa e il suo titolo. Tanto più grande è la size dell’impresa e tanto più essa è conosciuta, tanto maggiore

tenderà ad essere la sua analyst coverage. D’altra parte invece, le cd. small caps tenderanno ad assistere,

successivamente alla fase di IPO, ad un progressivo calo del valore di questo indicatore, poiché a causa della

loro ridotta dimensione e modesta market capitalization, sono considerate poco attraenti dal mercato, e analisti e

investitori non sono incentivati a spendere tempo e denaro nel ricercare informazioni e dati su di esse. Il valore

di questo indicatore è misurabile attraverso il numero di opinioni, pareri, articoli e raccomandazioni pubblicate

dagli analisti sull’impresa e sul suo titolo. 18

Return of Assets: indicatore misurante la redditività prodotta dalla gestione operativa di un’azienda.

Page 18: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

18

Fungáčová (2007) evidenzia invece come l’entità del capitale sociale di una società quotata

detenuta da enti pubblici sia inversamente proporzionale alle probabilità di un’eventuale

uscita dal mercato regolamentato della stessa nel medio periodo. Dal suo contributo,

focalizzato su un’analisi del fenomeno del delisting nei mercati regolamentati dell’Est

Europa, si rileva come un aumento dell’1% della frazione di capitale sociale posseduta da enti

pubblici comporti una riduzione dello 0,3% delle probabilità di delisting futuro della società;

ciò pare essere giustificato dal fatto che quando lo Stato o un altro ente pubblico è coinvolto

nella struttura proprietaria di una società, tende ad assumere un ruolo strategico, ovvero mira

a perseguire un piano di ristrutturazione, di risanamento o di crescita ed espansione,

conseguibile con una quotazione a medio – lungo termine.

Un altro importante fattore che può allontanare il rischio delisting che incombe sul titolo di

una certa società, è il capital rising. Per Merton (1987), la decisione di presentarsi in sede di

IPO con un un’offerta pubblica di sottoscrizione (OPS)

19, e di aumentare periodicamente il

capitale sociale durante il soggiorno nel listino, dando così la possibilità ai nuovi investitori

presenti nel mercato di sottoscrivere azioni di nuova emissione, e perciò allargando la quota di

public capital, ovvero della porzione di capitale sociale detenuta da azionisti diversi da quelli

di controllo, aumenta le probabilità di un soggiorno duraturo nello Stock Exchange. Infatti, il

capital rising è considerato una tecnica di sensibilizzazione degli investitori, poiché segnala al

mercato come la strategia di quotazione dell’impresa sia basata su finalità strategiche di

medio - lungo termine e non su propositi speculativi di breve periodo; questo le permette di

attirare stabilmente l’attenzione del mercato e di garantire significativi livelli di trade volume

al proprio titolo. L’elevato livello di commitment che la società ha nel mercato costituisce il

presupposto per una quotazione duratura e profittevole. A sostegno di quanto affermato, dallo

studio di Chaplinsky e Ramchand (2007) emerge come un numero consistente delle imprese

revocate dai tre principali mercati regolamentati USA nel periodo 1961-2004, non abbia

realizzato alcun aumento di capitale successivamente all’ingresso nel mercato regolamentato,

neppure in sede di IPO, e che quindi nessuna azione di nuova emissione sia stata sottoscritta

durante il soggiorno nel listino. Considerato quanto sopra emerso, sembrano dunque

sussistere elementi a sufficienza per sostenere l’esistenza di una relazione inversa tra l’entità

dei capital risings effettuati e la probabilità di revoca dalle contrattazioni.

19

Un’IPO può essere realizzata con un’offerta pubblica di sottoscrizione (OPS), ovvero provvedendo al

momento dell’ingresso nel mercato ad un aumento del capitale sociale, e perciò proponendo agli investitori

azioni di nuova emissione; in alternativa, può verificarsi una semplice offerta pubblica di vendita (OPV), quando

la società quotanda non delibera alcun aumento di capitale, ma si limita a vendere al mercato parte delle proprie

azioni di vecchia emissione. Infine, l’impresa può decidere di adottare congiuntamente le due tecniche, offrendo

al mercato sia azioni di nuova emissione, che quelle già esistenti.

Page 19: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

19

Quando uno o più di questi fattori, considerati di fondamentale importanza per soggiornare

con successo in un mercato borsistico, non si verifica, ecco che per una società quotata

incombe il pericolo delisting. La revoca dalle contrattazioni, se da una parte può conferire

maggior flessibilità strategica e operativa per poter implementare un’eventuale processo di

rinnovamento o ristrutturazione, e libera l’impresa dai rigidi obblighi in tema di disclousure e

dai rilevanti oneri di quotazione, dall’altra, comporta la perdita dei benefici connessi al listing,

in particolar modo di quelli relativi alla facilità d’accesso alle fonti di capitale, alla liquidità

delle proprie azioni, all’avere un valore di mercato riconosciuto e condiviso da un’ampia

comunità finanziaria, e tutti gli effetti positivi in termini di immagine e notorietà conseguiti

con il going public. Come rimarcato da Macey, O’Hara e Pompilio (2008) e da Chandly,

Sarkar e Tripathy (2004), abbandonando il listino la società e i suoi shareholders assistono ad

un drastico calo del prezzo del titolo, che perde in media circa il 50% del suo valore, e della

sua liquidità, evidenziando un netto calo del trade volume, e il triplicarsi del bid ask spread.

Un ulteriore aspetto di carattere generale associato al tema oggetto di trattazione, sul quale

merita brevemente soffermarsi, è il ruolo giocato dallo Stato, e dalle sue istituzioni politiche,

economiche, finanziarie e legali nel contribuire alla crescita del mercato regolamentato

nazionale e nel contrastare il fenomeno del delisting. In tale ambito, assume particolare rilievo

il contributo di Fungáčová (2007), che indaga sullo sviluppo dei mercati borsistici nelle cd.

economie di transizione negli anni Novanta e Duemila20

, e sui connotati che le revoche dalle

contrattazioni hanno in essi assunto. Lo studio in questione, sottolinea come un diverso

processo di privatizzazione, e più in generale un differente operato delle istituzioni abbiano

comportato un percorso di crescita del mercato regolamentato nazionale assai dissimile, pur

trattandosi di Paesi confinanti con caratteristiche geografiche, culturali e storiche molto simili.

Emerge infatti che, mentre Polonia, Ungheria e Slovenia presentano un mercato borsistico in

espansione ed un processo di transizione verso un sistema economico di libero mercato, tipico

dei Paesi più sviluppati, sempre più vicino al raggiungimento degli obbiettivi iniziali cui si era

preposto, la R. Ceca e la R. Slovacca mostrano ancora un significativo livello di sottosviluppo

economico e finanziario, e un mercato regolamentato scarsamente attrattivo e competitivo,

con gravi problemi strutturali. Queste evidenze sembrano sostenere la tesi di Levine e Zervos

(1998), in base alla quale il mercato borsistico svolge un ruolo chiave nel determinare lo

sviluppo del sistema economico e finanziario di un Paese, in quanto incentiva gli scambi e gli

investimenti, drivers principali della crescita di un’Economia.

I diversi livelli di sviluppo economico e finanziario sopra rimarcati, possono essere spiegati

dalle differenti dinamiche con cui è avvenuto il processo di privatizzazione in questi Paesi,

20

Ovvero i Paesi dell’Est Europa, un tempo sotto l’influenza del regime comunista imposto dall’URSS.

Page 20: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

20

avviato nei primi anni Novanta, in seguito alla disaggregazione dell’URSS e alla fine del

regime comunista cui erano sottoposti. Come spiegato da Fungáčová (2007), nei primi, si è

adottato un cd. approccio top down, che prevedeva una graduale e pianificata transizione

verso il libero mercato, e poneva come primaria fondamentale esigenza a cui far fronte la

forte ristrutturazione strategica e organizzativa delle grandi imprese collettiviste,

accompagnata da una significativa riforma delle varie istituzioni politiche, economiche,

finanziarie e legali. Nei due Paesi dell’ex Cecoslovacchia invece, si è adottato un approccio di

tipo bottom up, che ha portato ad un’accellerata e sconsiderata ondata di privatizzazioni, senza

realizzare ex ante un’accurata pianificazione di quello che si presentava come un radicale

cambiamento del sistema economico - finanziario. In questi due Paesi, lo Stato spinse

erroneamente un gran numero di imprese appena privatizzate a quotarsi nel nascituro mercato

regolamentato nazionale, senza considerare la prioritaria e profonda necessità di

ristrutturazione che esse presentavano prima di anche solo poter pensare di accedere al listino,

e l’impossibilità per un mercato appena costituito e con gravi problemi strutturali di poter

accogliere e supportare un così elevato numero di imprese. Fungáčová (2007) evidenzia come

a metà del 1993, neanche un anno dopo la sua attivazione, il Prague Stock Exchange (PSE)

ospitava circa un migliaio di società, e il numero continuò a salire negli anni successivi, fino a

raggiungere la quota record di Maggio 2006, con la bellezza di ben 1792 società quotate;

sebbene per size complessiva fosse addirittura paragonabile ai listini dei Paesi occidentali, la

gran parte delle imprese soggiornanti nel mercato ceco presentava tuttavia delle performance

economico - finanziarie disastrose, e in aggiunta, il mercato non era in grado di svolgere le

sue funzioni principali, in particolare quella informativa, mostrando prezzi completamente

disconnessi alla realtà. Tutto ciò, comportò a partire dalla fine degli anni Novanta, l’inizio di

una ondata di delisting di dimensioni enormi, che si manifestò con la stessa rapidità con cui

negli anni precedenti si erano registrate le nuove IPOs. Le revoche dalle contrattazioni

assunsero svariate fisionomie: alcune imprese delistarono volontariamente, altre in seguito al

fallimento o ad altre procedure concorsuali, ma la maggior parte vennero revocate su

decisione dello Stock Exchange, che all’improvviso decise di innalzare i pressoché inesistenti

standard di quotazione sino a quel momento in vigore, dimostrandosi consapevole dell’errore

fatto in passato nell’ammettere imprese che neanche lontanamente meritavano lo status di

società quotata, comportando così conseguenze assai negative per le imprese stesse, per il

mercato e per l’economia ceca in generale. Tuttavia, questi numerosi delistings involontari

susseguitesi in un breve lasso di tempo non fecero altro che peggiorare ulteriormente la già

critica situazione del mercato regolamentato ceco, rallentandone pesantemente il processo di

Page 21: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

21

crescita. A sostegno di ciò, si segnala a Settembre 2012 la presenza di soli 15 titoli listati nel

PSE.

Quanto sopra evidenziato fornisce pertanto elementi a sufficienza per sostenere come sia

fondamentale il ruolo giocato dalle varie Istituzioni di un Paese nel contribuire alla sviluppo

di un mercato regolamentato efficiente e competitivo, in grado di gestire efficacemente il

fenomeno del delisting e le implicazioni negative ad esso associate21

.

Sempre nell’ambito degli aspetti generali connessi al fenomeno in esame, si registra infine

una crescente propensione da parte degli investitori presenti nei diversi mercati regolamentati

ad acquistare le azioni di una società non appena essa manifesti delle prospettive di delisting

nel breve periodo, con l’obbiettivo di rivenderle dopo poco tempo a prezzo maggiorato,

conseguendo così importanti guadagni. Shumway (1997) e Eisdorfer (2008) evidenziano

come l’elevata volatilità che caratterizza l’andamento del prezzo di un titolo a rischio delisting

possa infatti offrire importanti opportunità di profitto per gli investitori. In seguito

all’emergere delle voci di un possibile delisting da parte della società, si intensificano i bias

informativi che la riguardano, ovvero cominciano a circolare con sempre maggior insistenza

informazioni contrastanti relative allo stato di salute economico - finanziario della società, ai

comportamenti e alle decisioni future che essa adotterà; queste dinamiche producono un

rilevante signaling effect sul prezzo del titolo, generandone così un andamento anomalo e

altalenante. Tuttavia, non sempre le aspettative ottimistiche degli investitori si avverano,

poiché la minaccia di delisting potrebbe improvvisamente realizzarsi, o comunque

intensificarsi, provocando un netto e inesorabile calo del prezzo del titolo, e causando così

grosse perdite per gli investitori. Detto ciò, pare opportuno valutare in modo accurato la

decisione se realizzare o meno questi investimenti altamente rischiosi, in ogni caso cercando

prima di ottenere informazioni attendibili sul reale stato di salute economico - finanziario

dell’impresa e sulle probabili dinamiche future che la caratterizzeranno.

1.2 IL TRADE OFF TRA I COSTI E I BENEFICI DEL GOING PUBLIC: I PRESUPPOSTI PER

IL DELISTING

A differenza di quanto emerso relativamente al delisting, il fenomeno del going public ha

origini molto più datate, e ciò spiega i numerosi contributi presenti in ambito dottrinale sul

tema. Il going public, conosciuto a livello internazionale anche con l’appellativo di private to

public o listing, consiste nella decisione di una società di procedere ad un’Initial Public

21

A tale conclusione oltre che a Fungáčová (2007), sembrano giungere anche You (2008) e You, Parhizgari, e

Srivastava (2012).

Page 22: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

22

Offering (IPO) con l’obbiettivo di accedere ad un certo mercato regolamentato e rendere le

proprie azioni negoziabili tra il pubblico in esso presente.

Listing e delisting, seppur siano da considerarsi due fenomeni ben distinti, per molti versi

opposti, presentano tuttavia legami non poco significativi tra loro. Infatti, il venir meno delle

motivazioni che hanno indotto un’impresa a quotarsi in un certo mercato borsistico può

costituire i presupposti per un suo imminente abbandono delle contrattazioni. Da qui la

decisione di analizzare brevemente i costi e i benefici, reali e potenziali associati allo status di

listed company. In linea con quanto evidenziato da Röell (1996) e da Pagano, Panetta e

Zingales (1998), in due dei più significativi contributi presenti sul tema in ambito europeo, è

da ritenere che quando una società non riesce a realizzare i benefici teoricamente conseguibili

con il soggiorno in un mercato regolamentato, o qualora essi risultino essere inferiori ai costi

relativi, ci sono elevate probabilità che la stessa manifesti l’intenzione di procedere alla

revoca dalle negoziazioni.

Per ciò che concerne i principali benefici potenzialmente realizzabili con la quotazione,

Pagano, Panetta e Zingales (1998) evidenziano innanzitutto come l’ingresso in uno Stock

Exchange permetta all’impresa di raccogliere con maggior facilità nuove risorse finanziarie a

titolo di capitale proprio, e perciò di ottenere importante liquidità e al contempo di

diversificare le proprie fonti di finanziamento, che per una società non quotata sono

solitamente costituite da capitale di credito e dai conferimenti iniziali dei soci fondatori. Dallo

studio di Röell (1996) emerge come questo beneficio costituisca la principale motivazione che

induce un’impresa ad approdare in un mercato regolamentato. Il going public le permette

infatti di recuperare le risorse necessarie ad implementare il suo programma di crescita ed

espansione, realizzabile anche grazie attraverso le operazioni di M&A, molto più ricorrenti per

le public companies. Inoltre, avendo minori difficoltà di accesso al capitale di rischio,

l’impresa tende ad acquisire un maggior potere contrattuale nei confronti dei fornitori del

capitale di credito: si potrebbe pertanto registrare anche un netto calo del WACC22

.

Chemmanur e Fulghieri (1999) evidenziano come il più facile accesso al capitale comporti

vantaggi non solo in termini quantitativi, ma anche dal punto di vista qualitativo. Infatti, la

differenziazione delle fonti di finanziamento utilizzate permette all’impresa di bilanciare la

propria capital structure, e di diversificare, e quindi ridurre il rischio affrontato. Anche i soci

22

Weighted Average Cost of Capital o costo medio ponderato del capitale. Consiste nella media ponderata tra il

costo del capitale proprio e il costo del capitale di debito. Il WACC è il tasso minimo che un'azienda deve

generare come rendimento dei propri investimenti per remunerare i creditori, gli azionisti e gli altri fornitori di

capitale. Può essere rappresentato da questa formula: WACC = (D/V) *Kd *(1-Tm) + (E/V)*Ke.

D = ammontare capitale di debito o indebitamento; E = Equity o patrimonio netto; V = Entreprise Value,

calcolato come somma tra D e E; Kd = costo dell’indebitamento; Ke = costo del capitale proprio; Tm = marginal

tax rate. Per un approfondimento sul tema si veda: KOLLER, T., GOEDHART, M., e WESSELS, D., 2010.

Valuation. Chicago: Mc Kinsey & Company, pp. 232-266.

Page 23: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

23

fondatori dell’impresa, che in ambito europeo, e soprattutto in Italia23

, tendono a coincidere

con l’imprenditore e i suoi familiari, a seguito dell’ingresso di nuovi azionisti e perciò

dell’innesto di ulteriore capitale proprio, vedono ridursi il rischio gravante sul loro

investimento. Inoltre, essi hanno la possibilità di monetizzare in qualunque momento parte più

o meno rilevante della propria partecipazione sociale, ottenendo importanti capital gains,

grazie al fatto che solitamente in seguito alla quotazione il valore delle azioni della società si

apprezza, permettendo loro di vendere quelle in proprio possesso ad un prezzo superiore a

quello pagato in precedenza per sottoscriverle.

Un altro importante vantaggio che il going public comporta per la società, consiste

nell’acquisizione di un pricing di mercato, ovvero di un valore oggettivo, riconosciuto e

condiviso da un’ampia comunità finanziaria. Pagano, Panetta e Zingales (1998) tengono

tuttavia a precisare che questa implicazione potrebbe presentare anche dei risvolti negativi per

l’impresa: qualora il mercato regolamentato non fosse in grado di svolgere efficacemente la

sua funzione informativa, ovvero di riflettere sul prezzo di mercato del titolo dati e

informazioni attendibili sull’impresa, o più in generale non avesse la capacità di riconoscere e

far emergere il suo reale valore, ecco che essa risulterebbe essere svalutata; ciò

comporterebbe effetti assai negativi sul trade volume del titolo e sul relativo prezzo,

costituendo i presupposti per un necessario delisting. A sostegno di quanto appena

evidenziato, dagli studi di You (2008) e di Martinez e Serve (2011) emerge come la pressoché

totalità dei listini mondiali, a seguito della crisi economico – finanziaria esplosa nel 2007,

presenti inefficienze tali da non riuscire ad esprimere tutto il valore potenziale che le società

ospitate racchiudono in sé; anzi, spesso emergono dei prezzi di mercato altamente discordanti

dal reale valore delle imprese.

Altri significativi effetti positivi associati al listing sono quelli riconducibili ai molteplici

benefici in termini di immagine, che sulla base dei risultati emersi dall’indagine di Röell

(1996) costituiscono la seconda ragione principale per cui una società è incentivata al going

public. Innanzitutto, l’essere sottoposta a numerosi e stringenti obblighi in tema di disclousure

e a rigorosi standard di quotazione fa percepire l’impresa come caratterizzata da un’elevata

qualità intrinseca, permettendole di creare un clima favorevole di consenso e approvazione

presso i suoi stakeholders, fattore molte importante per il raggiungimento degli obbiettivi

prefissati. Pagano, Panetta e Zingales (1998) rimarcano inoltre che con l’ingresso in un

mercato regolamentato la società ottiene un grande incremento in termini di visibilità e di

reputazione, a cui però fa fronte un significativo ampliamento delle responsabilità verso i

23

La fattispecie d’impresa più ricorrente nel mercato italiano è la piccola - media impresa a conduzione

familiare.

Page 24: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

24

propri stakeholders. Ogni suo comportamento, azione o decisione diventerà infatti oggetto del

giudizio del mercato e degli attori in esso operanti, influenzando l’andamento del prezzo del

titolo. La quotazione implica pertanto non solo importanti cambiamenti organizzativi per

l’impresa, ma soprattutto in termini culturali, dovendo garantire un’elevata trasparenza della

propria attività oltre che una continua comunicazione con il pubblico.

I notevoli miglioramenti in termini di immagine possono avere risvolti positivi per l’impresa

sia dal punto vista finanziario, nell’approvvigionamento delle risorse finanziarie necessarie al

sostentamento della sua attività, facilitando i rapporti con investitori e istituti di credito, e

avendo maggior potere contrattuale nel negoziare le condizioni di finanziamento, sia dal

punto di vista commerciale, “attirando nuovi clienti potenziali e rafforzando la fedeltà di

quelli già in portafoglio”24

. Coerentemente con quanto appena asserito, Geranio (2004)

sottolinea come spesso le imprese tendano ad approdare nei mercati regolamentati dei Paesi

che costituiscono il principale mercato di sbocco dei propri prodotti e/o servizi, ove

generalmente sono quotati anche i maggiori competitors. Ecco che, come evidenziato da

Pagano, Panetta e Zingales (1998), in alcuni casi, soprattutto per le imprese europee, la

decisione di listing non è accompagnata da una strategia di quotazione accuratamente

pianificata, ma risulta essere erroneamente motivata soltanto dalla volontà di rispondere ad

azioni intraprese in precedenza dai concorrenti. Spesso, il soggiorno nel mercato di queste

imprese si rivela sin da subito infruttuoso, inducendole dopo breve tempo al delisting.

Altre implicazione positive che il listing di una società generalmente comporta sono legate

all’aspetto motivazionale. Insieme all’impresa, infatti, anche il management e lo staff

acquisiscono un’elevata visibilità, e il loro operato diventa oggetto di valutazione da parte

della comunità finanziaria; di conseguenza, essi sono maggiormente “involved and

committed”25

nell’impresa, e tenderanno a massimizzare il proprio impegno al fine di

realizzare gli obbiettivi che la società si è prefissata. Infine, per una società quotata

sembrerebbero emergere anche dei benefici di natura fiscale. Tuttavia, Pagano, Panetta e

Zingales (1998) e Röell (1996), con riferimento alle decisioni di going public in ambito

europeo, tengono a precisare come il ruolo giocato da quest’ultimi nell’indurre un’impresa al

listing sia marginale, poiché modesta è la loro entità. Le normative vigenti nei principali Paesi

europei, a differenza di quella statunitense, non riconoscono significativi vantaggi fiscali alle

società quotate in un mercato regolamentato. Questa può essere considerata una delle cause

della scarsa propensione al listing da parte delle imprese europee, le quali tendono a

considerare maggiormente conveniente finanziarsi attraverso l’utilizzo della leva finanziaria

24

Geranio (2004, p. 6). 25

Pagano, Panetta e Zingales (1998).

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25

piuttosto che con il capitale di rischio, essendo gli interessi a differenza dei dividendi da

pagare agli azionisti fiscalmente deducibili.

Da quanto sinora emerso sembrerebbe che il private to public non faccia altro che presentare

importanti vantaggi per un’impresa e i suoi shareholders. Tuttavia, a fianco dei numerosi

potenziali benefici sopra elencati, la quotazione in un mercato regolamentato comporta per

l’impresa anche una serie di costi rilevanti da sopportare. Questi costi sono della più svariata

natura: diretti e indiretti, evidenti e nascosti, reali e potenziali. Come evidenziato da Carney

(2006), in seguito all’innalzamento dei requisiti minimi di quotazione e degli obblighi in tema

di disclousure verificatosi nei principali mercati regolamentati mondiali nei primi anni

Duemila, si è assistito ad un inasprimento dei costi che un’impresa deve sostenere per poter

accedere e soggiornare in un listino. Per quanto riguarda i costi diretti espliciti, essi sono in

gran parte riconducibili ai costi sostenuti durante l’iter di ammissione per la realizzazione

dell’IPO, a quelli relativi alla raccolta e all’elaborazione di dati e info per la redazione dei

bilanci e dei rendiconti infrannuali, e alle rilevanti fees da pagare periodicamente per il

soggiorno nel listino e per il trading delle azioni. Con riferimento ai costi diretti impliciti,

particolare rilevanza assume il ricorrente fenomeno dell’underpricing, da sempre oggetto di

numerosi studi e ricerche in ambito dottrinale. Loughran e Ritter (2003), evidenziano infatti

come spesso il prezzo del titolo in sede di IPO sia inferiore al fair value riconosciuto dal

mercato. Nella loro ricerca emerge come l’entità dell’extra rendimento iniziale connesso

all’underpricing del titolo cambi nel corso del tempo, in relazione alle dinamiche esogene che

caratterizzano l’andamento dei mercati. Nei Paesi industrializzati, dal 1990 al 1998 si è

registrato un underpricing medio del 15%, che è salito a valori intorno al 65% negli anni

immediatamente successivi, in corrispondenza della dot.com bubble. Secondo la maggior

parte degli autori dottrinali26

, sebbene tale fenomeno potrebbe essere in certi limitati casi

riconducibile ad errori di valutazione e di pricing commessi dalla società quotanda e dai suoi

intermediari che ne seguono l’IPO, pare opportuno considerarlo come volontariamente

ricercato dalla stessa con l’obbiettivo di attirare sin dal suo ingresso nel mercato l’attenzione

di analisti ed investitori e garantire elevati trade volumes sul titolo, riuscendo così a

sottoscrivere in breve tempo per intero il capitale sociale, e a realizzare i potenziali vantaggi

connessi alla quotazione.

Pagano, Panetta e Zingales (1998) sottolineano come la misurazione dei costi diretti della

quotazione sia relativamente semplice, mentre più complesso risulti identificare e quantificare

quegli oneri che colpiscono indirettamente una listed company, la cui entità presenta

26

Vedi tra gli altri: Chemmanur e Fulghieri (1999), Pagano, Panetta e Zingales (1998), Geranio (2004), e

Loughran e Ritter (2003).

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26

un’elevata variabilità da impresa a impresa. Gran parte dei costi indiretti sono collegati ai

numerosi interventi che un’impresa deve apportare alla propria corporate governance al fine

adottare un regime di full disclousure. L’introduzione della cd. cultura della trasparenza

richiede una profonda riorganizzazione interna tale da facilitare la raccolta, l’elaborazione e la

diffusione di dati e informazioni, e permettere all’impresa di adempiere ai stringenti obblighi

informativi cui è sottoposta. Un altro importante costo indiretto, evidenziato da Geranio

(2004) e da You (2008), che colpisce più frequentemente le small caps è riconducibile alla

tendenza degli Stock Exchanges di emarginare progressivamente queste imprese di modeste

dimensioni una volta terminato il periodo di IPO, per focalizzare l’attenzione su quelle con

una size rilevante. Ecco che queste small caps registrano con il passare del tempo un netto

calo del trade volume del proprio titolo e della liquidità che lo caratterizza, procedendo così

progressivamente verso il delisting. Tali imprese inoltre, spesso presentano difficoltà

nell’accettare il significativo cambiamento culturale che il going public impone,

dimostrandosi poco propense ad esporsi al giudizio del mercato sul loro operato, oltre a non

essere in grado di gestire efficacemente le numerose relazioni con i vari stakeholders,

adottando politiche comunicazionali inadeguate. In altri casi, invece non realizzano

un’accurata pianificazione ex ante della strategia di quotazione e degli obbiettivi che con essa

intendono perseguire, avendo così ben poche possibilità di rimanere quotati a lungo.

Infine, sempre tra quelli che si possono considerare costi indiretti del listing, è da evidenziare

come lo status di quotata comporti per l’impresa una significativa diminuzione della propria

autonomia e liberta d’azione, oltre che una perdita di flessibilità strategica ed operativa. Ciò

potrebbe rappresentare uno svantaggio rilevante soprattutto quando un’impresa riscontra la

necessità di attuare un programma di ristrutturazione, di risanamento o di rinnovamento,

emersa per molte imprese negli anni successivi allo scoppio della crisi economico –

finanziaria del 2007.

A conclusione di tale paragrafo, in linea con quanto rilevato da numerosi autori dottrinali, tra i

quali Chaplinsky e Ramchand (2007), Geranio e Zanotti (2010), Renneboog, Simons e Wright

(2007), e You (2008), occorre ribadire come sia sempre più difficile per una società quotata

realizzare i benefici teorici associati al soggiorno in un mercato regolamentato. Da un lato, ciò

può essere spiegato dal fatto che le grandi ondate di IPOs che hanno interessato i principali

listini mondiali negli anni Novanta e nei primi anni Duemila, hanno comportato un’eccessiva

competizione tra le imprese nell’attirare in modo persistente su di sé l’attenzione del mercato

e nel realizzare i listing benefits, provocando una progressiva contrazione delle probabilità di

sopravvivenza nel listino di ciascuna; dall’altro, dai crescenti problemi strutturali ed

inefficienze che hanno cominciato a caratterizzare i vari Stock Exchanges a seguito degli

Page 27: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

27

eventi macroeconomici negativi manifestatisi in questi primi anni del XXI secolo,

compromettendo uno svolgimento efficace delle loro funzioni principali, e la loro capacità di

creare le condizioni ottimali per un soggiorno profittevole e duraturo delle imprese ospitate.

Parallelamente all’emergere di quanto appena evidenziato, si è registrato un significativo

inasprimento dei costi che l’accesso e il soggiorno in un mercato borsistico richiedono, a

seguito dell’introduzione nei principali mercati regolamentati di standard di quotazione e di

obblighi in tema di disclousure considerati eccessivamente stringenti e rigorosi. Si è assistito

quindi ad un sostanziale peggioramento del trade off costi – benefici connessi allo status di

public company, costituendo da una parte i presupposti per numerosi delisting, e dall’altra

scoraggiando nuove IPOs.

1.3 EARNINGS MANAGEMENT E DELISTING

Oggetto di grande attenzione in ambito dottrinale negli ultimi tempi, l’earnings management

rappresenta un interessante elemento di discussione, anche in virtù dei legami che sembra

presentare con il fenomeno in trattazione. Una sua precisa definizione è stata elaborata da

Healy e Wahlen (1999), nel cui studio realizzano un’ampia literature review sul tema. Essi

affermano che “Earnings management occurs when managers use judgment in financial

reporting and in structuring transactions to alter financial reports to either mislead some

stakeholders about the underlying economic performance of the company or to influence

contractual outcomes that depend on reported accounting numbers”27

. In altre parole,

l’earnings management consiste in una pratica attraverso cui i managers di una società,

approfittando dell’ampia discrezionalità loro concessa dai principi contabili internazionali

nella redazione del bilancio e nella valutazione delle varie poste contabili in esso contenute,

possono realizzare una manipolazione più o meno aggressiva degli utili, con l’obbiettivo di

influenzare le scelte e i comportamenti degli stakeholders dell’impresa, e provocare

determinate reazioni nel mercato regolamentato. E’ bene rimarcare come un tale fenomeno sia

considerato illegale nella pressoché totalità degli ordinamenti giuridici internazionali, i quali

hanno progressivamente ridotto gli spazi per la sua realizzazione al fine di garantire una

maggiore trasparenza dei mercati regolamentati28

. L’earnings management assume particolare

rilevanza soprattutto con riferimento alle società quotate in un certo mercato borsistico,

considerato che le informazioni e i dati sulle performance economico – finanziarie di una 27

Healy e Wahlen (1999, p. 368). 28

Negli USA si è agito in tale direzione con l’introduzione della SOX nel 2003, da una parte imponendo alle

listed companies più rigorosi obblighi informativi e l’adozione di un regime di full disclousure, e dall’altra

prevedendo pesanti sanzioni in capo al management e alla società stessa in caso di riscontrata falsificazione dei

dati di bilancio.

Page 28: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

28

listed company vengono comunicate al mercato e si riflettono sull’andamento del titolo. Gli

utili di una società, rappresentando uno dei suoi fundamentals, hanno una particolare valenza

informativa, poiché trasmettono al mercato un’importante informazione circa le performance

dell’impresa, producendo così significativi effetti sul prezzo del titolo. Come sottolineato da

Healy e Wahlen (1999), l’asimmetria informativa tra i managers e i vari stakeholders

dell’impresa presenti nel mercato, ovvero tra insiders e outsiders, è da considerarsi un

presupposto fondamentale per l’esistenza di tale fenomeno.

In uno dei più significativi contributi presenti in dottrina nell’ambito dell’earnings

management, focalizzato sull’analisi dei legami che sembrano emergere tra l’aggressività con

cui si realizza l’earnings management in sede di IPO e il rischio di delisting gravante

sull’impresa, Li e Zhou (2006) evidenziano come un gran numero di imprese quotatesi negli

USA tra il 1980 e il 1999, ha deciso di gonfiare gli utili in sede di IPO per presentarsi al

mercato con un prezzo di collocamento del titolo allettante, con l’obbiettivo di attirare sin da

subito l’attenzione di analisti e investitori, e massimizzare il trade volume sul titolo.

Dall’indagine condotta dai due autori, risulta esserci una relazione diretta tra l’intensità con

cui gli utili della società vengono manipolati al momento del suo ingresso nel mercato e le

prospettive di delisting che la stessa presenta nel breve periodo. Gran parte delle società che

sono state delistate dai tre principali mercati regolamentati USA tra il 1980 e il 1999,

esibivano nei bilanci pubblicati in sede di IPO dei dati che con il passare del tempo si sono

dimostrati assai discordanti da quelli reali. Li e Zhou (2006) sottolineano come la tendenza a

distorcere i reali dati economico – finanziari di bilancio assuma rilevanza soprattutto nei

periodi di hot market, ovvero di andamento positivo dei prezzi azionari di mercato, in

corrispondenza dei quali avviene solitamente un gran numero di IPO, e dove perciò c’è una

maggior competizione tra le società quotande nell’attirare su di sé l’attenzione di analisti e

investitori.

L’earnings management particolarmente diffuso in sede di IPO è motivato dal fatto che tanto

più elevato è il prezzo di collocamento iniziale, tanto più consistenti saranno le probabilità che

le azioni emesse dalla società quotanda vengano sottoscritte per intero in breve tempo,

attirando anche investitori prestigiosi come Fondi di Private Equity e di Venture Capital, e

Banche d’Investimento. Come evidenziato da Fama e French (2004), uno dei fattori critici per

una quotazione duratura e di successo sembra infatti essere il prezzo di collocamento iniziale.

Presentarsi al mercato con delle buone performance economico – finanziarie evidenziate da

un elevato prezzo di IPO, oltre che con dei sottoscrittori prestigiosi, fornisce i presupposti per

un soggiorno profittevole nel listino, favorendo la realizzazione dei benefici teorici associati

alla quotazione e minimizzando il rischio di un eventuale delisting nel breve termine.

Page 29: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

29

L’earnings management può inoltre ricorrere anche successivamente alla fase di IPO. I

managers di una società quotata possono incautamente avvalersi delle diverse tecniche di

manipolazione degli utili, quali l’attribuzione impropria di ricavi, la sopravvalutazione di

rimanenze attive e la sottovalutazione di elementi passivi ogni qual volta desiderano

aggiustare le voci di bilancio, facendole coincidere con determinati valori target prefissati o

più semplicemente richiesti per poter essere apprezzati dal mercato.

Nonostante quanto sopra evidenziato, l’aggressivo gonfiamento degli utili, oltre che essere

illegale, è aspramente criticato in ambito dottrinale, tra i tanti da Li e Zhou (2006), Healy e

Wahlen (1999) e da Leuz, Nanda, e Wysocki (2003). Tali autori rimarcano come l’earnings

management non presenti soltanto potenziali benefici ma anche rilevanti costi, diretti e

indiretti, e soprattutto rischi. Pare infatti che la reale situazione economico – finanziaria

dell’impresa tenda gradualmente ad emergere, poiché l’asimmetria informativa esistente in

origine tra i managers e gli altri stakeholders progressivamente si annulla; perciò, ci sono

elevate probabilità che il mercato prima o poi riesca a scoprire l’eventuale manipolazione

degli utili realizzata dall’impresa. Quando ciò avviene, si determinano effetti assai negativi

per la società, che potrebbe assistere ad un netto calo del prezzo del titolo e della sua liquidità,

accompagnato da un incremento della volatilità; il mercato tende a punire la società per il suo

comportamento scorretto e poco trasparente, spingendola gradualmente verso il dimenticatoio,

senza preoccuparsi dei danni che ciò provocherà per i suoi incolpevoli shareholders. Nei casi

estremi lo Stock Exchange può decidere di revocare la società dalle contrattazioni, o in ogni

caso indurla ad abbandonare il mercato di propria spontanea iniziativa; il delisting genererà

conseguenze ancor più disastrose per la stessa e i suoi investitori.

In linea con quanto sinora emerso, Li e Zhou (2006, p. 3) affermano che “IPO’s associated

with more aggressive earnings management are more likely to delist due to performance

failure and they tend to delist sooner”. Sembrerebbe che soprattutto le cd. poor quality

company, ovvero le imprese che manifestano un’assai discutibile stato di salute economico –

finanziario e fondamentali deboli, tendano ad adottare una manipolazione degli utili in sede di

IPO, con l’obbiettivo di mascherare le loro reali performance e risultare così più attraenti al

pubblico presente nel mercato. Tuttavia, anche in questi casi l’earnings management è da

ritenersi una pratica assolutamente da non adottare. Healy e Wahlen (1999) sottolineano

infatti come i benefici associati al gonfiamento degli utili siano solamente potenziali, in

quanto di incerta realizzazione oltre che di durata temporanea, a fronte invece di costi reali

richiesti dalla manipolazione contabile dei dati di bilancio e della possibile realizzazione in

futuro di eventi assai dannosi, come il delisting e soprattutto il sorgere di azioni legali contro

l’impresa e il suo management; queste minacce sono altamente concretizzabili nel caso

Page 30: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

30

emergano significative divergenze tra i reali dati economico - finanziari e quelli presentati al

momento dell’IPO.

Dallo studio di Leuz, Nanda, e Wysocki, (2003) emerge una relazione inversa tra la reale

qualità economico - finanziaria di un’impresa e l’aggressività con cui essa ha implementato

l’earnings management. Tanto più un’impresa esibisce un discutibile stato di salute

economico - finanziario, tante più probabilità ci sono che essa abbia adottato in passato un

aggressivo earnings management, presentando in conseguenza a ciò un elevato rischio

delisting nel breve termine. Li e Zhou (2006) tracciano una sorta di profilo delle imprese che

più frequentemente tendono ad adottare un aggressivo earnings management in sede di IPO, e

che quindi mostrano sin da subito significative probabilità di abbandono del listino.

Solitamente si tratta di imprese scarsamente performanti, di size ridotta, con modesti

fondamentali evidenziati da contenuti valori di assets, fatturato e utile, di età relativamente

giovane, e poco conosciute. Quelle appena elencate sono da considerarsi infatti caratteristiche

non propriamente idonee ad una società che ambisce ad un soggiorno profittevole e duraturo

nel mercato regolamentato, e che quindi potrebbero spiegare, ma non giustificare, la

manipolazione degli utili al momento dell’IPO.

Healy e Wahlen (1999) evidenziano inoltre, come le grandi imprese siano meno incentivate

ad adottare comportamenti di earnings management, poiché, da una parte la maggior size,

spesso associata ad un elevato livello di notorietà, permettono già di per sé di attirare

l’attenzione di analisti e investitori e perciò di garantire un sufficiente trade volume sul titolo,

e dall’altra perché i costi e i rischi che dovrebbero sopportare in seguito alla manipolazione

degli utili sono nettamente superiori rispetto alle imprese di minor dimensione e market

capitalization, anche in virtù dei continui controlli e verifiche a cui vengono sottoposte dagli

Organi di Borsa, e degli stringenti obblighi in tema di disclousure cui devono adempiere.

Considerato quanto emerso nel suddetto paragrafo, si può concludere affermando come

durante il processo di redazione del bilancio i managers di un’impresa debbano utilizzare in

modo ragionevole l’elevata discrezionalità loro concessa nella valutazione delle diverse poste

contabili, evitando di incorrere nel fenomeno dell’earnings management; risulta infatti

inopportuno oltre che illegale alterare la reale situazione economico – finanziaria in cui versa

l’impresa, considerando che, come in precedenza evidenziato, essa tende gradualmente ad

emergere e, qualora risultasse molto distante da quella comunicata al mercato, potrebbe

implicare conseguenze assai negative per la società, come il sorgere di azioni legali contro il

suo operato e l’inesorabile declino del prezzo del titolo. Gli Stock Exchanges tendono a punire

eventuali comportamenti poco trasparenti, spingendo sempre più la società nel dimenticatoio

con gravi conseguenze sulle sue performance, sino addirittura ad escluderla coattivamente

Page 31: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

31

dalle contrattazioni o inducendola al delisting volontario, e nei casi più gravi determinandone

il default.

1.4 DAL DELISTING AL GOING DARK

Un fenomeno assai diffuso negli ultimi tempi, e complementare a quello del delisting, è il cd.

going dark, ovvero il processo attraverso il quale un’impresa che, in seguito ad una decisione

volontaria, o per imposizione dello Stock Exchange, abbandona un mercato regolamentato, e

inizia a negoziare le proprie azioni in un’Over the counter market (OTC)29

. Anche se spesso

si tende a considerare sinonimi i due termini, l’orientamento dottrinale prevalente30

rimarca

come questa tendenza sia assolutamente ingiustificata: delisting e going dark sono due

fenomeni distinti, caratterizzati da differenti connotati e fisionomie; tuttavia, è opportuno

evidenziare come essi presentino un legame significativo tra loro, essendo da ritenere la

realizzazione dell’uno una condizione necessaria per il verificarsi dell’altro. Il going dark è

infatti considerato uno step successivo al delisting, poiché si realizza soltanto quando la

società delistata e successivamente approdata ad un OTC market, espleta il suo processo di

deregistration dalla normativa disciplinante lo status di listed company, non dovendo più

sottostare ai stringenti obblighi da questa imposti.

Il going dark è un fenomeno particolarmente ricorrente soprattutto negli USA, dove ci sono

mercati OTC più maturi ed efficienti. A partire dalla fine degli anni Novanta, in seguito alla

grande ondata di delisting che ha investito i tre principali mercati regolamentati statunitensi31

,

un numero sempre più significativo di imprese quotate in essi, una volta abbandonato per una

qualche ragione il listino, ha deciso di accedere ai mercati OTC, continuando così a negoziare

le proprie azioni tra un pubblico rilevante.

Negli USA ci sono due32

principali mercati OTC:

a) l’Over the Counter Bulletin Board, meglio conosciuto come OTCBB, che è gestito

e regolato dalla National Association of Securities Dealers, e prevede una

relativamente flessibile regolamentazione in tema di disclousure al pubblico e

degli standard di quotazione che, seppur meno rigorosi rispetto a quelli richiesti

29

Un mercato OTC è un mercato generalmente molto deregolamentato, in cui c’è connessione diretta tra

domanda ed offerta, senza l’intermediazione dello Stock Exchange. Risultato di ciò è la riduzione dei costi di

transazione, ma anche l’assenza della garanzia che il Mercato acquisti i titoli oggetto di negoziazione nel caso in

cui una delle controparti faccia default. Il prezzo viene determinato sulla base della legge della domanda e

dell’offerta. 30

Tra i tanti vedi: Macey, O’Hara e Pompilio (2008), Leuz, Triantis e Wang (2008) e Bollen e Christie (2009). 31

AMEX, NYSE, NASDAQ. 32

Da segnalare che anche il NASDAQ presenta un’apposita sezione dedicata al trading di titoli unlisted, che non

devono seguire i rigidi requisiti previsti per i titoli delle società quotate nel listino regolamentato.

Page 32: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

32

per soggiornare in un mercato regolamentato, sono da considerarsi comunque un

peso non indifferente per la società che decide di accedere alle contrattazioni in

questo mercato.

b) Il Pink Sheets market, o “mercato dei fogli rosa”, un mercato OTC altamente

deregolamentato e permissivo.

Considerato che gran parte delle imprese che decidono di intraprendere un processo di going

dark scelgono di entrare in questo secondo mercato, pare opportuno concentrarsi sull’analisi

delle caratteristiche, delle dinamiche e degli andamenti che esso presenta, tralasciando

l’OTCBB. Il Pink Sheets è stato di rado oggetto di studi e di ricerche, anche in virtù delle

scarse informazioni che si avevano a disposizione su di esso. Tuttavia, la grande espansione

che ha registrato negli ultimi tempi ha spinto un numero crescente di autori ad indagare sulle

dinamiche che lo caratterizzano.

Alcuni contributi particolarmente interessanti che analizzano i processi di going dark aventi

come mercato di destinazione il Pink Sheets market, soffermandosi sulle sue caratteristiche

intrinseche e sul grande sviluppo che ha avuto negli ultimi tempi, sono quelli forniti da Bollen

e Christie (2009), e da Leuz, Triantis e Wang (2008).

Bollen e Christie (2009) evidenziano come il “mercato dei fogli rosa” si sia originato nel

lontano 1904, insieme ad un altro mercato con le medesime peculiarità ma destinato alla

contrattazione dei bond, il cd. Yellow Sheets, anch’esso tutt’ora operativo. Il suo nome deriva

dal fatto che in passato le negoziazioni avvenivano tramite dei fogli di carta rosa. Dal 1999, il

Pink Sheets è diventato un sistema di quotazione e negoziazione elettronico, e ciò,

congiuntamente alla creazione di uno specifico web site interattivo, ha permesso a questo

mercato OTC di incrementare notevolmente la propria visibilità, favorendone la grande

crescita degli ultimi tempi. Come rimarcato da Leuz, Triantis e Wang (2008), tale sviluppo

pare essere giustificato anche dal fatto che il soggiorno in un mercato borsistico è diventato

sempre più difficile ed oneroso, specie dopo l’introduzione del Serbaney Oxley Act del 2003,

che ha portato ad un inasprimento dei requisiti minimi richiesti per la quotazione, oltre che ad

un incremento dei relativi costi, comportando così un gran numero di delistings volontari e

non dai mercati regolamentati USA. Ecco che negli ultimi anni sempre più imprese

statunitensi e non, non essendo in grado di accedere ad un mercato regolamentato o in seguito

al delisting da esso, hanno optato per l’ingresso nel mercato dei fogli rosa, che presenta non

pochi vantaggi rispetto agli Stock Exchange. Bollen e Christie (2009) e Leuz, Triantis e Wang

(2008) sottolineano come le società che vogliono accedere al Pink Sheets market non debbano

seguire la complessa procedura di IPO richiesta per la quotazione in un mercato

regolamentato, e pagare le ingenti fees per la quotazione e la negoziazione delle proprie

Page 33: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

33

azioni, oltre che appunto a non essere costrette a sottostare a particolarmente rigidi standard di

quotazione, a stringenti obblighi di natura informativa, e alle continue verifiche e controlli da

parte degli Organi di Borsa. Questo mercato OTC si presenta infatti come altamente

deregolamentato, destrutturato e permissivo, prevedendo un insieme ristretto e unitario di

norme in capo alle società ospitate. Inoltre, si propone come un mercato eterogeneo, in quanto

le imprese soggiornanti in esso presentano caratteristiche molto differenti tra loro. Il Pink

Sheets market accoglie imprese di piccola, media e grande dimensione, quotate o meno in

mercati regolamentati, di diversa nazionalità, cultura ed età, operanti in differenti settori, con

livelli di performance economico - finanziarie assai divergenti. Bollen e Christie (2009)

evidenziano come in questo mercato convivano imprese aventi un prezzo del titolo superiore

ai 10 $, con imprese il cui titolo ha un valore addirittura intorno a 0,0001 $. Per quanto

riguarda i titoli che vengono negoziati nel Pink Sheets market, gli stessi autori33

propongono

una loro suddivisione in quattro categorie:

1. Titoli economicamente stressati, ovvero relativi a società prossime al dissesto

economico – finanziario, e che generalmente in passato erano quotate in mercati

regolamentati.

2. Titoli scarsamente performanti, chiamati più comunemente “penny stock”, e riferiti

alle cd. poor quality company, cioè a quelle società con performance assai discutibili,

che non potrebbero accedere ad un mercato borsistico non riuscendo a rispettare i

requisiti minimi previsti, e che presentano un prezzo di mercato del titolo

costantemente al di sotto della soglia di 1 $.

3. Titoli di società con una ridotta quota di flottante34

, ovvero altamente controllate dagli

azionisti di maggioranza. Questi titoli sono caratterizzati da ridotte e sporadiche

contrattazioni.

4. Titoli che presentano elevati prezzi di mercato, significativi trade volumes, buona

liquidità, e relativamente bassa volatilità. Rappresentano quindi opportunità

d’investimento meno rischiose per gli investitori rispetto ai precedenti. Solitamente

riguardano grandi imprese, domestiche e non, operanti a livello globale e quotate in

uno o più mercati regolamentati, ma che scelgono tuttavia di negoziare le proprie

azioni anche in questo mercato OTC. Tuttavia, questa categoria risulta essere

marginale, poiché più del 50% dei titoli negoziati nel Pink Sheets sono caratterizzati

33

Bollen e Christie (2009, p. 1328). 34

Il termine flottante indica la quantità di azioni, emesse da un'azienda quotata, che gli investitori possono

liberamente negoziare nel mercato. Queste azioni non fanno parte della partecipazione di controllo della società,

perché sono le azioni che l'azienda cede ai possibili investitori esterni.

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34

da modesti prezzi di mercato, ridotti volumi di contrattazione, notevoli bid ask spread,

ed elevata volatilità.

Come rimarcato da Leuz, Triantis e Wang (2008), il mercato dei fogli rosa presenta

un’elevata volatilità dei prezzi azionari, che hanno un valore medio nettamente inferiore a

quello dei titoli quotati in un mercato regolamentato, accompagnata da dei contenuti trade

volumes, e da dei bid ask spreads decisamente superiori a quelli di uno Stock Exchange.

L’elevata volatilità dei prezzi di mercato è in gran parte riconducibile ai continui “pump e

dump”35

informativi che caratterizzano questo mercato OTC, provocati dalla forte tendenza

degli attori operanti in esso di adottare comportamenti opportunistici, approfittando

dell’ampia libertà d’azione che è loro concessa, e manipolando le informazioni circolanti tra il

pubblico al fine di ricavarne un qualche beneficio personale. In tal modo, sovente si

manifestano dei veri e propri shock informativi che generano un continuo alternarsi di

variazioni positive e negative dei prezzi azionari, spiegando così l’elevato livello di incertezza

che avvolge questo mercato. Gli investitori disponendo di scarse, incomplete e spesso

inattendibili informazioni e dati sulle imprese presenti nel Pink Sheets market, devono quindi

prestare molta attenzione nello loro scelte d’investimento, consapevoli dell’esistenza dei

frequenti sopra menzionati comportamenti opportunistici, che potrebbero recare loro ingenti

danni economici. Considerato quando sinora emerso, si può pertanto sostenere che gli

investimenti in questo mercato presentano un elevato livello di rischio, offrendo elevate

prospettive di guadagno ma altresì significative perdite potenziali.

Macey, O’Hara e Pompilio (2008) hanno invece cercato di analizzare gli effetti provocati

dalla decisione di going dark sull’impresa e i suoi shareholders, considerando un significativo

campione di imprese delistate dal NYSE nel 2002. Dalla ricerca emerge come il delisting dal

mercato regolamentato e la successiva decisione di approdare nel Pink Sheets market,

generalmente comportino rilevanti costi per la società e i suoi azionisti, evidenziati da una

netta riduzione del valore del titolo, accompagnata da un notevole aumento del bid ask spread

e della sua volatilità. Non ci sono invece sufficienti evidenze per poter affermare significative

riduzioni del trade volume.

Dai risultati dell’indagine, si evince che in media il prezzo del titolo assiste ad un declino di

circa il 50% del suo valore, lo spread percentuale triplichi, e la volatilità raddoppi. I volumi di

negoziazione sul titolo tendono invece a mantenere livelli accettabili.

Per Bollen e Christie (2009) uno dei fattori che sembra maggiormente incidere sull’entità

delle perdite connesse al going dark, è la dimensione dell’impresa: generalmente, imprese di

grandi dimensioni registrano minori riduzioni del prezzo del titolo, e più contenuti incrementi

35

Leuz, Triantis e Wang (2008, p. 195).

Page 35: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

35

del bid ask spread e della volatilità. Si potrebbe quindi sostenere l’esistenza di una relazione

inversa tra i costi del going dark e la size di un’impresa.

Un interessante aspetto da chiarire riguarda le dinamiche con cui avviene la significativa

riduzione del valore del titolo, verificando in tal modo se essa sia da collegare al delisting dal

mercato regolamento oppure al successivo ingresso nel Pink Sheets market. Per ottenere una

risposta attendibile a tale questione, Macey, O’Hara e Pompilio (2008) hanno considerato

opportuno analizzare l’andamento che caratterizza il prezzo del titolo in seguito all’annuncio

al mercato del delisting della società, nel caso di uscita volontaria dalle contrattazioni, o

all’emergere palese del mancato rispetto degli standard di quotazione, precursore di un

probabile delisting involontario. A tal proposito, si registra come gran parte delle imprese del

campione considerato, subisca circa il 70% del declino totale del prezzo del titolo

conseguente al going dark, negli ultimi giorni di quotazione che precedono l’abbandono delle

contrattazioni, e non nel periodo successivo alla cancellazione. Pertanto, si può affermare

come sia il delisting, non tanto inteso come revoca ufficiale dalla contrattazioni ma piuttosto

come consapevolezza del mercato di una probabile prossima uscita dell’impresa, e non il

successivo accesso al Pink Sheets Market, a giocare un ruolo determinante nella riduzione del

valore del titolo, e perciò a comportare significative perdite per la società e i suoi

shareholders. D’altra parte invece, sembra che al secondo evento siano maggiormente

riconducibili gli incrementi del bid ask spread e della volatilità.

1.5 FOREIGN LISTING E FOREIGN DELISTING

Gli anni Novanta sono stati caratterizzati da grandi ondate di foreign listings, ovvero di IPOs

realizzate da imprese in mercati differenti dal loro listino domestico, con l’obbiettivo di

espandere la propria presenza a livello internazionale e dare uno slancio importante al proprio

processo di crescita. Con l’avvento del XXI secolo, complici la manifestazione dei più volte

citati eventi macro economici sfavorevoli, e del progressivo deterioramento del trade off tra i

costi e i benefici della quotazione, un numero considerevole di queste imprese ha

abbandonato le contrattazioni dai mercati regolamentati stranieri ove si era precedentemente

quotato, in certi casi di propria spontanea iniziativa e in altri su decisione dello Stock

Exchange. Da qui la decisione di analizzare brevemente il fenomeno del cross-listing,

identificando i benefici potenziali con esso perseguibili, la cui mancata realizzazione, parziale

o totale, può costituire i presupposti per la manifestazione del fenomeno, per certi versi

opposti, del foreign delisting, con l’obbiettivo ultimo di valutare gli effetti provocati da un

tale evento sul prezzo, la liquidità e il rischio caratterizzante il titolo nel mercato domestico.

Page 36: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

36

Si parla di cross-listing o foreign listing quando una società decide di quotare le proprie

azioni, e perciò rendere negoziabile il suo equity, in uno o più mercati regolamentati stranieri,

in aggiunta o in alternativa al mercato borsistico domestico. You (2008), in uno dei più

significativi contributi dottrinali in grado di realizzare un’analisi trasversale dei fenomeni di

foreign listing e foreign delisting in una dimensione internazionale, dal 1964 al 2008,

evidenzia come solitamente un’impresa che decide di accedere ad un listino estero, presenta

una precedente esperienza di quotazione nel mercato regolamentato del Paese di provenienza,

e quindi considera il cross-listing come un importante step per espletare il suo graduale

processo di crescita ed espansione.

Uno dei principali mercati target delle strategie di foreign listing implementate dalle imprese,

risulta essere quello statunitense. Da sempre i mercati regolamentati USA presentano un

elevato livello di competitività ed efficienza, e di conseguenza sono ritenuti molto attraenti

non solo dalle imprese nazionali, ma anche da quelle straniere, le quali considerano l’ingresso

in questi Stock Exchanges prestigiosi come l’ultimo decisivo passo da compiere per dare un

definitivo slancio al proprio processo di crescita ed espansione. A sostegno di quanto appena

asserito, emergono le evidenze riportate dalla ricerca di Chaplinsky e Ramchand (2007), che

analizza tutti i foreign listings e i foreign delistings manifestatesi nei tre principali mercati

regolamentati USA dal 1961 al 2004. Nel periodo considerato si sono registrati ben 1330

listings e 728 delistings da parte di imprese estere, numeri che risaltano la grande dinamicità

che da sempre caratterizza i listini statunitensi. Delle complessive 728 revoche dalle

negoziazioni, 463 si sono concretizzate nel NASDAQ, e 265 nel NYSE e nell’AMEX. Il

maggior numero di delistings concretizzatesi dal NASDAQ pare essere giustificato dal fatto

che da sempre questo listino accoglie un maggior numero di foreign companies, presentando

standard di quotazione relativamente meno stringenti rispetto agli altri due mercati,

soprattutto in tema di size e market capitalization, spesso punti di debolezza per le imprese

provenienti dal Vecchio Continente. Quindi, a fronte di un maggior numero di foreign listings

il NASDAQ tende ragionevolmente a presentare anche un numero superiore di foreign

delistings.

You (2008) evidenzia come il fenomeno del cross-listing abbia conosciuto una significativa

espansione a livello internazionale a partire dalla fine degli anni Ottanta, contribuendo alla

progressiva integrazione dei mercati regolamentati mondiali. Dal suo studio, emerge come

ben il 76 % dei 45.783 cross-listings che hanno interessato i vari listini dal 1964 al 2008 si sia

manifestato dopo il 1990, ovvero a partire dagli anni in cui sempre più imprese cominciarono

ad assumere consapevolezza degli importanti vantaggi realizzabili con il going public, e

quindi a maggior ragione con il cross-listing. Si registra come circa il 70% dei 34.795 foreign

Page 37: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

37

listings verificatesi a seguito del 1990 si concentri nel decennio 1995 – 2005. Nel periodo

1964 – 2008, emerge come la maggior parte delle imprese che hanno deciso di quotarsi in un

listino diverso da quello nazionale, ben il 44% del totale dei foreign listings, risulti essere

proveniente dagli USA, e abbia scelto come mercato di destinazione l’Europa, e in particolare

il mercato regolamentato tedesco che, insieme a quello statunitense, mostra di essere così il

principale target market per i foreign listings.

Il fatto che gli USA siano il principale mercato di destinazione per le imprese provenienti da

Europa e Sud Est asiatico è confermato anche dalle ricerche di Karolyi (2006), Sarkissian e

Schill (2004), e di Pfister e VonWyss (2010), i quali ribadiscono anche come le imprese

statunitensi siano coloro che più spesso tendono ad attuare una strategia di cross-listing, e

come gran parte di esse decida di quotare le proprie azioni nel mercato regolamentato tedesco.

Ciò spiega il perché questo mercato, seppur meno attrattivo e competitivo rispetto a quello

USA, presenti un valore superiore in termini di numero di imprese straniere ospitate; secondo

Daugherty e Georgieva (2011), tale evidenza può essere inoltre spiegate dal fatto che, a

seguito dell’introduzione della SOX nel 2003, nei principali listini d’oltreoceano sono stati

introdotti requisiti minimi e obblighi in tema di disclousure particolarmente stringenti, che

impediscono a molte imprese estere, soprattutto europee, che desiderano realizzare un foreign

listing, di entrare in questi mercati azionari molto selettivi, costringendole così a ripiegare

sullo Stock Exchange tedesco, che rappresenta il mercato regolamentato più sviluppato del

Vecchio Continente, e che per ragioni di prossimità culturale, storica, normativa e geografica

favorisce loro i presupposti per una quotazione vantaggiosa.

You (2008) mette a confronto inoltre, le dinamiche assunte nel tempo dai foreign listings con

quelle dei domestic listings, ovvero delle IPOs effettuate dalle imprese nei relativi mercati

nazionali. Tra il 1964 e il 2008, si sono registrati complessivamente 152.613 listings

realizzatesi nei vari mercati regolamentati mondiali, dei quali circa il 70% ha riguardato

quotazioni di imprese nel proprio mercato domestico, mentre il restante 30% sono stati

foreign listings. USA e Canada risultano essere gli Stock Exchanges che raccolgono il

maggior numero di imprese nazionali, con ben il 40% dei domestic listings totali avvenuto in

questi due mercati. Dalla ricerca considerata emerge come in media la durata dei domestic

listings sia nettamente superiore a quella dei foreign listings. In altre parole, tendenzialmente

un’impresa che decide di quotarsi nel listino nazionale presenta più elevate probabilità di

sopravvivenza a medio - lungo termine rispetto ad un’impresa che approda in un mercato

estero: la durata media di quotazione è di circa 9 anni per i domestic listings e di 5 anni per i

foreign listings. Queste evidenze sembrano essere supportate da quanto rimarcato nei

contributi di Daugherty e Georgieva (2011) e di Sarkissian e Schill (2004), nei quali si

Page 38: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

38

sottolinea come risulti essere molto più difficile realizzare i benefici teorici associati al going

public in un mercato estero rispetto ad un mercato domestico; solitamente i mercati di

destinazione del cross-listing sono mercati altamente competitivi e selettivi, lontani non solo

geograficamente dal mercato di provenienza dell’impresa, ma anche dal punto di vista

culturale e normativo, dove l’impresa fatica ad attirare l’attenzione di analisti ed investitori, e

a garantire elevati trade volume al proprio titolo; in aggiunta a ciò, emerge come spesso le

imprese che optano per il cross-listing sono quotate anche nel proprio mercato nazionale, e

hanno quindi già goduto di tali benefici, rendendo così difficile una loro ulteriore

realizzazione o amplificazione.

Al fine di analizzare le caratteristiche delle imprese che generalmente tendono ad adottare una

strategia di cross-listing, di particolare utilità risulta essere il contributo di Chaplinsky e

Ramchand (2007) nel quale, indagando sui connotati delle imprese straniere quotatesi in uno

dei tre principali mercati statunitensi dal 1961 al 2004, emerge una rilevante eterogeneità tra

di esse, che rende impossibile tracciare un profilo ideale tipico di un’impresa che effettua un

foreign listing. Innanzitutto, si evidenzia una differenza sostanziale tra le imprese provenienti

dal Vecchio Continente e quelli originarie dei Paesi emergenti del Sud Est asiatico, che

rappresentano i due principali luoghi di provenienza dei cross listings diretti nei mercati

statunitensi. Le prime spesso sono seasoned firms, ovvero imprese che presentano una

struttura economico – finanziaria consolidata, con precedenti esperienze di quotazione nel

mercato domestico e/o di foreign listings in altri listini europei, e ridotte opportunità di

crescita, che considerano l’ingresso nel mercato statunitense come un ultimo step necessario

per rafforzare la loro già rilevante presenza a livello globale. Le seconde invece, sono imprese

molto giovani, spesso in fase di start up, che mirano a realizzare interamente il proprio

processo di crescita ed espansione in un mercato competitivo e prestigioso come quello

statunitense. Esse sono caratterizzate da enormi margini di sviluppo, e attirano sin dal loro

ingresso l’attenzione di analisti e investitori, presentando così ottime probabilità di un

soggiorno profittevole e duraturo nel mercato. Solitamente per queste imprese, a differenza di

quelle europee, la decisione di rendere il proprio equity negoziabile nel mercato USA non è

preceduta da quella di quotarsi nel listino domestico o in quello di Paesi confinanti, spesso

caratterizzati da inefficienze e problemi strutturali. Oltre a questa prima grande differenza,

Chaplinsky e Ramchand (2007) rilevano altre numerose divergenze tra le imprese estere

quotate nei principali listini statunitensi, riscontrabili in termini di dimensione, cultura, storia,

settore d’attività, performance economico – finanziarie, e driving forces alla base della

decisione di realizzare un foreign listing. You (2008), sempre indagando sui connotati delle

imprese che hanno adottato, nel periodo 1964 – 2008, la decisione di quotarsi in un mercato

Page 39: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

39

differente da quello domestico, evidenzia come il fenomeno del cross-listing abbia riguardato

soprattutto le imprese operanti nell’industria mineraria, seguite da quelle attive nei settori ad

elevato tasso tecnologico, come software e computer.

Ritornando alle fisionomie generali che ha presentato nel tempo il fenomeno del cross-listing,

You, Parhizgari e Srivastava (2012) sottolineano come nel primo decennio del XXI secolo si

sia manifestata una grande crescita ed espansione dei mercati azionari emergenti, come Cina,

Honk Kong, India e Singapore i quali, nonostante presentino problemi strutturali ed

inefficienze non di poco conto, sono stati toccati soltanto in modo marginale dalla crisi

economico - finanziaria globale, e offrendo importanti opportunità di crescita per le imprese e

di profitto per gli investitori, attirano sempre di più l’attenzione delle società che intendono

realizzare un foreign listing. Contrariamente a ciò, si registra un netto calo dei cross-listings

aventi come destinazione i mercati europei e quelli nord americani, che hanno subito gravi

perdite in termini di efficienza e competitività a seguito della crisi economico - finanziaria

scoppiata nel 2007, riducendo così la loro attrattività. Il fenomeno del cross-listing ha invece

conosciuto una limitata diffusione nei mercati regolamentati Sud americani, da sempre

caratterizzati da elevati livelli di sottosviluppo, e da una ridotta tutela degli investitori e delle

imprese, risultando così poco allettanti non solo per le società estere ma anche per quelle

nazionali, che tendono a migrare in massa verso gli Stock Exchanges Nord americani; quanto

appena evidenziato spiega le ragioni per cui i mercati regolamentati Sud americani sono quelli

che presentano i più bassi livelli sia di domestic che di foreign listings.

Le motivazioni che spingono un’impresa a quotarsi in un mercato borsistico estero coincidono

in gran parte con le ragioni per le quali normalmente essa decide di going public, rendendo il

proprio equity negoziabile nel mercato regolamentato domestico. In altre parole, considerato

quanto evidenziato da You (2008), ovvero che un’impresa che opta per un foreign listing è

solitamente già quotata nel proprio listino nazionale, si può assumere che tale decisione è in

parte guidata dalla volontà di rafforzare e amplificare gli effetti favorevoli associati al going

public, e quindi di godere in maggior misura dei benefici già parzialmente realizzati con la

precedente scelta di quotarsi nel mercato domestico. Coerentemente con quanto appena

asserito, Karolyi (1998) e Roosenboom e Van Dijk (2009), evidenziano le seguenti

motivazioni alla base del foreign listing di una società:

- Ampliare la quantità di risorse finanziarie a disposizione per realizzare il proprio

processo di crescita ed espansione.

- Differenziare le fonti di finanziamento utilizzate, e perciò ridurre il rischio gravante

sull’impresa e i suoi shareholders.

Page 40: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

40

- Realizzare una potenziale riduzione del WACC, ovvero del costo medio di raccolta del

capitale.

- Equilibrare la capital structure, facendo un maggiore utilizzo del capitale di rischio, e

riducendo i finanziamenti concessi a titolo di capitale di credito.

- Incrementare il potere negoziale verso i fornitori del capitale di credito, come

conseguenza del più agevole accesso al capitale proprio.

- Godere di rilevanti benefici in termini di immagine e di reputazione, con implicazioni

favorevoli sia nell’ambito finanziario che in quello commerciale.

- Miglioramento della corporate governance e della qualità intrinseca percepita dagli

stakeholders, soprattutto nel caso di approdo in mercati azionari altamente efficienti e

competitivi, caratterizzati da normative stringenti e rigorose.

- Maggiori possibilità che il prezzo del mercato del titolo sia prossimo al reale valore

dell’impresa, ovvero che almeno uno dei listini ove l’impresa è quotata svolga

efficacemente la sua funzione informativa, compensando l’eventuale inefficienza in

tale senso dell’altro/i mercato/i in cui le azioni dell’impresa vengono negoziate.

- Aumento di prestigio e di visibilità anche per il management e per lo staff

dell’impresa, con impatti postivi sul profilo motivazionale.

- Riduzione del rischio per gli shareholders esistenti, che inoltre hanno la possibilità di

monetizzare facilmente parte più o meno consistente della propria partecipazione

sociale, ottenendo significativi capital gains.

- Potenziali benefici fiscali. Tale effetto rileva particolarmente per le imprese europee,

che nei relativi mercati regolamentati nazionali non godono in misura importante di

questi vantaggi, e che quindi accedendo in mercati come quelli nord americani, ove

allo status di public company sono di norma associati significativi benefici in tale

direzione, potrebbero finalmente godere di un trattamento fiscale privilegiato.

Come appurato in precedenza per il listing nel mercato domestico, anche il cross-listing

implica, a fronte di numerosi potenziali benefici, rilevanti costi da non sottovalutare, che

tendono a presentare un’elevata variabilità da impresa a impresa, soprattutto quelli indiretti.

Innanzitutto, emergono gli ingenti costi diretti da sostenere in sede di IPO per espletare il

procedimento di ammissione al listino, le notevoli commissioni di quotazione e di trading da

corrispondere periodicamente allo Stock Exchange, e i costi di consulenza legale e finanziaria

di cui l’impresa necessita durante il soggiorno nel mercato. In aggiunta a ciò, sussistono

importanti costi indiretti, che come rimarcato da Pfister e VonWyss (2010) e Röell (1996)

sono quelli che pesano maggiormente sull’impresa a seguito di un foreign listing, e più in

generale ogni qual volta essa decide di rendere il proprio equity negoziabile in un certo

Page 41: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

41

mercato regolamentato. Tali costi sono in gran parte riconducibili a tutti quegli oneri necessari

a conformarsi alla normativa prevista dal mercato ospitante, soprattutto relativamente ai

requisiti minimi di quotazione e agli obblighi in tema di disclousure; emergono pertanto in

corrispondenza della sopravvenuta necessità di adottare efficaci politiche di comunicazione,

di predisporre bilanci infrannuali, e più in generale di introdurre la cd. cultura della

trasparenza. Questi costi rilevano soprattutto per le imprese estere, in gran parte europee e

Sud Est asiatiche, che decidono di approdare in uno dei principali mercati regolamentati

statunitensi, caratterizzati da stringenti e rigorose norme di quotazione. Ecco che, soltanto

coloro che tra queste esibiscono un buon stato di salute economico – finanziario, con delle

discrete dimensioni in termini di assets ed equity, e una corporate governance già improntata

verso un regime di full disclousure, possono ambire all’ammissione in tali mercati,

presentando delle prospettive di quotazione favorevoli.

Se come affermato da Geranio (2004), a seguito della quotazione nel mercato azionario

domestico si assiste ad una netta contrazione della flessibilità gestionale e strategica

dell’impresa, approdare ad un ulteriore listino oltre a quello nazionale ovviamente amplifica

gli effetti negativi in tal senso. Pertanto, pare risultare inopportuno realizzare un cross-listing

quando l’impresa riscontra la necessità o l’opportunità di attuare un piano di ristrutturazione

e/o di rinnovamento, la cui implementazione richiede una certa libertà d’azione.

Pfister e VonWyss (2010) considerano infine come un ulteriore svantaggio presentato dal

foreign listing, tutte le implicazioni negative tipicamente connesse all’eventuale concretizzarsi

di un’azione legale contro l’impresa in un mercato straniero.

Come osservato per il listing nel mercato domestico, l’entità dei costi e degli svantaggi

connessi al cross-listing, sono indirettamente proporzionali alla dimensione dell’impresa, in

termini di assets ed equity, e al livello di esperienza acquisita con la quotazione in altri

mercati azionari. Appare quindi ragionevole per una società, prima di assumere una decisione

di cross listing, analizzare accuratamente le caratteristiche legali, economico – finanziarie,

politiche e culturali del mercato regolamentato in cui si intende approdare, e più in generale

del Paese di riferimento, verificandone la compatibilità con la struttura attuale dell’impresa,

oltre che realizzare una ponderata valutazione del trade off tra i benefici e i costi offerti dal

foreign listing.

Alla significativa diffusione del fenomeno del cross-listing concentratasi tra la fine degli anni

Ottanta e la fine degli anni Novanta, hanno fatto seguito negli anni Duemila grandi ondate di

foreign delistings dai principali mercati borsistici mondiali; un numero considerevole di

imprese che in precedenza aveva scelto di quotarsi in uno o più mercati regolamentati

stranieri, dopo alcuni anni li ha abbandonati, in alcuni casi volontariamente, in altri su

Page 42: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

42

decisione dello Stock Exchange, concentrando così il proprio business sul solo mercato

azionario domestico. Dai contribuiti di Karolyi (2006), You (2008), You, Parhizgari e

Srivastava (2012) e Chaplinsky e Ramchand (2007), sembra emergere come le ragioni alla

base di questi numerosi foreign delistings, che hanno comportato un sostanziale

peggioramento dei differenziali IPO – delisting nella pressoché totalità dei mercati

regolamentati mondiali, in corrispondenza anche del netto calo registrato dai foreign listings,

possano essere riconducibili principalmente a tre fattori:

- Introduzione nei primi anni Duemila, nei principali mercati azionari, di normative sul

listing più stringenti e rigorose, che hanno comportato un innalzamento dei requisiti

minimi di quotazione e degli obblighi in tema di disclosure, generando un

considerevole inasprimento dei costi, diretti e indiretti, da sostenere per soggiornare in

un mercato borsistico.

- I numerosi foreign listings avvenuti negli anni Novanta, hanno determinato

un’eccessiva competizione tra le società quotate nei vari listini nell’attirare su di sé

l’attenzione di analisti e investitori, condizione necessaria al fine di garantire elevati

trade volumes sul titolo e massimizzare i listing benefits. I mercati, dal canto loro, non

si sono dimostrati in grado di accogliere una tale quantità di nuove IPOs, e quindi di

supportare efficacemente le società durante il periodo di soggiorno nel listino. Ciò ha

provocato una progressiva riduzione delle probabilità di sopravvivenza di ciascuna

impresa, incrementandone il rischio di incorrere in un delisting nel breve termine.

- A seguito degli eventi macroeconomici negativi verificatesi nel primo decennio del

XXI secolo, si è assistito ad una progressiva perdita di efficienza e di competitività dei

principali mercati regolamentati mondiali, sempre più incapaci di svolgere le loro

funzioni fondamentali, e di supportare le imprese durante il periodo di quotazione,

compromettendone la capacità di realizzare i benefici teorici associati al going public,

presupposto fondamentale per sopravvivere nel listino.

Pertanto, a fronte di costi reali sempre più ingenti, si deve registrare una crescente difficoltà

nel godere dei vantaggi potenzialmente collegati allo status di listed company; si è dunque

verificato un sostanziale peggioramento del trade off tra i costi e i benefici del cross listing, e

più in generale del going public. Ciò, non solo ha costituito i presupposti per numerosi foreign

delistings, ma ha anche scoraggiato nuove IPOs, provocando un netto ridimensionamento a

livello globale del fenomeno del cross- listing.

Indagando sulle modalità con cui si sono realizzati questi numerosi foreign delistings, You

(2008), evidenzia come i circa 18.000 foreign delistings verificatesi a livello globale tra il

1964 e il 2008, si siano realizzati per approssimativamente il 45% a seguito di una decisione

Page 43: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

43

di revoca imposta direttamente dallo Stock Exchange, per circa il 40% attraverso operazioni di

M&A, e per il residuo 15% su richiesta esplicita della società. Rispetto ai domestic delistings

realizzati dalle imprese dal proprio mercato nazionale, soprattutto in ambito europeo, emerge

una forte frequenza di delistings involontari. Tale evidenza pare essere giustificata dal fatto

che gran parte dei foreign delistings si sono verificati dal mercato statunitense, che costituisce

anche il principale mercato di destinazione per i foreign listings; tale mercato presenta

standard di quotazione e obblighi di trasparenza assai rigorosi e stringenti, che spesso le

società non riescono a rispettare, venendo così costrette dallo Stock Exchange ad abbandonare

le negoziazioni. Sempre dalla ricerca di You (2008), emerge come la maggior parte dei

foreign delistings abbia riguardato imprese statunitensi, e ciò pare essere naturale considerato

che da sempre risultano essere le più propense a realizzare le strategie di cross-listing. Nello

specifico, circa il 40% delle operazioni di delisting da un mercato regolamentato estero è stato

realizzato da società USA. Pertanto anche i mercati europei, e in particolare quello tedesco, il

principale target market per le imprese USA, sono stati caratterizzati da numerosi foreign

delistings, che hanno tuttavia più frequentemente assunto i connotati di revoche volontarie

dalle contrattazioni.

Il mercato tedesco e quello statunitense, seppur con dinamiche assai differenti, risultano

essere i due mercati borsistici che sono stati maggiormente interessati dal fenomeno del

foreign delisting; ciò pare essere ragionevole, considerato che nel tempo si sono dimostrati gli

Stock Exchanges che più di ogni altro mercato azionario hanno avuto la capacità di attirare le

società straniere.

Rispetto al foreign listing, il fenomeno del foreign delisting ha ricevuto minor attenzione da

parte degli autori dottrinali, poiché diffusosi significativamente soltanto a partire dalla fine

degli anni Novanta. Ecco che, per analizzare le conseguenze generate dall’eventuale decisione

di una società di delistarsi da un qualche mercato estero ove era quotata, risulta utile

considerare come punto di partenza i benefici e gli effetti positivi associati al cross listing

precedentemente evidenziati. In altre parole, in linea con quanto asserito da Liu, Stowe e

Hung (2012) e Pfister e VonWyss (2010), si potrebbe teoricamente assumere che il foreign

delisting provoca la perdita dei benefici potenzialmente associati alla quotazione in un

mercato regolamentato straniero, i quali avevano funto da motivazione dominante alla

precedente decisione dell’impresa di realizzare il foreign listing. Quindi, a seguito

dell’abbandono delle contrattazioni da uno o più mercati stranieri ove era quotata, la società

tende a registrare un’inferiore disponibilità di capitale di rischio, una minor opportunità di

differenziazione delle fonti di capitale utilizzate che, accompagnata alla concentrazione del

business sul solo mercato domestico, potrebbe comportare un notevole incremento del rischio

Page 44: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

44

gravante su di essa e sui propri shareholders. Inoltre, l’uscita da un mercato azionario estero,

specie se esso è considerato particolarmente competitivo e prestigioso, potrebbe causare gravi

danni in termini di immagine e reputazione per l’impresa e i suoi manager, generando

ripercussioni negative in ambito finanziario e commerciale per la prima, e sull’aspetto

motivazionale dei secondi. Coerentemente con quanto sostenuto da You, Parhizgari e

Srivastava (2012) pare opportuno sottolineare che le imprese che più hanno beneficiato dal

soggiorno nel listino estero, sono quelle che realizzerebbero maggiori perdite con un

eventuale delisting da tale mercato, e che quindi devono fare il possibile per scongiurare il

verificarsi di questo evento.

You (2008), You, Parhizgari e Srivastava (2012) e Liu, Stowe e Hung (2012), evidenziano

come a fronte di tutti questi svantaggi non di poco rilievo, il foreign delisting potrebbe

tuttavia presentare anche dei risvolti positivi: innanzitutto, si potrebbe acquisire la flessibilità

strategica e gestionale necessaria per implementare dei programmi di ristrutturazione e/o

rinnovamento; non dovendo più sottostare ai numerosi vincoli ed obblighi imposti ad

un’impresa quotata in più mercati regolamentati, si avrebbe maggior autonomia e liberta

d’azione nel realizzare i propri obbiettivi, oltre a non doversi più preoccupare prima di

prendere una qualsiasi decisione o adottare un qualunque comportamento, degli effetti che ciò

provocherebbe nel mercato, e del giudizio della comunità finanziaria. Inoltre, abbandonando

il foreign market l’impresa non deve più sostenere i numerosi costi, diretti e indiretti, che il

soggiorno in esso implicava, con conseguente miglioramento della sua situazione economico -

finanziaria.

Particolare attenzione bisogna porre nella valutazione degli effetti generati da foreign listing e

foreign delisting su prezzo, liquidità e rischio del titolo nel mercato domestico.

Da numerosi lavori focalizzati sul cross-listing e i suoi effetti36

, emerge innanzitutto come, a

seguito del foreign listing, l’entreprise value (EV) dell’impresa tenda generalmente ad

incrementare in misura considerevole, e quindi pare logico aspettarsi che un eventuale

successivo abbandono del mercato estero generi forti ripercussioni negative in tal senso. Dal

lavoro di Karolyi (2006) sembra tuttavia emergere che, l’EV di una società propende ad

aumentare in modo permanente una volta che essa decide di attuare un cross-listing, e che un

futuro potenziale delisting dal mercato estero ove era quotata non comporti alcun

annullamento di tale effetto positivo precedentemente acquisito. Ciò nonostante,

l’orientamento dottrinale dominante, condiviso tra gli altri da Pfister e VonWyss (2010), You

(2008) e You, Parhizgari e Srivastava (2012), evidenzia come a seguito del foreign delisting si

36

Vedi tra gli altri: Miller (1999), King e Mitoo (2007), Karolyi (2006), Lowengrub e Melvin (2002),

Roosenboom e Van Dijk (2009), Chaplinsky e Ramchand (2007).

Page 45: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

45

registri un netto calo dell’entreprise value, in alcuni casi addirittura superiore all’incremento

verificatosi al momento dell’ingresso nel mercato straniero. Pare opportuno precisare, in linea

con quanto rimarcato da Chaplinsky e Ramchand (2007), che soltanto la scelta di quotarsi in

listini contraddistinti da un elevato livello di competitività e di prestigio può comportare

significativi e duraturi incrementi dell’entreprise value; infatti, soggiornando in tali mercati,

caratterizzati da normative particolarmente rigorose, l’impresa viene percepita agli occhi dei

suoi stakeholders, anche di quelli presenti nel mercato domestico, come portatrice di

un’elevata qualità intrisenca, e ottiene così importanti benefici in termini di immagine, che si

ripercuotono favorevolmente sia sul piano finanziario che su quello commerciale. Viceversa,

l’abbandono di questi listini prestigiosi può comportare gravi danni in termini di immagine e

reputazione con svariati risvolti negativi sotto diversi punti di vista; l’home market tende a

penalizzare l’impresa per il suo foreign delisting, gettandola progressivamente nel

dimenticatoio, e dando avvio ad un inesorabile declino del prezzo del suo titolo, e della

liquidità da esso offerta, spingendola così verso un ulteriore delisting.

La maggior parte degli studi37

presenti in ambito dottrinale si è focalizzata sull’analisi

dell’andamento che il prezzo del titolo assume nel mercato domestico in seguito alla

realizzazione del foreign listing della società, senza valutare, o in certi casi facendolo soltanto

in via marginale e indiretta, gli effetti che potrebbero manifestarsi sulla medesima variabile

conseguentemente all’eventuale decisione della stessa di effettuare un foreign delisting. I

risultati emersi dalle sopra citate ricerche evidenziano come generalmente si registrino

significative variazioni positive del prezzo del titolo nell’home market nel periodo

immediatamente precedente all’ufficializzazione dell’ingresso della società nel mercato

straniero, e nella fase di IPO. Tuttavia, sembra che questi effetti positivi tendano nella

maggior parte dei casi ad attenuarsi con il passare del tempo.

Di particolare rilievo sono da considerarsi i lavori di Pfister e Von Wyss (2010), Liu (2005),

Liu, Stowe e Hung (2012), Miller (1999) e You, Parhizgari e Srivastava (2012), che risultano

essere tra i pochi contributi presenti dottrina che non si limitano a valutare gli effetti generati

da un foreign listing sul prezzo del titolo della società nel mercato domestico, ma anche, o

meglio soprattutto a realizzare un’analisi approfondita delle conseguenze provocate sulla

medesima variabile da un foreign delisting. In queste ricerche, partendo da una valutazione

complessiva dei risultati riportati dai più numerosi studi focalizzati sugli effetti e sulle

implicazioni del foreign listing, si tenta di realizzare un’analisi delle dinamiche caratterizzanti

il prezzo del titolo nell’home market in seguito al manifestarsi del fenomeno del foreign

37

Vedi tra gli altri: King e Mitoo (2007), Karolyi (1998), Karolyi (2006), Lowengrub e Melvin (2002) e

Roosenboom e Van Dijk (2009).

Page 46: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

46

delisting. Liu (2005), analizzando un campione di 103 imprese provenienti da 20 differenti

Paesi, involontariamente delistate dai tre principali mercati regolamentati statunitensi dal

1990 al 2003, mostra come in seguito all’annuncio del probabile delisting dal mercato estero,

il prezzo del titolo della società nel mercato domestico tenda mediamente a declinare del

4,5%, e nella maggior parte dei casi, tale riduzione risulta perdurare nel tempo. Pfister e Von

Wyss (2010), realizzano un’importante indagine su un campione totale di 255 foreign

delistings verificatesi dal 1998 al 2008 in tre dei principali mercati regolamentati mondiali:

Deutsche Börse, Tokyo Stock Exchange e SIX Swiss Exchange. Tali autori, al fine di

analizzare gli effetti provocati dal delisting dal mercato straniero sul prezzo del titolo nel

mercato di provenienza dell’impresa revocata, considerano l’andamento che esso assunto dal

duecento ottantesimo giorno precedente all’annuncio della probabile uscita dal listino al

centesimo giorno successivo alla realizzazione del delisting effettivo. Dall’indagine sembra

emergere come generalmente gli effetti sul prezzo del titolo nell’home market a seguito del

delisting dal mercato estero siano poco significativi, poiché tendono a concentrarsi nei giorni

immediatamente successivi all’annuncio del delisting, per poi dissolversi gradualmente; ciò è

spiegabile dal fatto che il mercato domestico tende a sovra reagire alla notizia del probabile

imminente delisting della società, a causa dell’importante signaling effect che un evento di

tale tipo provoca sul prezzo del titolo. In media, si registra che il declino del prezzo del titolo

avvenga in gran parte nei 20 giorni seguenti all’annuncio di delisting, per poi rapidamente

annullarsi entro i 100 giorni successivi alla realizzazione effettiva dello stesso. Liu, Stowe e

Hung (2012), considerando tutte le imprese statunitensi delistatesi volontariamente dal Tokyo

Stock Exchange dal 1982 al 2005, rilevano che mediamente al foreign delisting faccia seguito

una riduzione poco significativa del prezzo del titolo nell’home market, che si aggira intorno

al 2% e che tende a scomparire entro 20 giorni dall’annuncio del delisting. Miller (1999),

indagando su un campione di 181 imprese provenienti da 35 differenti Paesi, che hanno

abbandonato il NYSE dal 1985 al 1995, evidenzia come la reazione del prezzo del titolo nel

mercato domestico conseguente al foreign delisting della società presenti un’elevata

variabilità da impresa a impresa, poiché dipende da numerosi fattori quali le motivazioni alla

base dell’abbandono del listino, le driving forces che avevano indotto la società a quotarsi nel

mercato straniero, lo stato di salute economico – finanziario attuale e prospettico della società,

la porzione del suo business focalizzata sul foreign market, e le caratteristiche strutturali del

mercato domestico e di quello estero. Dall’analisi in questione, emerge come mediamente il

prezzo del titolo nell’home market registri una riduzione media di circa il 6%, che tuttavia

tende ad essere anche in questo caso solamente provvisoria, e ad annullarsi nel breve termine.

Page 47: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

47

Infine, You, Parhizgari e Srivastava (2012) considerando nel campione d’analisi 465 società

provenienti da diversi Paesi che hanno deciso di approdare in un mercato regolamentato

straniero per poi dopo poco tempo abbandonarlo, nel periodo 1988 – 2007, sembrano ribadire

quanto sopra evidenziato dagli altri autori considerati, ovvero che a seguito di un foreign

delisting si tende ad osservare una riduzione effettiva irrilevante del prezzo del titolo nel

mercato domestico.

Quanto sopra emerso non sembra dunque permettere di sostenere l’esistenza di una

significativa relazione tra il foreign delisting e l’andamento del prezzo del titolo nel mercato

domestico, in quanto nella maggior parte dei casi si tratta di variazioni negative di modesta

entità e di breve durata, in gran parte riconducibili al signaling effect generato dall’annuncio

del probabile delisting sul prezzo del titolo. Seppur in modo contenuto, il prezzo del titolo

sembra essere maggiormente influenzato dall’evento di foreign listing.

Un’altra importante variabile di mercato rilevante che necessita di essere analizzata è il livello

di liquidità offerto dal titolo nell’home market. Anche in questo caso, gran parte dei lavori si è

focalizzata sull’analisi dell’andamento che la liquidità caratterizzante il titolo di una società

nel mercato domestico assume a seguito della decisione della stessa di quotarsi in un mercato

straniero, e non sugli effetti generati su tale variabile dall’opposta decisione di realizzare un

foreign delisting. Karolyi (2006), Lowengrub e Melvin (2002), King e Mitoo (2007) e You,

Parhizgari e Srivastava (2012), evidenziano come generalmente a seguito della decisione di

una società di realizzare un foreign listing, si registrino significativi aumenti della liquidità

offerta dal titolo nell’home market, generati da un effetto combinato manifestatosi sui due

fattori che sono da considerarsi le determinanti chiave del livello di liquidità presentato da un

titolo azionario: il trade volume e il bid ask spread. La liquidità caratterizzante un titolo

presenta con il primo elemento una relazione direttamente proporzionale, mentre con il

secondo un legame inverso. Infatti, successivamente all’ingresso di una società in un mercato

borsistico straniero, si tende ad osservare un netto incremento del volume di negoziazioni del

titolo nel mercato domestico, accompagnato da una consistente riduzione del bid ask spread,

ovvero del differenziale tra il prezzo più basso a cui uno shareholder dell’impresa è disposto a

vendere un titolo (ask) e il prezzo più alto che un compratore presente nel mercato è disposto

ad offrire per quel titolo (bid). Dai contributi sopra menzionati, sembra quindi emergere

l’esistenza di una relazione significativa tra il cross-listing e la liquidità del titolo nel mercato

domestico, poiché gli effetti positivi generati su tale variabile da un foreign listing, a

differenza di quelli emersi sul prezzo, sembrano perdurare nel tempo, e non gradualmente

dissolversi una volta terminata la fase di IPO. In disaccordo con questo orientamento

dottrinale dominante, Levine e Schmukler (2006) tendono a sminuire i risvolti positivi sulla

Page 48: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

48

liquidità del titolo nel mercato domestico associati al fenomeno del cross-listing, rimarcando

come a seguito della decisione della società di accedere ad un mercato straniero, si assista ad

un semplice trasferimento di trade volume, e quindi di liquidità, dal mercato domestico al

mercato estero ove l’impresa si è quotata; in altre parole, nel foreign market si registra un

incremento del volume delle negoziazioni sul titolo con conseguenti effetti positivi in termini

di liquidità offerta all’impresa e ai suoi shareholders, mentre nell’home market si verifica una

variazione di analoga entità ma di segno opposto sulle medesime variabili.

Anche in questo ambito, molto contenuta è la quantità dei contributi che hanno come focus

d’indagine principale gli effetti provocati sulla liquidità del titolo nell’home market dal

delisting della società dal mercato estero ove era quotata. I lavori di Pfister e Von Wyss

(2010), Liu (2005), Chandy, Sarkar e Triphaty (2004) e You, Parhizgari e Srivastava (2012)

risultano essere tra i più significativi in tale direzione. I seguenti autori evidenziano

l’esistenza di una relazione negativa tra il livello di liquidità offerto dal titolo nell’home

market e la decisione della società di realizzare un foreign delisting. A seguito dell’uscita dal

mercato estero sembrano registrarsi infatti significative variazioni negative dello stato di

liquidità caratterizzante il titolo nel mercato domestico, segnalate da un calo del trade volume

e da un incremento del bid ask spread.

Un ultimo interessante elemento di discussione consiste nel valutare gli effetti generati da

foreign listing e foreign delisting sul livello di rischio gravante sull’impresa e i suoi

shareholders. Poiché, a seguito della decisione di una società di quotarsi in un listino straniero

e quindi di raccogliere ulteriore capitale proprio, si verifica una diversificazione del suo

business con conseguente riduzione del grado di esposizione al rischio per l’impresa e i suoi

azionisti, sembrerebbe logico ritenere che l’inversa operazione di delistare il titolo dal

mercato estero ove essa era quotata, focalizzando interamente il proprio business sul mercato

domestico, comporti un incremento del rischio affrontato. Tuttavia, Pfister e Von Wyss

(2010), You, Parhizgari e Srivastava (2012) e Lowengrub e Melvin (2002), evidenziano che,

mentre a seguito della decisione di cross-listing si registrano solitamente importanti riduzioni

del beta di mercato e del livello di volatilità che caratterizza il titolo nel mercato domestico,

l’eventuale delisting dal mercato estero non produce significativi effetti su tali variabili.

Nonostante quanto sinora emerso, risulta opportuno precisare, come sottolineato più volte da

Roosenboom e Van Dijk (2009) nel loro contributo sul tema, che l’entità e la durata degli

effetti generati sul prezzo e la liquidità del titolo nell’home market, e sul rischio gravante

sull’impresa e i suoi shareholders, a seguito della decisione di quotarsi in un mercato

borsistico straniero, o viceversa da quella di abbandonarlo, presentano un elevato livello di

variabilità da impresa a impresa, poiché sono strettamente legate a numerosi fattori, fra i

Page 49: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

49

quali: stato di salute economico – finanziario attuale e prospettico dell’impresa, motivazioni

alla base del foreign delisting e del precedente foreign listing, caratteristiche strutturali del

mercato estero e del mercato domestico, situazione macroeconomica generale, solo per citarne

alcuni.

A conclusione del paragrafo, pare interessante evidenziare anche i fattori comuni, relativi

all’impresa e al mercato, alla base dei numerosi foreign delistings che dalla fine degli anni

Novanta hanno interessato imprese della più svariata nazionalità e la pressoché totalità degli

Stock Exchanges mondiali. A tal merito, dal contributo di You, Parhizgari e Srivastava (2012)

emerge il ruolo chiave giocato dalle performance dell’impresa, dalle performance del mercato

straniero ove essa è quotata e dalle condizioni di trade al suo interno, nel determinare un

foreign delisting. Relativamente alle performance dell’impresa: “low firm return, high firm

risk and low firm trade volume in host market causes foreign delisting”; con riferimento alle

performance del mercato straniero ospitante: “low market return and low trading volume in

the host market causes foreign delisting”38

.

38

You, Parhizgari e Srivastava (2012, p. 208).

Page 50: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

50

Page 51: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

51

2. DELISTING INVOLONTARIO E DELISTING VOLONTARIO: DUE

DIVERSE TIPOLOGIE DI USCITA DA UN MERCATO REGOLAMENTATO

I regimi legali disciplinanti il funzionamento dei mercati regolamentati più efficienti e

competitivi39

, prevedono l’esistenza di due diverse modalità di uscita da un mercato

regolamentato: il delisting volontario e il delisting involontario. Nel primo caso, è la società

stessa che richiede allo Stock Exchange, di sua spontanea iniziativa e in totale autonomia,

l’autorizzazione ad abbandonare il mercato. Il compulsory delisting invece si manifesta ogni

qualvolta è la Borsa a deliberare per una qualche ragione la revoca del titolo dalle

negoziazioni. Questa seconda tipologia di delisting è più ricorrente nei mercati anglosassoni, e

in particolare in quelli statunitensi, che si contraddistinguono per una normativa assai rigorosa

in tema di standard di quotazione e di obblighi vari associati allo status di listed company,

rendendo particolarmente complicato e oneroso per una società soggiornare in essi. Le uscite

volontarie dal mercato sono invece la fattispecie di delisting predominante nei mercati

borsistici dell’Europa continentale, dove le normative di quotazione risultano essere molto

meno stringenti e selettive, e i mercati presentano alcuni problemi di carattere strutturale che

riducono le probabilità di una quotazione profittevole per le società ospitate; accade infatti

frequentemente che una società, dimostrandosi sin dal suo ingresso scarsamente performante

e incapace di attirare significativi livelli di analyst coverage, sia costretta dopo poco tempo ad

abbandonare le contrattazioni al fine di evitare il tracollo definitivo. Tuttavia pare opportuno

ribadire che, poiché le revoche dalle contrattazioni a seguito di una richiesta esplicita della

società sono abbastanza limitate, la macrocategoria dei delisting volontari risulta

complessivamente prevalere su quella dei delisting involontari a causa della tendenza

dottrinale dominante nel far rientrare in tale ambito anche i numerosi processi di going

private, ovvero tutti quei casi in cui a determinare l’uscita dal mercato sia un’operazione di

OPA o di Fusione.

Nel seguente capitolo si realizzerà un accurato approfondimento sulle caratteristiche, sulla

struttura e sulle fisionomie con cui generalmente si manifestano gli eventi di delisting

involontario e di delisting volontario, analizzando le motivazioni più ricorrenti alla base della

loro realizzazione e gli effetti che ne conseguono.

39

ovvero quelli riconducibili ai Paesi sviluppati.

Page 52: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

52

2.1 IL DELISTING INVOLONTARIO: UN FENOMENO TIPICO DEL MERCATO USA

You (2008) sostiene che ci si trova dinanzi ad un delisting involontario o compulsory delisting

ogni qualvolta lo Stock Exchange decide di propria spontanea iniziativa di revocare

definitivamente un titolo dalle negoziazioni. In questi casi, la volontà della società non viene

considerata in alcun modo, e il provvedimento assunto dalla Borsa, o meglio dall’organismo

preposto all’organizzazione e alla gestione del mercato regolamentato, deve considerarsi

vincolante e incontrastabile. Pertanto, ogni qual volta lo Stock Exchange dichiara

ufficialmente il delisting di una società, il suo titolo viene automaticamente cancellato dal

listino, e le sue azioni non possono più costituire oggetto di trading in quel mercato.

L’orientamento dottrinale dominante40

sostiene che una revoca dalle contrattazioni per poter

essere considerata a tutti gli effetti un caso di delisting involontario, deve sorgere come

conseguenza di un provvedimento assunto, non soltanto dal punto di vista formale ma anche

da quello sostanziale dallo Stock Exchange, senza che questo sia in qualche modo motivato

dalla volontà più o meno esplicita della società di abbandonare le contrattazioni. Ecco la

ragione per cui, in linea con quanto evidenziato da tale orientamento maggioritario, risulta

inadeguato far rientrare in tale ambito i delisting che avvengono a seguito di OPA o di

Fusioni, ovvero quelle situazioni in cui seppur il provvedimento di revoca è formalmente

assunto dallo Stock Exchange, sussiste la finalità più o meno dichiarata e rilevante da parte

della società di abbandonare le contrattazioni, o quantomeno la sua piena consapevolezza che

il concretizzarsi di una tale operazione comporterebbe automaticamente il delisting del titolo,

venendo meno alcuni dei requisiti minimi richiesti per la quotazione in un mercato

regolamentato. Da qui la decisione di trattare i processi di going private nel prossimo

paragrafo, dedicato all’analisi dell’ampia ed eterogenea categoria dei delisting volontari, per

concentrarsi ora sulle revoche involontarie dalle contrattazioni.

Dai numerosi studi presenti in dottrina sul tema, tra i quali si citano quelli di You (2008),

Wolff e Long (2010) e Djama, Martinez e Serve (2012), emerge chiaramente come a seguito

dell’introduzione di standard di quotazione sempre più stringenti e rigorosi nei principali

mercati regolamentati mondiali, e del deterioramento generale delle performance economico –

finanziarie delle imprese successivamente all’esplosione della crisi globale nel 2007, risulta

essere sempre più complicato per una società quotata rispettare i requisiti minimi, quantitativi

e non, richiesti per la quotazione in un listino, e quindi conservare a lungo lo status di public

company. Quanto appena evidenziato spiega la significativa diffusione che il fenomeno del

40

Tra i tanti vedi You (2008), Macey, O’Hara e Pompilio (2008), Chaplinsky e Ramchand (2007), Geranio

(2004), Djama, Martinez e Serve (2012), Leuz, Triantis e Wang (2008).

Page 53: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

53

delisting involontario ha conosciuto a livello internazionale negli ultimi tempi, seppur soltanto

nei mercati regolamentati statunitensi sia da considerarsi una delle principali cause di

abbandono del listino. Questi mercati sono infatti caratterizzati da rigidi standard di

quotazione e dalla stringente normativa SEC gravante sulle listed companies, che hanno la

funzione di realizzare una continua e spietata selezione delle società in essi quotate.

Da qui la scelta di analizzare i connotati e le fisionomie che il fenomeno tende ad assumere

nel mercato regolamentato statunitense, considerando alcuni tra i più significativi contributi

dottrinali improntati sull’analisi dei delisting involontari d’oltreoceano.

Dalle ricerche di Chaplinsky e Ramchand (2007), Macey, O’Hara e Pompilio (2008) e You

(2008), emerge come i compulsory delistings trovino generalmente manifestazione a seguito

del verificarsi di una delle seguenti condizioni:

Mancato rispetto da parte della società di un qualunque standard, quantitativo o non,

di quotazione;

Inadempimento ad un qualche obbligo associato allo status di public company, tra i

quali assumono particolare rilevanza quelli di natura informativa, il cui rispetto, dopo i

numerosi scandali finanziari verificatisi nei primissimi anni Duemila, è considerato

fondamentale per garantire la trasparenza del mercato e pertanto condizione

assolutamente inderogabile per poter continuare a soggiornare in esso;

Adozione da parte della società di comportamenti ritenuti dallo Stock Exchange

scorretti o inopportuni, in quanto potenzialmente in grado di recare danno al pubblico

presente nel mercato;

Andamento declinante del prezzo del titolo, che riflette un progressivo deterioramento

delle performance dell’impresa e dei suoi fundamentals41

successivamente alla fase di

IPO;

Coinvolgimento dell’impresa in particolari scandali o inchieste che potrebbero minare

la competitività e il prestigio del mercato;

Fallimento della società, o anche il solo annuncio di un suo possibile ma non certo

dissesto economico - finanziario nel breve termine;

Titolo caratterizzato da un trade volume ritenuto dallo Stock Exchange troppo

contenuto per poter giustificare i costi sostenuti per quotarlo;

Ogni qualvolta lo Stock Exchange ritiene che non sussistano più i presupposti per il

proseguo della quotazione della società.

41

I valori chiave rappresentanti l’andamento economico – finanziario di un’impresa sono: total assets, equity,

earnings, sales e total debts.

Page 54: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

54

Queste appena elencate sono da considerarsi, con riferimento alla pressoché totalità dei

mercati regolamentati mondiali, delle condizioni di carattere generale al verificarsi delle quali

potrebbero sorgere sufficienti elementi da indurre uno Stock Exchange a deliberare la revoca

del titolo dalle contrattazioni. Tuttavia da quanto evidenziato nell’ultimo punto, emerge

chiaramente come gli Stock Exchanges godano di una significativa discrezionalità, più o meno

variabile a seconda dei casi, nell’assumere una decisione di radiation. Pertanto, il manifestarsi

di una delle sopra menzionate condizioni non comporta automaticamente il delisting del

titolo, ma costituisce semplicemente i presupposti per un’eventuale legittima decisione di

revoca dello Stock Exchange.

Carney (2006) e Wolff e Long (2010), analizzando le dinamiche caratterizzanti i tre principali

mercati regolamentati USA successivamente all’introduzione della SOX nel 2003,

evidenziano il ruolo fondamentale giocato da tale provvedimento nel determinare la notevole

diffusione degli eventi di delisting involontario. Con la SOX infatti, sono stati innalzati gli

standard di quotazione42

con la finalità di realizzare un continuo processo di selezione delle

imprese soggiornanti in tali mercati, cercando da una parte di massimizzare il numero delle

cd. high quality companies, ovvero delle imprese più performanti, e escludendo dall’altra le

low performing firms, in modo tale da permettere così al mercato di conservare elevati livelli

di efficienza e di prestigio; l’introduzione di un tale provvedimento è stata considerata

necessaria poiché la significativa caduta dei prezzi azionari registratesi nei primissimi anni

2000, complice anche i numerosi scandali finanziari verificatisi in quel periodo di cold

market, aveva provocato un forte crollo della fiducia degli investitori e danneggiato la

competitività dei mercati. Macey, O’Hara e Pompilio (2008), evidenziano come nel periodo

1995-2005 si siano registrati approssimativamente novemila delisting dal NYSE, dal

NASDAQ e dall’AMEX, e come circa il 50% rientrino nella categoria delle revoche

involontarie dalle contrattazioni; questi dati confermano ancora una volta quanto il delisting

involontario sia un fenomeno particolarmente diffuso nel mercato USA. Un numero altamente

significativo di questi compulsory delistings si è concentrato nel periodo 2000-2005 a seguito

dell’esplosione della dot.com bubble e soprattutto dell’introduzione della SOX. Chaplinsky e

Ramchand (2007), analizzando i movimenti in entrata ed uscita dai mercati regolamentati

USA da parte di imprese estere nel periodo 1961-2004, rimarcano come le revoche

42

In particolare sono stati innalzati gli obblighi di natura informativa in capo ad una listed company. Tali vincoli

infatti non riguardano più soltanto la cd. comunicazione finanziaria relativa alla trasmissione dei bilanci e dei

rendiconti infrannuali, ma mirano a indurre le varie società quotate ad introdurre un regime di full disclosure,

obbligandole a garantire una piena trasparenza di tutti i vari aspetti relativi alla loro attività. Tra le varie novità

apportate con la SOX, è stata resa obbligatoria l’adozione di un codice etico e la comunicazione di eventuali sue

violazioni, sono stati introdotti obblighi di certificazione e valutazione in capo al CFO e CEO, e più in generale

si è notevolmente rafforzato il principio di corporate responsability.

Page 55: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

55

involontarie dalle contrattazioni abbiano riguardato numerose imprese domestiche ma

soprattutto foreign companies provenienti da altri Paesi, principalmente da quelli europei, che

hanno invano tentato di realizzare un profittevole processo di crescita nel mercato

statunitense. Molte di queste imprese, che spesso venivano da precedenti esperienze di

quotazione nel listino nazionale e/o in quello di Paesi vicini, non sono riuscite ad

implementare quel significativo processo di cambiamento culturale e organizzativo che la

quotazione in un mercato altamente competitivo come quello USA richiede, mostrando dopo

breve tempo dal loro ingresso di essere incapaci di adeguarsi ai rigorosi standard di

quotazione. A sostegno di quanto appena evidenziato, ritornano utili i già riportati risultati

contenuti nello studio di You (2008), nel quale emerge come la durata media dei domestic

listings nei mercati regolamentati USA sia nettamente superiore a quella dei foreign listings.

Nello specifico, mentre la durata media di quotazione è di circa 9 anni per le imprese

domestiche, si riduce drasticamente ai soli 4 anni per quelle straniere. Continuando ad

indagare sulle fisionomie e sui connotati che il fenomeno del delisting involontario assume

nei mercati regolamentati USA, dallo studio di Macey, O’Hara e Pompilio (2008) emergono

alcune evidenze che permettono di tracciare una sorta di profilo ideale di quelle società che

tendono a presentare un più elevato rischio di compulsory delisting:

La maggior parte delle revoche involontarie dalle contrattazioni si verifica nel NYSE,

ovvero nel primo mercato regolamentato mondiale per market capitalization e trade

volume complessivo, caratterizzato dai più rigorosi standard di quotazione e da

un’estremamente accurata selezione delle imprese in esso soggiornanti.

La size delle imprese che possono incorrere in un delisting involontario risulta essere

la più variabile, anche se solitamente tanto più ridotta è la dimensione dell’impresa,

misurabile in termini di assets e equity, tante più difficoltà essa incontra

nell’implementare il profondo cambiamento organizzativo che il going public implica,

e nell’adeguarsi ai stringenti requisiti richiesti per il soggiorno nel mercato. Si

potrebbe pertanto sostenere l’esistenza di una relazione inversamente proporzionale tra

la size dell’impresa e le probabilità di un suo delisting involontario nel breve periodo.

La causa più ricorrente alla base della decisione dello Stock Exchange di revocare un

titolo dalle negoziazioni è il mancato rispetto del requisito del prezzo di 1$ per azione.

I compulsory delistings hanno più spesso riguardato imprese caratterizzate da un

progressivo peggioramento delle proprie performance, evidenziato da un declino del

prezzo del titolo successivamente alla fase di IPO. In altri casi invece, emergono

imprese che già al momento dell’ingresso nel mercato presentavano un discutibile

Page 56: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

56

stato di salute economico – finanziario e ridotte probabilità di una quotazione duratura

e profittevole, e che pertanto non avrebbero dovuto essere ammesse alle contrattazioni.

Imprese non particolarmente note e prestigiose, caratterizzate da un ridotto volume di

negoziazione del proprio titolo sembrano presentare significative probabilità di

incorrere in un delisting involontario nel breve periodo.

Dai contributi di Chaplinsky e Ramchand (2007), Macey, O’Hara e Pompilio (2008) e You

(2008) emerge inoltre come nei periodi di cold market, ovvero di prezzi di mercato al ribasso,

si tenda a registrare un maggior numero di delisting involontari dai mercati regolamentati

USA, poiché in queste fasi le imprese quotate presentano una maggior difficoltà nell’attirare

l’attenzione del mercato su di sé e garantire un elevato trade volume al proprio titolo,

complice la poca fiducia che vige tra gli investitori; spesso ciò comporta un deterioramento

delle performance economico – finanziarie delle imprese, che rende loro più complicato

conformarsi stabilmente agli standard di quotazione, specialmente a quello del prezzo del

titolo superiore all’1$, il cui mancato rispetto consiste nella principale causa di revoca

involontaria dalle contrattazioni nel mercato statunitense. Viceversa, nei periodi di hot market

le imprese solitamente sono caratterizzate da un più contenuto rischio di incorrere nel breve

termine in un delisting involontario, poiché grazie al clima di ottimismo ed euforia che

avvolge il mercato in queste fasi, esse sono in grado di garantire importanti trade volumes al

proprio titolo e di ottimizzare così il trade off tra i costi e i benefici della quotazione.

Con riferimento a quei fattori che possono ritenersi dei key successuful factors di una listing

strategy, quali l’elevato prezzo di IPO, la significativa size dell’impresa, l’effettuazione di

periodici capital risings nel mercato regolamentato in cui si è approdati, la presenza

nell’azionariato di investitori istituzionali e prestigiosi, evidenziati da Chaplinsky e

Ramchand (2007) e già rimarcati nel primo capitolo della trattazione, è opportuno sottolineare

come questi svolgano un ruolo ancor più determinante nel favorire un soggiorno profittevole e

duraturo nel listino per le società quotate nei mercati regolamentati USA, considerata l’elevata

competitività e selettività che li contraddistingue, e perciò nell’allontanare il rischio di un

possibile delisting involontario.

Un altro elemento di rilevante discussione in ambito dottrinale su cui risulta interessante

soffermarsi è la significativa relazione che pare emergere tra la corporate governance di

un’impresa e il rischio di delisting involontario che essa presenta nel breve periodo. Charitou,

Louca e Vafeas (2007), analizzando un campione di 161 revoche involontarie manifestatesi

tra il 1998 e il 2004 nel NYSE, indagano sull’effettiva esistenza di una tale relazione, e più

specificatamente mirano a verificare se le competenze e le caratteristiche dell’organo gestorio,

ovvero del Board of Directors, congiuntamente alla struttura proprietaria dell’impresa,

Page 57: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

57

svolgano un ruolo chiave nell’influenzare la capacità della stessa di soggiornare in modo

profittevole nel mercato regolamentato e di adeguarsi agli standard di quotazione richiesti.

Il Board of Directors (BOD) o Consiglio di Amministrazione (CDA), composto dai principali

managers dell’impresa, è il detentore del potere gestorio nella maggior parte delle società

quotate in un mercato regolamentato, specialmente in quelli anglosassoni, dove la fattispecie

dell’impresa familiare è pressoché inesistente. Si presenta pertanto al vertice del processo

decisionale dell’impresa, e ogni decisione o azione, sia essa di carattere strategico o operativo,

deve sempre essere deliberata da tale organo, o quantomeno necessita della sua approvazione

per poter esser implementata. Da quanto appena emerso, si evince come il ruolo giocato dal

BOD sia fondamentale nel determinare l’andamento delle performance economico –

finanziarie dell’impresa nel mercato borsistico ove è quotata, e quindi le dinamiche

caratterizzanti le tre principali variabili di mercato di un titolo quotato: prezzo, rischio e

liquidità. Tanto meglio l’organo gestorio di una società è strutturato tanto più sarà

potenzialmente in grado di svolgere efficacemente i suoi compiti, e pertanto minori saranno le

probabilità che l’impresa incorra in un delisting involontario nel breve periodo. Charitou,

Louca e Vafeas (2007) tracciano una sorta di profilo ideale di BOD, in corrispondenza del

quale una società presenta buone probabilità di soggiornare in modo profittevole e duraturo in

un mercato borsistico e quindi un ridotto rischio di incorrere in un delisting involontario nel

breve termine. A tal merito si individuono quattro caratteristiche o meglio fisionomie che

l’organo gestorio di una società dovrebbe presentare:

1. Indipendenza: un board of director composto da amministratori esterni43

garantisce

una maggior indipendenza e ininfluenzabilità dell’organo gestorio dagli altri

stakeholders della società, in particolare dagli azionisti di controllo, e ciò spesso si

traduce in un più efficace svolgimento delle sue funzioni con risvolti positivi sulle

performance economico – finanziarie dell’impresa. Gli outsider managers da una

parte risultano essere maggiormente incentivati a tutelare indistintamente gli interessi

di tutti gli azionisti, senza privilegiare quelli di maggioranza, e dall’altra poco

propensi ad adottare comportamenti opportunistici finalizzati alla realizzazione di un

qualche interesse personale e potenzialmente in grado di recare danno all’impresa e ai

suoi shareholders. Inoltre, la presenza di un BOD esterno tende a ridurre lo storico

conflitto tra proprietà e controllo, esistente tra gli interessi e le priorità del manager e

quelle dell’azionista.

2. Size: un’eccessiva numerosità del BOD potrebbe far sorgere problemi di

comunicazione e di coordinamento, rallentando il processo decisionale e impedendo

43

Denominati anche Outsider Directors o External Managers.

Page 58: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

58

all’organo di svolgere efficacemente i suoi compiti. Emerge infatti una relazione

inversa tra size del BOD, misurabile in termini di numero di directors, e performance

aziendali, dalla quale deriva un ulteriore legame, questa volta di carattere positivo:

quello tra la dimensione del BOD e la probabilità della società di incorrere in un

delisting involontario nel breve periodo.

3. Frequenza di meeting: il livello o grado di attività del BOD, misurato dalla frequenza

con il quale esso tende a riunirsi, sembra presentare una relazione negativa con il

rischio di delisting gravante su una società. In altre parole, tanto minore sarà la

cadenza temporale con il quale il BOD si radunerà, tanto più i managers realizzeranno

un monitoraggio continuo ed accurato dell’andamento dell’impresa, e quindi saranno

in grado di prendere tempestivamente le adeguate decisioni volte a garantirne il

corretto funzionamento. Successivamente al 2007, con lo scoppio della crisi

economico – finanziaria globale, l’elevata instabilità dei mercati azionari richiede

fortemente un notevole grado di attività dei BOD delle varie imprese, in modo tale da

permetter loro di adeguarsi ai continui cambiamenti esterni. Sembra essere opportuno

inoltre sostenere che il BOD dovrebbe presentare una significativa frequenza di

meeting soprattutto per quelle società che stanno attraversando un periodo di crisi,

evidenziato da un trend negativo del prezzo del titolo e da ridotti volumi di

negoziazione, al fine di evitare che la situazione precipiti a tal punto da indurre lo

Stock Exchange ad escludere la società dal mercato. In queste situazioni, l’organo

gestorio deve dimostrare una competenza e un’esperienza tale da individuare le

opportune azioni da intraprendere con l’obbiettivo di favorire la ripresa della società e

scongiurare il pericolo di un delisting involontario.

4. Ingresso dei managers nel capitale sociale: la partecipazione al capitale sociale degli

insiders, ovvero di coloro che sono direttamente coinvolti nella gestione dell’impresa,

i managers, deve essere considerata un importante meccanismo di allineamento di

interessi, obbiettivi e comportamenti, in grado di ridurre lo storico conflitto tra

proprietà e controllo, e scongiurare il verificarsi di comportamenti opportunistici da

parte dei managers; essendo essi stessi shareholders, sono infatti maggiormente

incentivati a tutelare gli interessi dell’impresa e degli altri azionisti. Si potrebbe

sostenere quindi l’esistenza di una relazione positiva tra il livello di partecipazione dei

managers al capitale sociale e il rischio di delisting involontario che incombe sulla

società: tanto più gli amministratori di una società sono coinvolti nella sua struttura

proprietaria, ovvero maggiore è l’identificazione tra insiders e outsiders, tante più

Page 59: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

59

possibilità ci sono che il BOD svolga efficacemente la sua attività di gestione, e che

quindi l’impresa sia caratterizzata da ottime performance economico – finanziarie.

Charitou, Louca e Vafeas (2007), evidenziano inoltre come in seguito all’introduzione della

SOX nel 2003 la relazione esistente tra le caratteristiche dell’organo gestorio e le probabilità

che la società si imbatti in una revoca involontaria dalle contrattazioni nel breve termine si sia

intensificata; il NYSE infatti, successivamente ai numerosi scandali finanziari verificatisi nei

primissimi anni Duemila, è diventato più sensibile ai problemi di corporate governance che

possono caratterizzare le società in esso quotate. Con la SOX, lo Stock Exchange ha introdotto

più rigorosi e stringenti standard di quotazione in tale direzione, il cui mancato rispetto

comporta quasi automaticamente il delisting della società.

Da quanto sopra evidenziato, sembrano emergere pertanto elementi sufficienti per poter

sostenere che i connotati presentati dalla corporate governance di un’impresa, riscontrabili

dalle fisionomie assunte dal BOD e dalla struttura proprietaria, svolgano un ruolo chiave nel

determinare l’andamento della sua attività, e quindi nel decretare il successo o l’insuccesso

della quotazione nel mercato regolamentato.

Sempre con riferimento al mercato USA, Macey, O’Hara e Pompilio (2008) evidenziano la

ricorrenza di eventi di listings e delistings involontari sequenziali ed incrociati tra i diversi

mercati statunitensi regolamentati e non. Spesso si verificano situazioni in cui imprese che,

non riuscendo ad adeguarsi ai rigorosi requisiti richiesti per la quotazione nel NYSE, sono

costrette ad abbandonare tale mercato, accedendo successivamente a mercati regolamentati

meno selettivi o addirittura a OTC markets. I sopra menzionati autori sottolineano infatti

come l’esistenza negli USA di una struttura di mercato multilivello altamente integrata e

caratterizzata da diversi stadi di quotazione, ciascuno dei quali corrispondente ad una

differente tipologia di mercato con proprie fisionomie e caratteristiche, consenta ad una

società che viene revocata dal mercato ove era quotata di approdare in un altro mercato,

continuando a rendere negoziabili le proprie azioni tra un pubblico rilevante, ed evitando così

la privatizzazione del suo capitale sociale. I diversi stages di quotazione sono caratterizzati da

una decrescente regolamentazione, ma anche da declinanti livelli di liquidità, di tutela delle

imprese e degli investitori, di prestigio e di reputazione, e da un crescente livello di rischio

misurato da un progressivo aumento della volatilità dei prezzi azionari. Questa multi-level

structure prevede come primo livello di quotazione ove una società può decidere di rendere

negoziabile il proprio equity il NYSE, ovvero il mercato borsistico più prestigioso e

competitivo al mondo, caratterizzato dai più stringenti standard di quotazione. Al secondo

stadio corrispondono invece il NASDAQ e l’AMEX, gli altri due maggiori mercati

regolamentati statunitensi per market capitalization e volume delle negoziazioni, caratterizzati

Page 60: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

60

tuttavia da una normativa di quotazione lievemente più morbida rispetto al NYSE44

. Accade

però sovente che un’impresa non riesca a conformarsi neppure ai requisiti richiesti per il

soggiorno in tali mercati azionari, e che decida quindi di negoziare le proprie azioni nell’OTC

Bullettin Board, il principale mercato non regolamentato statunitense; anche in questo

mercato vigono però alcuni standard di quotazione che, seppur meno stringenti rispetto a

quelli previsti nei mercati borsistici, costituiscono comunque un vincolo non indifferente per

le imprese in esso soggiornanti. Infine, il quarto ed ultimo livello della struttura è

rappresentato dal Pink Sheets market, un mercato altamente deregolamentato e permissivo45

.

È bene evidenziare come un’impresa possa essere quotata in due o più dei sopra menzionati

mercati, anche se Macey, O’Hara e Pompilio (2008) tengono tuttavia a precisare come la

situazione più frequente sia quella di una quotazione in un mercato regolamentato

accompagnata dal soggiorno in un OTC market. Molto rari sono invece i casi in cui una

società che viene revocata dalla quotazione in un mercato regolamentato decida di

privatizzare completamente il suo equity senza accedere in nessun altro mercato, neppure in

uno OTC.

Il delisting involontario, così come ogni altra tipologia di revoca dalle contrattazioni, è da

considerarsi un evento traumatico per le imprese e i loro azionisti. Sembra infatti che oltre alle

perdita dei listing benefits si tenda a registrare una netta riduzione dell’Entreprise Value,

evidenziata da una drastico calo del valore del titolo e da un peggioramento dello stato di

liquidità che caratterizza l’impresa. Inoltre, trattandosi di un’uscita obbligata dal mercato, si

potrebbero avere ritorsioni assai negative in termini di immagine e reputazione, con

ripercussioni sia sul piano finanziario che su quello commerciale. Pertanto, pare opportuno

sostenere come una società quotata debba fare il possibile per evitare di incorrere in una

revoca involontaria dalle contrattazioni46

, e che d’altra parte lo Stock Exchange debba valutare

ponderatamente la situazione prima di assumere un tale provvedimento.

Liu (2005), considerando un significativo campione di imprese domestiche e straniere

revocate dai tre principali listini USA su decisione dello Stock Exchange tra il 1988 e il 2003,

indaga sugli effetti provocati da un delisting involontario sulle principali variabili di mercato

che rappresentano l’andamento di un titolo quotato: prezzo, rischio e liquidità. A tal fine si

analizzano le implicazioni generate su queste variabili nel periodo che intercorre tra

44

Come verrà approfondito nel terzo capitolo, sia i requisiti formali che quelli sostanziali richiesti per la

quotazione in questi due listini risultano essere meno stringenti e selettivi rispetto a quelli imposti dal NYSE. 45

Per un approfondimento sulle caratteristiche presentate da questo OTC market e sulle dinamiche che lo hanno

contraddistinto negli ultimi tempi si rimanda al Cap.1, par.4 del suddetto lavoro. 46

Quanto appena affermato ha validità a patto che la prosecuzione della quotazione non presenti per la società e i

suoi azionisti delle prospettive di perdita addirittura superiori a quelle che si realizzerebbero con un delisting. In

questi casi infatti, l’uscita dal mercato potrebbe rappresentare una soluzione favorevole, e pertanto sarebbe da

considerarsi più un evento da ricercare che un pericolo da evitare.

Page 61: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

61

l’annuncio al mercato dell’imminente revoca dalle contrattazioni e la realizzazione effettiva

del delisting del titolo, confrontando le conseguenze negative che si ripercuotono in tal senso

sulle imprese straniere da quelle caratterizzanti le imprese domestiche.

Innanzitutto, emerge che l’annuncio del probabile delisting a breve della società produce un

importante signaling effect sul mercato, generando un clima di sfiducia e pessimismo tra gli

analisti e gli investitori circa le prospettive di performance future per la società, che tende a

provocare un declino del prezzo di mercato del suo titolo.

Liu (2005), in linea con quanto emerso dal significativo contributo di Sanger e Peterson

(1990), evidenzia come nei 20 giorni successivi all’announcement day una società domestica

registri mediamente una riduzione dell’8,5% del prezzo del titolo, che tenderà ad accentuarsi

successivamente all’event day, ovvero al giorno del delisting effettivo; nel medesimo periodo

una società straniera assiste invece in media ad una variazione negativa del 4,5% di tale

variabile. Emerge pertanto come il fenomeno del delisting involontario incida maggiormente

sul valore del titolo delle società domestiche, poiché le società estere delistate da un mercato

USA conservano solitamente lo status di impresa quotata nel mercato regolamentato

d’origine, riuscendo così a godere ancora di un certo livello di analyst coverage, di visibilità e

dei principali listing benefits. In ogni caso, sembra evidente come la caduta del valore del

titolo a seguito di una revoca involontaria dalle contrattazioni comporti una netta riduzione

dell’Entreprise Value. Queste variazioni negative del prezzo del titolo e dell’EV sono causate

dalle prospettive sfavorevoli che l’annuncio di un probabile delisting nel breve termine genera

sul livello futuro di liquidità e di investor recognition che caratterizzerà l’impresa. Con

l’abbandono delle contrattazioni infatti, l’impresa subirà una netta contrazione del trade

volume sul proprio titolo, la principale determinante della liquidità, e una significativa perdita

di prestigio e di visibilità. Questo scenario prospettico tutt’altro che favorevole spiega il

motivo per cui a seguito dell’annuncio al mercato del delisting, si registri normalmente un

rilevate declino del prezzo del titolo.

Infine, ma non ultimo in ordine di importanza, risulta essere il ruolo giocato dalle

implicazioni negative che si genereranno sul capitale reputazionale dell’impresa con l’uscita

della società dal mercato borsistico, nel causare congiuntamente agli elementi sopra

considerati, il declino del prezzo del titolo a seguito dell’announcement day. Il delisting

comporterà per la società significative perdite in termini di visibilità e di prestigio, a maggior

ragione se si tratta di una revoca involontaria, con importanti ripercussioni negative sul piano

finanziario e su quello commerciale; si registrerà infatti non soltanto una riduzione del potere

contrattuale verso le Banche e gli altri erogatori di capitale di credito, e quindi un più elevato

costo dell’indebitamento, ma anche di quello nei confronti di clienti e fornitori nel definire le

Page 62: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

62

condizioni di incasso e pagamento, che potrebbe causare problemi di liquidità per l’impresa.

In aggiunta a tutto ciò, c’è da evidenziare come generalmente una società non quotata risulti

essere meno attrattiva rispetto ad una listed company, e questo potrebbe tradursi in maggiori

difficoltà per la stessa non solo nell’attirare a sé nuovi clienti, ma anche a trattenere quelli già

presenti in portafoglio.

Liu (2005) rimarca inoltre che tanto più la domanda del titolo della società è elastica, e quindi

più elevato è il grado di dipendenza che la lega al prezzo, maggiormente significativi saranno

gli effetti prodotti sul prezzo del titolo e sul trade volume dall’annuncio al mercato del

delisting. Eisdorfer (2008), sottolinea come generalmente tra l’announcement day e il giorno

di realizzazione ufficiale del delisting della società, tenda a registrarsi un andamento anomalo

e altalenante del prezzo del suo titolo, che pare spiegare la tendenza diffusa tra gli investitori

nel realizzare rilevanti operazioni di speculazione su questi titoli ad elevato rischio revoca,

acquistandoli nel momento in cui sono caratterizzati da un’improvvisa caduta del prezzo per

rivenderli qualche istante più tardi, non appena si verifichi una significativa variazione

positiva del prezzo tale da permettere il conseguimento di un importante guadagno. Queste

operazioni di investimento sono da considerarsi altamente rischiose, poiché se da una parte

presentano prospettive di profitto assai allettanti, dall’altra potrebbero risolversi in ingenti

perdite.

2.2 IL DELISTING VOLONTARIO E LE OPERAZIONI DI GOING PRIVATE

A fianco alla categoria dei delisting involontari, che comprende quei casi in cui la revoca

dalle contrattazioni è disposta direttamente dallo Stock Exchange, emerge l’ampia ed

eterogenea famiglia dei delisting volontari, all’interno della quale sono racchiuse tutte quelle

operazioni di delisting motivate dalla volontà, più o meno esplicita, della società di

abbandonare il mercato borsistico ove è quotata. A differenza del compulsory delisting, che

ricorre con frequenza soltanto nei mercati regolamentati statunitensi, il fenomeno del delisting

volontario presenta un’elevata diffusione a livello globale. Tralasciando i limitati casi in cui la

revoca del titolo dalle negoziazioni è richiesta esplicitamente dalla società, i quali verranno

trattati nel capitolo successivo nell’ambito dell’analisi giuridica sul tema, pare interessante

soffermarsi ora sulle cd. operazioni di going private o public to private che, come sostenuto

dall’orientamento dottrinale dominante47

, sono da considerarsi a tutti gli effetti fattispecie di

uscita volontaria dal listino, poiché celano la finalità più o meno rilevante della società di

47

Tra i tanti vedi: Geranio e Zanotti (2010), Martinez e Serve (2011), Chaplinsky e Ramchand (2007),

Renneboog, Simons e Wright (2007), Renneboog e Simons (2005) e You (2008).

Page 63: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

63

procedere al delisting, e in ogni caso la piena consapevolezza del suo management e dei suoi

shareholders che la realizzazione di una tale operazione comporterà automaticamente per la

società la perdita dello status di listed company, venendo meno alcuni dei requisiti minimi

richiesti per il soggiorno in un mercato azionario. Anche se c’è una tendenza diffusa nel

considerare i termini going private e public to private come sinonimi di delisting, Renneboog

e Simons (2005, p. 2) tengono a precisare come essi siano opportuni da utilizzare soltanto nel

considerare determinate situazioni di revoca volontaria dalle contrattazioni, evidenziando che

“when a listed company is acquired and subsequently delisted, the transaction is referred to

as a public to private or a going private transaction”; Palm (2004, p. 1) sostiene invece che

“a going private transaction is a transaction or series of transactions which has the effect of

transforming a public company into a private company and thereby eliminating the public

shareholders”. Da questa seconda definizione emergono due step fondamentali che

caratterizzano una tale operazione: il considerevole cambiamento che interviene nella

struttura proprietaria e nella corporate governance della società, e la conseguente uscita dal

mercato regolamentato, che implica la privatizzazione del capitale sociale. Le operazioni di

going private sono sostanzialmente riconducibili alle Offerte Pubbliche di Acquisto (OPA), e

alle Mergers and Acquisitions (M&A), seppur all’interno di queste due macro categorie

emerge un’elevata varietà di operazioni, ciascuna della quali contraddistinta da una propria

denominazione, da una propria struttura, e da dei connotati peculiari.

Dallo studio di Renneboog e Simons (2005), improntato su un’analisi generale dei patterns

assunti nel tempo dal fenomeno del going private a livello internazionale, emerge come le

operazioni di public to private, dopo un’iniziale diffusione negli anni Ottanta, dapprima nei

mercati anglosassoni e successivamente anche in quelli dell’Europa continentale, abbiano

conosciuto un periodo di stallo nella prima metà degli anni Novanta, per poi subire una nuova

graduale espansione a partire dalla fine del XX secolo, che le ha portate a diventare una delle

principali cause e al contempo modalità di uscita da un mercato regolamentato, certamente la

più ricorrente in ambito europeo. A sostegno di quanto appena detto, la Figura 2 riporta la

situazione per il mercato azionario italiano, le cui dinamiche, con le dovute precisazioni,

possono essere considerate per rappresentare l’evoluzione che ha caratterizzato il fenomeno

del going private negli altri mercati borsistici dell’Europa continentale.

Page 64: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

64

FIGURA 2: MOTIVAZIONI ALLA BASE DEL DELISTING DAL LISTINO DI PIAZZA AFFARI, NEL

PERIODO 1999 – 2012 (Giugno)

Figura frutto di un’elaborazione personale dei dati raccolti da http://www.borsaitaliana.it /bitApp/statsearch.bit?

target=statistic&family=group.

La Figura 2 evidenzia come nel periodo considerato, le motivazioni alla base dei delisting

incorsi nel mercato borsistico italiano siano state le più svariate. Tuttavia, emerge chiaramente

come le OPA e le Fusioni per incorporazione prevalgano nettamente su tutte le altre

fattispecie di uscita dal mercato: dal 1999 al 2012, delle complessive 198 revoche dalle

contrattazioni registrate dal listino di Piazza Affari, ben 94 sono avvenute in seguito ad OPA,

e 65 come conseguenza di M&A. Questi dati sembrano fornire elementi importanti per

evidenziare la grande diffusione che le operazioni di going private hanno subito a livello

globale a partire dalla fine degli anni Novanta, misurabile sia in termini di numero che di

valore. Renneboog e Simons (2005) individuono nel 1997 l’anno a cui ricondurre l’inizio di

questa nuova ondata di public to private, e in linea con quanto emerso da altri numerosi

contributi dottrinali48

sul tema, identificano i seguenti due fattori di carattere generale alla

base della propagazione di tali operazioni, che coincidono in gran parte con le driving forces

in grado di spiegare l’espansione registrata negli stessi anni dal fenomeno del delisting:

1 L’introduzione di normative più chiare e flessibili disciplinanti i vari aspetti delle

operazioni in esame, ha permesso di facilitarne la realizzazione. Da un lato ciò ha

attenuato le discussioni in ambito politico e dottrinale circa la loro legalità, e dall’altro

ha permesso di superare le remore da parte delle società europee nell’affrontare un

48

Vedi: Renneboog, Simons e Wright (2007), Martinez e Serve (2011), Palm (2004), Geranio e Zanotti (2010),

Croci e Del Giudice (2010).

Page 65: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

65

going private, causate dalla loro arretratezza culturale e dall’avversione verso tutti

quegli eventi generatori di significativi cambiamenti organizzativi.

2 La manifestazione di eventi macroeconomici negativi nel primo decennio del XXI

secolo, ha generato una crisi congiunturale dei mercati azionari, e gravi ritorsioni sulla

situazione economica - finanziaria di molte società in essi quotate. I mercati

regolamentati presentano sempre più inefficienze e problemi strutturali, che

impediscono loro di svolgere efficacemente le funzioni fondamentali di uno Stock

Exchange e di creare le condizioni ottimali per permettere alle società ospitate una

quotazione duratura e profittevole; ciò, congiuntamente all’introduzione di standard di

quotazione più rigorosi ha comportato un sostanziale peggioramento del trade off tra i

costi e i benefici associati al going public, costituendo i presupposti per numerosi

going privates.

La Figura 3, illustrante i dati contenuti nello studio di Geranio e Zanotti (2010), fornisce una

visione delle dinamiche, in termini di numero e valore, che hanno caratterizzato le operazioni

di going private nei principali mercati mondiali dal 1984 al 2009: emerge chiaramente, in

linea con quanto sinora evidenziato che, mentre il mercato USA, e in secondo piano quello

britannico sono stati ampiamente interessati da tali eventi già negli anni Ottanta, questi hanno

conosciuto una crescente diffusione nei mercati dell’Europa continentale soltanto a partire

dalla seconda metà degli anni Novanta.

FIGURA 3: LE OPERAZIONI DI GOING PRIVATE NEI PRINCIPALI MERCATI MONDIALI

La figura qui sopra riportata è tratta dallo studio di Geranio e Zanotti (2010, p. 872).

Nel contributo di Renneboog e Simons (2005), viene realizzata un’accurata analisi delle più

importanti motivazioni che sostano dietro alle sempre più ricorrenti decisioni delle società

quotate di realizzare un going private:

Beneficiare di “Tax advantages”: l’uscita dal mercato regolamentato comporta per la

società più ridotte opportunità e minor convenienza nel raccogliere il capitale di

rischio; pertanto, una private company è maggiormente incentivata a finanziare la

Page 66: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

66

propria attività facendo ricorso alla leva finanziaria. Il più elevato utilizzo del debito

permette alla società di realizzare importanti vantaggi fiscali, in virtù del fatto che a

differenza dei dividendi gli interessi sono fiscalmente deducibili.

Realizzare un “incentive realignment”: a seguito dell’operazione di going private si

realizza generalmente una concentrazione della proprietà dell’impresa, assistendo alla

riunificazione tra proprietà e controllo. Ciò comporta una forte attenuazione dello

storico conflitto tra managers e shareholders, che in ambito europeo, considerata

l’elevata dipendenza che solitamente esiste tra l’azionariato di controllo e il

management di una società, tende spesso a tradursi in un significativo conflitto tra

azionisti di maggioranza e di minoranza. Il public to private permette un maggior

allineamento tra gli interessi, gli obbiettivi e i comportamenti adottati dai principali

attori organizzativi, favorendo così l’introduzione di un clima positivo all’interno della

società, e facilitando la realizzazione degli obbiettivi che essa si è prefissata. Inoltre, a

seguito di una tale operazione, gli azionisti dispongono in maggior quantità delle

informazioni riservate relative all’attività d’impresa, essendo così in grado di

esercitare un più stretto controllo sul suo andamento; si tende quindi ad assistere ad

una riduzione dei cd. costi di agenzia, grazie all’eliminazione dell’asimmetria

informativa tra principale ed agente, tra insider e outsider. Questi costi sono

sostanzialmente distinguibili in tre differenti categorie: monitoring costs, bonding

costs e residual losses49

. Considerato quanto sopra detto, si può dunque sostenere

come con il going private una società miri a rifocalizzare la propria attività sulla

finalità fondante di una qualsiasi iniziativa imprenditoriale, ovvero sulla creazione di

valore per gli shareholders.

Godere di “transactions costs savings”, ovvero di importanti riduzioni dei costi di

transazione, i quali si distinguono in “search and information costs, bargaining costs

and policing and enforcement costs”. I primi riguardano tutti quei costi che una

società deve sostenere nella ricerca e valutazione degli input da reperire, dei clienti e

dei fornitori con cui relazionarsi, dei partners con cui collaborare, e più in generale

ogni qualvolta deve interfacciarsi con il mercato per soddisfare un qualche bisogno. La

49

Presupposto fondamentale per l’esistenza dei costi di agenzia è l’asimmetria informativa tra principale ed

agente, ovvero tra azionista e manager. I monitoring costs sono i costi sostenuti dal principale per controllare

l’operato dell’agente; i bonding costs riferiscono a quegli oneri sostenuti dall’agente per rassicurare il principale

sul rispetto di quanto pattuito nel contratto e sull’adozione di comportamenti leali, corretti e non opportunistici;

infine, le residual losses misurano la perdita di entreprise value che il principale deve sopportare a causa delle

delega data all’agente, e sono rappresentate dalla differenza tra il valore creato per l’impresa e i suoi

shareholders dal comportamento effettivamente adottato dal manager e quello che avrebbe dovuto essere

generato se quest’ultimo avesse tenuto un comportamento perfettamente conforme a quanto stipulato nel

contratto di agenzia. Per un approfondimento si veda Jensen e Meckling (1976).

Page 67: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

67

seconda categoria di costi di transazione comprende tutti quegli oneri che una società

deve sostenere durante la negoziazione con l’altra parte contrattuale per arrivare a

concludere un accordo. Infine, ci sono i costi per la realizzazione del contratto e della

transazione da esso prevista.

Non dover più sopportare i diversi costi, diretti ed indiretti, richiesti dalla quotazione

in un mercato regolamentato, tra i quali spiccano soprattutto le commissioni da

corrispondere allo Stock Exchange per la permanenza nel mercato e il trading delle

proprie azioni, e quelli sostenuti per rispettare i vari standard e obblighi di quotazione;

quest’ultimi hanno subito un notevole incremento a seguito dell’introduzione nei primi

anni Duemila di listing rules particolarmente rigorose nei principali listini mondiali.

“Takeover defenses”. Il going private può essere considerato anche una strategia

implementata dal management di una società con l’obbiettivo di difenderla da possibili

takeovers. Spesso accade che i managers di una società, preoccupati dalle pressioni del

mercato e dall’intensa minaccia di possibili tentativi di acquisizione, più o meno ostili,

da parte di soggetti esterni, decidano di privatizzare il capitale sociale conducendo la

società al di fuori dal mercato regolamentato attraverso un’operazione di Management

Buyout (MBO), solitamente supportati finanziariamente da un Fondo di Private

Equity.

“Corporate undervaluation”. A seguito dello scoppio della crisi economico –

finanziaria nel 2007, i mercati regolamentati presentano rilevanti problemi strutturali

ed inefficienze. Può accadere così che il mercato borsistico ove la società è quotata

non riesca a riconoscere ed esprimere il reale valore dell’impresa, riflettendo un

prezzo di mercato discordante dalla sua effettiva situazione economico – finanziaria.

In altri casi, ciò può essere dovuto al fatto che il management attuale della società non

ha la competenza, l’esperienza o l’interesse necessari per impiegare in modo ottimale

gli assets dell’impresa, non riuscendo così a far emergere tutto il suo potenziale

valore. Questo fenomeno, conosciuto a livello internazionale come share

underperformance, riguarda più frequentemente le società di ridotta dimensione e

market capitalization, e emerge in presenza di uno stabile disinteresse del mercato per

il titolo della società. Pertanto, un’operazione di going private, producendo

significativi impatti sulla corporate governance di una società e l’abbandono del

listino, può risolvere l’eventuale problema di undervaluation che la affligge.

“Corporate restruction”. Lo status di listed company impedisce alla società di avere

quel livello di flessibilità strategica ed operativa, e più in generale quella libertà

d’azione, necessari per poter realizzare efficacemente eventuali programmi di

Page 68: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

68

ristrutturazione organizzativa. Negli ultimi tempi, a causa degli eventi

macroeconomici sfavorevoli verificatisi nel primo decennio del XXI secolo, molte

imprese, manifestando l’esigenza di una profonda opera di restruction, rinnovamento

e/o risanamento, si sono dimostrate altamente propense al going private, evento che

fornisce loro le condizioni ottimali per implementare quanto prestabilito e reagire così

alla crisi economico – finanziaria.

Permettere alla società e ai suoi shareholders di avere l’effettiva disponibilità dei

flussi di cassa prodotti, evitando che essi siano impiegati in progetti a VAN negativo.

Tale motivazione alla base della decisione di una società di privatizzare il proprio

capitale è ricorrente soprattutto negli USA, dove le società che generalmente

realizzano un going private presentano un business maturo e consolidato con elevati

cash flow.

Non compatibilità tra la politica dei dividendi che si intende implementare e lo status

di società quotata. Per esempio, una politica di trattenimento degli utili volta a

garantire l’autofinanziamento dell’impresa in un periodo di crescita può essere

valutata negativamente dal mercato e provocare un declino del prezzo del titolo; in

questi casi, il going private pare quindi essere la soluzione più indicata.

Ridurre i waste, ovvero gli sprechi di diversa natura che sussistono nelle varie unità

organizzative, e costituire perciò una “higher-value added allocation of resources”.

Il going private sembra infine essere un evento altamente consigliato per tutte quelle

società quotate che sono caratterizzate da una ridotta analyst coverage, e il cui titolo

presenta un limitato trade volume, un prezzo declinante, e problemi di liquidità.

Queste driving forces della decisione di una società di procedere ad un going private,

solitamente si presentano in modo combinato, anche se con un diverso ordine di importanza

da impresa ad impresa. Geranio (2004) sottolinea che dal soggetto che promuove il going

private, e quindi dalla struttura dell’operazione di OPA, si possono desumere le motivazioni

alla base della stessa. Innanzitutto, l’operazione di public to private può essere intrapresa da

un gruppo di investitori esterni non facenti parte dell’azionariato attuale, e solitamente di

carattere istituzionale come i Fondi di Private Equity, che mirano ad acquisire il controllo

della società attraverso un buyout. A seconda delle finalità perseguite dai promotori

dell’operazione, emergono tre differenti fattispecie di buyout: strategico – industriale, quando

l’acquirente intende realizzare “un’integrazione strategica e operativa della propria attività

con quella dell’impresa acquisita”50

; finanziario, qualora l’acquirente svolga tipicamente

50

Geranio (2010, p. 12).

Page 69: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

69

l’attività di gestione di partecipazioni in altre imprese51

; e infine il management buyout,

quando l’operazione è condotta dal management attuale dell’azienda, con l’obbiettivo di

acquisirne il controllo al fine di gestirla in totale autonomia.

Accanto ai buyouts, una diversa tipologia di going private emerge quando l’OPA non viene

promossa da degli investitori esterni o dal management della società, ma bensì dagli stessi

azionisti di maggioranza in essere di quest’ultima, solitamente con la finalità prioritaria di

condurla al di fuori del listino, in modo tale da acquisire la flessibilità strategica e gestionale

necessaria per la realizzazione di un qualche programma di ristrutturazione. Se l’operazione di

OPA, con conseguente abbandono delle contrattazioni, è intrapresa dagli stessi azionisti che

avevano precedentemente optato per il going public della società, può significare anche che la

strategia di quotazione implementata non ha realizzato gli obbiettivi prefissati, o che era

motivata esclusivamente da finalità speculative di breve periodo.

FIGURA 4: LE DIVERSE TIPOLOGIE DI BUYER

Figura frutto di una rielaborazione personale di quanto evidenziato nel lavoro di Geranio e Zanotti (2010, p.

878).

La Figura 4 classifica i 106 going privates avvenuti nel periodo 2000-2005 nei principali

Paesi dell’Europa continentale e oggetto dello studio di Geranio e Zanotti (2010), secondo le

categorie sopra discusse, evidenziando come la maggior parte delle operazioni di public to

private intraprese abbia avuto come promotore Fondi di Private Equity, Banche

d’Investimento o società di grandi dimensioni, ovvero financial e corporate buyers. In Italia,

considerata la significativa diffusione di piccole e medie imprese a conduzione familiare che

caratterizza il mercato nazionale, gran parte delle operazioni di OPA sono state promosse

dalle stesse famiglie detentrici del pacchetto di controllo della società, e sono pertanto da

considerarsi dei family buyouts.

Nonostante quanto detto sinora potrebbe indurre a considerare il public to private un evento

dai soli risvolti positivi per un’impresa, Renneboog e Simons (2005), Martinez e Serve (2011)

51

Per esempio, i fondi chiusi e le merchant bank.

Page 70: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

70

e Croci e Del Giudice (2010) tengono tuttavia ad evidenziare anche gli effetti negativi ad esso

associati, sostenendo come il management della società debba pertanto valutare

ponderatamente la decisione di going private prima di assumerla. Infatti, è palese come la

scelta di privatizzare il capitale sociale e abbandonare il mercato regolamentato provochi la

perdita dei listing benefits. Inoltre, le operazioni di going private spesso risultano essere

complesse, costose e soprattutto time consuming, considerato che nella pressoché totali dei

casi necessitano di almeno sei mesi per essere espletate. In aggiunta a ciò, Renneboog e

Simons (2005) sottolineano come il going private sia da considerare una “shock therapy” per

la società, ovvero un evento traumatico generatore di profondi cambiamenti organizzativi, ma

in certi casi ritenuto l’unica soluzione possibile per risanare il suo stato di salute economico –

finanziario, evitandone il dissesto. Tuttavia, può accadere che i benefici ottenuti con la

privatizzazione del capitale sociale siano inferiori ai relativi svantaggi, e che la società

presenti la necessità di godere di alcuni importanti vantaggi realizzabili soltanto con la

quotazione, in particolare di un miglioramento dello stato di liquidità che la caratterizza, della

diversificazione del rischio gravante sulla sua attività, e di una maggiore visibilità. In questi

casi, il ritorno al going public pare essere un evento quasi scontato. I due autori evidenziano,

con riferimento al mercato USA, come la probabilità che la società realizzi una nuova IPO,

pressoché irrisoria nei due anni immediatamente successivi al compimento del going private,

cresca mediamente in misura significativa tra il terzo e il quinto anno, sino a raggiungere una

soglia vicino al 60% dal sesto in poi. Dal mercato UK emergono evidenze analoghe, con

l’unica differenza che le probabilità che la società decida di accedere nuovamente alle

contrattazioni cominciano ad assumere rilevanza a partire dal quarto anno e non dal terzo.

Renneboog e Simons (2005) analizzando i fattori che tendono ad incidere con maggior

rilevanza sulla durata dello status di private company e quindi sulle probabilità di un ritorno

nel mercato regolamentato della società, individuano i seguenti: la size e la notorietà

dell’impresa, che presentano una relazione diretta con le probabilità di un nuovo going public,

la struttura della proprietà, le caratteristiche e le competenze del management, le motivazioni

alla base della precedente scelta di going private, e le dinamiche caratterizzanti l’ambiente

esterno.

Il principale strumento per realizzare un going private è come detto l’OPA, un’operazione

attraverso la quale il soggetto promotore mira ad effettuare un rastrellamento di tutte le azioni

outstanding della società, proponendo ai vari shareholders di cedere quelle in proprio

possesso in cambio di un corrispettivo prestabilito, solitamente superiore al prezzo di mercato

del titolo in modo da facilitare il successo dell’operazione.

Page 71: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

71

Tuttavia, è bene precisare come all’interno dell’ampia ed eterogenea categoria delle Offerte

Pubbliche di Acquisto, emergano differenti operazioni che, seppur risultino tra loro

accumunate dall’essere degli strumenti a cui ricorrere per realizzare la finalità di acquisire il

controllo di una società, ciascuna di esse esibisce una propria struttura e delle caratteristiche

distintive. Le due tecniche di OPA più frequentemente utilizzate sono il Leveraged Buyout

(LBO) e il Buyout Offer with Squeeze Out (BOSO). Gran parte dei contributi dottrinali52

sul

tema del going private, evidenzia che una delle principali differenze che tende a

contraddistinguere i delistings volontari di stampo anglosassone da quelli di tipo continentale,

consiste proprio nella forma con cui viene generalmente condotta l’operazione di going

private; nei mercati regolamentati d’oltreoceano e in quelli dell’UK, una società che mira a

realizzare un public to private ricorre abitualmente alla prima tecnica di OPA sopra

menzionata, mentre nei mercati del Vecchio Continente tendono a prevalere le operazioni del

secondo tipo, essendo spesso lo stesso azionista di controllo della società, che sovente

coincide con la famiglia fondatrice o comunque con i soci fondatori dell’impresa che avevano

in passato optato per il suo going public, a promuovere un’OPA per il riacquisto della totalità

delle azioni in circolazione con l’obbiettivo di privatizzare il capitale sociale.

Zambelli (2004), afferma che un’operazione di LBO o Merger Leveraged Buyout, ricorre ogni

qual volta un investitore o un gruppo di investitori esterni, solitamente di carattere

istituzionale come Fondi di Private Equity e Banche d’Investimento, costituisce una nuova

società con capitale pressoché irrisorio (newco) con l’obbiettivo di acquisire il controllo di

un’altra società, chiamata target o bersaglio. Una volta completata l’acquisizione della target,

questa verrà incorporata nella newco, e la società che risulterà alla fine di questo processo di

fusione attraverso acquisizione con indebitamento, sarà pertanto appesantita dal debito

contratto in origine dalla newco per acquisire la target; considerato quest’ultimo aspetto, pare

quindi opportuno ritenere condizione fondamentale per il successo dell’operazione e per delle

prospettive favorevoli di performance, che la società target presenti un ridotto livello di

indebitamento ed un cash flow consistente, in modo da essere in grado di rimborsare il debito

acceso dalla newco. Lo stesso Zambelli (2004), nel suo interessante lavoro focalizzato sul

LBO nel mercato italiano, evidenzia che quando un’operazione di questo tipo è promossa

dallo stesso management in essere della società, essa viene denominata Management Buyout

(MBO), mentre qualora il buyout viene realizzato da una cordata di managers esterni,

solitamente supportati finanziariamente da un Fondo di Private Equity, ci si trova dinanzi ad

un’operazione di Management Buyin (MBI).

52

Vedi tra gli altri: Martinez e Serve (2011), Geranio e Zanotti (2010), Renneboog e Simons (2005), Renneboog,

Simons e Wright (2007), Croci e Del Giudice (2010).

Page 72: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

72

Renneboog e Simons (2005) rimarcano che per molto tempo le operazioni di LBO hanno

suscitato rilevanti critiche in ambito dottrinale e non, a causa dei poco trasparenti contorni di

legalità che presentavano, sfociando frequentemente in “hostile takeovers”; ciò,

congiuntamente alla mancanza di una chiara regolamentazione sul tema, e alla scarsa

preparazione dei mercati dell’Europa continentale e delle società in essi operanti,

nell’affrontare un’operazione di questo tipo, ha inizialmente limitato la diffusione dei LBOs ai

mercati anglosassoni. Il significativo processo di sviluppo economico – finanziario fatto

registrare dai mercati europei negli anni Novanta, accompagnato da un progresso in termini di

cultura imprenditoriale e dall’introduzione di normative sul tema più chiare ed efficaci, ha

contribuito alla graduale espansione nel Vecchio Continente di queste operazioni di going

private, ponendo fine ai timori delle imprese verso un evento generatore di rilevanti

cambiamenti organizzativi e soprattutto ai numerosi dibattiti emersi circa la loro legalità.

Relativamente al mercato italiano, queste controversie hanno subito una significativa

attenuazione soltanto a partire dal 2003, con la cd. riforma del diritto societario, con la quale è

stata espressamente dichiarata l’ammissibilità legale di tali operazioni53

.

Il contributo di Martinez e Serve (2011), avente come oggetto d’analisi un campione di 140

imprese francesi delistatesi a seguito di un going private dal mercato regolamentato nazionale

tra il 1997 e il 2006, fornisce un’accurata comparazione tra le operazioni di LBO e quelle di

BOSO, evidenziandone le differenze in termini di struttura, fisionomie e finalità. Innanzitutto,

si rimarca come un’operazione di LBO venga solitamente avviata e condotta da degli

investitori esterni alla società, o in alternativa dal suo management, a differenza di un BOSO,

che viene sempre promosso dagli azionisti di maggioranza in essere della società, o dalla

società controllante di quest’ultima54

. Da ciò ne deriva che mentre le operazioni di LBO sono

solitamente indirizzate verso società target di grandi dimensioni e caratterizzate da una

struttura proprietaria altamente polverizzata, dove risulta pertanto più agevole acquisire il

controllo societario, i BOSO spesso avvengono in società con un azionariato altamente

concentrato, riconducibili nella maggior parte dei casi ad imprese di più ridotte dimensioni e

market capitalization, dove i soci di maggioranza detengono un significativo pacchetto di

controllo. Un’altra importante differenza tra le due operazioni di going private in esame

riguarda le loro caratteristiche strutturali: il ricorso ad una fattispecie del primo tipo implica

da un lato un rilevante utilizzo della leva finanziaria per eseguire l’OPA e acquisire il

53

Prima di questa riforma, avvenuta con l’emanazione del D. lgs. n. 181 del 28 Giugno 2003, entrato in vigore il

1 Gennaio 2004, l’operazione di LBO era considerata come uno strumento di aggiramento per interposta persona

(newco) del divieto di sottoscrizione di azioni proprie ex art. 2357 c.c., e del divieto di assistenza finanziaria per

la sottoscrizione o l’acquisto di azioni proprie ex art. 2358 c.c. Vedi Zambelli (2004). 54

In ambito europeo, e ancor più frequentemente nel mercato italiano, i promotori di un’operazione di BOSO

sono solitamente gli stessi soci fondatori o la famiglia fondatrice dell’impresa.

Page 73: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

73

controllo della target, e dall’altro la realizzazione di un’operazione di M&A, step conclusivo

necessario per poter espletare il processo di LBO; un BOSO segue invece i criteri di

un’acquisizione ordinaria. Per quanto riguarda le finalità più ricorrenti perseguite con le due

operazioni, spesso dietro ad un’operazione di LBO sussiste l’intenzione di ridurre i contrasti

tra principale ed agente, cioè tra azionisti e management, e/o di realizzare una significativa

ristrutturazione organizzativa, apportando notevoli cambiamenti nella corporate governance e

nella struttura proprietaria della società; nei casi di BOSO invece, emerge una più rilevante

necessità o volontà di realizzare un delisting dal mercato regolamentato ove la società è

quotata, spesso come conseguenza di un ridotto trade volume del titolo e di un prezzo di

mercato in costante peggioramento, o del raggiungimento degli obbiettivi prefissati da una

strategia di quotazione fondata su mere finalità speculative di breve periodo.

Martinez e Serve (2011) evidenziano inoltre le seguenti caratteristiche distintive generalmente

esibite dalle società che realizzano un BOSO:

Bassi livelli di analyst coverage, associati a ridotti trade volumes sul titolo, che tende

a presentare una scarsa liquidità e un prezzo di mercato declinante.

Società mature e consolidate, con scarse opportunità di crescita.

Imprese di più ridotta dimensione rispetto alla media dei competitors di settore quotati

nello stesso listino, misurabile in termini di assets, equity e market capitalization.

Livelli di redditività molto bassi, evidenziati da dei ROA e ROE inferiori alla media di

mercato.

Aziende underlevered, mostranti un rapporto Debt/Equity più basso rispetto alla

maggior parte dei competitors quotati, e che pertanto con il delisting potrebbero

godere in misura più rilevante dei vantaggi fiscali connessi all’indebitamento.

Un ultimo connotato di carattere giuridico che contraddistingue le operazioni di BOSO

riguarda infine il diritto di squeeze out, ovvero la facoltà di espropriare dietro corrispettivo i

possessori delle azioni residue, riconosciuta in capo a chiunque arriva a detenere una soglia

rilevante del capitale sociale, che nella normativa italiana è fissata al 95%.

Per quanto riguarda gli effetti generati da un’operazione di going private sulla situazione

economico – finanziaria della società, Kaplan (1989) analizzando le performance post

delisting di 48 imprese revocate dal NYSE a seguito di un going private tra il 1980 e il 1986,

evidenzia come nei due anni successivi alla sua realizzazione si assista generalmente ad un

graduale incremento dell’operating income, che comincia a crescere in misura rilevante a

partire dal terzo anno; il valore delle capital expenditures, ovvero degli investimenti in conto

capitale tende invece a ridursi significativamente nei tre anni successivi al public to private, a

causa dell’implementazione del programma di ristrutturazione cui l’impresa necessita, che

Page 74: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

74

richiede una riduzione della size del business e una serie di importanti disinvestimenti. Il free

cash flow o flusso di cassa operativo, in corrispondenza delle dinamiche sopra registrate,

tende ad assumere un trend positivo nei cinque anni successivi alla realizzazione del going

private. Quanto sopra emerso permette quindi di sostenere che l’evento del going private

comporta nella maggior parte dei casi un progressivo incremento dell’efficienza operativa

dell’impresa. Kaplan (1989) sottolinea inoltre che se la privatizzazione del capitale sociale è

realizzata attraverso un LBO, l’elevato indebitamento contratto dai promotori dell’operazione

potrebbe in certi casi pesare in modo eccessivo sul bilancio della società post fusione,

conducendola verso un inesorabile dissesto economico – finanziario. Risulta pertanto

possibile sostenere l’esistenza di una relazione diretta tra l’entità del debito contratto in

origine dalla newco e il rischio di default gravante sulla target successivamente alla

realizzazione del going private, che risulta essere particolarmente significativa nei primi 3

anni.

A fianco all’OPA e alle differenti tecniche che possono essere utilizzate per realizzarla, l’altra

fattispecie esistente di going private è la Fusione. Si può infatti assistere ad una società

quotata che decide per una qualche ragione di realizzare una fusione per incorporazione con

un’altra società, quotata o non; tuttavia, Renneboog e Simons (2005) precisano che qualora

una delle finalità principali perseguite dalla società con la fusione sia quella di abbandonare il

mercato regolamentato ove soggiorna, generalmente la società target con la quale si decide di

realizzare l’operazione è una unlisted company, spesso creata ad hoc per facilitare il

raggiungimento degli obbiettivi prefissati con l’operazione. Raramente si verificano situazioni

in cui una società decide di effettuare il proprio going private attraverso una semplice fusione

con una società non quotata; molto più spesso infatti, dietro alla decisione di privatizzare il

capitale sociale non sussiste soltanto la finalità di abbandonare le contrattazioni, ma anche

quella di apportare un’importante modifica alla struttura proprietaria e alla corporate

governance dell’impresa: ecco il motivo per cui questa tecnica di public to private viene

frequentemente realizzata nell’ambito di operazioni di natura complessa, in modo

complementare all’altra principale modalità di going private, l’OPA, come appurato per i

sopra analizzati casi di LBO, MBO e MBI.

Un ultimo aspetto che costituisce un elemento di rilevante discussione in ambito dottrinale,

sul quale merita pertanto soffermarsi, riguarda la posizione degli azionisti di minoranza nelle

operazioni di going private. Nelle operazioni di OPA, senza la totale proprietà delle azioni

sociali, il soggetto/i promotore non può espletare il processo di public to private e realizzare

così la sua eventuale finalità di condurre la società fuori dal mercato borsistico ove è quotata.

Gli azionisti di minoranza, a causa dell’esigua quota di capitale sociale posseduta, hanno un

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75

assai limitato potere decisionale nell’eventuale scelta del management, degli azionisti di

maggioranza o degli investitori esterni di privatizzare il capitale sociale; i minority

shareholders si vedono così spesso costretti a partecipare ad un’operazione che potrebbe

pregiudicare o addirittura essere totalmente contraria ai loro interessi, senza avere alcuna voce

in capitolo nella sua realizzazione. Inoltre, con riferimento alle operazioni di BOSO, emerge

un’ancor più scarsa tutela dei piccoli azionisti, che qualora il soggetto promotore dell’OPA

eserciti il precedentemente discusso diritto di squeeze out, questi sono automaticamente

obbligati a cedere le azioni in proprio possesso in cambio di un corrispettivo fissato da un

esperto del tribunale, senza aver alcuna possibilità di rifiuto.

Un significativo contributo dottrinale avente come oggetto d’analisi il punto di vista del

singolo azionista di minoranza nelle operazioni di going private, è fornito da Bates, Lemmon

e Linck (2006), nel quale si considera un significativo campione di 8.871 going privates

verificatisi nei tre principali mercati regolamentati statunitensi tra il 1988 e il 2003. Nella

ricerca in questione, vengono rimarcati i guadagni potenzialmente ottenibili dai piccoli

azionisti nel periodo di tempo che va dall’annuncio al mercato dell’imminente going private

della società alla sua effettiva realizzazione con conseguente abbandono delle contrattazioni.

Emerge infatti la tendenza da parte dei piccoli azionisti di approfittare dell’andamento

anomalo e altalenante che caratterizza il prezzo del titolo successivamente all’announcement

day, cedendo le azioni in proprio possesso al pubblico presente nel mercato al fine di

realizzare dei profitti con ogni probabilità superiori a quelli che otterrebbero durante il

processo di freeze-out, nel quale dispongono di un irrisorio potere contrattuale; il termine

freeze-out è volto ad identificare quell’insieme di azioni di pressione esercitate dagli azionisti

di maggioranza su quelli di minoranza al fine di indurli a cedere le azioni residue in loro

possesso, con l’obbiettivo di escluderli definitivamente dall’azionariato sociale e acquisire il

controllo totalitario dell’impresa, condizione necessaria per poter espletare con successo il

processo di going private. Geranio e Zanotti (2010), considerando un campione di 106 PTP

deals avvenuti nei principali mercati dell’Europa continentale tra il 2000 e il 2005,

focalizzano la propria attenzione proprio sullo studio del Cumulative Average Abnormal

Return (CAAR), definito come il guadagno complessivo realizzato mediamente dagli

shareholders di una società in procinto di subire un going private, grazie all’andamento

anomalo assunto dal prezzo del titolo a seguito dell’annuncio al mercato del vicino delisting

della società. Dal loro contributo si osserva un CAAR medio del 18,78% nei mercati

regolamentati della zona EURO; questo è da ritenersi piuttosto contenuto se confrontato con il

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76

circa 30% esibito dal mercato inglese evidenziato nel lavoro di Renneboog, Simons e Wright

(2007)55

, e il 50% riscontrato da Leuz, Triantis e Wang (2008) relativamente al NYSE56

.

Nonostante quanto appena evidenziato, spesso gli azionisti di minoranza non riescono a

liberarsi delle azioni in loro possesso cedendole ad un prezzo vantaggioso al mercato, e sono

pertanto costretti a partecipare al processo di going private della società, che con elevata

probabilità recherà loro ingenti perdite.

A tal proposito, Geranio e Zanotti (2010) cercano di valutare gli strumenti a disposizione di

uno shareholder minoritario in ambito europeo per tutelare i propri interessi durante

un’operazione di public to private, ed evitare così di essere costretto dai promotori

dell’operazione a svendere le azioni in proprio possesso. Innanzitutto, un’azionista di

minoranza che dispone, direttamente o indirettamente, di un pacchetto azionario tale da fargli

raggiungere determinati quorum assembleari, ha il potere di opporsi alla decisione

dell’assembla dei soci di lanciare un’OPA sulla totalità delle azioni sociali in circolazione al

fine di realizzare un going private. Con riferimento alla normativa italiana, l’art. 2377 c.c.

comma 3 stabilisce come i soci di una società quotata che detengano, singolarmente o

congiuntamente, l’uno per mille del capitale sociale, abbiano la facoltà di impugnare la

delibera assembleare chiedendone l’annullamento; il comma 4 aggiunge che qualora i soci

non riescano a raggiungere il quorum richiesto per poter disporre della facoltà di opporsi alla

decisione dell’assemblea, hanno tuttavia il diritto a chiedere un risarcimento per i danni subiti.

Se gli azionisti di minoranza non arrivano a detenere una quota di capitale sociale tale da

poter porre il veto alla realizzazione dell’operazione, e qualora il risarcimento dei danni sia

considerato insufficiente per tutelare i propri interessi, possono ricorrere in via giudiziaria

chiedendo di bloccare l’esecuzione dell’OPA. Anche se ci sono elevate probabilità che una

tale iniziativa non porti al risultato sperato, occorre evidenziare che in ogni caso si

verificherebbe, tra spese legali e perdite di tempo, una riduzione dei benefici che il soggetto

promotore dell’operazione si aspetta di realizzare. Considerato quanto sopra detto, e in linea

con le conclusioni tratte da Bates, Lemmon e Linck (2006) e da Geranio e Zanotti (2010),

sembra opportuno sostenere che, seppur gli azionisti di minoranza godano di una certa tutela

legale nelle operazioni di going private, risulta essere necessaria l’introduzione di normative

più chiare ed efficaci, sia nel mercato statunitense che e a maggior ragione in quelli europei

dove il conflitto tra azionisti di minoranza e di maggioranza tende ad assumere un’elevata

55

Renneboog, Simons e Wright (2007) focalizzano la loro analisi su un campione di 177 PTP deals avvenuti nel

mercato UK nel periodo 1997-2003. 56

Nello studio di Leuz, Triantis e Wang (2008) viene considerato un campione di 436 going privates realizzatisi

nel NYSE tra il 1998 e il 2004.

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77

importanza, con l’obbiettivo di riconoscere ai piccoli azionisti degli strumenti in grado di

tutelare maggiormente i loro interessi nei processi di public to private.

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78

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79

3. IL PROFILO GIURIDICO DEL DELISTING: INQUADRAMENTO DEL

FENOMENO NELLE DIVERSE NORMATIVE

Nel seguente capitolo si condurrà un’analisi di come il fenomeno del delisting viene

regolamentato a livello internazionale, arricchendola con le valutazioni critiche evidenziate

dai più significativi contributi dottrinali disponibili in tale ambito, e con delle frequenti

comparazioni tra i differenti regimi legali vigenti sul tema. Per riuscire in tale intento si è

cercato di realizzare un quadro generale delle normative disciplinanti lo status di public

company in tre diversi contesti economici, politici e culturali: nei mercati anglosassoni, nei

mercati emergenti del Sud Est asiatico, e nell’Europa continentale. Innanzitutto, si

considereranno i connotati giuridici che il delisting assume nei mercati regolamentati

statunitensi, da sempre gli equity markets più efficienti e sviluppati, per poi indagare sulla

normativa che lo disciplina nelle developing countries del Sud Est asiatico, prendendo come

oggetto di riferimento il mercato regolamentato cinese. Infine, ci si addentrerà con un maggior

livello di approfondimento nella regolamentazione italiana sul tema, che con le dovute

precisazioni può essere considerata rappresentativa di quelle vigenti negli altri Paesi

dell’Europa continentale.

3.1 QUADRO NORMATIVO GENERALE DEL DELISTING NEGLI USA

Negli Stati Uniti esistono tre principali mercati regolamentati, che in ordine di market

capitalization complessiva e di volume di negoziazioni possono essere così elencati: il New

York Stock Exchange (NYSE), il più grande e prestigioso mercato azionario del mondo, da

sempre il più attrattivo sia per le imprese domestiche che per quelle straniere, il National

Association of Securities Dealers Automed Quotation (NASDAQ), che è stato il primo

mercato regolamentato virtuale, ove le contrattazioni avvengono esclusivamente in modo

elettronico, e infine l’American Stock Exchange (AMEX), fino al 1953 conosciuto come New

York Curb Exchange, che nel Gennaio del 2008 è stato acquistato dalla NYSE Euronext.

Dai numerosi lavori presenti in ambito dottrinale che si focalizzano sul delisting dai mercati

borsistici statunitensi57

, emerge chiaramente come a partire dai primissimi anni Duemila si sia

assistito ad un progressivo incremento del numero delle imprese che per una qualche ragione

hanno abbandonato le contrattazioni da tali mercati, a fronte di una netta contrazione dei new

listings, e tutto ciò in riferimento sia a imprese domestiche che straniere. Questo sostanziale

57

Particolarmente considerate sono state le ricerche di Chaplinsky e Ramchand (2007), Chandly, Sarkar e

Tripathy (2004), You (2008), Macey, O’Hara e Pompilio (2008) e Carney (2006).

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80

peggioramento del differenziale IPO – delisting ha comportato una contrazione dei trade

volumes e della market capitalization dei principali listini d’oltreoceano, causando loro una

perdita in termini di competitività ed efficienza, elementi che da sempre li

contraddistinguono. In linea con quanto asserito dai vari Carney (2006), You (2008),

Chaplinsky e Ramchand (2007) e Macey, O’Hara e Pompilio (2008) e evidenziato nei capitoli

precedenti del presente lavoro, necessita ribadire come la SOX abbia giocato un ruolo di

primo piano nel determinare queste dinamiche. Infatti, è indiscutibile come l’introduzione di

tale provvedimento abbia comportato un significativo inasprimento dei costi di quotazione,

associato all’innalzamento dei requisiti minimi richiesti per poter accedere e soggiornare nei

mercati regolamentati statunitensi, e degli obblighi connessi allo status di public company.

Considerata l’importanza assunta dalla SOX nel determinare numerosi delistings e

scoraggiare nuove IPOs, pare pertanto opportuno soffermarsi brevemente sul contenuto di tale

provvedimento, e sulle finalità che il Governo statunitense si è proposto di perseguire con

esso. A tal merito, di particolare utilità risultano essere i contribuiti di Carney (2006), Zhang

(2007) e Coates (2007), improntati su un’accurata analisi delle caratteristiche e della struttura

presentate dalla SOX, delle motivazioni e delle finalità sottostanti, e delle conseguenze da

essa generate sui processi di deregistration e di delisting nei mercati regolamentati

statunitensi. La SOX è una legge federale approvata dal Governo degli USA il 20 Luglio 2002

ed entrata in vigore il 1 Gennaio 2003; è considerata la riforma della normativa regolante il

funzionamento degli Stock Exchanges statunitensi più significativa dopo i Security Exchange

Acts del 1933 e del 1934. Come evidenziato da Carney (2006), è stata una risposta quasi

dovuta che il Governo americano ha dovuto dare a seguito dei numerosi scandali finanziari

che avevano coinvolto i principali mercati regolamentati USA nei primissimi anni Duemila,

Enron su tutti, provocando il crollo della fiducia degli investitori, e quindi delle performance

degli stessi mercati. Emanando la SOX, il governo sembrava finalmente dare ascolto a quanto

sostenuto fermamente in ambito dottrinale e non, ovvero l’esigenza di ridurre i vuoti che

caratterizzavano la disciplina regolante i mercati borsistici nazionali, il cui funzionamento

pareva eccessivamente basato sul meccanismo dell’autoregolamentazione, con l’obbiettivo di

ripristinare la fiducia degli investitori, e permettere ai mercati di mantenere elevate

performance in termini di efficienza e competitività. Zhang (2007) e Coates (2007)

evidenziano come le principali finalità perseguite con il provvedimento in questione possono

essere così sintetizzate:

Incrementare il senso di responsabilità delle imprese e dei loro managers verso l’estesa

comunità finanziaria con cui una public company si interfaccia, e indurre le società

quotate in un mercato regolamentato ad adottare un regime di full disclousure, basato

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81

sulla cd. cultura della trasparenza. In altre parole, attraverso l’imposizione di numerosi

e stringenti obblighi di natura informativa, spingere i managers dell’impresa a

garantire la piena trasparenza dei flussi informativi. Inoltre, vengono imposti obblighi

di certificazione e valutazione in capo al CEO e al CFO58

.

Aggravare le sanzioni in cui la società e i suoi managers potrebbero incorrere nel caso

di mancato adempimento ai vari obblighi informativi, o di adozione di comportamenti

scorretti e/o fraudolenti volti a ledere gli interessi degli investitori e più in generale del

pubblico operante nel mercato ove la società è quotata.

Aumentare le responsabilità dell’auditor nell’attività di revisione contabile, e

rafforzare il principio di indipendenza dei revisori esterni.

Innalzare i poteri e i compiti della Security Exchange Commission (SEC), ovvero

l’organismo di vigilanza dei mercati regolamentati statunitensi.

Rendere più attivo e propositivo il ruolo degli azionisti di minoranza, attraverso la

concessione di importanti diritti, soprattutto di natura informativa.

Congiuntamente a quanto appena evidenziato, pare opportuno sottolineare che per poter

accedere ad un mercato regolamentato USA, e rendere così le proprie azioni negoziabili in

esso, una società, domestica o straniera che sia, deve seguire un lungo e complesso iter di

ammissione, che prevede come sua parte integrante fondamentale l’articolato processo di

registration, stabilito dal Security Exchange Act del 1933, e sottoposto al controllo della SEC.

L’introduzione della SOX, oltre ad aver innalzato gli obblighi in tema di disclousure e gli

standard di corporate governance, ha reso ancor più complicato tale procedimento di

registrazione, e a maggior ragione quello inverso di deregistration. A tal proposito, Witmer

(2005) fornisce un breve ma esaustivo quadro generale che aiuta a comprendere le procedure

che una società deve seguire per registrarsi e deregistrarsi dalla normativa statunitense sulle

public company. Tutte le imprese che mirano a quotarsi in uno dei listini statunitensi devono

adempiere a tale iter di registration, seppur attraverso modalità differenti a seconda delle

proprie caratteristiche. Witmer (2005) sottolinea come un’impresa che vuole negoziare il

proprio equity in un mercato regolamentato USA debba di norma registrarsi nella sezione 12

(b) prevista dal regolamento SEC. Tuttavia, per le imprese che presentano un numero di

shareholders superiore a 300, e un valore degli assets eccedente i 10 milioni di $, la sezione

di riferimento è la 12 (g). Nella medesima sezione si devono registrare anche le imprese con

assets inferiori ai 10 milioni di $ ma con più di 500 shareholders. Le foreign companies che

58

Chief Executive Officer e Chief Financial Officer. Uno dei vari obblighi di certificazione imposti a questi due

importanti manager di una società, è quello di garantire che il bilancio sia conforme ai requisiti e ai criteri

stabiliti dalla SEC registration e rispecchi la reale situazione economico – finanziaria dell’impresa.

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82

ambiscono ad accedere alle contrattazioni in un mercato borsistico USA sono sottoposte ad un

ancor più rigorosa procedura di ammissione; infatti, oltre a doversi registrare in una delle due

sezioni sopramenzionate, devono realizzare un’ulteriore immatricolazione, compilando il

FORM 20-F previsto dalla normativa SEC, mentre per le società canadesi il modulo di

riferimento è il FORM 40-F.

Una volta completato il processo di registrazione, l’impresa è sottoposta alle stringenti norme

imposte dalla SEC, tra le quali emergono soprattutto numerosi obblighi di natura informativa

e rigorosi standard di corporate governance. Quando una società è in procinto di esser

delistata dal mercato regolamentato ove è quotata a causa del mancato rispetto di uno o più

standard di quotazione, di norma deve seguire la procedura prevista dal FORM 15 della SEC,

e dedicata ai delisting involontari; se invece una società decide di abbandonare

volontariamente le contrattazioni, il modello di riferimento è il FORM 13 E-359

. In ogni caso,

ciò che per Witmer (2005) e Macey, O’Hara e Pompilio (2008) occorre evidenziare, è che

generalmente in prossimità del delisting di una società, viene contestualmente avviato il

processo di deregistration, che presenta una durata superiore e delle complessità ancor più

rilevanti di quello di registration, e che spesso si protrae oltre la data di realizzazione effettiva

del delisting; questo spiega il perché possa accadere che una società che è stata ufficialmente

revocata dalle contrattazioni del listino, continui ad essere sottoposta alla stringente normativa

imposta dalla SEC; infatti, il delisting del titolo non comporta automaticamente anche la

deregistration; soltanto quando quest’ultima sarà completata, la società si libererà da ogni

obbligo. Leuz, Triantis e Wang (2004) sottolineano inoltre, come un’impresa che a seguito del

delisting da uno degli Stock Exchange USA abbia completato il processo di deregistration,

non possa quotarsi in altri mercati regolamentati statunitensi, e neppure nell’OTC Bulletin

Board. L’unica soluzione che le rimane, se desidera ancora negoziare le proprie azioni tra un

pubblico rilevante, è approdare nel Pink Sheets market, un mercato altamente

deregolamentato e permissivo, realizzando così la già citata operazione di going dark.

Analizzando gli standard di quotazione richiesti dal NYSE, ovvero il mercato regolamentato

più grande e prestigioso del mondo, con una market capitalization complessiva di circa

10.000 miliardi di $, emerge la presenza di requisiti molto stringenti e rigorosi, che come

sostenuto da Macey, O’Hara e Pompilio (2008) e Degregori (2011), hanno la funzione di

garantire un’elevata selettività delle imprese in esso soggiornanti, massimizzando il numero

delle cd. high quality company, cioè delle imprese più performanti, al fine di mantenere gli

elevati livelli di competitività ed efficienza che da sempre contraddistinguono il listino.

59

Seguono tale procedura anche le società che delistano successivamente ad operazioni di OPA o M&A, in

quanto considerate fattispecie di delisting volontario.

Page 83: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

83

Degregori (2011) tende a distinguere i requisiti che una società deve rispettare per poter

soggiornare nel NYSE in sostanziali e formali. Per ciò che riguarda i primi, si evidenzia come

una società che ambisca a stazionare in questo prestigioso mercato borsistico debba presentare

un indiscutibile livello di interesse nazionale, e quindi avere una certa reputazione e notorietà

negli USA, oltre che esibire una posizione di primo piano nel settore di riferimento, con

significative prospettive future di crescita o quantomeno di stabilità. I requisiti formali si

distinguono a loro volta in criteri dimensionali o numerici, e criteri finanziari. Relativamente

ai primi, il numero degli shareholders non deve mai essere inferiore a 400, la quantità di

azioni negoziabili nel mercato azionario non scendere al di sotto di 600.000, e il trade volume

medio mensile del titolo nei 12 mesi precedenti non minore di 100.000 azioni; infine, di

particolare interesse è il requisito del prezzo di chiusura di almeno 1 $, soglia sotto la quale si

può scendere per un periodo non superiore a 30 giorni consecutivi. I requisiti di natura

finanziaria sono invece i seguenti:

Somma degli utili ante imposte negli ultimi tre anni non inferiore ai 6.500.000 di $, di

cui almeno 2.500.000 di $ realizzati nell’ultimo esercizio.

Cash flow operativo totale degli ultimi tre esercizi di almeno 25.000.000 di $.

Fatturato dell’ultimo anno non minore di 100.000.000 di $ e market capitalization

media negli ultimi 12 mesi di almeno 1.000.000.000 di $.

Total Assets non inferiore ai 60.000.000 di $60

.

Per ciò che riguarda invece le imprese straniere quotate nel NYSE, dalla sezione 103.00 del

NYSE listed company manual emerge che se vogliono evitare di incorrere in un potenziale

delisting devono rispettare dei requisiti quantitativi ancor più rigorosi, tra i quali si

evidenziano i seguenti: il numero complessivo degli shareholders della società non deve

essere inferiore a 5000, la quantità di azioni negoziabili nei vari mercati ove la società è

quotata di almeno 2.500.000, i pre tax earnings e i cash flows degli ultimi tre esercizi non

inferiori ai 100.000.000 di $ .

Macey, O’Hara e Pompilio (2008), Chaplinsky e Ramchand (2007) e Wolff e Long (2010)

tengono tuttavia ad evidenziare come il NYSE abbia una significativa discrezionalità nelle

decisioni di ammissione e di revoca di un titolo. Ciò emerge anche dal NYSE Listed

Company Manual - Section 802.01, ove si enuncia che il NYSE si riserva il diritto “to make

an appraisal of, and determine on an individual basis, the suitability for continued listing of

an issue in the light of all pertinent facts whenever it deems such action appropriate, even

60

Per un approfondimento dettagliato su tutti i requisiti e gli standard richiesti per la quotazione nel NYSE vedi:

http://nyse manual.nyse.com/lcm.

Page 84: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

84

though a security meets or fails to meet any enumerated criteria”61

. Quindi, il mancato

rispetto di uno o più dei requisiti sostanziali e formali, precedentemente evidenziati, non

comporta automaticamente il delisting della società. Questa elevata discrezionalità concessa

in capo allo Stock Exchange è aspramente criticata dai sopra citati autori, poiché spesso tende

a tradursi in un trattamento non egalitario delle imprese soggiornanti nel listino: emergono

situazioni nelle quali società che, pur manifestando una palese e continuativa non totale

conformità agli standard di quotazione, rimangono tuttavia quotate nel mercato per mesi o

addirittura anni. Solitamente si tratta di imprese di grandi dimensioni, caratterizzate da un

elevato livello di notorietà e di commitment nel mercato USA, la cui uscita potrebbe

provocare implicazioni negative sulla competitività e sul prestigio del mercato. Ecco il motivo

per cui, in questi casi lo Stock Exchange tenda a fare tutto ciò che è in proprio potere per

allontanare la decisione di revocare il titolo. Come rimarcato da Macey, O’Hara e Pompilio

(2008), altri elementi a sostegno dell’eccessiva discrezionalità concessa al NYSE emergono in

corrispondenza del verificarsi di quelle situazioni in cui il mercato decide di escludere dalle

contrattazioni società che pur mostrandosi in linea con gli standard di quotazione e non

colpevoli di un qualche comportamento scorretto, hanno evidenziato negli ultimi tempi una

netta contrazione della size degli assets, delle cumulative perdite d’esercizio o delle

prospettive di fallimento.

Al fine di evitare il ripetersi degli scandali finanziari avvenuti nei primissimi anni Duemila, lo

Stock Exchange si dimostra sempre più inflessibile invece nel sanzionare i casi di adozione da

parte di una società quotata di comportamenti scorretti o poco trasparenti potenzialmente in

grado di ledere gli interessi del pubblico operante nel mercato, soprattutto in corrispondenza

di eventuali violazioni degli obblighi in tema di disclousure e degli standard di corporate

governance imposti dalla SEC registration, che come detto hanno subito un inasprimento a

seguito dell’introduzione della SOX nel 2003. Witmer (2005), Macey, O’Hara e Pompilio

(2008) e Coates (2007), affermano come in questi frangenti il delisting del titolo della società

sia pressoché scontato.

Elemento di rilevante discussione in ambito dottrinale risulta essere il requisito del prezzo di

chiusura superiore all’1 $, standard di quotazione peculiare dei mercati borsistici USA. Come

stabilito nel NYSE listing manual62

, se un titolo presenta per 30 giorni consecutivi un prezzo

di chiusura inferiore a questa soglia, lo Stock Exchange ne delibera la sospensione per 6 mesi,

scaduti i quali, se l’impresa si mostra ancora non conforme a tale standard, viene esclusa

61

Vedi: http://nysemanual.nyse.com/LCMTools/PlatformViewer.asp?selectednode=chp%5F1%5F9%5F2%5F1

&manual =%2Flcm%2Fsections%2Flcm%2Dsections%2F. 62

Vedi l’apposita sezione disponibile su: http://nysemanual.nyse.com/LCMTools/PlatformViewer.asp?select

ednode=chp%5F1%5F9%5F2%5F1&manual=%2Flcm%2Fsections%2Flcm%2Dsections%2F.

Page 85: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

85

definitivamente dalle contrattazioni. Dallo studio di Macey, O’Hara e Pompilio (2008), si

evidenzia chiaramente come la principale causa di delisting involontario nei tre principali

mercati regolamentati statunitensi dal 1995 al 2005, sia stato il mancato rispetto di tale

requisito. Oltre agli autori in questione, anche Chaplinsky e Ramchand (2007) e Chandly,

Sarkar e Tripathy (2004), considerano assai discutibile la rigidità con cui il NYSE tenda a far

rispettare tale standard. Infatti, molti penny stock, ovvero titoli con un prezzo inferiore all’1$,

potrebbero essere relativi a società che presentano un elevato livello di interesse nazionale,

sino a poco tempo prima caratterizzate da buone performance, e che il declino del titolo sotto

la soglia minima potrebbe quindi semplicemente significare che esse stanno attraversando un

periodo di crisi passeggera; detto ciò, in questi casi pare opportuno sostenere che un’eventuale

revoca dalle contrattazioni del titolo sarebbe da considerarsi una decisione inadeguata e

frettolosa da parte del listino, il quale dovrebbe utilizzare l’ampia discrezionalità

riconosciutagli per valutare ponderatamente la situazione economico – finanziaria

dell’impresa prima di assumere una qualsiasi decisione. A tal proposito, Macey, O’Hara e

Pompilio (2008) in un lavoro focalizzato sull’analisi dei connotati economici e giuridici

caratterizzanti i delisting processes negli USA, evidenziano come i managers delle società che

si trovano dinanzi a questa situazione abbiano la possibilità di utilizzare delle tecniche

finalizzate ad evitare che il prezzo del titolo scenda al di sotto del livello minimo richiesto, e

quindi ad allontanare il pericolo che una momentanea fase di scarse performance possa

indurre inopportunamente la Borsa ad escludere la società dal mercato. Molto frequente

risulta essere l’adozione della cd. “reverse splits strategy”, che consiste nel processo

attraverso cui una società procede alla riduzione del numero delle azioni in circolazione e al

contestuale aumento del loro valore nominale, lasciando inalterato l’ammontare complessivo

del capitale sociale. Ovviamente, il tutto deve avvenire senza ledere i diritti di ciascun

azionista. Tuttavia, gli stessi autori rimarcano come nella maggior parte dei casi tale strategia

si riveli inefficace, limitandosi semplicemente a posticipare di qualche tempo il delisting della

società. Un’altra tecnica spesso utilizzata dalle società che si trovano dinanzi a queste

situazioni problematiche, è la cd. “Debt - reducing exchanges offers (DREOs)”, ovvero il

procedimento attraverso cui una società prossima alla bancarotta mira a ritirare le azioni in

circolazione presso il pubblico, proponendo ai suoi shareholders di sostituire le azioni in loro

possesso con dei bonds o degli altri strumenti finanziari detenuti dalla società stessa. Anche

questa tecnica, sottolineano i tre autori considerati, spesso risulta essere inefficace non

riuscendo ad innalzare stabilmente il prezzo del titolo sopra la soglia di 1 $, e perciò ad

allontanare dalla società il rischio di un potenziale delisting involontario.

Page 86: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

86

Pare opportuno soffermarsi inoltre sulle condizioni richieste per soggiornare nel NASDAQ, il

secondo mercato regolamentato statunitense per market capitalization e trade volume

complessivo, il cui venir meno costituisce i presupposti di una potenziale revoca dalle

contrattazioni. Anche se il quadro normativo disciplinante la quotazione nel NASDAQ

presenta notevoli analogie con quello appena analizzato relativamente al NYSE, risulta

tuttavia opportuno precisare, in linea con quanto evidenziato da Degregori (2011) e Macey,

O’Hara e Pompilio (2008), che in questo listino possono accedere anche società di più ridotta

dimensione, in termini di assets ed equity, con performance meno brillanti, e oggetto di un

non particolarmente elevato livello di interesse nazionale. Inoltre, l’accesso in tale mercato

richiede standard di corporate governance meno stringenti. Tra i principali requisiti di

quotazione a cui una società che aspira a quotarsi nel NASDAQ deve conformarsi, Macey,

O’Hara e Pompilio (2008) evidenziano i seguenti: il capitale sociale non deve mai scendere al

di sotto della soglia dei 10 milioni di $; il numero di azioni detenute dal pubblico e perciò

negoziabili nel mercato non deve essere inferiore a 750.000 e il market value complessivo di

tali azioni deve essere di almeno 5 milioni di $; il numero minimo di shareholders è 400, e ci

devono essere almeno 2 market makers tra gli azionisti per un periodo non inferiore a 10

giorni consecutivi. Dal NASDAQ listed company manual emerge inoltre come anche i valori

richiesti in termini di earnings, revenues e assets siano inferiori rispetto a quelli necessari per

poter essere quotati nel NYSE; nello specifico, i pre tax earnings dell’ultimo esercizio non

devono essere inferiori ai 750.000 $, il fatturato per ciascuno degli ultimi tre anni di almeno 6

milioni di $ e gli assets devono ammontare ad una somma non minore di 5 milioni di $.

Infine, anche in questo mercato regolamentato vige una rigida applicazione dell’assai discusso

requisito del prezzo di chiusura di 1$ per azione, con tutte le precedentemente sottolineate

implicazioni che ne derivano. Come osservato per il NYSE, anche il NASDAQ detiene un

elevato potere di discrezionalità nelle decisioni di ammettere un titolo alle contrattazioni o

viceversa di revocarlo, che si evince da quanto asserito nella sezione 4300 della normativa

SEC “Nasdaq may deny initial inclusion or apply additional or more stringent criteria for the

initial or continued inclusion of particular securities or suspend or terminate the inclusion of

particular securities based on any event, condition, or circumstance which exists or occurs

that makes initial or continued inclusion of the securities in Nasdaq inadvisable or

unwarranted in the opinion of Nasdaq, even though the securities meet all enumerated

criteria for initial or continued inclusion in Nasdaq”63

. Coerentemente con quanto asserito in

precedenza per il NYSE, anche nel NASDAQ potremmo quindi osservare imprese che, pur

manifestando una palese non conformità agli standard di quotazione, continuano

63

http://www.sec.gov/pdf/nasd1/4000ser.pdf.

Page 87: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

87

inopportunamente a rimanere quotate per mesi o addirittura anni. La tendenza dello Stock

Exchange sarà sempre quella di garantire un trattamento privilegiato alle imprese di maggiori

dimensioni e notorietà, e oggetto di elevato interesse nazionale, facendo quanto possibile per

evitare un loro eventuale delisting.

Considerato quanto sinora emerso, si può dunque sostenere come l’esistenza di requisiti e

standard di quotazione particolarmente rigorosi, e più in generale di una normativa che risulta

essere in grado nella maggior parte dei casi di regolare in modo chiaro ed efficace i vari

processi di IPO e delisting, permetta ai mercati regolamentati statunitensi, nonostante le

conseguenza negative generate dalla grave crisi congiunturale che ha colpito la pressoché

totalità dei mercati azionari, specie quelli dei Paesi più sviluppati, di mantenere elevati livelli

di competitività ed efficienza, e di continuare a costituire la destinazione più ambita per le

strategie di listing intraprese da società domestiche e non. Tuttavia, come evidenziato nel

paragrafo, emerge la necessità di nuovi provvedimenti volti a limitare l’eccessiva

discrezionalità concessa agli Stock Exchanges nelle decisioni di ammissione o di revoca di un

titolo, al fine di evitare che essi utilizzino sconsideratamente tale potere riconosciutogli, e di

garantire un più equo trattamento delle diverse società quotate nei listini. Congiuntamente a

quanto appena detto, pare opportuna anche una chiarificazione e una semplificazione del

complesso e oneroso processo di deregistration dalla normativa SEC, che spesso permette

soltanto dopo molto tempo ad una società delistatesi dal mercato regolamentato di liberarsi

dai numerosi obblighi connessi allo status di public company.

3.2 IL REGIME LEGALE DI DELISTING NEI MERCATI REGOLAMENTATI EMERGENTI

Da quanto evidenziato negli studi di You (2008) e Karolyi (2006), che risultano essere tra i

più significativi contributi dottrinali focalizzati sull’analisi e la comparazione a livello

internazionale dei fenomeni di listing e delisting, emerge come i cd. mercati regolamentati

emergenti, in gran parte riconducibili a quelli dei Paesi del Sud Est asiatico64

, abbiano

conosciuto un periodo di grande crescita ed espansione a partire dai primissimi anni Duemila,

contrariamente a quanto si sia potuto assistere per i mercati più sviluppati. I developing

markets infatti, sono stati toccati soltanto parzialmente dalla crisi economico – finanziaria

scoppiata nel 2007, e offrono importanti opportunità di crescita per le imprese e di profitto per

gli investitori. A sostegno di quanto appena asserito, si evidenzia come a fronte di un numero

contenuto di delistings, tali mercati sono stati caratterizzati negli ultimi tempi da grandi

ondate di IPOs, realizzate sia da imprese nazionali che straniere, molte delle quali provenienti

64

Cina, India, Honk Kong, Singapore i principali.

Page 88: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

88

anche da Europa ed USA; ciò ha comportato il sorgere di differenziali IPO – delisting

sorprendentemente favorevoli per questi listini, che si contrappongono a quelli sempre più

negativi registrati dai mercati azionari europei e nord americani. Yang e Ding (2012) rilevano

come nel 2011 il principale mercato regolamentato cinese, lo Shangai Stock Exchange (SSE),

abbia registrato in media almeno un’IPO ogni trading day, permettendo così alla Cina di

essere per il quinto anno consecutivo il Paese che ha fatto registrare il maggior numero di

IPOs in un anno. Nel 2011 si sono registrate IPOs nello SSE e nello Shenzen Stock Exchange

(SZSE), i due principali mercati regolamentati cinesi65

, per un ammontare complessivo di

67,9 miliardi di $, portando così i due listini ad essere tra i primi cinque mercati azionari al

mondo per market capitalization complessiva.

Interessante pare quindi avere un quadro generale dei principali aspetti giuridici connessi ai

fenomeni di listing e delisting nei mercati emergenti, di cui la Cina può essere presa come

punto di riferimento, presentando il mercato regolamentato66

più sviluppato in termini di

market capitalization e trade volume complessivo. Xue e Cui (2007) forniscono una breve ma

esaustiva analisi del regime legale che caratterizza la quotazione nello SSE e nello SZSE,

soffermandosi in particolar modo sulla normativa disciplinante i processi di delisting o

radiation, evidenziandone le numerose lacune e proponendo a tal merito alcuni interventi

migliorativi che necessiterebbero di essere realizzati.

Il regime legale disciplinante il listing e il delisting da un mercato regolamentato, si è

costituito gradualmente, in concomitanza con il progressivo sviluppo che ha contraddistinto lo

SSE e lo SZSE67

a partire dagli anni Novanta, e accentuatesi notevolmente con l’inizio del

XXI secolo. A tal proposito, Xue e Cui (2007) identificano i diversi stages caratterizzanti il

processo di formazione del sistema legale regolante la quotazione nei mercati borsistici cinesi,

con particolare attenzione ai principali aspetti giuridici associati al delisting:

1) “The preliminary establishment of the de-listing legal regime”: l’emanazione della cd.

Corporate Law, entrata in vigore il 1 Luglio 1994, può considerarsi il primo

importante passo verso la formazione di un regime legale disciplinante la quotazione

di una public company. In tale provvedimento vengono definiti i listing e delisting

standards, l’iter procedurale che una società devo seguire nel caso di accesso o

viceversa di abbandono del mercato regolamentato, e l’organismo con la competenza e

l’autorità per decidere l’ammissione e la revoca di un titolo, la China Securities

65

Questi due mercati sono caratterizzati da un regime legale di quotazione per molti aspetti speculare. Il mercato

borsistico di Hong Kong, seppur presentante dei trend simili, è sottoposto ad una regolamentazione speciale

molto complessa: da qui la scelta di non considerarlo nell’analisi condotta nel suddetto paragrafo. 66

Se si considerano congiuntamente SSE e SZSE. 67

Operativi rispettivamente dal 1990 e dal 1991.

Page 89: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

89

Regulatory Commission (CSRC). Successivamente, il 29 Dicembre 1998, viene

introdotta la Security Law, la prima legge disciplinante il trading dei titoli nel mercato

regolamentato cinese, che negli artt. 49 e 57 non fa altro che ribadire quanto previsto

negli artt. 157 e 158 della precedente Corporate Law, relativamente al fenomeno del

delisting di un titolo.

2) “The consummation of the de-listing legal regime”: negli anni successivi viene

progressivamente introdotto una sorta di sistema elettronico di segnalazione, chiamato

ST – PT, tale da garantire un trasparente flusso informativo tra i diversi attori operanti

nel mercato, permettendo all’investitore di valutare ponderatamente le opportunità che

il mercato offre prima di assumere una qualsiasi decisione d’investimento e di

scorgere quei titoli che presentano un elevato rischio delisting nel breve termine e

quindi da evitare, alle società di migliorare le loro attività di gestione, e al mercato di

supervisionare costantemente l’andamento dei titoli in esso quotati.

3) “The start of the de-listing legal regime”: il 22 Febbraio 2001, la CSRC, l’organismo

preposto alla vigilanza del mercato regolamentato, introduce la “Regulation about

Loss Company to Suspend and Terminate Trading on The Market”, proponendosi

erroneamente di regolare con tale provvedimento indistintamente tutti i processi di

delisting che si fossero verificati, indipendentemente dalle motivazioni alla base

dell’esclusione dalle contrattazioni. Il 23 Aprile del 2001 si realizza la prima revoca

dal mercato regolamentato cinese, segnale che le disposizioni contenute in tema di

delisting nelle precedenti Corporate e Security Laws, venivano finalmente attuate. A

questo evento viene così ricondotto l’inizio ufficiale del regime legale sul delisting in

Cina.

4) “The further consummation of the de-listing legal regime”: la Chinese Security

Business Association pubblica nel 2003 una sorta di manuale, il Notice about

Improvement for Stock Transfer, al fine di agevolare la quotazione delle imprese e il

trading dei loro titoli, e limitare in questo modo i delistings.

5) “The establishment of the de-listing legal regime”: il 27 Ottobre 2005 il Parlamento

cinese delibera una profonda revisione della Corporate Law e della Security Law.

Vengono aboliti gli artt. 157 e 158 della prima, mentre gli artt. 49 e 57 della seconda

sono abrogati e sostituiti dai nuovi artt. 55 e 56, che definiscono nuove condizioni,

quantitative e non, per la sospensione e la revoca di un titolo dalle contrattazioni, e

conferiscono pieno potere discrezionale allo Stock Exchange nel disporre

l’ammissione, la sospensione o il delisting di una società. Con questi interventi viene

così realizzato un decisivo step per il consolidamento di un vero e proprio sistema

Page 90: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

90

legale disciplinante i vari aspetti connessi alla quotazione di un titolo in un mercato

regolamentato.

Dall’elenco delle regole disciplinanti la quotazione negli Shangai e Shenzen Stock

Exchanges68

emerge, in linea con quanto appurato per la pressoché totalità dei principali

mercati borsistici mondiali, la presenza di standard di quotazione quantitativi e non, il cui

mancato rispetto può costituire i presupposti di un potenziale delisting, la realizzazione del

quale è tuttavia subordinata all’ampia discrezionalità concessa allo Stock Exchange. I requisiti

di natura quantitativa o numerica che una società deve rispettare per poter soggiornare nello

SSE o nello SZSE sono come sempre riferiti al numero minimo di shareholders, alla market

capitalization della società, agli utili e ai cash flows realizzati negli ultimi anni, al totale degli

assets e così via, ma risultano essere molto meno stringenti e selettivi rispetto a quelli richiesti

per il soggiorno nei listini statunitensi, oltre che venire applicati con minor rigidità dagli Stock

Exchanges. Nello specifico, emergono i seguenti principali listing standards:

Il capitale sociale non deve essere inferiore ai 50 milioni di RMB (8 milioni di $)69

Il flottante deve avere un valore pari ad almeno il 25% del capitale sociale. Per le

società con capitale eccedente i 400 milioni di RMB (64,2 milioni di $), la percentuale

minima di flottante è fissata al 10%.

L’impresa deve essere operativa da almeno 3 anni, e avere realizzato dei profitti negli

ultimi tre esercizi per un ammontare complessivo non inferiore ai 30 milioni di RMB

(4,8 milioni di $).

Il valore dei net cash flows generati negli ultimi tre esercizi deve essere di almeno 50

milioni di RMB (8 milioni di $), mentre quello dei revenues complessivamente

realizzati nel medesimo periodo superiore ai 300 milioni di RMB (48,2 milioni di $).

Il numero di shareholders detentori di partecipazioni eccedenti i 1.000 RMB (160,6 $)

non deve essere inferiore a 1000.

L’emittente non deve essere stato accusato di aver commesso azioni illegali,

comportamenti poco trasparenti, falsi in bilancio e più in generale essere stato

coinvolto in scandali ed inchieste negli ultimi tre anni.

Ogni altro requisito stabilito dal Consiglio di Stato. A differenza degli Stati Uniti,

dove i mercati borsistici presentano un elevato livello di autoregolamentazione, nei

mercati azionari della Repubblica Popolare Cinese emerge un forte intervento dello

Stato, attraverso il State Council e la CSRC, nei processi di IPO e di delisting delle

68

La versione in inglese è disponibile su: http://www.sse.com.cn/sseportal/en_us/ps/support/en_sserule

20090408.pdf. 69

Rapporto di cambio al 23/11/2012: 1 Renminbi Yuan cinese = 0,161 Dollari USA.

Page 91: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

91

società quotate. Questi due organi detengono infatti un significativo potere decisionale

nelle decisioni di ammissione e di revoca di un titolo. A partire dalla fine del primo

decennio del XXI secolo si è registrata tuttavia una riduzione dell’intervento statale

nei mercati regolamentati, con una progressiva apertura di quest’ultimi alle sempre più

numerose società straniere desiderose di quotarsi in Cina.

Dopo di chè emergono i requisiti di carattere qualitativo, che in gran parte riferiscono agli

standard di corporate governance e agli obblighi di natura informativa ai quali generalmente

una public company deve sottostare. Tuttavia, come evidenziato da Yang e Ding (2012) e

Rajagopalan e Zhang (2008), spesso questi standards non quantitativi vengono violati dalle

società quotate nel listino, senza che lo Stock Exchange intervenga assumendo gli opportuni

provvedimenti sanzionatori; ciò aiuta a spiegare la scarsa trasparenza che da sempre avvolge

il mercato borsistico cinese, la quale rappresenta un freno nell’attirare imprese e investitori, e

nel dare un decisivo impulso al grande sviluppo intrapreso da tale mercato negli ultimi tempi,

permettendogli di raggiungere livelli di efficienza e competitività paragonabili a quelli

caratterizzanti i listini USA. L’applicazione degli standard di quotazione, quantitativi e

qualitativi che siano, è quindi tutt’altro che rigorosa, in quanto subordinata fortemente

all’elevata discrezionalità concessa in capo allo Stock Exchange dalla Security Law del 2005.

In altre parole, come asserito dai sopra citati autori, si potrebbe assistere a delle situazioni in

cui società che pur presentando una palese non conformità ad uno o più requisiti di

quotazione, e/o colpevoli di aver adottato comportamenti scorretti o fraudolenti recanti danno

agli investitori e al mercato in generale, rimangono tuttavia quotate per molti mesi o

addirittura anni nel listino, come se niente fosse accaduto. D’altra parte invece, si potrebbero

verificare casi di società che pur rispettando i listing standards e non avendo commesso

alcuna inadempienza o scorrettezza, vengono escluse dalle contrattazioni a seguito di un

semplice annuncio sull’eventuale possibilità di fallimento della società, o anche soltanto per

aver registrato un declino degli utili o del fatturato negli ultimi esercizi, o più in generale

perché il trade volume caratterizzante il loro titolo non è tale da giustificare i costi che lo

Stock Exchange sostiene per quotarlo. Quanto appena emerso può essere esteso a maggior

ragione per gli altri mercati emergenti, e costituisce quindi una criticità non di poco rilievo

che caratterizza il regime legale di delisting, e più in generale di quotazione, in questi Paesi.

Altri problemi significativi caratterizzanti la normativa disciplinante l’abbandono delle

contrattazioni nel mercato regolamentato cinese, sono riconducibili secondo Xue e Cui (2007,

p. 66) a quanto segue:

“The non precise and deficient delisting standard”: le condizioni al verificarsi delle

quali emergono i presupposti di una revoca dalle contrattazioni, ovvero i delisting

Page 92: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

92

standards, sono definite in modo poco chiaro e approssimativo dalla normativa

vigente, e non vengono applicate con l’adeguata rigorosità dallo Stock Exchange. In

particolare, i requisiti di carattere qualitativo non sembrano avere una forza vincolante

tale da indurre le imprese a rispettarli.

“The insufficient delisting procedure”: il sistema legale operante tende ad essere

idoneo a regolamentare soltanto i processi di delisting relativi a quelle società che

presentano perdite da tre o più esercizi consecutivi, estendendo erroneamente tale

disciplina anche a tutti gli altri casi di revoca dalle contrattazioni, per molti dei quali

questo iter procedurale di delisting pare inadeguato. In particolare, emerge come i 6

mesi di sospensione concessi ad una società per riorganizzarsi e conformarsi

nuovamente agli standard di quotazione, spesso risultino essere insufficienti. Inoltre, il

ruolo giocato dalla società in un processo di going private sembra essere troppo

passivo, a causa dei pressoché irrisori diritti ad essa concessi nell’opporsi in qualche

maniera alla decisione di revoca assunta dallo Stock Exchange.

“Lack of voluntary delisting institution”: la pressoché totalità dei regimi legali

disciplinanti il fenomeno del delisting nei mercati regolamentati più sviluppati prevede

l’esistenza non soltanto del compulsory delisting, ovvero della revoca involontaria

dalle contrattazioni per decisione vincolante dello Stock Exchange, ma anche del

delisting volontario, riconoscendo ad una società quotata la facoltà di abbandonare di

propria spontanea iniziativa in qualsiasi momento le contrattazioni. La concessione ad

una public company di un tale diritto segnala un elevato livello di maturazione e di

competitività per un mercato regolamento. La normativa disciplinante i processi di

radiation nei mercati borsistici cinesi non prevede questa fattispecie di delisting,

precisando come soltanto lo Stock Exchange abbia il potere di prendere una tale

decisione; ciò rappresenta un ulteriore sintomo dell’arretratezza che caratterizza il

sistema legale di quotazione cinese, così come quello degli altri mercati emergenti,

che dimostrano di non essere ancora al livello di quelli operanti nei Paesi più

sviluppati. L’unica facoltà concessa in tale direzione ad una società quotata è la

possibilità, una volta che lo Stock Exchange ha deliberato la sospensione del titolo per

un periodo di 6 mesi a seguito della mancata conformità da parte della società ad uno

o più requisiti di quotazione, di chiedere la revoca definitiva dalle contrattazioni una

volta decorsi i 6 mesi70

.

70

Come sottolineato nel Cap. 14, sezione 1 della versione in inglese delle regole disciplinanti la quotazione nello

SSE e nello SZSE, disponibile su: http://www.sse.com.cn/sseportal/en_us/ps/support/en_sserule 20090408.pdf.

Page 93: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

93

Altri problemi di carattere generale: il mercato regolamentato cinese non ha ancora

raggiunto un livello di maturazione tale da permettergli di svolgere in modo efficace

le funzioni fondamentali richieste ad un mercato borsistico, in particolare quella

informativa; infatti, spesso presenta dei prezzi di mercato che non riflettono

attendibilmente il reale andamento delle società in esso quotate. Il corretto

svolgimento di tale funzione, è compromesso anche dalla già citata mancanza di una

rigorosa e vincolante normativa in tema di disclousure, che impedisce dei trasparenti

flussi informativi.

Esaminando più da vicino la discussa procedura prevista dal regime legale sul delisting

vigente nel mercato azionario cinese71

, Xue e Cui (2007) e Yang e Ding (2012) evidenziano

come, seppur esplicitamente indicata per quelle società in procinto di abbandonare le

contrattazioni a seguito della realizzazione di tre o più perdite d’esercizio consecutive, sia di

fatto applicata indistintamente in tutte quelle situazioni in cui secondo lo Stock Exchange

sussistono i presupposti di un potenziale delisting del titolo. Dallo Shangai e Shenzen Listed

Company Manual, si evince come l’iter che un titolo a rischio revoca deve seguire sia

articolato nelle tre seguenti fasi, di cui la seconda e la terza sono da considerarsi alternative,

ovvero il verificarsi dell’una esclude l’altra:

“Suspension”: qualora una società presenti una palese mancanza di conformità ad uno

o più standard di quotazione, quantitativi o non, e più in generale ogni qual volta lo si

ritenga opportuno, lo Stock Exchange può deliberare la sospensione della quotazione

del titolo per un periodo di 6 mesi, durante il quale la società è tuttavia costretta a

sottostare agli obblighi associati allo status di public company.

“Restores”: se una volta terminato il periodo di sospensione, lo Stock Exchange ritiene

che l’impresa si sia nuovamente conformata ai listing requirements, e che quindi non

sussistano più i presupposti di un potenziale delisting, allora il titolo viene riammesso

alla quotazione e le azioni della società possono costituire nuovamente oggetto di

negoziazione presso il pubblico presente nel mercato. In ogni caso, per almeno un

anno la società verrà sottoposta ad una stretta sorveglianza speciale da parte dello

Stock Exchange e dei suoi organi di vigilanza. Tuttavia, è da precisare che se durante il

periodo di sospensione la società ha fatto richiesta di una revoca definitiva dalle

contrattazioni, non appena scaduti i 6 mesi il titolo viene automaticamente delistato.

Questa rappresenta l’unica fattispecie di delisting volontario riconosciuta dalla

normativa cinese.

71

Tale procedura è contenuta sempre nel sopracitato Cap. 14, sezioni 1,2,3 dello Shangai e Shenzen Listed

Company Manual.

Page 94: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

94

“Termination”: nei casi in cui, al termine del periodo di sospensione, lo Stock

Exchange riscontri ancora il mancato rispetto di uno o più standard di quotazione,

oppure se la società aveva in precedenza fatto richiesta di essere revocata, o più in

generale ogni qualvolta esso ritenga per una qualche ragione che la società non sia

idonea ad essere riammessa alle contrattazioni, ne dispone il delisting immediato.

La procedura appena evidenziata ricorre come detto in tutti i frangenti in cui emergono

elementi sufficienti per delistare il titolo di una società, tranne nei casi di scioglimento,

fallimento o M&A, ove la revoca dalle contrattazioni è automatica, senza la concessione di

alcun periodo di sospensione temporanea.

Come già anticipato, l’iter procedurale di radiation è soltanto uno dei numerosi aspetti relativi

alla quotazione in un mercato regolamentato che il regime legale vigente in Cina non

disciplina in modo adeguato. Xue e Cui (2007), Rajagopalan e Zhang (2008), e Yang e Ding

(2012), concordano nel ritenere necessario un intervento nel breve termine da parte degli

organi legislativi, attraverso l’emanazione di nuovi provvedimenti volti a migliorare il sistema

legale che regolamenta il funzionamento dello SSE e dello SZSE, e a contrastare i numerosi

problemi che esso presenta soprattutto in relazione ai processi di delisting, precedentemente

evidenziati. A tal proposito, emerge quindi l’esigenza di stabilire con maggior chiarezza e

precisione i delisting standards, di rendere più flessibile l’attuale procedura di going private

rendendola maggiormente adattabile alle diverse situazioni, di ridurre l’eccessiva

discrezionalità concessa allo Stock Exchange in tale ambito, e d’altra parte di aumentare i

diritti in capo alle società in modo da far loro giocare un ruolo più attivo nei processi di

delisting, concedendo la possibilità di opporsi alle eventuali decisioni di revoca assunte dal

mercato, e soprattutto la facoltà di realizzare in totale autonomia operazioni di abbandono

volontario delle negoziazioni. A livello più generale, i sopra menzionati autori, propongono

inoltre la costruzione, sulla base del modello USA, di una sorta di “multi level stock market”

ovvero di una struttura di mercato altamente integrata composta su tre diversi livelli di

quotazione, caratterizzati da un ordine decrescente di regolamentazione e di selettività, con

l’obbiettivo di permettere anche a quelle società che per una qualche ragione non riescono ad

accedere al mercato regolamentato desiderato o vengono delistate da quello in cui erano

quotate, di poter rendere comunque le proprie azioni negoziabili presso un pubblico rilevante,

accedendo ad un altro mercato regolamentato o ad un OTC market.

Il mercato regolamentato principale, il SSE, riservandolo alle imprese più performanti

e di maggiori dimensioni attraverso l’introduzione di requisiti di quotazione

particolarmente stringenti.

Page 95: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

95

Il secondo mercato regolamentato cinese in termini di market capitalization e trade

volume complessivo, il SZSE, disciplinandolo con standard di quotazione meno

rigorosi tali da permettere il soggiorno di imprese caratterizzate da performance non

eccellenti e da una modesta dimensione.

Costituzione di uno o più mercati OTC, altamente deregolamentati e permissivi, in

modo da permettere alle imprese che dimostrano di non essere grado di rispettare i

requisiti di quotazione imposti dai mercati regolamentati, di avere comunque la

possibilità di rendere negoziabili le proprie azioni tra un pubblico rilevante.

La realizzazione di tutti questi interventi dovrebbe rendere il sistema legale cinese

disciplinante i processi di delisting e più in generale il funzionamento dei mercati

regolamentati più simile a quello tipico dei mercati più sviluppati, permettendo al SSE e al

SZSE di beneficiare di notevoli incrementi in termini di efficienza, competitività e prestigio,

consacrandone il significativo sviluppo che hanno conosciuto negli ultimi tempi.

3.3 IL DELISTING NELLA NORMATIVA ITALIANA

In questo paragrafo, dopo un’iniziale quadro generale sulla normativa italiana regolante il

funzionamento del mercato borsistico nazionale, verrà realizzata un’analisi più specifica del

regime legale disciplinante il fenomeno del delisting nel mercato italiano, soffermandosi in

particolar modo sui delisting standards e sulla procedura che deve seguire una società in

procinto di abbandonare le contrattazioni.

A differenza dei regimi legali vigenti nei mercati emergenti, la normativa italiana sul

delisting, così come quelle disciplinanti il fenomeno oggetto di trattazione negli altri Paesi

sviluppati, non si limita a prevedere soltanto il cd. delisting involontario o compulsory

delisting, ovvero quella situazione in cui è lo Stock Exchange a disporre la revoca di un titolo

dalle contrattazioni, ma riconosce anche la facoltà in capo ad ogni società quotata nel listino

di Piazza Affari di assumere, di propria spontanea iniziativa e in qualsiasi istante, la decisione

di uscire dal mercato borsistico. Emergono quindi due diverse fattispecie di delisting,

involontario e volontario, che sono sottoposte ad una diversa regolamentazione. A differenza

di ciò che si è potuto osservare relativamente al mercato statunitense, da quanto evidenziato

dai contributi di Martinez e Serve (2011) e Geranio e Zanotti (2010), la seconda tipologia di

delisting risulta essere quella più ricorrente in ambito europeo, rientrando in tale categoria

anche le M&A e soprattutto le OPA, un’operazione quest’ultima frequentemente realizzata da

numerose imprese del Vecchio continente, spesso proprio con la finalità più o meno esplicita

di abbandonare il mercato regolamentato. Quanto appena asserito emerge anche dallo studio

Page 96: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

96

di Geranio (2004), in uno dei pochi significativi lavori, presenti in ambito dottrinale,

incentrati sul fenomeno del going private nel mercato italiano.

Analizzando la struttura e il funzionamento del mercato azionario italiano, è importante

innanzitutto identificare e al contempo distinguere le due principali istituzioni operanti in

esso: Borsa Italiana e CONSOB. Borsa Italiana è una s.p.a. che svolge l’attività di

organizzazione e gestione dei mercati regolamentati nazionali. La sua primaria finalità è

quella di “garantire lo sviluppo e di massimizzare la liquidità, la trasparenza, la competitività

e l’efficienza dei mercati stessi”72

. Un’altra importante funzione riconosciuta a questo ente è

quella legislativa; Borsa Italiana ha infatti il compito di regolamentare il funzionamento dei

mercati, e perciò di definire i listing e delisting standards, ovvero le condizioni e le modalità

di ammissione, sospensione e revoca di un titolo, l’iter procedurale che una società deve

seguire quando fa il proprio ingresso nel mercato e viceversa quando lo sta per abbandonare, e

gli obblighi di natura informativa generalmente associati allo status di public company. La

decisione formale di ammettere, sospendere, o revocare un titolo dalle contrattazioni spetta

soltanto a Borsa Italiana. Alla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob),

l’altro principale ente operante nel mercato azionario italiano, è riconosciuta invece la

funzione di controllo e vigilanza sull’andamento del mercato, sul rispetto degli standard di

quotazione e delle procedure di ammissione e di revoca, e più in generale di tutto ciò che è

previsto dal Regolamento di Borsa Italiana. Tuttavia, anche questo organo è dotato di potere

legislativo, e principalmente di regolamentare gli obblighi informativi delle società quotate, le

procedure da seguire in sede di IPO, e le prestazioni dei servizi d’investimento73

.

Si procede ora ad analizzare le principali disposizioni contenute nel Regolamento di Borsa

Italiana, soffermandosi dapprima sulla disciplina del delisting involontario, e successivamente

su quella relativa al delisting volontario. Innanzitutto, pare opportuno evidenziare in linea con

quanto rimarcato da Geranio (2004), come Borsa Italiana disponga di un elevato decision

making power, ovvero di una considerevole discrezionalità nel deliberare l’ammissione, la

sospensione e soprattutto la revoca di un titolo, seppur inferiore a quella riscontrata per gli

Stock Exchanges statunitensi; ciò spesso implica che non sempre a seguito della mancata

conformità ad uno o più standard di quotazione una società venga esclusa dalle contrattazioni.

In altre parole, si potrebbero verificare situazioni in cui imprese che, pur mostrando un palese

non rispetto dei requisiti di quotazione, rimangono tuttavia quotate nel listino per mesi o

addirittura anni, come se niente fosse accaduto. Pertanto, anche se sussistono delle condizioni

72

www.borsaitaliana.it 73

Per approfondire i compiti e le funzioni riconosciute a Borsa Italiana e alla Consob vedi: http://www.borsa

italiana.it/notizie/sotto-la-lente/chifacosa.htm, dove viene realizzata una chiara distinzione tra le attività svolte

dalle due istituzioni.

Page 97: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

97

da rispettare per poter soggiornare nel mercato regolamentato, occorre precisare come il loro

venir meno non comporta automaticamente il delisting della società, ma costituisce soltanto i

presupposti per una potenziale revoca dalle contrattazioni, spettando in ogni caso a Borsa

Italiana la decisione finale. Questa significativa discrezionalità concessa a Borsa Italiana, se

da una parte potrebbe presentare dei risvolti positivi, impedendo a società note, sino a poco

tempo prima caratterizzate da ottime performance, e con un passato rilevante, di essere

costrette ad uscire dal mercato soltanto per il mancato rispetto di uno standard di quotazione,

o a seguito di una semplice crisi passeggera, dall’altra spesso comporta un trattamento non

egalitario delle società quotate, tendendo Borsa Italiana a privilegiare le grandi e prestigiose

imprese a scapito delle small caps, che vengono abbandonate al loro destino.

Realizzata questa doverosa premessa, si può ora analizzare nello specifico la normativa

italiana sul delisting. Borsa Italiana “può disporre la sospensione dalla quotazione di uno

strumento finanziario, se la regolarità del mercato dello strumento stesso non è

temporaneamente garantita o rischia di non esserlo ovvero se la richieda la tutela degli

investitori”74

; in alternativa, può deliberare nelle situazioni più gravi “la revoca dalla

quotazione di uno strumento finanziario, in caso di prolungata carenza di negoziazione ovvero

se reputa che, a causa di circostanze particolari, non sia possibile mantenere un mercato

normale e regolare per tale strumento”75

.

Borsa Italiana definisce la sospensione di un titolo come “un’interruzione non programmata

del normale processo di contrattazione di uno strumento finanziario”76

. Gli elementi

considerati per legge rilevanti ai fini dell’emergere dei presupposti di una potenziale

sospensione del titolo dalle negoziazioni disposta da Borsa Italiana sono: “la diffusione o

mancata diffusione di notizie che possono incidere sul regolare andamento del mercato;

l’azzeramento del valore nominale delle azioni con contemporanea delibera di aumento al di

sopra del minimo legale; l’ammissione dell’emittente a procedure concorsuali; lo

scioglimento dell’emittente; il giudizio negativo della società di revisione, ovvero

l’impossibilità per la società di revisione di esprimere un giudizio, per due esercizi

consecutivi”77

. Marcotti (2011), sottolinea come il fenomeno della sospensione temporanea di

un titolo dalla quotazione sia particolarmente ricorrente nel mercato regolamentato italiano, e

ritiene opportuno distinguere tra sospensione discrezionale e sospensione automatica. Una

sospensione del primo tipo è deliberata espressamente da Borsa Italiana in presenza di

74

Art. 2.5.1 comma 1, lettera a del Regolamento di Borsa Italiana. 75

Art. 2.5.1 comma 1, lettera b del Regolamento di Borsa Italiana. 76

http://www.borsaitaliana.it/bitApp/glossary.bit?target=GlossaryDetail&word=Sospensione%20delle%20Nego

ziazioni. 77

Art. 2.5.2 comma 2 del Regolamento di Borsa Italiana. Viene fatto un elenco delle potenziali cause di

sospensione di un titolo dalla quotazione.

Page 98: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

98

circostanze che potrebbero compromettere il regolare funzionamento delle contrattazioni,

quali per esempio l’assenza di notizie riguardanti la società. Borsa Italiana può inoltre

decidere per una sospensione discrezionale di un titolo ogni qual volta ritiene anomalo

l’andamento delle negoziazioni che lo riguardano, non solo in riferimento al prezzo ma anche

alle quantità, o in presenza di segnalazioni da parte di altri operatori di mercato circa

l’adozione di comportamenti irregolari da parte della società. Nell’altro caso invece, la

sospensione avviene automaticamente al verificarsi del superamento di determinate soglie di

variazione del prezzo del titolo, più precisamente a seguito di incrementi o decrementi

superiori al 10%, senza che avvenga un intervento esplicito di Borsa Italiana78

.

In aggiunta a quanto sinora evidenziato, la normativa regolante il fenomeno delle sospensioni

asserisce che “qualora nel periodo in cui uno strumento finanziario è sospeso dalla quotazione

si siano verificate modifiche sostanziali nella situazione economico, patrimoniale o finanziaria

dell’emittente, Borsa Italiana può subordinare la revoca del provvedimento di sospensione,

nel solo interesse della tutela degli investitori, alle condizioni particolari che ritenga

opportune, nei limiti delle competenze di cui all’art. 2.1.2 del Regolamento e che siano

esplicitamente comunicate all’emittente”79

.

Indagando sui cd. delisting standars, è bene evidenziare innanzitutto come il delisting di un

titolo possa essere determinato dal venire meno di una qualche requisito di quotazione. Il

Regolamento di Borsa Italiana, in linea con quanto appurato relativamente ai mercati

regolamentati USA, prevede dei requisiti formali e sostanziali da rispettare per potere

soggiornare nel listino. A seguito della privatizzazione della Borsa avvenuta nel 1998, i

requisiti formali si sono evoluti in direzione di una minor rigorosità e un maggior peso di

quelli sostanziali. I requisiti formali previsti in capo all’Emittente sono “la capacità di

generare ricavi in condizioni di autonomia gestionale, la pubblicazione e il deposito degli

ultimi tre bilanci annuali, la sottoposizione dell’ultimo bilancio a revisione contabile”. I

requisiti formali che devono invece caratterizzare le azioni di una società quotata sono i

seguenti: “libera trasferibilità, flottante pari ad almeno il 25% del capitale, numero minimo di

azioni pari a 100.000, capitalizzazione di mercato di almeno 5 milioni di Euro, gestione

accentrata presso Monte Titoli in forma de materializzata”80

. I requisiti sostanziali riferiscono

alla reali prospettive di crescita del business dell’impresa, alla sua solidità finanziaria e

capacità di produrre reddito, e alla trasparenza nella contabilità e nella corporate governance.

78

Un’accurata distinzione tra sospensioni discrezionali e automatiche è fornita anche da http://www.borsa

italiana.it/bitApp/glossary.bit?target=GlossaryDetail&word=Sospensione%20delle%20Negoziazioni. 79

Art. 2.5.1 comma 3 del Regolamento di Borsa Italiana. 80

http://www.andreabiancalani.it/borsa.pdf.

Page 99: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

99

Considerato quanto sopra detto, dall’elenco delle condizioni al verificarsi delle quali

emergono i presupposti di una potenziale revoca di un titolo dalle contrattazioni, contenuto

nell’art. 2.5.1 comma 7 del Regolamento di Borsa Italiana, si evince che se una volta decorsi i

diciotto mesi dall’adozione del provvedimento di sospensione non sono venuti meno i motivi

che avevano spinto Borsa Italiana ad emanarlo, quest’ultima ha la facoltà di deliberare il

delisting del titolo, ovvero la sua definitiva rimozione dal listino. Nelle situazioni più gravi

infatti, la sospensione risulta essere un provvedimento insufficiente, e la più opportuna

decisione che Borsa Italiana può prendere in questi casi è quella di revocare il titolo. Come

già anticipato, anche nell’assumere una tale decisione essa dispone di un elevato potere

discrezionale; in particolare, come evidenziato da Martinez e Serve (2011) nella loro analisi

del fenomeno del public to private nei mercati borsistici dell’Europa Continentale, e da

Geranio (2004) specificatamente per il mercato regolamentato italiano, spesso lo Stock

Exchange decide di revocare un titolo dalle contrattazioni soltanto perché presenta un

andamento anomalo ed instabile del prezzo, o a seguito di comportamenti della società

considerati scorretti o poco trasparenti, o perché più in generale si ritiene che il titolo sia

caratterizzato da un trade volume ritenuto non sufficiente a giustificare i costi che la Borsa

sostiene per quotarlo. In ogni caso, la normativa italiana sul tema stabilisce come Borsa

Italiana, prima di assumere un qualsiasi provvedimento di revoca, debba realizzare

un’accurata analisi e valutazione dei seguenti elementi:

“il controvalore medio giornaliero delle negoziazioni eseguite nel mercato e il numero

medio di titoli scambiati, rilevati in un periodo di almeno diciotto mesi;

la frequenza degli scambi registrati nel medesimo periodo;

il grado di diffusione tra il pubblico degli strumenti finanziari in termini di

controvalore e di numero dei soggetti detentori;

l’ammissione dell’emittente a procedure concorsuali;

il giudizio negativo della società di revisione, ovvero l’impossibilità per la società di

revisione di esprimere un giudizio, per due esercizi consecutivi;

lo scioglimento dell’emittente;

la sospensione dalla quotazione per una durata superiore a diciotto mesi”81

.

Questi appena elencati possono considerarsi dei cd. delisting standards, cioè delle condizioni

al verificarsi delle quali possono emergere i presupposti di un potenziale delisting del titolo.

Esaminando la procedura di revoca stabilita dall’art. 2.5.2 del Regolamento di Borsa Italiana,

emerge che se nell’analizzare i sopra evidenziati elementi, Borsa Italiana riscontra l’esistenza

81

L’elenco degli elementi che Borsa Italiana deve valutare prima di deliberare un’eventuale revoca dalle

contrattazioni, è contenuto nell’art. 2.5.1 comma 7 del Regolamento di Borsa Italiana.

Page 100: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

100

di sufficienti ragioni per procedere al delisting del titolo, deve inviare “all’emittente una

comunicazione scritta con la quale vengono richiamati gli elementi che costituiscono

presupposto per la revoca e viene fissato un termine non inferiore a 15 giorni per la

presentazione di deduzioni scritte”82

. Il comma 2 dello stesso articolo attribuisce la possibilità

alla società esclusa dalle contrattazioni di chiedere un’audizione a Borsa Italiana, nei modi e

tempi previsti dal Regolamento, per avere una chiarificazione sulle regioni alla base

dell’emanazione del provvedimento di revoca. Se non si verificano particolari stravolgimenti,

rallentamenti od intoppi di varia natura, è prassi che la procedura di revoca giunga a

conclusione entro 60 giorni dalla comunicazione all’emittente del provvedimento, e che

quindi il delisting del titolo acquisisca efficacia entro tale termine. Il comma 5 stabilisce in

qualunque caso l’obbligo in capo a Borsa Italiana di comunicare tempestivamente alla Consob

e al mercato in generale l’avvio della procedura di revoca.

In linea con quanto rimarcato da Geranio (2004), una particolare considerazione merita il

delisting a seguito di un’offerta pubblica di acquisto (OPA), che seppur deliberato

formalmente da Borsa Italiana, deve essere tuttavia considerato una fattispecie di delisting

volontario. Da quanto emerge dal contributo di Martinez e Serve (2011), questa operazione è

molto ricorrente nei mercati regolamentati dell’Europa Continentale, ove spesso si verifica

che gli azionisti di maggioranza dell’impresa, ovvero coloro che avevano in precedenza

deciso di realizzare il going public rendendo il suo equity negoziabile presso il pubblico, siano

li stessi a promuovere successivamente il riacquisto della totalità delle azioni in circolazione,

comportando il venir meno di uno dei requisiti minimi più importanti richiesti per la

quotazione, quello del flottante. Per flottante si intende la quantità di azioni della società

liberamente negoziabili nel mercato, e quindi non facenti parte della partecipazione di

controllo detenuta dagli azionisti di maggioranza; secondo gli standard fissati da Borsa

Italiana, il flottante minimo richiesto per poter soggiornare sul listino di Piazza Affari deve

essere pari ad almeno il 25% del capitale sociale. Il regolamento di Borsa Italiana, nell’art.

2.5.1 comma 8, dispone la revoca immediata dalla quotazione in tutti quei frangenti in cui

venga esercitato l’obbligo di acquisto previsto dall’art. 108, comma 1 e 2, del Testo Unico

della Finanza (TUF) gravante su chi detiene più del 90% del capitale sociale, o d’altro canto,

il diritto di squeeze out riconosciuto dall’art. 111 del TUF.

Analizzando più approfonditamente la normativa nazionale sul tema, occorre evidenziare

innanzitutto come l’OPA presenti un periodo di tempo ben definito entro il quale è possibile

aderirvi. Nello specifico, l’art. 40 punto 2 b del Regolamento Emittenti della CONSOB

stabilisce che il periodo di adesione debba andare da un minimo di 15 giorni ad un massimo

82

Art. 2.5.2 comma 1 del Regolamento di Borsa Italiana.

Page 101: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

101

di 25 giorni. Tuttavia, si precisa che “la Consob, sentiti l’offerente e la società di gestione del

mercato, può, con provvedimento motivato da esigenze di corretto svolgimento dell’offerta e

di tutela degli investitori, prorogarne la durata, anche più volte, fino ad un massimo di

cinquantacinque giorni”. Con la finalità di garantire il regolare esito dell’operazione e di

tutelare il mercato e gli investitori, il D. Lgs. 24/02/98, n. 58, meglio conosciuto come Testo

Unico della Finanza (TUF), dispone numerose altre norme disciplinanti i vari aspetti

dell’operazione, e ispirate ai principi di correttezza e trasparenza. In particolare, si segnalano i

diversi obblighi di natura informativa verso la CONSOB e il mercato, previsti dall’art. 102 del

TUF e specificati dall’art. 37 del Regolamento CONSOB; questo, nell’art. 37 bis, stabilisce

inoltre l’obbligo in capo all’offerente di apporre idonee garanzie al mantenimento degli

impegni presi e al pagamento del corrispettivo agli azionisti alienanti, e negli artt. 41 e 42

impone ai soggetti coinvolti nell’operazione l’adozione di comportamenti leali e trasparenti.

Da quanto previsto dal TUF sembrano emergere sei differenti operazioni di OPA:

1. OPA successiva totalitaria. L’art. 106 del TUF comma 1, dispone che “chiunque

venga a detenere una partecipazione superiore alla soglia del 30%” del capitale

sociale, ha l’obbligo di promuovere un’offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle

azioni out standing della società. Il comma 2 aggiunge che “l'offerta è promossa entro

trenta giorni a un prezzo non inferiore alla media aritmetica fra il prezzo medio

ponderato di mercato degli ultimi dodici mesi e quello più elevato pattuito nello

stesso periodo dall'offerente per acquisti di azioni della medesima categoria”.

2. OPA preventiva totalitaria. L’art. 107 del TUF stabilisce che chiunque miri ad

acquisire una quota del capitale sociale di una società quotata superiore al 30% deve

fare un’offerta a tutti gli azionisti in essere.

3. OPA preventiva parziale. L’art. 107 del TUF prevede la possibilità di lanciare

un’offerta sul solo 60% del capitale sociale in presenza del verificarsi di una delle

seguenti condizioni: l’offerente non abbia acquistato partecipazioni superiori all’1%

nei dodici mesi precedenti alla comunicazione dell’offerta alla CONSOB;

l’approvazione da parte della maggioranza dell’assemblea dei soci, alla quale però

non possono partecipare il socio offerente, il socio di maggioranza e i soggetti ad essi

legati da uno dei rapporti indicati nell’art. 109 comma 1 TUF83

.

4. OPA a cascata. L’art. 45 del Regolamento CONSOB prevede che chiunque arrivi a

detenere, seppur indirettamente, una partecipazione superiore al 30% del capitale

sociale di una società quotata, abbia comunque l’obbligo di lanciare un’OPA sulla

totalità delle azioni ordinarie della stessa. Con tale disposizione, il legislatore vuole

83

Per esempio: patti parasociali, società controllate o collegate.

Page 102: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

102

contrastare coloro che mirano ad acquisire il controllo di una società quotata

attraverso l’acquisto della sua controllante non quotata, eludendo così quanto previsto

dall’art. 107 del TUF.

5. OPA residuale o obbligo di acquisto. L’art. 108 del TUF stabilisce che “chiunque

venga a detenere una partecipazione superiore al novanta per cento delle azioni

ordinarie” debba promuovere un'offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle azioni

sociali residue in circolazione “al prezzo fissato dalla Consob”, a meno chè non

provveda a ripristinare “entro centoventi giorni un flottante sufficiente ad assicurare il

regolare andamento delle negoziazioni”.

6. OPA di concerto o acquisto di concerto. L’art. 109 del TUF dispone che sono

solidalmente sottoposti agli obblighi ex art. 106 TUF e art. 107 TUF, anche se la

partecipazione è stata acquisita a titolo oneroso soltanto da uno solo di essi, i seguenti

soggetti: “gli aderenti a un patto, anche nullo, previsto dall'articolo 122; un soggetto e

le società da esso controllate; le società sottoposte a comune controllo; una società e i

suoi amministratori o direttori generali”.

Risulta importante ribadire inoltre, come l’art. 111 del TUF preveda l’istituto giuridico dello

squeeze out, riconoscendo in capo all’offerente che, a seguito di un’OPA totalitaria arriva a

detenere più del 95% del capitale sociale, il diritto di acquistare le azioni residue, a condizione

che abbia dichiarato l’intenzione di avvalersene nel documento di offerta entro tre mesi

dall’inizio dell’OPA. Lo squeeze out è un importante diritto riconosciuto a tutela

dell’offerente in molti ordinamenti dei Paesi europei, e qualora venga da questi esercitato fa

sorgere in capo agli altri azionisti della società l’obbligo di cedere le azioni in loro possesso in

cambio di un corrispettivo. L’art. 111 del TUF stabilisce a tal proposito che il prezzo di

cessione, considerato il carattere espropriativo che assume in questo frangente il trasferimento

delle azioni, venga determinato da un esperto nominato dal tribunale, tenendo tuttavia conto

del prezzo di mercato degli ultimi sei mesi e del prezzo di offerta.

Quanto previsto dalla normativa italiana sull’OPA e appena analizzato, è conseguenza della

direttiva CE n. 25 del 21 Aprile 2004, che con l’obbiettivo di armonizzare le differenti

regolamentazioni nazionali in tema di OPA, ha stabilito dei principi fondamentali e delle linee

guida che i Paesi membri della Comunità hanno dovuto seguire nel disciplinare i vari aspetti

dell’operazione.

Geranio (2004) sottolinea un altro caso che è da considerarsi a tutti gli effetti una fattispecie

di going private volontario anche se la decisione di delisting viene formalmente assunta da

Borsa Italiana, seppur senza alcuna discrezionalità: la fusione per incorporazione. Infatti, una

Page 103: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

103

società è cosciente, che qualora venisse incorporata in un’altra società, sarebbe costretta ad

abbandonare il listino, venendo meno la sua autonomia e più in generale la propria identità.

Oltre a prevedere e disciplinare l’istituto del delisting involontario, e a stabilire la revoca

immediata dalle contrattazioni a seguito delle operazioni di OPA e Fusioni, la normativa

italiana considera anche l’ipotesi di esclusione dal mercato su esplicita richiesta della società,

che può essere ritenuta la vera e propria fattispecie di delisting volontario. L’art. 133 del TUF

stabilisce quanto segue: “Le società italiane con azioni quotate nei mercati regolamentati

italiani, previa deliberazione dell'assemblea straordinaria, possono richiedere l'esclusione

dalle negoziazioni dei propri strumenti finanziari, secondo quanto previsto dal regolamento

del mercato, se ottengono l'ammissione su altro mercato regolamentato italiano o di altro

paese dell'Unione Europea, purché sia garantita una tutela equivalente degli investitori,

secondo i criteri stabiliti dalla Consob con regolamento”. L’art. 2.5.6 del Regolamento di

Borsa Italiana, dopo aver riconosciuto in capo ad ogni società il diritto di abbandonare

volontariamente in qualsiasi momento le contrattazioni, disciplina la procedura che una

società deve seguire per portare a compimento tale operazione. Nel comma 1 del sopra citato

articolo si stabilisce l’obbligo in capo alla società che mira ad uscire dal mercato

regolamentato di inviare “apposita richiesta scritta” a Borsa Italiana, nei modi e nei tempi

indicati dai commi successivi. Nello specifico, il comma 2 stabilisce che la società emittente

alleghi alla domanda di esclusione i seguenti documenti:

“delibera dell’assemblea straordinaria di richiesta di esclusione dalle negoziazioni;

attestato dell’ammissione a quotazione in altro mercato regolamentato italiano o di

altro Paese dell’Unione Europea;

parere legale circa l’esistenza nel mercato di quotazione di una disciplina dell’offerta

pubblica di acquisto obbligatoria applicabile all’emittente ovvero parere favorevole,

rilasciato dalla Consob, circa l’esistenza di altre condizioni atte a garantire una tutela

equivalente agli investitori. Tali pareri sono da allegare solo quando la richiesta di

esclusione riguarda le azioni ordinarie”.

Dalla presentazione della richiesta all’effettiva esclusione dalle contrattazioni trascorrono di

norma almeno 90 giorni84

, e precedentemente alla realizzazione del delisting, sia la Borsa

Italiana che la società hanno l’obbligo di comunicare, seppur con tempi e modalità differenti,

la notizia al mercato.

A conclusione del capitolo sembra opportuno proporre la seguente Figura 5, nella quale

vengono riepilogati i principali connotati caratterizzanti il regime legale di delisting nei tre

84

Art. 2.5.6 comma 3 del Regolamento di Borsa Italiana.

Page 104: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

104

diversi contesti economici, politici e culturali considerati, evidenziandone analogie e

differenze, e rimarcandone i maggiori problemi.

FIGURA 5: TRE DIVERSI REGIMI LEGALI DI DELISTING A CONFRONTO

USA CINA ITALIA

Nascita del Regime

Legale di delisting

1933-1934 →Security

Exchange Acts

2003 → SOX: innalzamento

dei listing e delisting standards

2001→ Primo caso di

delisting

2005 → nuova Security

Law: modifica dei listing e delisting standards

1998 → Introduzione del

Regolamento di Borsa Italiana

e del D. lgs. del 24/02/1998

(TUF)

Grado di discrezionalità

concessa allo Stock

Exchange nelle decisioni

di ammissione e di revoca

ELEVATO MEDIO ELEVATO

Livello di

autoregolamentazione del

mercato

ALTO BASSO MEDIO

Disciplina dei processi di

delisting

Disciplinati ad hoc a seconda delle motivazioni alla base

della potenziale revoca, delle

caratteristiche dell'impresa e

delle condizioni attuali del mercato

Applicazione della Regulation about Loss

Company to Suspend and

Terminate Trading on The

Market indistintamente a tutti i casi di delisting

→ grave inefficienza

Lo Stock Exchange non ha

sufficienti competenze e maturità per poter disciplinare

efficacemente ad hoc i diversi

processi di delisting → elevata

attinenza a quanto previsto dal Regolamento e

categorizzazione delle ipotesi

Ruolo delle Società nei

processi di delisting

involontario

ATTIVO: diritto di chiedere

audizione allo Stock Exchange, e in certi casi di

contestare il provvedimento di

revoca chiedendo la

riammissione alle contrattazioni

PASSIVO: nessun diritto

PARZIALMENTE ATTIVO:

diritto di chiedere un'audizione

allo Stock Exchange

Riconoscimento

dell'istituzione del

delisting volontario

Possibilità per la società di richiedere in qualsiasi istante e

incondizionatamente la revoca

dalle contrattazioni

Assenza dell'istituzione del

delisting volontario

Riconoscimento della facoltà di richiedere un delisting

volontario ma subordinata al

verificarsi di determinate

condizioni

Listing e delisting

standards

Definiti in modo chiaro e preciso, particolarmente

rigorosi e selettivi

Definiti in modo

approssimativo, e applicati con scarsa rigorosità da

parte dello Stock Exchange

Definiti in modo abbastanza

chiaro e preciso, tuttavia eccessivamente permissivi e

talvolta imposti con poca

rigorosità

Obblighi in tema di

disclousure

Stringenti obblighi di carattere

informativo per le listed companies e rilevanti sanzioni

in caso di inadempimento

→ elevata trasparenza dei

mercati

Frequente inadempimento

da parte delle società

quotate degli obblighi in

tema di disclousure

→ poca trasparenza dei

mercati, scarsa tutela degli investitori

Presenza di diversi obblighi di

natura informativa, tuttavia non

perfetta trasparenza del mercato

come negli USA

Presenza di una multi -

level market structure PRESENTE ASSENTE ASSENTE

Problemi principali

Processo di deregistration

dalla normativa SEC troppo

complesso ed oneroso.

Difficoltà degli Stock

Exchanges nazionali nello

svolgere efficacemente le

Mercato borsistico

caratterizzato da inefficienze e

problemi strutturali, incapace di

Page 105: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

105

Applicazione eccessivamente

rigorosa del requisito del prezzo di chiusura superiore

all'1$ → principale causa di

delisting involontario

loro funzioni fondamentali,

in particolare quella informativa; ciò,

accompagnato dai problemi

sopra emersi segnala la non

ancora maturazione di questi mercati emergenti

supportare le small caps, pur

essendo la principale fattispecie imprenditoriale nazionale, e di

attirare le più importanti

imprese estere → scarsa

competitività e basso prestigio

Tabella frutto di una rielaborazione personale delle evidenze emerse nel capitolo.

CONCLUSIONI

Con il presente lavoro si è cercato di far luce sul fenomeno del delisting, che a causa della sua

recente diffusione a livello internazionale e dei limitati contributi dottrinali, soprattutto in

ambito europeo esibisce ancora lati oscuri e sconosciuti. Gran parte degli studi e delle ricerche

disponibili sul tema tendono a focalizzarsi su un singolo mercato regolamentato e,

analizzando un campione di società da esso delistatesi, mirano ad indagare soltanto su alcuni

dei numerosi elementi di interesse presentati dal delisting. Considerata la sempre maggiore

frequenza con cui questo fenomeno tende a manifestarsi e l’importanza che il ruolo giocato da

un tale evento ha nella vita di un’impresa, si è ritenuto pertanto opportuno realizzare

un’accurata analisi teorica trasversale sull’argomento con l’obbiettivo di favorirne una

migliore comprensione, indagando a tutto campo sui principali aspetti di carattere economico

- finanziario, giuridico e culturale connessi al fenomeno del delisting: dalle motivazioni più

ricorrenti alla base di una sua manifestazione, alle fisionomie e alle caratteristiche con cui

tende a presentarsi, dagli effetti che produce sulla società, su i suoi azionisti e sul mercato, a

come viene regolamentato a livello internazionale.

Innanzitutto, si è cercato di dare una definizione ben precisa al delisting, considerandolo come

la rimozione permanente di un titolo azionario dal mercato regolamentato ove era quotato, per

poi analizzarne i trend che ha assunto nel tempo; a tal proposito, è emerso come grandi ondate

di delistings si siano verificate nei principali listini mondiali successivamente a due

considerevoli periodi di hot market caratterizzati da numerose IPOs: negli anni 2000 - 2003 a

seguito dello scoppio della dot.com bubble e successivamente al 2007 con l’esplosione della

crisi economico - finanziaria.

Le principali driving forces alla base della rilevante espansione del fenomeno in esame sono

in gran parte da ricondursi al verificarsi dei sopra citati eventi macroeconomici negativi che,

da una parte hanno determinato numerosi problemi di carattere strutturale ed inefficienze

varie alla pressoché totalità dei mercati regolamentati, e dall’altra hanno generato un

Page 106: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

106

progressivo deterioramento dello stato di salute economico – finanziario delle public

company; un ruolo importante nel favorire un numero crescente di revoche dalle

contrattazioni è stato tuttavia giocato anche dall’introduzione nei primissimi anni Duemila di

standard di quotazione più selettivi e rigorosi, che congiuntamente alle circostanze sopra

evidenziate hanno reso sempre più difficile per una società mantenere lo status di impresa

quotata. Nel corso della trattazione è emerso quanto sia sottile il filo che intercorre tra due

fenomeni tra loro opposti: il listing e il delisting; da un momento all’altro, il verificarsi di una

qualche circostanza può comportare il venir meno dei vantaggi associati allo status di public

company e quindi delle motivazioni che avevano spinto la società a quotarsi nel mercato

regolamentato, costituendo così i presupposti per una revoca dalle contrattazioni, sino a poco

tempo prima considerata un’ipotesi remota. Tuttavia è opportuno precisare come la

sopravvenuta mancata realizzazione dei benefici teoricamente conseguibili con il listing

spesso non sia sufficiente a determinare il delisting di una società; prima di assumere una

decisione così importante, generatrice di rilevanti cambiamenti organizzativi, una società deve

infatti considerare anche un altro importante aspetto, ovvero i costi richiesti per il proseguo

della quotazione. A tal proposito, è emerso come con l’esplosione della crisi economico –

finanziaria nel 2007 e con il generale innalzamento dei requisiti minimi di quotazione nei

principali mercati regolamentati mondiali si sia registrato un notevole incremento dei costi,

diretti ed indiretti, richiesti per il soggiorno in un mercato regolamentato; ciò, congiuntamente

alle sempre maggiori difficoltà incontrate nel realizzare i listing benefits ha comportato un

sostanziale peggioramento del trade off tra i costi e i benefici di quotazione, costituendo i

presupposti per un numero crescente di delistings.

Un altro elemento che merita attenzione è il differente approccio alla quotazione in un

mercato borsistico che contraddistingue le imprese europee rispetto a quelle nord americane;

dal presente lavoro è emerso come questo fattore giochi un ruolo importante nello spiegare il

motivo per cui le prime presentino maggiori difficoltà nel soggiornare con successo nel listino

rispetto alle seconde. Nei maturi e consolidati mercati anglosassoni le imprese, in virtù di una

cultura imprenditoriale più avanzata e di una maggior efficienza dei mercati regolamentati,

considerano il going public come una fase naturale del loro ciclo di vita ritenendola spesso

uno step fondamentale per poter espletare il proprio processo di crescita ed espansione e per

riuscire a godere di alcuni importanti benefici. Nei mercati dell’Europa continentale, le

imprese risultano essere invece generalmente meno propense a rendere il proprio equity

negoziabile in un mercato regolamentato, poiché spesso, a causa dell’arretratezza culturale e

dell’avversione verso i cambiamenti organizzativi che le caratterizzano, tendono a percepire

maggiormente gli svantaggi che i vantaggi connessi alla quotazione; pertanto preferiscono

Page 107: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

107

conservare lo status di private company, o in alternativa accedono alle contrattazioni soltanto

per rispondere a iniziative dei competitors, o in ogni caso senza un’adeguata pianificazione

della listing strategy, vedendosi costrette ad uscire dopo poco tempo dal listino. Con specifico

riferimento al mercato italiano, emerge come molte imprese siano caratterizzate da ridotte

dimensioni in termini di assets ed equity, e da una proprietà altamente concentrata nelle mani

della famiglia fondatrice; ciò ostacola la loro quotazione. Queste small caps a conduzione

familiare, che hanno giocato un ruolo chiave nel grande sviluppo registrato dall’economia

nazionale negli anni ‘70 e ’80, mostrano oggi rilevanti inefficienze, carenze di flessibilità e di

capacità innovativa e pertanto notevoli esigenze ristrutturali; questi fattori si riflettono in

performance nel mercato regolamentato assai scadenti, contribuendo a determinare un

crescente numero di delistings dal listino di Piazza Affari.

La crisi economico - finanziaria ha inoltre fatto emerge alcune inefficienze e problemi di

carattere strutturale che caratterizzano i mercati regolamentati dell’Europa continentale, e che

impediscono di creare le condizioni ottimali per permettere alle società quotate un soggiorno

profittevole e duraturo nel listino. L’elevata volatilità dei prezzi azionari ha invece

determinato un crollo della fiducia degli investitori e pertanto un netto calo dei trade volumes

all’interno dei mercati, con conseguente deterioramento del loro stato di liquidità.

Nel presente lavoro è emerso come le motivazioni ricorrenti alla base di un delisting possano

essere le più svariate, e cambino notevolmente a seconda che la revoca dalle contrattazioni sia

volontaria o meno. Ecco che, qualora ci si trovi dinanzi alla finalità più o meno esplicita della

società di uscire dal mercato, le determinanti del delisting possono, tra le tante, essere la

necessità di acquisire una flessibilità gestionale e strategica tale per poter implementare un

qualche programma di ristrutturazione organizzativa, il raggiungimento degli obbiettivi

prefissati dalla strategia di quotazione o viceversa il suo fallimento, un trade off tra i costi e i

benefici di quotazione ritenuto non soddisfacente, o ancora la realizzazione di un’operazione

di OPA o di Fusione. Queste driving forces della revoca da un listino sono più frequenti nei

mercati dell’Europa continentale, dove prevalgono nettamente le operazioni di delisting

volontario. Il fenomeno del delisting involontario invece assume particolare rilevanza nei

mercati anglosassoni, e specialmente in quelli statunitensi nei quali con l’introduzione del

Sarbanes Oxley Act nel 2003 sono stati stabiliti standard di quotazione estremamente rigidi

rendendo sempre più difficile ed oneroso soggiornare in essi. Anche le motivazioni

potenzialmente in grado di far sorgere una decisione di revoca dello Stock Exchange

presentano un elevato livello di eterogeneità; nello specifico, si può assistere ad un delisting

involontario a causa del mancato rispetto da parte della società di un qualche standard di

quotazione, o dell’adozione da parte della stessa di un comportamento considerato scorretto e

Page 108: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

108

dannoso per il pubblico presente nel mercato, o nel caso di suo fallimento, e più

semplicemente ogniqualvolta lo Stock Exchange ritenga che non ci siano più le condizioni

perché la società possa conservare lo status di public company.

Un’altra importante differenza emersa tra i delisting di stampo anglosassone e quelli di tipo

continentale riguarda la diversa operazione di going private che tende solitamente a

determinare il delisting, più o meno espressamente ricercato, di una società quotata. Nei

mercati USA e UK spesso un’operazione di public to private assume la forma di LBO, mentre

nei mercati dell’Europa continentale più ricorrente è il BOSO; come evidenziato nel secondo

capitolo della trattazione queste due diverse tipologie di OPA sono figlie di due differenti

culture d’impresa, e si contraddistinguono tra le tante cose per i differenti soggetti che le

promuovono, per la struttura dell’operazione, per le finalità perseguite e per le conseguenze

generate sulla struttura proprietaria e sulla corporate governance della società.

Dall’indagine condotta su quei fattori considerati critici per il successo di una strategia di

quotazione e pertanto potenzialmente in grado di allontanare dalla società il pericolo di

incorrere in un eventuale delisting, emerge innanzitutto la capacità della stessa di attirare sin

dal suo ingresso nel mercato l’attenzione di analisti ed investitori in modo da garantire

stabilmente elevati trade volumes sul proprio titolo, condizione fondamentale per realizzare i

listing benefits. Da qui la tendenza diffusa del management delle società quotate di attuare una

manipolazione degli utili di bilancio, i quali avendo una forte valenza informativa circa le

performance economico – finanziarie dell’impresa producono significativi effetti sul prezzo di

mercato del titolo della stessa; questa pratica, ricorrente soprattutto in sede di IPO è da

ritenersi totalmente inopportuna, oltre che illegale, poiché generalmente l’asimmetria

informativa tra insiders e outsiders si affievolisce con il passare del tempo e il mercato tende

così a scoprire la reale situazione economico – finanziaria dell’impresa, e a punire il suo

comportamento scorretto inducendola nei casi più gravi ad abbandonare le contrattazioni.

Dagli studi considerati è emerso come molto importante sia per la società quotanda

presentarsi al mercato con dei buoni fundamentals, segnali di un quantomeno accettabile stato

di salute economico – finanziario, per poter aspirare ad una quotazione profittevole e duratura.

Altri importanti fattori critici per una quotazione di successo sono da ritenersi la size

dell’impresa, misurabile con il valore degli assets e dell’equity, il suo grado di commitment

nel mercato evidenziato dall’entità dei capital risings effettuati successivamente all’IPO, e il

suo livello di prestigio e notorietà.

La mancata realizzazione di una o più delle sopra evidenziate condizioni può compromettere

la permanenza nel listino della società, determinandone il delisting, un evento che produce

effetti assai negativi per la società, per i suoi azionisti e per il mercato stesso. È infatti emerso

Page 109: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

109

chiaramente come a seguito della revoca dalle negoziazioni, la società assista ad una drastica

riduzione del valore del proprio titolo e perciò dell’Entreprise Value, accompagnata da un

significativo peggioramento del proprio stato di liquidità e più in generale dalla perdita di tutti

i listing benefits. Il mercato, d’altra parte, assiste ad una riduzione della market capitalization

e del trade volume complessivo, e nel caso in cui la società delistata fosse caratterizzata da un

particolare livello di notorietà, anche a rilevanti perdite in termini di prestigio e attrattività.

Pertanto, anche se parte minoritaria della dottrina tende ad evidenziare gli effetti positivi

connessi al fenomeno del delisting, considerandolo una sorta di processo periodico di pulizia

dei mercati azionari necessario per eliminare le low quality companies potenzialmente in

grado di minare l’efficienza e la competitività dei mercati, e la soluzione ottimale per quelle

imprese che presentano performance altamente peggiorative, pare opportuno in sede di

conclusione ritenere in ogni caso quest’ultimo una minaccia da allontanare piuttosto che un

evento favorevole da ricercare.

Dall’analisi dei regimi legali disciplinanti il delisting in tre diversi contesti economici, politici

e culturali, oltre ai problemi peculiari caratterizzanti ciascuna normativa considerata, è emersa

l’esigenza generale di semplificare le complesse ed onerose procedure che una società in

procinto di abbandonare un mercato regolamentato deve seguire per poter realizzare

effettivamente il delisting e liberarsi dai vari obblighi connessi allo status di società quotata.

Un altro prioritario intervento dovrebbe essere realizzato con l’obbiettivo di ridurre

l’eccessiva discrezionalità concessa agli Stock Exchanges nell’assumere un provvedimento di

revoca; emergono infatti abitualmente degli utilizzi inadeguati di questo elevato decision

making power, comportando un trattamento non egalitario delle società soggiornanti nei

listini.

Al fine di contrastare la crescita sempre più preoccupante del fenomeno del delisting, i vari

mercati regolamentati mondiali, seppur in quelli più sviluppati si sia registrata già

un’inversione di tendenza in tal senso, dovrebbero realizzare una più accurata selezione

durante i processi di IPO delle società che richiedono l’ammissione alle contrattazioni.

Sarebbe infatti opportuno riservare l’ingresso nel mercato soltanto a quelle imprese che

presentano delle reali e significative potenzialità per soggiornare con successo nel listino,

scartando sin da subito le cd. low quality companies. D’altra parte, le stesse società

dovrebbero realizzare una più accurata pianificazione della propria strategia di quotazione,

valutando l’effettiva esistenza della necessità e della convenienza di accedere ad un mercato

regolamentato, non preoccupandosi soltanto del successo dell’IPO ma identificando le azioni

e i cambiamenti da attuare per poter ambire ad una quotazione di successo nel medio lungo

termine, profittevole sia per le stesse che per il mercato.

Page 110: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

110

Il lavoro in esame offre anche interessanti elementi di discussione che, considerata la sempre

maggiore diffusione del fenomeno del delisting, necessitano pertanto di essere approfonditi

con ulteriori studi e ricerche sul tema, soprattutto in ambito europeo. Innanzitutto, sarebbe

opportuno identificare quali interventi realizzare nella normativa comunitaria per garantire

una maggior tutela degli azionisti di minoranza nelle operazioni di going private e per

disciplinare con maggior efficacia i complessi processi di delisting. Notevole attenzione

meritano anche i cambiamenti di carattere strutturale che molti listini del Vecchio Continente

dovrebbero adottare per essere in grado di supportare maggiormente le società quotate durante

il loro soggiorno nel mercato e per ripristinare la fiducia degli investitori; in particolare

occorrerebbe soffermarsi sugli interventi da implementare per rendere più agevole la

quotazione delle small caps, molto diffuse nei mercati europei ma che spesso presentano un

elevato rischio di delisting sin dal momento del loro ingresso nel listino.

Page 111: IL DELISTING DELLE SOCIETÀ QUOTATE

111

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