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Il disimpegno morale in politica

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Il Disimpegno Morale nella politica: I Meccanismi Psicologici di Autoassoluzione

Dott.ssa Alessandra Parroni, Psicologa Psicoterapeuta Abstract Relazione al Convegno “Psicologia e Politica”, Rimini 2012

Il termine “disimpegno morale” si riferisce alle funzioni psicologiche e socio-cognitive che consentono di conciliare la consapevolezza etica con un comportamento che contraddice nettamente i princìpi professati.Si tratta di meccanismi difensivi atti a rendere “egosintonica” la scissione fra il proprio giudizio morale/etico e la condotta effettiva. In tal modo è possibile accedere ad azioni riprovevoli senza che ad esse si associno sensazioni di colpa o di vergogna.Il disimpegno morale, confortato e sostenuto da argomentazioni interne ed esterne giustificative e autoreferenziali, permette a molti politici presenti sulla scena italiana attuale di venire meno alle norme, ai valori e ai patti che abitualmente regolano le democrazie rappresentative, senza avvertire alcun disagio e/o cadute nella percezione della propria integrità psichica.Lo psicologo americano Albert Bandura, in una ricerca (1986) nell’ambito della teoria sociale cognitiva (ripresa successivamente in Italia da Caprara e da Bonino), evidenziò il ruolo che svolgono i meccanismi di “neutralizzazione” e “disattivazione” della coscienza morale ed etica nelle condotte aggressive e violente. Silvia Bonino (2004) giunse alle medesime conclusioni in relazione alle sevizie messe in atto dai soldati americani ai danni dei prigionieri iracheni durante la “Guerra del Golfo”.Il meccanismo difensivo di “isolamento” dei contenuti interni disturbanti o dissonanti dall’”Ideale dell’Io”, in associazione con quelli di “diffusione della responsabilità” (si può contravvenire una norma o un valore in un determinato contesto “perchè tanto lo fanno tutti”) e dell’”etichettamento eufemistico” (il comportamento in oggetto è razionalizzato come mezzo ingiusto ma necessario a raggiungere mete e obiettivi giusti - “machiavellismo”), quando vi sia la sottointesa complicità delle istituzioni e degli ordinamenti, possono addirittura “trasformare in torturatori alcuni più o meno scialbi personaggi” (Caprara 2005).L’attuale teoria psico-socio-cognitiva identifica otto meccanismi di disimpegno morale, in una concezione dello sviluppo e del funzionamento della personalità come socialmente situata. Ciò significa che la soggettività umana, sia pure con ampi gradi di libertà, si definisce comunque all’interno di un universo simbolico condiviso e storicizzato, costituito di eventi, relazioni e significati socialmente attribuiti (Interazionismo Simbolico).

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La scissione fra concezione etica e agire concreto non è perciò riconducibile, in linea di massima, a patologie o problematiche psicologiche individuali (ad esempio compensazioni di sentimenti di inferiorità, personalità narcisistica, scarso sviluppo o blocco nella capacità empatica, ecc.), ma agli stili cognitivi, ovvero modi di pensare, socialmente condivisi e incoraggiati. L’”Io Ideale” può dunque agevolmente rappresentarsi “al di là del bene e del male”, nell’equivoco di un’errata interpretazione nietzschiana dell’”Oltreuomo”, generando spesso, questa volta sì, la grande patologia del “Delirio di Onnipotenza”. Del resto, acquisizione e gestione del Potere di frequente si associano a sensazioni di ebrezza e difficoltà nel controllo. La “tentazione del Male” , quando implichi un accrescimento del potere, è sempre in agguato.Esercizi banali di “disattivazione selettiva” della coscienza etica sono visibili a tutti nella regolazione di condotte quotidiane spesso poco appariscenti (come non rispettare le code negli uffici pubblici o non fermarsi a soccorrere una persona in difficoltà), ma che richiedono comunque un abbassamento o un oscuramento dei più comuni princìpi di correttezza e solidarietà sociale.La motivazione principale di tali trasgressioni è naturalmente costituita dal tornaconto personale: nelle attività lavorative, nelle transazioni economiche, nei rapporti con gli altri e con le istituzioni.Anche il rapido dissolversi dell’indignazione collettiva che segue alle rivelazioni mediatiche delle connivenze fra politici e malavita organizzata, è determinato dall’assoluzione identificativa (“chi è senza peccato scagli la prima pietra”) , colludendo e avallando il perpetuarsi di corruzione, concussione e sperpero del bene comune.Tali comportamenti e modalità di pensiero minano alla base la tenuta dei valori e delle norme che improntano la convivenza civile e sono a fondamento delle democrazie moderne.La democrazia infatti non corrisponde nel senso comune soltanto a una forma di governo, ma anche e soprattutto a uno stile di convivenza e cittadinanza, in cui il rispetto dei diritti individuali, il perseguimento del bene comune , i legami di solidarietà sociale e la fiducia nelle istituzioni sono determinanti.In questo momento storico i vari indici sociali ci informano del venir meno della fiducia verso le istituzioni, della partecipazione e dell’impegno civile, ma la politica e i suoi rappresentanti appaiono sordi a ogni allarme e sempre più mettono in atto comportamenti in palese contrasto con le pregresse dichiarazioni di intenti, che si declinano in modo diffuso nelle cifre della furbizia, dello scambio di favori clientelari, della connivenza più che della convivenza civile.

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Le argomentazioni addotte, retoriche e “circolari”, consentono neutralizzazioni, distorsioni, giustificazioni che conducono alla derubricazione morale delle violazioni commesse e alla recidiva delle condotte, anche quando pubblicamente condannate dai medesimi attori che ne sono stati artefici.Dagli eventi politici attuali siamo purtroppo tutti invitati a riflettere sul grado in cui la ricerca dell’interesse personale, che ha configurato l’immagine dell’agente politico ed economico della tradizione democratica liberale, sia oggi incompatibile con la promozione dei valori di giustizia e libertà che ne sono gli ispiratori. La ricerca di successo, potere e autoaffermazione tende infatti ad associarsi a una particolare inclinazione alla ricerca dell’utile personale anche se in conflitto con le norme, gli obblighi e i valori della convivenza civile.Certamente la Psicologia Politica come disciplina autonoma non esiste, ma la psicologia può senz’altro aiutare a comprendere meglio l’agire politico. Parlando del disimpegno morale il ricorso al costrutto del “disturbo di personalità machiavellica” è senz’altro il più facile e scontato. Già Tolstoj aveva descritto in Aleksej Alesandrovic Karenin un personaggio paranoico che godeva la fama di eccellente politico nell’amministrazione della Prussia zarista, isolata da ogni realtà. E’ corretto dunque affermare che spesso le patologie individuali nascono e si sviluppano in seno a quelle sociali. Se l’uomo machiavellico, con le sue strategie ciniche di manipolazione degli altri, l’indifferenza verso le regole convenzionali di moralità e l’attitudine alla menzogna credibile, ovvero logicamente coerente, è valorizzato e preso a modello piuttosto che essere considerato un “borderline” socialmente pericoloso, occorre forse allora “curare” la comunità che accoglie tale archetipo.