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COMUNE DI ALBENGA Università di Genova Facoltà di Scienze della Formazione
(SEDE CAPOFILA COMITATO
DEI SINDACI DI DISTRETTO)
Il lavoro nella comunità di Ortovero:un percorso di prevenzione territoriale
Report conclusivo
31 marzo 2008
Équipe di progetto
Mara Manetti Referente Scientifico del Progetto
Rachele Donini Responsabile del Progetto
Maurizio Panza Psicologo consulente
Anna Zunino Psicologo consulente
DIPARTIMENTO PER LE DIPENDENZE U.O. SER.T
Direttore: Francesca Romani Via S. Lucia 11/1 – 17100 SAVONA Tel. 019 811251 - Fax 019 8405930
e-mail: [email protected]
Sommario
1. Riferimenti teorici……………………………………………………………………..... 3
1.1. Il concetto di comunità……………………………………………………...……… 3
1.2. Il contesto del progetto di prevenzione………………………………………..…… 5
2. Gli obiettivi del progetto………………………………………………………………... 6
2.1. Le modalità di realizzazione…………………………………… ……………..….. 6
3. Il lavoro di comunità nel territorio di Ortovero…………………………………………. 8
3.1. Realtà coinvolte………………………………………………………………….…. 8
4. La comunità di Ortovero: i nodi fondamentali………………………………………….. 9
4.1. La Comunità……………………………………………………………………….. 9
4.2. I valori……………………………………………………………………….……. 11
4.3. Il ruolo delle Istituzioni…………………………………………………………… 15
4.4. La scuola………………………………………………………………………….. 19
4.5. La famiglia……………………………………………………………………...… 20
4.6. Adolescenti e giovani…………………………………………………………...… 23
4.7. Le dipendenze………………………………………………………………...…… 25
4.8. L’immigrazione…………………………………………………………………… 27
5. Cenni conclusivi………………………………………………………………..……… 30
Appendice
1. RIFERIMENTI TEORICI
“Se mai può esistere una comunità
nel mondo degli individui,
può essere soltanto una comunità intessuta
di comune e reciproco interesse”
(Z. Bauman)
La riflessione sviluppata in questi anni all’interno del Dipartimento per le Dipendenze
dell’ASL2 Savonese relativamente alle modalità di risposta ai problemi della dipendenza
ha messo in risalto l’importanza, per gli obiettivi di cura e prevenzione, di allargare il
campo di intervento inserendo, accanto all’approccio centrato sul singolo individuo, una
prospettiva che coinvolge la comunità territoriale. I motivi di questa scelta sono legati al
riconoscimento dell’importanza delle risorse presenti all’interno di ciascuna comunità,
nella consapevolezza che la valorizzazione delle potenzialità insite in essa costituisca
utile risorsa per la soluzione dei problemi che si generano al suo interno.
1.1 IL CONCETTO DI COMUNITA’
Per comunità possiamo intendere “un insieme di soggetti che condividono aspetti
significativi della propria esistenza e che, per questa ragione, sono in un rapporto di
interdipendenza, possono sviluppare un senso di appartenenza e possono intrattenere tra
loro relazioni fiduciarie” (Martini e Torti, 2003). Tra i membri della comunità si possono
così instaurare legami affettivi, la cui intensità può essere determinata dal numero e dalla
significatività degli aspetti condivisi (p.e. il territorio, la storia, la cultura, i valori, i
bisogni, i problemi, etc.).
Esiste una differenza tra “essere” comunità e “sentirsi” comunità: nel primo caso un
insieme di persone può essere definito come tale per il fatto di condividere un qualche
aspetto della propria vita, mentre nella seconda accezione le persone in situazione di
condivisione e interdipendenza si sentono comunità, proprio perché hanno sviluppato un
senso di reciproca appartenenza (Martini e Sequi, 1988). L’obiettivo di un intervento che
abbia a cuore le sorti di una comunità locale dovrebbe allora essere quello di agevolare
la creazione e lo sviluppo del senso di comunità, inteso come quel sentimento che fa sì
che una persona si senta parte di un insieme significativo, “un sentimento che i membri
hanno di appartenere e di essere importanti gli uni per gli altri e per il gruppo, e una
fiducia condivisa che i bisogni dei membri saranno soddisfatti dal loro impegno di essere
insieme” (McMillan, 1976).
A livello politico, economico e delle scienze sociali si sta assistendo all’emergere di un
crescente interesse per il concetto di comunità e per l’utilità possibile che esso
rappresenta nel settore delle politiche sociali ed economiche, per cui può fornire criteri
di orientamento e di azione. E’ ormai riconosciuta l’importanza, nei processi decisionali
a livello politico, dei temi della partecipazione e della collaborazione da parte della
società civile e dell’opinione pubblica.
Il processo di modernizzazione richiede, per contrastare i rischi di isolamento
individuale e di frammentazione sociale ad esso connessi, di ritrovare il senso e di
ricostruire quei legami sociali e sviluppare quelle risorse che possono facilitare la
coesione fra individui e, in ultima istanza, la governabilità (Bauman, 1999).
Data la complessità sociale della società contemporanea, la governance, intesa come
“l’insieme coordinato delle azioni di differenti attori sociali, necessarie a garantire il
governo di un sistema e non solo la sua amministrazione” (Commission on Global
Governance, ONU), è resa possibile solo dalla presenza di processi di partecipazione e
di collaborazione da parte di una molteplicità di soggetti della comunità locale. In questo
scenario, il Comune può ritagliare per sé il ruolo di regia del sistema, ma non può
ignorare il peso determinato dai cittadini negli orientamenti e nelle scelte che riguardano
la comunità. Il richiamo è quindi a una dimensione etico/politica in cui il riferimento è a
un sistema di valori e di significati che pongono la comunità e i suoi membri al centro
dell’attenzione delle scelte politiche.
La possibilità di esercitare una cittadinanza attiva permette alle persone di recuperare
quel senso di responsabilità sociale fondamentale per garantire coesione e solidarietà
sociale (Braibanti e Zunino, 2005). La finalità è allora quella di uno sviluppo della
comunità locale, in cui le risorse/competenze siano messe a disposizione per la soluzione
dei problemi che nella comunità si manifestano.
In quest’ottica, non assumono prioritaria importanza modelli, strategie o tecniche
particolari che gli “esperti” possono applicare alla comunità, quanto piuttosto la
valorizzazione di un sapere non professionale - ma più competente rispetto a temi,
problemi e bisogni della comunità locale - che solo i suoi membri possiedono. Queste
conoscenze e competenze possono intrecciarsi con l’expertise degli operatori e solo
attraverso questo connubio si può dare avvio ad azioni e interventi utili alla comunità
locale.
Le strategie di coinvolgimento della comunità locale rispondono alle esigenze di
cambiamento nella politica di welfare, cui concorrono sia il taglio alle spese sia la
consapevolezza dello Stato di non riuscire a rispondere direttamente alla complessità
delle esigenze dei cittadini (Martini e Torti, 2003). Da qui il collegamento con i temi
della prevenzione del disagio e delle dipendenze: non è più possibile, ma soprattutto non
è efficace, pensare che i problemi della comunità locale possano essere delegati
esclusivamente agli esperti. La scarsità delle risorse, ma ancor più la consapevolezza che
nessuno più dei membri di una comunità territoriale ne conosce in profondità bisogni e
risorse, rende necessaria un’integrazione tra le istituzioni pubbliche, gli operatori dei
Servizi e i cittadini. La collaborazione tra questi soggetti rende possibile la progettazione
di azioni che rispondano agli effettivi bisogni di ogni specifica comunità mettendo in
campo le risorse di cui ciascuno è portatore ed esperto.
Le strategie messe in atto dal lavoro di comunità hanno quindi come obiettivo
l’empowerment della comunità territoriale: attraverso la valorizzazione delle risorse
esistenti e l’accrescimento delle competenze può essere migliorata la qualità di vita dei
singoli e dell’intera comunità (Orford, 1995).
Il lavoro di comunità sviluppa percorsi per affrontare i problemi attraverso strategie di
facilitazione dei processi di responsabilizzazione collettiva: attivare e sostenere la
partecipazione dei soggetti, sviluppare relazioni che rinforzino il senso di appartenenza,
agevolare l’aumento delle risorse e delle competenze dei membri della comunità, creare
reti di collegamento tra soggetti, sono alcune delle strategie che possono potenziare la
capacità della comunità locale di affrontare efficacemente i problemi che nascono al suo
interno.
Inutile aggiungere che i tempi necessari al passaggio da una prospettiva delegante e
assistenzialista a un’ottica di autonomia e responsabilizzazione non possono essere
brevi. Per partecipare le persone devono avere il tempo di conoscersi, incontrarsi,
comunicare, condividere e confrontare idee ed esigenze, pensare insieme a strategie per
affrontare e risolvere i problemi e, infine, realizzare azioni. Costruire e rinforzare
relazioni consente di avere una visione multiprospettica dei problemi, aumenta le risorse
disponibili e apre alla possibilità di azioni di mutualità e di solidarietà. Ma tutto questo
richiede di superare le diffidenze, di investire energie, di mettersi in gioco e ha bisogno
di tempo. Compito degli attori istituzionali è allora quello di dare tempo, supportando il
processo di partecipazione con le proprie competenze e risorse ma senza sostituirsi ai
veri protagonisti dell’azione comunitaria.
1.2 IL CONTESTO DEL PROGETTO DI PREVENZIONE
Il progetto nato da queste premesse riguarda il territorio della provincia di Savona, con
particolare riferimento ad alcune aree individuate in base alla presenza in esse di
dimensioni di criticità connesse a significative modificazioni del tessuto sociale (dovute
a cambiamenti di tipo economico-produttivo) e/o alla presenza sul territorio di una fascia
significativa di popolazione a rischio di dipendenza o di soggetti già segnalati per uso di
sostanze.
Nell’ottica di una continuità e di una capitalizzazione delle esperienze e dei progetti già
attuati dal Dipartimento per le Dipendenze, la scelta è stata quella di implementare il
progetto in aree in cui azioni precedenti avevano evidenziato la presenza di nuovi
bisogni e criticità relativi all’area delle dipendenze. Il progetto si è quindi rivolto
inizialmente a tre aree territoriali, individuate in base ai criteri sopra enunciati, e che
corrispondono ai Comuni di Cengio, Toirano e Varazze.
In una fase successiva, il Distretto Socio-Sanitario n.4 Albenganese, cogliendo le
potenzialità del Progetto, lo ha proposto, facendosi carico del finanziamento necessario
alla sua implementazione, alla Conferenza dei Sindaci della Zona. Da qui la scelta dei
due ulteriori Comuni coinvolti nella realizzazione del Progetto: Alassio e Ortovero.
Questa seconda fase progettuale ha previsto, a rafforzare l’azione dei soggetti promotori,
la collaborazione della Cattedra di Psicologia di Comunità – Facoltà di Scienze della
Formazione – Università di Genova, nella persona della Prof.ssa Mara Manetti, il cui
compito è stato quello di analizzare ed elaborare i dati raccolti nell’iter progettuale.
2. GLI OBIETTIVI DEL PROGETTO
La finalità dell’intervento è quella di promuovere processi di empowerment
(potenziamento) della comunità, in modo tale che questa possa riconoscere le proprie
risorse ed essere protagonista del proprio sviluppo, così da contrastare fenomeni di
disagio e dipendenza in particolar modo nella popolazione giovanile, la più esposta, per
caratteristiche evolutive e sociali, ai meccanismi di consumo e allo sviluppo di
dipendenze.
Questa finalità viene declinata nei seguenti obiettivi specifici:
esplorazione dei bisogni specifici di ciascuna comunità coinvolta;
individuazione delle risorse presenti nella comunità;
progettazione e implementazione di interventi utili ad affrontare le
situazioni di disagio evidenziate;
creazione di una rete per la condivisione delle esperienze realizzate in
ciascun territorio.
modificazione della cultura dell’intervento sociale: da operatore ad
attivatore di processi sociali.
In base alle premesse proprie dell’approccio di comunità, scelto come metodo di lavoro,
si ritiene che la ricaduta dell’intervento possa essere appannaggio dell’intera
popolazione residente nei territori coinvolti, che dovrebbe potenziare la propria capacità
di riconoscere e mettere in campo le risorse utili ad affrontare e risolvere le situazioni di
disagio che si creano all’interno della comunità. Per questi motivi è previsto il
coinvolgimento sia della popolazione sia delle istituzioni locali pubbliche e private, la
cui collaborazione è fondamentale per l’individuazione dei bisogni e delle peculiarità del
territorio, fondamentali per la progettazione e l’implementazione di azioni preventive.
2.1. LE MODALITA’ DI REALIZZAZIONE
La realizzazione del progetto avviene attraverso una metodologia che implica il
coinvolgimento diretto della popolazione tramite incontri focalizzati sul tema specifico
dei bisogni e delle risorse presenti nella comunità (focus group), dalle cui specificità
possono nascere interventi e azioni mirati a prevenire e contrastare la diffusione del
fenomeno delle dipendenze.
La metodologia prevede inoltre l’utilizzazione dello strumento dello “Scenario
Planning”, il cui obiettivo è l’individuazione di situazioni diversificate e significative
presenti in un determinato contesto e, a partire da queste, la previsione di esiti futuri.
Ogni evento significativo e/o problematico a livello di contesti relazionali, familiari, di
gruppo o di comunità sollecita e promuove una forte risposta di cambiamento. La
pianificazione di uno scenario è legata quindi all’abilità di considerare alcune condizioni
significative del presente pensando ai limiti e alle opportunità che esse producono e ai
molti futuri su cui le stesse potranno influire. I mutamenti socio-culturali in atto
richiedono da parte dei politici e delle figure significative della comunità la capacità di
affrontare le trasformazioni e per questo motivo il Progetto prevede un loro diretto
coinvolgimento.
In tale percorso, il ruolo del Dipartimento per le Dipendenze è quello di facilitare le
interazioni tra tutte le realtà del pubblico e del privato presenti sul territorio e di
sostenere l’intero processo di attivazione delle comunità coinvolte.
Un ulteriore obiettivo è quello di raccogliere e mettere a disposizione informazioni ed
esperienze realizzate dalle comunità coinvolte (anche attraverso l’utilizzazione di un sito
web preposto).
3. IL LAVORO DI COMUNITA’ NEL TERRITORIO DI ORTOVERO
L’approccio del lavoro di comunità comporta la scelta di non entrare in un territorio
proponendo un pacchetto di interventi preconfezionati, ma prevede invece di entrarvi “in
punta di piedi”, riconoscendo agli abitanti il ruolo di esperti del proprio territorio e
quindi più competenti degli “esperti esterni” rispetto alle esigenze della comunità. La
scelta di questa metodologia implica necessariamente tempi di intervento più lunghi per
la progettazione di interventi e attività, in quanto sono gli stessi membri della comunità a
dover proporre e implementare le azioni preventive. Anche se non raramente questa
“lentezza” viene letta come una difficoltà dell’intervento, è opportuno invitare i soggetti
a sospendere l’azione per dare spazio a un processo di pensiero che permetta l’emergere
delle criticità e consenta loro di riconoscere e definire bisogni e risorse del territorio. Le
occasioni di incontro e di confronto aprono alla possibilità di mettere insieme le forze
presenti nel territorio per creare sinergie che contrastino l’individualismo e mettano a
disposizione della comunità nuove risorse per la prevenzione.
3.1 REALTÀ COINVOLTE
Il progetto è stato presentato al Comune di Ortovero nel 2006 e nella sua realizzazione
ha coinvolto le seguenti realtà del territorio ortoverese:
Amministrazione comunale;
Associazione Pro Loco;
Cantoria;
Ciclistica;
Comitato Frate Ave Maria;
Comitato S. Giovanni;
Cooperativa Viticoltori Ingauni;
Parrocchia;
Scuola Primaria;
U.S. Pogli.
Sono state inoltre coinvolte alcune persone che, a vario titolo e per il loro ruolo (medici,
Carabinieri), costituiscono figure significative e di riferimento per la comunità.
4. LA COMUNITA’ DI ORTOVERO: I NODI FONDAMENTALI
I contenuti delle interviste effettuate ai testimoni “chiave” della Comunità sono stati
analizzati attraverso il software Qsr NUD*IST (versione 4.0), secondo il modello della
Grounded Theory (Glaser e Strauss, 1967). I contenuti sono stati così codificati in una
serie di nodi concettuali. Il confronto e l’identificazione di legami fra le categorie emerse
ha permesso l’identificazione di alcuni nuclei tematici, di seguito presentati (e
rappresentati graficamente nelle tavole allegate in Appendice).
4.1. LA COMUNITA’ (fig.1)
La comunità di Ortovero appare caratterizzata da un forte senso di appartenenza al
luogo.
Le ridotte dimensioni del paese rendono possibile la creazione di legami significativi
tra gli abitanti (“Si è creato un bell'ambiente, c'è una comunità presente”; “La
ricchezza della nostra comunità è che conosci tutti, conosci gli anziani, i bambini… la
ricchezza della comunità è questa”).
Per molti, la scelta di vivere a Ortovero è legata alla possibilità che il paese offre di
trovare quella tranquillità e quelle facilitazioni ormai impensabili in città e che
migliorano la qualità della vita: “La scelta di venire qui è stata anche un fatto
economico, perché allora costava meno. Ha giocato anche il fatto che c'erano le scuole
vicino, la farmacia, le poste.. la comodità, anche per i ragazzi, per muoversi loro”; “Ci
stiamo abituando qui, anche per il traffico, non passa una macchina, quando andiamo
ad Albenga ci sembra di andare in città: se penso che abitavamo a Torino in corso
Vercelli, che c'erano sei corsie sotto! Era comodo per il lavoro, però…”.
Anche se esistono alcuni svantaggi, dovuti alla distanza da alcuni servizi (scuole
superiori, uffici, etc.), la convinzione è quella di aver fatto la scelta migliore.
Il fatto che, per questi motivi, siano stati in molti ad aver scelto Ortovero come luogo di
residenza ha comportato un significativo ingrandimento del paese e un sostanziale
cambiamento a livello demografico. Questo, se da un lato è da considerarsi come un
aspetto potenzialmente positivo perché offre nuove risorse al paese, dall’altro può
diventare, se non governato, elemento di instabilità: “Ortovero è passato da ottocento
abitanti a quasi millequattrocento nel giro di quattro anni, di pochissimo tempo, e
questo ha fatto sì che la comunità territoriale si sia ingrandita e arricchita ma
naturalmente questo comporta delle trasformazioni”; “Quando siamo arrivati noi mi
ricordo che il sindaco aveva detto "Eh, fra un po' siamo a mille!"…400 in più negli
ultimi 4 anni”.
Il processo di integrazione dei nuovi residenti (“foresti”) non è immediato, anche a
causa delle caratteristiche di “chiusura” dell’ortoverese (“Sono tutte persone bravissime,
è che hanno un carattere un po' così…sono molto chiuse, abituate alla fatica, mentalità
contadina, poi il mugugno è un discorso , il cooperare un altro”). Tuttavia, “La maggior
parte delle persone che sono venute ad abitare a Ortovero si sono trovate bene e hanno
portato le loro capacità: questo ha fatto sì che ci sia stata una buona integrazione”,
anche perché “tanta gente venuta da fuori si è inserita nelle manifestazioni a Ortovero,
e aiutano, partecipano all’organizzazione delle sagre…”.
Il livello di partecipazione alla vita della comunità è elevato. Le festività religiose,
così come le sagre o le iniziative sportive, rappresentano momenti di incontro e
occasioni di coesione sociale (“La cosa che mi ha meravigliato, rispetto alla cantoria, è
che è gente che ha voglia di andare a far le prove per cantare in chiesa, vanno in giro
per tutta la provincia, è un impegno molto sentito. Secondo me è sentito anche al di
fuori dell'aspetto religioso, è proprio sentita come istituzione”; “Gli altri sono coinvolti
soprattutto attraverso la sagra, viene coinvolta tantissima gente, perché si comincia una
settimana prima, arrivano le anguille, bisogna prepararle, fare i ravioli.. allora viene
coinvolta tanta gente”).
Gli ortoveresi si preoccupano di quanto accade sul loro territorio e la collaborazione si
configura come un valore vincente: “Qui s'interessano, se c'è un movimento, qualcosa di
strano, tutti a loro modo cercano di collaborare per risolverlo; magari parlandone con
il Presidente della Pro Loco, col prete, col sindaco, un colpetto lo dà uno, un colpetto lo
dà un altro, le cose fino adesso bene o male si sono sempre risolte”.
Gli intervistati sottolineano come esista nel tessuto sociale una disponibilità a mettere le
risorse a disposizione della collettività (“Tramite gente del paese hanno dato il terreno,
erano 6 o 7 padroni, hanno detto: noi diamo il terreno al paese, però deve venirci il
campo sportivo per i ragazzi”) e la presenza di alcune persone riconosciute come leader
che si spendono gratuitamente per la comunità (“Sono pochi che fanno tanto”) viene
considerata come punto di forza che garantisce il successo degli eventi organizzati.
Come afferma un intervistato: “La comunità è pronta, è ricettiva, qualsiasi cosa si cerca
di darle corso, si cerca di svilupparla, a volte meglio, a volte peggio, comunque si cerca
di metterla in cantiere…”.
Il paese appare sostanzialmente tranquillo e si presenta come immune da quelle inciviltà
urbane che in altri contesti minano il senso di sicurezza dei cittadini. Vengono infatti
riferiti come eccezionali alcuni piccoli episodi di vandalismo riconducibili a un gruppo
di ragazzi del paese e interpretati come “bravate da adolescenti”: “Ci sono stati episodi
di vandalismo, piccole cose che sono da controllare”; “Non è che abbiano fatto cose...
qualche lampione rotto, qualche scritta con lo spray, qualche sciocchezza di questo
genere, qualche piccolo danno all'idrante che c'era fuori dal teatro, qualche disturbo
con questi motorini avanti e indietro…”; “Sono rimasto un po' perplesso quando si è
parlato di strani movimenti a scuola o vicino alla scuola. Io a dir la verità ho visto solo
qualche bulletto che si viene a esibire col motorino, che fa impennate, che viene ad
aspettare qualche ragazzina più graziosa, ma a dir la verità io di facce strane, di giri
sospetti non ne ho mai visti”.
La comunità è intervenuta cercando di ridimensionare il problema: “Questi ragazzi
cominciavano con le motorette, davano fastidio; i ragazzi giustamente non ci pensano,
ma se tu dalle 4 del pomeriggio sei lì con la motoretta, quell'altro con lo stereo a 100
decibel, non puoi fare lezione. Allora esci e glielo dici; certo, se vai lì e dici "Basta, sei
un criminale, un assassino, chiamo i tuoi genitori !"… o se dici invece "Giovanni,
guarda, devo fare scuola, abbi pazienza" allora si spostano”.
Non meno importante risulta il controllo sociale, finalizzato a proteggere la comunità
(“A Ortovero ci sono i genitori che vanno al parco giochi, c'è la signora che ti guarda
dall'alto e ti dice “cosa fai?”; Nei paesi si sa sempre chi viene e chi va”; “D’estate si
facevano i turni di notte per stare alle finestre” e controllare la presenza di eventuali
ladri) e in particolar modo i ragazzi (“C'è stato un periodo, all'inizio dell'anno
scolastico, che giravano macchine - ma non di Ortovero – e c'è stato un giro che
abbiamo un po' guardato, abbiamo preso i numeri di targa…”).
Anche se il controllo non è sempre gradito (“Magari dà un po' fastidio questo controllo,
perché sanno se è arrivato da te qualcuno, se esci, se stanotte sei tornato tardi…”), c’è
il timore che questo “monitoraggio silenzioso” possa venir meno e che quindi questo
lasci spazio a fenomeni di devianza (“A me farebbe piacere, se mio figlio facesse una
stupidata, che qualcuno mi venisse a dire "guarda che ho visto tuo figlio che fa così").
Per i suoi cittadini più giovani la comunità pensa a percorsi di prevenzione (“Abbiamo
cominciato a lavorare sui quindicenni, sui quattordicenni: abbiamo pensato che andarli
a recuperare a vent'anni non era possibile”), dimostrando di essere consapevole dei
rischi legati a processi di marginalizzazione (“Perché poi dalle disperazioni vengono
fuori le reazioni disordinate”).
Il timore è quello che i ragazzi non riconoscano la loro appartenenza al paese e vadano a
cercare risposte altrove: “Io ho paura che prendano la macchina, che ci siano dei centri
di aggregazione al di fuori del paese; temo che diventi sempre più dormitorio, con meno
tessuto sociale. E penso che sia un timore anche degli altri, ecco perché si cerca di
tenere questi giovani: perché se gli affidiamo qualcosa di quel che facciamo noi, può
darsi che si fermino, che si appassionino”. In quest’ottica, uno degli obiettivi prioritari è
quindi quello di coinvolgere i giovani nelle attività promosse dalle associazioni
territoriali e finalizzate allo sviluppo della comunità.
Le previsioni per il futuro di Ortovero sono sostanzialmente fiduciose e ottimiste: “Se si
guarda da qui a dieci anni Ortovero è un paese che offre molte risorse, che sono state
abbandonate anni fa ma che si stanno di nuovo riprendendo e che offrono ai giovani
delle possibilità”; “Non cambierà un granché, anzi, forse.. non è che peggiorerà o
chissà cosa mai potrà capitare. Un po' le cose cambieranno, ma cambia tutto…”;
“Secondo me resterà sempre un paese abbastanza vivibile”.
La speranza è quella di “una comunità che sia attiva anche creando delle occasioni di
tipo formativo, degli incontri, dei momenti in cui uno possa confrontarsi con altri
rispetto a determinate esigenze della collettività”.
4.2. I VALORI (fig.2)
La comunità di Ortovero si è trovata, nell’ultimo periodo, a dover affrontare significativi
cambiamenti dal punto di vista demografico: l’arrivo in paese di un consistente numero
di persone in seguito alla costruzione di nuove abitazioni ha modificato i precedenti
equilibri, rendendo necessaria una riflessione sul come “governare” questa
trasformazione conservando nel contempo l’identità locale: “La crescita in questi
ultimi anni è stata tantissima: abbiamo le scuole piene e abbiamo tanti
bambini…cresceranno in un contesto sereno, integrato”.
L’atteggiamento verso i “foresti” testimonia una sostanziale accettazione del
cambiamento e una disponibilità all’integrazione: “Io non vedo nessuna chiusura: io
sono venuto da fuori e mi hanno chiesto se volevo entrare a far parte
dell’associazione”; “Mi capita di arrivare e cominciano a parlare in italiano, ma non
perché cambiano discorso, ma per rispetto…”, anche se non mancano voci dissonanti
(“E’ difficile integrarsi a Ortovero, perché gli ortoveresi d.o.c. sono molto chiusi; ci
vuole una grande faccia tosta”; “Io ho qui un'amica che è nata ad Andora, non in
Marocco, che però dopo 10 anni era ancora considerata una "foresta", una
forestiera…”).
I “foresti” non sembrano però essere sempre disponibili ad accettare i “riti iniziatici”
per entrare a far parte della comunità: “Squerli, scherzi, in dialetto. Questo crea
ultimamente un po' di attrito, perché i foresti non accettano, alcuni non hanno accettato.
È una tradizione, e chissà quand'è nata: mia moglie e i miei cognati, che sono sopra la
cinquantina, facevano gli squerli quando avevano 14-15 anni”.
In realtà viene sottolineato come l’esito del contatto sia connesso agli atteggiamenti dei
singoli individui: “Dipende molto dalle persone che arrivano. C'è la persona che arriva
da fuori e accetta quello che c'è localmente; invece magari c'è quello che arriva e "oh,
questo non mi piace, questo bisogna farlo così, questo bisogna farlo colà...”.
Emerge la consapevolezza dell’importanza di mantenere e rispettare le tradizioni, per
non lasciarsi travolgere dal cambiamento: “Diciamo che il gruppo dei più anziani è un
po' la mente storica, la conservazione vera delle tradizioni, però non sono propositivi:
tu dici "facciamo questo", allora loro mugugnano un po' ma poi vengono…”; “Ci sono
anche due o tre settantenni cioè la spina dorsale della cucina della Pro-Loco perché
sono le depositarie del segreto dei piatti tipici... non è scritto da nessuna parte questo
menù, però loro sono le depositarie uniche perché non ti dicono quali sono tutti gli
ingredienti… è un po' come la coca cola”; “Noi dobbiamo comunque continuare
nell'intento della conservazione della tradizione: finché ci sarà il nostro gruppo
dirigente, vino piemontese non ce ne sarà, non perché non sia buono, ma siccome siamo
in Liguria i piemontesi bevono il vino nostro”.
Un’attenzione particolare viene attribuita alle persone, soprattutto a coloro che
rappresentano le “radici” storiche e valoriali del paese: “Abbiamo pensato di lavorare
sugli anziani, per dare un messaggio positivo, cioè di non dimenticare la terza età,
proprio perché ci teniamo alle radici, a dire che non dimentichiamo queste persone che
rimangono sole, anche con piccole cose che sono anche sciocche… noi mandiamo gli
auguri di buon compleanno agli anziani perché pensiamo che possa far piacere, e
abbiamo ottenuto attestati di stima incredibili da queste persone che si commuovono e
scrivono lettere che incominciano con "caro presidente io non la conosco ma la
ringrazio”.
Stessa attenzione per le diverse fasi del ciclo di vita: “Gli anziani ci sono, custoditi,
quasi tutti sono in famiglia… in genere l'anziano è tenuto in casa”.
Altrettanto importanti per il mantenimento dell’identità locale risultano le feste religiose
(“E’ un far parte della comunità. Soprattutto nelle grandi feste religiose, con
quest'aspetto un po' folkloristico se vogliamo... poi noi abbiamo da circa 150 anni
questa tradizione della processione dei crocefissi artistici”) e le tradizioni ad esse legate,
che sanciscono l’ingresso e rinforzano il senso di appartenenza alla comunità ortoverese
(“Vi hanno parlato della sera degli squerli? È una tradizione antichissima per cui la
notte di S. Giovanni i ragazzi del paese fanno il giro portando via qualcosa: smontano
la ruota del carretto, si portano via la carriola… e poi il mattino dopo è tradizione che
c'è una processione che arriva fino a Pogli, si cammina per tre ore, facendo la Via
Crucis, e loro nella notte sistemano lungo la strada questi oggetti, per cui la gente che
fa la processione li vede e poi se li va a riprendere”).
Pur non mancando aspetti di “campanile” tra frazioni (“La conflittualità diciamo che
nasce tra queste cose di campanile, che nasce da fattori culturali, i ragazzi di Ortovero
sono diversi da quelli di Pogli, ma è proprio naturale, sono modelli che sono stati
sempre diversi tra loro, però non è che crea un conflitto, crea una competizione… fa
parte di un conflitto che non è un ostilità. Convivono naturalmente, tranquillamente…”),
il senso di appartenenza è forte, tanto che il confronto con altre realtà risulta sostenere
comunque la scelta di vivere a Ortovero: “Io a mia figlia di 14 anni dico "se
t'innamorassi di un milanese, di un torinese, di un savonese?" e lei "Mamma, se non
viene a Pogli, io non mi sposo!”; “Questo posto è benedetto dal Signore, secondo me; io
ho lavorato in diversi posti e questo è veramente un paradiso, checché se ne dica questo
è un paradiso”.
Il legame con il territorio passa anche attraverso le relazioni: “E c'è chi fa la torta verde
e chi fa il dolce, chi porta la bottiglia di vino. Si crea quel momento di aggregazione. La
gente viene a darmi una mano per la messa ed è contenta se si creano queste
aggregazioni spontanee”.
La vita nel paese appare scorrere tranquilla, senza particolari eventi o situazioni che
potrebbero ingenerare senso di insicurezza: “Non c'è gente che ciondola nel paese
ubriaca di alcol o di droga e non ci sono conflittualità tali da dover dire che in questo
paese c’é bisogno del commissariato…c'è invece una situazione serena”.
Valore fondante per l’ortoverese è rappresentato dal lavoro: “L'ortoverese lavora a
qualsiasi ora… qualunque giorno dell'anno… l'agricoltura lo richiede… se devi
raccogliere la frutta e la verdura non è che puoi aspettare”. Se questo da una parte
appare come fattore protettivo del disagio anche per i giovani, dall’altra però può
tradursi in una sorta di alienazione, “il gusto di fare fatica”: “Gli ortoveresi amano il
faticare fine a se stesso. Dei miei carissimi amici, che sono gente che sta benissimo,
vanno dal mattino alla sera a raccogliere i gusti, e i figli gli dicono "Ti rendi conto? Se
invece che fare questo facevi il tuo lavoro guadagnavi otto volte tanto e non facevi tanta
fatica!”.
Il settore su cui prevalentemente si basa l’economia di Ortovero, vale a dire
l'agricoltura, rappresenta una significativa risorsa per il paese, dal punto di vista sia
occupazionale sia del mantenimento dell’identità locale: “Dà la possibilità ai giovani di
fare, qui non c'è bisogno che prendi la laurea per lavorare, qui il lavoro c'è e ce l'hai
davanti, quindi non vedo perché andare a cercarsi una situazione diversa da questa, che
ti permette di mangiare; fare il contadino è un lavoro appagante e se fatto bene
redditizio. In città chiaramente non si può, non c'è niente da coltivare. È’ stata
riscoperta la vigna e si vedono i risultati: la cooperativa vinicola nell'arco di 10-15 anni
è diventata una realtà mica da ridere…”.
Non mancano tuttavia gli aspetti problematici, connessi soprattutto all’ampliamento
della popolazione (“Salutavo tutti. Ora non conosco più nessuno. Ero abituato…”) e
all’anomia che caratterizza la società odierna. Ortovero non fa eccezione, ma qui i fattori
protettivi sembrano essere maggiori e si rileva la necessità che tutti ne siano consapevoli
e si attivino per mantenerli: “E’ sempre più una malattia della società, che ognuno
pensa ai fatti suoi e non gliene frega niente di quello che fanno gli altri; che poi penso
che sia un problema che c'è dappertutto; cioè, se c'è la droga nessuno s'interessa, nelle
città ognuno guarda quello che succede a casa sua. Secondo me, per cercare di
mantenere le cose così come stanno, ci vorrebbe interesse da parte di tutti”.
Nella consapevolezza che l’autoreferenzialità rischia di soffocare il paese, sono presenti
segnali di apertura verso altre realtà “perché una comunità ha bisogno che ci sia un
confronto critico con altre comunità per vedere cosa fanno di meglio, se facciamo di
meglio, avere degli spunti, perché altrimenti rimane un circuito chiuso, dove ci sono
otto persone intorno a un tavolo, e una volta che ci siamo trovati d'accordo… ma chissà
se poi è giusto quello su cui ci siamo trovati d'accordo o c'è bisogno di una nona
persona che ci faccia capire se qualcosa di questo non è giusto, che si può migliorare”.
Non mancano tuttavia rilevanti i segnali di resistenza al cambiamento, di chiusura
rispetto alle innovazioni, che trovano concretizzazione nell’opposizione alle proposte
portate dai “foresti” che entrano nelle associazioni. In realtà, non appena le innovazioni
mostrano la loro utilità la resistenza si scioglie e lascia spazio alla fiducia.
Si può contare sulle risorse interne alla comunità: “A Ortovero abbiamo tre medici che
abitano qui, sempre disponibili quando hai bisogno”.
Emerge l’importanza della costruzione della rete sociale (“Cerchiamo di venirci
incontro, di fare rete, è proprio questo che manca… forse ora qui qualcosa comincia,
come operatori ogni tanto ci vediamo, e già questo è qualcosa, perché anche se minimo
almeno c'è uno scambio di informazioni, di sensazioni… a volte basta solo vedersi e
parlare perché uno si senta meno cretino, vede che anche gli altri… voglio dire, anche
qui non serve una mega struttura, basta sapere che da qualche parte c'è qualcuno che fa
qualcosa… non dico un centro sociale, ma la scuola, un servizio, la parrocchia, il
comune, tanto per non far sentire da sola la gente, che è la cosa più grave…in qualsiasi
settore operi se sei da solo dopo un po' ti demotivi…o comunque ti senti Don
Chisciotte…”) e della presenza di figure di riferimento per la collettività (“Alcune
botteghe, i commercianti sono un punto di riferimento; il Sindaco… ci sono diverse
figure di riferimento. E poi, figure un po' storiche, come i confratelli…”).
La comunità viene vissuta come “sana” e questo rappresenta un fattore protettivo per le
nuove generazioni: “La mia scelta di restare a Ortovero è anche motivata dal fatto che
ho trovato qui una comunità ancora sana, e quando dico sana intendo dire una
comunità che affonda ancora le radici in una struttura agricola, a contatto con delle
realtà tangibili e pratiche, con la terra, adesso non voglio dire delle cose retoriche… i
ragazzi a scuola li sento parlare di andare nel fiume, per i boschi, sono aspetti questi
che secondo me sono fondamentali per mantenere la salute degli adolescenti”.
L’atteggiamento verso il futuro è caratterizzato da una positività di fondo, che trova
radici nel riconoscimento delle relazioni come risorsa fondamentale per la comunità: “Il
mondo di oggi è difficile…il futuro non è roseo, è molto difficile sotto tanti aspetti,
economico, imprenditoriale, ci si interroga… però creando una comunità abbastanza
solida…la solidarietà è importante”.
4.3. IL RUOLO DELLE ISTITUZIONI (fig.3)
Il rapporto dei cittadini con le Istituzioni locali appare improntato da una fiducia di
fondo. In particolar modo risulta significativo il ruolo dell’Amministrazione
comunale, cui viene riconosciuto il compito di governance dei processi territoriali: “E’
importante che anche solo come regia, come forma di sviluppo di tematiche, le strutture
comunali siano sempre più presenti, anche sotto forma di possibilità di utilizzo di
strutture pubbliche”. Parimenti viene riconosciuta al Comune l’attenzione per
l’attivazione di strutture e risorse usufruibili dai cittadini (“Quello che il Comune ha
fatto con le strutture che ha portato avanti poche comunità lo hanno fatto, e mi sembra
che il percorso sia validissimo e ha portato i frutti che tutti vediamo”), non ultime quelle
a scopo ricreativo (“Ci sono delle iniziative precise d'estate. Durante il resto dell'anno,
d'inverno, c'è una palestra funzionante nella quale si propongono diverse attività,
dall'Aikido al ballo. Quindi, volendo... ma da due anni a questa parte, perché prima non
c'era neanche la palestra”).
Viene riconosciuto agli Amministratori locali un impegno concreto per il paese che va
oltre l’appartenenza politica (“C'è una buona collaborazione, tenendo conto che chi si
impegna qui in politica lo fa sempre non tanto come partito, qui sappiamo come tizio la
pensa, ma mette prima la comunità: fare la palestra, ampliare le scuole, fare il parco
giochi e poi tutte le altre cose”).
Le dimensioni ridotte del Comune consentono rapporti di conoscenza diretta e quindi un
controllo diretto della gestione della cosa pubblica: ”Io in Comune li conosco tutti,
per lavoro ci vado spesso, quando ho bisogno di una cosa con me sono molto
disponibili; nella loro confusione mi sembra che sono ordinati! In linea di massima
funzionano”. Agli Amministratori viene riconosciuto l’impegno profuso per il Paese:
“Bisogna spendere una parola anche per il sindaco: sono comunque abbastanza attenti.
Adesso abbiamo il problema della discarica, dove si portavano gli ingombranti, e tutti
l'abbiamo un po' martellato per trovare una soluzione (…) e ho visto che adesso sono a
buon punto, hanno quasi finito. Menefreghismo da parte delle istituzioni non si può dire
che ci sia. Quando c'è qualcosa si cerca di risolverlo; logicamente le risorse sono anche
poche: è un Comune piccolo. Tante volte il problema sono i finanziamenti, mancano i
soldi. E poi l’Assessore: io non so lei come faccia a star dietro a tutto, è sempre
presente alle manifestazioni; anche per questa cosa [dell'intervista] mi ha chiamato, mi
ha spiegato, ha "perso" del tempo, non ha un impegno solo formale ma sostanziale, si
dà da fare”.
Alle Istituzioni, in primis il Comune, viene affidato il futuro di Ortovero e soprattutto il
benessere dei suoi abitanti: “Non tutto si può ridurre a questioni di denaro, è anche
questione di volontà, di cultura, di intenzioni di sviluppare un tema, ecco quello che mi
auguro che avvenga tra 20 anni: che questi sforzi siano decuplicati perché non si può
lasciare solo alla volontà dei privati, dei singoli, dei cittadini, perché poi nel tessuto
sociale le realtà cambiano, perché il privato può stancarsi, mentre la struttura intesa
come tessuto comunale rimane, mentre gli uomini passano; se tutto viene basato solo sui
singoli, allora ha il tempo che ha, dura poco, i soggetti possono passare ma i messaggi
devono essere tramandati e sviluppati e questo non è compito dei privati, mentre credo
che compito del Comune sia anche quello di occuparsi dei cittadini, non solo delle
strade o dell'acquedotto, ma anche dei momenti ludici, di aggregazione, per avere un
tessuto sempre vivo, attuale…”.
Alle Forze dell’ordine è richiesto un controllo attento del territorio. Il fatto di
annoverare, fra i residenti, alcuni esponenti dei Corpi dei Carabinieri e della Guardia di
Finanza rassicura i cittadini: “Questi sono compiti delle forze dell'ordine, non è che a
Ortovero possiamo con la bacchetta magica cambiare uno spacciatore in un venditore
di zollette di zucchero, se questo è uno spacciatore bisogna avvisare l'autorità costituita,
non penso che sia compito nostro prendere questo e dirgli se non te ne vai ti diamo due
bastonate, anche perché lui ci dà due coltellate…”; “Abbiamo un carabiniere
elicotterista, un carabiniere che lavora nella sede di Alassio e un brigadiere… e un
sottotenente della finanza, coi quali ci sentiamo spesso, proprio perché controllano il
territorio”.
Gli intervistati sottolineano inoltre l’importanza del ruolo dell’Istituzione religiosa e del
suo operato all’interno della comunità: “Vedendo i ragazzi, una cosa che mi ha
meravigliato è vederli partecipare alle processioni… Forse è la capacità di gente come
Rosalba, e anche del parroco, che è uno alla mano…”; “Con il Don c'è un buon
rapporto. È uno che s'interessa, forse fin troppo avanti per questo paese…”.
Gli educatori dell’Oratorio lavorano con i giovani: “Grazie all'aiuto di diverse persone
stiamo facendo un lavoro con questi ragazzi. Abbiamo la fortuna di avere tantissimi
bambini la domenica, arriviamo a 70-80 presenze, quando scendiamo ne abbiamo 30-
40, con cui facciamo questa opera di oratorio domenicale”; “Noi come parrocchia sul
discorso della tossicodipendenza abbiamo fatto una prevenzione per diversi anni,
abbiamo fatto alcuni incontri con i ragazzi ed è stata molto utile. Abbiamo chiamato un
po' di ragazzi di 16-20 anni e abbiamo avuto dei riscontri positivi, il dialogo…”.
Sottolineano tuttavia le difficoltà: “La proposta formativa che abbiamo fatto in
parrocchia è stata quella di ascolto e di incontro dei giovani, ma è stato molto difficile,
intanto perché la parrocchia è un filtro molto particolare, ci si va solo se ci si sente
appartenenti in qualche modo a priori”.
Il riconoscimento della significativa funzione della Chiesa sul territorio si accompagna
alla consapevolezza dell’assenza di strutture laiche, rivolte soprattutto alla famiglia e
ai giovani: “Quali istituzioni ci potrebbero essere, a livello di un paese come il nostro?
Mi viene da pensare alla Scuola e alla Chiesa. Non mi sta bene, però mi viene da
pensare: come potrei sostituire, con che cosa? Certo mi piacerebbe avere delle
organizzazioni laiche, però onestamente al momento è solo la Chiesa che riesce ad
arrivare dappertutto…”; “La famiglia dovrebbe trovare una serie di servizi che
purtroppo non ci sono o ci sono in modo occasionale; a scuola c’è uno sportello di
ascolto, ma soldi ce ne sono sempre pochi, venivano i genitori anche dalle vallate, però
ci vorrebbe sempre, non solo nel periodo scolastico o solo una volta alla settimana…
quando uno va dallo psicologo non può sentirsi dire "hai cinque minuti di tempo,
parla"…”; “Forse non facciamo abbastanza per i giovani, per esempio una cosa che
riteniamo che manchi è un centro di aggregazione serale, ma perché? Perché ci sono
due difficoltà, una economica, l'altra di tempo, cioè siamo tutti volontari, dire le cose si
fa presto, ma farle è tutto un altro paio di maniche. Sicuramente questa è una cosa che a
mio parere sarebbe utile”.
Le agenzie educative presenti sul territorio non sempre riescono a rispondere
adeguatamente ai bisogni della popolazione e non mancano le critiche alle Istituzioni
relativamente alla gestione delle politiche giovanili e dei finanziamenti diretti alla
Scuola, sui quali gravano sospetti di ingenti sprechi. In questo caso, tuttavia, a essere
chiamate in causa sono soprattutto le realtà istituzionali a livello centrale: “Non vorrei
che questa fosse l'ennesima riunione, come ne abbiamo fatte tante, sulla questione
giovanile. Ci siamo visti, e poi non abbiamo concluso niente… Trovo che spesso e
volentieri si parla molto e si fa poco”; “Quello che piacerebbe è che anche gli enti
locali capissero che a volte ci vuole veramente poco per fare qualcosa, che non servono
i mega progetti europei… io ho visto in questi anni sperperare barcate di soldi in cose
che poi non sapevi dove andavano a finire e perché… e poi chiedevi cinquemila lire, una
stupidaggine, per far qualcosa e non c'erano, e avevano speso duecento milioni sulla
dispersione scolastica… non ho mai capito dove siano finiti… poi per carità li avranno
spesi, ma la ricaduta non c'è stata”.
Viene così auspicato l’impegno della collettività: “I Servizi da soli, il SERT, il SSM,
non ce la fanno a raggiungere tutti… ognuno dovrebbe fare la sua parte collaborando, i
genitori gli insegnanti, i sacerdoti, tutti dovrebbero essere coinvolti…”.
Emerge anche un vissuto nostalgico rispetto a un passato caratterizzato da una maggiore
coesione sociale: “Bisognerebbe forse tornare indietro a com'era una volta, che se uno
vedeva il figlio di un altro che stava facendo una stupidaggine gli poteva dire
qualcosa... Non come adesso”.
Citazione a parte spetta all’associazionismo, il cui ruolo sembra essere particolarmente
significativo nella realtà ortoverese.
Emerge una presenza consolidata di associazioni che, pur mantenendo ciascuna la
propria specificità, collaborano a far sì che il paese mantenga un’identità di luogo vivo e
accogliente, sia per i suoi cittadini sia per i turisti. Le capacità e le energie investite
nell’organizzazione partecipata di eventi (v. sagre o feste religiose) rimarcano questo
obiettivo comune.
La comunicazione tra le realtà associative presenti sul territorio e le sinergie che da
questo si sviluppano configurano una comunità in cui il senso di appartenenza e di
coesione è forte.
La comunità è molto attiva: “Questo fine settimana c’è il campionato nazionale di
pallavolo under 14, giovedì, venerdì, sabato e domenica nella palestra. In
contemporanea abbiamo in programma una rappresentazione teatrale - Pirandello -
venerdì e domenica. In contemporanea, abbiamo la visita della delegazione di una
cittadina ungherese con la quale vorremmo gemellarci, quindi li ospitiamo qui, così ci
scioriniamo venerdì, sabato e domenica! Il 5 abbiamo le scuole medie che fanno il
saggio di fine anno, nel teatro. Venerdì 9 abbiamo invece le elementari e le materne che
lo fanno nel parco perché sono tanti. E poi c'è il campionato di freccette...”.
Le sagre e gli eventi sportivi vengono considerati come importanti momenti di
aggregazione e condivisione e quindi occasioni di sviluppo del senso di appartenenza
alla comunità ortoverese: “…poi c'è la sagra qui e poi la sagra là, quindi sono momenti
in cui quasi tutti si incontrano, i giovani e i vecchi, e c'è un assimilazione grossa perché
se uno viene alla sagra ad Ortovero…c'è il dottore che fa le frittelle, il figlio che pulisce
i tavoli…”; “La sagra è per chi è attaccato alla vecchia idea di fare Pro-Loco; la sagra
c'è, è così da decine di anni… ci sono famiglie che vengono appositamente per il cibo”.
“Noi l'abbiamo mantenuta, l'abbiamo migliorata, abbiamo cercato di incentivarla,
comprare tavoli in più, perché ogni anno c'è sempre più gente; si vede che piacciamo
così tanto sul territorio che ogni anno c'è sempre più gente…”.
La realtà del volontariato è consolidata (“Siamo in tanti perché le forze non devono
essere sempre le medesime, tante persone tanti aiuti”) e organizza attività per il paese
(“Ce ne sono di persone! Sono persone positive, si danno da fare”).
Viene riconosciuta inoltre l’importanza di promuovere lo sviluppo della comunità
territoriale, pur mantenendone intatto il senso di identità. A questo riguardo,
particolarmente importante appare il ruolo della Pro Loco, che si propone come
soggetto promotore di aggregazione e iniziative: “Abbiamo pensato di cercare di
sollecitare nei più giovani il messaggio positivo che la Pro Loco vuole dare per lo
sviluppo della comunità. Mettiamo in campo alcune attività, mettiamo in atto qualche
piccola cosa, cercando di fare lavorare i ragazzi su dei progetti piccoli, più che altro
per dare loro un messaggio che dentro la comunità di Ortovero c'è un'associazione che
lavora per loro. Dato che questa associazione ha cercato di fare qualcosa per loro, ci si
aspetta che poi partecipino per quanto possono perché i loro fratelli, i loro cugini
possano continuare ad avere queste cose di cui loro hanno beneficiato”; “Finché sono
in età duttile credo che si possa cercare di tenerli legati a un'attività che gli può dare la
soddisfazione di vivere insieme ai loro coetanei, di sviluppare con loro dei temi, di
essere utili nel loro piccolo”.
Non meno importante il ruolo della Confraternita di Santa Caterina: “Adesso sono in
150 i confratelli qui; ce ne sono anche in giro per il mondo…perché chi è diventato
confratello lo rimane”; “Tutti i maschi che nascevano nel paese entravano nella
confraternita: era un'identità, se non eri confratello eri escluso”; “Innanzitutto ti
sceglie: ti viene a chiedere se vuoi farne parte, non sei tu che puoi chiedere di farne
parte, a meno che non sei un ragazzo. E’ vecchia di 500 anni, una delle più vecchie
della Liguria; dopo 2 o 3 anni, dopo che ti hanno guardato e riguardato ti accettano
come confratello. C'è una specie di iniziazione, come in tutte le associazioni”.
Anche la Cantina Sociale è un soggetto significativo per la comunità: “La Cantina
Sociale di Ortovero nasce per dare ai contadini che coltivano la vite il diritto di stabilire
un prezzo un po' più alto. Se il singolo va dal tale a vendergli l'uva il prezzo scende,
insieme si è più forti e quindi si stabilisce un prezzo ed è più facile vendere”.
Viene sottolineata, con un certo rammarico, la connaturata riservatezza degli
ortoveresi, che spesso si trasforma in riluttanza a valorizzare le proprie azioni: “Noi non
abbiamo un addetto stampa, non pubblicizziamo: delle volte sui giornali leggi di cose, di
associazioni che fanno cose risibili; noi facciamo cose anche importanti, ma non ci
interessano le medaglie, le coppe, i trofei…”; “Hanno dato al Comune la certificazione
di qualità? Il mese dopo che l'abbiamo avuta c'era un trafiletto corto così. C'è gente che
fa delle mezze paginate sui giornali per molto meno…”.
Non vengono tuttavia dimenticate le difficoltà, prevalentemente legate al non facile
reclutamento di nuovi volontari e quindi alla difficoltà di ricambio generazionale
all’interno delle associazioni (scarsa presenza di giovani); inoltre, non meno importanti
sono i vincoli connessi sia all’onerosità dell’impegno (in termini di tempo, di energie,
di fatica emotiva) nel volontariato (“Ma poi ci sono tanti impegni individuali che
riuscire a trovare il tempo.. facciamo già la sagra: anche fare questi 10 giorni, trovarsi
tutte le sere, arrivi alla fine della festa che le persone ti crollano.. non puoi pretendere,
siamo quattro gatti. Sarebbe bello poter fare di più: non ci riusciamo”), sia alla scarsità
di risorse economiche (“La sagra ha lo scopo per avere del denaro per far funzionare
tutto il resto”).
Il ruolo preventivo delle Associazioni è riconosciuto, ma non valorizzato: “Sì,
indirettamente si fa della prevenzione. Penso che qualsiasi tipo di volontariato, perché
qui stiamo parlando di associazioni di volontariato, indirettamente faccia prevenzione.
Però, magari, se fosse un pochino più mirata, andando a toccare un po' di più
l'argomento in concreto, forse sarebbe più efficace…”
Viene sottolineata l’importanza, ai fini di una maggior consapevolezza del ruolo
preventivo dell’associazionismo, di pensare a percorsi formativi che aiutino gli adulti
impegnati a vario titolo in ruoli educativi a svolgere al meglio la propria funzione: “Un
volontario deve essere una persona che comunque è formata, deve avere un minimo di
conoscenze di base, sia didattiche che psicologiche, per comprendere le problematiche
derivanti dall'immigrazione… e poi devono essere persone disponibili al rapporto con
gli altri…fino all'anno scorso avevamo una quindicina di volontari, ora ne stiamo
cercando altri perché chi sparisce, chi non ha tempo… e vorremmo coinvolgere sia le
famiglie sia i bambini…”.
4.4. LA SCUOLA (fig.4)
Le competenze e le funzioni della scuola sono riconosciute dal territorio: la scuola viene
considerata dalla comunità di Ortovero come un’importante risorsa per la collettività,
e proprio per questo viene sostenuta nelle sue attività anche attraverso precise politiche
dell’Amministrazione comunale (v. scuolabus, iniziative culturali): “Ci teniamo molto
al plesso scolastico, cioè vogliamo lavorare sull'età scolare fino alla terza media,
perché riteniamo che sia fondamentale per una comunità avere un plesso scolastico
vivo, ben frequentato, perché pensiamo che un paese dove chiudono le scuole sia un
paese destinato a morire”; “Come Pro Loco organizziamo manifestazioni dedicate
esclusivamente alla scuola, che è un modo per avere dei finanziamenti, perché le scuole
ormai devono vivere in autonomia anche finanziaria, quindi facciamo il concorso dei
presepi”.
Punto di osservazione privilegiato sul fenomeno del disagio dei bambini e dei ragazzi, è
ritenuta importante contesto per l’implementazione di azioni educative finalizzate allo
sviluppo personale e sociale degli alunni e alla promozione del loro benessere: “In
classe, io lavoro con ragazzini da 11 a 14 anni; pur con le poche ore che si hanno a
disposizione ritengo che un insegnante sia un osservatore particolare, a volte stanno più
con noi che con i genitori… quindi a volte a scuola riusciamo ad aprire delle porte che
a volte a casa non si aprono, abbiamo delle chiavi che a volte riescono a entrare, e che
un genitore per un diverso coinvolgimento emotivo non riesce ad aprire”.
Il riconoscimento di questo importante ruolo della scuola non nasconde tuttavia
l’esistenza di alcuni problemi, come per esempio la difficoltà di far fronte alla delega
educativa delle famiglie che sovraccarica la scuola di compiti e richieste non sempre
sostenibili: “Se potessero ti porterebbero il bambino a scuola sempre, altro che tempo
pieno; “Delegano. Magari nasce un figlio, lo si vizia come pochi e poi gli si dice "Ti
mando dalla maestra così ti rimette a posto". Così delegano agli altri l'educazione di un
figlio, e lì è una sconfitta”.
Quale punto di forza della comunità scolastica ortoverese viene sottolineata la
collaborazione esistente tra gli insegnanti dei diversi ordini di scuola (soprattutto tra la
scuola dell’infanzia e la primaria).
Per quanto riguarda le attività di prevenzione, la scuola mostra di essere attenta alle
esigenze dei ragazzi attivando progetti “sul fumo e sull'educazione sessuale; di solito poi
è l'insegnante che per essere più attenta magari chiama uno psicologo, il pediatra… si
cerca di essere un pochino più attenti in quella fascia d'età in cui magari la curiosità
può portare a comportamenti inadeguati”.
4.5. LA FAMIGLIA
In diverse occasioni gli intervistati hanno presentato la famiglia come un elemento di
criticità della società attuale, evidenziandone un’immagine di eccessivo assorbimento
negli impegni lavorativi, talvolta di disgregazione e di scarsa capacità di svolgere una
funzione di contenimento educativo nei confronti dei figli. Pur riconoscendone il
ruolo fondamentale è stato osservato che la famiglia non incoraggia i figli a fare
esperienze significative per loro, ma li “parcheggia” nelle diverse attività, delegando la
funzione normativa alle altre agenzie educative.
Il ruolo della famiglia assume, nelle parole degli intervistati, un peso fondamentale nel
processo di sviluppo dei giovani. I genitori vengono riconosciuti come modello (“Noi
gli possiamo raccontare quello che vogliamo ai ragazzi, però loro dopo guardano come
ci comportiamo noi”), con tutti i timori e le responsabilità che questo comporta (“Ho
due figli e più che fare tanti discorsi, perché poi i discorsi lasciano il tempo che trovano,
cerco di dare un messaggio positivo operando io, cercando di dimostrare ai miei figli
che cosa significa essere un padre normale, che cerca di fare le cose per bene, sperando
di essere di esempio”; “Il bambino ti può seguire in quello che fai e vedere che questa è
una condizione della vita, e se gli fai vedere che lo fai con gioia e che non è un dovere,
non mi sembra poco…”).
L’immagine della famiglia di Ortovero, così come emerge dalle interviste, non sembra
rispecchiare particolari difficoltà, almeno per quanto riguarda i nuclei con bambini
piccoli (“Ortovero è un'isola felice, che rimanga così, parlo per la scuola primaria,
perché sono bambini molto spontanei, molto affettuosi, la serenità ci fa sapere che la
base, la famiglia è sana”; “I bambini qui sono seguiti dalle famiglie, che sono unite”).
I genitori sembrano essere presenti nella vita scolastica dei figli, soprattutto nella scuola
primaria (“In genere all'inizio dell'anno abbiamo l'assemblea con i genitori per
l'elezione dei rappresentanti di classe, devo dire che sono quasi la totalità; alle riunioni
del consiglio d'interclasse i rappresentanti sono sempre presenti”; “Ai colloqui
partecipano sempre, chiedono molto se il figlio ha delle problematiche riguardo
all'apprendimento, alle situazioni sociali e chiedono "cosa posso fare, cosa mi
consiglia?”), mentre successivamente trova spazio una tendenza alla delega agli
insegnanti (“Man mano che il ragazzo cresce l’atteggiamento è "se c'è qualcosa che non
va, mi chiameranno”)
Le difficoltà più significative sembrano essere riconducibili alle separazioni dei genitori
(“Problemi tra papà e mamma, rotture di matrimoni che sono avvenute o che stanno
avvenendo…quello è il problema principale, secondo me. Per il resto non c'è niente”).
Discorso a parte potrebbe essere fatto per le famiglie con figli adolescenti, che
richiedono ai genitori “fatiche” aggiuntive. Gli adolescenti guardano al mondo adulto
cercando di rintracciare in esso la capacità di fare fronte alle sfide e gli adulti devono
dimostrare di “essere all’altezza”, pena la perdita di credibilità (“Adesso i giovani hanno
bisogno di queste cose qua. Devi fargli vedere che sai cos'è un mp3”).
A differenza di quanto appreso dal proprio modello genitoriale, oggi i genitori devono
mostrare competenze adeguate, saper rispondere alle domande dei figli (“Il dialogo è
cambiato tra genitori e figli, di certi argomenti con i nostri genitori non se ne parlava,
oggi se ne parla”).
Alla famiglia è riconosciuta un’importante funzione protettiva e preventiva rispetto
all’insorgere di disagio nei giovani (“Grazie alla famiglia ci sono degli anticorpi che
possono funzionare contro il disagio giovanile”).
Tuttavia, non mancano gli aspetti critici, legati alle difficoltà cui spesso i genitori non
sono pronti a far fronte. Fra le dimensioni problematiche individuate dagli intervistati, la
difficoltà dei genitori di dedicare tempo all’ascolto dei figli (“Non c'è mai tempo, e i
bambini lo chiedono a scuola, apertamente, ascoltami, stammi a sentire, dimmi come si
fa, l'ho chiesto alla mamma ma non mi ha risposto”; “I genitori a volte a casa parlano
poco con i bambini, chiedono a scuola alle maestre il dialogo: "Maestra mi puoi dire…
perché ho chiesto alla mamma e mi ha detto domani, adesso non posso, aspetta un
minuto”. Non è così per tutti, ma i bambini chiedono all'insegnante "mi ascolti?” quasi
tutti i giorni”; “Invece della presenza, magari un telefonino da 500 euro… e ti
telefono!”), i problemi legati alla quotidianità (“E’ la fatica quotidiana di oggi che
fanno i genitori per tirare avanti, perché il denaro è sempre meno, prima nelle famiglie
ne bastava uno a lavorare, mentre l'altro era dedicato a seguire i figli, a crescerli, a
consigliarli; si viveva in una comunità più allargata, invece adesso ci sono tanti piccoli
nuclei, si vive in due adulti che dedicano la maggior parte del tempo a sbarcare il
lunario”), la passività cui spesso gli adulti si lasciano andare (“Datti da fare, guardati
intorno, muoviti, crea un'associazione, fai valere le tue ragioni, fai qualcosa, come
privato, magari come associazione… non vi danno i servizi che volete? Invece di
mugugnare organizzatevi, scrivete ai giornali, fate qualcosa, non state qui a mugugnare
passivamente, che è facile piangere e disperarsi e poi non fare niente…”).
Un aspetto particolarmente criticato è quello degli impegni extrascolastici che
riempiono il tempo dei bambini per rispondere in realtà alle esigenze dei genitori (“Sono
bambini molto impegnati, tantissimi fanno danza e ginnastica e calcio e feste e girano di
qua e di là; dalle 8.30 alle 16.30 dal lunedì al venerdì. E’ tanto: abbiamo dei bambini
che alle 7.30 sono fuori che aspettano il pulmino e rientrano alle 18.30, passano tutta la
giornata fuori casa. I genitori lavorano, quindi è anche un problema dove lasciarli…”).
Un altro nodo cruciale è rappresentato dalle regole. Non raramente i genitori mostrano la
propria difficoltà a stabilirle e farle rispettare ai figli, manifestando in questo modo un
vissuto di inadeguatezza rispetto al proprio ruolo (“I bambini tengono la tv accesa
fino a mezzanotte, ce l'hanno in camera, quindi i genitori non sanno neanche quando
vanno a dormire, io dico ai genitori mandateli a dormire a una certa ora, magari non
alle otto e mezza, però…"ma come faccio", quindi questi non sanno come rapportarsi
con i figli che sono alle elementari, che sono piccolini, figuriamoci quando sono alle
medie o alle superiori, sono loro che fanno quello che vogliono”).
Questa difficoltà nel dare regole influenza indirettamente anche la capacità dei bambini
di relazionarsi tra loro :“I bambini che vengono a scuola la mattina hanno già visto due
ore di cartoni animati…io se guardo la Tv per due ore di fila mi addormento… e
durante la giornata ne vedono altre, abbiamo bambini che hanno cinque o sei Tv in
casa, una per ogni locale… è un rincretinimento allucinante… e non è un discorso
moralistico che il bambino non sa più giocare, poi si menano, nell'intervallo litigano e si
menano, perché non sanno più giocare… così abbiamo implicazioni nella crescita
futura, perché non sanno stare con gli altri…”.
Viene sottolineata l’importanza di una riappropriazione dell’autorevolezza da parte
dei genitori (“A volte sono i figli che conducono il gioco, ma un genitore un po' sgamato
riesce a recuperare almeno in parte il controllo…”), anche perché si ritiene che i
bambini e i ragazzi abbiano l’esigenza di una guida sicura (“A causa delle famiglie,
vengono lasciati un po' troppo per strada, ad autogestirsi”; “A mio avviso, non hanno
ancora l'età per analizzare quello che stanno facendo”).
Le difficoltà vengono spiegate anche attraverso le incomprensioni dovute alle differenze
generazionali, che portano i figli a non voler seguire le orme dei padri, soprattutto dal
punto di vista lavorativo: “Io ho amici qui nel paese che hanno figli di quell'età e nel
campo non ci vanno…bisogna trascinarli… i modelli sono altri: la moto, la
macchina…”; “I figli sono critici, credo che ci sarà un grosso cambiamento. Già in
certe persone ho visto questi cambiamenti che poi hanno creato un disagio per i
genitori, gente che si è fatta il mazzo tutta la vita pensando che poi il figlio continuasse
il loro lavoro e il figlio ha detto "no, guarda, io non ci penso nemmeno, vado impiegato,
la vita che hai fatto tu è impensabile”.
I figli sembrano chiedere attenzioni e confronto, proprio mentre i genitori sembrano non
capire l’importanza del dialogo: “Bisognerebbe forse perdere un po' più di tempo. Ma
non sarebbe perder tempo, stare un po' di più con i figli, cercare di parlarci un po' di
più…”.
La reazione a questo senso di inadeguatezza non raramente viene risolta dai genitori con
atteggiamenti che si configurano come diseducativi : “Ogni genitore tende a difendere il
proprio figlio e gli dà anche fastidio se qualcuno dice qualcosa”; “Purtroppo sento
molti dire "Ah, quello che non ho avuto io lo deve avere mio figlio", che secondo me è la
più grande stupidaggine che un genitore possa dire”.
E’ tuttavia condivisa l’idea che i genitori dovrebbero essere aiutati a svolgere
serenamente il proprio ruolo, anche per evitare che il disagio trovi spazio (“Non ci
sono gravi disagi… sono famiglie stanche, bisogna anche un po' aiutare i genitori”; “I
genitori sono giovani, lavorano, sono incapaci, questi ragazzi non c’è nessuno che li
guarda, che li controlla: si fa presto a perdere anche un po' la trama…”; “Il problema è
che la famiglia è lasciata da sola, io vedo a scuola, tanti genitori giovani che non sanno
come rapportarsi con i bambini”).
Il rischio altrimenti è che la famiglia, in questo momento anello debole della società, si
spezzi, con grave danno per l’intera comunità: “Conan Doyle diceva che una catena non
può essere più forte del suo anello più debole…La famiglia è l'anello più debole e se non
la si aiuta…Tu sei un altro anello e pensi che non ti riguarda, ma invece prima o poi ti
riguarda…”.
4.6. ADOLESCENTI E GIOVANI (fig.5a,b,c)
Anche se in molti hanno espresso la difficoltà di entrare in contatto con i giovani,
riferendo che questi solitamente non aderiscono alle attività proposte dalle associazioni e
che quindi sono difficilmente “agganciabili”, la Comunità è consapevole dell’importanza
di coinvolgere i più giovani nella vita del paese. Dalla collaborazione proposta loro
all’interno delle sagre da parte della Pro Loco, alla sollecitazione a organizzare
direttamente alcuni eventi (v. Sagra della birra), al far leva sul loro interesse per lo sport
organizzando per loro attività ed eventi sportivi, emergono l’attenzione e l’impegno che
la comunità rivolge ai suoi cittadini più giovani.
Tutti concordano sull’importanza di dare ascolto ai ragazzi, dal momento che solo il
riconoscimento dei loro bisogni può costituire la base per un dialogo e la possibilità di
contenere le forme di disagio.
L’attenzione verso i ragazzi può essere vissuta dagli stessi come una sorta di “controllo”
(v. anziane alla finestra), ma nello stesso tempo assume una valenza positiva di cura e
tutela verso i giovani rispetto ad alcuni rischi sociali. Una sorta di vigilanza attiva e di
presenza sul territorio che, con alcuni ovvi limiti, si configura come uno strumento di
sicurezza per i cittadini.
Riconoscere i bisogni specifici dell’età adolescenziale permette una migliore
comprensione anche di alcuni comportamenti che altrimenti rischierebbero di essere
stigmatizzati come devianti.
Il chiudersi in gruppo, l’atteggiamento provocatorio verso le istituzioni, l’assunzione di
comportamenti non sempre rispettosi dell’autorità adulta, seppur non graditi e non
giustificati, vengono tuttavia riletti dalla comunità come comportamenti legati ai compiti
evolutivi tipici della fase adolescenziale.
Dalle interviste emerge una sostanziale consapevolezza rispetto ai problemi e alle
difficoltà che i ragazzi devono affrontare nella società attuale e che li differenziano dalle
generazioni precedenti, caratterizzate da una maggiore possibilità e volontà di
condividere il tempo libero e le esperienze di crescita con i coetanei. L’opportunità di un
significativo supporto reciproco rispetto al fronteggiamento degli ostacoli che la vita
richiede di superare è una risorsa che molti degli intervistati ritengono non sia
disponibile alle nuove generazioni.
In molti leggono il disagio dei giovani, riconoscendone la difficoltà a trovare modelli e
valori significativi nella società adulta e non sottostimano il rischio che questo essere
lasciati soli comporta. Gli adulti di riferimento (v. famiglia) spesso non riescono a
comunicare con i ragazzi, a riconoscerne le esigenze evolutive e a dare a queste delle
risposte adeguate. Le differenze generazionali vengono riconosciute come motivi di
difficoltà ad agganciare e coinvolgere i giovani nelle attività del paese. La riflessione su
questo aspetto deve tuttavia tener conto di quanto le offerte corrispondano alle reali
esigenze dei giovani.
Anche se il rapporto con gli adulti non è sempre facile, va detto che spesso il ruolo
educativo di alcuni di essi (p.e. allenatori o insegnanti) viene riconosciuto dai ragazzi
più di quanto gli adulti stessi ne abbiano consapevolezza. In più contesti viene rilevato
che i ragazzi cercano la relazione con l’adulto come modello e punto di riferimento per
la costruzione della propria identità.. Essere coscienti della significatività del rapporto
può sollecitare quindi gli adulti ad acquisire ulteriori strumenti per renderlo ancora più
pregnante
Altro punto importante è quello degli spazi: non esistono luoghi di incontro pensati
esclusivamente per i giovani. In mancanza di luoghi di ritrovo formali i ragazzi a
Ortovero hanno scelto di incontrarsi nella zona antistante la scuola e questo ha dato
origine ad alcune tensioni all’interno della comunità (piccoli atti di vandalismo,
comportamenti rumorosi), peraltro risolti non appena è stata offerta loro la possibilità,
grazie a un accordo tra Parroco e Sindaco, di usufruire di uno spazio dove vedersi (v.
locali parrocchiali).
Gli adulti sono consapevoli che mancano strutture dedicate ai giovani (“Ci sono
questi ragazzi, dai 16 anni in su, finita la scuola si ritrovano nella piazza, ho visto che si
radunano lì, c'è un parcheggio, ci sono delle aiuole, le panchine”; “A Ortovero non c'è
niente… non ci sono grandi punti di ritrovo.. per lungo tempo c'è stata la compagnia
che si ritrovava sulle scale della scuola elementare… questo era il massimo… ci sono i
bar ma nel bar non è che ci puoi stare tutto il giorno… nel bar ci stanno quelli più
grandi…”) ma riconoscono le difficoltà che ne rendono difficile la realizzazione
(“Forse non facciamo abbastanza per i giovani, per esempio una cosa che riteniamo
che manchi è un centro di aggregazione serale, ma perché? Perché ci sono due
difficoltà, una economica, l'altra di tempo, cioè siamo tutti volontari, dire le cose si fa
presto, ma farle è tutto un altro paio di maniche…”).
Le attività extra-scolastiche rivolte ai ragazzi sopra i 14 anni sono pressoché
inesistenti. Un tentativo di coinvolgimento dei giovani è stato effettuato dalla Pro Loco
attraverso l’organizzazione delle sagre (“Ci sono dei giovanissimi che si stanno
avvicinando adesso alla Pro-Loco, hanno 15/17 anni e sono una ventina di ragazzi che
poi si danno da fare…”; “Con le sagre riusciamo a coinvolgere i ragazzini, chi in
cucina, chi ai tavoli, riusciamo ad averli lì per tre giorni; si danno da fare e loro sono
contenti, imparano…”) e dai gestori del campo sportivo (“C'erano questi ragazzini che
ci venivano a dare una mano a tagliare l'erba del campo con la cosa che poi davi i
panini, la bibita… pulivano il campo, facevano le righe e poi la sera si ritrovavano qui
per il torneo, si facevano una partitella fra di loro, si era creato un gruppo…”).
Alcune fasce d’età risultano “desaparecide” o comunque difficili da coinvolgere:
“Siamo arrivati al massimo sui 14-15 anni, io non mi sento neanche preparato ad
andare a recuperare un ventenne, perché non è ricettivo, se poi la persona sono anni
che nessuno le ha fatto certi tipi di discorsi arriviamo noi a dirgli guarda fai del
volontariato perché fa bene a te, alla comunità, questo mi manda…”; “Non si fa niente
per loro, né manifestazioni, né concerti…”.
E’ evidente la difficoltà degli adulti a comprendere i giovani e a riconoscerli nelle loro
esigenze (dove sono, cosa fanno, di che cosa hanno bisogno): “Ho pensato "va a finire
che queste persone stanno lì perché nessuno li considera"… forse non sono poi così
beceri … forse gli manca soltanto della considerazione”; “Tante volte si crea il babau:
i ragazzi vengono travisati per quello che non sono, perché poi fondamentalmente non si
va neanche lì a parlarci insieme”.
Emerge la consapevolezza che spesso l’adulto ha una responsabilità nella creazione del
problema: “Abbiamo questa paura dentro di noi di non affrontare determinate situazioni
perché ci spaventano e quindi cinque ragazzi che sono normali, vivono la loro
adolescenza, magari non la pensano come gli altri e si isolano vengono visti come
persone che fanno uso di sostanze. Pensiamo sempre al male, mai al bene, non è che
pensiamo che si sono messi lì perché vogliono starsene da soli…”; “Se vedo cinque
ragazzi al buio che sono lì che magari ascoltano solo la musica, io non vengo attirato
ad andare là a parlare con loro, perché è una situazione di disagio, mi mette paura. Se
ho la possibilità di poter parlare alla luce del sole con le persone ecco che il fantasma
diventa un essere umano… l'errore è ghettizzarli, noi tendiamo a ghettizzarli, quello è
cattivo non lo frequentare, quello è bravo vacci… poi vediamo sempre il bianco e il
nero, non vediamo mai la sfumatura, poi magari tante volte il bravo si rivela non bravo
e quello cattivo tanto l'hanno disegnato così…”.
Gli adulti sono consapevoli dell’esistenza di una qualche forma di disagio giovanile, da
cui neppure Ortovero si può considerare immune (“A me sembra che ci sia un disagio
che non è solo quello della tossicodipendenza, è l'esito di situazioni molto complesse che
sono familiari ma che sono anche sociali a cui noi non sfuggiamo anche se siamo
un'isola felice…”; “Non è che perché siamo in un paese sfuggiamo completamente alle
dinamiche sociali… abbiamo notato situazioni di solitudine anche più accentuata di
quella che è la solitudine degli adolescenti, problematiche affettive molto complesse,
problematiche che riguardano la sfera sessuale, e poi problemi legati al disagio degli
adolescenti nell'ambito della famiglia, e disagio scolastico, credo che ci sia un elevato
numero di abbandoni a Ortovero…”; “Anche da noi è iniziata una serie di piccoli
problemucci che magari non sono i grandi problemi delle città, possono far sorridere,
ma abbiamo iniziato ad avere un po' di disagio giovanile sia tra ragazzini che tra
ragazzine”).
Nel complesso, tuttavia, tra i giovani di Ortovero, a parte alcuni casi di minori “precoci”
dal punto di vista delle relazioni tra i sessi, non sembrano al momento essere presenti
situazioni eclatanti di disagio, anche se non viene negata, per il futuro, l’importanza di
un’attenzione vigile alla loro situazione e un impegno concreto per dare risposta alle loro
esigenze (“Il mio grande sogno sarebbe trovare delle modalità per ascoltare le esigenze
di questi ragazzi”).
Quando la rete famigliare ha maglie troppo larghe, il tessuto sociale svolge la funzione
importante di seconda rete di protezione per i ragazzi, i quali possono essere
“catturati” e sostenuti nel loro percorso di crescita dalla responsabilità collettiva.
L’impegno della comunità verso i suoi cittadini più giovani rende possibile una sorta
di “immunità” nei confronti di forme acute di disagio adolescenziale: “I giovani a
Ortovero, come ad Albenga, come a Vendone, come in tutto il territorio, hanno bisogno
di spazi per ritrovarsi, non è che abbiano bisogno di strutture megagalattiche… però
non ci sono… per cui spero che in futuro saremo un po' più fattivi…”.
4.7. LE DIPENDENZE (fig.6a,b)
Le sostanze rappresentano una delle possibili risposte alle domande che l’adolescente si
pone davanti ai significativi cambiamenti che caratterizzano la particolare fase di vita
che sta attraversando e che accompagnano la costruzione dell’identità personale. Se il
ragazzo non riesce a rintracciare nel proprio contesto di vita stimoli significativi per la
propria crescita, è possibile che, incontrando le sostanze, queste rappresentino una via
immediata alla soluzione del disagio connesso alle trasformazioni che egli deve
affrontare per diventare adulto.
L’abuso di eroina è calato, lasciando spazio a stili di consumo più orientati alle
cosiddette “droghe ricreazionali” (v. ecstasy e cocaina) utilizzate in contesti di
aggregazione giovanile e di divertimento e concentrati nei fine-settimana secondo la
“cultura dello sballo”. Specialmente fra i giovani tra i 13 e i 17 anni sembra diffuso
l’uso di hashish, marijuana e alcol (quest’ultima sostanza viene unanimemente
riconosciuta come la più diffusa e pericolosa a livello sociale e se ne evidenzia il
consumo con un picco significativo all’interno del genere femminile), mentre nelle fasce
di età superiori risulta particolarmente diffuso l’uso di cocaina in modo trasversale alle
diverse classi sociali.
Il consumo di sostanze si sta “normalizzando”, nel senso statistico del termine e nella
percezione che ne hanno le persone: consumare sostanze è ormai considerato un
comportamento “normale” dal momento che sono in molti a farlo: “Quotidianamente
sono talmente tanti gli esempi di un mondo che fa uso di sostanze stupefacenti che anche
il bambino stesso non riesce a capire se non se normale a non farlo o sei normale a
essere come loro”. L’uso di alcune sostanze (v. cocaina) e gli effetti che esse
garantiscono arriva paradossalmente a configurarsi come la risposta più adeguata alle
richieste di efficientismo della società attuale, e il fatto che ad assumere sostanze siano
spesso soggetti affermati socialmente rende questo comportamento oggetto di
imitazione: “Secondo me prendono a modello il mondo imprenditoriale, il mondo del
giornalismo, il mondo del "successo", il mondo della tv, dello spettacolo, della moda,
hanno questi modelli dove la droga scorre a fiumi…”. Se prima essere tossicodipendenti
significava collocarsi al margine della società, oggi i cambiamenti intervenuti nel
fenomeno di consumo a livello generale fanno sì che l’assumere sostanze appaia come
indicatore di conformismo sociale: “Mi sembra che ci sia molta diversità rispetto agli
anni '70, allora era un fenomeno culturale, si contestava qualcosa… adesso mi sembra
che la droga, per quello che capisco dei giovani… il giovane non ha più ideali”.
A Ortovero il problema “droghe” non appare rilevante. La maggior parte delle persone
intervistate ritiene che l’uso di sostanze in paese sia molto ridotto e limitato al
consumo di droghe “leggere” (hashish). Se esiste lo spaccio, questo è riconducibile a
individui che arrivano da fuori e che utilizzano il territorio come luogo di incontro con
“clienti” anch’essi provenienti da Comuni limitrofi o, al limite, a “foresti” che vivono a
Ortovero: “Mi ha detto mia figlia che a Ortovero sembra giri cocaina… gente che viene
da fuori, che spaccia qui, che consuma…”.
Anche se comincia a farsi strada qualche dubbio (“La paura c'è perché il pericolo c'è, il
maresciallo me lo diceva, loro lo sanno, la diffusione è immensa, non perché in tutte le
case di Ortovero ci sia, ma in genere c'è una diffusione che si fa fatica a gestire”; “Il
fatto che ci sia della droga, penso sia inevitabile, non è che questo sia un posto protetto
da Dio, la droga gira in tutto il mondo e inevitabilmente penso girerà anche a
Ortovero”) non tutti gli intervistati, comunque, riconoscono la possibilità che anche a
Ortovero esista il fenomeno del consumo di sostanze, considerando il territorio immune
da certi comportamenti e quindi in qualche modo negando il problema: “Qui proprio
nel paese… diciamo che queste cose le fanno ad Albenga, non qua”.
Discorso a parte va fatto per l’alcol: nonostante sia una sostanza psicotropa, il suo uso è
socialmente accettato e neppure i cittadini di Ortovero negano che il consumo di alcol in
paese sia significativo, soprattutto fra i giovani: "Ma perché era per ragazzi, per uomini
"forti" il bere, magari anche per tradizione contadina, il cicchetto, la tradizione per cui
ti mangi le uova sode, magari devi farti una sbronza per entrare nella Confraternita…”.
Il problema sono al limite le conseguenze dell’abuso di alcol: “Bevono e poi magari
attaccano lite o partono con la macchina e fanno le sgommate; qui basta fare il giro dei
bar la sera e uno si rende subito conto della situazione. E poi sono sempre gli stessi”;
“Sì, qualcosa c'è stato. Due anni fa era morto un ragazzo con la moto, che era uno che
beveva. Un altro è partito con la moto e poi ha avuto un incidente. Sì, se contiamo che è
un paese di 1000 e rotti abitanti, qualche incidente c'è stato”.
Per quanto riguarda gli interventi di prevenzione, gli intervistati ritengono che siano
importanti e che sia responsabilità di tutti evitare che i ragazzi facciano uso di sostanze.
A questo proposito sottolineano il ruolo delle agenzie educative. Da quanto riferito, il
fenomeno “dipendenza” non si osserva infatti all’interno delle associazioni, in quanto i
ragazzi che partecipano alle attività associative sono già motivati a impegnarsi in
qualcosa e quindi potenzialmente non a rischio. L’appartenenza e la condivisione di
obiettivi e attività sembra quindi offrire validi fattori di protezione allo sviluppo di
disagio. Gli intervistati non ritengono utile limitarsi a fornire informazioni, tanto meno
dal contenuto terrorizzante, sugli effetti delle droghe, dal momento che i giovani sono
già bene informati, molto più degli adulti: “la tossicodipendenza è una cosa che è
emersa (…) i ragazzi la conoscono molto meglio di noi e hanno il polso della situazione
più delle nostre fantasie”; “Dire ai miei figli “non ti drogare perché fa male” è
talmente ovvio che se glielo dico si mettono a ridere”. Il problema sembra invece quello
di aiutare i ragazzi a capire che la loro convinzione di riuscire a gestire con facilità le
sostanze è errata e rischiosa.
E’ tuttavia diffusa la consapevolezza che il problema “droga” sia di non facile gestione
e che la mancanza di informazioni e conoscenze sul fenomeno da parte degli adulti
conduca a scarsa attenzione per la pianificazione di politiche preventive.
4.8. L’IMMIGRAZIONE (fig.7 a,b)
L’atteggiamento degli ortoveresi nei confronti degli immigrati appare sostanzialmente
positivo.
Il fenomeno è piuttosto recente: “Fino a pochi anni fa non ce n'erano, neanche uno. In
questi ultimi due o tre anni c'è stato il boom, e continua ad esserci, perché noi abbiamo
continuamente delle iscrizioni di bambini che sono in lista d'attesa o che si sa che
stanno per arrivare”; “Sono arrivati da poco tempo, più o meno visti bene dal paese,
non c'è mai nessun problema, devo dire che siamo tranquilli”.
L’integrazione avviene in primo luogo a scuola, dove i bambini extracomunitari trovano
accoglienza e progetti dedicati al loro inserimento. I bambini si configurano come
mediatori competenti tra la cultura di origine e quella di accoglienza, sia per sé sia per i
propri genitori: “Ho portato il dizionario illustrato …io non c'ero arrivato… c'è arrivata
una bambina marocchina che mi ha detto "Posso portarlo a casa, così mia mamma
impara l'italiano?"… e poi tutti che litigavano per portarlo a casa… è stato bellissimo
perché sono stati i bambini…”.
La cultura appare quindi come strumento di integrazione e di emancipazione degli
immigrati, verso i quali le persone intervistate dicono di non avere alcun pregiudizio. Il
loro inserimento nella vita del paese non ha mai mostrato problemi, anche perché
l’immigrazione a Ortovero è caratterizzata da situazioni “regolari”: “Ho notato che le
famiglie sono molto stabili, hanno comprato la casa, l'hanno ristrutturata e non hanno
problemi di occupazione e quindi si sono integrati velocemente. Forse il problema delle
case nelle frazioni non c'è, lì costano meno, sono alla loro portata…”.
L’atteggiamento degli immigrati sembra essere quello di chi vuole essere accettato
dalla comunità e vuole entrare in contatto con la cultura di accoglienza: “C'è anche
una grossa volontà di inserimento. Abbiamo visto con questi corsi di alfabetizzazione…
I bambini sono nelle scuole medie, nelle elementari, nell'asilo e ora i genitori hanno
fatto domanda per frequentare il corso serale”. L’Amministrazione comunale sembra
aver seguito con attenzione questo processo di integrazione: “Con gli extracomunitari
quest'anno, grazie al Comune, abbiamo fatto un lavoro splendido: un corso di
alfabetizzazione”.
I cittadini sembrano aver accettato la presenza di questi assoluti “foresti”, di cui
riconoscono l’impegno nel lavoro (aspetto molto apprezzato dagli ortoveresi): “Noi
vediamo alla sera quando stiamo nel campo di calcio, c'è un gruppo di albanesi che
comunque lavora; ci sono due ragazzi albanesi che lavorano da un mio amico,
regolarmente. Fanno parte comunque del divertimento, la sera giocano con noi: gente
positiva. Qua in zona ci sono tanti albanesi: al sabato sera non vengono in giro con noi,
però durante la settimana ci incontriamo…”.
E’ presente la consapevolezza che i tempi dell’integrazione non sono immediati, né da
una parte (“La chiusura c'è, la paura c'è… anche la diffidenza… adesso cominciano a
vedere che poi dopotutto questi non sono così sporchi e cattivi come gli indiani nei
film… però è chiaro che ci vuole tempo”) né dall’altra (“Secondo me poi non gliene
frega neanche niente di integrarsi più di tanto, ma penso che sia normale, come quando
i meridionali venivano al Nord: si tendeva ad associarsi”; “E’ la loro cultura, di non
dare confidenza”).
Vengono riconosciute e comprese le differenze: “Non hanno la mentalità della sagra,
della festa paesana. Non vengono, è difficile che vengano, anche perché il mangiare è
diverso dal nostro”; “Questi sono parecchio foresti! E visibilmente, perché hanno il
velo, perché sono diversi, parlano un'altra lingua, non vengono a messa…”.
Qualcuno sottolinea la chiusura degli immigrati, vedendo tuttavia connessioni con la
realtà di Ortovero e quindi individuando possibili aperture: “E poi all'inizio anche le
maestre dicevano che qui il clima è di chiusura… io ne conosco diversi che sono
chiusi… tutto dipende da come ti poni… se mandi segnali di chiusura, loro si chiudono
a loro volta e buonanotte… se invece mandi segnali di apertura, di disponibilità…le
cose sono diverse… io l'ho spiegato alle mie colleghe… guardate che questi arrivano da
una zona rurale, un po' chiusa e si trovano in un'altra situazione rurale altrettanto
chiusa…”; “Comunque lì ce n'è ancora da lavorare.. sono due mondi che sono ancora..
non si può pensare che basti fare una sagra… c'è gente che ha voglia di conoscere, e c'è
tanta gente che, si sa, no? Manco morto…”.
Vengono comunque promosse occasioni di scambi culturali, sia in contesto scolastico
(“Faccio delle lezioni ai bambini cercando gli arabismi nel dialetto, che è divertente
perché ce ne sono tantissimi, per esempio i carciofi, Albenga è la patria del carciofo,
carciofo è una parola araba…”), sia fra gli adulti (“Nel corso di alfabetizzazione c'è
una delle donne che ogni tanto ci porta poi i dolcetti o qualche piatto loro da farci
assaggiare”).
Vengono riconosciuti agli immigrati bisogni e diritti: “Ci sono dei diritti molto
importanti, che sono alla base della Carta europea; se si dà il lavoro, la lingua, sono
diritti, quindi uno è cittadino, è una cosa molto importante…se ho la lingua, il lavoro, la
casa, ho anche diritti”; “E’ giusto che i bambini stranieri mantengano la loro lingua,
per mantenere l'identità; oggi ci sono già bambini marocchini che non sanno il
marocchino, però sanno l'italiano…”.
Non vengono ignorati i problemi della comunità degli immigrati, né per quanto
riguarda la gestione della quotidianità (“Perché lavorano e questo è il dramma di tanti
bambini stranieri i cui genitori non possono neanche pagare qualcuno, per cui stanno
per la strada e se uno sta tutto il giorno per la strada prima o poi…”) né per ciò che
concerne le differenze culturali (“Le donne, c'erano dei corsi serali a cui loro non
potevano partecipare perché di sera non possono uscire e poi perché la maggior parte
di loro sono musulmane e se c'è un uomo le ragazze con più di 12 anni non possono
esserci”).
Va tuttavia detto che la volontà della comunità di Ortovero (e in modo particolare
dell’Amministrazione comunale) sembra essere quella di ridurre al minimo le
situazioni di disagio per gli immigrati, soprattutto per le donne (v. corsi di
alfabetizzazione pomeridiani).
Le prospettive per il futuro vedono la necessità di prepararsi ad affrontare
adeguatamente il fenomeno dell’immigrazione: “Piaccia o meno gli immigrati ci sono e
portano su parenti, amici e conoscenti, quindi…attrezziamoci e diamoci da fare”.
5. CENNI CONCLUSIVI
Il cambiamento di una comunità passa anche attraverso la
messa in atto di attività e servizi che propongono nuove alleanze.
Potremmo dire con Iscoe (1974) che una comunità competente offre:
a) il potere di generare alternative e opportunità, b) sapere come e
dove ottenere risorse, c) autostima in forma di orgoglio, ottimismo e
motivazione.
Gli interventi di comunità, su cui si è basata questa ricerca, corrispondono ad un modo di
pensare, una concezione che intende considerare non solo i problemi del contesto in cui
si lavora ma anche e soprattutto le risorse del territorio. L’enfasi posta sull’approccio
ecologico dal modello di lavoro consente di vedere i problemi in termini di adattamento
delle persone alle risorse e alle circostanze, e non solo come un problema
esclusivamente individuale. Da quanto sopra detto consegue che, secondo questa
prospettiva, forme di disagio o disadattamento possono essere mutate ridefinendo e
riequilibrando la disponibilità delle risorse; ciò richiede di pensare a nuovi servizi, a
nuove alleanze tra istituzioni, a nuove relazioni tra persone.
Il concetto di prevenzione offre differenti stadi e modi di intervento e si propone di
individuare i tempi utili per evitare che il comportamento problematico o deviante si
manifesti. Non solo, ma fa parte di questo paradigma di lavoro il pensare ad azioni
proattive che, prefigurando condizioni di benessere e di una alta qualità del livello di
vita, favoriscano il fronteggiamento - nonché condizioni reattive specifiche - rispetto a
specifici tipi di disagi che nascono nella Comunità. Tutto ciò ha valore in qualunque
ambito la prevenzione intenda lavorare, ma a maggior ragione per il problema delle
dipendenze.
L’analisi dei vissuti e delle percezioni che gli stake holders - figure carismatiche e
significative della comunità - hanno nei confronti di tutto ciò che si muove nel loro
territorio è un elemento basilare di decodifica delle condizioni problematiche e delle
eventuali linee di cambiamento. Si attribuisce a queste figure l’importante funzione di
sensori delle condizioni di benessere/malessere della comunità e la responsabilità
dell’individuazione e gestione delle linee di cambiamento della stessa.
Dal lavoro sulla comunità di Ortovero sono emersi elementi significativi del forte
processo identitario del territorio associati a un sistema pregnante di valori. Nel
contempo molti aspetti positivi (la capacità di essere flessibili nei confronti di una
importante condizione di cambiamento demografico, l’attenzione a figure deboli come
gli anziani o gli immigrati, la presenza di un sistema di volontariato solido e articolato)
mettono in evidenza l’esistenza di una rete di rapporti molto connessa ma non
eccessivamente vincolante e conformista, in grado di accogliere anche le persone in fase
di cambiamento (adolescenti, giovani, immigrati) che necessitano di una tutela
accompagnata alla comprensione dei loro specifici bisogni. In altre parole, tutto ciò
prefigura un contesto “bene-stante” e abbastanza funzionale per le diverse età e i diversi
bisogni degli appartenenti alla comunità.
Quali sono allora i problemi emersi dal lavoro di ricerca? Le difficoltà sono
principalmente da ascrivere a due ordini di difficoltà: il primo, di tipo familiare,
corrisponde a quello che è stato definito come “il gusto di fare fatica”. La cura per il
proprio lavoro, che è un valore, diventa elemento di alienazione quando l’impegno
divide gli appartenenti al nucleo familiare e, in particolare, lascia i bambini e gli
adolescenti privi di adulti che li aiutino ad interpretare le loro realtà e a scegliere
strategie di vita che li tutelino. Questo prefigura, nei fatti, non un abbandono ma la
rinuncia degli adulti al loro ruolo di filtro e di guida fattuale, per lasciarli a gestire una
presenza percepita dai giovani come sostanzialmente formale. Questa situazione è
particolarmente rischiosa perché consegna i ragazzi alla dipendenza da modelli casuali o
mediatici, quando non devianti, e rende pressoché irrecuperabile la comunicazione con
le figure genitoriali. Il secondo problema riguarda, invece, un aspetto di tipo
istituzionale: la mancanza di servizi laici e di organizzazioni orientate all’accoglienza
degli adolescenti e dei giovani, evitando che sia solo la Chiesa a tentare di colmare
questa lacuna.
Entrambi gli ordini di difficoltà richiedono che si pensi allo sviluppo di uno o più setting
significativi che vadano a colmare questi vuoti nella comunità di Ortovero.
Come e perché lavorare alla creazione di nuovi setting? In una società in cambiamento la
capacità degli stake holders si fonda sull’individuazione e sulla costruzione di setting
utili per l’attivazione di nuove relazioni e di contesti di cambiamento sinergici per
l’intera comunità. Rispetto a ciò e ogniqualvolta si intenda costruire un nuovo servizio le
aree da prendere in considerazione sono le seguenti:
significati e cultura - quali sono i valori e i modelli di riferimento che si
intende proporre per il servizio o l’organizzazione nascente;
bisogni - a quali bisogni il servizio intende offrire risposte;
empowerment - quale è il/i gruppo/i cui si intende riconoscere e attribuire
competenza e potere;
relazioni - quali relazioni verranno attivate e stabilite dalla struttura nascente;
informazioni e comunicazioni - come il nuovo servizio si connetterà con le
altre organizzazioni e istituzioni territoriali;
quando e come verrà valutata la soddisfazione dei clienti.
Queste quindi le sfide e le opportunità che si aprono per la comunità di Ortovero.
immigrazione
comunità
scuola
Ruolo delle
istituzioni
adolescentie giovani
dipendenze
famiglia
valori
LA COMUNITÀ DI ORTOVERO: I NODI FONDAMENTALI (fig.1)
competenze, impegno
e offerte della comunitàriconoscimento dei bisogni specifici
problemi e difficoltà
futuro
Adolescenti e giovani
Modello complessivo dei bisogni e dei problemi dei giovani (fig.5a)
Competenze, impegno
e offerte della comunità
coinvolgimento dei ragazzini
riduzione disagio giovanile
impegno del paese verso i giovani
importanza di ascoltare i giovani
luoghi di incontro adolescenti
paese immune da disagio giovanilecomportamenti adolescenziali
riconoscimento dei bisogni specificitempo libero adolescenti
bisogni dei ragazzi
conoscenza del mondo giovaniledifferenze generazionali
funzione ragazzi più grandi come modello
impegni extrascolastici interesse dei ragazzi per lo sport
opposizione alle istituzioni
riconoscimento del compito evolutivo
ruolo del gruppo
Funzioni della comunità e degli adulti nei confronti dei giovani (fig.5b)
problemi e difficoltà)
comportamenti sessuali a rischio
difficoltà a coinvolgere giovani
difficoltà a comprendere
i giovani
difficoltà del controllo degli adolescenti
disagio giovanile
esigenze di strutture per i giovani interventi di contenimento
da parte delle istituzioni
mancanza di comunicazione
rischi evolutivi
rischi dell’esclusione sociale'
solitudine giovani
mancanza di rispetto delle nuove generazioni
futuro
speranza di aiutare i giovani
strategie aggancio adolescenti
Problemi e difficoltà di adolescenti e giovani. Prospettive per il futuro (fig.5c)
scuola
competenze e funzioni riconosciute
accoglienza da parte del gruppo
facilità di rapporti con
scuola di infanzia
ruolo della scuola
apprezzamento della scuola locale
problemi
atteggiamento insegnantidelega alla scuola
difficoltà della scuola ad assumere
compiti educatividifficoltà rapporti con scuola media
difficoltà del controllo degli adolescenti
Competenze, funzioni e problemi della scuola (fig.4)
atteggiamento positivo
verso gli immigrati
integrazione dei bambini
immigrati
apprezzamento verso gli immigrati
bambini come mediatori
tra culture
cultura come emancipazione immigrati
integrazione degli immigrati
regolarità immigrazione
ruolo pubblico uomini immigrati
sostegno interno comunità immigrati
bisogni degli immigrati
Situazioni di fatto
differenze culturali
difficoltà genitori immigrati
difficoltà di integrazione degli immigrati
esigenze integrazione degli immigrati
presenza immigrati
scambi culturali
vincoli per donne immigrate
atteggiamenti negativi1 1
chiusura verso gli immigrati
chiusura degli immigrati insicurezza legata a immigrati
mancanza attenzione verso bambini immigrati
Immigrazione e atteggiamenti verso gli immigrati .Atteggiamenti positivi (fig.7a)
associazionismo
competenze e collaborazioni capacità
organizzazione
eventi
collaborazione tra associazioni
'formazione del volontariato
funzione preventiva del volontariato
funzioni della cantina sociale
volontariato
ruolo delle istituzioni
difficoltà
difficoltà a trovare volontari
fatica del volontariatofinanziamento attività
costruzione di senso di identità
pro loco come elemento di aggregazione
(
importanza di comunità attiva
sagre come momento di aggregazione
sport come momento di aggregazione
Immigrazione e atteggiamenti verso gli immigrati. Atteggiamenti negativi (fig.7b)
normalizzazione
delle droghe
dipendenza da televisione
droga come espressione
di un fenomeno culturale
droga come status sociale
droga fenomeno di costume
normalità della droga
problema di tutti
tolleranza sociale all’uso di alcol'
travisamento informazioni sulla droga consapevolezza dei ragazzi
conoscenza dei ragazzi del fenomeno droga
consapevolezza dei ragazzi
percezione di gestione della droga
Ruolo delle Istituzioni (fig.3)
prevenzione
ruolo esperti esterni
campagne preventive
funzione di prevenzione
delle agenzie educative
carenze
inutilità delle informazioni sulla droga
mancanza di
informazione sulla droga
mancanza di una politica di prevenzione
morti connesse a droga
atteggiamento verso
le dipendenze
uso di alcol
spaccio
paese immune da droga
negazione del problema droga
hashish
droghe
difficoltà gestione droga
conseguenze uso di alcol
consapevolezza della presenza di droga
cocaina
problema delle dipendenze
Atteggiamenti verso le dipendenze (fig.6a)
valori
attenzione verso gli altri
accettazione del cambiamento
attenzione alla cura delle persone
integrazione del “foresto”
impegno nel sociale
partecipazione
solidarietà volontariato per la comunità
disvalori
assenza di valori
chiusura degli ortoveresifatica legata al lavoro
perdita della cultura locale
perdita di valori come rischio
resistenza al cambiamento
scarsa considerazione
della cultura
mantenimento dei valori di comunità
realtà “sana”
lavoro come valore
valori della comunità
trasmissione generazionale delle tradizioni
cura familiare degli anziani
mantenimento tradizioni
anziani depositari delle tradizioni
agricoltura come risorsa
atteggiamento verso il futuro
complessità presente e futuro-
ottimismo sul futuro
Atteggiamenti verso le dipendenze e prevenzione (fig.6b)
I valori (fig.2)
PPuunnttii ddii ffoorrzzaa ee ddii ddeebboolleezzzzaa ddeellllaa ccoommuunniittàà ddii
OOrrttoovveerroo
Punti di forza
Criticità
Valori, tradizioni Ruolo della famiglia Associazionismo Rapporti con adolescenti e giovani Ruolo istituzioni Nuovi residenti
Senso di comunità