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Il mondo del lavoro, dell'assistenza, della sanità, quello della scuola e dell'università, i temi della sal- vaguardia dell'ambiente e della qualità della vita, l’analisi dei fenomeni migratori, sono le chiavi di interpretazione di una nuova domanda sociale. L'associazione Nuovo Welfare si propone di studia- re i nuovi bisogni determinati dalle trasformazioni economiche, politiche e sociali per fornire indagi- ni, ricerche, monitoraggi dello stato applicativo delle leggi, approfondimenti oltre che promuovere e valorizzare proposte innovative di protezione sociale a partire dalle esperienze che vedono come protagonisti la cittadinanza attiva, il no profit e le Amministrazioni locali. Attraverso il contributo di ricercatori, esperti ed operatori, docenti, economisti, sociologi, parla- mentari e amministratori pubblici, l'associazione vuole contribuire alla promozione di una cultura del sociale costruendo percorsi di studio e di for- mazione/informazione attivando le competenze diffuse sul territorio. Questa prima monografia della collana Social Monitor affronta il tema dello stato di applicazione regionale della legge 328/00 fornendo un monito- raggio completo della situazione. Questa pubblicazione è realizzata con il contributo di: IL LUNGO CAMMINO DELLA RIFORMA Nuovo Welfare Associazione social monitor IL LUNGO CAMMINO DELLA RIFORMA IL LUNGO CAMMINO DELLA RIFORMA Monitoraggio sull’applicazione della normativa sociale in Italia 1 1

Il lungo cammino della riforma

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La ricerca, promossa dall’Associazione Nuovo Welfare e contenuta nel libro "Il lungo cammino della riforma", si è posta l’obiettivo di monitorare il processo di applicazione della normativa nazionale a livello regionale e di verificare la presenza di un progetto condiviso di adesione ai principi della riforma assistenziale. La ricerca si compone di tre livelli di indagine: 1. lo studio dello stato di recepimento/attuazione della normativa nazionale nelle singole Regioni; 2. l’analisi di un caso significativo; 3. l’individuazione di uno scenario previsionale. Fulcro dell'indagine è l’analisi dello stato di attuazione della legge quadro di riforma dei servizi sociali a livello regionale. Il lavoro è articolato in schede riferite alle singole Regioni. In ciascuna scheda vengono approfonditi i contenuti dei Piani sociali Regionali, laddove emanati, ed offerto un quadro degli adempimenti di competenza regionale adottati in attuazione della riforma nazionale. Ciascuna scheda è accompagnata

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Il mondo del lavoro, dell'assistenza, della sanità,quello della scuola e dell'università, i temi della sal-vaguardia dell'ambiente e della qualità della vita,l’analisi dei fenomeni migratori, sono le chiavi diinterpretazione di una nuova domanda sociale.

L'associazione Nuovo Welfare si propone di studia-re i nuovi bisogni determinati dalle trasformazionieconomiche, politiche e sociali per fornire indagi-ni, ricerche, monitoraggi dello stato applicativodelle leggi, approfondimenti oltre che promuoveree valorizzare proposte innovative di protezionesociale a partire dalle esperienze che vedono comeprotagonisti la cittadinanza attiva, il no profit e leAmministrazioni locali.

Attraverso il contributo di ricercatori, esperti edoperatori, docenti, economisti, sociologi, parla-mentari e amministratori pubblici, l'associazionevuole contribuire alla promozione di una culturadel sociale costruendo percorsi di studio e di for-mazione/informazione attivando le competenzediffuse sul territorio.

Questa prima monografia della collana SocialMonitor affronta il tema dello stato di applicazioneregionale della legge 328/00 fornendo un monito-raggio completo della situazione.

Questa pubblicazione è realizzata con il contributo di:

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A cura di Daniela Bucci

social monitor

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Nuovo WelfareAssoc i a z i one

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IINNDDIICCEE

Prefazione 9

1. Introduzione 11

PPaarrttee pprriimmaa -- LLaa rriivvoolluuzziioonnee ccooppeerrnniiccaannaa ddeeii sseerrvviizzii ssoocciiaallii (D. Bucci, E. Mazzitelli)

2. Dalle politiche assistenzialistiche alle politiche sociali attive 142.1. Dalla Crispi... 142.2. La riforma dei servizi sociali 152.2.1. I soggetti della politica sociale 162.3. Gli atti applicativi 182.4. Un’eredità dimenticata? 20

PPaarrttee sseeccoonnddaa -- LLaa mmaappppaa ddeeii sseerrvviizzii ssoocciiaallii (D. Bucci, V. Piersanti, S. Tricoli, E. Zollerano)

3. I welfare regionali 243.1. Premessa 24

Abruzzo 29Basilicata 29Provincia autonoma di Bolzano 35Calabria 40Campania 40Emilia Romagna 45Friuli Venezia Giulia 50Lazio 51Liguria 56Lombardia 61Marche 67Molise 73Piemonte 76Puglia 80Sardegna 83Sicilia 88Toscana 88Provincia autonoma di Trento 93Umbria 95Valle D’Aosta 101Veneto 107

PPaarrttee tteerrzzaa -- IIll ccaassoo MMaarrcchhee (S. Tricoli)

4. Tessere la rete 1184.1. Premessa 1184.2. Una corsa ad ostacoli: il percorso di approvazione del Piano 1184.3. Dall’applicazione del Piano alla sua attuazione: la nascita di una rete 1194.4. La particolarità delle Marche 1204.5. Conclusioni 120

PPaarrttee qquuaarrttaa -- UUnn qquuaaddrroo dd’’iinnssiieemmee (D. Bucci, V. Piersanti, S. Tricoli)

5. Il punto sullo stato di attuazione della legge quadro 1245.1. Nessun promosso, molti rimandati 1245.2. La fotografia di un’Italia a più marce 1245.3. I Livelli essenziali di assistenza in ambito territoriale 1265.4. I Titoli per l’acquisto dei servizi sociali 1275.5. Una panoramica generale 127

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PPaarrttee qquuiinnttaa -- IInnddaaggiinnee DDeellpphhii (D. Bucci, A. Lizambri)

6. Il futuro della legge 328/2000 tra vincoli ed opportunità 1306.1. Introduzione 130

7. Verso un nuovo modello di servizi sociali 1307.1. Croci e delizie delle politiche sociali 1307.1.1. Tra qualità e quantità 1317.2. Sinergie pubblico – privato 1317.2.1. La nascita di un mercato sociale concorrenziale 131

8. Nuove opportunità per i cittadini 1328.1. Politiche sociali a misura d’uomo 1328.2. I nuovi servizi 1328.3. Universalismo selettivo 1328.3.1. I destinatari 132

9. Valutare la qualità 1339.1. Un obiettivo ancora lontano 1339.2. Gli strumenti di valutazione 133

10. L’informatizzazione dei servizi sociali 13410.1. Resistere 134

11. Un sistema territorialmente squilibrato 13411.1. Il doppio passo italiano 13411.1.1. Il peso della storia 13511.2. La questione meridionale 13511.3. La classifica regionale 13511.4. Disomogeneità locali 136

12. I poteri pubblici 13612.1. Un cambio di direzione 13612.2. La politica di mercato 13712.3. Standard regionali 13712.4. Neocentralismo regionale 137

13. L’apporto dei soggetti non istituzionali 13813.1. Il ruolo delle organizzazioni no profit, della cooperazione 13813.2. Parola d’ordine: coprogettare 13913.3. Binari di collaborazione 13913.3.1. Attriti ed Accordi 139

14. Ostacoli all’attuazione della legge 140

15. L’impatto sul mercato del lavoro 14115.1. Crescita quali-quantitativa del personale sociale 14115.2. La specializzazione del lavoro sociale 14115.3. Vecchie e nuove competenze 142

16. I pro e i contro della legge tra il 2002 ed il 2005 142

17. Future modifiche o integrazioni 14317.1. Una riforma durevole 143

18. Nota metodologica 14318.1. Il metodo 14318.2. Le dimensioni indagate 143

19. Gli Esperti 144

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PPRREEFFAAZZIIOONNEE

Questo libro è il primo di una collana di pubblicazioni promossa dall’Associazione Nuovo Welfare chiamata SocialMonitor. La collana di pubblicazioni vuole essere uno degli strumenti che l’associazione si è data per realizzare l’o-biettivo di fornire indagini e proposte, studi e occasioni di approfondimento con l’intenzione di ricercare, valorizzaree promuovere proposte innovative di protezione sociale.

Il dibattito attorno alla riforma del welfare ed in particolare alla riforma del welfare locale, municipale o regiona-le, quando non viziato da obiettivi di ridimensionamento o di arretramento nei confronti di conquiste o di modelli pre-cedenti, può essere uno straordinario strumento per proporre nuove chiavi di interpretazione di una domanda socia-le che cambia, inevitabilmente, con il determinarsi di trasformazioni economiche politiche e sociali e con il generarsidi nuovi bisogni.

La sfida, oggi, è quella di rilanciare le politiche di welfare tenendo conto di queste trasformazioni e valorizzando leopportunità offerte anche dalle politiche locali, dalle esperienze di coinvolgimento della cittadinanza attiva e del terzosettore volte ad allargare il campo delle protezioni e dei diritti.

L’associazione Nuovo Welfare nasce per dare un piccolo contributo a questo dibattito coinvolgendo ricercatori,esperti ed operatori, docenti universitari, economisti, sociologi, parlamentari e amministratori pubblici e fornendostudi utili alla promozione di una cultura del sociale, alla valorizzazione e alla comprensione di esperienze che spes-so rischiano di passare inosservate.

L’associazione, insomma, grazie al contributo di tanti, vuole mettere a disposizione materiale e stimolare la curio-sità, la voglia di ricerca attorno ad una delle più importanti conquiste del secolo che ci siamo lasciati alle spalle: il wel-fare. In questa prima pubblicazione viene affrontato un tema di grande importanza: la legge quadro di riforma dei ser-vizi sociali.

L’approvazione di questa legge nel 2000 è stata accolta come uno dei punti fondamentali nell’innovazione del wel-fare del nostro paese anche per il ruolo centrale previsto per le Regioni e gli Enti Locali.

Si è voluto partire da questa considerazione per realizzare la ricerca, verificando “il cammino della riforma”,vedendo come uno strumento coraggioso di grande innovazione come la legge 328\00 fosse stato recepito e attuato alivello regionale.

Per questo, dopo aver individuato quali fossero gli adempimenti previsti per le regioni dalla legge è iniziata la veri-fica dello “ stato dei lavori” sul territorio.

Lo studio è stato complesso sia per i diversi approcci, anche organizzativi, messi in campo dalle regioni sia perchéil tipo di monitoraggio che veniva fatto avveniva, o almeno così è sembrato, molto spesso per la prima volta a due annidall’approvazione della legge.

Il risultato di questo lungo lavoro realizzato da sei ricercatori è questa pubblicazione che può essere strumento utileper la riflessione e il confronto.

Quello che è necessario sottolineare è che il ritardo di molte regioni rischia di non far decollare la riforma, men-tre un debole coordinamento o addirittura un disinteresse del Governo rischierebbe di accentuare la disparità, che giàsembra delinearsi, di prestazioni sul territorio, determinata da interpretazioni e priorità differenti.

Si pensi ad esempio all’introduzione dei Titoli per l’acquisto dei servizi sociali e al diverso atteggiamento nutritodalle regioni nei confronti del processo di esternalizzazione degli interventi assistenziali, che potrebbe essere accele-rato dalla filosofia dei bonus spendibili presso qualsiasi ente convenzionato.

Significativo in proposito è il caso della Lombardia, che non accompagna la disciplina dei bonus con la definizio-ne dei livelli essenziali di assistenza, se si tiene conto che le indicazioni della legge prevedevano l’introduzione di que-sto strumento nell’ambito di un percorso assistenziale attivo, per l’integrazione o la reintegrazione sociale dei sogget-ti beneficiari.

Questo esempio può servire a comprendere quanto il dibattito sull’applicazione della legge sia ancora aperto equanto sia importante a nostro parere non stravolgerne la filosofia e la cultura che la caratterizzano.

Emiliano Monteverde

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11.. IINNTTRROODDUUZZIIOONNEE

La “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” (legge n.328/2000) rappresenta l’esito del prolungato ed intenso sforzo di riflessione, operato all’interno del nostroPaese, sulla riforma dell’assistenza sociale.

I cambiamenti avvenuti nel sistema di produzione e l’emergere o il riemergere di alcuni grandi problemisociali, nei Paesi europei, hanno posto la necessità di rivedere completamente il sistema di protezione sociale,così come organizzato dopo la seconda guerra mondiale. La povertà economica, il crollo occupazionale, l’in-vecchiamento della popolazione, l’immigrazione dai Paesi del terzo mondo e dall’Est europeo, la crisi dellafamiglia tradizionale sono problemi che hanno impattato con i modelli di welfare presenti in Europa, e in Italiain particolare, innescando un grosso dibattito sulla possibilità di rileggere le tradizionali forme di protezionesociale, caratterizzate da un welfare fortemente centralizzato e basato esclusivamente su forme monetarie diassistenza.

La rifondazione del welfare state su basi “comunitarie” è l’ipotesi avanzata da una parte sempre più consi-stente di studiosi dell’economia e della società, nella convinzione che un vero ed efficace sistema di protezionesociale possa esistere solo attraverso la creazione di una rete di solidarietà tra cittadini singoli ed associati,all’interno dei vari luoghi in cui si svolge la vita quotidiana. Da più parti viene sottolineata la necessità di trans-itare da un modello di assistenza incentrato sull’asse individuo – domanda – emergenza, che storicamente èstato supportato sotto il profilo organizzativo da strutture centralizzate di erogazione su domanda, ad un model-lo promozionale che poggi sull’asse comunità – bisogni – sviluppo.

In questo quadro, la legge di riforma dei servizi sociali costituisce uno dei tasselli fondamentali di innova-zione del sistema italiano di welfare. Essa risponde all’obiettivo di generare un sistema integrato di interventi eservizi sociali, che favorisca una maggiore equità e sia in grado di garantire standard di prestazioni omogeneesull’intero territorio nazionale. L’intento di fondo del provvedimento è quello di realizzare il passaggio da unsistema di interventi “riparativi” ad un sistema di protezione sociale attiva, che privilegi le persone, e non lecategorie, e che offra prestazioni flessibili e personalizzate.

Il modello di welfare comunitario, disegnato dalla legge quadro, è caratterizzato da una forte opzione fede-ralista. I Comuni rappresentano il motore operativo della macchina sociale, ma alle Regioni è riservata, in viapraticamente esclusiva, la titolarità della funzione di programmazione.

In passato, le Regioni non sono state occupate sul fronte della pianificazione sociale in modo così importa-te ed impegnativo come accade adesso, a causa, in parte, della convinzione che i servizi sociali riguardasserosoltanto i bisogni di una minoranza di cittadini e che l’oggetto delle politiche sociali fosse l’assistenza agli esclu-si.

Solo negli ultimi anni, il quadro normativo di riferimento è venuto a cambiare.Con il D.lgs. n.1121 prima e con la legge 328/2000 dopo, i servizi sociali sono stati definiti come il com-

plesso delle attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi o di prestazioni economiche destinatea rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana può incontra nel corso dellasua vita2. Ai servizi sociali è stata quindi affidata una diversa missione. Essi devono operare per rimuovere esuperare le situazioni di bisogno e di difficoltà della persona umana in generale, e non solo le esigenze dei cit-tadini esclusi, al fine di offrire aiuto e sostegno ad una normalità che è diventata negli anni sempre più proble-matica e a rischio.

Coerentemente con questo, si è chiesto alle politiche sociali di predisporre ed erogare servizi e prestazionieconomiche attraverso progetti, iniziative ed interventi integrati, pensati e realizzati sulla base del principiodemocratico della partecipazione sociale.

In questa direzione, l’obiettivo della ricerca presentata in questo rapporto è quello di monitorare il proces-so di applicazione della normativa nazionale a livello regionale e di verificare la presenza di un progetto con-diviso di adesione ai principi della riforma assistenziale.

Il lavoro è articolato in cinque parti.Nella prima parte viene affrontato il tema del cambiamento della cornice legislativa a livello nazionale e delle

implicazioni che questo comporta.Nella seconda parte viene analizzata la situazione relativa ad ogni singola Regione, in funzione degli adem-

pimenti previsti dalla legge di riforma e limitatamente alle sole competenze regionali.Nella terza parte viene illustrato in profondità un caso particolarmente significativo.Nella quarta parte viene fornito un quadro complessivo dello stato di applicazione della riforma assistenzia-

le.Infine, nella quinta ed ultima parte vengono presentati i risultati dell’indagine previsionale “Il futuro della

legge 328/2000 tra vincoli ed opportunità”.

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PPaarrttee pprriimmaa

LLAA RRIIVVOOLLUUZZIIOONNEE CCOOPPEERRNNIICCAANNAA DDEEII SSEERRVVIIZZII SSOOCCIIAALLII((DDaanniieellaa BBuuccccii,, EErrmmaannnnoo MMaazzzziitteellllii))

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22.. DDAALLLLEE PPOOLLIITTIICCHHEE AASSSSIISSTTEENNZZIIAALLIISSTTIICCHHEE AALLLLEE PPOOLLIITTIICCHHEE SSOOCCIIAALLII AATTTTIIVVEE

2.1. Dalla Crispi…

La struttura del sistema assistenziale italiano, nel corso degli anni, è stata fortemente condizionata dal contesto politi-co e culturale che ha operato per delinearla. Molte sono state le interpretazioni susseguitesi ed almeno altrettante appaio-no le mediazioni tra le diverse anime intervenute, nei disegni di riforma, in oltre un secolo di storia.

Volendo ripercorrere a grandi linee l’evoluzione della legislazione sociale, un primo punto fermo, da cui partire nellanostra ricostruzione, è rappresentato dalla legge n. 6972 del 17 Luglio 1890, meglio conosciuta come “Legge Crispi”.Questo provvedimento stravolse il concetto di assistenza applicato nell’Italia di fine Ottocento ed individuò un nuovo ruolodello Stato nell’azione di risposta ai bisogni individuali e collettivi.

Sino ad allora, il soggetto pubblico, fedele ai principi del liberalismo economico, concependo come unico ruolo nelsettore assistenziale il mantenimento dell’ordine pubblico, aveva interamente delegato agli Enti ecclesiastici un’attivitàche, più che assistenziale, appare corretto definire di beneficenza. D’altra parte, lo sviluppo del movimento operaio e lavoglia della classe borghese di ridimensionare il predominio e l’ingerenza della chiesa nel campo dell’assistenza sociosa-nitaria avevano di fatto creato le premesse affinché il monopolio ecclesiastico venisse ampiamente rivisto.

Grazie alla Legge Crispi, venne attribuita personalità giuridica pubblica alle opere pie già presenti sul territorio, che daquel momento in poi assunsero la denominazione di Istituzioni Pubbliche di Beneficenza, e venne introdotto l’istitu-to del domicilio di soccorso, al fine di stabilire con certezza quale Ente fosse tenuto a fornire assistenza e come dovesse-ro essere ripartite le relative spese. Tutto l’impianto fu strutturato in modo da creare, almeno sulla carta, un primo dise-gno di sistema coordinato tra Stato ed Enti territoriali, anche se, in pratica, l’assistenza pubblica rimase segregata in unruolo marginale, rispetto a quella fornita dalle istituzioni private.

Nonostante le notevoli carenze, ravvisate peraltro da considerevoli fasce dell’opinione pubblica, poco o nulla cambiòsino al periodo fascista3.

La politica sociale del ventennio diede impulso allo sviluppo della legislazione assicurativa e previdenziale, ma con-temporaneamente costituì un numero spropositato di Enti assistenziali (INPS, INAM, INAIL, OMNI, etc.), alcuni dei qualinoti, sino a qualche anno addietro, alla maggioranza degli italiani. Così, mentre da un lato si determinò la proliferazionedell’assistenza specifica, dall’altro quella generica continuò ad evidenziare segni di cedimento in ogni sua parte, a causadi un sistema caratterizzato da verticismo, burocratizzazione e classificazione degli interventi, in funzione delle distinte cate-gorie di bisogno.

La nascita dello Stato Repubblicano portò scritta a chiare lettere la connotazione sociale della sua struttura sin dentrola Carta Costituzionale, affermando negli articoli 3, 31, 32, 34, e 38 i fondamenti sostanziali e di principio del welfare ita-liano. Nell’interpretazione costituzionale, diviene “…compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine econo-mico e sociale che, limitando di fatto l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della personalitàumana (…)” e l’effettivo esercizio della cittadinanza, garantendo “…a chiunque sia inabile al lavoro e privo di mezzidi sussistenza, necessari per vivere, un sostegno continuo e certo (…)”. L’innovazione introdotta dal legislatore appa-re quanto mai evidente se si considera come nel testo non si parli in termini di “assistenza alla malattia”, bensì di “tute-la alla salute”: un carattere positivo della norma, con chiaro intento preventivo, volto a salvaguardare un bene non piùclassificato semplicemente “diritto fondamentale del singolo”, ma “interesse della collettività”4. L’intento è quello diattribuire allo Stato un ruolo di maggiore incisività nell’erogazione delle prestazioni sociali, cercando anche di controlla-re – grazie ai finanziamenti pubblici concessi al settore dell’assistenza – l’operato degli Enti a carattere privato e delle IPAB,che in quegli anni continuarono a rappresentare una delle strutture portanti del complesso sistema sociosanitario.

La mancanza di una visione d’insieme, che unificasse le diverse esperienze e prospettive che convergevano all’internodell’assistenza, generò numerosi squilibri nella ripartizione dei fondi, che vennero il più delle volte attribuiti non in fun-zione delle reali necessità di azione e programmazione, ma piuttosto sulla base delle capacità di contrattazione delle sin-gole categorie.

Il primo scossone, che contribuì a ravvivare il panorama dell’istituto assistenziale, venne dato, nel 1970, dall’istituzio-ne delle Regioni a Statuto Ordinario, che crearono di fatto il primo tassello del futuro decentramento amministrativo.All’interno di questo scenario, maturò una profonda revisione delle istituzioni a carattere nazionale, mentre contempora-neamente gli Enti locali vennero dotati di una maggiore autonomia nell’erogazione delle prestazioni socio-assistenziali.

La legge 833 del 1978, istituendo il Servizio Sanitario Nazionale, segnò la fine di un’organizzazione assistenzialedifferenziata in base alla categoria o mutua di appartenenza. La Creazione delle Unità Sanitarie Locali (Usl) derivò dal-l’esigenza di individuare, su base territoriale, i soggetti competenti a cui ricondurre sia l’assistenza sanitaria che quella distampo prettamente sociale, sino ad allora esercitata dai singoli Comuni.

Questa riforma, più volte rivista negli anni successivi, ebbe l’indubbio merito di produrre una prima rete, capillarmentediffusa sul territorio nazionale, capace di produrre al suo interno una programmazione che coordinasse interventi sanita-ri con altri di profilo socio-assistenziale. Tuttavia appare doveroso sottolineare come una reale e completa realizzazione

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delle potenzialità delle Usl risentì, almeno in parte, della mancanza di una normativa per il riordino del settore sociale.Negli anni ’90, a seguito degli importanti interventi legislativi, in linea con la riforma delle autonomie locali, si è assi-

stito alla progressiva trasformazione del Servizio Sanitario Nazionale, in un’ottica di maggiore territorializzazione edautodeterminazione dei profili distintivi. Lungo questa direttrice sono state valorizzate le forme di partecipazione attivadelle realtà associative e del mondo del volontariato.

Un passo fondamentale è rappresentato dalla Legge Bassanini (lex n. 59 del 1997), che ha applicato il principio disussidiarietà tra gli Enti nazionali e quelli legati alle realtà locali, determinando un nuovo assetto con forte connotazio-ne regionale, provinciale e municipale.

All’interno di questo quadro di riferimento, il riassetto promosso dalla “Legge quadro per la realizzazione di un siste-ma integrato di interventi e servizi sociali” rappresenta non un punto di arrivo, ma una comune base di partenza che,attraverso un’idea di organizzazione leggera, flessibile e non strettamente burocratizzata, mira da integrare funzionalmen-te tutti i soggetti che si trovano ad operare nel settore socio-sanitario, coordinando l’universalità delle prestazioni con ladiversità dei bisogni e stabilendo sulla base di opportuni programmi, un nuovo concetto fondamentale: gli standard diqualità dei servizi erogati.

2.2. La riforma dei servizi sociali

La “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, approvata l’8 Novembre del2000, rappresenta uno dei tasselli fondamentali di innovazione del sistema italiano di welfare.

Nota come “Legge Signorino-Turco” dal nome, rispettivamente, della relatrice del testo base di discussione alla came-ra, Elsa Signorino, e dell’allora Ministro degli Affari Sociali, Livia Turco, la legge 328/2000 è una legge cornice, che ride-finisce il profilo complessivo delle politiche sociali nel nostro Paese. Essa segna il passaggio da un sistema di interventi“riparativi” ad un sistema di protezione sociale attiva, che privilegi le persone, e non le categorie, e che offra prestazioniflessibili e personalizzate. L’intento di fondo del provvedimento è quello di realizzare il superamento dell’accezione tradi-zionale di “assistenza”, quale luogo di bisogni che possono essere discrezionalmente soddisfatti, in favore di una politicasociale attiva, finalizzata alla promozione del benessere delle persone e delle famiglie.

Oggetto della riforma è la creazione di una rete integrata di interventi e servizi sociali, che favorisca una maggiore equi-tà e sia in grado di garantire standard di prestazioni omogenee sull’intero territorio nazionale. L’obiettivo è di generareuna nuova cultura ed una nuova pratica sociale, che siano capaci di mettere in campo più opportunità – sevizi, trasferi-menti economici, buoni servizio – a sostegno delle persone e delle famiglie.

Per garantire la realizzazione degli interventi e dei servizi sociali in forma unitaria ed integrata, la legge prevede il meto-do della programmazione delle azioni e delle risorse, dell’operatività per progetti, della verifica sistematica dei risultati, intermini di qualità e di efficacia delle prestazioni, e della valutazione di impatto di genere.

In particolare, per rispondere al bisogno di integrazione, la legge individua due principi fondamentali:a) il coordinamento e l’integrazione dei servizi sociali con gli interventi sanitari e dell’istruzione, con le politiche atti-

ve di formazione, di avviamento e di reinserimento al lavoro;b) la concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali e tra questi ed i soggetti operanti nel terzo settore, le

organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale e le aziende sanitarie locali, per le prestazionisocio- sanitarie ad elevata integrazione sanitaria.

Dati questi presupposti, il perseguimento delle finalità individuate dalla riforma avviene attraverso politiche e presta-zioni coordinate nei diversi settori della vita sociale, integrando servizi alla persona ed al nucleo famigliare con eventualimisure economiche, nonché attraverso la definizione di percorsi attivi volti ad ottimizzare l’efficacia delle risorse, impedi-re sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle risposte.

Oltre a definire il percorso e gli strumenti per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, la leggestabilisce il livello essenziale delle prestazioni erogabili sottoforma di beni e servizi. Ciò avviene attraverso l’identificazionedi una serie di misure sociali considerate imprescindibili, finalizzate al sostegno ed all’integrazione dei soggetti in condi-zione di disagio:

a) misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito e servizi di accompagnamento, con particolare riferimen-to alle persone senza fissa dimora;

b) misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio di persone totalmente dipendenti oincapaci di compiere gli atti propri della vita quotidiana;

c) interventi di sostegno per i minori in situazioni di disagio, tramite il supporto al nucleo familiare di origine e l’inse-rimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, e per la promozione dei dirittidell’infanzia e dell’adolescenza;

d) misure per il sostegno delle responsabilità familiari, per favorire l’armonizzazione del tempo di lavoro e di curafamiliare;

e) misure di sostegno alle donne in difficoltà;f) interventi per la piena integrazione dei disabili; realizzazione di centri socio-riabilitativi e di comunità-alloggio, per

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le persone con handicap in situazione di gravità, e di servizi di comunità e di accoglienza, per quelle prive di sostegnofamiliare, nonché erogazione delle prestazioni di sostituzione temporanea delle famiglie;

g) interventi per le persone anziane e disabili, per favorire la permanenza a domicilio, per l’inserimento presso fami-glie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, nonché per l’accoglienza e la socializzazione pressostrutture residenziali e semiresidenziali per coloro che, in ragione della elevata fragilità personale o di limitazione dell’au-tonomia, non siano assistibili a domicilio;

h) prestazioni integrate di tipo socio-educativo, per contrastare dipendenze da droghe, alcool e farmaci, favorendointerventi di natura preventiva, di recupero e reinserimento sociale;

i) informazione e consulenza alle persone e alle famiglie, per favorire la fruizione dei servizi e per promuovere inizia-tive di auto-aiuto.

Da sottolineare il ruolo di primo piano riconosciuto alla famiglia, che la legge si impegna a valorizzare, sostenere,responsabilizzare e coinvolgere nell’organizzazione dei servizi assistenziali.

Sempre allo scopo di migliorare le modalità di intervento sull’utenza, il provvedimento disciplina la realizzazione diprogetti particolari di integrazione e protezione sociale a favore delle persone disabili e degli anziani non autosufficienti.Tra i vari obiettivi della riforma c’è infatti l’impegno a favorire, nel campo dei servizi socio-assistenziali, interventi di tipoinnovativo e sperimentale, attraverso la predisposizione di progetti individuali, capaci di coinvolgere l’interessato stessonella stesura del proprio piano d’intervento.

2.2.1. I soggetti della politica sociale

Il modello di welfare comunitario, delineato dalla riforma, è caratterizzato da una forte opzione federalista.Capovolgendo la sequenza tradizionale circa i livelli territoriali di competenza degli Enti pubblici, la legge indica dap-

prima il ruolo dei Comuni, quindi passa alle Province, poi alle Regioni ed infine allo Stato.I Comuni rappresentano il motore operativo della macchina sociale. Essi sono posti al centro della riforma, con un

ruolo che possiamo definire di “registi dell’azione”.La legge attribuisce alla Municipalità la titolarità delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali a livel-

lo locale. Ad essa spettano la programmazione, la progettazione e la realizzazione del sistema locale degli interventi socia-li a rete, nonché l’erogazione dei servizi e delle prestazioni economiche.

Il ruolo comunale non si esaurisce tuttavia con l’attuazione dei progetti e delle iniziative sociali, ma prevede anche ildifficile compito di vigilanza dell’azione amministrativa.

I Comuni sono i primi soggetti responsabili del controllo delle prestazioni erogate. Ad essi compete il rilascio delleautorizzazione, l’accreditamento e la corretta vigilanza sui servizi sociali e sulle strutture a ciclo residenziale e semiresi-denziale a gestione pubblica e del privato sociale. E sempre loro spetta l’adozione di strumenti per la semplificazioneamministrativa ed il controllo di gestione atti a valutare l’efficacia e l’efficienza delle prestazioni.

Ora, mentre le autorizzazioni sono figure giuridiche già operanti nel precedente sistema, l’accreditamento è un istitu-to giuridico del tutto nuovo in campo sociale.

Con l’autorizzazione, il Comune si limita a riconoscere che un soggetto è idoneo ad erogare un certo servizio, posse-dendo i requisiti minimi fissati dalle leggi nazionali e regionali. Con l’accreditamento, la cosa è più complessa, poiché sitratta di individuare quei soggetti che, raggiungendo determinati standard qualitativi, vengono abilitati ad erogare servizipagati direttamente o indirettamente dai Comuni. In questo modo, i cittadini non sono più obbligati a rivolgersi ai soli sog-getti convenzionati, ma possono scegliere fra tutti quelli che hanno ottenuto l’accreditamento. Inoltre, mentre l’autorizza-zione si riferisce normalmente al previo controllo di requisiti minimi formali, con l’accreditamento si scende a verificare,preventivamente ed in seguito con periodicità, il possesso di determinati livelli di qualità dei servizi, secondo standardgeneralmente indicati da regole di buone prassi fissate da organismi soprannazionali. La logica è quella di favorire la plu-ralità di offerta dei servizi, di garantire precisi standard qualitativi e di rispettare il diritto di scelta dei cittadini.

Nella stessa direzione, si colloca l’introduzione dei “titoli per l’acquisto dei servizi sociali”. I Comuni possono diversi-ficare gli interventi assicurati dal sistema integrato, prevedendo la concessione, su richiesta dell’interessato, di buoni vali-di per l’acquisto dei servizi sociali erogati dai soggetti accreditati, pubblici o privati, operanti sul territorio.

Lo strumento principale che la legge mette a disposizione dei Comuni per l’attuazione delle funzioni loro demandate èil Piano di Zona.

Esso ha lo scopo di favorire la formazione di sistemi locali di intervento, che siano fondati su prestazioni e servizi inte-grati finalizzati al miglioramento della qualità della vita.

In particolare, i Piani di Zona devono prevedere:a) gli obiettivi strategici e le priorità di intervento;b) gli strumenti ed i mezzi per la realizzazione della rete locale dei servizi sociali;c) le modalità di collaborazione con gli altri soggetti istituzionali e con i soggetti operanti nell’ambito della solidarietà

sociale a livello locale.Per garantire il benessere della persona e per prevenire e rimuovere le condizioni di disagio, ai Comuni spetta inoltre

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il compito di promuovere le risorse presenti nelle collettività locali, tramite forme di reciprocità e di auto-aiuto, nonchéquello di responsabilizzare i cittadini nella programmazione degli interventi e nella verifica dei risultati.

Le Province, dal canto loro, perdono le tradizionali funzioni gestionali, ma concorrono alla programmazione regiona-le, raccolgono informazioni sui bisogni e le risorse a livello provinciale, offrono supporto e sostegno alla progettazione daparte dei Comuni e promuovono azioni di formazione per gli operatori sociali.

Se i Comuni costituiscono il fulcro operativo della riforma impostata dalla legge, alle Regioni è riservata la titolaritàdella funzione di programmazione.

I governi regionali sono chiamati a programmare, coordinare ed indirizzare gli interventi sociali, a verificarne l’attua-zione a livello territoriale ed a disciplinarne l’integrazione, con particolare riferimento all’attività sanitaria e socio-sanita-ria ad elevata integrazione sanitaria.

Lo strumento prioritario che la legge assegna alle Regioni per l’assolvimento delle funzioni loro attribuite è il PianoRegionale degli interventi e dei servizi sociali. Esso ha lo scopo di favorire la definizione di politiche integrate, in materiadi interventi sociali, sanitari, dell’istruzione, della formazione professionale e del lavoro, e di indicare modalità di colla-borazione e coordinamento con gli Enti locali e con i soggetti operanti nel terzo settore.

Il primo compito, in ordine cronologico, affidato alle Regioni è quello di determinare, tramite forme di concertazionecon gli Enti locali interessati, gli ambiti territoriali per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete. Lalegge prevede incentivi a favore dell’esercizio associato delle funzioni sociali, prospettando la coincidenza degli ambiti ter-ritoriali con i distretti sanitari operanti già da tempo. L’ambito territoriale viene così a rappresentare la dimensione di rife-rimento delle politiche sociali ed il luogo rispetto al quale avviare la programmazione degli interventi e dei servizi locali.

Alle Regioni spetta anche la definizione di una serie di criteri in base ai quali i Comuni, riuniti in ambiti, organizzanola propria attività. Criteri:

a) per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi a gestione pubblica o dei soggetti delprivato sociale;

b) per la concessione da parte dei Comuni dei titoli per l’acquisto di servizi sociali;c) per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni;d) per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.Per quanto concerne, in particolare, la qualità delle prestazioni fornite, la legge stabilisce che le Regioni provvedano a

definire i requisiti per la gestione e per l’erogazione dei servizi sociali. Promuovano metodi e strumenti per il controllo digestione atti a valutare l’efficacia e l’efficienza delle azioni previste. Istituiscano, sulla base di indicatori oggettivi di qualità,i registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività. Esercitino poteri sostitutivi nei confronti degli Enti locali ina-dempienti. Predispongano e finanzino piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività socia-li. Disciplinino le modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti e l’eventuale istituzione di uffici di tuteladei cittadini, che assicurino adeguate forme di indipendenza nei confronti degli Enti erogatori.

Il decentramento impostato dalla riforma non deve far pensare ad una scomparsa delle competenze statali. Il livellolocale delle politiche di welfare non presuppone una delega in bianco agli attori locali, né un disimpegno delle istituzioninazionali. Al contrario, la legge assegna allo Stato l’esercizio delle funzioni di indirizzo, coordinamento e regolazione dellepolitiche sociali.

In particolare, alla macchina statale spetta:a) la determinazione dei principi e degli obiettivi della politica sociale;b) l’individuazione di livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni;c) la fissazione dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strut-

ture a ciclo residenziale e semiresidenziale e per le comunità di tipo familiare;d) l’individuazione dei profili professionali degli operatori sociali e dei requisiti per accedere a tali professioni;e) la ripartizione delle risorse del Fondo Nazionale per le politiche sociali;f) l’esercizio dei poteri sostitutivi in caso di riscontrata inadempienza delle Regioni.L’atto fondamentale di programmazione in materia sociale, individuato dalla riforma, è il Piano Nazionale degli inter-

venti e dei servizi sociali. Ogni tre anni il Governo, tenendo conto delle risorse finanziarie disponibili, predispone il Pianosociale, indicando i requisiti delle prestazioni, le priorità d’intervento, le modalità di attuazione, gli indirizzi di governo edi finanziamenti.

Il Piano triennale rappresenta una novità nel panorama italiano del welfare. Esso introduce nelle politiche sociali ilmetodo della programmazione. E ha l’obiettivo di conseguire condizioni di pari opportunità sull’intero territorio naziona-le.

La finalità strategica del Piano è quella di diffondere e radicare su tutto il territorio italiano la nuova cultura delle poli-tiche sociali delineata dalla riforma, indicando quali debbano essere gli “standard essenziali”, ovvero i servizi che vannoobbligatoriamente garanti su tutto il territorio nazionale, al fine di rendere concreta l’affermazione dei diritti sociali.

In dettaglio, il Piano Nazionale deve indicare:a) le caratteristiche ed i requisiti delle prestazioni, le priorità di intervento, i finanziamenti e le modalità di attuazione

del sistema integrato di interventi e servizi sociali;b) gli indirizzi per la diffusione delle informazione al cittadino e alle famiglie, per le sperimentazioni innovative, per le

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azioni di promozione della concertazione e per la formazione degli operatori del sociale;c) gli indicatori ed i parametri per la verifica dei risultati;d) i criteri generali per la disciplina del concorso al costo dei servizi sociali da parte degli utenti e gli indirizzi per la

predisposizione di programmi integrati finalizzati a garantire: la tutela e la qualità della vita di minori, giovani ed anziani,il sostegno delle responsabilità familiari, l’inserimento sociale delle persone con disabilità e limitazione dell’autonomia fisi-ca e psichica, l’integrazione degli immigrati, la prevenzione, il recupero ed il reinserimento dei tossicodipendenti e deglialcooldipendenti.

A questo punto, appare chiara, l’impalcatura disegnata dalla legge: lo Stato individua i livelli essenziali delle prestazio-ni, mediante la redazione triennale di un Piano Nazionale degli interventi; le Regioni svolgono le funzioni di indirizzo ecoordinamento delle attività sociali e socio-sanitarie, attraverso la stesura di un Piano Regionale triennale; le Province con-corrono alla programmazione degli interventi di integrazione sociale ed infine i Comuni definiscono il Piano di Zona,anch’esso triennale, per la costruzione di sistemi locali di intervento sociale a rete.

Altrettanto chiara appare la necessità che gli Enti responsabili della programmazione si muovano su scala intersetto-riale, agendo con una visione d’insieme dei problemi e con strategie unitarie per affrontarli, al fine di comporre le istan-ze proprie degli interventi sociali con quelli per la salute, l’istruzione ed il lavoro.

Un ruolo di primo piano nella progettazione ed erogazione degli interventi e dei servizi sociali viene attribuito dallalegge al terzo settore, alle organizzazioni no profit ed al volontariato. Il provvedimento individua infatti nella concertazio-ne e nella partnership le risorse fondamentali per la costruzione di un sistema attivo di protezione sociale.

Un’attenzione particolare viene rivolta alle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza. Con l’obiettivo di rivitaliz-zare e ridare efficienza ed efficacia al patrimonio di risorse e professionalità rappresentato dalle IPAB, la legge dispone illoro inserimento nella programmazione regionale del sistema integrato di interventi e servizi sociali e la trasformazionedella loro forma giuridica in soggetti di diritto pubblico o in soggetti di diritto privato.

Per far conoscere ai cittadini i servizi presenti sul territorio e le modalità di accesso alle prestazioni, la riforma preve-de l’adozione della Carta dei Servizi. Essa ha il compito di definire i criteri per l’accesso agli interventi, le modalità del lorofunzionamento, le condizioni per facilitarne la valutazione e le procedure per assicurare la tutela degli utenti. Ogni Enteerogatore, sulla base dello schema di riferimento emanato dal Governo, deve munirsi di una propria Carta dei servizi edarne adeguata pubblicità ai destinatari. La finalità è quella di costituire un patto tra istituzioni, cittadini e privato sociale,per migliorare la qualità dei servizi alle persone.

Da ultimo, è bene ricordare altri due importanti obiettivi prefissati dalla legge: la regolamentazione delle nuove pro-fessioni e l’istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

Per quanto concerne, in particolare, quest’ultimo punto, la legge prevede che lo Stato, le Regioni e gli Enti locali con-corrano all’istituzione del Siss, al fine di assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni dell’utenza e della rete dei ser-vizi sociali, nonché per disporre tempestivamente di dati ed informazioni utili alla programmazione e valutazione degliinterventi ed al loro coordinamento con le politiche sanitarie, formative e dell’occupazione. L’obiettivo prioritario è quel-lo di sostenere il processo decisionale a tutti i livelli di governo, sulla base di una rigorosa analisi delle attività e dei risul-tati raggiunti rispetto agli effetti attesi ed alle esigenze della popolazione.

A ciò naturalmente si deve aggiungere il lavoro della Commissione di indagine sull’esclusione sociale, che ha il com-pito di effettuare attività di ricerca sulla povertà e sull’emarginazione in Italia, di promuoverne la conoscenza, di formu-lare proposte e di operare valutazioni.

In conclusione, possiamo ricordare quelle che sono le parole chiave della legge di riforma dell’assistenza, i principiche mirano a diffondere una nuova cultura ed una nuova pratica delle politiche sociali: programmazione, coopera-zione, integrazione, sussidiarietà verticale (ovvero ripartizione e decentramento delle competenze tra i vari livelliamministrativi), sussidiarietà orizzontale (ovvero promozione e valorizzazione dell’associazionismo e del terzo setto-re), monitoraggio, valutazione.

2.3. Gli atti applicativi

Se la legge quadro di riforma dell’assistenza disegna l’impalcatura di un nuovo sistema di interventi e servizi sociali, ilvaro dei provvedimenti attuativi fornisce alle Regioni ed agli Enti locali le indicazioni per la stesura dei Piani Regionali edei Piani di Zona, che rappresentano gli strumenti fondamentali di programmazione dei servizi e degli interventi sul terri-torio.

Il primo Piano Nazionale sociale, predisposto in tempi più ristretti rispetto a quelli previsti dalla legge 328/20005

(D.P.R. 3 maggio 2001), risponde all’esigenza di definire obiettivi strategici ed indirizzi generali, indispensabili affinchétutti i soggetti chiamati a concorrere alla programmazione ed alla realizzazione del nuovo sistema sociale a rete possanoimpegnarsi nell’attuazione delle legge quadro sull’assistenza.

In particolare, partendo col ricordare gli assi portanti della nuova politica sociale (parte I), il Piano Nazionale 2001-2003 evidenzia gli obiettivi prioritari (parte II) e fornisce indicazioni per lo sviluppo del sistema integrato degli interventie dei servizi sociali (parte III). In coerenza con la legge 328/2000, esso promuove lo sviluppo di un welfare delle respon-

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sabilità, all’interno del quale la programmazione sociale viene intesa come “un processo a più attori”, collocati a diversilivelli, che apportano competenze, ideazioni e risorse.

Il fine delle politiche sociali è la promozione del benessere della popolazione. Ed il sistema integrato di interventi e ser-vizi sociali è lo strumento attraverso il quale perseguire gli obiettivi di priorità sociale:

1. valorizzare e sostenere le responsabilità familiari;2. rafforzare i diritti dei minori;3. potenziare gli interventi a contrasto della povertà;4. sostenere con servizi domiciliari le persone non autosufficienti (in particolare le persone anziane e le disabilità

gravi);5. realizzare azioni particolari per l’inserimento degli immigrati, la prevenzione delle droghe, l’attenzione agli adole-

scenti.Per ciascun obiettivo prioritario, il Piano indica i servizi e le prestazioni essenziali per la sua realizzazione, suggeren-

do sia gli elementi di unificazione delle diverse esperienze regionali, sia gli spazi di una loro possibile articolazione, diffe-renziazione e sperimentazione nelle modalità organizzative ed operative indicate dai rispettivi documenti di programma-zione locale.

Le indicazioni per la realizzazione della rete integrata dei servizi sociali trovano spazio nella terza parte del Piano, doveper prima cosa viene esplicitata la metodologia per costruire i livelli essenziali degli interventi sociali. In particolare, essidevono essere disegnati in funzione:

- degli obiettivi di priorità sociale;- di una griglia articolata su tre dimensioni:1. le aree di intervento;2. le tipologie di servizi e prestazioni;3. le direttrici per l’innovazione.Le aree di intervento sono delle macro categorie individuate in riferimento ai bisogni da soddisfare, tenuto conto sia

delle indicazioni della legge quadro, che delle priorità fissate dal Piano Nazionale. Esse sono:1. responsabilità familiari;2. diritti dei minori;3. persone anziane;4. contrasto della povertà;5. disabili (in particolare, disabili gravi);6. droghe;7. avvio della riforma.Da notare che l’area relativa all’inserimento degli immigrati non è individuata come area a sé, ma ricompresa trasver-

salmente nelle altre.Le tipologie di servizi e prestazioni costituiscono un’articolazione, per classi, degli interventi e delle prestazioni che

possono essere programmate e realizzate per rispondere alle esigenze proprie delle aree di bisogno. Esse sono:1. servizio sociale professionale e segretariato sociale per l’informazione e la consulenza al singolo e ai nuclei familia-

ri;2. servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari;3. assistenza domiciliare;4. strutture residenziali e semi-residenziali per soggetti con fragilità sociali;5. centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario.Le direttrici per l’innovazione descrivono i criteri progettuali, di organizzazione e di funzionamento della rete, anche

con l’obiettivo di consolidare e rafforzare le leggi innovative sulle politiche sociali. Esse intersecano in modo trasversale learee di intervento e le tipologie di servizi e possono essere così definite:

1. partecipazione attiva delle persone nella definizione delle politiche che le riguardano;2. integrazione degli interventi nell’insieme delle politiche sociali, mobilitando a tal fine tutti gli attori interessati e pre-

vedendo una strategia unitaria per l’integrazione sociosanitaria;3. promozione del dialogo sociale, della concertazione e della collaborazione tra tutti gli attori pubblici e privati, in par-

ticolare coinvolgendo i soggetti non lucrativi, le parti sociali e le organizzazioni dei servizi sociali, incoraggiando l’azionedi tutti i cittadini e favorendo la responsabilità sociale delle imprese;

4. potenziamento delle azioni per l’informazione, l’accompagnamento, gli sportelli per la cittadinanza;5. sviluppo degli interventi per la domiciliarità e la deistituzionalizzazione;6. interventi per favorire l’integrazione sociale, sviluppo delle azioni e degli interventi per la diversificazione e la per-

sonalizzazione dei servizi e delle prestazioni sociali;7. innovazione nei titoli per l’acquisto dei servizi.Sulla base di queste indicazioni, la programmazione locale deve contemplare, rispetto a ciascuna area di bisogno,

varie tipologie di servizi e prestazioni, favorendo la sperimentazione di interventi innovativi. Seguendo infatti l’im-postazione della legge, il Piano coinvolge direttamente il livello locale, promovendo una struttura a rete, fortemente decen-

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trata, che attraverso i Piani Regionali ed i Piani di Zona consenta al sistema di svilupparsi sul territorio.Per la realizzazione del primo Piano sociale Nazionale le risorse stanziate per il 2001 ammontano a circa 1,80 miliar-

di di euro (si prevedono di uguale importo per il 2002 e pari a circa 1,60 miliardi di euro per il 2003). Tale cifra si com-pone di stanziamenti volti a finanziare leggi che prevedono diritti soggettivi (assegni di maternità e congedi parentali) erisorse trasferite direttamente alle Regioni.

In particolare, i fondi trasmessi alle Regioni si suddividono in due capitoli:a) le risorse collegate alle leggi di settore;b) le risorse trasferite in modo indistinto sulla base di alcuni parametri, che sono la composizione demografica, il tasso

di disoccupazione, il livello del reddito.Per concludere, il Piano suggerisce le modalità e gli strumenti per il monitoraggio delle politiche sociali e per la veri-

fica dei risultati progressivamente conseguiti, fornendo indicazioni di carattere generale sulla costruzione di un “sistemadi qualità sociale”, sulla stesura della carta dei servizi sociali, sulla promozione dei rapporti tra Enti locali e terzo settoree sull’istituzione del sistema informativo dei servizi sociali.

Tra gli altri atti applicativi, rivestono particolare importanza l’Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi diaffidamento dei servizi alla persona (D.P.C.M. 30 marzo 2001) ed il regolamento recante Requisiti minimi strut-turali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale (D.M. 21 maggio 2001, n.308).

Il primo provvedimento fornisce indirizzi per la regolazione dei rapporti tra i Comuni, singoli o associati, ed i soggettidel terzo settore, in materia di acquisto di servizi ed interventi predisposti dal privato sociale.

Il secondo stabilisce i requisiti minimi per la concessione delle autorizzazioni all’esercizio dei servizi e delle strutturea ciclo residenziale e semiresidenziale.

In entrambi i casi, l’obiettivo è di garantire standard di qualità omogenei su tutto il territorio nazionale e di offrire aicittadini interventi personalizzati ed efficaci, indipendentemente che siano gestiti dai soggetti pubblici o dalle organizza-zioni del terzo settore. L’impostazione adottata permette anche di valorizzare le capacità progettuali del no profit, poichéil criterio fondamentale del convenzionamento diventa la qualità delle prestazioni offerte, che si viene a sostituire al meto-do del massimo ribasso.

Altrettanto importante è il Decreto legislativo (n. 207 del 4 Maggio 2001) che disciplina il Riordino delle IstituzioniPubbliche di Assistenza e Beneficenza, in funzione del loro inserimento nel sistema integrato di interventi e servizisociali. Esso dispone, in particolare, i criteri per la trasformazione della forma giuridica delle IPAB, in aziende pubblichedi servizi alla persona o in persone giuridiche di diritto privato.

Fondamentali per garantire la competenza degli operatori sono lo Schema di regolamento sul profilo professio-nale degli assistenti sociali e l’Accordo per l’individuazione della figura e del relativo profilo professionaledell’operatore socio-sanitario. Tali provvedimenti, pur non pretendendo di esaurire quanto previsto dall’art. 12 dellalegge, ne rappresentano un importante avvio e sottolineano la volontà di valorizzare le professionalità del sociale quale con-dizione per arricchire di contenuti e di relazioni i servizi sociali.

Da segnalare l’Atto che disciplina i progetti rivolti alle persone che vivono in condizioni di povertà estre-ma o senza fissa dimora. È infatti proprio a sostegno di questo tipo di interventi che l’art. 28 della legge dispone, alcomma 1, l’incremento del Fondo nazionale per le politiche sociali, di una somma pari a circa 10 milioni di euro per cia-scuno degli anni 2001 e 2002.

l’Atto di indirizzo e coordinamento sull’integrazione socio-sanitaria fornisce indicazioni sull’assistenza rivol-ta alle persone che presentano bisogni di salute, per i quali si richiedono, contemporaneamente, prestazioni sanitarie edazioni di protezione sociale, sulla base di progetti personalizzati, redatti sulla scorta di valutazioni multidisciplinari. Essosancisce:

1. la responsabilità dei costi delle prestazioni a carico del Sistema Sanitario Nazionale e dei Comuni;2. l’intensità assistenziale degli interventi, sia sanitari che sociali, predisposti dai progetti personalizzati, dove è indica-

ta la natura del bisogno e l’articolazione temporale dell’erogazione.Concludono il quadro, il Decreto di istituzione della Commissione tecnica per il sistema informativo dei servi-

zi sociali e l’Atto costitutivo della Commissione di indagine sull’esclusione sociale.

2.4. Un’eredità dimenticata?6

L’attuale Governo di centro-destra ha ereditato dalla precedente maggioranza, che ha licenziato la riforma nazionaledell’assistenza ed una parte dei suoi atti applicativi, il compito di completare il quadro normativo relativo all’attuazionedella legge 328/2000. La realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali richiede infatti precisi adempi-menti attuativi, da parte del Governo e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in particolare.

Attualmente, a distanza di un anno e mezzo dall’approvazione della riforma ed a più di un anno dall’insediamento delnuovo Governo, molta strada deve ancora essere percorsa nel dare seguito ai provvedimento previsti dalla legge. Situazioneche rischia di pesare sul pieno dispiegamento dei poteri assegnati alle Regioni ed agli Enti locali in tema di programma-

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zione e realizzazione del sistema integrato, nonché sulla garanzia di standard di prestazioni omogenee sull’intero territo-rio nazionale.

Di fondamentale importanza, per lo svolgimento della funzione centrale di indirizzo delle politiche sociali a livello loca-le, è l’emanazione di appositi provvedimenti che diano attuazione agli articoli: 12, sulle Figure professionali sociali, e13, sulla Carta dei servizi sociali. Dalle cui indicazioni dovrebbero discendere specifici comportamenti da parte deisoggetti deputati alla definizione degli interventi sul territorio. In proposito, ma limitatamente al solo regolamento concer-nente i profili professionali, è stata istituita una Commissione, presieduta da un esperto esterno, in cui sono rappresentatii Ministeri competenti - il Ministero della Salute e quello dell’Istruzione, dell’Università e delle Ricerca - e due rappresen-tanti delle Regioni. Tale Commissione è attualmente al lavoro, con il compito di presentare al Governo una proposta di rior-dino del complesso delle professioni sociali.

L’articolo 15 prevede che, annualmente, una quota del Fondo Nazionale per le politiche sociali venga riservare, in modovincolante, ad investimenti e progetti integrati tra assistenza e sanità, volti a sostenere e favorire l’autonomia delle perso-ne anziane non autosufficienti e la loro permanenza nell’ambiente familiare. Tale articolo assegna al Ministro delLavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro della Sanità, i poteri di vigilanza sull’operato delle singoleRegioni, prevedendo, in caso di gravi ritardi nell’utilizzazione delle risorse assegnate, il ricorso ai poteri sostitutivi. Alriguardo, il 22 Gennaio 2002 si è provveduto ad inviare una nota agli Assessorati delle politiche sociali delle Regioni e delleProvince autonome per conoscere lo stato di attuazione dei Piani Regionali, con particolare riguardo agli interventi a favo-re delle persone anziane.

L’articolo 23 stabilisce che il Governo riferisca al Parlamento sull’attuazione della sperimentazione del reddito minimodi inserimento e sui risultati conseguiti. Ad oggi, il Governo non ha provveduto in tal senso, sebbene l’attività di valutazio-ne dell’efficacia della sperimentazione sia stata condotta dall’Istituto per la ricerca sociale.

Disatteso è il Riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo (previsto dal-l’articolo 24), benché si sia provveduto al rinnovo della delega al Governo, con la legge n. 137 recante “Delega per la rifor-ma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché degli Enti pubblici”, approvata il6 luglio del 2002.

In ordine all’attuazione dell’articolo 20, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (del 9 maggio 2002) il Decreto diriparto del Fondo Nazionale per le politiche sociali per l’anno 2002 (n. 115) fissato a circa 1,60 miliardi di euro.

Si attende che il Governo affronti la definizione degli strumenti per garantire i Livelli esenziali delle prestazionisociali, necessari per favorire risposte omogeneo su tutto il territorio nazionale.

Non si conosce la data in cui il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali presenterà al Parlamento la Relazioneannuale sui risultati conseguiti rispetto agli obiettivi fissati dal Piano nazionale, con particolare riferimento ai costi edall’efficacia degli interventi, fornendo contestualmente le indicazioni per l’ulteriore programmazione. La relazione per-metterebbe di conoscere i risultati conseguiti nelle Regioni in attuazione dei Piani sociali Regionali, nonché le eventualiinadempienze.

Infine, in attuazione dell’articolo 21, sono in corso i lavori della Commissione tecnica per il sistema informati-vo dei servizi sociali, istituita nel mese di aprile del 2001. In proposito, si è deciso di commissionare uno studio di fat-tibilità, che individui: funzioni e procedure da autorizzare, tempi di realizzazione complessivi e delle singole fasi, impieghidelle risorse tecnologiche, specifiche tecniche e analisi del rapporto costi e benefici. Attualmente è in atto la procedura perl’individuazione della società incaricata di redigere lo studio. Verosimilmente saranno quindi attivate entro l’anno le pro-cedure di predisposizione e di aggiudicazione del progetto esecutivo, la cui realizzazione potrà avere inizio nel prossimomese di Gennaio.

NNoottee1 Del 31 Marzo 1998.

2 Sono escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate insede di amministrazione della giustizia.

3 Un tentativo di riforma venne attuato con la legge n. 390 del 1904, “Legge Giolitti”, che attraverso la creazione del“Consiglio Superiore dell’Assistenza e Beneficenza Pubblica” cercò di riordinare il “…disastrato coacervo del-l’assistenza sul territorio nazionale…(ndr)”. Anche questa esperienza si rivelò ben presto priva di una reale capa-cità operativa e, per questo, abbandonata.

4 Tratto dall’art. 32 della Costituzione Italiana.

5 Art. 18, comma 4.

6 L’analisi è stata conclusa il 30/06/2002. Oltre tale data si è provveduto ad aggiornare le informazioni unicamente inmerito all’approvazione della legge n. 137, recante “Delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e dellaPresidenza del Consiglio dei Ministri, nonché degli Enti pubblici”, precedentemente citata come disegno di legge.

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PPaarrttee sseeccoonnddaa

LLAA MMAAPPPPAA DDEEII SSEERRVVIIZZII SSOOCCIIAALLII((DDaanniieellaa BBuuccccii,, VVaalleennttiinnaa PPiieerrssaannttii,, SSaallvvaattoorree TTrriiccoollii,, EEllvviirraa ZZoolllleerraannoo))

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33.. II WWEELLFFAARREE RREEGGIIOONNAALLII

3.1. Premessa

Il modello di welfare comunitario, disegnato dalla legge quadro sui servizi sociali, è caratterizzato da una forteopzione federalista. I Comuni rappresentano il motore operativo della macchina sociale, mentre alle Regioni è riser-vata, in via praticamente esclusiva, la titolarità della funzione di programmazione.

In particolare, i governi regionali sono chiamati a programmare, coordinare ed indirizzare gli interventi sociali, averificarne l’attuazione a livello territoriale ed a disciplinarne l’integrazione, con particolare riferimento all’attività sani-taria e socio-sanitaria ad elevata integrazione sanitaria.

In questa parte del rapporto, si intende illustrare lo stato di attuazione della normativa nazionale a livello regiona-le. L’attenzione è incentrata sui contenuti dei Piani sociali Regionali, laddove effettivamente emanati, e sugli adempi-menti di competenza regionale previsti dalla legge di riforma assistenziale.

Il lavoro è suddiviso in schede, riferite alle singole Regioni. E ciascuna scheda è accompagnata da una tabella rias-suntiva, che esplicita, articolo per articolo, lo stato di applicazione regionale della legge ed i relativi riferimenti nor-mativi.

Per l’elaborazione delle schede ci si è avvalsi della documentazione pubblica. E si è provveduto ad interrogare cia-scun Assessorato regionale alle politiche sociali, cui si è chiesto di precisare in modo dettagliato lo stato di avanza-mento della propria Regione nel dare seguito alle disposizioni della legge nazionale. Le tabelle riportate sono statedebitamente compilate dai funzionari incaricati.

Le informazione ricevute sono state opportunamente verificate. Ci scusiamo fin d’ora per eventuali errori od omis-sioni.

La maggiore criticità riscontrata nel reperimento dei dati riguarda la difficoltà di comunicazione con l’Ente Regione.In alcuni casi, abbiamo rilevato l’assenza di un referente certo sull’attuazione della legge quadro, competente a rispon-dere in modo esaustivo sul complesso degli adempimenti previsti. In altri, abbiamo dovuto far fronte ai ritardi ed ailunghi tempi di attesa.

La fase di rilevazione è terminata il 3 Luglio del 2002.

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AAbbrruuzzzzoo

In attesa dell’approvazione del nuovo Piano sociale 2002-20041, la Regione Abruzzo governa il sociale con lalegge regionale n. 222, “Norme per la programmazione e l’organizzazione dei servizi di assistenza socia-le - Piano sociale regionale 1998/2000”, che regolamenta la programmazione, l’organizzazione e la gestione deiservizi e degli interventi di assistenza sociale, nonché la loro integrazione con il comparto dei servizi sanitari.

Il percorso verso la creazione di un nuovo sistema di interventi alla persona è stato avviato, in Abruzzo, con l’ema-nazione di questo primo Piano Regionale, che ha anticipato la riforma nazionale dell’assistenza, allo scopo di fornirerisposte efficaci ai bisogni fondamentali delle persone e delle famiglie, a partire dal livello locale.

La proposta del nuovo Piano sociale consolida e sviluppa il sistema di welfare regionale già introdotto con il Piano1998-2000. Le scelte operate tengono conto dei traguardi indicati dalla programmazione nazionale, nella consapevo-lezza che alcune disposizioni contenute nella legge 328/00 e nel Piano Nazionale 2001-2003 erano già state anticipa-te dalla L.R. 22/98 e dal primo Piano sociale. Esse sono in particolare:

- la zonizzazione per la gestione unitaria dei servizi sociali, con la promozione di forme di cooperazione tra iComuni interessati;

- la volontà di operare per livelli essenziali di assistenza (il Piano 1998-2000 delinea già soluzioni quali il segreta-riato sociale e l’assistenza domiciliare in ogni ambito sociale), da garantire in ognuno dei 35 ambiti territoriali indivi-duati;

- l’introduzione dei Piani di Zona dei servizi alle persone, come strumento unitario di programmazione e di gover-no locale del rapporto tra bisogni e risposte.

Le idee guida che ispirano la costruzione del primo Piano sociale sono: la valorizzazione di tutte le risorse presen-ti nelle comunità locali, la sussidiarietà, la semplificazione dei percorsi di accesso ai servizi, la rete di risposte nel ter-ritorio, i livelli essenziali di assistenza, la formazione a sostegno dei progetti di sviluppo dei servizi, la nuova politicadella spesa.

Gli obiettivi sono definiti e attuati a due livelli:- quello delle responsabilità e delle collaborazioni (istituzionali e sociali) necessarie per rendere operanti i servi-

zi alle persone;- quello dei bisogni e dei diritti fondamentali a cui dare risposte, sulla base delle risorse disponibili e delle priori-

tà individuate in funzione di una attenta analisi delle esigenze del territorio.L’impalcatura costruita nel triennio passato ha contribuito a rimuovere molti ostacoli che impedivano l’accesso ai

servizi in condizioni di equità e ha creato situazioni di maggiore tutela dei diritti delle persone più deboli, in partico-lare nelle aree svantaggiate e caratterizzate da un più rapido invecchiamento della popolazione.

Il nuovo Piano Regionale affonda le proprie radici nella valutazione dei risultati raggiunti nel triennio precedente,per impostare la futura programmazione regionale. I risultati della verifica sono infatti utilizzati nelle tre sezioni deldocumento proposto per contestualizzare le scelte operate e per definire le risposte attese.

La capacità di verificare i traguardi conseguiti testimonia come il Sistema informativo locale e regionale, delineatodalla precedente amministrazione, abbia acquisito, in tre anni, un’autonoma capacità di documentazione di ciò cheaccade nell’universo dei servizi sociali. Tale Sistema di valutazione, in parte sperimentato, viene ulteriormente orga-nizzato per il prossimo triennio, al fine di ottenere un monitoraggio più sistematico dei risultati raggiunti ed una com-parazione tra misure di efficienza e di efficacia conseguite dai diversi ambiti territoriali. La convinzione di fondo è chesolo un’attenta conoscenza dei bisogni e dei traguardi ottenuti permetta di giungere alla definizione di nuovi obiettivi.

Le linee ispiratrici del nuovo Piano sociale sono: le risposte universalistiche ai bisogni, la tutela dei soggetti debo-li, la solidarietà, la priorità alle persone e alle famiglie che vivono in condizioni di esclusione e di emarginazione socia-le, l’attenzione alle domande delle comunità locali.

La promozione di un incontro positivo tra diritti e doveri è la strategia che orienta le diverse modalità di azionedelle politiche sociali.

Le tre sezioni in cui si articola il Piano Regionale 2002-2004 sono:1. gli obiettivi di salute;2. gli obiettivi di sistema;3. le strategie per conseguire i risultati attesi ai diversi livelli.Nella sezione dedicata agli obiettivi di salute vengono messe a confronto le misure di bisogno attuali con i risultati

attesi nel triennio, evidenziando il modo in cui raggiungere tali risultati (con azioni e strategie), le condizioni per docu-mentarli ed i bisogni cui dare risposte prioritarie. Per ciascuna area di intervento (famiglia; infanzia, adolescenza egiovani; disabilità; anziani), viene fornito un quadro di riferimento che caratterizza i vari ambiti territoriali, vengonosottolineate le carenze riscontrabili nel sistema dei servizi sociali, pur nel riconoscimento dei traguardi già consegui-ti, e vengono indicate specifiche finalità.

Nella sezione dedicata agli obiettivi di sistema vengono definiti i caratteri fondamentali della rete dei servizi socia-li, grazie al confronto tra le misure adottate e quelle attese. Per le varie aree di intervento, vengono analizzati gli obiet-tivi conseguiti dalla precedente programmazione regionale, attraverso un attento monitoraggio dei vari servizi intro-

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dotti nei 35 ambiti territoriali.Anche in questo caso vengono indicati obiettivi, azioni e strategie, per garantire, in ogni ambito sociale, i livelli

essenziali di assistenza previsti dalla legge quadro e dal Piano Nazionale. In particolare, vengono considerati requisi-ti essenziali per un’efficace realizzazione del sistema locale dei servizi alla persona: il segretariato sociale, l’accessounitario, la valutazione professionale e multidimesionale del bisogno, la priorità ai soggetti deboli, il lavoro sociale perprogetti personalizzati, le carte per la cittadinanza sociale, il pronto intervento sociale.

La sezione sulle strategie indica i percorsi prioritari da seguire per il conseguimento dei risultati attesi. Essa è dedi-cata alla definizione dei livelli essenziali di assistenza, alle condizioni per la gestione unitaria dei servizi, agli ambitisociali, alla politica della spesa, all’integrazione socio-sanitaria, alle modalità di collaborazione tra soggetti pubblici esoggetti sociali, al rapporto tra sistema informativo e valutazione dei risultati, alle politiche formative per la qualifica-zione delle risorse umane.

Dall’esame condotto, appare evidente che il nuovo Piano sociale si innesta nel solco tracciato dalla precedenteamministrazione. Il documento, approvato dalla Giunta ed attualmente all’esame del Consiglio Regionale, analizza irisultati conseguiti dalla programmazione sociale impostata dal primo Piano Regionale e si propone, riconoscendo itraguardi raggiunti, di colmarne le inefficienze, in funzione di un’analisi dei cambiamenti sociali avvenuti nel territo-rio. Il Piano proposto non si occupa della costruzione del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali, giàintrodotto nello scorso triennio, ma intende perfezionarlo e rafforzarlo, proponendosi di portare a compimento gliobiettivi mancati.

Facendo una valutazione più complessiva dello stato di attuazione della legge 328/00 nella Regione Abruzzo, occor-re tuttavia constatare l’assenza di alcuni importanti provvedimenti. E registrare, in alcuni casi, l’avvio di un percorsodi studio e predisposizione degli atti previsti dalla normativa nazionale. Questo vale soprattutto in merito ai provvedi-menti concernenti i rapporti con il terzo settore e le IPAB, nonché i criteri per l’autorizzazione, la vigilanza e l’accre-ditamento dei servizi e delle strutture: temi rispetto ai quali si intende procedere attraverso lo strumento del disegnodi legge regionale e si fa ricorso, per alcuni aspetti, a precedenti direttive provvisorie. Al contrario, del tutto evase, almomento, altre funzioni di competenza regionale, quali, ad esempio, la definizione dei criteri per la concessione deititoli per l’acquisto di servizi sociali, per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazio-ni, per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati, o ancora la disci-plina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle pre-stazioni sociali.

SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 nneellllaa RReeggiioonnee AAbbrruuzzzzoo

ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizi allapersona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazionedei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gli EntiLocali - Consultazione dei soggetti di cuiagli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

SITUAZIONE

Ripartizione dei fondi 2001 già effettuata.“Risorse indistinte” erogate ai Comuni.Piano sociale Regionale 1998-2001 eD.G.R. n. 815 del 19 Settembre 2001.

In fase di studio e predisposizione.Disegno di legge regionale.

In fase di studio e predisposizione.Disegno di legge regionale.

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ARTICOLO

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

OGGETTO

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali. Istituzione (eventua-le) di uffici di tutela degli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

SITUAZIONE

Ambiti territoriali già determinati con ilPiano sociale 1998-2001.Rideterminazione dal 2002 degli ambititerritoriali con D.C.R. n. 59/5 del 19Marzo 2002.

In fase di predisposizione (disegno dilegge regionale).D.G.R. 1230 del 12 dicembre 2001.Direttive provvisorie.

In fase di predisposizione (disegno dilegge regionale).D.G.R. 1230 del 12 dicembre 2001.

In fase di predisposizione (disegno dilegge regionale).D.G.R. 1230 del 12 dicembre 2001.

Le funzioni di cui all’art. 5 L. 67/93, perinterventi a favore di ciechi e sordomuti,sono confermate alle Province ai sensidelle LL.RR. 32/97, 11/99 art. 77, 64/01.Attualmente non vengono utilizzatesomme derivanti dal Fondo socialeNazionale.

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ARTICOLO

10, comma 3

11, comma 1

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

In fase di studio e predisposizione.Disegno di legge regionale.

Direttive provvisorie. D.G.R. n. 1230 del12 Dicembre 2001.

È in corso di approvazione il PianoRegionale Famiglia 2002, dove sono stateinserite le somme (che verranno impe-gnate entro il corrente esercizio finanzia-rio) derivanti dalla ripartizione del FSN2001 per lo specifico intervento in favo-re di famiglie con anziani non autosuffi-cienti. Complessivamente il PianoFamiglia 2002 prevede fondi regionali di500.000,00 euro.

La proposta di Piano sociale Regionale2002-2004, adottato con D.G.R. 1347del 31 Dicembre 2001, è all’esame delConsiglio Regionale.

Risorse non del tutto impegnate e liqui-date.

Per la disciplina delle modalità di eroga-zione la proposta di Piano socialeRegionale 2002-2004, all’esame delConsiglio Regionale.

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BBaassiilliiccaattaa

La Regione Basilicata ha concretamente avviato la riforma dei servizi sociali con l’approvazione della legge di“Riordino del sistema socio-assistenziale3”, che ha anticipato la normativa nazionale del 2000, delineando un model-lo organico di programmazione sul territorio. A fronte di una sostanziale carenza di servizi socio-assistenziali, il prov-vedimento ha gettato i presupposti per una organizzazione sistemica dei servizi locali, che realizzi forme integrate diintervento, finalizzate ad offrire risposte globali, e non parcellizzate, ed a garantire standard di prestazioni omogeneesu tutto il territorio regionale. L’obiettivo della legge è la tutela del diritto di cittadinanza sociale delle persone e dellefamiglia, da perseguire attraverso interventi mirati a prevenire ed a rimuovere le situazioni di bisogno, di rischio e diemarginazione.

Ai Comuni, in forma associata, è attribuito un ruolo centrale nello sviluppo delle politiche sociali. Essi adempionoalla funzione di programmazione e di gestione diretta e/o indiretta dei servizi socio-assistenziali, nel rispetto dell’inte-grazione con tutti gli altri servizi territoriali. Concorrono alla programmazione ed alla gestione indiretta degli interventii soggetti del privato sociale, di cui la legge riconosce l’apporto originale ed autonomo per la promozione umana, l’in-tegrazione delle persone ed il sostegno delle famiglie. Le Cooperative Sociali vengono identificate come soggetti privi-legiati, che per le specifiche finalità si caratterizzano a gestire i servizi socio-sanitari ed educativi. Le Associazioni diVolontariato sono riconosciute come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo sociale; esse possono sti-pulare apposite convenzioni con gli Enti locali, per lo svolgimento di attività integrative o di supporto ai servizi pub-blici, innovative o sperimentali.

In conformità con quanto successivamente decretato a livello nazionale, la legge individua nel Piano Regionalesocio-assistenziale lo strumento per la regolazione dei servizi alla persona. E rinvia ad esso per la definizione dei cri-teri di programmazione degli interventi e dei servizi sociali, degli standard strutturali, gestionali e funzionali delle strut-ture di accoglienza e dei livelli uniformi di assistenza, al fine di garantire ai cittadini uguali opportunità di accesso alwelfare locale e di assicurare il soddisfacimento di una soglia minima di domanda sociale.

Il Piano socio-assistenziale 2000-20024 della Regione Basilicata si qualifica come un Piano per le politichesociali attive. Esso si presenta come lo strumento utile a sviluppare ed innovare il sistema socio-assistenziale regiona-le: il tramite per lanciare azioni nuove, partecipate, socialmente condivise, che siano capaci di emancipare un siste-ma per certi versi senza storia, strutturalmente debole e fondato su risorse eccessivamente scarse. Con questoprovvedimento, la Pubblica Amministrazione si impegna, più che a risolvere i problemi, ad aiutare a risolverli, secon-do una logica che privilegia il sostegno all’azione dei cittadini (costituiti in Associazioni, Cooperative Sociali,Organizzazioni di Volontariato), piuttosto che l’intervento diretto. L’obiettivo è la realizzazione di un nuovo sistema inte-grato di interventi e servizi che primariamente valorizzi, oltre alle collaborazioni inter-istituzionali, quelle con (e fra)i soggetti sociali.

Il Comune è il livello pubblico al quale è attribuita la responsabilità di rilevare ed interpretare i bisogni della comu-nità locale e di garantirne la piena soddisfazione. Poiché la Basilicata è costituita da un gran numero di Comuni conuna popolazione inferiore ai 5000 abitanti, il Piano definisce 15 ambiti territoriali: 13 aree comprensoriali e 2 corri-spondenti alle città capoluogo di provincia. La configurazione delle “zone” scaturisce dall’esigenza di promuovere lacollaborazione tra le diverse istituzioni coinvolte ed interessate al sistema dei servizi alla persona. Per questo motivo,la zonizzazione è realizzata a livello territoriale ed è attribuita assoluta priorità alla coincidenza degli ambiti ottimalicon le rispettive Aziende Sanitarie di appartenenza.

Le aree intercomunali rappresentano il luogo unitario della programmazione locale. Ed il Piano di Zona lo stru-mento operativo per l’esercizio concreto delle funzioni socio-assistenziali loro demandate. Esso contestualizza le fina-lità e gli obiettivi definiti nel Piano Regionale, con riferimento alle esigenze ed ai bisogni locali.

La Regione fornisce ai Comuni indicazioni per la stesura dei Piani di Zona, individuando la procedura metodologi-ca per la loro predisposizione:

1. definire gli strumenti di rilevazione dei soggetti presenti sul territorio e dei dati relativi ai bisogni, alle risorse, aiservizi;

2. analizzare i dati, individuando gli obiettivi e le priorità, con diretto coinvolgimento del Sindaco o della Conferenzadei Sindaci e degli altri soggetti istituzionali e sociali;

3. approntare il Piano di Zona, indicando obiettivi, sotto-obiettivi, risultati attesi, indicatori, azioni da compiere,interventi e servizi da garantire, soggetti responsabili, oneri necessari, tempi di realizzazione, momenti di verifica evalutazione;

4. individuare le modalità gestionali per garantire approcci integrati con il distretto sanitario. Predisporre, per i ser-vizi ad elevata integrazione socio-sanitaria, l’adozione di progetti-obiettivo interistituzionali, quantomeno con riferi-mento ai problemi degli anziani non autosufficienti, dei minori, dei disabili e della salute mentale.

Nella progettazione del Piano zonale, la Regione raccomanda che il Sindaco o la Conferenza dei Sindaci costitui-scano un gruppo di piano, formato da politici, tecnici e rappresentanti dei soggetti istituzionali e della solidarietàsociale, che funzioni da cabina di regia e rappresenti lo strumento operativo del programmatore locale. Nel corsodel triennio, i Comuni, singoli ed associati, possono inoltre avvalersi della consulenza tecnica dello staff di Piano,

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insediato presso il Dipartimento Sicurezza Sociale della Regione. Composto da esperti e consulenti, esso è in grado difornire assistenza e supporto tecnico, per l’implementazione delle nuove procedure e per l’elaborazione dei Piani loca-li.

L’accordo di programma è lo strumento attuativo del Piano di Zona, per dar corpo all’azione coordinata ed inte-grata dei soggetti pubblici e dei soggetti sociali. Al suo interno, sono specificati, oltre agli obiettivi da raggiungere nellesingole aree di intervento, le competenze di ogni soggetto istituzionale, le risorse messe a disposizione, le modalità perla gestione integrata, gli strumenti di monitoraggio, verifica e valutazione partecipata.

Le Province, dal canto loro, concorrono alla programmazione regionale, provvedono alla specificazione ed attua-zione degli obiettivi del Piano sociale nell’ambito del proprio territorio, partecipano alla realizzazione del Sistemainformativo sui servizi sociali e prendono parte, per quanto di propria competenza, alla definizione e realizzazione deiPiani di Zona, anche attraverso la sottoscrizione degli accordi di programma stipulati per la loro attuazione.

Partendo dall’individuazione delle variabili-cornice che caratterizzano e modellano il sistema lucano di erogazionedei servizi sociali, la Regione riconosce nella residualità delle prestazioni socio-assistenziali il fattore strutturale che hacondannato le politiche sociali alla dispersione in micro-interventi episodici e riparatori. Solo attraverso il supera-mento di questa residualità si ravvisa quindi la possibilità di favorire il passaggio da un sistema sociale di tipo assi-stenzialistico ad una reale politica di promozione e sicurezza sociale, che faccia proprio il metodo della prevenzione,come approccio generale ai problemi, ed individui nella deistituzionalizzazione la condizione per la creazione di realialternative sul territorio.

L’analisi del sistema di offerta conduce alla formulazione di due percorsi strategici. Il primo consiste nel potenzia-re le risposte nei singoli ambiti territoriali: riportare nelle comunità locali le persone ricoverate in strutture situatefuori dalla zona di provenienza ed attivare contestualmente forme di progettazione individuale per superare la logicadel lavoro per prestazioni. Il secondo consiste nel realizzare una dotazione minima di servizi per ogni ambito zonale,volta a ridurre gli squilibri territoriali nell’erogazione degli interventi sociali. In proposito, il Piano definisce i presi-di socio-assistenziali di base, che devono essere garantiti in ogni ambito ottimale:

- il servizio sociale comunale;- i centri diurni e socio-educativi;- il Centro di aggregazione giovanile;- la ludoteca o punto ludico aperto;- il nido;- il servizio di assistenza domiciliare e di aiuto personale;- assistenza economica;- pronto intervento assistenziale;- interventi per l’inserimento lavorativo;- assistenza domiciliare integrata;- servizi residenziali e di comunità;- servizi per l’affido familiare.Per ciascuna di queste tipologie di intervento, il Piano individua obiettivi specifici e standard gestionali, indicando

contenuti, destinatari, modalità organizzative e dotazioni professionali.I fruitori dei servizi socio-assistenziali sono tutti i cittadini residente e/o temporaneamente presente in Basilicata.

In particolare, il Piano pone al centro delle azioni e delle politiche sociali la famiglia, riconoscendole il ruolo di sog-getto attivo nella promozione del benessere personale, ed individua le aree prioritarie di intervento: anziani; tossico-dipendenti; handicap; ex detenuti; immigrati, extracomunitari e nomadi; donne; giovani. Per ciascuna delle aree indi-cate, il Piano prevede che i Comuni, singoli o associati, e le Aziende Sanitarie Locali costituiscano delle UnitàOperative di Zona, al fine di valorizzazione le risorse, progettuali ed operative, presenti sul territorio e sviluppare lacomunicazione ed il coordinamento fra i diversi attori locali. Le U.O.Z sono gruppi di lavoro multidisciplinari, che valu-tano e progettano gli interventi e seguono e coordinano, in termini operativi, le attività previste negli accordi di pro-gramma, relativamente alle aree di pertinenza. Esse non costituiscono un nuovo servizio sociale, ma rappresentano unmodo innovativo di lavorare. Nelle U.O.Z. gli operatori (dei servizi sociali comunali, del privato sociale, del distrettosanitario, del consultorio familiare, della scuola…) integrano le loro competenze, al fine di capire meglio le situa-zioni delle persone e di condividere la responsabilità degli interventi. In particolare, il Piano definisce obbligatorie leUnità Operative di Zona operanti in alcune aree specifiche di intervento, quali anziani, handicap, minori, tossicodi-pendenti e salute mentale.

Accanto alla prescrizione di una dotazione minima di servizi sociali per ambito territoriale, il Piano fissa gli indi-rizzi operativi per l’incentivazione delle iniziative di scambio e di reciprocità tra cittadini singoli e/o associati. LaRegione promuove infatti l’attivazione di forme di sostegno per la costituzione di “banche del tempo solidale”; per lapartecipazione attiva dei genitori nelle attività delle ludoteche e dei centri ludici; per l’incentivazione dell’associazioni-smo genitoriale; per l’organizzazione da parte delle scuole di percorsi extradidattici di educazione alla cooperazionesociale ed al volontariato; per l’incentivazione dell’assistenza da parte delle famiglie ai congiunti non autosufficienti oin situazioni di grave difficoltà.

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In questa stessa ottica, si colloca l’istituzione, in via sperimentale, del credito solidale, che rappresenta una formadi partecipazione al costo delle prestazioni da parte degli utenti integrativa a quella economica. Il credito solidale èuna forma di contribuzione diretta alla fornitura di servizi, finalizzata a promuovere atteggiamenti e comportamenti dicittadinanza attiva e solidale. I fruitori delle prestazioni, che versano in una situazione economica particolarmente dif-ficile, (od anche i familiari ed i volontari sostenitori) possono depositare, presso il credito solidale, ore di tempo dedi-cate, a titolo non oneroso, ad attività e servizi socio-assistenziali, socio-educativi e socio-culturali di interesse genera-le svolti nell’ambito comunale, ottenendo in questo modo una riduzione del costo di contribuzione economica.L’istituzione del credito solidale è facoltativa, tuttavia la Regione stimola la sua introduzione, riconoscendo una quotain denaro ai Comuni che lo attivano.

Nella generalità dei casi, gli utenti concorrono alla copertura del costo dei servizi in ragione della loro situazioneeconomica. Gli Enti gestori hanno comunque la facoltà di intervenire senza oneri a carico dei cittadini in presenza dispecifici progetti, considerati strategici, sperimentali od innovativi per la tutela e la promozione di particolari individuiesposti a rischio di emarginazione.

Nell’ottica di valorizzare il ruolo di soggetti “nuovi” nell’ambito dell’erogazione dei servizi sociali, la Regione, conla legge 25/97 e con la successiva approvazione del Piano socio-assistenziale, ha operato come volano per la speri-mentazione di nuove forme di collaborazione. Essa ha infatti segnalato ai Comuni l’opportunità di instaurare modalitàinedite di interazione con i soggetti del terzo settore, al fine di migliorare la qualità dei servizi erogati agli utenti. Inparticolare, ferma restando la facoltà di gestione diretta da parte degli Enti locali, il Piano dispone che i Comuni pos-sano esternalizzare alle Cooperative Sociali la gestione dei servizi socio-assistenziali, socio-educativi e socio-sanitari adintegrazione socio-assistenziale, nonché stipulare con le Associazioni di Volontariato, iscritte al registro regionale, con-venzioni per servizi ed attività complementari ed integrative a quelle gestite dalle Cooperative. In aggiunta, occorrericordare la legge regionale n.1 del 12 Gennaio 2000, che, recando “Nuove norme per la promozione del volontaria-to”, disciplina le modalità per la valorizzazione del suo apporto nell’erogazione dei servizi sociali.

Per l’inserimento nella rete del welfare locale, i soggetti del terzo settore devono ottenere l’autorizzazione al fun-zionamento e l’idoneità al convenzionamento. In proposito, il Piano Regionale definisce i criteri per il riconoscimen-to di tale idoneità, subordinando quest’ultima all’accertamento di alcuni requisiti:

- assenza di fini di lucro;- adeguati livelli di prestazione, di qualificazione del personale e di funzionalità organizzativa ed operativa, in con-

formità alle indicazioni del Piano socio-assistenziale;- rispetto, per i dipendenti, delle norme contrattuali, ad eccezione delle prestazioni svolte da volontari ed obiettori

o rese in forza di convenzioni con ordini religiosi.Per quanto concerne, in particolare, gli standard di funzionamento, la Regione allega al Piano una normativa tec-

nica, che fornisce indicazioni in merito ai requisiti strutturali e gestionali che le costruzioni pubbliche e private sonotenute a possedere. Rientrano negli standard strutturali i caratteri relativi a: la localizzazione, l’accessibilità, gli impian-ti, gli arredi, le attrezzature esterne, la sicurezza e la costruzione di spazi comuni, privati e di collegamento. Rientranonegli standard gestionali le competenze degli operatori del sociale. In proposito, il Piano fornisce gli indirizzi per laformazione, l’aggiornamento e la riqualificazione delle figure socio-assistenziali, al fine di innovare un sistema delleprofessioni sociali confuso, frammentato ed a tratti invecchiato. Sul piano più strettamente operativo, è in pro-gramma l’avvio di percorsi di aggiornamento professionale, specificatamente indirizzati agli operatori dei Comuni.

In attesa che le strutture si adeguino alle prescrizioni dello standard programmatorio, la Regione definisce i requi-siti minimali che ciascuna unità di offerta deve possedere nell’immediato, indicando altresì i tempi e le modalità di ade-guamento. Attualmente, ferme restando le indicazioni contenute nella legge regionale 25/97 e nel Piano socio-assi-stenziale, la Regione si appresta a predisporre un nuovo regolamento per la definizione, sulla base dei requisiti fissatidallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi.

Una parte della disciplina relativa all’affidamento dei servizi alla persona è dedicata alle Cooperative Sociali. In essa,la Regione individua il percorso per condurre tale soggetto sociale ad essere garante della qualità degli interventi edella certezza dei risultati, sia verso i cittadini che nei confronti della Pubblica Amministrazione. A tal fine, il Piano pre-vede un adeguamento delle modalità di iscrizione all’Albo regionale e degli strumenti di controllo, introducendo, oltreal criterio dell’autorizzazione al funzionamento, i principi della certificazione e, in via sperimentale, dell’accredita-mento. In particolare, gli Enti pubblici, nell’espletamento delle procedure di gara per l’affidamento dei servizi sociali,possono chiedere ai contraenti la certificazione di qualità. In questo caso, le Cooperative Sociali, qualora idonee,vengono iscritte all’Albo regionale con l’annotazione di “Cooperativa certificata” in uno specifico ambito di interventoe l’Albo si viene a configurare come lo strumento di attestazione del livello di qualità e di professionalità degli iscritti.L’obiettivo finale è di superare il problema della genericità, per cui la sola iscrizione all’Albo consenta a chiunque diaccedere alla rete locale dei servizi sociali.

A questo punto, sulla base di quanto finora evidenziato è possibile tracciare un bilancio dello stato di attuazionedella legge 328/2000 relativamente alla Regione Basilicata. In proposito, occorre riconoscere che la produzione nor-mativa regionale in campo socio-assistenziale ha tenuto il passo con la produzione normativa nazionale. A fronte di unasostanziale carenza di servizi socio-assistenziali, con l’emanazione della legge 25/97 e con l’elaborazione di un Piano

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sociale ben articolato, la Regione ha recuperato, almeno sul versante legislativo, il ritardo accumulato nei confronti delresto del Paese. Tuttavia, al livello operativo, altrettanto bisogna ancora fare. Il Piano, predisposto in una fase in fieridella produzione normativa nazionale, ha un carattere processuale aperto, da cui dipende la scelta di determinare, peralcune aree di contenuti, soltanto gli indirizzi e gli orientamenti di fondo e non la definizione puntuale di tutti gli aspet-ti organizzativi, gestionali e strutturali.

La Regione ha la responsabilità di dover compiere ancora molti passi: la determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati; l’esercizio dei poteri sostitutivi; ladisciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti; l’isti-tuzione (eventuale) di uffici di tutela dei cittadini; l’adeguamento della disciplina regionale ai principi del decreto legis-lativo di riordino delle IPAB; il regolamento dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per l’acquisto deiservizi sociali; la disciplina delle modalità per il rilascio delle autorizzazioni all’erogazione di servizi sperimentali edinnovativi. È da attuare l’istituzione dei registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali. È in via di defi-nizione la disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione ai servizi e alle strutture a ciclo residenziale e semi-residenziale. Ed è in corso di progettazione l’istituzione del Sistema informativo dei servizi sociali.

Ma soprattutto il problema che la Regione si trova ad affrontare è quello relativo all’impatto reale che la produzio-ne normativa può esercitare sul territorio e sulle amministrazioni locali. Un impatto che finora si è dimostrato debolea causa del gap esistente tra tentativo di innovazione e capacità di ricezione innovativa da parte delle amministrazioniperiferiche, in una condizione di insufficienza sia sul piano strutturale e organizzativo, che sul piano della cultura edella prassi delle politiche sociali.

SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 nneellllaa RReeggiioonnee BBaassiilliiccaattaa

ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

SITUAZIONE

Effettuata con D.G.R. 2726 del 21Dicembre 2001.

Inserito nel Piano Socio AssistenzialeRegionale 2000/2002 e regolamentatodalla L.R. 25/97 e L.R. 39/93.

L.R. 1/2000 “Nuove norme per la pro-mozione del volontariato”.

L.R. 25/97 e Piano socio-assistenziale2000/02.

Le consultazioni sono state effettuatedurante la fase di predisposizione delP.S.A. e dei Piani sociali di Zona.

Effettuata nell’ambito del Piano socio-assistenziale 2000/02.

Precedenti disposizioni nella L.R. 25/97e nel P.S.A.In fase di definizione il nuovo regola-mento.

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33

ARTICOLO

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

10, comma 3

11, comma 1

OGGETTO

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

SITUAZIONE

Da attuare.

Contenuti nel P.S.A.

Non è avviata alcuna discussione.

Stabiliti nei P.S.A. e nei Piani di Zona.

In avvio percorsi di aggiornamento pro-fessionale per operatori sociali deiComuni.

Da definire.

Da definire.

Da definire.

Contributo regionale a copertura del50% del costo degli uffici di serviziosociale.

Da definire.

In via di definizione.

Page 34: Il lungo cammino della riforma

34

ARTICOLO

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

Da definire.

In programma.

In corso.

Da definire.

Piano Socio Assistenziale Regionale2000/2002.

Legge finanziaria regionale.

In corso di progettazione.

Già definiti.

Page 35: Il lungo cammino della riforma

35

PPrroovviinncciiaa aauuttoonnoommaa ddii BBoollzzaannoo

La stesura del Piano sociale 2000-20025 della Provincia autonoma di Bolzano ha coinciso con una fase com-plessa di trasformazione.

Il riordino dei servizi sociali dell’Alto Adige, avviato nel 1991, ha provocato forti cambiamenti nella struttura degliEnti gestori dei servizi sociali pubblici. La creazione di una vasta rete decentrata e territorialmente estesa per la coper-tura delle principali necessità a carattere sociale, tramite la fondazione dei distretti socio-sanitari, ha reso necessariolo sviluppo di nuove forme di organizzazione per il sociale. Si è quindi assistito ad una serie di cambiamenti di vastaportata, che hanno coinvolto tutti gli operatori del settore, sia professionisti che volontari, e si è avvertito il bisogno diuna riorganizzazione della cooperazione tra i vari livelli del sociale ed i diversi Enti locali.

Prima di entrare nel vivo della trattazione del Piano sociale, è importante ribadire la peculiarità della storia dellaProvincia autonoma di Bolzano rispetto alla situazione vigente nelle altre Regioni italiane.

Con l’entrata in vigore dello Statuto di Autonomia6, la Provincia altoatesina ha acquistato ampi poteri legislativi inmateria di assistenza e beneficenza pubblica. Diversamente da quanto avvenuto nelle altre Regioni italiane, in cui i pote-ri amministrativi relativi all’assistenza e beneficenza rientrano nella competenza propria dei Comuni, in Alto Adige talipoteri sono stati assegnati, fin dal 1977, alla Provincia7. L’ampia competenza in materia di gestione dei servizi socialia livello territoriale ha trovato una piena formalizzazione nel 1991, con la legge provinciale per il riordino dei servi-zi sociali8. Con tale provvedimento, la Provincia ha operato per delegare ai Comuni i poteri amministrativi in questosettore. Pertanto, sebbene essa sia tuttora competente in materia di servizi sociali, i poteri amministrativi sono stati difatto trasferiti ai Comuni. Stando al disposto della legge9, alla Provincia spetta la pianificazione, l’orientamento, il coor-dinamento ed il controllo dei servizi sociali, la formazione, l’aggiornamento professionale e la riqualificazione del per-sonale, nonché il finanziamento dei compiti delegati ai Comuni e alle comunità comprensoriali. Inoltre, la Provincia ècompetente in fatto di costruzione, ampliamento e ristrutturazione dei beni immobili. E, tra i suoi compiti, rientraanche la gestione e lo sviluppo del Sistema informativo provinciale per l’assistenza sociale (SIPSA).

Il Piano sociale Provinciale rappresenta il principale strumento di pianificazione dei servizi sociali in Alto Adige.Esso riguarda il settore dell’assistenza e della beneficenza, sia pubbliche che private (previdenza, assistenza sociale,servizi sociali). Tale provvedimento permette di collocare i servizi sociali nell’ambito delle misure e delle responsabi-lità dello Stato, nei settori dell’assistenza sociale, dell’assicurazione sociale, del settore sanitario e fiscale, nonché nel-l’ambito delle misure e delle responsabilità della Regione, nel settore della previdenza sociale integrativa. Quest’ultimarappresenta una tra le principali competenze della Regione, che esplica il proprio potere legislativo nell’integrazionedelle misure previdenziali dello Stato nel campo della maternità, della disoccupazione, dell’invalidità e della vecchiaia.

Ora, sebbene l’amministrazione delle misure relative alla previdenza sociale integrativa sia stata trasferita alleProvince autonome, la competenza regionale in materia legislativa e finanziaria comporta che le misure previdenzialiintegrative non rientrino nel livello decisionale del Piano sociale Provinciale, pur rappresentandone un orizzonteimportante. La subordinazione dell’assistenza sociale (della Provincia) alla previdenza integrativa (della Regione)determina infatti la necessità di una buona armonizzazione delle misure previdenziali con le misure assistenziali, con-siderando anche che i gestori dell’assistenza (Provincia, Comuni e comunità comprensoriali) sono di fatto costretti avincolare le prestazioni sociali alle decisioni previdenziali della Regione.

Il Piano sociale Provinciale si propone i seguenti compiti:- stabilire le linee guida generali e gli obiettivi;- fungere da modello per l’assistenza sociale in Alto Adige;- fornire gli orientamenti per un’organizzazione efficiente dei servizi;- coordinare i programmi e le misure dei servizi sociali e di quelli sanitari;- stabilire il fabbisogno di personale;- definire le linee guida per la formazione e l’aggiornamento del personale, nonché per la sua riqualificazione pro-

fessionale;- definire le priorità contenutistiche in fatto di utilizzo dei mezzi finanziari disponibili.Dopo aver definito le linee guida per l’assistenza sociale e gli obiettivi per il triennio 2000-2002, il Piano propone

le misure concrete da adottare nel periodo considerato.Gli obiettivi e gli interventi possono essere suddivisi in 3 gruppi principali.Primo gruppo: misure e raccomandazioni per lo sviluppo organizzativo e la formazione del personale, per la

cooperazione con il settore sanitario, gli enti gestori indipendenti ed altre istituzioni sociali. Queste misure rivestonoun’importanza fondamentale anche per gli altri settori.

Le finalità operative e le misure relative alla realizzazione dello sviluppo organizzativo concernono la creazione dinuove condizioni di riferimento, di natura appunto organizzativa, per la gestione dei servizi sociali da parte degli Entidecentrati (Comuni, comunità comprensoriali ed aziende per i servizi sociali) e a livello distrettuale. In questa parte,vengono descritte le misure riguardanti la Ripartizione provinciale del Servizio sociale e degli organi e strumenti adessa subordinati (Sistema informativo provinciale e Consulta provinciale).

Per quanto riguarda lo sviluppo sistematico del personale, esso viene considerato a tutti i livelli uno strumento stra-

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tegico centrale per il raggiungimento delle finalità formulate nel Piano sociale Provinciale. Un personale ben qualifica-to e motivato costituisce infatti la risorsa più importante per il conseguimento degli scopi prefissati. Le misure trattatein quest’ambito includono da un lato la formazione e l’aggiornamento professionale e dall’altro le azioni per il reperi-mento del personale.

Secondo gruppo: le misure trasversali ai diversi gruppi. Questa categoria comprende tutte quelle misure e quegliobiettivi che interessano la totalità dell’assistenza sociale (qualità, prevenzione, partecipazione dei cittadini, gestioneprivata, volontariato, “auto-aiuto”, integrazione socio-sanitaria, ecc.), o più gruppi sociali contemporaneamente.L’introduzione di questa categoria nel Piano sociale persegue l’obiettivo di promuovere un approccio teorico ed ope-rativo al lavoro sociale che vada al di là dei singoli gruppi di riferimento e che incentivi l’interdisciplinarietà delle ini-ziative.

Terzo gruppo: misure specifiche per gruppi di riferimento. Le azioni relative a quest’ultima categoria sono diret-te ad undici diversi gruppi di riferimento, formati secondo criteri prammatici: anziani; persone in situazione di handi-cap; bambini e giovani; famiglie; malati psichici; delinquenti adulti; drogati e tossicodipendenti; extracomunitari; pro-fughi; Sinti e Rom; senzatetto. Tali gruppi rappresentano, sotto il profilo quantitativo o qualitativo, importanti settorid’intervento, cui si è ispirata la ripartizione delle competenze nell’amministrazione sociale. Per la definizione delle sin-gole misure si è proceduto nel seguente modo:

- riformulazione dei principi generali e delle linee guida per l’assistenza sociale, in rapporto ai singoli gruppi ed infunzione di specifici obiettivi operativi;

- descrizione dei gruppi di riferimento;- definizione delle singole misure in funzione della priorità, della situazione di partenza, delle risorse necessarie,

dei tempi e delle competenze.In futuro, viene auspicato il superamento di quest’approccio per gruppi, in favore dell’individuazione di similitudi-

ni e punti di contatto tra le problematiche di diverse categorie di persone, che permettano lo sviluppo di strategie tra-sversali. Ciò consentirebbe di migliorare la consapevolezza dell’insorgere dei problemi sociali in un’ottica unitaria edorientata all’ambiente, nonché di sfruttare gli effetti sinergici legati allo sviluppo di strategie di intervento ed alla strut-turazione dell’offerta. Nella pratica, si riscontra un cumulo di diversi problemi nella medesima persona (i senzatettospesso presentano anche problematiche di tossicodipendenza o patologie psichiche) o emergono disagi (come larichiesta di un posto di lavoro o di un alloggio dignitoso) che si presentano negli stessi termini per diversi gruppi dipersone e che possono essere affrontati con strategie simili. Un approccio trasversale potrebbe quindi portare, a lungotermine, ad una semplificazione e ad una maggiore integrazione delle leggi sociali settoriali.

Analizzando complessivamente il lavoro svolto dalla Provincia autonoma di Bolzano, possiamo affermare, in con-clusione, che il processo di attuazione della legge 328/00 deve ancora essere completato.

Alcuni provvedimenti sono in corso di elaborazione:- c’è un progetto per fissare i criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi;- sono state definite solo in parte le norme ed i parametri di riferimento per la gestione dei servizi e per l’erogazio-

ne delle prestazioni;- risultano incomplete: la definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali, la disci-

plina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale ed i livel-li essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

Altri provvedimenti sono, invece, ancora del tutto assenti: l’emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rap-porti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona; l’istitu-zione di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali; la determinazione dei criteri per la definizionedelle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati; la trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi; la disciplina dei criteri e delle modalitàper la concessione dei titoli per i servizi.

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SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 nneellllaa PPrroovviinncciiaa aauuttoonnoommaa ddii BBoollzzaannoo

ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

SITUAZIONE

Si è provveduto. Disposizioni statutariesull’autonomia finanziaria dellaProvincia autonoma di Bolzano.

Non si è provveduto.

Si è provveduto. Legge provinciale13/1991 “Riordino dei servizi sociali inProvincia di Bolzano”.

Si è provveduto. Nel caso di Bolzano eTrento riferimento diretto alle Province.

Si è provveduto. L.P. 13/91.

Si è provveduto. L.P. 13/91.

È in corso un progetto per fissare tali cri-teri.

Non si è provveduto.

Definiti solo in parte norme e parametridi riferimento per i diversi servizi.

Definiti in parte.

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ARTICOLO

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

10, comma 3

11, comma 1

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

OGGETTO

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

SITUAZIONE

Si è provveduto. Decreto del Presidentedella Giunta Provinciale n. 30 del 2000 esuccessive modifiche.

Si è provveduto.L.P. 13/91.Programma annuale deliberato dallaGiunta Provinciale.

Non si è provveduto.

Si è provveduto alla disciplina delle pro-cedure amministrative e delle modalitàper la presentazione dei reclami da partedegli utenti delle prestazioni sociali.L.P. 13/91.Istituzione Sezioni Ricorsi della Consultaprovinciale per l’assistenza sociale.Non si è provveduto all’istituzione degliuffici di tutela degli utenti.

Si è provveduto. L.P. 13/91.

Definita in parte.

Si è provveduto.

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ARTICOLO

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

Piano Sociale Provinciale 2000-2002,approvato il 13 dicembre 1999.

Si è provveduto.

Si è provveduto. L.P. 13/91.

Definiti in parte.

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CCaallaabbrriiaa 10

La Regione Calabria ha deliberato il recepimento della legge quadro 328/2000 con il D.G.R. n. 212 del 19 Marzo 2002,“Realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali nella Regione Calabria”.

Nelle parole del Presidente della Giunta Regionale, la Calabria si propone di ricalcare unica nel Meridione la strada giàintrapresa dall’Emilia Romagna di adozione del dettato nazionale attraverso un disegno di legge regionale. Ciò naturalmentenon può che costituire un passo avanti, seppur tardivo, nella storia sociale di questa Regione, fino ad oggi annoverata traquelle più indietro nel comparto dei servizi sociali. In questa sede non si è tuttavia potuto procedere all’analisi di tale prov-vedimento, poiché, al momento, non ci è stato possibile reperire (pur avendone fatta richiesta) il documento attuativo delsistema integrato, approvato dalla Giunta e trasmesso al Consiglio Regionale secondo quanto riferito dal Dipartimento peri servizi sociali.

Attualmente, tale Dipartimento si trova in una fase di transizione, in attesa della definitiva applicazione delle legge regio-nale di recepimento della normativa nazionale. In questa fase, è stato avviato un tavolo di concertazione regionale, che coin-volge varie tipologie di soggetti e ha l’obiettivo di definire alcuni aspetti inerenti l’attuazione della legge quadro sul territo-rio regionale.

CCaammppaanniiaa

La Campania è stata la prima Regione ad aver emanato, dopo l’approvazione della legge nazionale di riforma dell’assi-stenza, le Linee programmatiche per la costruzione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali11.

In attesa della completa stesura del Piano Regionale, le linee di indirizzo rappresentano lo strumento per avviare rifles-sioni ed azioni, capaci di innovare e, al contempo, di valorizzare le buone prassi consolidate nella tradizione regionale. Esseforniscono indicazioni per la realizzazione di interventi partecipati, socialmente condivisi, verificabili, qualitativamente signi-ficativi ed efficaci.

L’intento primario delle linee guida è di offrire un indirizzo per la stesura dei Piani di Zona, allo scopo di favorire l’at-tuazione di un sistema omogeneo di interventi e servizi sociali, capace di garantire livelli essenziali di assistenza e di favo-rire la sperimentazione, la comparazione e la valutazione, nel riconoscimento dell’autonomia e della capacità progettualedelle comunità locali.

Nel provvedimento, vengono definiti come obiettivi regionali:- la costruzione di un sistema territoriale, articolato per ambiti, che realizzi un’organizzazione di servizi ed interventi

interdisciplinare ed intersettoriale, capace di utilizzare una modalità progettuale nelle diverse fasi del lavoro sociale;- la riduzione degli squilibri nell’offerta sociale regionale, attraverso la realizzazione, in ciascun ambito territoriale, di

una rete di servizi essenziali.In attuazione a quanto previsto dalla legge 328/2000, la Regione, sulla base della concertazione avvenuta tra gli Enti isti-

tuzionali ed i soggetti del privato sociale, individua 51 ambiti territoriali, determinati sul modello della distrettualizzazionesanitaria. La coincidenza delle aree zonali con i distretti sanitari non deve essere considerata come un automatico adegua-mento alla normativa nazionale o come uno schema innovativo per trattare unitariamente le problematiche della salute edella protezione sociale. Al contrario, essa viene definita come un’esigenza imprescindibile del contesto locale, nel qualel’approccio multidisciplinare e l’azione integrata si rivelano una risorsa aggiuntiva cruciale.

Ai Comuni, singoli o associati, è affidato il compito di definire il Piano di Zona (di norma adottato attraverso l’accordodi programma), d’intesa con le Asl e con il concorso della Provincia di riferimento, dei soggetti operanti nell’ambito dellasolidarietà sociale, delle organizzazioni sindacali e di tutela degli utenti, degli altri soggetti pubblici titolari di funzioni ecompetenze rilevanti in campo sociale. Per la stesura dei Piani territoriali, la Regione dispone l’attivazione di unCoordinamento istituzionale, composto dai Sindaci dei Comuni, dal Presidente della Provincia (e della ComunitàMontana, ove esistente) e dal Direttore Generale della Asl di riferimento. Questo organo ha la possibilità di promuovere lacostituzione di un gruppo di piano, quale strumento operativo della programmazione zonale, in grado di favorire moda-lità più snelle di analisi della realtà locale e di coinvolgimento della collettività nella programmazione degli interventi e deiservizi sociali.

L’analisi dei problemi e dei bisogni del territorio rappresenta la fase propedeutica alla stesura dei Piani di Zona. Essafornisce la base conoscitiva indispensabile alla programmazione locale. E deve essere condotta non solo attraverso gli stru-menti classici della ricerca (statistiche, dati, questionari, relazioni periodiche di strutture ed enti), ma anche attraver-so il ricorso ad una lettura “diretta” del territorio, che preveda il coinvolgimento degli attori e dei destinatari degli inter-venti (ricerca azione, interviste di gruppo, attività di animazione territoriale, focus-group, forum pubblici…). Anchealle Province è riconosciuto un ruolo importante nella comprensione della realtà locale e nella rilevazione sociale. Ad esseè affidato il compito di condurre analisi quantitative e qualitative su scala provinciale, di realizzare ricerche ed analisi incen-

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trate su particolari categorie di bisogni o problemi e di favorire occasioni formative fra gli ambiti del proprio territorio.In riferimento alle aree d’intervento previste dalla legge 328/00 (responsabilità famigliari; diritti dei minori; persone

anziane; contrasto della povertà; disabili; droghe; immigrati) ed alle caratteristiche del territorio, la Regione individua unaserie di servizi ed interventi a cui i Piani di Zona devono riferirsi, pur nel rispetto della specificità di problematiche, biso-gni e risorse locali. Naturalmente, gli interventi indicati possono essere integrati e modificati, in funzione dei risultati del-l’analisi del fabbisogno sociale e dello stato dei servizi.

Tra le varie tipologie di intervento, la Regione si propone di sostenere gli ambiti territoriali nella programmazione e valu-tazione del segretariato sociale: un servizio, previsto dal Piano Nazionale, ritenuto cruciale e fortemente sperimentale.Esso costituisce una “porta unitaria di accesso” al welfare locale, indispensabile affinché le persone non esauriscano leproprie energie nella ricerca di adeguate risposte ai propri bisogni. Poiché l’efficacia di questa funzione viene a dipenderedal coinvolgimento di tutti gli attori della rete sociale, la Regione suggerisce di progettare ed attuare questo servizio in modocollaborativo con le Asl e con le organizzazioni solidali presenti a livello locale. Negli ambiti zonali caratterizzati da un’am-pia superficie e/o dall’assenza di servizi sociali di base, per garantire e potenziare le funzioni di accoglienza alla cittadi-nanza, possono essere attivate sedi decentrate dello sportello sociale, definite antenne, con compiti di orientamento edascolto sul territorio.

Un punto cardine delle linee guida regionali riguarda la valutazione della qualità dei servizi da erogare: aspetto funzio-nale alla realizzazione di un sistema efficiente ed efficace, in grado di rispondere, nel modo migliore, ai bisogni ed alle esi-genze del cittadino. In proposito, la Regione assume l’impegno programmatico di individuare standard e criteri di qualità(per i servizi, le figure professionali, gli interventi, le strutture), che costituiscano punti di riferimento unitari per la pro-grammazione locale. In attesa della messa a punto di un sistema regionale di monitoraggio e verifica qualitativa dei servizie degli interventi, i Piani di Zona devono prevedere tempi, modalità e criteri di valutazione. Condizione questa essenzialeper il controllo dei risultati conseguiti e per la successiva riprogrammazione.

Come più volte finora emerso, le linee guida disegnano un percorso che si propone, tra i suoi obiettivi primari, di favo-rire l’integrazione tra il comparto sociale e quello sanitario, attraverso una strategia articolata su tre livelli: istituzionale,gestionale e professionale. A livello istituzionale, l’integrazione socio-sanitaria viene perseguita attraverso intese (accor-di di programma) finalizzate ad effettuare interventi coordinati nell’erogazioni dei servizi. A livello gestionale, il coordi-namento ha luogo con l’individuazione del distretto, quale ambito unitario per la gestione delle attività sociali a rilevanzasanitaria e delle attività socio-assistenziali. A livello professionale, l’integrazione si realizza attraverso la costituzione diéquipe di territorio, che promuovano il coinvolgimento di professionalità ed operatori appartenenti ad Enti diversi nellaprogettazione di percorsi assistenziali e nella costituzione di unità valutative integrate, favorendo un approccio ai problemidi tipo multidisciplinare.

Ovviamente, l’elaborazione delle linee di programmazione sociale non esaurisce la funzione di indirizzo degli interven-ti locali assegnata alle Regioni dalla legge 328/2000. In proposito, per assicurare ai Comuni gli strumenti ed il supportonecessario per l’esercizio delle funzioni loro demandate e per favorire il coordinamento fra i diversi soggetti del sistemaintegrato di interventi e servizi sociali, la Regione individua le fasi successive del proprio lavoro. Essa si impegna, avvalen-dosi anche della Commissione regionale per l’applicazione della legge 328/200012, a:

- definire i requisiti minimi dei servizi;- predisporre gli strumenti per la valutazione della qualità, attraverso la definizione di un sistema di indicatori;- attivare, con la collaborazione delle Province e degli Enti locali, gruppi misti (istituzionali e del terzo settore) di lavo-

ro su qualità, valutazione ed accreditamento nei servizi sociali;- promuovere e coordinare le azioni di assistenza tecnica per la costituzione e la gestione degli interventi sociali da parte

degli Enti locali;- elaborare modelli di intervento per supportare, negli ambiti territoriali, la progettazione e gestione di servizi innovativi;- promuovere e sostenere il terzo settore;- definire il rapporto tra Enti locali e terzo settore, fornendo gli indirizzi per regolare i sistemi di affidamento dei servi-

zi alla persona;- istituire albi regionali di soggetti autorizzati all’esercizio dei servizi socio-assistenziali;definire, sulla base dei requisiti minimi previsti dallo Stato, criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza

delle strutture e dei servizi;- promuovere, d’intesa con l’Assessorato alla Sanità, la costituzione della commissione sull’integrazione socio-sanitaria;- sistematizzare i flussi informativi provenienti sul territorio, attraverso la costituzione di un Osservatorio delle politiche

sociali regionale.Le linee di programmazione regionale rappresentano quindi solo un aspetto, un primo passo del più complesso lavoro

di riorganizzazione dei servizi sociali avviato nella Regione Campania. In particolare, dall’emanazione di questo atto di indi-rizzo ad oggi, essa ha provveduto, oltre a quanto stabilito dal provvedimento regionale preso in esame: alla ripartizione deifinanziamenti assegnati dallo Stato ed all’impegno contabile delle quote e risorse ricevute; all’emanazione degli “Indirizzi aiComuni per la selezione di soggetti del terzo settore ai fini della gestione della rete integrata di interventi e servizi sociali aisensi della legge 328/2000”13; all’istituzione della Consulta dei Sindaci dei Comuni capofila14; alla stipula di una conven-zione con il Formez per i piani di formazione.

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42

ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

8, comma 3 lett. l)

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

SITUAZIONE

Effettuata con D.G.R. n. 7224/01 (impe-gno) e D.G.R. n. 1874/02 (approvazionePiani di Zona).

Effettuata con D.G.R. n. 1079 del 15Marzo 2002 “Indirizzi ai Comuni per laselezione di soggetti del terzo settore aifini della gestione della rete integrata diinterventi e servizi sociali ai sensi dellalegge 328/2000”.

Effettuata con D.G.R. n. 1079 del 15Marzo 2002.

Effettuata con D.G.R. n. 1826/01 “Lineeprogrammatiche per la costruzione di unsistema integrato di interventi e servizisociali”.

Effettuata. Istituzione della Consulta deiSindaci dei Comuni capofila con D.G.R.n. 1081/02.

Effettuata con D.G.R. n. 1824/01.

In itinere.

In itinere.

SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 iinn CCaammppaanniiaa

Page 43: Il lungo cammino della riforma

43

ARTICOLO

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

10, comma 3

11, comma 1

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

OGGETTO

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

SITUAZIONE

Convenzione Formez/Regione.

In itinere.

“Linee programmatiche per la costruzio-ne di un sistema integrato di interventi eservizi sociali”, adottate con D.G.R. n.1826/01.

Effettuato con D.G.R. n. 7224/01.

Page 44: Il lungo cammino della riforma

44

ARTICOLO

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

Effettuata con D.G.R. n. 7289/01.

In itinere.

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45

EEmmiilliiaa RRoommaaggnnaa

La Regione Emilia Romagna si propone di dare attuazione alle norme volte alla realizzazione del sistema integratodi interventi e servizi sociali mediante una legge regionale di riforma organica delle politiche sociali. Il progetto dilegge, dal titolo “Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistemaintegrato di interventi e servizi sociali”, è stato approvato dalla Giunta Regionale il 26 Novembre del 2001 ed èattualmente all’esame della competente Commissione Consiliare. Il provvedimento mira ad adeguare la disciplinaregionale alle nuove e complesse esigenze della società emiliano-romagnola, in materia di politiche sociali, e si inse-risce nel quadro istituzionale aperto dalla recente riforma del Titolo V della Costituzione.

La promozione della cittadinanza sociale, la solidarietà, la valorizzazione delle iniziative e delle scelte dei cittadini,la sussidiarietà rappresentano i tratti distintivi della riforma regionale. L’individuazione di nuovi bisogni e la predispo-sizione di strumenti di risposta innovativi, assieme alla costruzione di un sistema che si fonda su diritti di accesso uni-versalistici e su livelli essenziali di assistenza concordati e definiti, ne rappresentano il “corpo”.

Il testo del progetto di legge delinea con precisione il ruolo dei diversi soggetti coinvolti:- i Comuni, il fulcro del nuovo sistema, con il compito di progettare e realizzare il sistema locale dei servizi socia-

li a rete;- le Province, cui è affidato un ruolo di coordinamento e supporto tecnico per la definizione dei Piani di Zona;- la Regione, che ha l’obiettivo di programmare, coordinare ed indirizzare le politiche sociali, favorendone l’inte-

grazione con tutti i settori che incidono sulla qualità della vita delle persone;- le Aziende sanitarie e le costituende Aziende pubbliche di servizi alla persona (che nasceranno a segui-

to del processo di trasformazione e riordino delle attuali IPAB), necessarie per attuare efficaci politiche di integrazio-ne socio-sanitaria, da un lato, e costituire qualificati gestori di servizi e prestazioni dall’altro;

- il terzo settore, come espressione della capacità di auto-organizzazione della società civile, le organizzazionidi rappresentanza sociale e di tutela degli utenti.

L’intento del provvedimento è la creazione di una rete integrata di interventi e servizi sociali, da realizzarsi attra-verso la costruzione di un nuovo sistema di regole, che, nel quadro di rapporti nuovi tra pubblico e privato, permettadi raggiungere un obiettivo di coesione sociale e di sostegno per chi è rimasto indietro. Il sistema locale si componeinfatti di un insieme di servizi ed interventi progettati e realizzati in maniera integrata e coordinata, nei diversi settoriche riguardano la vita sociale, dai soggetti pubblici e privati che operano sul territorio.

Centrale, in questa direzione, è la scelta dei Piani di Zona, come mezzo di programmazione a livello distrettuale. IPiani zonali rappresentano uno strumento nuovo, che ha il compito, anche simbolico, di produrre qualche sana ebenefica rottura, rispetto a prassi e modalità consolidate del governo delle politiche sociali a livello territoriale. Si trat-ta di veri e propri accordi di programma, coordinati dalle Province, attraverso i quali i Comuni, con il concorso di tuttii soggetti attivi nella progettazione, si propongo di disegnare il sistema integrato di interventi e servizi sociali.

I vantaggi della scelta operata sono evidenti:- organizzare in modo più efficace le risorse esistenti sul territorio;- evitare sovrapposizioni;- realizzare proficue sinergie.In questo quadro, il ruolo che il progetto di legge assegna all’Ente Regione non è quello di fornire direttamente i

servizi ai cittadini, ma di regolare l’azione degli altri soggetti che agiscono a livello locale. Tale regolazione si configu-ra come un insieme di interventi volti ad assicurare:

- la programmazione di medio-lungo periodo e gli indirizzi all’azione degli attori coinvolti, per ciò che riguarda lastruttura dei servizi;

- a facilitazione dell’azione dei soggetti sociali, tramite la creazione ed il mantenimento di condizioni attraverso cuiEnti locali ed organizzazioni private possono più efficacemente far fronte alla domanda assistenziale;

- il controllo e la supervisione del loro operato.Complessivamente, alla Regione e gli Enti locali è assegnato il compito di garantire la realizzazione del sistema inte-

grato dei servizi sociali, finalizzato a promuovere e realizzare un insieme di diritti, garanzie ed opportunità, volte allosviluppo e al benessere dei singoli e delle comunità, al sostegno dei progetti di vita delle persone e delle famiglie.

Tale obiettivo deve essere perseguito nell’osservanza delle seguenti finalità e principi:- rispetto della dignità della persona, con particolare riferimento all’infanzia, all’adolescenza, ai soggetti a rischio

o in condizione di esclusione sociale;- riconoscimento della centralità delle comunità locali, intese come sistema di relazioni tra le istituzioni, le perso-

ne, le famiglie, le organizzazioni sociali, ognuno per le proprie competenze e responsabilità, per promuovere il miglio-ramento della qualità della vita e delle relazioni tra le persone;

- promozione della partecipazione attiva dei cittadini, delle organizzazioni di rappresentanza sociale, delle associa-zioni sociali e di tutela degli utenti, assumendo il confronto e la concertazione come metodo di relazione con le orga-nizzazioni sindacali;

- valorizzazione e sostegno di chi assume compiti di cura e delle famiglie, quali ambiti primari di vita e di sviluppo

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della persona, perseguendo la condivisione delle responsabilità tra donne e uomini;- promozione dell’autonomia e della vita indipendente, con particolare riferimento al sostegno delle scelte di per-

manenza al proprio domicilio delle persone in condizione di non autosufficienza o con limitata autonomia;- sviluppo e qualificazione dei servizi sociali, anche attraverso la valorizzazione delle professioni sociali;- concertazione e cooperazione tra i diversi soggetti istituzionali;- integrazione delle politiche sociali con le altre politiche, in particolare con quelle sanitarie, educative, formative,

del lavoro, culturali, urbanistiche ed abitative.Tra i soggetti privati che concorrono alla realizzazione del sistema integrato, una particolare attenzione è dedicata

al terzo settore, al quale viene riconosciuto un ruolo specifico nella progettazione, realizzazione ed erogazione degliinterventi a livello locale.

In osservanza al dettato della legge 328/2000, il progetto di legge affida alla Regione il compito di approvare, sullabase del Piano sociale Nazionale, il Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali, integrato con il Piano sanita-rio regionale ed in raccordo con gli atti di programmazione in materia educativa e formativa, del lavoro, culturale edabitativa.

Tra gli obiettivi del Piano sociale, vi è la definizione, sulla scorta dei livelli essenziali ed uniformi delle prestazioniindividuati dallo Stato, delle caratteristiche e del fabbisogno da garantire dei servizi e degli interventi che costituisco-no i livelli essenziali delle prestazioni sociali, nel rispetto degli equilibri di bilancio, tenuto conto delle risorse desti-nate al finanziamento del sistema integrato e della compartecipazione degli utenti al costo delle prestazioni. Per la defi-nizione di tali livelli, il progetto di legge dispone, in considerazione della centralità attribuita al livello locale, che vengasancita un’apposita intesa triennale in sede di Conferenza Regione-Autonomie Locali.

Particolare attenzione viene rivolta al tema dell’accesso al sistema dei servizi sociali a rete. Il provvedimento indi-vidua nello Sportello unico la porta di ingresso al sistema locale dei servizi socio-assistenziali, socio-educativi esocio-sanitari, assegnandogli una funzione di orientamento del cittadino, ed attribuisce alla Giunta Regionale il com-pito di definire gli indirizzi per l’attivazione degli sportelli unici, per la definizione degli strumenti tecnici di valutazio-ne e controllo dei programmi assistenziali e delle modalità di individuazione del responsabile del caso.

Tra le disposizioni per la realizzazione di particolari interventi, il disegno di legge disciplina l’erogazione degliAssegni di cura, finalizzati al sostegno dell’accoglienza e del lavoro di cura nei confronti di anziani, disabili, altre per-sone in condizione di non autosufficienza e minori in affidamento familiare. Il provvedimento, con l’obiettivo di pro-muovere la solidarietà sociale e la mutualità, estende la platea dei possibili destinatari, includendo tra i beneficiari nonsolo le famiglie conviventi, ma anche i congiunti non conviventi od altre persone non legate da vincoli di parentela,purché in presenza di relazioni significative con l’assistito ed in condizioni di garantire un effettivo ed adeguato aiuto.Un’ulteriore novità, in materia, riguarda l’Assegno di cura maggiorato, volto a sostenere i lavoratori dipendenti cherichiedono congedi per gravi e documentati motivi familiari.

Accanto alla predisposizione dei Piani sociali, Regionale e di Zona, il provvedimento individua ulteriore strumentiper la programmazione concertata degli interventi, quali, in particolare, il Sistema informativo dei servizi sociali e laCarta dei servizi sociali.

Il Titolo V del progetto di legge affronta il tema degli strumenti per la regolazione e la qualità del sistema integratodegli interventi a rete. Il primo aspetto trattato è quello della formazione degli operatori sociali, considerata il pre-supposto necessario di un qualsiasi sistema volto a garantire l’efficacia delle prestazioni. A cui fa seguito la disciplinaper l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza dei servizi e delle strutture.

L’introduzione del sistema di accreditamento contempla la possibilità che gli Enti locali decidano di garantire leprestazioni ed i servizi sociali, compresi nei livelli essenziali, mediante la concessione di titoli per l’acquisto degli inter-venti. Il titolo è lo strumento che permette al cittadino di scegliere, tra quelli accreditati, il fornitore a cui rivolgersi perottenere le prestazioni ed i servizi.

Nell’ambito dei sistemi di acquisto da parte degli Enti locali, il provvedimento privilegia, per la scelta del fornitore,le procedure di affidamento ristrette e negoziate, nella convinzione che esse permettano di valorizzare l’appor-to dei soggetti del terzo settore e la loro capacità progettuale. Nella stesse direzione si muove lo strumento delle istrut-torie pubbliche per la progettazione comune degli interventi, che raccolgono le osservazioni e le proposte deisoggetti partecipanti e si concludono con l’individuazione di progetti innovativi e sperimentali.

L’apporto del volontariato viene distinto, all’interno del provvedimento, da quello degli altri soggetti del terzo set-tore caratterizzati come impresa sociale e si realizza mediante la stipula di convenzioni, anche di carattere promozio-nale, compatibili con la natura e le finalità del volontariato stesso.

L’ultima parte del progetto di legge è dedicata al sistema di finanziamento. E prevede l’istituzione del FondoRegionale per le politiche sociali. In questa sezione, particolarmente rilevante è la previsione del riparto delle risorsetra i Comuni, singoli e associati, quale concorso regionale all’attuazione dei Piani di Zona, con un contributo maggio-rato a favore delle forme associative. Ciò consente di superare l’impostazione vigente, che prevede il trasferimento dellerisorse come concorso alle spese di mantenimento dei servizi, a favore dell’erogazione di finanziamenti per sostenerela realizzazione degli obiettivi dei Piani di Zona, adottati in coerenza con le indicazioni della pianificazione nazionalee regionale.

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47

La discussione sull’applicazione della legge 328/00, in Emilia Romagna, ha visto l’Amministrazione regionale impe-gnata in una lunga fase di confronto con le Amministrazioni locali e le parti sociali interessate, che ha portato all’ela-borazione del progetto di legge regionale finora trattato.

Senza attendere la conclusione dell’iter legislativo, la Regione ha comunque approvato, la scorsa estate, il“Programma degli interventi ed individuazione dei criteri di ripartizione del Fondo Regionale socio-assistenziale e delFondo Nazionale per le politiche sociali per l’anno 2001”15, che rappresenta un deciso passo in avanti, per via ammi-nistrativa, nella direzione dell’applicazione dei principi e dei metodi previsti nella legge 328. Le principali innovazionicontenute nel programma sono:

- la crescita delle risorse ordinarie a disposizione dei Comuni, passate da 16 a 52 miliardi di lire;- la nascita dei Piani di Zona, che rappresentano la novità più significativa. Essi costituiscono una via nuova e spe-

rimentale per dar vita ad una programmazione negoziata sul territorio, dalla quale ci si attende, soprattutto, la messain rete delle competenze del pubblico, ma anche del volontariato e dell’associazionismo, che sempre più rappresen-tano gli interlocutori imprescindibili per costruire l’innovazione sociale.

La progettualità sociale indica la capacità di una comunità di dar vita a processi di trasformazione e cambiamen-to, a partire dalla risposta ai bisogni emergenti presenti sul proprio territorio. Risposta ai bisogni, processi di trasfor-mazione e cambiamento trovano fermento generativo nella capacità di mobilitare energie, competenze e professiona-lità della Regione, delle organizzazioni di volontariato e degli Enti locali, in un processo che consenta, di volta in volta,di valutare ed attivare le forme più opportune di integrazione e sinergia con gli altri soggetti del territorio, siano que-sti ultimi rappresentati da altri gruppi e associazioni di volontariato, dalla cooperazione sociale, dall’associazionismo,dalle varie articolazioni degli Enti locali o da altri attori presenti sul territorio. Tale definizione della progettualità socia-le definisce già di per sé la prospettiva nella quale si muove la concertazione. Essa è rappresentata dai processi, rela-tivi alla riformulazione dello Stato sociale, che richiedono alla Regione, al volontariato e agli Enti locali la capacità diattivare ed alimentare nuove e qualificate relazioni con tutti i soggetti che si muovono nell’ambito sociale.

In questo quadro, possiamo concludere che la Regione Emilia Romagna ha dimostrato un elevato grado di proget-tualità sociale ed una grande prontezza nel sapersi adeguare alle nuove esigenze normative di integrazione socio-sani-taria, seppur con relativi ritardi rispetto alla definizione del Piano sociale Regionale, richiesto dalle direttive di stan-dard nazionali. Il progetto di legge, attualmente all’esame della competente Commissione Consiliare, risponde in tuttele sue parti al dettato della legge 328/00, rappresentando lo strumento di totale attuazione della riforma nazionale sulterritorio regionale.

ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

SITUAZIONE

Effettuata con delibera del ConsiglioRegionale n. 246 del 25 Settembre 2001,che ha previsto la predisposizione deiprimi Piani di zona sperimentali.

Progetto di legge regionale “Norme perla promozione della cittadinanza socialee per la realizzazione del sistema inte-grato di interventi e servizi sociali”, artt.39 e 41.

Art. 42 del citato progetto di legge regio-nale.

Art. 21 del citato progetto di legge regio-nale.

Art. 26, comma 6, del citato progetto dilegge regionale.

SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 iinn EEmmiilliiaa RRoommaaggnnaa 16

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ARTICOLO

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

OGGETTO

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

SITUAZIONE

Art. 19 del citato progetto di legge regio-nale.

Artt. 34 e 37 del citato progetto di leggeregionale.

Art. 34 del citato progetto di legge regio-nale.

Art. 37 del citato progetto di legge regio-nale.

Art. 38, comma 3, del citato progetto dilegge regionale.

Art. 43 del citato progetto di legge regio-nale.

Art. 33 del citato progetto di legge regio-nale.

Art. 37 del citato progetto di legge regio-nale.

Art. 22, comma 4, del citato progetto dilegge regionale.

Art. 32, comma 3, del citato progetto dilegge regionale.

Artt. 18, comma 4, lett. b), e 57, commi5, 6, 7, 8, del citato progetto di leggeregionale.

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ARTICOLO

10, comma 3

11, comma 1

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

Art. 25 del citato progetto di legge regio-nale.

Art. 34 del citato progetto di legge regio-nale.

Art. 34, comma 2, del citato progetto dilegge regionale.

Legge regionale n. 19 del 24 Luglio1979.Legge regionale n. 3 del 1999.Artt. 205 e 33 del citato progetto di leggeregionale.

Da fare.

Art. 38 del citato progetto di legge regio-nale.

Art. 26 del citato progetto di legge regio-nale.

Immediatamente successivo agli accredi-ti ricevuti.

Già operante a livello regionale il Sistemainformativo delle politiche sociali(SIPS).Art. 27 del citato progetto di legge regio-nale.

Artt. 3, comma 2; 8; 12, comma 3; 15,comma 2, lettera a); 26, comma 2, lette-ra b); 28, comma 1, lettera a); 38,comma 1; 44, comma 2, del citato pro-getto di legge regionale.

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50

FFrriiuullii VVeenneezziiaa GGiiuulliiaa 17

La Regioni Friuli Venezia Giulia, allo stato attuale, non ha ancora emanato alcun provvedimento attuativo della leggequadro di riforma dei servizi sociali.

Al momento, gli Amministratori locali sono impegnati nella predisposizione di un programma di lavoro per lariforma del welfare regionale. Ma, non essendo stato prodotto, ad oggi, alcun atto ufficiale, la Regione opera in basealla propria normativa pregressa. In attesa di un documento che armonizzi le politiche sociali regionali alla cornicenazionale di profonda trasformazione del settore socio-assistenziale, la legge 33/88, e le sue successive integrazioni emodifiche, rappresenta ancora il principale strumento normativo del sociale friulano.

Sta di fatto che, attualmente, il Friuli Venezia Giulia si trova un passo indietro nel processo di attuazione della nor-mativa nazionale, che riforma profondamente le politiche sociali.

In un’interpellanza18, presentata alla Presidenza Regionale nel Novembre del 2001, alcuni Consiglieri sostengonoche il ritardo nella applicazione della legge 328/2000, unito alla situazione difficile in cui versano gli uffici e le strut-ture della Amministrazione regionale che operano nel settore delle politiche sociali, stia provocando una penalizza-zione degli Enti locali e del terzo settore. I sei firmatari dell’interpellanza ipotizzano che la mancata programmazionenel settore delle politiche sociali integrate potrebbe avere delle ripercussioni sulla corretta e puntuale erogazione deiservizi, ostacolando il necessario rinnovamento nella pianificazione e nella gestione degli interventi e dei servizi inte-grati presso gli Enti locali.

Le cause della situazione regionale attuale vanno rintracciate, secondo gli autori del documento, nella mancata rea-lizzazione della coerenza e organicità necessaria per una effettiva gestione integrata del comparto socio-sanitario regio-nale, nonché nel mancato coordinamento con gli altri settori, quali l’istruzione, la formazione ed il lavoro, che sonoparimenti strategici per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. I ritardi e la pesante caren-za di personale di cui soffrono gli uffici regionali competenti in materia rappresentano alcuni degli elementi di diffi-coltà nel recepimento della legge quadro, in questa come in altre Regioni.

Una situazione analoga si delinea, cinque mesi dopo la prima interpellanza, nella ancor più dura interrogazione arisposta orale, presentata alla Presidenza Regionale l’11 aprile 2002: “la mancata applicazione, nel Friuli VeneziaGiulia, della legge nazionale 328 del 2000....come hanno più volte evidenziato anche l’ANCI, i Sindacati e leAssociazioni disabili, sta privando gli Enti locali di compiti e competenze specifiche di prioritario interesse peri cittadini. È una situazione molto grave destinata purtroppo a non risolversi a breve, secondo quanto abbia-mo appreso nel corso dell’audizione, in 3a Commissione, del Direttore del Servizio per le attività socio-assi-stenziali e per quelle sociali ad alta integrazione sanitaria”.19

In questo documento viene affrontata la questione relativa ai fondi nazionali già trasferiti alla Regione, ai sensi dellalegge 328, una parte dei quali verrà utilizzata per completare il finanziamento dell’articolo 32 della legge 10 dell’anno2000. “Il processo richiesto – ci è stato testualmente detto – si presenta complesso e non di immediata risolu-zione e pertanto si ritiene di dar corso al riporto del Fondo statale previsto dalla legge 328, pur nella consape-volezza che l’utilizzo di tali fondi, riferiti all’anno 2001, potrà solo in parte rappresentare una spinta all’inno-vazione richiesta”. 20

Non conoscendo i tempi di attuazione della legge nazionale e gli step che la Regione intende superare, occorre riba-dire il forte ritardo del Friuli Venezia Giulia nella predisposizione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.

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LLaazziioo

La Regione Lazio si trova attualmente, in materia di politiche sociali, in una situazione di transizione.Incalzata dal Piano Regionale21 1999-2001 ed in attesa della definitiva stesura del Piano socio-assistenziale per il

triennio 2002-2004, la Regione ha emanato, seppur con un certo ritardo, le “Linee guida ai Comuni per l’utiliz-zo delle risorse provenienti dal Fondo nazionale per le politiche sociali – anno 2001”22.

Con il primo Piano socio-assistenziale, la Regione si impegnava a promuovere una trasformazione delle forme diorganizzazione del sistema dei servizi sociali, alla ricerca di assetti che garantissero una maggiore efficacia ed efficienzadegli interventi sociali. Essa si proponeva, con la strumentazione a disposizione, di perseguire ed anticipare la riformanazionale dell’assistenza, allora in discussione in Parlamento.

Alla base del processo di riorganizzazione dei servizi sociali si poneva la scelta di procedere nella costruzione deidistretti delle politiche sociali. L’obiettivo era quello di superare un sistema decisionale prescrittivo “a cascata” (dalCentro alla Periferia), in favore di procedure democratiche di tipo circolare, che favorissero il coinvolgimento dellecomunità locali nel processo politico-programmatorio.

In funzione di una visione diversificata e paritaria dei poteri in materia sociale, il Piano riservava alla Regione unafunzione di indirizzo ed orientamento degli Enti locali e dei soggetti privati, assegnando ai Comuni il ruolo inedito diattori di un processo di miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini delle loro comunità.

L’idea forza di questo primo Piano socio-assistenziale stava nel considerare i primi tre anni di attuazione un perio-do di transizione e di sperimentazione. Il fine che si intendeva perseguire era quello di superare la separazione tra“socio-assistenziale” e “sanitario”, per arrivare ad una ricomposizione delle due azioni in un unico intervento che fosse“socio-sanitario”.

In attesa della legge nazionale di riordino dei sevizi sociali, la Regione si impegnava a lavorare per far crescere tragli operatori e gli amministratori delle Asl e degli Enti locali la consapevolezza dell’importanza dell’integrazione fun-zionale ed operativa tra le prestazioni erogate direttamente dai Comuni e le prestazioni di pertinenza del servizio sani-tario. A tale scopo, il Piano individuava nei distretti delle Asl la dimensione territoriale ottimale per la gestione degliinterventi sociali e sanitari. Essa avrebbe consentito di sviluppare al massimo i sistemi innovativi ed alternativi al rico-vero, di attivare processi comunicativi triangolari tra operatoti, amministratori e cittadini, di esercitare un controllosociale diffuso e di garantire una sostanziale partecipazione della comunità locale nella decisione politico-ammini-strativa. Se, al termine della sperimentazione, l’organizzazione del distretto socio-assistenziale avesse prodotto risulta-ti positivi, dimostrando la fattibilità dei diversi passaggi, il Piano auspicava, anche in previsione dell’evoluzione legis-lativa nazionale, eventuali modifiche normative, che permettessero di utilizzare tale modello integrato per gestire ser-vizi socio-assistenziali, servizi socio-sanitari, progetti obiettivo ed azioni programmate.

Per la gestione dei servizi e degli interventi all’interno dei bacini distrettuali, il Piano prevedeva che gli Enti localiadottassero progressivamente (a partire dalle aree scelte per la sperimentazione) il metodo della pianificazione dizona, favorendo il coinvolgimento degli altri Enti locali (Comunità montane, Province) delle diverse istanze del priva-to sociale (associazionismo, cooperazione sociale) e delle IPAB.

Gli obiettivi della regolamentazione del sistema sociale erano individuati nel:- produrre una semplificazione del sistema dei servizi, attraverso la riduzione delle tipologie di intervento, da ricon-

dursi a modelli caratterizzati secondo specificità funzionali essenziali, evitando sovrapposizioni all’interno dello stessoterritorio;

- consentire l’individuazione del servizio non per classe di appartenenza o categoria destinataria, ma attraverso ladefinizione di funzioni e prestazioni;

- favorire servizi flessibili rispetto a quelli che tendono ad una eccessiva specializzazione. Intendendo per flessibi-lità: offerta di prestazioni differenziate; assunzione di gruppi di popolazione bersaglio, non limitati ad una categoria;capacità di integrazione con gli altri servizi dell’area o del bacino distrettuale.

Per garantire livelli uniformi di prestazione su tutto il territorio regionale, il Piano si proponeva di assicurare, inogni area distrettuale, l’organizzazione di strumenti di intervento tali da garantire livelli minimi di tutela sociale edi affiancamento della comunità locale, della famiglia, delle persone.

Tali livelli erano individuati in:- Segretariato sociale, con funzioni di informazione, consulenza, mediazione sociale ed istituzionale;- Servizi di emergenza e pronto intervento assistenziale, con adeguate risorse sia economiche che di ospitalità tem-

poranea;- Prestazioni domiciliari di servizio sociale.Le aree di intervento prioritarie erano indicate in:- anziani;- maternità, infanzia e minori;- handicap;- disagio psichico in età evolutiva;- immigrati.

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Costituivano infine strumenti di rafforzamento del sistema dei servizi sociali: l’avvio di azione formative e l’istitu-zione del Sistema informativo.

Oggi, alla fine del triennio di sperimentazione, la Regione Lazio, in attesa di elaborare il nuovo Piano sociale, haprovveduto a determinazione i criteri e le modalità per la ripartizione delle risorse provenienti dal Fondo Nazionale,relative all’anno 2001, nonché a fornire indicazioni ai Comuni per la realizzazione degli interventi sociali a livello loca-le.

Per sostenere ed incentivare il sistema dei servizi, la metodologia di riparto prevede che una quota delle risorsevenga specificatamente destinata a:

- favorire l’associazionismo degli Enti locali, per superare l’ostacolo della dimensione comunale inadeguata ad assi-curare un’efficiente organizzazione dei servizi;

- supportare l’integrazione tra programmi di intervento e tra Enti locali ed Asl, per garantire al sistema una realestruttura a rete.

In proposito, il provvedimento ribadisce che obiettivo prioritario della programmazione regionale è l’integrazionesocio-sanitaria, da realizzarsi attraverso l’attivazione, ai vari livelli istituzionali, di strategie, programmi e modelli orga-nizzativi coerenti e funzionali.

Le Linee guida individuano nel Piano di Zona lo strumento fondamentale di pianificazione del sistema integrato sulterritorio e, riprendendo il dettato della legge 328/00, indirizzano l’attività dei Comuni del distretto in merito a obiet-tivi e contenuti.

Dagli orientamenti della pianificazione locale ed in relazione agli obiettivi prioritari, discendono i singoli progettioperativi, considerati parte integrante dei Piani di Zona, in funzione dei quali vengono richiesti specifici finanziamentiregionali, nei limiti della quota assegnata al distretto ed in riferimento alle aree di intervento.

Quest’ultime vengono individuate in:- responsabilità familiari;- diritti dei minori;- persone anziane;- contrasto della povertà;- disabili;- avvio della riforma.Una parte delle Linee guida è dedicata ai livelli essenziali delle prestazioni. In questa sezione vengono indicati i ser-

vizi, gli interventi e le prestazioni che devono comunque essere assicurati, ciascuno dei quali risulta corredato da unpiccola spiegazione.

Guardando complessivamente allo stato di attuazione dei provvedimenti previsti dalla riforma assistenziale, il per-corso che la Regione si trova a dover affrontare appare ancora piuttosto lungo.

Carente risulta la disciplina in materia di promozione del terzo settore ed esternalizzazione dei servizi sociali.È ancora in corso l’emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti locali e terzo settore, con

particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona. E sono allo studio le modalità per valorizza-re l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi sociali.

È stato avviato l’iter legislativo relativo alla proposta di legge regionale: “Disciplina in materia di autorizzazioneall’apertura e al funzionamento dei servizi alla persona e delle strutture socio-assistenziali a ciclo residenziale e semi-residenziale”. È stata approvata23 la proposta degli standard gestionali e strutturali, limitatamente ai gruppi apparta-mento ed alle case famiglia. Mentre è ancora assente la determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che iComuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

Sul versante della formazione degli operatori, è in corso la predisposizione ed il finanziamento dei piani per la for-mazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali, ma non si è ancora proceduto all’avvio dei corsidi formazione.

In riferimento ai rapporti con l’utenza, non sono state disciplinate le procedure e le modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti dei servizi sociali; né sono stati istituiti gli uffici di tutela dei cittadini.

Manca la definizione dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per l’acquisto dei servizi sociali ed èassente la disciplina per la determinazione del concorso degli utenti al costo delle prestazioni. Completa il quadro ilmancato adeguamento della disciplina regionale ai principi del decreto legislativo di riordino delle IPAB. Mentre è infase di definizione la banca dati del Dipartimento, auspicabile primo passo verso la creazione di un Sistema informa-tivo dei servizi sociali.

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ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

8, comma 3 lett. g)

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

SITUAZIONE

Definiti con apposito atto i criteri diriparto, D.G.R. n. 471 del 19/04/02“Determinazione dei criteri e dellemodalità per la ripartizione delle risorseprovenienti dal fondo nazionale per lepolitiche sociali. Anno 2001. Eserciziofinanziario 2002”.

In itinere.

Sono allo studio le modalità di valorizza-zione.

Legge regionale n. 38 del 9 Settembre1996.

Accordi di programma su base provin-ciale ai sensi della legge 285/97.

D.G.R. n. 471 del 19/04/02“Determinazione dei criteri e dellemodalità per la ripartizione delle risorseprovenienti dal fondo nazionale per lepolitiche sociali. Anno 2001. Eserciziofinanziario 2002”.D.G.R. n. 860 del 28 Giugno 2001“Determinazione dei criteri e dellemodalità per la ripartizione del fondoper l’attuazione del Primo Piano socio-assistenziale. Art. 10 L.R. 11/2001”.

Avvio dell’iter legislativo relativo alla pro-posta di legge regionale “Disciplina inmateria di autorizzazione all’apertura eal funzionamento dei servizi alla personae delle strutture socio-assistenziali aciclo residenziale e semiresidenziale”.

Registri istituiti.

SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 nneellllaa RReeggiioonnee LLaazziioo 24

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ARTICOLO

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

10, comma 3

11, comma 1

11, comma 4

OGGETTO

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

SITUAZIONE

Approvata, con delibera della GiuntaRegionale n. 425 del 27 Marzo 2001, laproposta degli standard gestionali estrutturali di gruppi appartamento e casefamiglia.

In corso.

In itinere.

Avvio dell’iter legislativo relativo alla pro-posta di legge regionale: “Disciplina inmateria di autorizzazione all’apertura eal funzionamento dei servizi alla personae delle strutture socio-assistenziali aciclo residenziale e semiresidenziale”.

In itinere.

Page 55: Il lungo cammino della riforma

55

ARTICOLO

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

Prima stesura del Piano socio-assisten-ziale per il triennio 2002-2004.

In itinere.

In fase di definizione una banca dati delDipartimento.

In itinere.

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LLiigguurriiaa

Rispetto all’attuazione della riforma, la Liguria si è trovata nell’invidiabile condizione di avere già da tempo avviatoil lavoro di costruzione del Sistema Integrato. All’approvazione della legge 328/00, infatti, la Regione era già in pos-sesso di un Piano dei Servizi Sociali 1999/2001, che aveva gettato le fondamenta della Rete ligure dei servizi sociali. Lanuova Amministrazione regionale, subentrata nel 2000, ha emanato nel dicembre del 2001 il nuovo Piano triennaledei Servizi sociali 2002/200425. Funzione dichiarata del provvedimento: consolidare e perfezionare le scelte ope-rate precedentemente.

Appare importante sottolineare che il Piano ha la caratteristica di fornire al lettore un’ampia rassegna della nor-mativa sociale, sia nazionale che regionale, cosa che si dimostra, senz’altro, un utile strumento di orientamento in unterreno profondamente cambiato rispetto al passato.

Nella prima parte del documento, si trova la descrizione delle caratteristiche socio-demografiche della Regione, acui si affianca un’esposizione dell’architettura del Sistema ligure. Il territorio si caratterizza per una distribuzione dellapopolazione asimmetrica, con una netta prevalenza di piccoli Comuni. Basti pensare che il 40% di essi è al di sotto dei1000 abitanti, mentre solo lo 0,5% è tra i 50.000 e i 100.000 abitanti (con una grande area urbana di oltre 600.000).Al fine di assicurare anche alle comunità dei piccoli Comuni prestazioni sociali di qualità, con i provvedimenti legisla-tivi precedenti all’attuale Piano26, sono stati già da tempo realizzati gli Ambiti Territoriali per la programmazione egestione dei servizi sociali: le Zone sociali, che coincidono con i Distretti sanitari, suddivise al loro interno inDistretti sociali.

Ogni Distretto sociale, con una popolazione di almeno 4000 abitanti, per garantire livelli essenziali di presta-zioni deve assicurare i seguenti servizi di base, definiti per l’appunto distrettuali:

- informazione e comunicazione ai cittadini, alle famiglie ed alle organizzazioni sociali;- consulenza sociale ed orientamento sui problemi;- promozione dell’assistenza domiciliare, in termini di aiuto domestico familiare per le fasce fragili (anziani, dis-

abili, minori, etc), ed attivazione delle risorse sanitarie integrate, anche attraverso il rapporto con il medico di medi-cina generale ed il pediatra di libera scelta;

- promozione degli interventi di affido e di sostegno familiare per i minori in difficoltà;- ricoveri in strutture diurne e residenziali per minori ed altri soggetti delle fasce fragili con problemi sociali che

ne impediscono la permanenza a domicilio;- promozione della solidarietà locale attraverso “servizi di prossimità e reciprocità” tra persone e nuclei familiari,

volontariato ed associazionismo, espresse con forme di auto-mutuo aiuto.Inoltre, ogni Distretto deve provvedere a costituire lo sportello di cittadinanza, con la funzione di offrire infor-

mazione/orientamento e consulenza, sia sociale che sanitaria, ai cittadini.I servizi di base sono accompagnati dai servizi sovra-distrettuali o complessi di zona. Si tratta di servizi com-

plementari ai primi difficilmente attivabili a livello dei territori distrettuali. I servizi di zona intervengono in particola-re sul piano delle funzioni integrate con la sanità, relativamente a:

1. responsabilità familiari e problemi minorili e adolescenziali;2. disabilità grave e lungo-assistenza;3. residenzialità socio-sanitaria diurna e a ciclo continuativo per anziani, disabili e minori con limitazione tempo-

ranea o permanente dell’autonomia;4. emarginazioni e povertà estreme;5. emergenze sociali.Le caratteristiche dei servizi di zona sono quelle di avere un’elevata complessità organizzativa e di richiedere con-

sistenti investimenti economici. I servizi sovra-distrettuali sono individuati dal Piano di Zona, che ne definisce: lalocalizzazione, l’estensione territoriale (più distretti o zona), il Comune capofila, le modalità organizzative, di accessoe di finanziamento.

Il distretto sociale indica il Comune capofila che ha il compito di gestire i servizi sovra-distrettuali, al quale vengo-no destinati i contributi regionali finalizzati alla realizzazione e gestione del servizio.

Il Piano di Zona definisce, inoltre, le modalità per la partecipazione ai costi del servizio da parte di tutti i Comunifruitori, in relazione alla grandezza del Comune ed alla quantità delle prestazioni erogate a favore degli utenti nello stes-so residenti.

I livelli essenziali di assistenza sono garantiti dagli operatori del servizio sociale professionale, che hanno ilcompito di osservare e gestire i fenomeni sociali, erogare prestazioni di informazione, consulenza, sostegno ed aiutopersonale, coordinandosi, nei servizi integrati, con le discipline e le attività svolte da altri operatori professionali del-l’équipe distrettuale ed all’interno delle unità di valutazione multidimensionali. Incrociando il ruolo di servizio socia-le professionale con gli assetti organizzativi del Piano ligure, si possono distinguere, ai diversi livelli territoriali(Comuni, Distretti, Zone), tre tipi di performance rispetto alla tipologia degli interventi erogati dal servizio sociale:

1. segretariato sociale, con funzioni di informazione, sostegno psico-sociale, orientamento ed indirizzo per laprogettazione, collaborazione, stimolo ed attivazione dei soggetti del terzo settore e della solidarietà sociale;

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2. management sociale del “caso” (case manager), che si occupa della definizione dei problemi sociali degliutenti in base ad un’analisi del bisogno e formula proposte per la soluzione dello stesso;

3. osservazione, pianificazione, direzione e coordinamento delle politiche sociali con le aree inte-grate, ruolo affidato alle segreterie tecniche delle Conferenze di Zona e delle Conferenze dei Sindaci.

Passando alla descrizione dell’architettura del Sistema ligure, non possiamo non accennare alle funzioni di piani-ficazione e programmazione. Tali funzioni sono svolte da organi di governo, articolati secondo la dimensione territo-riale. In particolare, partendo dal livello regionale per arrivare a quello di zona sociale, troviamo:

- la Conferenza Sociosanitaria Regionale (Composta da: Assessori regionali Sanità e Servizi alla persona,Presidenti Conferenze dei Sindaci, delle Province e Direttori Asl), che ha il compito di valutare ed esprimere pareresulla pianificazione sociale, sanitaria, socio-sanitaria e su particolari progetti integrati e criteri di ripartizione dellerisorse finanziarie;

- la Conferenza dei Sindaci (esprime un Comitato di rappresentanza composto dai Presidenti di Zona), che prov-vede alle macro linee del Piano sociale e al Piano di salute dell’Azienda Usl. Deve essere dotata di supporto tecnico,con Coordinatore amministrativo e due esperti: uno in materia sanitaria, uno in materia sociale;

- la Conferenza di Zona (coincide con il Comitato dei Sindaci di Distretto Sanitario), che ha il compito di indi-viduare i distretti sociali, formulare i Piani di Zona (PdZ), individuare l’allocazione dei servizi sociali “complessi”(sovradistrettuali e sovracomunali). Con il nuovo Piano Sanitario deve poter formulare anche i Piani socio-sanitari deldistretto sanitario in accordo con le Aziende Usl;

- l’Associazione Intercomunale di Distretto Sociale (per i piccoli Comuni può essere agita anche attraversole Comunità Montane). I responsabili dei distretti sociali, attraverso la segreteria tecnica allargata partecipano alla pro-grammazione sociale e sociosanitaria dei Piani di Zona e dei Programmi delle Attività Territoriali (PAT).

La novità più interessante introdotta dal Piano 2002/2004 è la sperimentazione, per il biennio 2002/2003, dei tito-li per l’acquisto dei servizi, attraverso il Progetto Assegno-Servizi. In particolare, la Regione si pone comeobbiettivo quello di coniugare il potenziamento e l’articolazione dei servizi sociali con la promozione di nuova occu-pazione, soprattutto per la mano d’opera femminile. “ […] Lo scopo dell’assegno servizi è quello di sostenere lepersone non autosufficienti, sia sotto il profilo sociale che sanitario, e le loro famiglie nell’attività complessivadi assistenza, offrendo una risposta unitaria e di qualità integrando i diversi interventi di carattere assisten-ziale, sociosanitario e sanitario, con l’obiettivo di evitare il ricovero rispondendo comunque a forme di assi-stenza continuativa. Il 5% della sperimentazione è riservato a minori con gravi e temporanee difficoltà di curafamiliare.”27

L’assegno dei servizi è considerato una misura aggiuntiva, che verrà erogata a tutti i cittadini, e non solo a coloroche versano in stato di povertà. L’assegno avrà un valore compreso tra 1,5 e 10 milioni. In questa fase sperimentale, èprevisto che l’assegno sia erogato a completo carico dei fondi regionali al 25% dei destinatari (cittadini sulla soglia dipovertà relativa, con reddito inferiore ai 17 milioni), mentre al restante 75% si richiederà una compartecipazione alvalore dell’assegno erogato, esclusivamente per la componente assistenziale (non per le azioni sanitarie).

Le prestazioni che possono essere acquistate con l’assegno servizi da parte del cittadino sono:1. aiuto domestico familiare, con operatore di riferimento l’assistente familiare;2. assistenza tutelare per non autosufficiente, con operatore di riferimento figure con qualificazione profes-

sionale per l’assistenza socio-sanitaria alla persona;3. assistenza educativa, con operatori di riferimento al governo della casa o di tutela educativo-assistenziale:

assistente familiare o baby sitter o personale di sostegno all’azione educativa.Alla fine del documento vengono illustrati gli strumenti per migliorare il Sistema dei servizi sociali. Un Sistema che

intende migliorarsi non può prescindere dal confrontarsi con il concetto di qualità. Non è a caso, quindi, che vienefornita una definizione di “sistema qualità” nel sociale. Per gli estensori del Piano il sistema qualità si ottiene median-te la “[…] raccolta sistematica di informazioni su uno o più servizi in merito a: attività e prestazioni fornite(output), risultati conseguiti (outcome), con modalità che permettono una valutazione esterna, quantificabileo quanto meno condivisibile da parte di soggetti diversi dagli erogatori del servizio stesso.”28 Utilizzando questadefinizione si dovrà provvedere ad approntare i seguenti strumenti:

La carta dei servizi sociali. Ogni responsabile dell’offerta dei servizi sociali (dal Comune alle Zone) deve adot-tare una propria “carta”, in cui emergano gli aspetti generali relativi ai percorsi assistenziali, la mappa degli interven-ti e le prestazioni essenziali. Il processo di costruzione delle carte, inoltre, è un’importante occasione per coinvolgeregli operatori dei servizi, della società civile nella scelta condivisa degli standard di qualità e degli strumenti in caso dimancato rispetto.

Il Sistema informativo sociale. L’Osservatorio sociale regionale, previsto dall’articolo 7 della L.R. 30/1998 comestrumento di analisi e di previsione dei fenomeni sociali, di diffusione delle conoscenze e delle elaborazioni in mate-ria sociale, si avvarrà, quale strumento di supporto, del Sistema informativo sociale, già previsto nel Piano Triennaledei Servizi Sociali 1999/2001. Tale strumento informativo dovrà garantire la funzione di gestione, controllo e pro-grammazione da parte dei diversi livelli istituzionali, al fine di conferire alla Regione un ruolo programmatorio concapacità di monitorare e valutare i servizi e le politiche sociali.

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Interventi formativi e formazione continua. Per il conseguimento degli obiettivi individuati nel Piano e perinnovare il sistema dei servizi sociali, viene ribadita la necessità di poter disporre di un sistema di interventi formativie informativi nei confronti di tutti gli interlocutori considerati nell’assetto organizzativo e politico.

Alla fine di questa breve sintesi del Piano sociale ligure, possiamo tracciare un bilancio dello stato di attuazionedella riforma socio – assistenziale. Se volessimo stilare un’ideale classifica delle Regioni italiane, allora certamentepotremmo considerare la Liguria tra le prime. La Regione ha, infatti, definito i nodi centrali della propria rete. Sonogià stati individuati gli Ambiti Territoriali, è stato messo a punto il Sistema informativo sociale, sono state date indica-zioni circa i livelli essenziali d’assistenza. Inoltre la Liguria è una tra le poche ad avere avviato la sperimentazione deititoli d’acquisto dei servizi.

Tra i provvedimenti più importanti che ancora non hanno trovato seguito, ricordiamo gli atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali e terzo settore, la definizione del ruolo delle Province ed il riordino delle IPAB.

In conclusione è necessario sottolineare che il buon lavoro svolto, nel settore sociale, dalla Regione è frutto dellacontinuità di impegno tra la vecchia Amministrazione di centrosinistra, che aveva gettato le basi del Sistema, e la nuovadi centrodestra, che ne sta portando a compimento la costruzione.

SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 nneellllaa RReeggiioonnee LLiigguurriiaa 29

ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

8, comma 3 lett. g)

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

SITUAZIONE

D.C.R. 28/11 - 4/12/2001, n. 65 “Pianotriennale dei Servizi Sociali 2002-2004”.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

D.C.R. 28/11 - 4/12/2001, n. 65 “Pianotriennale dei Servizi Sociali 2002-2004”.

L.R. 30/1998, L.R. 25/2000.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

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59

ARTICOLO

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

10, comma 3

11, comma 1

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

OGGETTO

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

SITUAZIONE

Definiti in parte con il D.C.R. 28/11 -4/12/2001, n. 65 “Piano triennale deiServizi Sociali 2002-2004”.

D.C.R. 28/11 - 4/12/2001, n. 65 “Pianotriennale dei Servizi Sociali 2002-2004”.

Non si è provveduto.

In D.C.R. 28/11 - 4/12/2001, n. 65“Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004”, limitatamente alla predisposizio-ne dei piani per la formazione.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

Page 60: Il lungo cammino della riforma

60

ARTICOLO

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

Non si è provveduto.

D.C.R. 28/11 - 4/12/2001, n. 65 “Pianotriennale dei Servizi Sociali 2002-2004”.

D.C.R. 28/11 - 4/12/2001, n. 65 “Pianotriennale dei Servizi Sociali 2002-2004 eindirizzi ai Comuni per la redazione deiPiani di zona. Modifiche ed integrazionialla deliberazione del ConsiglioRegionale 6 luglio 1999 n. 44 recante ilPiano triennale dei servizi sociali1999/2001”.

Non si è provveduto.

L.R. 30/1998 e Piano triennale deiServizi Sociali per gli anni 1999/2001,approvato con D.C.R. 44/1999.

D.C.R. 28/11 - 4/12/2001, n. 65 “Pianotriennale dei Servizi Sociali 2002-2004”.

Page 61: Il lungo cammino della riforma

61

LLoommbbaarrddiiaa

La Lombardia ha intrapreso un percorso del tutto originale nel panorama italiano. Il fulcro attorno al quale ruota-no le policy della Regione è una declinazione, a volte singolare, del concetto di devoluzione. Secondo l’accezione lom-barda, con il termine devolution non si indica solamente il passaggio dei poteri dal centro verso la periferia (dalloStato alle Regioni, e da queste ultime giù fino agli Enti locali), ma anche la progressiva esternalizzazione delle funzio-ni pubbliche a favore dei soggetti privati. In questa prospettiva, il principale compito che spetta al settore pubblico èquello di controllare il corretto funzionamento dei servizi, erogati dai soggetti privati.

Ovviamente, tale modo di intendere il ruolo delle amministrazioni pubbliche è stato, con estrema coerenza, appli-cato nel settore dei servizi socio-sanitari, come è facile constatare leggendo il Piano Socio – Sanitario Regionale2002/2004 sottotitolato, per l’appunto, “Libertà e innovazione al servizio della salute”30. All’interno del capitolointitolato devoluzione, troviamo l’esatta definizione dell’applicazione di questo termine nel campo assistenziale:“[…] Il Piano Socio Sanitario Regionale si colloca in un contesto di graduale e reale federalismo improntatoalla sussidiarietà orizzontale intesa come partecipazione estesa di altri soggetti nella gestione dei servizi e nonsolo come decentramento di poteri dal centro alla periferia.”31

Nelle pagine iniziali del documento, vengono illustrate ed argomentate le peculiarità del modello lombardo e lelinee di sviluppo per il futuro. Secondo il governo regionale “[…] La “domanda di salute” che i cittadini oggi espri-mono è sempre più orientata verso risposte e soluzioni connotate sia dall’impiego di metodiche ad alto conte-nuto tecnologico, sia da un elevato grado di personalizzazione. Ciò pone sempre più in evidenza la carenza dellerisorse destinate al Servizio Sanitario Nazionale.”32

La prima risposta che la Regione ha fornito a questo nuovo tipo di domanda è stata la legge regionale 31/97. Conquesta legge si è voluto “[…] sostenere la libera di scelta del cittadino, valorizzando le sue opzioni, attraverso laseparazione fra i soggetti acquirenti ed erogatori di prestazioni, promovendo la parità di diritti e di doveri trasoggetti erogatori pubblici e privati, profit e no profit.”33

Il P.S.S.R., più che un documento di programmazione pubblico rivolto agli Enti locali, sembra una vera e propriaricerca di mercato, che ha lo scopo di attirare gli investimenti privati. Una buona parte del documento si concentra suun’analisi dettagliatissima della domanda e dell’offerta dei servizi socio-sanitari. E’ quindi abbastanza intuitivo capireche, trattandosi in pratica di una ricerca di mercato, il fuoco dell’attenzione sia rivolto, quasi esclusivamente, alladomanda e all’offerta di servizi sanitari. Il settore sociale viene lasciato in secondo piano.

Attraverso le parole del Piano, è possibile cogliere la peculiarità del ruolo della Regione all’interno di un siste-ma pienamente devoluto. Secondo la Giunta Regionale “[…] risulta opportuno introdurre una chiara distinzionetra il ruolo della Regione come regolatore del sistema socio sanitario (ruolo di governo) e il ruolo della Regionecome proprietaria della rete pubblica. Mentre il primo ruolo deve crescere per realizzare politiche socio sanita-rie forti ed orientate al miglioramento complessivo del sistema, il secondo deve progressivamente ridursi. LaRegione deve sviluppare il ruolo di regolatore e controllore “terzo”, imparziale del sistema, non svolgendo quin-di attività e funzioni di gestione di servizi, che sono potenzialmente motivo di conflitto di interessi.”34

Il primo passo da compiere per ridurre il ruolo della Regione, quale proprietaria della rete pubblica, è quello diavviare il processo di trasformazione graduale delle Aziende Ospedaliere in soggetti di diritto privato, con la parte-cipazione di altri soggetti pubblici e privati. Allo stesso modo, per quanto riguarda le Aziende Sanitarie Locali occor-re che esse assumano appieno il ruolo di soggetti pubblici di Programmazione Acquisto e Controllo (PAC), ester-nalizzando la gestione delle attività socio-sanitarie.

Sul versante dell’offerta “privata” dei servizi, il Piano, registrando il dato che gli organismi no profit costituisco-no la quota prevalente di gestori delle unità di offerta dell’attuale sistema socio-assistenziale e socio-sanitario, indicale priorità legislative regionali. In particolare, sottolinea che occorre avviare:

- l’attività definitoria del profilo comune di organizzazione appartenente al terzo settore;- la disciplina omogenea e premiante per l’esercizio delle forme d’imprenditorialità;- la riconsiderazione dei meccanismi per l’affidamento in gestione dei servizi e per il loro acquisto da parte degli

Enti locali presso gli organismi no profit, riconoscendo a questi ultimi il loro ruolo nell’ambito della programmazio-ne regionale e locale.

Diviene quindi basilare, per gli obiettivi della politica regionale, l’istituzione del Tavolo permanente del terzosettore: una sede all’interno della quale stabilire un costante raccordo tra la Regione e gli organismi rappresentatividel comparto in questione. Il tavolo ha il compito di occuparsi delle seguenti aree tematiche:

- interventi legislativi organici nella materia;- attività di programmazione;- interventi finanziari a sostegno del no profit;- attività di formazione.Secondo l’opinione della Regione, già molto tempo prima dell’entrata in vigore della legge 328/2000, la Lombardia

aveva programmato la realizzazione del proprio modello di welfare, che proprio nell’integrazione sistemica delle suereti di unità di offerta socio-sanitaria e socio-assistenziale trovava, e trova, la sua principale “identità culturale”. Le reti

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che costituiscono il sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali della Regione, sono due:1. la rete dei servizi ad elevata integrazione sociosanitaria di competenza delle Asl;2. la rete dei servizi sociali di competenza dei Comuni.In proposito, la Regione è fermamente convinta che la distinzione funzionale in due reti non contraddica la siste-

maticità e l’integrazione del welfare, in quanto entrambe “[…] discendono e rispondono ad una comune esigenzache è quella di garantire ed esaltare le sinergie di funzionamento e, contemporaneamente, di evitare i rischi pro-pri delle settorialità.”35

Per la rete delle unità di offerta ad elevata integrazione socio-sanitaria di competenza delle Asl, il PSSR indica leseguenti linee di indirizzo:

- conclusione delle sperimentazioni condotte nelle Asl di Pavia, Lodi, Sondrio, Valcamonica e generalizzazione delladistinzione tra acquirenti ed erogatori, con l’ulteriore incremento della funzione Asl di programmazione, acquisto, con-trollo (modello PAC);

- graduale esternalizzazione di tutti i servizi che ancora rimangono a gestione diretta, permettendo alle aziende,nella loro articolazione distrettuale, di concentrarsi sul governo della domanda;

- esigenza di dare adeguato contenuto ai contratti tra Asl e soggetti erogatori.Per quanto riguarda, invece, la rete dei servizi sociali di competenza dei Comuni, la Regione ribadisce che la fun-

zione “progettuale e gestionale” è completamente ed esclusivamente a carico dei Comuni.La prima indicazione al riguardo è l’elencazione di una serie di standard gestionali e strutturali, che di seguito ven-

gono riportati:Standard gestionali- non è prescritta la presenza di personale sanitario né laureato, né di supporto;- eventuali prestazioni sanitarie sono assimilabili alle forme di assistenza rese a domicilio;- per le residenze socio-assistenziali protette, l’assistenza sanitaria viene configurata come prestazioni medico-gene-

riche infermieristiche, riabilitative e farmaceutiche così come disciplinato dalla Regione.Standard strutturaliLe caratteristiche strutturali, organizzative e tecnologiche devono garantire l’erogabilità delle seguenti prestazioni:- somministrazione dei pasti, assistenza agli ospiti, attività aggregative e ricreativo-culturali;- requisiti strutturali ulteriori (capacità ricettiva, camere, servizi igienici ed altri servizi ), così come specificati nel

DM “requisiti minimi” attuativo dell’art. 9 della legge 328/2000.La seconda indicazione è quella di ricondurre le attività comunali di programmazione e gestione della rete dei ser-

vizi sociali al Piano di Zona, definito come una delle principali e più positive innovazioni introdotte dalla legge328/2000. Non sono tuttavia presenti nel P.S.S.R. indicazioni esaustive sulle modalità di formazione degli ambiti terri-toriali, né alcun cenno sulle funzioni che competono loro. Del resto la devoluzione implica anche la libertà di scelta.Si afferma solamente che “[…] il PdZ è l’espressione programmatoria – che deve vincolativamente assumere laforma giuridica dell’accordo di programma attraverso la quale si esprime un soggetto nuovo del welfare.”36 Siparla, inoltre, dell’ambito come di un soggetto più adeguato per la programmazione, lo sviluppo e la gestione dei ser-vizi sociali; del soggetto che permetterà la costruzione del sistema integrato degli interventi e dei servizi assistenziali.In questo modo, si vuole creare la prima delle precondizioni all’integrazione tra reti comunali e reti regionali, in quan-to “[…] viene superata innanzitutto la barriera dimensionale che fino ad oggi ha di fatto vanificato la realeintegrazione tra competenze comunali e competenze ASL imponendo tre strade obbligate: la delega delle pro-prie funzioni da parte dei piccoli comuni alle ASL, la ricerca esasperata dell’autonomia da parte delle città, laconflittualità e la sovrapposizione delle funzioni esercitate da entrambi.”37

Un aspetto senza dubbio interessante è l’introduzione nella normativa lombarda dei buoni servizio per le fami-glie già dal 1999, con l’obiettivo di favorire l’acquisizione diretta delle prestazioni erogate da Enti pubblici e privatiaccreditati o convenzionati. La Regione ha appena concluso la sperimentazione del buono socio-sanitario 2001, cheha coinvolto 7000 famiglie del territorio lombardo, e si presta a valutare i risultati ottenuti per la definizione dei futu-ri sviluppi operativi, che seguiranno le seguenti indicazioni:

1. BUONO: provvidenza economica a favore dell’utente nel caso in cui l’assistenza possa essere prestata da un caregiver, sia esso familiare che appartenente alle reti di solidarietà (vicinato, associazioni).

2. VOUCHER: provvidenza economica a favore dell’utente, utilizzabile solo in caso di prestazioni erogate da caregiver professionali.

Lo spazio dedicato dal Piano Regione ai servizi sociali è complessivamente piuttosto esiguo.Anche per quanto riguarda l’attuazione della legge 328/2000 la Regione ha mantenuto la propria linea di origina-

lità, esplicitando all’interno del P.S.S.R. cosa intende applicare delle direttive previste dalla riforma nazionale. Per mag-giore chiarezza, riportiamo testualmente38: “[…] Il presente Piano Socio Sanitario Regionale conferma ed esaltaulteriormente l’organicità sistematica che da tempo identifica e rende originale il welfare della nostra regio-ne.”39 Esso intende utilizzare “[…] opportunamente tutti i gradi di libertà messi a disposizione dalla vera novi-tà del nuovo quadro di riferimento rappresentata dai profondi mutamenti intervenuti a livello istituzionale,sanitario e sociale:

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ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

SITUAZIONE

Erogazione alle ASL per successivoaccredito ai Comuni associati a seguitodei Piani di Zona. D.G.R. n. 7069/2001“Ripartizione delle risorse indistinte delFondo nazionale per le politiche socialiin applicazione della L. 328/2000 edassegnazioni alle Asl e per la parte dicompetenza al Comune di Milano deifinanziamenti destinati agli ambitidistrettuali anno 2001”.

D.G.R. n. 7918/2002 “Istituzione delTavolo permanente del 3° Settore, criteriper il funzionamento e la composizione”.Le modalità di affidamento dei servizi allapersona sono in fase di istruttoria inter-na, quando definite saranno sottopostealla validazione del Tavolo di confronto.

la riforma istituzionale che rende possibile aumentare ulteriormente il tasso di federalismo del welfarelombardo collocandolo, dopo la modifica al titolo V della parte seconda della Costituzione e l’introduzione delfederalismo fiscale operata con il Dlgs 156/2000, in una prospettiva di concreta devoluzione ;

la riforma sociale recentemente promulgata che ha creato le precondizioni essenziali per la “ realizzazio-ne del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, non a caso titolo e finalità principale della Legge qua-dro;

gli interventi di riforma della sanità.”40

Inoltre, qualora i gradi di libertà non dovessero bastare, “[…] il presente PSSR, al fine di tutelare il pro-prio assetto federale rispettoso della sua specificità, adotterà tutte le misure e le configurazioniche comporteranno scostamenti necessari e differenziazioni opportune dall’impianto nazionale definitonella scorsa legislatura.”41

Dopo aver chiarito il criterio utilizzato nella scelta degli adempimenti da adottare (coerenza con il welfare lom-bardo), gli estensori del Piano forniscono la lista degli adempimenti cui la Regione intende dare applicazione:

Art. 4, c. 3 Riparto trasferimenti statali FNPS;Art. 8, c. 3, lett. a) Definizione ambiti territoriali;Art. 8, c. 3, lett. g) Registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività;Art. 8, c. 3, lett. n) Definizione requisiti di qualità per la gestione dei servizi;Art. 8, c. 3, lett. i) Criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali;Art. 8, c. 3, lett. e) Criteri per la determinazione del concorso degli utenti al costo delle prestazioni;Art. 8, c. 3, lett. u) Criteri per la determinazione delle tariffe che i Comuni erogano ai soggetti accreditati;Art. 8, c. 5 Trasferimento ai Comuni delle funzioni attribuite alle Province sui minori non riconosciuti;Art. 11, c. 1 Criteri e standard per l’esercizio degli istituti di validazione (comunicazione autorizzazione, accre-

ditamento) e delle attività di vigilanza;Art. 22, c. 4 Livelli essenziali delle prestazioni per ambito territoriale.Se dovessimo utilizzare come criterio di valutazione dell’attuazione della riforma nazionale quanto dichiarato nel

P.S.S.R. della Lombardia, allora dovremmo giudicare positivamente l’operato della Regione. Sono stati, infatti, attuatiben sette dei dieci adempimenti che erano indicati nel Piano socio-sanitario. Aspettano ancora compimento: l’istitu-zione dei registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali, la definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni per ambito territoriale.

Tuttavia, dal punto di vista dei contenuti, l’impianto messo in campo dalla Lombardia si discosta, per molti aspetti,dalla filosofia del Sistema integrato di interventi e servizi sociali così come delineato dalla legge quadro di riformanazionale, assumendo piuttosto la forma di un Sistema privato di servizi sanitari.

SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 nneellllaa RReeggiioonnee LLoommbbaarrddiiaa

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ARTICOLO

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

OGGETTO

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

SITUAZIONE

La normativa regionale è precedente alla328/00 e disciplina, tra l’altro, l’apportodel volontariato nell’erogazione dei ser-vizi:L.R. 22/1993 “Legge regionale sul volon-tariato”.L.R. 28/1996 “Promozione, riconosci-mento e sviluppo dell’associazionismo”.L.R. 23/1999 “Politiche regionali per lafamiglia”.

L.R. 1/2000 “Riordino del sistema delleautonomie in Lombardia. Attuazione delD.lgs. 112/1998”. Le indicazioni dellaL.R. devono ancora trovare una concretaapplicazione.

Piano Socio Sanitario 2002-2004(PSSR), approvato in ConsiglioRegionale il 13 Marzo 2002, e normativaprecedente.

Il D.G.R. n. 7069/2001, già citato, defini-sce i distretti quali ambiti territoriali.Le Linee guida per la stesura dei Piani diZona sono in fase di istruttoria interna.

Per quanto riguarda autorizzazione econvenzionamento D.C.R. n. 279/1996“Piano Socio Assistenziale 1988-1990”,oggetto di successive proroghe.Manca la normativa per l’accreditamento.

Gli unici registri esistenti ad oggi riguar-dano i soggetti del terzo settore, in basealle normative regionali vigenti.

Sulla base delle indicazioni del PSSR direcente adozione la materia dovrà esseresviluppata con provvedimenti successivi.

L.R. 23/1999 “Politiche regionali per lafamiglia”.D.G.R. n. 2857/2000 “Sperimentazionedel buono socio sanitario a favore dianziani non autosufficienti assistiti infamiglia”.Le risorse sono state già attribuite alleASL per la concessione dei buoni agliaventi diritto (anziani- disabili) sullabase di criteri e procedure definite.

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ARTICOLO

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

10, comma 3

11, comma 1

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

OGGETTO

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

SITUAZIONE

Sulla base delle indicazioni del PSSR direcente adozione la materia dovrà esseresviluppata con provvedimenti successivi.

D.G.R. n. 48844/2000 “Determinazionedelle assegnazioni provvisorie dei Pianiprovinciali di formazione per il biennio2000/2001 del personale dei servizisocio sanitari”.

Sulla base delle indicazioni del PSSR direcente adozione la materia dovrà esseresviluppata con provvedimenti successivi.

L’esercizio dei poteri sostitutivi, previstonella legislazione nazionale e regionale,non risulta sinora applicato.

In fase istruttoria la Carta dei Servizi.Con L.R. 1/1986, “Riorganizzazione eProgrammazione dei servizi socio assi-stenziali della regione Lombardia”, èstato istituito l’ufficio di Pubblica Tutela.

Si è dato corso al trasferimento di perso-nale e risorse con: L.R. 1/1986“Riorganizzazione e Programmazionedei servizi socio assistenziali della regio-ne Lombardia”e L.R. 1/2000 “Riordinodel sistema delle autonomie inLombardia. Attuazione del D.lgs.112/1998”.

Progetto di legge regionale di riordinodel sistema IPAB, è attualmente in faseistruttoria.

La materia deve essere approfondita edistruita adeguatamente.

La materia deve essere approfondita edistruita adeguatamente.

(v. nota art.8, comma 3, lett. .m)

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ARTICOLO

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

Nel PSSR sono presenti indicazioni gene-rali sulla materia che vanno articolate inprovvedimenti attuativi.

Piano Socio Sanitario 2002-2004(PSSR), approvato in ConsiglioRegionale il 13 Marzo 2002.

Decreto n. 29846, provvedimento di ero-gazione alle Asl delle quote del FondoSociale.La Asl di Milano non è compresa in que-sto decreto perché l’erogazione dellerisorse in questo specifico caso segue leprocedure previste nel protocollo diintesa tra ASL e Comune di Milano DGRn° 39652/1998 (attualmente non eroga-to).

La materia necessita di un provvedimen-to statale per la definizione dei principifondamentali.

Si tratta di materia di riserva statale allacui definizione le Regioni stanno concor-rendo con gruppi di lavoro presso laConferenza Stato - Regioni

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67

MMaarrcchhee

La Regione Marche, negli ultimi anni, è stata certamente un laboratorio, all’interno del quale la sperimentazione dinuove pratiche nella politica sociale ha dato vita ad una serie di esperienze particolarmente significative. Le ragioni dellacostante attenzione rivolta al sociale sono da ricercarsi nel fertile confronto che si è instaurato tra gli esponenti del cosid-detto terzo settore (volontariato, associazionismo, cooperazione sociale, ecc.) ed i rappresentanti delle Istituzioni loca-li. Tale cammino comune può farsi risalire alla legge regionale n.43 del 5 Novembre 1988, “Norme per il riordino dellefunzioni di assistenza sociale di competenza dei comuni, per l’organizzazione del servizio sociale e per la gestione deirelativi interventi nella regione”. Con questa legge vennero precisati il ruolo e la presenza del volontariato, determinan-do, in tal modo, i presupposti per uno suo sviluppo nella vita sociale e politica. Un altro provvedimento legislativo, difondamentale importanza nella storia delle policy sociali della Regione, è la legge regionale n.18 del 4 Giugno 1996,“Promozione e coordinamento delle politiche di intervento in favore delle persone in situazione di handicap”42. Conquesta legge si è avviata la prima esperienza di collaborazione tra diversi soggetti pubblici e non, dando vita ad una reteche è stata la base dei successivi interventi sociali.

Da tempo si erano, quindi, avviate prassi che andavano nella direzione sia della collaborazione tra soggettiIstituzionali e non, quanto, nonostante le maggiori difficoltà, su quella dell’integrazione tra politiche sociali e sanitarie.Tali prassi attendevano solamente di essere rafforzate.

Nella Regione, grazie alla positiva esperienza pregressa, i tempi per l’avvio della riforma dei servizi sociali erano dun-que già maturi, tanto che l’approvazione del primo Piano Regionale sulle politiche sociali43 avviene qualche mese primadell’approvazione della legge 328/200044.

Il Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000/2002 parte da un’analisidei bisogni dei cittadini e delle diverse realtà territoriali. Nelle pagine iniziali di questo documento viene tracciata, perun verso, una mappatura dettagliata delle caratteristiche sociali della popolazione marchigiana e per l’altro della diffu-sione dei servizi sociali e socio-sanitari presenti sul territorio regionale. Vengono descritti, tra l’altro, gli interventiriguardanti: anziani, infanzia ed età evolutiva, dipendenze, devianza, persone e gruppi emarginati, handicap, salute men-tale.

Più volte, nel Piano, è ribadito che il mezzo da adottare, sia nel processo di programmazione che di attuazione, èquello della concertazione, intesa come “[…] processo cardine del nuovo modello di sviluppo dei servizi, che con-sente da un lato di superare la rigidità degli assetti istituzionali e dall’altro di mobilitare tutte le risorse che pos-sono concorrere proficuamente alla formazione di decisioni condivise per l’affermazione dei diritti sociali e peril benessere di ognuno”45.

Il Piano Regionale è inoltre caratterizzato dalla scelta di allontanarsi dalle politiche di welfare di tipo assistenzialisti-co e residuale-minimalista, a favore di un approccio universalista.

Gli assi portanti della programmazione regionale sono dunque da identificarsi nell’enfasi promozionale (più cheriparativa), nella scelta della sussidiarietà verticale, nell’approccio universalista e nell’ottica del riequilibrio territorialee dell’equità sociale.

Nel rispetto delle indicazioni di massima riportate dal Piano sociale, la Regione ha provveduto alla definizione degliambiti territoriali. Il Piano individua nel distretto sanitario la dimensione territoriale di riferimento, fissando il tetto di100.000 abitanti quale limite per ogni A.T.. Attraverso le proposte pervenute dalle Conferenze dei Sindaci, si è giunti aduna prima definizione di 29 ambiti territoriali46, che sono stati in seguito ridotti a 2447, in modo da corrispondere ainuovi distretti sanitari che verranno a definirsi dopo il riordino del settore.

Il Piano Regionale affida agli ambiti territoriali obiettivi di carattere generale decisivi per la realizzazione di un siste-ma integrato di servizi, quali:

- dotare tutti i territori di una rete di servizi essenziali alla quale sia garantita pari opportunità di accesso ai cittadiniche vivono o lavorano nella Regione;

- creare le condizioni per l’integrazione dei servizi, guardando non solo alla costruzione organica del rapporto trasanitario e sociale, ma al più ampio sistema di welfare;

- promuovere il quadro più congruo per la piena attuazione degli indirizzi della programmazione nazionale e regio-nale;

- favorire l’esercizio associato delle funzioni sociali da parte dei Comuni ed una gestione unitaria della rete dei ser-vizi.

La Regione, inoltre, ha previsto di costituire un Fondo annuo incentivante, finalizzato a cofinanziare i progetti degliA.T. che riguardano i servizi innovativi.

In ogni A.T. viene nominato un Coordinatore della rete dei servizi essenziali, scelto all’interno delle profes-sionalità sociali. Il Coordinatore, affiancato da una struttura tecnica ed amministrativa snella, ha il compito di:

- supportare i processi di gestione delle risorse;- curare la disponibilità di informazioni relative alle prestazioni ed ai servizi disponibili nell’A.T.;- facilitare i processi di integrazione;- facilitare il rapporto con le altre amministrazioni pubbliche per le attività che si rendessero necessarie;

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68

- collaborare alla stesura e alla realizzazione del Piano Territoriale triennale e dei piani annuali di attuazione.Ogni A.T. deve dotarsi di un Piano Territoriale. Quest’ultimo è lo strumento principale a disposizione dei Comuni per

avviare nei diversi A.T. la progettazione e la realizzazione della rete dei servizi essenziali. Il P.T. ha lo scopo di illustrarela situazione della comunità, proporre gli obiettivi di promozione sociale, stabilire i modi ed i tempi della realizzazionedella rete dei servizi essenziali, definire le forme di collaborazione con i soggetti privati operanti nel territorio e con glialtri soggetti istituzionali.

Il Piano Territoriale è adottato mediante un accordo tra i Comuni presenti nell’ambito territoriale ed è trasmesso allaGiunta Regionale entro sei mesi dalla data di costituzione degli A.T. Il P.T. ha validità triennale e deve prevedere pianiannuali di attuazione da presentare alla Regione entro il mese di febbraio di ogni anno.

Gli ambiti territoriali dispongono, inoltre, del Bilancio sociale di area (B.S.A.): un altro strumento per daresostanza alla realizzazione dei sistemi integrati di governo locale dei problemi sociali. Il B.S.A. ha lo scopo di: “[…]monitorare il comportamento dell’ambito territoriale in ordine agli obiettivi prefissati; informare sugli obiettivisociali raggiunti; rendere comunicabili e confrontabili i risultati sociali dell’ambito territoriale; costruire unapolitica della qualità volta al costante miglioramento del sistema dei servizi ed interventi sociali.”48

Un altro pilastro del Piano Regionale è rappresentato dalle politiche per favorire l’integrazione socio-sanitaria. Le dif-ficoltà di un tale processo sono bene evidenziate, ma vengono anche indicati i mezzi per farvi fronte. Gli estensori delPiano sottolineano, infatti, che “[…] l’integrazione non si realizza spontaneamente per decreto; anzi il processocomporta una perdita di gradi di libertà a carico dei soggetti e delle componenti che si devono integrare, (…),occorrono volontà, regimi e titolarità decisionali, che definiscono obiettivi e mobilitino su questo i settori del-l’offerta, favorendone e imponendo loro traguardi progressivi di integrazione”49

In particolare, sono stati individuati tre campi principali nei quali attuare l’integrazione:1. Interventi socio - assistenziali a basso impegno sanitario, finalizzati al raggiungimento di obiettivi di natu-

ra sociale, educativa, assistenziale, la cui competenza istituzionale e finanziaria è dei Comuni;2. Interventi sanitari a basso impegno socio - assistenziale, finalizzati alla prevenzione, diagnosi, cura e riabi-

litazione individuate nei Piani Sanitari Nazionale e Regionale. La competenza istituzionale e finanziaria è del FondoSanitario Nazionale;

3. Interventi socio – sanitari ad elevata integrazione o ad alta integrazione socio - assistenziale, fina-lizzati al raggiungimento di obiettivi di natura sociale, educativa, assistenziale, atti a rimuovere o ridurre le condizioni didipendenza derivate da stati patologici a rischio o da menomazione permanente sia fisica che psichica. La competenzagestionale spetta alle Aziende USL, mentre il finanziamento è a carico del Fondo Sanitario Nazionale, con la comparteci-pazione degli Enti locali.

Un importante obiettivo che la Regione intende perseguire è quello di avviare la riorganizzazione della Rete dei ser-vizi essenziali. La scelta di articolare il sistema dei servizi socio-assistenziali in forma reticolare ne determina anchel’alto grado di apertura verso l’esterno. Nel Piano, infatti, si fa esplicito riferimento alla necessita che la Rete si avvalgadella collaborazione delle risorse informali della comunità, delle reti familiari e parentali, delle famiglie affidatarie, non-ché ovviamente del terzo settore, senza scordare altri servizi pubblici (sanitari, scolastici, formativi), sino alle risorse dimercato.

Le funzioni a cui la Rete deve assolvere sono:Funzioni di mediazione, ovvero risolvere i problemi di comunicazione/accesso tra l’individuo, il suo ambiente e le

componenti istituzionali e di mercato;Funzioni di integrazione - supporto, ossia l’integrazione delle risorse autonome dell’individuo ove siano valutate

insufficienti;Funzioni di abilitazione - riabilitazione, ovvero gli interventi volti a favorire un pieno e corretto utilizzo delle risor-

se dell’individuo.All’interno di ogni A.T., la Rete dei servizi essenziali deve strutturarsi nelle seguenti cinque aree organizzative delle

prestazioni:- Ufficio di promozione sociale (per bacini di popolazione di 10.000-15.000 abitanti), che ha lo scopo di raccorda-

re la popolazione locale con la Rete;- Servizi a domicilio,- Servizi semi-residenziali;- Servizi residenziali (residenze alberghiere, case famiglia, gruppi appartamento, residenze protette);- Interventi per l’emergenza.Al fine di costruire il sistema a rete, sono state fissate le scelte strategiche che, secondo le intenzioni della Regione,

dovranno contribuire a ridurre gli elementi di discontinuità.Il primo nodo da sciogliere è quello di avviare un processo che permetta di ridisegnare il sistema formativo.

Occorre, infatti, identificare e definire le figure professionali necessarie per condurre a regime la rete dei servizi. Taleoperazione è possibile solo attraverso la sperimentazione e la reale co-progettazione degli interventi all’interno degli A.T..

La seconda scelta strategica riguarda la collaborazione tra soggetti pubblici e terzo settore. Il Piano riconosce lanecessità di costruire delle regole che permettano la crescita di questa collaborazione, in modo da garantire un arric-

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chimento dell’offerta, assicurando prestazioni di elevata qualità.L’ultima scelta strategica concerne la creazione di un sistema di qualità. Il settore pubblico resta, ovviamente,

garante della qualità del sistema e dovrà farsi carico di assicurare:- la qualità del fornitore;- la qualità del servizio;- la qualità dell’intervento;- la qualità dei processi formativi.Nella valutazione della qualità, il Piano raccomanda di evitare ogni rischio di autoreferenzialità, privilegiando il punto

di vista dei cittadini - utenti.Allo scopo di favorire la crescita e l’efficacia del sistema, la Regione intende fornire, attraverso il Piano, indicazioni

per la sperimentazione dei progetti integrati. Una tale scelta è stata operata “[…] in quanto consente di porre averifica i tempi di realizzazione, la correttezza e la praticabilità stessa degli obiettivi di piano, […] consentendoal tempo stesso l’elaborazione di strumenti e modelli in grado di fornire risposte ad alcuni problemi più urgentinella situazione regionale.”50 Ancora una volta si ribadisce che la costruzione del sistema dei servizi e degli interven-ti sociali dipende in larga misura dalle risorse e dalle capacità progettuali locali. Saranno, infatti, le comunità locali leprotagoniste della sperimentazione di soluzioni organizzative capaci di fornire risposte adeguate a determinati problemisociali. Nella fase di avvio, la sperimentazione sarà effettuata solo in alcune aree di intervento, che necessitano delle rispo-ste più urgenti:

- Anziani: sostegno alle famiglie degli anziani con problemi di non autosufficienza;- Adolescenti (13-18): facilitare la socializzazione;- Handicap: facilitare l’inserimento lavorativo.L’architettura di gestione e programmazione dei servizi socio-assistenziali è, in tal modo, caratterizzata da una Regione

che, una volta fissati i principali obiettivi da raggiungere, lascia il centro della la scena ai Comuni e attribuisce agli ambi-ti territoriali un ruolo di raccordo. I Comuni, infatti, sono responsabili della rete e della programmazione dal basso, tra-mite i P.T., e hanno il compito, partendo dall’analisi delle carenze del sistema dei servizi e dai bisogni sociali delle comu-nità locali, di individuare, insieme agli altri soggetti, pubblici e privati, dell’ambito territoriale, le priorità sulle quali inter-venire ed intorno alle quali progettare interventi innovativi.

Dopo questa breve rassegna dei contenuti del Piano sociale, è opportuno tracciare un primo bilancio dell’attuazionedella 328/2000. Nonostante la Regione possa essere considerata all’avanguardia nell’adempimento della riforma, non èstata ancora in grado di completare l’intero percorso previsto dalla riforma. Del resto la realizzazione del sistema inte-grato di interventi e servizi sociali comporta una serie di interventi normativi, da parte delle Regioni, che non si esauri-scono con la sola emanazione del Piano sociale. Cominciamo col dire che la Regione ha finora posto la sua maggioreattenzione alla costruzione di quelli che ha considerato i pilastri del proprio sistema di welfare. Sono infatti già stati defi-niti gli ambiti territoriali51 e si è provveduto ad istituire il Comitato tecnico permanente per l’attuazione delPiano Regionale52. Sono, inoltre, già stati liquidati a tutti i Comuni i fondi, in modo da permettere loro di introitarli insede di assestamento di bilancio53. Anche se non è stato adottato uno specifico atto di recepimento per regolamentare irapporti tra Enti locali e terzo settore, è stata approvata una legge54 che regolamenta le convenzioni. Un altro importan-te strumento messo in campo è l’Osservatorio regionale per le politiche sociali55, che ha lo scopo di conoscerei bisogni del territorio così da disporre dei dati e delle informazioni necessari alla costruzione del sistema informativodei servizi sociali. Attraverso le Linee Guida56 è stato disciplinato il ruolo delle Province che, nell’ambitodell’Osservatorio regionale per le politiche sociali, devono dotarsi di Osservatori provinciali per la rilevazione dei biso-gni e dei servizi sulla base delle indicazioni regionali. Mantenendo fede all’impegno, espresso nel Piano, di considerarela formazione come una scelta strategica per la costruzione del sistema integrato, la Regione ha già avviato dei corsi diformazione57 per i Coordinatori di ambito. Esistono, inoltre, una serie di provvedimenti che sono ancora in fase di ste-sura. Quali, in particolare, il progetto di legge “Disciplina in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutturesociali a ciclo residenziale e semiresidenziale”, la bozza di “Atto di indirizzo e coordinamento sulla rete dei servizi essen-ziali di assistenza sociale”, la bozza di “Atto di indirizzo e coordinamento sui criteri per la determinazione del concorsoda parte degli utenti al costo delle prestazioni sociali” ed la stesura di “Linee Guida per la sperimentazione degli Uffici dipromozione sociale” che assolveranno anche al ruolo di uffici di tutela degli utenti. Infine, è stato istituto un gruppo dilavoro che ha il compito di definire i requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.Tra gli adempimenti cui ancora non si è provveduto si segnalano: la disciplina delle modalità per valorizzare l’apportodel volontariato nell’erogazione dei servizi, l’istituzione dei registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività socia-li, la definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

In conclusione, possiamo affermare con certezza che la Regione Marche ha messo in campo un notevole impegnoper costruire un sistema integrato dei servizi sociali. Certamente, i problemi che attendono ancora una soluzione nonmancano, ma in termini di efficienza di processo e di coerenza con i principi ispiratori della riforma nazionale appareevidente che sia stato raggiunto un ottimo risultato. Solo quando questo processo innovatore sarà ben rodato appariràchiaro se questa efficienza sarà anche efficace.

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ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

SITUAZIONE

D.G.R. n. 2491 del 23 Ottobre 2001“Modalità e riparto dei fondi destinati alcofinanziamento delle spese relative allapianificazione e gestione della rete degliinterventi e servizi sociali dei Comuniassociati in ambiti territoriali”.D.G.R. n. 2492 del 23 Ottobre 2001“Criteri e modalità per il Piano di ripar-to e programma degli interventi e risorsefinanziarie nazionali e regionali incampo socio-assistenziale anno 2001”.

Non è stato adottato uno specifico atto direcepimento del D.P.C.M. del 30 Marzo2001.È stata approvata la legge regionale n. 34del 18 Dicembre 2001 “Promozione esviluppo della cooperazione sociale” cheregolamenta le convenzioni.

D.G.R. n. 1670 del 17 Luglio 2001:“Piano Regionale per un Sistema integra-to di interventi e servizi sociali -Approvazione linee guida”.

D.G.R. n. 957 del 9 Maggio 2000“Istituzione del Comitato tecnico perma-nente per l’attuazione del PianoRegionale per un Sistema integrato diinterventi e servizi sociali”.

D.G.R. n. 337 del 13 Febbraio 2001“Istituzione degli ambiti territoriali”.D.G.R. n. 592 del 19 Marzo 2002 “Modifica alla DGR n. 337/2001 -Istituzione degli ambiti territoriali”.

Progetto di legge regionale “Disciplina inmateria di autorizzazione e accredita-mento delle strutture sociali a ciclo resi-denziale e semiresidenziale”, in discus-sione presso la Commissione competen-te.Il testo affronta solo la questione delleautorizzazioni; si sta lavorando sugliaccreditamenti.

SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 nneellllaa RReeggiioonnee MMaarrcchhee

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ARTICOLO

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

10, comma 3

11, comma 1

OGGETTO

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

SITUAZIONE

Istituzione del gruppo di lavoro sullaqualità dei servizi per la definizione deirequisiti - produzione di un documento ediscussione dello stesso con ricaduta suaccreditamenti, professioni sociali ecarte dei servizi

Stesura della bozza “Atto di indirizzo ecoordinamento sui criteri per la determi-nazione del concorso da parte degliutenti al costo delle prestazioni sociali”,in corso di discussione.

Stesura delle linee guida per la speri-mentazione degli Uffici di promozionesociale che assolveranno anche al ruolodi uffici di tutela.

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72

ARTICOLO

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

P.d.L. regionale “Disciplina in materia diautorizzazione e accreditamento dellestrutture sociali a ciclo residenziale esemiresidenziale”, in discussione pressola Commissione competenze.

D.G.R. n. 2106 del 11 Settembre 2001“Percorso formativo per i coordinatoridi ambito territoriale previsti dal PianoRegionale per un Sistema integrato diinterventi e servizi sociali” (percorso daavviare).D.G.R. n. 2225 del 24 Ottobre 2000:Conferimento incarico alla Coop. SocialeRES per la predisposizione e gestione diun programma di formazione territorialeper l’avvio dell’attuazione del PianoRegionale per un Sistema integrato diinterventi e servizi sociali (programmaconcluso).

Deliberazione amministrativa n. 306 del1 Marzo 2000 “Piano Regionale per unSistema integrato di interventi e servizisociali 2000/2002”.

D.G.R. n. 1768 del 1 Agosto 2000“Istituzione dell’Osservatorio regionaleper le politiche sociali”.D.G.R. n. 1477 del 26 Giugno 2001:“Istituzione gruppo tecnico regionaleper l’Osservatorio politiche sociali”.Decreto dirigenziale n. 58 del 28 Marzo2001: “Affidamento della fornitura di unservizio di consulenza informatica emetodologica per la realizzazione di unprogetto di ricognizione dell’offerta deiservizi sociali sul territorio regionale alladitta Sinergia di Milano”.

Bozza di “Atto di indirizzo e coordina-mento sulla rete dei servizi essenziali diassistenza sociale”, in corso di discussio-ne e di confronto con il livello nazionale.

Page 73: Il lungo cammino della riforma

73

MMoolliissee

Il Molise non ha ancora emanato il proprio Piano Regionale, attualmente in corso di elaborazione, e fa riferimen-to ad una legge di riordino delle attività socio-assistenziali58, legge regionale n. 1, che disciplina l’istituzione di unsistema organico di protezione sociale.

Il provvedimento, in conformità con quanto previsto dall’allora progetto di legge nazionale, si propone di realizza-re una rete integrata di interventi e servizi sociali che favorisca il benessere delle persone e delle famiglie.

Facendo propri i principi di sussidiarietà verticale ed orizzontale, esso assegna agli Enti locali i compiti di eroga-zione, progettazione e realizzazione della rete dei servizi sociali e riconosce l’importanza dell’attività del volontariato,della cooperazione sociale e di tutti gli altri soggetti non lucrativi, nonché delle reti anche informali di auto aiuto, favo-rendone lo sviluppo attraverso l’agevolazione alla partecipazione ed al perseguimento delle finalità della legge.

Secondo il provvedimento, le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza partecipano in via prioritaria, rispet-to agli organismi di utilità sociale, alla realizzazione del sistema integrato e, purché autorizzati all’esercizio di specifi-che attività socio-assistenziali, possono concorrere alla rete di protezione sociale anche i soggetti privati a scopo dilucro.

La legge regionale definisce le varie tipologie di prestazione socio-assistenziale. E dispone che gli interventi venga-no erogati in modo da:

- favorire una distribuzione in rete, che integri i livelli di offerta delle istituzioni pubbliche e delle organizzazioni diutilità sociale;

- garantire la predisposizione di progetti personalizzati, che facciano confluire servizi sociali e trasferimenti mone-tari in un programma unitario, volto al pieno inserimento del soggetto.

Il provvedimento propone uno schema di attribuzione delle funzioni analogo a quello previsto dalla riforma assi-stenziale del 2000: le Regioni assolvono compiti di indirizzo e coordinamento, le Province concorrono alla program-mazione degli interventi, ai Comuni, singoli o associati, spettano tutte le competenze di governo locale.

Per la realizzazione dell’integrazione socio-sanitaria, la legge suggerisce l’adozione, in via preferenziale, di dueforme di gestione, ritenute più funzionali e di garanzia per la salvaguardia del profilo delle attività sociali:

- l’accordo di programma tra Comuni e Aziende Sanitarie, che stabilisce procedure operative e protocolli assisten-ziali integrati, in cui sono definite, per ciascun Ente, le prestazioni offerte, gli oneri a proprio carico, le modalità dierogazione della prestazione da parte delle diverse figure professionali e la verifica congiunta sulla qualità e sugli esiti.

- la costituzione di istituzioni o di società miste di gestione tra Asl e Comuni.Il Piano triennale socio-assistenziale Regionale è lo strumento di programmazione e di governo del sistema dei ser-

vizi e della rete di protezione sociale indicato dalla legge. La Regione, tramite il Piano, provvede a definire gli indiriz-zi, gli obiettivi e le priorità sociali, nonché i criteri di attuazione degli interventi e le modalità di finanziamento.

Attualmente, l’Assessorato alle Politiche Sociali è impegnato proprio nella predisposizione del Piano Regionaletriennale, in conformità con le indicazioni della legge regionale ed in attuazione del Piano Nazionale e della Legge qua-dro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.

Nelle parole di chi rappresenta il Settore Sociale della Regione: “all’interno di tale strumento di programmazio-ne saranno ricondotte tutte le attività e le risorse, umane, organizzative, materiali, finalizzate alla promozionedei diritti sociali di cittadinanza e all’attivazione di misure mirate alla tutela delle fasce maggiormente esposteal rischio di esclusione”. Solo in questo quadro è previsto il recepimento formale delle previsioni normative conte-nute nella legge 328 e nei successivi provvedimenti attuativi.

In riferimento allo stato di applicazione regionale della riforma assistenziale, dobbiamo quindi sottolineare come,fino ad oggi, la Regione Molise non abbia ancora provveduto a recepire le indicazioni contenute nella legge quadro ea dare concreta attuazione al sistema integrato di interventi e servizi sociali.

Al momento, in attesa di portare la proposta di Piano all’attenzione delle forze sociali, per l’attivazione delle moda-lità di concertazione previste dalla legge 328, “la Regione sta realizzando gli interventi in materia di politichesociali attraverso bandi annuali per l’assegnazione delle risorse”, attribuite in base a disposizioni nazionali (leggi285/97, 104/92, 162/98, 309/90 etc.) o stanziate in conformità a norme regionali (anziani, promozione dei diritti dicittadinanza, interventi assistenziali).

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ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitaria delsistema locale dei servizi sociali a rete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

SITUAZIONE

Operativa. L.R. 1/2000.

Operativa. L.R. 17/2000 (convenzionitipo).

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 nneellllaa RReeggiioonnee MMoolliissee

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ARTICOLO

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

10, comma 3

11, comma 1

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

No.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Verrà trasmessa entro i termini stabiliti.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Elaborata una proposta di Piano socialeRegionale.

Provveduto.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

Inserita nella proposta di Piano socialeRegionale.

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PPiieemmoonnttee

La Regione Piemonte ha avviato il proprio processo di adeguamento al dettato della legge quadro di riformadell’assistenza sociale attraverso l’elaborazione del disegno di legge regionale n. 407, recante il “Norme per larealizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali”59.

Con tale provvedimento, la Regione si prefigge di individuare nuove modalità per la realizzazione del sistemaintegrato piemontese, già avviato, seppur parzialmente, grazie a precedenti leggi regionali.

Dapprima il progetto di legge individua le funzioni dei soggetti istituzionali e degli altri soggetti, pubblici e pri-vati, che concorrono alla costruzione della rete dei servizi sociali sul territorio: Regione, Province, Comuni, Asl,terzo settore ed altri soggetti privati. Poi passa ad indicare i metodi e gli strumenti della programmazione sociale.

L’attività di pianificazione delle azioni viene concepita come fondata sull’analisi e sulla valutazione dei bisognisociali delle comunità locali e sulla concertazione con tutti i soggetti presenti sul territorio.

Gli strumenti della programmazione sono:- il Sistema informativo dei servizi sociali, con funzioni di conoscenza territoriale;- il Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali, finalizzato al perseguimento degli obiettivi della legge;- il Piano di Zona, lo strumento primario di attuazione della rete dei servizi sociali a livello locale.Obiettivo del sistema integrato è il perseguimento del benessere delle persone, da raggiungere attraverso l’in-

tegrazione degli interventi sociali con gli interventi sanitari e dell’istruzione, con le politiche attive della formazio-ne, del lavoro, della casa, della sicurezza sociale e con tutte quelle politiche comunque rivolte alla prevenzione edalla riduzione ed eliminazione delle condizioni di bisogno e di disagio.

Al fine di garantire risposte omogenee su tutto il territorio regionale, il disegno di legge individua le prestazio-ni ed i servizi essenziali da assicurare in ogni ambito ottimale:

1. servizio sociale professionale e segretariato sociale;2. servizio di assistenza domiciliare ed educativa territoriale e di inserimento sociale;3. servizio di assistenza economica;4. servizi residenziali e semiresidenziali;5. servizi per l’affidamento e le adozioni;6. pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari.Tali livelli essenziali devono essere recepiti dalla Giunta Regionale con apposito provvedimento, previa con-

certazione con i Comuni e con gli altri soggetti interessati.Gli ambiti territoriali dei distretti sanitari (o di multipli di essi) vengono identificati come gli ambiti ottimali per

la realizzazione del sistema integrato. E la gestione associata dei Comuni come la forma più idonea a garantire l’ef-ficacia e l’efficienza delle prestazioni. A tal fine, sono previste forme di incentivazione e disincentivazione finan-ziaria, da parte della Regione, per gli Enti che assicurino o meno la gestione associata e complessiva degli inter-venti.

Per favorire la tutela degli utenti, il provvedimento individua i criteri per:- l’accesso al sistema integrato, realizzato attraverso una valutazione del bisogno che garantisca interventi e ser-

vizi appropriati e personalizzati;- l’adozione della Carta dei servizi sociali, strumento di salvaguardia dei diritti dell’utente e requisito necessa-

rio per l’accreditamento.Inoltre, allo scopo di qualificare il rapporto tra cittadino ed istituzioni, viene resa obbligatoria, quale parte inte-

grante del Piano di Zona, la redazione di un piano di comunicazione sociale, che individui, oltre la Carta deiservizi, ulteriori strumenti comunicativi, per favorire la conoscenza delle attività, delle iniziative e dei servizi a dis-posizione dei cittadini.

In questo quadro, costituisce uno strumento qualificante della comunicazione sociale, interna ed esterna, laredazione del bilancio sociale da parte degli Enti gestori istituzionali.

In merito ai criteri per l’autorizzazione, la vigilanza e l’accreditamento dei servizi e delle strutture, nonché allemodalità di affidamento dei servizi alla persona, il disegno di legge fornisce criteri e principi generali, che devo-no trovare seguito in appositi provvedimenti della Giunta Regionale. In particolare, mentre sui criteri autorizzati-vi e di vigilanza la Regione può far riferimento alla normativa precedente, del tutto originale è l’introduzione deltema dell’accreditamento.

Il Titolo VII del provvedimento è dedicato alle risorse umane: si sofferma sul personale dei servizi sociali e sulleattività di formazione.

Dal punto di vista finanziario, la Regione istituisce il Fondo Regionale per la gestione del sistema integrato degliinterventi e dei servizi sociali. Gli Enti gestori istituzionali, al fine di rilevare i dati relativi al rapporto tra risorseimpiegate e prestazioni erogate, sono tenuti ad adottare idonei sistemi di controllo di gestione, che consentanoanalisi comparative di efficacia e di efficienza e costituiscano fonte informativa per la programmazione regionale.

Nella parte dedicata alle politiche di promozione sociale, il provvedimento fornisce indicazione in merito adobiettivi, finalità e servizi da garantire per ciascuna delle aree di intervento, individuate in:

Page 77: Il lungo cammino della riforma

77

- famiglie;- tutela materno-infantile;- persone disabili;- persone anziane;- altri soggetti deboli.Per rispondere alle esigenze maturate nel territorio di incoraggiamento alla partecipazione delle persone alla vita

della comunità e delle organizzazioni di volontariato, il provvedimento introduce iniziative specifiche e mirate, che siconfigurano come previsioni di carattere innovativo e sperimentale, quali:

- la promozione di attività di servizio civile volontario per i giovani e per le persone anziane;- la concessione di contributi ai Comuni e ad altri Enti pubblici perché ristrutturino propri immobili da affidare gra-

tuitamente ad organizzazioni di volontariato per la propria sede;- l’erogazione di contributi diretti alle organizzazioni di volontariato per mutui da esse contratti per sostenere la

propria attività;- la definizione di criteri per l’utilizzo da parte dei Centri di servizio dei propri fondi, secondo principi di proget-

tualità integrata con la Regione, gli Enti locali e le realtà associative del territorio, prevedendo, in particolare, la pos-sibilità di finanziamento diretto di progetti alle organizzazioni di volontariato e di interventi a favore delle sedi.

Il disegno di legge della Regione Piemonte si configura come lo strumento di sviluppo a livello regionale della leggequadro di riforma dei servizi sociali. Nelle intenzioni dei proponenti, il provvedimento non introduce, se non in mini-ma parte, la previsione di attività e di interventi che non siano già previsti dalla legislazione previgente, ma sipone l’obiettivo di ridisegnare le modalità per la programmazione, l’organizzazione e l’erogazione dei servizi giàrealizzati dagli enti locali con l’obiettivo di razionalizzare l’esistente e favorire una omogenea distribuzione deiservizi sul territorio, assicurando a tutti i cittadini livelli omogenei di prestazioni individuate come essenzia-li.60

Se facciamo riferimento allo stato di attuazione regionale della legge 328/00, possiamo quindi constatare che ilprovvedimento piemontese rappresenta il tramite per il recepimento complessivo del dettato nazionale. Il punto di rife-rimento obbligato per il pieno dispiegamento del sistema integrato di interventi e servizi sociali, così come disegnatodal livello centrale, sul territorio regionale.

In attesa del completamento dell’iter di approvazione del disegno di legge, la Regione ha comunque operato laripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato e l’impegno contabile delle quote e risorse ricevute. Mentre è in fasedi attuazione l’avvio dei corsi di formazione per il personale sociale.

Disciplinati da una normativa precedente sono: i criteri per l’autorizzazione e la vigilanza (ma non per l’accredita-mento) delle strutture e dei servizi ed i requisiti per il rilascio dell’autorizzazione ai servizi ed alle strutture a ciclo resi-denziale e semiresidenziale.

Sono invece da attuare: la disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla ero-gazione di servizi sperimentali e innovativi e la normativa sui criteri e le modalità per la concessione dei titoli per i ser-vizi.

È già stato istituito il Sistema informativo dei servizi sociali.Sono in fase di studio i livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali. E sono in itinere la disciplina per il

riordino delle IPAB e l’emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti locali e terzo settore.

SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 iinn PPiieemmoonnttee

ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

SITUAZIONE

Attuata tramite Delibera della GiuntaRegionale.

In itinere.

Prevista nella L.R. 38/94.Da attuare in relazione alla legge 328/00.

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ARTICOLO

7, comma 1

8, comma 2

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

OGGETTO

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

SITUAZIONE

L.R. 5/2001.Disegno di legge regionale n. 407“Norme per la realizzazione del sistemaregionale integrato di interventi e servizisociali” (effettuata la consultazione deisoggetti interessati).

Inseriti nel citato disegno di legge regio-nale.

Attuato in precedenza per quanto attieneai criteri autorizzativi e di vigilanza:D.G.R. 124-18354 del 14/4/97 e D.G.R.83-25268.La parte rimanente è inserita nel citatodisegno di legge regionale.

Inseriti nel citato disegno di legge regio-nale.

Inseriti nel citato disegno di legge regio-nale.

Inseriti nel citato disegno di legge regio-nale.

Inseriti nel citato disegno di legge regio-nale.

L.R. 5/2001.Inseriti nel citato disegno di legge regio-nale.

Inseriti nel citato disegno di legge regio-nale.

78

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79

ARTICOLO

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

10, comma 3

11, comma 1

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

Inseriti nel citato disegno di legge regio-nale.

Inseriti nel citato disegno di legge regio-nale.

Inseriti nel citato disegno di legge regio-nale.

Bozza di disegno di legge regionale.

Attuata in precedenza: D.G.R. 124-18354del 14 Aprile 1997 eD.G.R. 83-25268.

Da attuare.

In fase di attuazione: D.G.R. 46-5562 del23 Marzo 2002 e D.G.R. 26-5882 del 22Aprile del 2002.

Da attuare.

Da attuare.

Presentato il disegno di legge regionale.

Effettuato.

Già avviato da tempo.

In fase di studio.

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ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

SITUAZIONE

PPuugglliiaa

La Regione Puglia ha elaborato un disegno di legge regionale, “Individuazione degli ambiti territoriali e disci-plina per la gestione associata dei servizi socio-assistenziali - Disciplina delle funzioni e dei compitiamministrativi in materia di servizi sociali da parte degli enti locali”61, che si propone di attivare la proce-dura necessaria per pervenire all’individuazione degli ambiti territoriali ed alla disciplina della gestione associata degliinterventi socio-assistenziali.

Dal 1999, lo Stato esercita, nei confronti della Regione, i poteri sostitutivi in materia di servizi sociali, a norma del-l’art. 4, comma 5, della legge n. 59, approvata il 15 Maggio del 1997. Il mancato rispetto del termine fissato, dalla sud-detta legge, per definire l’attribuzione agli Enti locali delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia sociale hainfatti indotto il Governo ad intervenire, emanando il decreto legislativo n. 96 del 30 Marzo 1999, con il quale sono stateindividuate le funzioni amministrative di competenza degli Enti locali e le funzioni riservate alla Regione. In particolare,il provvedimento Governativo ha attribuito le attività di programmazione, coordinamento e verifica alla Regione. Ha asse-gnato la generalità delle funzioni amministrative ai Comuni. E ha riservato alle Province l’attività relativa alla promozio-ne ed al coordinamento operativo dei soggetti e delle strutture che agiscono nell’ambito dei servizi sociali, con partico-lare riguardo alla cooperazione sociale, alle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ed al volontariato.

Le disposizioni del decreto legislativo hanno efficacia sino all’entrata in vigore della legge regionale, la cui approva-zione si rende quindi necessaria, anche al fine di garantire l’attuazione della legge nazionale sull’assistenza.

L’iniziativa legislativa regionale si articola in due Titoli.Il primo riguarda in modo specifico gli ambiti territoriali e la gestione associata dei servizi da parte dei Comuni.Il secondo tratta delle funzioni e dei compiti amministrativi, in materia di servizi sociali, di competenza degli Enti

locali.Gli ambiti territoriali corrispondono alle singole circoscrizioni delle Province della Puglia. E la gestione associata dei

servizi socio-assistenziali è esercitata dai Comuni appartenenti allo stesso distretto socio-sanitario di ciascun ambito ter-ritoriale. Alla Regione spetta, attraverso l’emanazione del Piano socio-assistenziale, la determinazione delle risorseaggiuntive da destinare ai Comuni che sono tenuti all’esercizio associato delle funzioni sociali a causa della minoredimensione demografica, nonché l’individuazione delle forme d’incentivazione alla gestione associata da parte degli altriComuni.

Il secondo Titolo disciplina le competenze degli Enti locali, in conformità con le disposizioni della legge 328/2000.Ed individua le funzioni amministrative che richiedono l’esercizio unitario a livello regionale.

In materia di integrazione socio-sanitaria, possiamo far riferimento alle indicazioni contenute nel Piano sanitarioregionale 2002-2004, pensate in armonia con quanto previsto dal Piano sociale Nazionale 2001-2003 e dalla legge qua-dro di riforma dell’assistenza 328/00. Poiché le caratteristiche demografico-epidemiologiche della comunità puglieseimpongono di privilegiare forme di assistenza multidisciplinari, la Regione promuove, qualifica e sostiene l’integrazionesocio-sanitaria, sul piano degli indirizzi, delle risorse, dell’organizzazione e della formazione, mediante l’elaborazionedi uno specifico Programma regionale dei servizi ad alta integrazione socio-sanitaria. Tale strumento, chedeve riconoscere ed agevolare il ruolo dei soggetti del terzo settore e delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza eBeneficenza, è il risultato degli accordi di programma tra le Asl ed i Comuni interessati, in materia di integrazione socio-sanitaria.

Appare chiaro, da quanto finora emerso, che la Regione Puglia è ben lontana dall’aver avviato un concreto proces-so di applicazione della legge 328/00. Il disegno di legge regionale, all’esame della competente Commissione Consiliare,rappresenta lo strumento obbligato per uscire dall’impasse determinata dall’adozione dei poteri sostitutivi e solo un timi-do passo verso l’avvio di un serio progetto di implementazione della riforma nazionale.

SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 nneellllaa RReeggiioonnee PPuugglliiaa

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ARTICOLO

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

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8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

OGGETTO

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

SITUAZIONE

Disegno di legge regionale“Individuazione degli ambiti territoriali edisciplina per la gestione associata deiservizi socio-assistenziali - Disciplinadelle funzioni e dei compiti amministra-tivi in materia di servizi sociali da partedegli enti locali”, Atto n. 166/A all’esamedella Commissione Consiliare competen-te.

Disegno di legge regionale in via di per-fezionamento.

Disegno di legge regionale in via di per-fezionamento.

Disegno di legge regionale in via di per-fezionamento.

Disegno di legge regionale in via di per-fezionamento.

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ARTICOLO

8, comma 4

8, comma 5

10, comma 3

11, comma 1

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

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SSaarrddeeggnnaa

La Regione Sardegna ha promosso attraverso il “Piano Socio Assistenziale per il triennio 1998-2000”62

un sistema organico di servizi sociali volto a tutelare il benessere fisico, psichico e sociale della popolazione, supe-rando gli squilibri nella distribuzione delle risorse e degli interventi, sostenendo e valorizzando le risposte di soli-darietà sociale, creando condizioni che favoriscano la collaborazione tra operatori ed utenti, tra comunità edIstituzioni.

Alla data di approvazione della riforma nazionale la Sardegna aveva all’attivo ben due Piani socio-assistenziali.Il primo assumeva come obiettivo di carattere generale la costruzione di un sistema socio-assistenziale, che fosse

attestato non solo sul versante operativo. Si trattava, in primo luogo, di introdurre, fra gli operatori e fra i cittadini,una cultura dei servizi sociali, una consapevolezza diffusa dei fattori economici, sociali e psicologici che ostacolanola partecipazione dell’individuo alla vita sociale e l’instaurarsi di relazioni soddisfacenti. Per poi costruire, su que-sta base culturale, delle modalità d’intervento più incisive.

Il secondo si inserisce in un contesto molto differente: ha di fronte una realtà molto ampia di servizi e di inter-venti che necessitano di un coordinamento e di una finalizzazione, rispetto al complesso delle priorità assunte, e dirisposte puntuali, rispetto agli emergenti problemi attuativi e gestionali. Esso si configura come un “piano-stru-mento”, proprio per la sua scelta di formulare risposte precise, modalità attuative sufficientemente definite, pro-poste concrete ed attuabili, fortemente aderenti alle problematiche da regolare.

Il “Piano Sociale Nazionale per il triennio 2001-2003” contiene priorità e destinatari sovrapponibili a quelli indi-viduati dai due Piani socio-assistenziali precedentemente approvati dalla Regione, ed in particolare dal 2°Piano(1998-2000), la cui validità è stata prorogata a tutto il 2002.

Il Piano Regionale definisce, in primo luogo, gli obiettivi generali, che vengono individuati nella:valorizzazione della famiglia, in quanto soggetto che eroga autonomamente servizi di cura per i suoi compo-

nenti e come partner attivo del sistema degli interventi sociali;lotta alla povertà e all’esclusione sociale, attraverso azioni ed interventi volti a promuovere l’integrazione socia-

le, che favoriscano: l’accesso alle risorse, alle opportunità ed ai servizi pubblici, la piena partecipazione alla vitasociale, il superamento della disuguaglianza nel godimento dei diritti fondamentali;

promozione di rapporti collaborativi fra le Istituzioni ed il terzo settore nel suo complesso e nella valorizza-zione delle risorse di solidarietà e disponibilità presenti nella comunità in cui si opera;

ricerca di sinergie fra i servizi e le istituzioni che concorrono al benessere collettivo, con particolare riferi-mento al coordinamento dei servizi socio-assistenziali con i servizi sanitari, scolastici ed educativi.

Gli obiettivi generali orientano il complesso delle azioni e degli interventi, la formulazione e l’implementazionedei progetti-obiettivo e delle azioni programmatiche, rappresentando il quadro di riferimento complessivo, nell’am-bito del quale si formulano e si perseguono gli obiettivi specifici.

I due progetti-obiettivo, che il Piano individua, sono:“Adolescenti”, le cui dinamiche e i cui conflitti sono riportati sul piano della normalità e della crescita ed affron-

tati attraverso un impegno comune delle famiglie, dei servizi socio-assistenziali, delle istituzioni scolastiche e cultu-rali. Nell’ambito della condizione giovanile, considerata nel suo insieme, il Piano individua l’adolescenza, comefascia d’età che assume valenza prioritaria nella formulazione ed attuazione dei progetti, mentre il complesso delleproblematiche che riguardano i giovani viene affrontato nell’ambito della specifica azione programmatica.

“La tutela e la promozione della qualità della vita degli anziani”, che promuove azioni preventive volte almantenimento di adeguati livelli di autosufficienza ed interventi di recupero e di deistituzionalizzazione. Tale progettorappresenta e sviluppa il versante sociale di un unico progetto di intervento formulato nell’ambito del Piano sanita-rio e del Piano socio-assistenziale.

Le azioni programmatiche previste sono rivolte a:Infanzia. L’azione è volta a sostenere i genitori nell’assolvimento dei loro compiti di cura ed educativi, nonché a

promuovere misure di supporto alle famiglie in difficoltà al fine di prevenire provvedimenti di allontanamento.Nell’ambito di tale azione vengono aggiornati anche gli standard per gli asili nido.

Lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Vengono considerati in particolare, sotto quest’ultimo profilo, gli inter-venti volti a fronteggiare gli effetti sociali di una mancata fruizione della partecipazione alle attività lavorative, di con-dizioni abitative inadeguate, della insufficiente istruzione, di una insoddisfacente tutela del proprio stato di salute.

Aree a più alto rischio di esclusione sociale. Tale azione programmatica si affianca alla precedente, identifican-do come obiettivo prioritario di intervento tre aree soggettive relative a: sofferenti mentali, tossicodipendenti e por-tatori di handicap, obiettivo per cui è indispensabile la promozione di uno stretto coordinamento con le attività sani-tarie facenti capo alle Aziende USL ed ospedaliere.

Protagonismo sociale dei giovani. Quest’ultima azione programmatica rappresenta il contesto più generale nelcui ambito si colloca e si sviluppa il progetto obiettivo “Adolescenti”.

Il Piano socio-assistenziale promuove una complessa ed articolata strategia di mutamento secondo specifichelinee d’intervento, correlabili, nel loro complesso, agli obiettivi generali e ad essi comuni. Tali linee percorrono

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84

infatti trasversalmente ogni programma e ne orientano la formulazione, l’attuazione e la valutazione, costituendo ilquadro generale di riferimento operativo e metodologico, nel cui ambito possano svilupparsi le azioni settoriali rivol-te ad obiettivi specifici.

Le risorse finanziarie che la Regione destina agli interventi sociali ed ai servizi socio-assistenziali hanno raggiun-to, nell’anno 2001, la somma di 220 miliardi di lire. Laddove i finanziamenti statali derivanti dalle leggi nazionali disettore (risorse finalizzate) e dalla legge 328/2000 (risorse indistinte) sono risultati pari, per lo stesso anno, a 45miliardi di lire. La composizione della futura spesa sociale sarà quindi data per l’83% da risorse proprie dellaRegione e per il 17% da risorse di provenienza statale. Per la ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato, inattesa dell’aggiornamento della legislazione regionale e del Piano socio-assistenziale rispetto ai criteri di riparto, LaRegione intende adottare un atto d’indirizzo, che consenta comunque l’utilizzo e l’assegnazione delle risorse nazio-nali indistinte.

Da quanto fin qui emerso, da questa breve disamina delle vicende regionali in materia assistenziale, possiamocertamente affermare che la strada intrapresa dalla Regione, già precedentemente all’approvazione della legge nazio-nale, si ispira ad alcuni principi poi sanciti dalla riforma assistenziale e colloca il comparto sociale in una posizio-ne di non marginalità, come dimostra anche il dato relativo alla spesa sociale.

Significativo in questa direzione è il fatto che, sebbene la Sardegna possa avvalersi della competenza esclusiva inmateria sociale63, la Regione intende comunque aggiornare:

- la propria legislazione, alla luce di alcune importanti indicazioni provenienti dalla legge 328 (quali ad esempioil Piano di Zona e l’accreditamento degli Enti e dei servizi);

- il proprio Piano Regionale, per armonizzarlo al Piano Nazionale e per intensificare e migliorare gli interventidelle azioni programmatiche.

In questa prospettiva, l’Assessorato ha dato incarico alla Consulta Regionale per i Servizi SocioAssistenziali64, di formulare un documento di indirizzo per l’adeguamento della legislazione regionale e del Pianosocio-assistenziale, in funzione, appunto, delle innovazioni introdotte dalla normativa e dalla programmazione nazio-nale. Tale documento è tuttavia ancora in via di definizione, e da esso deriveranno i conseguenti adempimenti ammi-nistrativi, legislativi e programmatici.

Premesso quanto sopra, possiamo analizzare più nel dettaglio lo stato di attuazione della legge quadro 328/00nella Regione.

Sebbene la Sardegna abbia all’attivo due Piani sociali, essa fa riferimento ad una normativa ormai datata (L.R. n.4/1988), che presenta, per alcuni aspetti particolari, delle lacune significative, per le quali si necessita di un appo-sito aggiornamento. La Regione è peraltro consapevole di tale situazione e ha previsto le misure da impiegare peruniformarsi agli standard nazionali.

In particolare, occorre:- adottare nuove indicazioni per regolamentare i rapporti tra Enti locali e terzo settore, tenendo conto dell’atto

d’indirizzo e coordinamento del Governo;- completare la disciplina del ruolo delle Province, legiferando sulle funzioni relative alla raccolta dei dati sui ser-

vizi e sulle risorse ed alla promozione di iniziative di formazione. Le Province devono inoltre cedere ai Comuni lefunzioni socio-assistenziali relative ai minori ex ONMI, agli illegittimi, agli audiolesi e non vedenti;

- prevedere l’attivazione delle procedure di consultazione degli EE.LL. e delle Aziende USL per verificare se gliattuali ambiti territoriali distrettuali siano ancora ottimali o vadano rideterminati;

- definire legislativamente le figure sulle quali ha competenza formativa la Regione;- prevedere l’introduzione nella legislazione regionale del sistema di accreditamento delle strutture e dei servizi;- introdurre una regolamentazione più soddisfacente dei requisiti di qualità dei servizi in vista del sistema di

accreditamento;- aggiornare il limite di reddito che individua il minimo vitale ed il calcolo dei redditi da considerare per stabi-

lire lo stato di bisogno (R.M.I.).Da introdurre e disciplinare completamente, nella legislazione regionale, risultano invece:- la definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali ;- la determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe da corrispondere ai soggetti accreditati;- la disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli

utenti, nonché l’eventuale istituzione di uffici di tutela dei cittadini;- l’esercizio dei poteri sostitutivi;- l’adeguamento ai principi del decreto legislativo di riordino delle IPAB;- la disciplina delle modalità per il rilascio delle autorizzazioni all’erogazione di servizi sperimentali e innovativi;- la definizione dei livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.Da quanto emerso appare evidente che il sistema dei servizi introdotto nella Regione necessita di una profonda

revisione e di un adeguamento urgente e significativo al dettato della legge 328/00. In attesa dell’aggiornamento dellalegislazione regionale e dell’emanazione del nuovo Piano socio-assistenziale non è certo possibile parlare di un fede-le rispetto della programmazione nazionale.

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85

SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 iinn SSaarrddeeggnnaa

ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

8, comma 3 lett. a)

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

SITUAZIONE

La Regione ripartisce agli Enti destinata-ri le risorse finalizzate provenienti dalleleggi nazionali di settore.È nelle intenzioni dell’Assessorato l’ado-zione di un atto di indirizzo, con indivi-duazione dei criteri di ripartizione, perl’attribuzione delle risorse indistintedello Stato.

Regolamentati dagli artt. 41 e 42 dellaL.R. 4/1988.Sono da adottare nuovi orientamenti,tenendo conto dell’Atto d’indirizzo ecoordinamento del Governo.

L’apporto del volontariato è disciplinatodall’art. 44 della citata legge regionale.

Prevista dall’art. 17 della citata leggeregionale.Le Province concorrono alla definizioneed attuazione della programmazioneregionale e gestiscono le funzioni socio-assistenziali di cui alla legge n. 67/93.Sono da disciplinare, con legge regiona-le, le funzioni relative alla raccolta deidati sui servizi e sulle risorse, nonchéalla promozione di iniziative di formazio-ne.Le Province devono cedere ai Comuni lefunzioni socio-assistenziali relative aiminori ex ONMI, agli illegittimi, agliaudiolesi e non vedenti.

Previsione legislativa già contenuta nellalegge regionale 4/1988.In particolare la consultazione degliEE.LL. e dei soggetti del terzo settore èprevista per la predisposizione del PianoRegionale.È istituita la Conferenza Regione - EE.LL.e la Consulta Regionale sui Servizi socio-assistenziali.

Previsti dall’art.10 della citata leggeregionale.Occorre prevedere l’attivazione delleprocedure di consultazione degli EE.LL.e delle Aziende USL per verificare se gliattuali ambiti territoriali distrettualisiano ancora ottimali o vadano rideter-minati.

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ARTICOLO

8, comma 3 lett. f)

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

OGGETTO

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

SITUAZIONE

La legislazione regionale vigente regola-menta l’autorizzazione al funzionamentodelle strutture ed allo svolgimento delleattività socio-assistenziali da parte delprivato sociale e del volontariato.Occorre prevedere l’introduzione delsistema di accreditamento delle strutturee dei servizi.

La legislazione regionale già disciplinal’istituzione ed il funzionamento delRegistro del terzo settore e dell’Albo delvolontariato.

La legge regionale vigente, con il suoregolamento di attuazione, disciplina lemodalità di organizzazione e funziona-mento dei servizi e delle prestazioni.Serve una regolamentazione più soddi-sfacente dei requisiti di qualità dei servi-zi in vista dell’introduzione del sistema diaccreditamento dei servizi.

Bisogna disciplinare l’introduzione ditali criteri nella legislazione regionale.

La legge regionale vigente, con il suoregolamento di attuazione, disciplina ilconcorso degli utenti al costo delle pre-stazioni.Occorre aggiornare il limite di redditoche individua il minimo vitale ed il cal-colo dei redditi da considerare per stabi-lire lo stato di bisogno (R.M.I.).

Di competenza dell’Assessorato delLavoro e della Formazione professionale

Bisogna disciplinare l’introduzione ditali criteri nella legislazione regionale.

Da introdurre e disciplinare nella legisla-zione regionale.

Da introdurre e disciplinare nella legisla-zione regionale.

86

Page 87: Il lungo cammino della riforma

87

ARTICOLO

8, comma 5

10, comma 3

11, comma 1

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

Gli EE.LL. già beneficiano delle risorsenecessarie (umane, finanziarie, patrimo-niali) per la gestione dei servizi socio-assistenziali.

La Regione ha competenza esclusiva inmateria sociale ai sensi della L.C.n.3/2001.Occorre tuttavia una nuova disciplinalegislativa nella materia.

La competenza per il rilascio dell’auto-rizzazione è attualmente della Regione.Occorre valutare se la competenza debbaessere esercitata dai Comuni o “piùopportunamente” dalle Province.

Da introdurre e disciplinare nella legisla-zione regionale.

Disciplinati dal Piano regionale socio-assistenziale.Occorre definire legislativamente le figu-re sulle quali ha competenza formativa laRegione.

Il sostegno domiciliare per le personeanziane non autosufficienti è svolto diffu-samente dai Comuni.Manca la collaborazione e l’integrazionecon i servizi sanitari per gli interventi diAssistenza Domiciliare Integrata.

Da introdurre e disciplinare nella legisla-zione regionale.

È tuttora vigente il 2° Piano regionalesocio-assistenziale.Occorre prevedere il suo aggiornamentoper armonizzarlo al Piano sociale nazio-nale (in particolare per la previsione delPiano di Zona).

Da effettuare per le risorse indistinte.

Già attivato a livello regionale, da attivarea livello zonale e provinciale.

Da introdurre e disciplinare nella legisla-zione regionale.

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88

SSiicciilliiaa 65

Allo stato attuale, la Sicilia ha appena avviato il dibattito sulla riforma regionale del welfare e non ha ancora adottato nes-sun provvedimento formale volto all’attuazione della legge 328/2000.

In attesa che la Regione provveda all’applicazione della legge nazionale, soltanto alcuni adempimenti specifici risultanocoperti dalla vigente normativa regionale, peraltro ultradecennale. Parliamo, in particolare, dell’istituzione di un Registro degliEnti autorizzati alla gestione delle attività sociali (art.8, comma 3, lett. g) della legge 328/00), previsto dalla legge regionalen.22 del 9 Maggio 1986 “Riordino dei servizi socio - assistenziali in Sicilia”, e dell’esercizio dei poteri sostitutivi nei confrontidegli Enti locali inadempienti (8 comma 3 lett. o)), avviato ancor prima del D.lgs. 112/1998 in virtù delle peculiarità statuta-rie regionali.

TToossccaannaa

Nel 1997 la Regione Toscana vara una legge66 orientata a fissare nuovi principi, obiettivi e strumenti delle politiche socia-li territoriali, introducendo innovazioni di tipo concettuale ed operativo nella progettazione sociale.

L’obiettivo di questo provvedimento, attuativo dei decreti così detti “Bassanini”, era quello di rilanciare la dimensione zona-le, riconoscendone l’importanza ed ampliandone ruoli e responsabilità: dall’analisi del contesto sociale alla realizzazione deiprogetti. Al titolo II della legge regionale si delinea un quadro in cui il ruolo dei Comuni è centrale, sia nell’ orientamento, chenella realizzazione dell’integrazione socio-sanitaria, e si sottolinea l’importanza della collaborazione e della co-programma-zione degli interventi ad opera di tutti i soggetti presenti nelle comunità locali. Già in questa legge il Governo regionale identi-fica gli strumenti cardine della programmazione e realizzazione delle politiche sociali nel Piano Integrato Sociale Regionale(PISR) e nel Piano zonale di assistenza sociale (Piano di Zona).

Date queste premesse, è evidente che la normativa regionale è risultata in buona armonia con quanto successivamentedecretato dalla legge di riforma nazionale, sia con riguardo all’integrazione delle politiche socio-assistenziale con quelle diambito sanitario, sia rispetto alla costruzione di reti integrate in cui sia attribuito un ruolo attivo e propositivo alle aggregazio-ni primarie dei cittadini.

L’applicazione della “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, in questaRegione, si è inserita in un percorso coerente con le importanti novità, concettuali ed operative, che negli ultimi anni hannocoinvolto il settore dei servizi sociali e le politiche di welfare. Attualmente, il Governo regionale sta lavorando ad una propostadi modifica della L.R. 72/97, con l’obiettivo di emanare, a breve, un riordino complessivo della legislazione in materia, attra-verso l’approvazione di un Testo Unico per le politiche sociali, che, in parte, riconfermerà i principi ispiratori e l’impianto com-plessivo dell’attuale normativa regionale e, in parte, svilupperà i contenuti e le novità presenti nella legge quadro 328/2000.

Il modello toscano di ridisegno del sistema regionale per le politiche sociali ha vissuto una prima tappa importante conl’approvazione del Piano Integrato Sociale Regionale 200167, avvenuta ad opera del Consiglio il 5 giugno 2001.

L’intento di tale Piano era quello di coordinare e razionalizzare le politiche in materia di assistenza sociale, favorendonel’integrazione con gli interventi sanitari e con le politiche che incidono sulla qualità della vita dei cittadini (educative, dell’i-struzione, della formazione professionale e del lavoro, abitative).

La Regione Toscana ha, quindi, preceduto l’emanazione del primo Piano Nazionale, dotandosi di un Piano con validitàannuale. Ed il motivo per cui si è proceduto ad uno slittamento, di un anno, nella definizione del Piano triennale è stato quel-lo di consentire il riallineamento, a partire dal periodo 2002-2004, della programmazione sociale con il vecchio PianoSanitario regionale, in vigore sino al 2001.

Successivamente, con la delibera n. 60, il Consiglio Regionale, in data 9 aprile 2002, approva contemporaneamente il PianoSanitario regionale 2002-2004 (PSR) e le Linee guida per la formazione del Piano Integrato Sociale 2002-2004: attoche intende dare risposta all’obiettivo di produrre un documento programmatorio capace realmente di generare integrazione.

Con l’emanazione delle Linee guida, gli amministratori regionali impostano i pilastri fondamentali del nuovo sistema di wel-fare e gli orientamenti delle strategie sociali, individuando, inoltre, gli strumenti operativi che vanno approfonditi ed analizza-ti nel prossimo Piano Regionale.

Il nuovo PISR avrà durata triennale (così come il Piano Sanitario) e sarà accompagnato dal lavoro di analisi e valutazionesull’attuazione del Piano transitorio per il 2001, sia relativamente al monitoraggio delle azioni, dei progetti e dei programmioperativi approvati con la programmazione locale dello scorso anno, sia relativamente allo studio dei contenuti, della coeren-za e della qualità complessiva dei Piani di Zona approvati.

Con il PISR la Toscana intende riaffermare un sistema “a rete” nel quale la protezione sociale sia garantita dalla par-tecipazione di tutti i soggetti pubblici e privati, dalle reti informali e familiari, dalle organizzazioni del terzo settore,secondo il principio di una welfare community, che ricostruisce e rafforza i meccanismi di solidarietà, relazionalità,socialità, in un progetto complessivo di azioni per i soggetti svantaggiati.68

Page 89: Il lungo cammino della riforma

89

Il modello toscano si caratterizza quindi per una natura “solidaristica e universalistica”, più volte ribadita negli ultimi prov-vedimenti adottati in ambito sanitario e socio-assistenziale. Questi principi si riflettono nel processo di partecipazione alla pro-grammazione del PISR 2002-2004, che prevede forme di concertazione con i Comuni, gli altri Enti Locali e le parti sociali ericonosce ai soggetti del Terzo settore un ruolo sostanziale in ambito locale. Questi ultimi, infatti, attraverso specifiche formedi coprogettazione concorrono, anche con proprie risorse, alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi socia-li, previsti nei Piani di Zona.

Già la L.R. 72/97 aveva tratteggiato un complesso di indicazioni tese a valorizzare fortemente l’apporto e la funzione delterzo settore e del volontariato nella realizzazione di politiche e servizi in tale ambito. Il PISR 2001 si sposta su un versante piùoperativo. Nella premessa del Piano possiamo infatti leggere: “Si pone innanzi tutto il compito di ridisegnare il ruolo delno profit nei confronti delle politiche pubbliche; va quindi verificata e percorsa, in tutte le sue articolazioni, la stradadel partenariato negli obiettivi fra istituzioni pubbliche e soggetti del terzo settore, recuperando quindi alle scelte dipolitica sociale la funzionalità di un mercato regolato nelle sue finalità di fondo alla qualificazione e selettività fun-zionale nei confronti di bisogni specifici.... Si tratta di favorire processi di responsabilizzazione nella definizione degliobiettivi e nella gestione delle politiche e di garantire, conseguentemente, modalità di partecipazione, che accrescanola possibilità di intervenire nelle scelte della vita sociale”.

Nelle Linee guida le reti di solidarietà, costituite dal terzo settore, si collocano nello sviluppo di politiche integrate e si sot-tolinea l’importanza di estendere ed approfondire alcuni ambiti della relazione pubblico/no profit, per accrescere il livello qua-litativo dei servizi in Toscana.

Della rete integrata fanno parte anche le IPAB, il cui riordino è una operazione inserita nel contesto della riforma dei ser-vizi sociali che trasforma gli Enti riordinati in soggetti attivi e responsabili delle politiche sociali.

Essendo il Comune l’ente titolare degli interventi di assistenza sociale, spetta alla Conferenza dei Sindaci della zona coin-volgere tutti i soggetti interessati alla costruzione del Piano (Aziende Usl, altri Enti, IPAB, rappresentanti del volontariato e delterzo settore) in un organismo politico, al quale è auspicabile affiancare una Segreteria Tecnica, a supporto e conforto dellescelte e decisioni che si devono ratificare con la redazione del Piano di Zona. Il PISR transitorio per il 2001 aveva affidato alleConferenze dei Sindaci il compito di creare le Segreterie Tecniche, individuando, inoltre, procedure di massima e imponendouna previsione di spesa.

Nel sistema operativo e decisionale costituito dai Piani, il Comune è un soggetto decisivo, sia nella fase di elaborazione, chedi applicazione delle politiche sociali. Ad esso competono le funzioni amministrative per la gestione del sistema di interventi eprestazioni socio-assistenziali, nonché il compito di indicare le priorità ed i settori di innovazione, di organizzare il sistema dierogazione dei servizi, di provvedere alle autorizzazioni ed alla vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenzialee semiresidenziale, di definire i parametri di valutazione ai fini della determinazione dell’accesso prioritario alle prestazioni eai servizi.

Dal canto suo, la Regione ha la funzione di determinare, attraverso il nuovo PISR: i criteri per l’autorizzazione e la vigilan-za delle strutture e dei servizi ed i requisiti di qualità per la gestione degli stessi; i criteri per la definizione delle tariffe da cor-rispondere ai soggetti gestori; i criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto dei servizi; i criteri per la determinazione delconcorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni. Al contrario, già con il D.C.R. 118/2001 e con la L.R. 72/97, la Regionesi è espressa in merito al ruolo della Provincia ed alla determinazione degli ambiti territoriali (coincidenti con le zonesanitarie e, ai sensi del PSR 2002-2004, con i Distretti), prevedendo inoltre incentivi a favore dell’esercizio associato delle fun-zioni sociali.

Le linee guida pianificano la realizzazione del nuovo sistema di interventi e servizi in funzione di obiettivi strategici artico-lati su due livelli: il primo riguarda l’efficacia degli interventi sui bisogni dei cittadini, il secondo attiene alla qualificazione delsistema di offerta.

In particolare, vengono evidenziate le finalità cui dovrà tendere il sistema integrato:- valorizzazione delle responsabilità familiari;- riconoscimento della natalità e dei diritti dei minori;- interventi per le persone anziane;- azioni di contrasto della povertà;- interventi per favorire l’inclusione delle fasce più deboli;- interventi per l’handicap (con particolare attenzione per le forme gravi), per gli immigrati, per le dipendenze, per i sog-

getti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria.In ciascun settore il PISR ha il compito di indicare obiettivi e risultati attesi, ruolo degli Enti locali e della comunità, rap-

porti con il volontariato, politiche fiscali e tariffarie.L’ottica dell’integrazione socio-sanitaria accompagna l’intera azione programmatoria sanitaria e sociale. Gli amministrato-

ri regionali si mostrano così consapevoli del fatto che essa è sempre più determinante per affrontare bisogni complessi cherichiedono: unitarietà di intervento, progetti personalizzati, continuità assistenziale, valutazione multiprofessionale del bisogno,condivisione degli obiettivi, progettazione integrata delle risposte, valutazione partecipata degli esiti.

L’obiettivo prioritario delle azioni finalizzate all’integrazione è quello di ridefinire l’assetto complessivo dei servizi ad altaintegrazione, per promuovere una chiarezza di rapporti, sia in termini di responsabilità che di risorse, tra i soggetti istituzio-nali interessati.

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90

In particolare, nel nuovo PIRS, in connessione con le indicazioni per l’integrazione socio-sanitaria contenute nel PSR, devo-no essere definiti: il processo di concertazione tra i soggetti istituzionali coinvolti; i livelli di assistenza socio-sanitariaper le aree ad alta integrazione; i principi che orientano le modalità di erogazione dell’assistenza socio-sanitaria; gli indiriz-zi strategici per gli interventi socio-sanitari integrati.

Proseguendo oltre nell’analisi delle linee guida, è possibile trovare ulteriori indirizzi che caratterizzano l’impostazione delridisegno del sistema di welfare toscano: l’indicazione dei livelli essenziali di assistenza, la sperimentazione di mutuali-tà integrativa nell’assistenza socio-sanitaria; un’attenzione particolare alla qualità dei servizi erogati; la scelta verso specificistrumenti di tutela e partecipazione dei cittadini (le «carte di cittadinanza»); l’importanza della comunicazione socia-le; l’individuazione di nuovi profili professionali; la sinergia con il sistema delle università toscane.

Nell’ultima parte delle linee guida viene affrontata la questione relativa all’Osservatorio sociale regionale. Esso è finalizzatoall’analisi e previsione dei fenomeni sociali e rappresenta uno strumento fondamentale per la realizzazione di un sistema diprogrammazione e valutazione degli interventi nel settore.

Le funzioni dell’Osservatorio si svolgono in stretto rapporto con tutti i soggetti del sistema, siano essi istituzionali (princi-palmente i Comuni), afferenti al processo di programmazione (le Conferenze zonali e le Segreterie tecniche incaricati delleattività di supporto alla programmazione zonale), appartenenti a tutti i livelli di organizzazione territoriale o relativi al terzo set-tore.

La costruzione, prevista dall’art. 21 della L. 328/2000, del Sistema informativo dei Servizi sociali (SISS) trova nell’approc-cio conoscitivo processuale proprio degli osservatori il terreno ideale per il suo sviluppo, con la creazione di un network checolleghi tutti gli operatori coinvolti. Il Sistema Informativo Sociale Regionale, già precedentemente attivato in Toscana, sta viven-do un’ulteriore fase di implementazione, svolta in più momenti, al fine di ottemperare ad esigenze diverse e per conseguireobiettivi connessi sia all’attuazione del SISR, sia alla predisposizione degli strumenti necessari per governare lo stesso sistema:dalle azioni di promozione, allo sviluppo dei processi di programmazione, di verifica e controllo.

“Con il PISR il Sistema Informativo Sociale Regionale si porrà come un insieme organizzato e coerente di tecnichee di procedure per conoscere, monitorare e governare il sistema dei servizi e delle opportunità per il benessere e l’in-clusione sociale degli individui e delle famiglie, strutturando un processo di raccolta sistematica di informazioni, cheaumenti le capacità decisionali dei diversi attori coinvolti nel processo di realizzazione dei servizi sociali e che pro-muova l’insieme delle attività valutative esistenti all’interno di ogni processo decisionale”69.

Passando, in conclusione, ad una valutazione complessiva dell’operato regionale, possiamo affermare che la Toscana risul-ta indubbiamente una delle Regioni italiane ad aver meglio tradotto i principi della legge quadro sul proprio territorio. Essa sitrova molto avanti, rispetto ad altre Regione, nell’attuazione della legge 328/00, avendo già realizzato la maggior parte delleazioni di sua competenza e soprattutto avendo già approntato l’operazione di riordino complessivo della legislazione regiona-le in materia di politiche sociali.

ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

SITUAZIONE

Realizzato. D.C.R. 118/2001.In corso di realizzazione per il 2002.

Realizzato. D.C.R. 199/2001.

Realizzato. D.C.R. n. 118 del 2001.

Realizzato. L.R. 72/1997 e D.C.R.118/2001.

Realizzato. D.C.R. 118/2001.

SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 nneellllaa RReeggiioonnee TToossccaannaa

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ARTICOLO

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

10, comma 3

OGGETTO

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento dei pianiper la formazione e l’aggiornamento delpersonale addetto alle attività sociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

SITUAZIONE

Realizzato. D.C.R. 118/2001.

In corso di realizzazione.

In corso di realizzazione.

In corso di realizzazione.

Avviata fase sperimentale.

In corso di realizzazione.

Realizzato. D.C.R. 118/2001.Ulteriori fasi in corso di realizzazione.

In corso di realizzazione.

Attività prevista. L.R. 72/1997.

In corso di realizzazione.

Accordo definito con soggetti istituziona-li.

In corso di realizzazione.

Page 92: Il lungo cammino della riforma

92

ARTICOLO

11, comma 1

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

Realizzato. L.R. 72/1997.

In corso di realizzazione.

Realizzato.

In predisposizione.

Sarà realizzato a conclusione della fasesperimentale.

Realizzato.

Realizzato al 100%.

Realizzato e in corso di ulteriore imple-mentazione.

Avviata fase sperimentale.

Page 93: Il lungo cammino della riforma

93

PPrroovviinncciiaa AAuuttoonnoommaa ddii TTrreennttoo 70

Nella Provincia Autonoma di Trento i servizi socio-assistenziali sono attualmente disciplinati dalla L.P. 12 luglio 1991, n.14.Legge che, oramai da 10 anni, si occupa di regolare il sociale di questa Provincia.

Con i cambiamenti intervenuti nel panorama normativo nazionale dell’assistenza, in seguito all’emanazione della legge qua-dro ed all’approvazione del primo Piano Sociale Nazionale, la provincia di Trento si trova a doversi quanto meno confrontarecon le nuove linee nazionali di politica sociale ed assistenziale.

La legge 328/00, pur non trovando diretta applicazione nelle Regioni e nelle Province a statuto speciale, costituisce per esseuna guida, tanto per la produzione normativa, quanto per la progettazione di azioni capaci di innovare il sistema complesso deiservizi sociali, sanitari ed assistenziali.

In questo scenario, la Provincia di Trento sta elaborando uno schema di disegno di legge di riordino del sistema integratodei servizi sociali, sul quale è stata avviata la consultazione con i diversi soggetti interessati e che a breve, scrive la Dirigente delServizio Attività Socio-Assistenziali, verrà sottoposto alla Giunta Provinciale e poi al Consiglio per l’approvazione. Nell’attesa, èpossibile ricavare alcuni importanti riferimenti, relativi agli interventi di riforma che la Provincia di Trento perseguirà nel pros-simo futuro, dalla lettura del “Piano sociale e assistenziale per la provincia 2002-2003: linee guida e misure attua-tive”, D.G.P. n.581, approvato il 22 marzo 2002.

La stesura di questo documento ha rappresentato per gli Amministratori provinciali un primo momento di condivisione e disperimentazione di forme partecipative allargate, che, come si legge nell’introduzione dell’Assessore alle Politiche Sociali:“dovranno guidare in modo costante la programmazione sociale nella convinzione che solo attraverso il coinvolgimen-to delle risorse della comunità possono essere realizzate politiche sociali complessive e volte a prevenire le situazioni dibisogno ed attuare risposte efficaci ai fini dell’integrazione sociale della persona”.

Sussidiarietà verticale, partecipazione, interazione e condivisione sono, dunque, i principi che, anche in Provincia di Trento,guideranno la realizzazione degli interventi e la programmazione sociale, conciliando il quadro legislativo provinciale con le lineedi indirizzo nazionali, per rendere operativa anche in questi territori la legge 328/00.

Il Piano condivide gli orientamenti contenuti nella “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e ser-vizi sociali”, impostando, coerentemente con questa, le proprie linee direttrici e le metodologie che modificheranno, pur in con-tinuità con le disposizioni previsti dalla legge provinciale 14/91, il modello di governo delle politiche sociali sul territorio.

E’ in tale prospettiva che nel Piano vengono delineate una serie di azioni e interventi di riforma.Un primo gruppo di misure riguarda i rapporti tra centro e periferia. Il concetto che sottostà alle indicazioni contenute

in questa parte del documento programmatico è quello della prossimità dei servizi ai cittadini, intesa non tanto in senso spazia-le, quanto come capacità di analisi e risposta ai bisogni. La questione che si apre per la Provincia autonoma di Trento, simil-mente a quanto avviene in quella di Bolzano, è dunque quella della precisa delimitazione delle competenze dei diversi attori isti-tuzionali coinvolti nella definizione, gestione e attuazione delle politiche sociali.

Già nella L.P. 14/91 si era proceduto nei territori di Trento alla delega ai Comuni di gran parte delle funzioni socio-assisten-ziali. Questo percorso vive ora la necessità di una nuova fase di decentramento delle competenze verso i Comuni o gli aggrega-ti di Comuni (attualmente i Comprensori), tale da non comportare una frammentazione delle responsabilità, ma da definire unmodello gestionale in cui: “alla amministrazione provinciale spetterà la programmazione generale, l’attività di impulso estimolo, l’attività di formazione e aggiornamento degli operatori, l’attività di verifica e valutazione delle politiche socia-li, mentre la programmazione locale, la gestione e l’attivazione degli interventi sarà compito e responsabilità degli entiterritoriali, in particolare dei Comuni”.

Perché questa parte del documento programmatorio trovi rapida realizzazione, la Provincia pone tra le sue priorità la defi-nizione degli ambiti territoriali, coincidenti per sanità e politiche sociali, e l’individuazione delle responsabilità e delle com-petenze dei Comuni.

Nella prima parte del Piano sociale ed assistenziale l’accento è posto sulle attività di programmazione, queste non devonoessere concepite come azioni normative imposte dall’alto, ma devono essere il risultato di un’azione integrata tra centro e peri-feria. In altre parole, la definizione precisa dei distinti livelli di responsabilità dei soggetti coinvolti nelle attività di pianificazionerisulta indispensabile ai fini di una loro convergenza in un sistema in cui l’analisi dei bisogni (ad opera degli enti gestori) dovràprecedere in modo sistematico ed organico il processo di presa di decisioni relativo alla destinazione e all’allocazione delle risor-se, valorizzando così, nella fase di costruzione dei documenti di Piano, la collaborazione e l’interscambio tra il centro e la peri-feria. Gli strumenti focali per la costruzione di politiche sociali che seguano il principio di sussidiarietà verticale ed orizzontalesono individuati, in linea con la normativa nazionale, nel Piano Provinciale e in quello territoriale (di Zona), legati da unrapporto di complementarità in cui il primo rappresenta lo scenario a cui i secondi si conformano, mentre solo attraverso lacapacità dei secondi di interpretare il territorio è possibile modellare la politica provinciale in modo organico e dettagliato.

Da qui l’importanza, a più riprese sottolineata nel Piano, del coinvolgimento nella progettazione e nella realizzazione dei pro-grammi anche delle realtà associative e territoriali, nel rispetto delle responsabilità e delle competenze istituzionali.

Emerge cioè, nelle prospettive tracciate dal Piano, un ruolo dell’Ente pubblico ridefinito ed un aggiornamento del sistema direlazioni tra questo e il privato sociale ridisegnato in base alle priorità e agli obiettivi del processo di riforma del welfare. La pre-cisazione del rapporto pubblico-privato ha l’obiettivo di garantire un’obiettiva corrispondenza tra caratteristiche del contraente,qualità dei prodotti offerti, coerenza con gli obiettivi della programmazione sociale, trasparenza della contrattazione e valutazio-

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ne delle prestazioni contrattate.A fianco degli strumenti prettamente programmatici, nel Piano Provinciale ne sono previsti altri le cui funzioni sono mirate

ad aumentare la qualità, l’efficacia, l’efficienza e l’aderenza ai bisogni reali delle politiche e dei servizi sociali provinciali.In quest’ottica, nel Piano sociale e assistenziale per il 2002-2003 sono fissate tra le priorità molte modifiche e migliorie del-

l’organizzazione e dell’architettura della rete integrata dei servizi. Primo fra tutti lo sviluppo del Sistema informativo provin-ciale, strumento centrale per le attività di programmazione, controllo, monitoraggio e gestione dei servizi erogati, ma anche fonteindispensabile per la conoscenza e l’analisi dei bisogni. Collegato al Sistema statistico-informativo, da un lato, e agli Enti gestoridall’altro, è, inoltre, previsto l’Osservatorio provinciale sulle politiche sociali, che verrà costituito a Trento entro il 2003.

Un altro aspetto ritenuto fondamentale per qualificare le politiche sociali consiste nel crescente sostegno a forme di orga-nizzazione capaci di rispondere ai processi di mutamento dei bisogni sociali, assistenziali e sanitari, che inevitabilmente si fannopiù complessi, rendendo necessaria la messa a punto di nuove tecniche e modalità di gestione. Di riflesso a questa esigenza, gliAmministratori provinciali dedicano una buona parte del Piano alla descrizione di quelli che dovranno essere gli obiettivi e lemodalità di lavoro ed organizzazione dei servizi da conseguire nel prossimo biennio, all’interno di un disegno di razionalizza-zione delle risorse. Le misure di attuazione previste nel Piano trovano una radice comune nel riconoscimento della centralitàdella risorsa umana: “sono gli operatori dei servizi la risorsa principale su cui investire per lo sviluppo dei processi orga-nizzativi”. Nella consapevolezza di ciò, la Provincia ha provveduto a modificare i criteri per la definizione delle piante organi-che della struttura organizzativa per la gestione tecnico-amministrativa dei servizi a livello territoriale, modificando il numero e,in alcuni casi, le funzioni di alcune figure che compongono le équipe interprofessionali (educatore professionale, assisten-ti sociali, operatori sociali ed assistenziali, personale amministrativo con l’inserimento di figure di staff di supporto al responsa-bile di struttura). L’equipe interprofessionale è un elemento costitutivo dei servizi socio-assistenziali trentini già dal 1991 (L.P.14/91), ma i cambiamenti intervenuti nella struttura dei bisogni ed anche nello scenario normativo nazionale impongono uncompletamento di queste strutture con l’attuazione di équipe multidisciplinari, che tengano cioè conto della necessità di eroga-re servizi integrati.

Con questo Piano, la Provincia ribadisce come l’integrazione rappresenti un momento cruciale per riuscire a riportare il con-cetto di persona al centro delle politiche sociali. Principio base della legge quadro, l’integrazione, sia socio-sanitaria che terri-toriale, rappresenta la risposta al bisogno, la cui natura è complessa e intimamente e inderogabilmente personale.

A partire da questa constatazione, la Provincia di Trento, dopo aver individuato le aree a elevata integrazione, prevede nelPiano una serie di misure attuative che tendono ad un integrazione distinta in quattro livelli (istituzionale, gestionale e profes-sionale, ai quali affianca quello territoriale).

Derivante dalla duplice necessità di sostenere il processo di riforma in atto nelle politiche di welfare provinciale e naziona-le e di innalzare il livello dell’efficienza e dell’efficacia dei programmi di intervento, gli Amministratori provinciali prevedono diprogettare le attività di formazione e aggiornamento su due livelli. Un primo in cui saranno collocati gli interventi a sostegno delleattività di gestione e quelle legate ai problemi di qualificazione del personale operante all’interno dei servizi socio assistenziali.Ed un secondo in cui saranno previsti una serie di interventi, rivolti ai soggetti coinvolti nel processo di riforma, che dovrannosostenere il processo di transizione.

Per quanto riguarda infine la tutela e la promozione dei diritti dei cittadini, nel documento programmatico si fa riferimentoad una serie di strategie che dovranno “garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti dicittadinanza”, ponendo il cittadino, con le proprie reti comunitarie e familiare, in una posizione attiva nel proprio processo dicura e di assistenza. Nell’ambito, dunque, delle politiche di tutela e partecipazione dei cittadini, la Provincia si propone di darvita ad una serie di iniziative: riorganizzazione del segretariato sociale, adozione di un nuovo schema di Carta dei Servizi, verifi-ca e promozione di questa ai cittadini, istituzione di punti reclami e proteste collegati al Sistema informativo provinciale.

Alla parte del documento programmatico dedicata all’individuazione delle aree di bisogno (Famiglia, Minori, Adulti, Anziani,Handicap, Immigrazione) segue una ricognizione delle risorse strutturali e finanziarie attribuita a ciascuna di queste, corredatainoltre di una serie di indicazioni programmatiche in merito all’articolazione ed allo sviluppo delle diverse tipologie di servizio.

Dall’analisi delle Linee guida che indirizzeranno le politiche sociali nel prossimo biennio è evidente che la Provincia di Trentosi trova ad un buon punto nel cammino di adeguamento della propria normativa e di applicazione della 328/00. Oltre al lavoroche in questi territori si sta facendo per la messa a punto di una legge di riordino coerente con le specificità territoriali e con gliindirizzi della legge quadro nazionale, la Provincia ha infatti emanato alcune disposizioni per:

- l’esercizio delle funzioni socio-assistenziali delegate ai comuni in forma associata (regolamento tipo struttura preposta allagestione tecnico-amministrativa dei servizi socio-assistenziali; criteri per la definizione delle piante organiche; ambiti territoriali;èquipe interdisciplinari; determinazioni per l’erogazione dei servizi e delle prestazioni ed il concorso alla spesa per la relativafruizione);

- l’attuazione degli interventi attraverso convenzioni con soggetti pubblici e privati;- l’istituzione del registro dei soggetti privati idonei al convenzionamento;- l’effettuazione del confronto concorrenziale nei casi in cui sia necessario individuare tra più soggetti quello a cui affidare

l’attuazione degli interventi;- le disposizioni per l’autorizzazione al funzionamento delle strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie a carattere semi-

residenziale e residenziale;- la realizzazione di un Sistema informativo socio-assistenziale nell’ambito del Sistema informativo provinciale.

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UUmmbbrriiaa

Il Piano sociale 2000-2002 della Regione Umbria, approvato il 20 Dicembre del 199971, ha anticipato, per alcu-ni aspetti fondamentali, la riforma nazionale dell’assistenza, allora in discussione in Parlamento. Frutto dell’iniziativaregionale, il Piano non propone una semplice riorganizzazione dell’esistente, ma reinterpreta le politiche sociali, indirezione di un potenziamento del welfare locale. La sfida che esso si pone è di recepire le trasformazioni della doman-da sociale, traducendole in proposte di innovazione concrete e di medio periodo.

Partendo dall’identificazione di alcune aree problematiche, il Piano triennale stabilisce gli assi portanti della pro-grammazione regionale ed individua le azioni strategiche da attivare.

La realizzazione di un nuovo sistema di interventi e servizi sociali viene pianificata in funzione di quattro principifondamentali.

1. Promuovere un welfare della normalità. Rifiutando un’impostazione “minimalista” o “assistenzialista”,secondo la quale i servizi sociali vanno organizzati esclusivamente per dare risposta alle patologie più evidenti o allesituazioni di non autosufficienza, la Regione riconosce che, nella società attuale, la condizione del disagio si estendeal di là delle aree tradizionali, fino ad investire potenzialmente ogni singolo cittadino. La sfida della “normalità” costrin-ge quindi il sistema dei servizi ad andare oltre le consuete forme di intervento, pensate per affrontare le situazioni deldisagio conclamato, e a ripensare la propria organizzazione, potenziando le funzioni di ascolto, consulenza, orienta-mento, accompagnamento, mediazione, supporto ed attivazione/promozione delle risorse comunitarie.

2. Garantire omogeneità di trattamento e pari opportunità, indipendentemente dal luogo di residen-za e di lavoro. Il Piano si propone di annullare lo squilibrio territoriale nell’articolazione dei sistemi locali di welfa-re. L’intenzione è di creare una rete di servizi essenziali che assicuri, in ogni unità territorialmente significativa, un livel-lo di intervento di pari efficacia e qualità.

3. Favorire la realizzazione di una comunità solidale. Tutte le azioni devono essere pensate per ridurre ildisagio, senza attivare circuiti di dipendenza assistenzialistica. La Regione tende quindi a privilegiare i servizi, rispettoai trasferimenti monetari, ed a inquadrare quest’ultimi, quando necessari, in un programma volto al pieno inserimen-to del soggetto. Lo scopo è di promuovere un’organizzazione sociale che si prenda cura dei suoi membri, attraversouno scambio intenso e continuo tra reti informali e reti formali, tra le risorse famigliari-parentali, quelle della comu-nità e quelle dei soggetti pubblici.

4. Operare con una logica di innovazione. La Regione si impegna a realizzazione un alto livello di innovazio-ne nella pratica e nella tradizione del sociale, da raggiungere attraverso il superamento della logica dello sportello odella logica riparatoria, attivata solo nel caso di disagio conclamato e manifesto.

Il concreto perseguimento degli obiettivi prefissati comporta l’individuazione delle azioni strategiche da attuare. Inquesta direzione, il Piano indica due percorsi principali: la promozione ed il sostegno del terzo settore; la riforma deiprofili professionali e dei percorsi formativi.

In linea con quanto successivamente stabilito dalla legge 328/2000, il Piano definisce, in accordo con il ConsiglioRegionale delle Autonomie, gli ambiti territoriali, favorendo la loro coincidenza con i distretti sanitari. La scelta di indi-viduare 12 ambiti ottimali non si configura come una scelta di ingegneria istituzionale, ma rappresenta, al contrario,una precondizione per il raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio ed equità territoriale dell’offerta. La presenza inUmbria di molti Comuni di piccole e piccolissime dimensioni, pur consentendo di avvantaggiarsi di una rete di rela-zioni e legami comunitari, costituisce un ostacolo alla realizzazione di servizi ed interventi caratterizzati da una note-vole complessità gestionale. L’ambito territoriale viene così a rappresentare la dimensione di riferimento delle politi-che sociali ed il livello della programmazione, attuazione e valutazione del nuovo sistema di interventi e servizi a rete.

Per incentivare l’esercizio associato delle funzioni sociali e promuovere forme di raccordo e di collaborazione frai Comuni dello stesso ambito territoriale, il Piano individua lo strumento/risorsa del Promotore sociale. La Regionepuò mettere a disposizione di ogni ambito territoriale questa figura professionale, scelta ovviamente dai Comuni, assu-mendone parzialmente o totalmente i costi per il periodo di validità del Piano Regionale (tre anni). Sempre nel qua-dro di una incentivazione della collaborazione fra Enti locali, il Piano individua nelle Province il livello amministrativoin grado di fornire, ai Comuni che lo richiedano, i supporti necessari alla realizzazione di progetti sociali a scala sovra-comunale.

All’interno degli ambiti territoriali indicati, la Regione propone un welfare a cinque livelli, che permetta diaffrontare l’intera complessità dei bisogni del territorio, fornendo risposte articolate a condizioni di disagio di diversopeso. Per ciascuno di questi livelli, il Piano individua delle specifiche tipologie di intervento, che costituiscono la dota-zione dei servizi essenziali per area di welfare e per ambito territoriale. In particolare, da un lato definisce tipologiedi servizio innovative, indicandone destinatari, contenuti, modalità organizzative e dotazioni professionali, dall’altroprocede alla ricollocazione delle prestazioni già esistenti, selezionando i loro punti di criticità e suggerendo percorsidi adeguamento.

1. Welfare leggero. La prima categoria di interventi prende in considerazione il disagio della vita quotidiana.Essa è finalizzata a comprendere le ragioni del malessere sociale e a favorire azioni di ascolto ed orientamento dellepersone e delle famiglie nel sistema del welfare. Come servizio innovativo, caratteristico di quest’area, viene individuato

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l’Ufficio della cittadinanza. Composto da un team di professionalità diverse ed integrabili, esso si pone a garanziadel diritto all’informazione ed all’autodeterminazione. E svolge una funzione di supporto alle persone ed alle famiglia,attraverso postazioni capillarmente diffuse, e all’occorrenza mobili, sul territorio.

2. Welfare domiciliare e di supporto familiare. La seconda tipologia di interventi, fornendo appoggio esoccorso al nucleo famigliare di appartenenza, mira a rafforzare, per tutti i cittadini, la possibilità di restare nel pro-prio spazio abitativo. Essa si propone di garantire un efficace funzionamento delle cosiddette “reti corte”, potenzian-do le competenze e le responsabilità del sistema famiglia. Nell’ottica di un adeguamento delle prestazioni già esisten-ti, il Piano individua nel prestito d’onore un’innovazione del tradizionale intervento di sostegno economico. Il fine èdi mettere in campo nuove opportunità, che possano meglio corrispondere all’emergere di nuove esigenze.

3. Welfare comunitario. Il terzo gruppo di interventi ha come obiettivo l’attivazione di percorsi di socializza-zione comunitaria del lavoro di cura e delle pratiche connesse con l’inserimento. Attraverso la creazione di luoghi edopportunità di relazione, esso mira a favorire azioni sociali diffuse, volte a stimolare e rendere funzionanti forme piùampie di solidarietà. Rientrano in questa categoria vari tipi di assistenza, che vanno dall’attivazione di forme di reci-procità all’offerta di soluzione abitative. Ne sono un esempio le Banche del tempo, le case di quartiere, i serviziper l’cccupabilità delle fasce deboli, i gruppi appartamento.

4. Welfare residenziale e semiresidenziale. Appartengono alla quarta area di welfare le strutture di tiporesidenziale e semiresidenziale destinate ad accogliere, in modo temporaneo o stabile, persone particolarmente debo-li, le cui esigenze di vita non trovano adeguata risposta negli altri interventi previsti dalla rete dei servizi essenziali. Inbase alla ricognizione effettuata dall’Amministrazione regionale sull’offerta e sui bisogni di accoglienza della popola-zione anziana, il Piano definisce i servizi residenziali esistenti: “incongrui”, perché uniformi rispetto alla differenzia-zione dei bisogni, ed “impropri”, perché praticati per situazioni che potrebbero trovare risposte alternative in presen-za di interventi di supporto alle famiglie o di nuovi servizi comunitari. Per impegnare la programmazione locale nel-l’obiettivo di superare lo scarto esistente tra le caratteristiche dei bisogni e la qualità dell’offerta, il Piano dispone unaserie di azione orientate ad una progressiva deistituzionalizzazione. In quest’ottica, sono considerati innovativi tutti iservizi a ciclo diurno a struttura comunitaria ed i servizi micro-residenziali a struttura familiare, organizzati secondola specificità dei bisogni e destinati a minori, disabili, anziani ed adulti in difficoltà. Pensiamo ad esempio ai servizidi accompagnamento al lavoro, ai servizi per l’integrazione degli immigrati, ai servizi di accoglienzadiurna per anziani e disabili adulti, ai centri per l’infanzia.

5. Welfare del sostegno all’emergenza. L’ultimo gruppo di interventi è finalizzato ad affrontare l’emergenza,che può assumere, di volta in volta, l’aspetto di un minore vittima di abusi, di una giovane costretta a prostituirsi, diuna famiglia sfrattata, di immigrati clandestini o di persone senza fissa dimora. In questo caso, l’intervento consistenell’offrire tempestivamente ai soggetti interessati accoglienza, cura e tutela, in spazi appositamente organizzati, non-ché nel garantire il sostegno di professionalità specifiche e qualificate per l’individuazione di percorsi riorganizzatividella propria vita (servizi residenziali per l’emergenza assistenziale).

Gli interventi socio-assistenziali, individuati nel Piano, sono rivolti a tutta la popolazione residente e/o tempora-neamente presente in Umbria. E vengono erogati in modo da garantire la priorità di fruizione alle persone ed alle fami-glie che vivono in condizione di bisogno. In proposito, la Regione definisce le regole per l’accesso ai servizi sociali,indicando le situazioni che determinano lo stato di necessità e gli strumenti per procedere al suo accertamento, e fissai criteri per il concorso degli utenti al costo delle prestazioni, distinguendo, nell’ambito della rete dei servizi essenzia-li, gli interventi esclusi dalla partecipazione alla spesa (servizi universali gratuiti), da quelli che comportano il paga-mento di una quota in denaro (servizi universali a compartecipazione).

Definiti gli ambiti territoriali e l’impalcatura del sistema dei servizi essenziali, il Piano ribadisce il ruolo centrale deiComuni nella programmazione, realizzazione e valutazione della rete locale dei servizi sociali. E fornisce indicazioneper la stesura dei Piani di Zona. Questi ultimi, a partire da un’attenta lettura dei punti di forza e di debolezza del tes-suto sociale dell’area interessata, hanno la funzione di precisare: gli obiettivi di promozione e protezione sociale chesi vogliono raggiungere; i servizi afferenti a ciascuna area di welfare; le modalità di coordinamento e di collaborazio-ne interistituzionali; le modalità di confronto e di collaborazione con i soggetti privati e del terzo settore; le risorseimpegnate; i progetti di innovazione sociale.

Al fine di assicurare ai Comuni gli strumenti per un reale esercizio del proprio ruolo, il Piano prevede l’istituzionedella tecno-struttura regionale, costituita dai due servizi afferenti all’Assessorato alle Politiche Sociali, con funzio-ne di assistenza tecnica agli Enti locali e di supporto metodologico al personale dei servizi sociali. La tecno-strutturadeve essere composta principalmente da professionalità interne all’Amministrazione regionale o ad altre PubblicheAmministrazioni (Asl, Università, Scuole, Enti locali. ecc.), ma può avvalersi anche di collaborazioni esterne in rela-zione a specifiche problematiche.

Sempre nell’ottica di fornire ai Comuni i parametri per la progettazione del sistema locale di welfare, la Regioneoffre indicazioni sui criteri di selezione dei soggetti fornitori. Anche nella realtà umbra è evidente la tendenza, da partedell’operatore pubblico, ad affidare ad organizzazioni private la gestione dei servizi sociali, sostituendo la pratica delprodurre in proprio con quella dell’acquisto. L’esternalizzazione delle attività di produzione-erogazione delle presta-zioni impone agli Enti locali di considerare con attenzione due aspetti fondamentali: la qualità dell’intervento acqui-

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stato e la trasparenza delle procedure di selezione dei soggetti fornitori. Fra i sistemi di acquisto, la Regione individuanell’appalto concorso lo strumento che meglio può garantire l’obiettivo di una procedura di assegnazione trasparen-te, in grado di offrire le stesse opportunità a tutti i potenziali fornitori. Quanto al valore del bene acquistato, la diffi-coltà, per la Pubblica Amministrazione, di valutare, sulla base di criteri oggettivi, la qualità dei servizi offerti dal priva-to (a causa del contenuto prevalentemente relazionale delle politiche sociali e della separazione fra acquirente ed uten-te dell’intervento assistenziale) ha spinto la Regione ad individuare come fattore di garanzia la “forma giuridica” delsoggetto fornitore, suggerendo di privilegiare il ricorso alle organizzazioni del terzo settore, che non hanno fine dilucro e che, per la flessibilità organizzativa ed il rapporto diretto che intrattengono con il corpo sociale, sono capacidi assolvere alla funzione di ascolto, decisiva nel mettere in collegamento domanda sociale ed offerta di servizi. Sullastessa linea, si colloca l’attivazione di forme di coinvolgimento dei soggetti erogatori nella progettazione degli inter-venti, nella determinazione degli obiettivi e nella fase di valutazione dell’efficacia degli stessi, attraverso la comune ela-borazione di appositi strumenti (manuali della qualità del servizio; protocolli della qualità). Il fine di questeindicazione è di abbandonare definitivamente la logica del massimo ribasso e di superare le attuali forme di acquisto,incentrate sulla contrattazione di prestazioni separate, a favore di contratti di servizio, in cui la verifica delle singoleprestazioni lasci il posto alla valutazione di efficacia dell’intervento complessivo.

In materia di integrazione socio-sanitaria, l’Umbria si è storicamente caratterizzata per una gestione dei servizisociali fortemente integrata con quella dei servizi sanitari e per un’assunzione diretta di responsabilità da parte delleAsl in campo sociale. Ciò ha prodotto un sottodimensionamento del ruolo e delle attività dei Comuni ed un parzialeschiacciamento degli interventi sociali sul comparto più squisitamente sanitario. Sul versante della programmazioneregionale, lo strumento unico del Piano socio-sanitario risultava in qualche misura sbilanciato e poco incisivo, puraffermando importanti contenuti anche rispetto ai servizi sociali. La scelta operata con il Piano triennale del 1999, s’in-serisce in un contesto in cui, sul piano istituzionale, del finanziamento e dei criteri di partecipazione alla spesa, esisteuna netta separazione tra i comparti della sanità e dell’assistenza, tra il Comune e la Asl. L’individuazione di una diver-sa competenza istituzionale e finanziaria non comporta però necessariamente una separazione di tipo gestionale. Intutte quelle situazioni in cui la natura dei problemi richiede un’elevata integrazione socio-sanitaria, si può ricorrerealla gestione delegata72 e conseguire un coordinamento progettuale ed operativo degli interventi, stipulando accordidi programma con le Asl. Più in generale, la Regione riconosce nella costituzione di èquipe pluriprofessionali e nellavoro sociale per progetti le modalità operative più efficaci per sviluppare strategie collaborative interistituzionali econseguire l’integrazione fra il sociale e l’area della sanità, della scuola, della formazione e del lavoro.

L’assenza di un’adeguata rete di informazioni, che assicuri la conoscenza puntuale dei bisogni sociali dei cittadini,dei servizi e delle prestazioni erogate, ha spinto la Regione Umbria a prevedere l’istituzione del Sistema informativo deiservizi sociali. Esso rispondere all’esigenze di possedere una dotazione conoscitiva di base per ambito territoriale,che consenta di valutare l’efficacia, la qualità e l’efficienza delle diverse politiche regionali, al fine di pianificare l’atti-vità futura. In particolare, il Piano prevede una costruzione modulare del sistema informativo, in funzione delle prio-rità poste al livello locale e regionale. Nella stessa direzione, va anche l’intenzione di istituire l’Osservatorio socialeregionale, quale strumento di supporto all’attività di programmazione e verifica degli interventi di politica sociale.

Dal punto di vista delle risorse economiche, interessante è l’indicazione degli strumenti per l’accesso ai fondi euro-pei, generalmente poco utilizzati. Nel Piano, possiamo leggere, ad esempio, che la Regione nel 1999 ha sperimentato,prima in Italia, due misure di “Aiuti agli investimenti delle strutture dell’economia sociale” rivolti al volontariato,all’associazionismo sociale, alle cooperative sociali ed alle imprese profit operanti nel settore della sanità e dell’assi-stenza.

In conclusione, possiamo affermare che il Piano sociale della Regione Umbria, definito e finanziato in assenza dellalegge quadro sull’assistenza, ha fatto propri i principi fondamentali dell’allora progetto di legge. Esso si fonda su unaprogrammazione delle risorse e degli interventi che si propone di favorire l’integrazione fra le varie reti di servizi, digarantire standard di prestazioni omogenee sull’intero territorio regionale e di coinvolgere tutti gli attori chiave delmondo socio-assistenziale. Ciò tuttavia non significa che la Regione, pur essendo all’avanguardia nel settore dei servi-zi sociali, abbia completato il processo di attuazione della legge nazionale.

Il Piano appare debole sulla definizione dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strut-ture e dei servizi a gestione pubblica o del privato sociale. Pur essendo operanti l’Albo regionale delle Associazioni divolontariato (LR 15/94) e l’Albo delle Cooperative sociali (LR 12/93), è ancora da istituire il registro dei soggetti auto-rizzati all’esercizio delle attività sociali. Così come mancano l’emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rap-porti tra Enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona, e ladisciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi sociali.

Una serie di provvedimenti devono ancora essere realizzati: la definizione dei requisiti di qualità per la gestione deiservizi e per l’erogazione delle prestazioni; l’individuazione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di ser-vizi sociali; la determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere aisoggetti accreditati; la disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami daparte degli utenti; l’istituzione (eventuale) di uffici di tutela dei cittadini, l’esercizio dei poteri sostitutivi; il trasferimentoai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasfe-

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SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 nneellllaa RReeggiioonnee UUmmbbrriiaa

ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

SITUAZIONE

Definiti con apposito atto amministrativoi criteri di riparto dei fondi finalizzati.È in corso il trasferimento delle risorsedel Fondo Nazionale agli ambiti territo-riali (D.G.R. 142 del 10/2/2002).

Da fare.

Predisposto un disegno di legge regiona-le per l’associazionismo di promozionesociale (iter legislativo in corso).

Effettuata nell’ambito della legge regio-nale di riordino delle funzioni socio-assi-stenziali (LR. 3/97).Sono da disciplinare con L.R. le funzionitrasferite ex L. 67/93 ai sensi dell’art.8,comma 5, della L. 328/2000.

Disciplinate con la legge regionale n.34del 4 Ottobre 1998.

Definiti dal Piano sociale Regionale2000-2002, adottato con deliberazionedel Consiglio Regionale del 20 Dicembre1999, n. 759.

Proposta di legge regionale in corso d’o-pera.

rimento delle funzioni; l’adeguamento della propria disciplina ai principi del decreto legislativo di riordino delle IPAB,l’istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

È in corso d’elaborazione una proposta di legge, relativa sia alla disciplina dei requisiti per la concessione delleautorizzazioni ai servizi ed alle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, che alla regolazione delle modalità peril rilascio delle autorizzazioni all’erogazione di servizi sperimentali ed innovativi.

È stato adottato73 un documento per la sistematizzazione delle figure professionali del comparto socio-assistenzia-le, ma è da attuare la predisposizione ed il finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del persona-le addetto alle attività sociali, nonché il concreto avvio dei corsi di formazione.

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ARTICOLO

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

10, comma 3

OGGETTO

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

SITUAZIONE

Già operante un Albo regionale delleassociazioni di volontariato (LR 15/94)ed un Albo delle cooperative sociali (LR12/93).Da istituire il Registro ai sensi dellaL.328/00 nell’ambito della legge regio-nale di cui al punto precedente (accredi-tamento).

Da fare.

Da fare.

Definiti con il Piano sociale Regionale2000-2002.

Da fare.

Da fare.

Da definire in sede di revisione dellalegge regionale di settore (L.R. 3/97).

Da fare.

Da fare con legge regionale limitatamen-te al trasferimento ai Comuni delle fun-zioni di cui alla L. 67/93.

Da fare.

99

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100

ARTICOLO

11, comma 1

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

Proposta di legge regionale in corso d’o-pera.

Inserito nell’atto di cui al punto prece-dente.

Adottato con D.G.R. n. 1244 del 10 otto-bre 2001 un documento per la sistema-tizzazione delle figure professionali delcomparto socio-assistenziale.

Non effettuabile per l’anno in corso.

Da fare.

Piano sociale Regionale 2000-2002,adottato con deliberazione del ConsiglioRegionale n.759 del 20 Dicembre 1999.

In corso.

Da fare.

Definiti dal Piano sociale Regionale2000-2002.

Page 101: Il lungo cammino della riforma

101

VVaallllee dd’’AAoossttaa

La Regione Autonoma della Valle d’Aosta ha approvato il proprio Piano socio-sanitario per il triennio 2002-200474 il 4 Settembre 2001, rispettando i tempi di emanazione previsti dalla legge quadro di riforma dei servizi socia-li.

Gli elementi programmatici per il triennio vengono individuati attraverso l’analisi dello stato quali-quantitativo degliinterventi sanitari e sociali, con particolare attenzione ai punti di criticità e alle aree di eccellenza. Partendo quindi dal-l’esame dell’esistente, la Regione si pone l’obiettivo di migliorare la qualità delle prestazioni dei diversi livelli di assi-stenza, individuando nel contempo indicatori utili al monitoraggio ed alla valutazione di questi ultimi.

Nell’articolazione dello strumento di programmazione, oltre che dai riferimenti normativi nazionali e regionali, laValle d’Aosta è guidata da alcuni principi ispiratori, che fanno da filo conduttore dell’intero Piano e sono ritenuti ele-menti imprescindibili per la corretta politica di progettazione socio-sanitaria:

- garantire una distribuzione equilibrata dei servizi sul territorio per facilitare la massima accessibilità agli stessi ela più ampia libertà di scelta delle persone;

- individuare la prevenzione come momento fondamentale di approccio ai problemi e come criterio di imposta-zione degli interventi;

- sviluppare il sistema di conoscenza e di valutazione dello stato di salute e dei bisogni sanitari e sociali sul territo-rio regionale;

- promuovere l’efficienza e la qualità degli interventi ed attuare una verifica di efficacia anche riguardo alla soddi-sfazione delle persone e all’attività di autovalutazione degli operatori;

- valorizzare il coordinamento tra le istituzioni e tra gli operatori ai fini dell’integrazione degli interventi dedicati apersone, famiglie e gruppi sociali;

- assicurare l’ulteriore crescita del servizio sanitario regionale anche attraverso il completamento ed il monitorag-gio del processo di aziendalizzazione della Usl;

- sviluppare la diffusione e la qualità dei servizi sociali, promovendo l’autonomia e la responsabilità di gestione degliEnti locali ed il ruolo di indirizzo e coordinamento della Regione;

- riqualificare e razionalizzare lo stato sociale regionale, con particolare attenzione alla rete dei servizi socio-sani-tari e dei servizi alla persona, nell’ottica di una tutela dei soggetti meno protetti, come previsto dal “Patto per lo svi-luppo della Valle d’Aosta”.

Nella Regione, un momento importante nel cammino verso la razionalizzazione e l’organizzazione del serviziosocio-sanitario è rappresentato dalla legge regionale 5/2000. Questa legge, imponendo all’Asl una gestione manage-riale e pertinente alle aspettative locali, apre una fase di transizione dai vecchi ruoli ai nuovi spazi decisionali. Ed èquesto uno dei motivi per cui il Piano ha tra le sue finalità quella di favorire e sviluppare la progettualità dell’Aziendasanitaria.

La L.R. 5/2000 segna il punto di inizio nella ridefinizione dei ruoli e delle modalità di negoziazione tra Regione, Asle Comuni, introducendo procedure di responsabilizzazione dei singoli Enti. Nel tavolo di negoziazione per la salute edi servizi sociali, la Regione, perdendo già con questa legge le antiche competenze gestionali, si profila come Ente diindirizzo e di controllo, ovvero come una sorta di “cliente” dell’Azienda Asl, che, a sua volta, contratta le risorse a dis-posizione a fronte dei livelli di assistenza richiesti. Il tutto in una logica di coinvolgimento delle autonomie locali nelprocesso di programmazione, secondo le modalità proprie dell’autonomia regionale.

Nell’analisi del Piano socio-sanitario e degli adempimenti attuativi della legge 328/2000, è necessario tenere pre-sente che la Valle d’Aosta provvede all’applicazione della “legge quadro per la realizzazione del sistema integrato diinterventi e servizi sociali” secondo le proprie norme statutarie75 e che alle Regioni a statuto speciale non si applicail D.lgs. 112/98. Per quanto, dunque, questa Regione non abbia ancora provveduto ad alcuni dei punti previsti dallariforma assistenziale, il Piano Regionale risulta coerente con la normativa nazionale, sia nei principi ispiratori che nellefinalità strategiche.

La ricerca dell’integrazione tra assistenza sociale e sanitaria, oltre a rappresentare un elemento di continuità con ilprecedente PSSR, fa da cornice all’intero impianto programmatico ed è indicata dalla Regione come fattore crucialeper la realizzazione di risposte: equamente distribuite nella popolazione; efficaci perché sinergiche; complementari equindi efficienti.

L’integrazione, come si legge nel Piano, è condizione indispensabile per superare le vigenti prassi settoriali ed inte-grare competenze e servizi diversi grazie all’unitarietà ed alla globalità degli interventi, consentendo anche una mag-giore attenzione ai soggetti deboli ed alla loro tutela. La situazione regionale si è infatti caratterizzata per un forte squi-librio organizzativo e culturale tra sociale e sanitario, che ha permesso a quest’ultimo di sviluppare una vera e propriaegemonia rispetto al primo. Da qui la necessità di riequilibrare le responsabilità nelle politiche socio-sanitarie, attri-buendo un nuovo ruolo agli Enti locali rispetto alle Asl. Ciò significa ri-orientare i flussi delle decisioni e mettere gliEnti locali nella condizione di essere parte attiva nelle scelte di attuazione e di valutazione degli interventi socio-assi-stenziali, dando vita ad un sistema i cui attori principali sono: la Regione, nella veste di Ente di programmazione, indi-rizzo, coordinamento e controllo delle attività socio-assistenziali e sanitarie; gli Enti locali e le Asl, in qualità di gesto-

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102

ri dei servizi.Le aree dell’integrazione socio-sanitaria sono individuate nelle attività afferenti: al settore materno-infantile,

agli anziani, ai disabili, alla salute mentale, alla tossico ed alcool dipendenza, alle patologie che richiedono una assi-stenza prolungata e continuativa, con particolare riferimento a quelle oncologiche, alle infezioni da HIV ed ai trapian-tati.

Nel Piano, vengano differenziati tre livelli di attuazione dell’integrazione socio-sanitaria, per ciascuno dei quali sonoindicati specifici strumenti.

L’integrazione istituzionale nasce dall’esigenza di promuovere collaborazioni fra istituzioni diverse (Regione,Azienda sanitaria, Enti locali), al fine di conseguire comuni obiettivi di salute. Essa può avvalersi di strumenti giuridi-ci, quali le convenzioni e gli accordi di programma.

L’integrazione gestionale, sia a livello centrale che distrettuale, riguarda la struttura competente in materia dipolitiche sociali e gli uffici ad essa facenti capo, da un lato, e i servizi dell’Azienda USL dall’altro. Essa comporta l’in-dividuazione di configurazioni organizzative e meccanismi di coordinamento atti a garantire l’efficace svolgimento delleattività, dei processi e delle prestazioni. Tale livello di integrazione può quindi essere garantito dalla costituzione, perciascuna area di intervento, di un gruppo tecnico interistituzionale, composto in maniera equilibrata dai rappresen-tanti dell’Azienda USL, degli Enti locali e della struttura regionale competente in materia di politiche sociali.

L’integrazione professionale avviene a livello di operatori sociali e sanitari. Presupposti necessarie alla sua rea-lizzazione sono: la costituzione di unità valutative integrate, la gestione unitaria della documentazione, la valutazionedell’impatto economico delle decisioni, la definizione delle responsabilità nel lavoro integrato, la continuità assisten-ziale tra ospedale e territorio, la predisposizione di percorsi assistenziali appropriati per tipologie d’intervento, l’uti-lizzo di indici di complessità delle prestazioni integrate.

La Regione, al fine di creare le condizioni istituzionali e gestionali per il coordinamento degli interventi dei diversisettori impegnati nella produzione di servizi, incentiva quindi la collaborazione tra le istituzioni e promuove altresì(con il sostegno del Centro di Servizio per il Volontariato della Valle d’Aosta) la partecipazione delle organizzazioni divolontariato alla predisposizione dei Piani di Zona, entro un ambito territoriale adeguato, che è individuato nell’areadistrettuale.

Il Piano di zona, inteso come strumento per ottimizzare le risorse e facilitare le responsabilizzazioni e le collabo-razioni, ha le funzioni di:

- favorire la formazione di sistemi locali di intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e flessibili, sti-molando, in particolare, le risorse locali di solidarietà e di auto-aiuto e responsabilizzando cittadini nella program-mazione e nella verifica dei servizi;

- definire criteri di ripartizione della spesa a carico degli Enti locali, della Azienda Usl e, eventualmente, degli altrisoggetti firmatari dell’accordo di programma, prevedendo anche risorse vincolate per il raggiungimento di particola-ri obiettivi;

- proporre iniziative di formazione e di aggiornamento degli operatori, finalizzate a realizzare progetti di sviluppodei servizi.

Dal punto di vista strutturale, il nodo centrale nell’impalcatura dei servizi socio-sanitari valdostani è rappresentatodal distretto. È questa la struttura che deve esercitare, oltre alle funzioni attribuitegli dal D.lgs. 229/99 (erogazione del-l’assistenza primaria, integrazione tra servizi e rete sociale di solidarietà formale ed informale), il ruolo di commit-tenza, sviluppando modelli di integrazione orizzontale, che garantiscano l’appropriatezza, l’adeguatezza e la continui-tà degli interventi multiprofessionali. A tal fine, il Piano prevede la valorizzazione dell’autonomia del distretto ed ilpotenziamento delle funzioni di programmazione e controllo. Esso individua, inoltre, lo strumento più idoneo per ilconseguimento degli obiettivi nella rete integrata dei servizi ed il metodo di lavoro ottimale in quello delle équipe mul-tiprofessionali. Queste ultime hanno il compito di sviluppare programmi ed obiettivi orientati al cittadino ed all’appli-cazione di percorsi assistenziali all’interno di dipartimenti misti, ospedale - territorio, adottando soluzioni che rispon-dano a criteri di efficacia, economicità ed umanizzazione delle prestazioni.

Da quanto appena detto deriva la necessità, evidenziata nel Piano, di aggregazione organizzativa e funzionale di ciòche è ora svolto frammentariamente nel distretto e nelle altre strutture tecniche dell’Azienda Usl, nonché di riordinodelle attività del sistema informativo distrettuale. Il cambiamento dello scenario socio-sanitario porta infatti la Valled’Aosta a ridefinire il ruolo ed i modelli organizzativi e gestionali anche della struttura ospedaliera, spostando i centridecisionali per la determinazione dell’offerta lì dove nasce e si rileva il bisogno (il distretto): impostazione questa ispi-rata dalla riforma nazionale, che vede il sistema sociale come rete di nodi, capace di aderire meglio al continuo muta-re dei bisogni della popolazione.

Tanto sul Piano sanitario ed assistenziale, quanto su quello delle politiche sociali, la situazione attuale della Valled’Aosta è caratterizzata da complessi fenomeni di mutamento sociale, che inevitabilmente provocano ripercussionisugli assetti regionali. La risposta all’esigenza di un diverso modello di welfare, che a livello nazionale è rappresenta-ta dalla legge 328/00, si trova però a dover affrontare, a livello regionale, alcune difficoltà. Le maggiori criticità perl’integrazione tra le politiche sociali e le altre politiche territoriali derivano dalla complessità del percorso di armo-nizzazione del sistema dei servizi sociali con gli altri sistemi di promozione del benessere e dalla difficoltà di far con-

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103

vergere verso i soggetti svantaggiati l’offerta integrata dei servizi disponibili. A livello locale gli ostacoli sono determi-nati dalla scarsa visibilità dei legami organici, che dovrebbero collegare i servizi sociali con gli altri servizi comunali,e dal ritardo nel coordinamento e nella razionalizzazione degli sportelli di accesso del cittadino ai servizi ed alle pre-stazioni di un sistema di offerta a rete che si vuole informatizzato.

Il Piano Regionale affronta anche la questione della ridistribuzione di responsabilità e risorse tra istituzioni pub-bliche e private, sostenendo l’idea secondo la quale solo in un sistema integrato di servizi sociali sono veramente valo-rizzati il ruolo dei soggetti pubblici e le forme di partecipazione dei soggetti privati. Il passaggio da una società nellaquale i ruoli del pubblico e del privato sono nettamente distinti, ad una nella quale essi rappresentano elementi di uncomplesso sistema di responsabilità per la realizzazione di una società solidale, richiede l’individuazione di strumentiche superino l’individualismo e la frammentazione degli interventi. Per la realizzazione dei servizi e delle prestazionisociali in forma unitaria e integrata, deve quindi essere adottato il metodo della programmazione degli interventi e dellerisorse, dell’operatività dei progetti e della verifica e valutazione dei risultati.

In questa direzione, la Regione Valle d’Aosta propone un ridisegno del sistema dei servizi sociali che favorisca ilpassaggio da un welfare state di tipo istituzionale, ad un welfare community, caratterizzato da una separazione tra levarie fasi di realizzazione delle politiche sociali. I momenti della definizione, della verifica e del controllo delle politi-che sono riservati in prevalenza all’Ente pubblico, che risulta così ridimensionato nei compiti, ma rafforzato nella capa-cità di intervento. Il momento della gestione è invece affidato ad una pluralità di attori istituzionali e non, con o senzafini di lucro. In particolare, tra i soggetti non istituzionali, vengono privilegiate quelle organizzazioni del terzo settoreche presentano carattere di imprenditorialità privata non finalizzata al profitto economico, poiché considerate capacidi ridurre i costi unitari del servizio.

Per il finanziamento del sistema sociale, il Piano prevede una ridistribuzione delle responsabilità tra Enti pubblici(Regione ed Enti locali), forze economiche private, fondazioni e famiglie, che contribuiscono in modo differenziatoalla copertura delle spese dei vari servizi.

Il Piano opera inoltre una riformulazione complessiva delle forme e delle modalità di accesso e controllo dei cit-tadini, singoli od organizzati, alla definizione delle politiche di welfare. Le norme sul procedimento amministrativo, cheprevedono anche modalità privilegiate di coinvolgimento dei soggetti associativi, riservano alle organizzazioni di volon-tariato ed alle cooperative sociali un ruolo preminente, quali partner nella definizione e nella determinazione dellelinee guida e degli standard quanti-qualitativi dei servizi. Per questa via, si pone con forza una concezione attiva delruolo dei destinatari, strettamente legata alla dimensione della responsabilità. Si riconosce che la comunità di appar-tenenza è il referente ed il luogo più qualificato per la risoluzione dei problemi della persona. Ed il territorio è vistonon più unicamente come bacino di utenza, ma come rete di relazioni interdipendenti, come comunità che costituisceal contempo l’ambito in cui sorgono i bisogni e la fonte delle risorse per soddisfarli.

In questo scenario, le associazioni di volontariato e le cooperative sociali rappresentano catalizzatori ed attivatoridi risorse potenziali frammentate. Nella ridefinizione del welfare regionale verso il welfare community, esse sono con-siderate come partner degli Enti pubblici, le cui capacità decisionali vengono però rafforzate per garantire universali-smo, equità e continuità degli interventi assistenziali. In sintesi, si può affermare che la funzione principale delle orga-nizzazioni del terzo settore è quella di essere corpi intermedi tra la dimensione pubblica e privata della vita sociale, diessere indispensabili strumenti di mediazione tra i cittadini e le Istituzioni pubbliche.

Infine, con l’obiettivo di favorire forme di confronto con tutti gli attori istituzionali e sociali e di stimolare una piùconvinta adesione e partecipazione ad ogni fase della progettazione per lo sviluppo sociale e sanitario, la Regione isti-tuisce, con il presente Piano, la Conferenza socio sanitaria regionale. Essa è composta dai rappresentanti di: Asl,cittadini, organizzazioni di volontariato e del terzo settore, federazioni di categoria, ordini e collegi professionali, orga-nizzazioni sindacali, Enti locali. Il suo compito è di esprimersi sulle principali problematiche di interesse per la pro-grammazione socio-sanitaria.

A questo punto, volendo tracciare un bilancio dello stato di attuazione regionale della legge 328/2000, possiamoaffermare che, con l’approvazione del Piano Socio Sanitario Regionale 2002-2004, la Valle d’Aosta ha iniziato il pro-prio percorso di realizzazione degli adempimenti attuativi previsti, facendo propri i principi ispiratori e le finalità dellalegge nazionale.

In particolare, per ciò che riguarda le funzioni regionali, si è finora provveduto all’attuazione dell’art 8 comma 276,attraverso l’istituzione della Conferenza socio-sanitaria regionale e l’approvazione della legge di adozione del PSSR, cheprevede, tra le competenze della Regione, la promozione dell’istituzione di un organismo consultivo, nel settore dellepolitiche per anziani, con il coinvolgimento degli Enti locali, del terzo settore e delle parti sociali.

Alla determinazione degli ambiti e degli strumenti di gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete siprovvederà invece in sede di attuazione del PSSR, anche con lo strumento del Fondo Regionale per le politiche socia-li territoriali.

Nel complesso, il Piano valdostano risulta quindi debole in molte delle funzioni di competenza regionale. Oltre aquanto finora detto, la Regione si è occupata solo di alcuni adempimenti attuativi: con la legge di approvazione delPiano ha riaffermato i livelli di assistenza negli ambiti territoriali, già stabiliti con precedenti leggi di settore, e ha avvia-to il processo di definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle presta-

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zioni, stabilendo che la Giunta regionale determini le soglie d’accesso agevolate e fissi i criteri di partecipazione allespese di finanziamento dei servizi sociali e socio-educativi da parte dei beneficiari e dei loro familiari. Infine, ha prov-veduto alla predisposizione dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali77.

Concludendo, è necessario dunque sottolineare che sono ancora molti i provvedimenti che questa Regione deverealizzare per l’attuazione della legge 328/00, pur ricordando nuovamente la condizione particolare della Valle d’Aostain qualità di Regioni a statuto speciale.

SSttaattoo ddii aattttuuaazziioonnee ddeellllaa lleeggggee 332288//22000000 nneellllaa RReeggiioonnee VVaallllee dd’’AAoossttaa

ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitaria delsistema locale dei servizi sociali a rete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

SITUAZIONE

Il D.lgs. 112/98 non si applica alla Valled’Aosta.

Non si è provveduto.Vi sono deliberazioni della GiuntaRegionale che disciplinano i rapporti traEnti pubblici e cooperative sociali.

Non si è provveduto.

Non esistono le Province.

Il PSSR prevede l’istituzione dellaConferenza socio-sanitaria regionale e lalegge di approvazione del PSSR indivi-dua, tra le competenze della Regione, lapromozione dell’istituzione di un organi-smo consultivo nel settore delle politicheper anziani con il coinvolgimento degliEnti locali, del terzo settore e delle partisociali.

Si provvederà in sede di attuazione delPSSR anche con lo strumento del Fondoregionale per le politiche sociali.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

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ARTICOLO

8, comma 3 lett. i)

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

10, comma 3

11, comma 1

11, comma 4

OGGETTO

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

SITUAZIONE

Non si è provveduto.

Si è provveduto, in passato, con specifi-che deliberazioni della Giunta Regionalein materia di asili-nido e servizi peranziani. La legge di approvazione delPSSR prevede che la Giunta Regionaledefinisca le soglie d’accesso alle presta-zioni sociali agevolate e determini i crite-ri di partecipazione alle spese di finan-ziamento dei servizi sociali e socio-edu-cativi da parte dei beneficiari e dei lorofamiliari.

Si è provveduto con D.G.R. n. 2636 del 7Agosto 2000.

Non si è provveduto.

Il D.lgs. 112/98 non si applica alla Valled’Aosta.

Non si è provveduto.

Il D.lgs. 112/98 non si applica alla Valled’Aosta.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

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ARTICOLO

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

Non si è provveduto, mancando il rego-lamento ministeriale.La Regione sta programmando il primocorso OSS sulla base dello specificoaccordo Stato Regioni.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

Piano socio sanitario 2002-2004, adotta-to con L.R. n. 18 del 4 Settembre 2001.

Non si è provveduto.

Non si è provveduto.

Definiti con precedenti leggi di settore eriaffermati con la legge regionale diapprovazione del PSSR (L.R. 18/01).

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107

VVeenneettoo

La Regione Veneto ha elaborato, in armonia con le disposizioni della legge nazionale di riforma dell’assi-stenza, un disegno di legge regionale, recante il “Testo organico per le Politiche Sociali della RegioneVeneto”78.

L’attenzione verso l’evoluzione dei bisogni e delle esigenze di protezione sociale e verso la crescente doman-da di nuove forme di partecipazione ha condotto alla stesura di un testo unico regionale, che disegna le strate-gie e regolamenta gli interventi in campo sociale. Si tratta di una novità, nel panorama normativo del settore.

Il provvedimento, che propone l’abrogazione di 40 leggi e 3 regolamenti, è il frutto di un lavoro di confrontoe di dialogo con le Ulss, le associazioni di categoria, i sindacati, il mondo del volontariato e del no profit. Essocostituisce, contemporaneamente, la meta e l’avvio di un percorso condiviso, alla cui base si colloca una nuovafilosofia del sociale: il cittadino non più solo utente, ma anche protagonista dei servizi, la famiglia non più solodestinataria, ma anche erogatrice delle prestazioni.

Ripercorrendo l’impostazione della legge nazionale 328/2000, il testo unico disegna il ruolo degli attori del-l’intervento sociale, individuando le responsabilità dei soggetti istituzionali, delle Aziende pubbliche, dei sog-getti privati e delle organizzazioni del terzo settore.

In ossequio ai principi di sussidiarietà e solidarietà sociale, il provvedimento dispone che concorrano allarealizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali la Regione, le Province, i Comuni, le famiglie etutti i soggetti pubblici e privati presenti nella comunità locale. La Giunta Regionale ha il compito di istituire,con apposito provvedimento, il Tavolo di concertazione, per garantire, attraverso il dialogo ed il confronto,la pianificazione partecipata e la condivisione degli obiettivi.

Strumenti fondamentali di programmazione sul territorio sono il Piano Regionale degli interventi e dei ser-vizi alla persona ed i Piani Zona. Su questo punto, in particolare, è necessario aprire una piccola parentesi, checi permetta di fotografare lo stato della programmazione regionale.

Attualmente, il Veneto è impegnato nell’elaborazione del nuovo Piano sociale 2002-2004 da impostaresecondo le indicazioni contenute nella legge quadro, ma la Regione ha già all’attivo un precedente Pianosocio-sanitario per il triennio 1996-1998, approvato con la legge regionale n. 5, del 3 Febbraio 1996, cherappresenta il punto di riferimento del processo di programmazione socio-sanitaria. Con questa legge, il Pianodi Zona diventa ufficialmente lo strumento programmatico privilegiato dei Comuni, per la realizzazione dell’in-tegrazione istituzionale ed operativa tra il sociale ed il sanitario, tra il pubblico ed il privato sociale.

Già dal 1996, la Regione, forte di una lunga esperienza di pianificazione sanitaria e sociale, si proponeva diconcretizzare un modello globale di servizi alla persona, come sistema di soggetti istituzionali e professionali,in un quadro integrato di responsabilità e di risorse. Il rapporto collaborativo tra soggetti istituzionali e soggettisociali, con il Piano socio-sanitario 1996-1998, diventa il metodo di azione privilegiato della PubblicaAmministrazione, che si impegna a consolidare modelli operativi facilitanti la programmazione partecipata, laresponsabilizzazione nella gestione e la valutazione degli interventi, nel rispetto delle diversità e delle compe-tenze.

Tornando al progetto di legge regionale, l’accesso ai servizi sociali e sociosanitari è realizzato a partire dauna valutazione del bisogno, che sia garante di interventi e servizi appropriati e personalizzati. Ed è organizza-to in modo da offrire agli utenti pari opportunità di fruizione e diritto di scelta tra più soggetti gestori.

Tra le maggiori novità, introdotte dal testo unico, figura quella del bonus per le persone e le famiglie,che offre la possibilità di scegliere liberamente la struttura cui affidarsi, nella rete dei servizi sociali. Si tratta diun titolo, disciplinato dalla legge nazionale, per l’acquisto di prestazioni dai diversi soggetti autorizzati o accre-ditati all’erogazione dei servizi assistenziali.

Gli interventi sociali sono finalizzati alla promozione del benessere, alla valorizzazione della persona e dellafamiglia, alla formazione ed educazione alla socialità, alla prevenzione dei fattori di disagio, alla rimozione eriduzione delle condizioni che ostacolano la piena partecipazione alla vita sociale. Destinatari delle prestazionisono tutti i cittadini residenti o temporaneamente presenti sul territorio veneto. Alla Regione spettano la defini-zione, in conformità con le indicazioni nazionali, dei livelli essenziali delle prestazioni, l’individuazione delletipologie di servizio e la fissazione dei criteri per il concorso degli utenti al costo delle prestazioni.

Tra gli obiettivi della legge, rientra il perseguimento di azioni orientate alla promozione sociale. Esse con-sistono nella sperimentazione di servizi e di programmi di intervento, finalizzati alla qualificazione di specifichearee territoriali o alla soluzione di particolari problematiche sociali, e nella valorizzazione di comportamentipositivi, funzionali all’esaltazione delle risorse presenti nella collettività locale, tramite forme di reciprocità,solidarietà ed auto-organizzazione.

Per la realizzazione del sistema integrato, il progetto di legge promuove l’istituzione di associazioni interco-munali, finalizzate alla gestione condivisa di funzioni e servizi sociali. Le associazioni non hanno personalità giu-ridica ed operano tramite convenzioni, che disciplinano i rapporti finanziari ed i reciproci obblighi.

Accanto al metodo delle convezioni, il testo unico individua altri strumenti operativi funzionali alla costru-

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108

zione della rete integrata, la cui attivazione è, nella maggioranza dei casi, subordinata all’emanazione di appo-siti provvedimenti della Giunta Regionale:

- la costituzione del Sistema informativo dei servizi sociali e degli Osservatori regionali sulle politiche assi-stenziali;

- la definizione dei criteri per l’autorizzazione l’accreditamento e la vigilanza dei servizi sociali e delle strut-ture a ciclo residenziale e semiresidenziale;

- l’adozione di sistemi di verifica e valutazione dei risultati;- l’individuazione delle modalità di affidamento dei servizi alla persona;- la realizzazione di accordi con le Aziende pubbliche ed i soggetti sociali;- la costituzione di albi e registri delle organizzazioni del terzo settore.Al fine di favorire l’efficacia e la qualità dei servizi, la Regione promuove la formazione degli operatori socia-

li. Definisce, attraverso il monitoraggio dell’attuazione dei Piani di Zona, la domanda di professionalità ed il fab-bisogno di nuove competenze. Ed annualmente, con atto della Giunta Regionale, approva il piano di formazio-ne, aggiornamento e riqualificazione degli operatori del settore.

Il Fondo Regionale per le politiche sociali è alimentato da:- trasferimenti dei fondi nazionali, assegnati per l’esercizio delle funzioni sociali;- risorse proprie della Regione;- risorse provenienti da altri soggetti pubblici e privati.Esso è articolato in Unità Previsionali di Base, riferite alle diverse aree di intervento nel campo dei ser-

vizi sociali. Annualmente, la Giunta Regionale individua le risorse in conto capitale da destinare al riequilibrioterritoriale, all’adeguamento agli standard ed alla promozione di servizi innovativi.

Al fine di contribuire allo sviluppo di un’economia solidale, la Regione, le Province ed i Comuni concorro-no alla realizzazione di progetti promossi dalle organizzazioni no profit, purché conformi agli obiettivi di pro-grammazione locale, mediante attività di raccolta fondi.

La Giunta Regionale, con proprio provvedimento, promuove metodi e strumenti per il controllo di qualità edi gestione degli enti erogatori, finalizzati a valutare l’efficacia e l’efficienza dei servizi prestati ed i risultati delleazioni previste.

Nella seconda parte del testo unico, troviamo indicati gli obiettivi e le azioni da perseguire per ogni ambitodi intervento sociale:

- la famiglia;- l’infanzia e l’adolescenza;- le politiche giovanili;- i disabili;- le persone adulte ed anziane;- i problemi da dipendenza.Ciò offre una guida per la futura programmazione regionale e contemporaneamente fornisce indicazioni per

la stesura dei Piani di Zona.In relazione a due delle aree di intervento indicate (famiglia e politiche giovanili), il provvedimento dispo-

ne che la Giunta Regionale, con proprio atto, istituisca la Conferenza sulla famiglia, che ha la funzione dielaborare suggerimenti in considerazione delle trasformazioni intervenute e delle problematiche emergenti neicontesti famigliari, ed il Consiglio dei Giovani, che ha il compito di favorire la partecipazione giovanile, diformulare proposte e di promuovere indagini.

Ampio spazio è dedicato dal progetto di legge ai soggetti operanti nel campo della solidarietà sociale.In attuazione del principio di sussidiarietà, il provvedimento istituisce la Conferenza regionale del Terzo

Settore, quale organismo consultivo per la realizzazione concertata degli interventi in campo sociale. Compitodella Regione è di facilitare l’accesso agevolato al credito ed ai finanziamenti europei e di promuovere iniziati-ve di formazione ed aggiornamento professionale del personale dipendente e volontario.

I Capi II, III e IV del Titolo XIV del testo unico sono rivolti, rispettivamente, alle Organizzazioni diVolontariato, alle Associazioni di Promozione Sociale ed alle Cooperative Sociali. Essi rappresentano un puntodi riferimento importante per i soggetti locali che operano nel campo della solidarietà. Il provvedimento, pre-vedendo l’emanazione di appositi atti della Giunta Regionale, disciplina infatti l’attività dei suddetti soggetti efavorisce l’introduzione di strumenti idonei alla loro promozione.

Un’intera parte del progetto di legge si rivolge alle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.Entro diciotto mesi dall’eventuale entrata in vigore della legge, le IPAB devono provvedere alla loro trasfor-

mazione in:- aziende di servizi alla persona;- persone giuridiche di diritto privato.Compito della Giunta Regionale è l’emanazione di un regolamento, che disciplini le procedure di trasfor-

mazione, fusione, realizzazione di consorzi ed estinzione.

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109

ARTICOLO

4, comma 3

5, comma 3

5, comma 4

7, comma 1

8, comma 2

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

OGGETTO

Ripartizione dei finanziamenti assegnatidallo Stato.

Emanazione di atti di indirizzo per rego-lamentare i rapporti tra Enti Locali eTerzo Settore, con particolare riferimen-to ai sistemi di affidamento dei servizialla persona.

Disciplina delle modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazio-ne dei servizi.

Disciplina del ruolo delle Province.

Programmazione degli interventi socialicon la promozione di modalità di colla-borazione e azioni coordinate con gliEnti Locali - Consultazione dei soggetti dicui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Determinazione, tramite le forme di con-certazione con gli Enti Locali interessati,degli ambiti territoriali, delle modalità edegli strumenti per la gestione unitariadel sistema locale dei servizi sociali arete.

Definizione, sulla base dei requisiti fissa-ti dallo Stato, dei criteri per l’autorizza-zione, l’accreditamento e la vigilanzadelle strutture e servizi.

SITUAZIONE

Eseguito con deliberazione della GiuntaRegionale n. 2248 del 7 Settembre 2001.

Progetto di legge regionale n. 241/2002“Testo organico per le politiche socialidella Regione Veneto”, art. 27.

Artt. 64 - 77 del citato progetto di leggeregionale.

Art. 5 del citato progetto di legge regio-nale.

Art. 11 del citato progetto di legge regio-nale (Tavolo di concertazione).

Art. 22 del citato progetto di legge regio-nale.

Art. 25 del citato progetto di legge regio-nale.

Dall’esame condotto sul progetto di legge, possiamo affermare, in conclusione, che il provvedimento consi-derato si propone di offrire un quadro di riferimento regionale per le politiche sociali. E di tratteggiare unaguida funzionale per i soggetti locali che concorrono alla realizzazione del sistema integrato di interventi e ser-vizi sociali.

Esso rappresenta un punto di partenza fondamentale nel processo di implementazione della riforma assi-stenziale, avviata con la legge nazionale 328/2000, e sottolinea l’elevato grado di progettualità sociale dellaRegione Veneto.

Essenziale, tuttavia, nella strada percorsa, è la realizzazione degli atti applicativi, che rendano operativol’impianto impostato dal progetto di legge. Come più volte sottolineato, il testo unico prevede l’emanazione diuna serie di provvedimenti della Giunta Regionale, dalla cui attuazione dipenderà la messa in operata del siste-ma complessivo.

Altrettanto importante è l’emanazione del Piano sociale 2002-2004 che individui le aree e le azioni priorita-rie d’intervento, i livelli essenziali delle prestazioni ed i criteri di verifica e valutazione, al fine di assicurare laqualità e la realizzabilità degli obiettivi definiti e la piena costituzione di una rete integrata di interventi e servi-zi sociali.

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ARTICOLO

8, comma 3 lett. g)

8, comma 3 lett. h)

8, comma 3 lett. i)

8, comma 3 lett. l)

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o)

8, comma 4

8, comma 5

OGGETTO

Istituzione, secondo le modalità definitecon Legge Regionale, di registri dei sog-getti autorizzati all’esercizio delle attivitàsociali.

Definizione dei requisiti di qualità per lagestione dei servizi e per l’erogazionedelle prestazioni.

Definizione dei criteri per la concessionedei titoli per l’acquisto di servizi socialida parte dei Comuni.

Definizione dei criteri per la determina-zione del concorso da parte degli utential costo delle prestazioni.

Predisposizione e finanziamento deipiani per la formazione e l’aggiornamen-to del personale addetto alle attivitàsociali.

Determinazione dei criteri per la defini-zione delle tariffe che i Comuni sonotenuti a corrispondere ai soggetti accre-ditati.

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3D.Lgs. n. 112/98).

Disciplina delle procedure amministrati-ve e delle modalità per la presentazionedei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali.Istituzione (eventuale) di uffici di tuteladegli utenti.

Trasferimento ai Comuni delle risorseumane, finanziarie e patrimoniali, perassicurare la copertura degli oneri deri-vanti dal trasferimento delle funzioni.

SITUAZIONE

Art. 29 del citato progetto di legge regio-nale.È in corso di elaborazione ilRegolamento che disciplina i registridelle organizzazioni di volontariato, ilregistro regionale delle associazioni dipromozione sociale, l’albo regionaledelle cooperative sociali e dei loro con-sorzi, l’albo delle comunità terapeuticheper tossicodipendenti.Attualmente solo l’iscrizione al registroregionale delle organizzazioni di volonta-riato autorizza l’esercizio di attivitàsociali. L.R. 40/93 “Interventi regionaliper il volontariato operante in settori dicompetenza regionale”

Art. 25, comma 7, del citato progetto dilegge regionale.

Art. 20 del citato progetto di legge regio-nale.

Art. 21 del citato progetto di legge regio-nale.

Art. 33 del citato progetto di legge regio-nale.

Inserito in sede di discussione del citatoprogetto di legge.

Eseguito con L.R. n. 11 del 13 Aprile2001 “Conferimento di funzioni e compi-ti amministrativi alle autonomie locali inattuazione del decreto legislativo n.112/98”, art. 16.

Art. 17 del citato progetto di legge regio-nale.Non sono a tutt’oggi previsti uffici di tute-la degli utenti.

Non è previsto trasferimento di funzioniin materia sociale, in quanto nel Venetola titolarità delle funzioni è già attribuitaai Comuni.

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ARTICOLO

10, comma 3

11, comma 1

11, comma 4

12, comma 2 lett. b)

15, comma 4

17, comma 2

18, comma 6

20, comma 11

21, comma 1

22, comma 4

OGGETTO

Adeguamento della propria disciplina aiprincipi del Decreto Legislativo n.207/2001 (Riordino delle IPAB).

Disciplina dei requisiti per il rilascio del-l’autorizzazione da parte dei Comuni aiservizi e strutture a ciclo residenziale esemiresidenziale.

Disciplina delle modalità per il rilascioda parte dei Comuni delle autorizzazionialla erogazione di servizi sperimentali einnovativi per un periodo massimo di treanni in deroga ai requisiti previsti.

Avvio di corsi di formazione.

Trasmissione di una relazione ai Ministridella Solidarietà sociale e della Sanitàsullo stato di attuazione degli interventi.

Disciplina dei criteri e delle modalità perla concessione dei titoli per i servizi.

Adozione del Piano Regionale degli inter-venti e dei servizi sociali.

Impegno contabile delle quote e risorsericevute.

Istituzione di un Sistema informativo deiservizi sociali.

Livelli essenziali per le prestazioni inambiti territoriali.

SITUAZIONE

Artt. 90-101del citato progetto di leggeregionale.

La materia è già regolata con:L.R. 55/1982 “Norme per l’eserciziodelle funzioni in materia di assistenzasociale”, art.24;DGR n. 1663/1998;PDL regionale n. 155 del 2001, già licen-ziato dalla Commissione Consiliare com-petente, “Autorizzazione e accreditamen-to delle strutture sanitarie, socio-sanita-rie e sociali”.Più specificamente, per i servizi e lestrutture socio-assistenziali e per gli indi-rizzi della legge 328, è in fase avanzata dipredisposizione un regolamento attuati-vo.

Art. 6, comma 2, del citato progetto dilegge regionale.

Art. 33 del citato progetto di legge regio-nale.

In corso di elaborazione.

Art. 20 del citato progetto di legge regio-nale.

In corso di elaborazione

Eseguito. Provvedimenti vari di impegnoper l’esercizio 2001.

Avviato. Il sistema informativo dei servizisociali è in fase di elaborazione; almomento è stato predisposto un sitoregionale per tutte le informazioni suiservizi sociali esistenti nel territorioregionale.

È in corso di elaborazione la definizionedei livelli essenziali delle prestazioni,assieme alle altre Regioni italiane.

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NNoottee::

1 D.G.R. 1347 del 31 Dicembre 2001.

2 Del 27 Marzo 1998.

3 Legge regionale n. 25, approvata il 19 Maggio del 1997.

4 Delibera n.1280 del 22 Dicembre 1999.

5 Approvato il 13 dicembre 1999.

6 D.P.R. n. 616/1977.

7 Art. 16 dello Statuto di Autonomia.

8 Legge provinciale n. 13 del 30 aprile 1991.

9 Art. 8 della legge provinciale n. 13 del 30 aprile 1991.

10 Per la Calabria non è stato possibile inserire la tabella relativa allo stato di attuazione della legge nazionale sulterritorio regionale, poiché essa non è stata compilata dal Dipartimento dei Servizi Sociali, che ha tuttavia for-nito delle utili informazione inerenti l’applicazione della legge quadro, da noi opportunamente riportate.

11 D.G.R. n. 1826/01.

12 Costituita il 30 Marzo del 2001, con delibera della Giunta Regionale.

13 D.G.R. n.1079 del 15 Marzo 2002.

14 D.G.R. n. 1081/02.

15 Delibera del Consiglio Regionale n. 246 del 25 settembre 2001.

16 La Regione Emilia Romagna ha previsto di dare attuazione alle norme volte alla realizzazione del sistema inte-grato di interventi e servizi sociali mediante una legge regionale di riforma organica delle politiche sociali. Nellacolonna relativa allo stato di attuazione regionale della legge 328 sono stati, quindi, indicati i riferimenti al pro-getto di legge, approvato dalla Giunta Regionale il 26/11/01 ed attualmente all’esame della competenteCommissione Consiliare.

17 Non essendoci stata fornita dal Servizio per le Attività Socio Assistenziali una risposta dettagliata sullo stato diattuazione della legge 328/00, relativamente ai singoli adempimenti di competenza regionale, riportiamo perintero la risposta inviataci: “in merito all’applicazione della legge 328/2000 la informiamo che è tuttora infase di predisposizione il programma di lavoro per la riforma del welfare regionale e che pertanto adoggi.non è stato emanato alcun atto ufficiale.In questa fase la Regione Friuli Venezia Giulia opera per-tanto in base alla propria normativa pregressa”.

18 Interpellanza n. 741 “Sulla mancata applicazione della legge 328/2000 e sulla difficile situazione in cui versanogli uffici e le strutture della Amministrazione regionale che operano nel settore delle politiche sociali”, presen-tata alla Presidenza il 21/11/2001 dai Consiglieri Regionali: Zvech, Dolcher, Mattassi, Petris, Alzetta, Gherghetta.

19 Interrogazione a risposta orale n. 1045 “Mancata applicazione della legge nazionale n. 328 del 2000 per la rea-lizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, presentata alla Presidenza il 11/04/2002 daiConsiglieri Regionali: Degano e Moretton.

20 Parole del Direttore del Servizio per le Attività Socio Assistenziali e per quelle Sociali ad Alta IntegrazioneSanitaria citate nell’interrogazione n.1045.

21 Primo Piano socio-assistenziale Regionale 1999-2001, approvato con delibera del Consiglio Regionale n. 591del 1 Dicembre 1999.

22 Contenute nel D.G.R. n.471 del 19 Aprile 2002.

23 Delibera della Giunta Regionale n.425 del 27 Marzo 2001.

24 La tabella che ci è stata fornita dalla Regione non conteneva l’indicazione del D.G.R. n. 471 del 19/04/02“Determinazione dei criteri e delle modalità per la ripartizione delle risorse provenienti dal fondo nazionale perle politiche sociali. Anno 2001. Esercizio finanziario 2002”, da noi opportunamente inserito.

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25 D.C.R. 28/11 -4/12/01, n. 65.

26 L.R. 30/1998, Piano dei Servizi Sociali 1999/2001, L.R. 25/2000.

27 Piano dei Servizi Sociali 2002/2004.

28 Ibidem.

29 La presente tabella è stata compilata dai ricercatori, in quanto il Settore Promozione Sociale ed Interventi per laFamiglia della Regione Liguria ha risposto alla richiesta di informazioni sullo stato di attuazione regionale dellalegge 328/00 ribadendo che le notizie sugli adempimenti attuativi sono contenute all’interno del Piano dei ser-vizi sociali. Ci scusiamo, quindi, per eventuali errori od omissioni.

30 D.G.R. n. VII/6347 del 5 Ottobre 2001.

31 Ibidem.

32 Ibidem.

33 Ibidem.

34 Ibidem.

35 Ibidem.

36 Ibidem.

37 Ibidem.

38 Per non perdere nessuna sfumatura di significato nel citare gli estratti del Piano si è deciso di mantenere i gras-setti della versione originale.

39 Ibidem.

40 Ibidem.

41 Ibidem.

42 Modificata con legge regionale n. 28 del 21 Novembre 2000.

43 Deliberazione amministrativa n. 306 del 1 Marzo 2000 “Piano Regionale per un Sistema integrato di interventie servizi sociali 2000/2002”.

44 Il primo Piano Regionale è stato costruito sulla falsariga delle varie proposte di legge che hanno preceduto la328 e quindi risente sostanzialmente dell’impostazione.

45 Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000/2002.

46 D.G.R. n. 337 del 13 Febbraio 2001 “Istituzione degli ambiti territoriali”.

47 D.G.R. n. 592 del 19 Marzo 2002 “ Modifica alla DGR n. 337/2001 - Istituzione degli ambiti territoriali”.

48 D.G.R. n. 1670 del 17 Luglio 2001 “Deliberazione amministrativa n. 306/2000 “Piano regionale per un sistemaintegrato di interventi e servizi sociali - Approvazione linee guida”.

49 Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000/2002.

50 Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000/2002.

51 DGR n. 337 del 13 Febbraio 2001.

52 DGR n. 957 del 9 Maggio 2000.

53 DGR n. 2491 del 23 Ottobre 2001 e DGR n. 2492 del 23 Ottobre 2001.

54 L.R. n. 34 del 18 Dicembre 2001 “Promozione e sviluppo della cooperazione sociale”.

55 DGR n. 1768 del 1 Agosto 2000, “Istituzione dell’Osservatorio regionale per le politiche sociali”.

56 D.G.R. n. 1670 del 17 Luglio 2001.

57 DGR n. 2225 del 24 Ottobre 2000 e DGR n. 2106 del 11 Settembre 2001.

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58 Approvata il 7 Gennaio del 2000.

59 Attualmente all’esame della competente Commissione Consiliare

60 Relazione al disegno di legge regionale n. 407.

61 Atto n. 166/A, all’esame della Commissione Consiliare competente.

62 Approvato dal Consiglio Regionale nella seduta del 29 Luglio 1998, ed attualmente in proroga in attesa del nuovoPiano sociale.

63 Sancita dalla legge costituzionale n. 3/2001.

64 Prevista dall’art. 24 della L.R. n. 4/1988.

65 Data la scarsità, o meglio l’assenza, di provvedimenti attuativi, si è ritenuto inopportuno mostrare anche per laSicilia la tabella che riassume lo stato di attuazione della legge 328/00 nella Regione.

66 Legge regionale 72/1997.

67 Deliberazione Consiglio Regionale n 118 del 5 giugno 2001 “Piano Integrato Sociale Regionale per l’anno2001”.

68 DCR n. 60, Allegato B “Linee guida per la formazione del piano integrato sociale regionale 2002-2004”, pag. 2.

69 D.C.R. n. 60, Allegato B “Linee guida per la formazione del piano integrato sociale regionale 2002-2004”, pag.17.

70 Non essendo stata fornita dal Servizio Attività Socio-Assistenziali una risposta dettagliata sullo stato di attuazionerelativamente ai singoli adempimenti attuativi di competenza delle Regioni, riportiamo per intero la rispostainviataci: “Con riguardo allo stato di attuazione della legge n. 328/2000, si fa presente che detta norma nontrova diretta applicazione in provincia di Trento, in base alle competenze attribuite alla provincia auto-noma di Trento dallo Statuto speciale. Ciò tuttavia, essa ha costituito un importante riferimento per l’e-laborazione di un schema di disegno di legge di riordino del sistema integrato dei servizi sociali, sul qualeè stata avvita la consultazione con i diversi soggetti interessati alla realizzazione del predetto sistema eche sarà prossimamente sottoposto alla Giunta provinciale e poi al Consiglio provinciale per la sua appro-vazione. Va peraltro considerato che in provincia di Trento i servizi socio-assistenziali sono disciplinatidalla legge provinciale 12 luglio 1991, n.14, che per molti aspetti ha anticipato quanto previsto dalla legge328/2000. In base a tale norma sono state emanate disposizioni per: 1) l’esercizio delle funzioni socio-assistenziali delegate ai comuni in forma associata (regolamento tipo struttura preposta alla gestione tec-nico-amministrativa dei servizi socio-assistenziali; criteri per la definizione delle piante organiche;ambiti territoriali; èquipe interdisciplinari; determinazioni per l’erogazione dei servizi e delle prestazio-ni ed il concorso alla spesa per la relativa fruizione); 2) l’attuazione degli interventi attraverso conven-zioni con soggetti pubblici e privati; 3) l’istituzione del registro dei soggetti privati idonei al convenzio-namento; 4) l’effettuazione del confronto concorrenziale nei casi in cui sia necessario individuare tra piùsoggetti quello a cui affidare l’attuazione degli interventi; 5) le disposizioni per l’autorizzazione al fun-zionamento delle strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie a carattere semi-residenziale e residen-ziale; 6) la realizzazione di un sistema informativo socio-assistenziale nell’ambito del sistema informa-tivo provinciale. Per quanto riguarda la prospettiva di sviluppo del sistema integrato dei servizi socia-li....nel “Piano sociale e assistenziale per la provincia 2002-2003: linee guida e misure attuative sono trat-tati gli aspetti fondamentali per la costruzione del predetto sistema integrato”.

71 Delibera n. 759.

72 Adottata, al momento della stesura del Piano, in forma parziale o totale da 76 Comuni, sui 92 presenti nellaRegione.

73 Con D.G.R. n. 1244 del 10 ottobre 2001.

74 Legge regionale 4 Settembre 2001, n.18.

75 Art. 1, comma 7, legge 328/00.

76 Le Regioni programmano gli interventi sociali promovendo modalità di collaborazione e azioni coordinate congli Enti locali e provvedono alla consultazione dei soggetti di cui agli articoli 1, commi 5 e 6, e 10 della legge inquestione.

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77 DGR n. 2636 del 7 agosto 2000.

78 Progetto di legge regionale n. 241/2002.

79 La Regione Veneto ha previsto di dare attuazione alle norme volte alla realizzazione del sistema integrato di inter-venti e servizi sociali mediante un progetto di legge regionale recante “Testo organico per le politiche socialidella Regione Veneto”. Nella colonna relativa allo stato di attuazione regionale della legge 328 sono stati, quin-di, indicati i riferimenti al progetto di legge regionale, attualmente all’esame del Consiglio Regionale.

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44.. TTEESSSSEERREE LLAA RREETTEE

4.1. Premessa

Una sezione della ricerca è stata dedicata all’analisi della costruzione del sistema integrato di interventi e servizisociali della Regione Marche. A tale scopo, è stata condotta un’analisi qualitativa che si è avvalsa dello strumento delleinterviste in profondità, rivolte a 6 testimoni privilegiati. Si tratta in particolare di Giovanni Santarelli Dirigentepresso l’Assessorato Servizi Sociali della Regione, Sabrina Banzato Presidente della Cooperativa SocialNet nonchéconsulente sociale presso la Provincia di Pesaro e Fabio Ragaini esponente dell’associazione di volontariato GruppoSolidarietà e redattore della rivista “Appunti sulle Politiche Sociali”. Inoltre, sono stati intervistati tre esponenti delComitato Tecnico Permanente per l’attuazione del Piano Sociale, ossia Paola Bartolucci rappresentante dell’A.N.C.I.,Maurizio Tomassini delegato del Servizio Formazione e Lavoro della Regione e Matteo Biscarini (che in realtàè stato membro del Comitato solo sino ad alcuni mesi fa) quale rappresentante della Lega Coop marchigiana.

La scelta di focalizzare l’attenzione su questa Regione è stata presa sulla scorta di tre principali considerazioni.Innanzi tutto, le Marche, allo stato attuale, sono una delle Regioni che si è maggiormente distinta per la mole di

lavoro svolto nell’attuazione della legge 328/2000.In secondo luogo, i provvedimenti adottati rispecchiano fedelmente lo spirito e gli obiettivi della riforma nazionale.Infine, e soprattutto, è apparso interessante il percorso scelto per l’implementazione del nuovo modello assisten-

ziale. La Regione Marche è, infatti, impegnata nella costruzione di un welfare partecipato. Le fondamenta del propriosistema integrato poggiano sul metodo della concertazione e della condivisone, tra tutti i soggetti impegnati nel socia-le, degli obiettivi e delle finalità da raggiungere.

Una simile opzione è stata resa possibile grazie alla redazione di un Piano Sociale poco prescrittivo, che ha con-sentito la predisposizione dei successivi provvedimenti attuativi attraverso un confronto serrato tra la Regione ed il ter-ritorio (Enti locali, Asl, cooperazione sociale e volontariato, parti sociali). Tutto ciò ha favorito la produzione parteci-pata, dal basso, dei documenti legislativi, lasciando all’Ente Regione una funzione di coordinamento e di indirizzo.

Lo studio del caso Marche ha evidenziato che la scelta di intraprendere un percorso di continua concertazione puòrivelarsi rischiosa, poiché si potrebbe paralizzare l’intero processo di produzione normativa, ma a lungo termine pre-miante, per l’effettiva e larga condivisione del materiale prodotto.

4.2. Una corsa ad ostacoli: il percorso di approvazione del Piano

Per comprendere la natura del welfare marchigiano è necessario far luce su un processo che ha una storia quasidecennale.

La rapidità con cui la Regione ha approvato il proprio Piano sociale non è stata, in realtà, una velocità in sensoassoluto, bensì relativa nel confronto con l’operato delle altre Amministrazioni regionali. Il dibattito avviato nelleMarche attorno al riordino dei servizi sociali ha, infatti, una storia piuttosto lunga. Senza entrare nel dettaglio di que-sto processo, possiamo fissare alcune coordinate temporali di riferimento, in modo da rendere chiare le tappe prin-cipali di un percorso tutt’altro che agevole.

La prima tappa che prenderemo in considerazione è l’affidamento alla società Labos, avvenuto nel 1995, dell’inca-rico di redigere un Piano sociale. La società lavorò alla redazione del Piano sino al 1997, quando venne presentata unaprima bozza del documento di programmazione sociale. Questi due anni, come è noto, coincisero con l’avvio di unavera e propria rivoluzione al livello normativo nazionale: la riforma delle autonomie locali, la legge 285, la normativasul volontariato, quella sulla cooperazione sociale e, soprattutto, la discussione a livello parlamentare della leggeTurco-Signorino. Il lavoro sin lì svolto dalla società si rivelò non in linea con l’assetto che tale rivoluzione andava pro-spettando. E fu così che si decise di ricominciare tutto da capo.

La seconda fase comincia con l’affidamento di un nuovo incarico ad un’equipe guidata dal Professor Ugo Ascoli,che aveva l’obiettivo di costruire un Piano sociale Regionale in stretto collegamento con le discussioni che avvenivanoallora all’interno della Commissione Parlamentare sulla legge di riforma dei servizi sociali. Il tempo trascorso non fudel tutto sprecato: l’esperienza della Labos fornì alcune interessanti indicazioni di cui venne fatto tesoro. Si comprese,infatti, che a livello locale erano emerse grosse difficoltà a far propria la bozza di Piano predisposto dalla società ester-na. “[…] Io partecipai anche allora a questi piccoli percorsi, però, lì si capiva che era troppo strutturato dall’e-sterno, troppo improprio, […] perché il territorio non riuscì a condividerlo ci lesse delle cose che non capì per-ché non erano sue.” (Banzato).

La terza fase è rappresentata dall’approvazione, il 1° marzo 2000, del Piano Regionale per un sistema integrato diinterventi e servizi sociali 2000/2002. I cinque anni di lavoro hanno dato vita ad un “[…] Piano processo, un Pianoche non definisce nei minimi particolari tutta l’organizzazione, ma avvia l’organizzazione.” (Santarelli).

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Si è giunti così alla tappa ancora in corso, che è, senza dubbio, la più delicata: quella della costruzione concretadel sistema integrato dei servizi sociali. Solo al termine di tale fase operativa si potrà quindi verificare se la scelta mar-chigiana verrà premiata dai fatti.

4.3 Dall’approvazione del Piano alla sua attuazione: la nascita di una rete

La nuova Amministrazione, insediatasi in seguito alle elezioni regionali del 2000, dimostra immediatamente di attri-buire alla dimensione sociale una valenza politica strategica fortissima. Diversamente dagli anni precedenti,l’Assessore, l’On.le Secchiaroli, prende solamente la delega ai servizi sociali e non la delega alla sanità. Questa è un’in-novazione fondamentale nell’assetto politico organizzativo, perché in precedenza gli Assessori, quando avevanoentrambe le deleghe, di fatto seguivano unicamente la sanità.

Il cambiamento organizzativo è stato solo il primo tassello delle policy sociali marchigiane. Ad esso, infatti, è segui-to un intenso lavoro di consultazione/concertazione con le diverse realtà istituzionali e del privato sociale presenti sulterritorio, al fine di definire gli aspetti “generici” del Piano sociale. Si tratta di una precisa scelta politica, “[…] per-ché non è soltanto un’attuazione di una legge, ma il desiderio di rendere vivo un territorio, rendendolo parte-cipe della creazione dei servizi e non soltanto utente di servizi creati dal centro.” (Santarelli).

Attraverso le parole del Dirigente regionale dei Servizi Sociali è possibile comprendere come la Regione abbia gesti-to i tavoli di confronto con il territorio. “[…] Noi abitualmente non arriviamo con documenti […] arriviamo sol-tanto con una indicazione precisa di cosa vogliamo, in quanto tempo lo vogliamo, perché abbiamo chiamatoqueste persone e qual è il contesto all’interno del quale i vari gruppi che abbiamo istituito lavorano. Quindi gliobiettivi, i vincoli, la mission del gruppo e la tempistica.” (Santarelli).

Per questa via, i gruppi di lavoro hanno avuto la possibilità di produrre i loro contributi, di fornire idee, che, pro-venendo da professionalità, da risorse, da realtà abbastanza diversificate, hanno richiesto una revisione da partedell’Assessorato. Il materiale rielaborato è stato, in seguito, “[…] abitualmente ridiscusso all’interno di questigruppi di lavoro, che hanno scritto e riscritto la documentazione per diverse volte.”1 (Santarelli).

La concertazione comincia nel Luglio 2000 ed ha come oggetti principali di discussione la definizione degli ambi-ti territoriali, il ruolo del coordinatore di ambito, il bilancio sociale di area, il Piano di Zona, gli Uffici di promozionesociale e l’integrazione socio-sanitaria.

Il lavoro risulta abbastanza lungo, tanto che il suo risultato, le Linee guida2, vengono emanate un anno dopo l’av-vio della discussione. Il rallentamento prodotto non è però vissuto in maniera negativa dall’Amministrazione, in quan-to “[…] il percorso di confronto con il territorio viene considerato parte integrante del processo”(Santarelli).Inoltre, si può avere la certezza che “[…] il materiale è già condiviso prima ancora di essere approvato dallaGiunta. […] In questo senso la partecipazione non è stata di fronte ad atti già prodotti, ma è stata costruzio-ne di atti.” (Santarelli).

I punti attorno ai quali si è acceso maggiormente il dibattito, e che hanno contribuito ad allungare i tempi, sonostati senza dubbio quelli relativi alle dimensioni degli ambiti e alla figura dei coordinatori.

Al di là dei contenuti emersi dal dibattito3, appare opportuno evidenziare un altro importante prodotto che questapratica ha generato: l’instaurarsi di relazioni. Il percorso consultivo, infatti, oltre a rappresentare il luogo di condivi-sione a livello dei contenuti, è stato a livello organizzativo un vero e proprio lavoro di tessitura della rete. Da quan-to emerge dalle interviste risulta che i maggiori ostacoli incontrati durante il processo non siano dovuti tanto agli scon-tri sui contenuti, quanto alle normali difficoltà di attivare la cooperazione. Agire in una rete “[…] stravolge comple-tamente il sistema. Non si lavora in maniera settoriale, si lavora in maniera trasversale.” (Banzato).

La rete, per adesso, è ancora vissuta con disagio, perché formata da nodi che prima d’ora non erano mai stati cosìvicini. E ciò “[…] comporta comunque un ripensamento delle singole professionalità. Si è costretti a lavorareassieme e, siccome non si è mai fatto, questo comporta dei tempi, delle difficoltà.” (Santarelli).

Il disagio nasce anche dal fatto che questi nodi, finora, hanno parlato linguaggi diversi: da una parte linguaggi chehanno un dizionario già definito, dall’altra linguaggi che non lo hanno. “[…] La difficoltà sostanziale è che in ambi-to sociale non c’è un linguaggio codificato, non è come la sanità. […] In ambito sociale non c’è questa codifi-ca, per cui spesso si perde del tempo per decidere che lingua parliamo” (Banzato). I nodi, inoltre, sono organiz-zati secondo “filosofie” diametralmente opposte, basti pensare che la sanità “[…] ha un’organizzazione verticisti-ca, con capi ben definiti, con interventi definiti” (Banzato), mentre questo non è assolutamente vero per il socia-le.

I risultati di questo percorso stabile di confronto con tutti i soggetti, istituzionali e non, possono essere quindi rias-sunti in due punti principali:

1. la costruzione di un welfare partecipato e quindi largamente condiviso;2. la tessitura della rete, che costituirà la spina dorsale del sistema integrato marchigiano.La lentezza con cui questi risultati sono stati ottenuti non ne intacca comunque il valore. Ogni processo di Riforma

incontra ostacoli, “[…] anche perché la riforma deve essere condivisa soprattutto da chi ci lavora, primo, ma poi

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condivisa da tutti coloro che in qualche modo hanno nel processo un ruolo differenziato, ma naturalmente stra-tegico.” (Tomassini). La scelta di affrontare prima gli ostacoli può in qualche modo evitare che questi diventino inseguito insormontabili.

Un’altra ragione per cui la lentezza sin qui mostrata può essere considerata soltanto “relativa” è che la rete mar-chigiana sta nascendo ancor prima che l’operatività degli ambiti territoriali lo renda necessario. Si tratta di una rete“[…] che probabilmente si deve sperimentare molto, però è una rete che già qualche percorso ce l’ha. E credoche chi non ce l’ha sicuramente lavorerà meno e avrà più difficoltà rispetto al nostro territorio.” (Banzato).

4.4. La particolarità delle Marche

Tessere una rete, abbandonare il lavoro settoriale in favore di quello trasversale comporta generalmente dei pro-blemi, che possono essere superati in maniera più agevole se i “famosi nodi” hanno già qualcosa che li lega, ossia unobiettivo comune largamente condiviso. Questo legame nel caso marchigiano è la condivisione dell’importanza attri-buita ai servizi sociali. “[…] La particolarità delle Marche è che addirittura Confindustria, facendo una ricercasu come rendere produttivi i distretti industriali, è arrivata alla considerazione che per fare ciò bisogna fareinvestimenti in servizi sociali.” (Biscarini).

Per chiarire meglio questa “particolarità” possiamo prendere a prestito il concetto di capitale sociale così comeè stato utilizzato da Putnam4. Lo studioso americano ha introdotto il concetto come variabile indipendente per la spie-gazione del diverso funzionamento degli organismi regionali italiani. Il capitale sociale è in questa accezione il fattoreche facilita la cooperazione volontaria all’interno di una comunità, è una sorta di bene pubblico condiviso da un’inte-ra collettività: un sinonimo della fiducia sociale. “[…] Caratteristica fondamentale del capitale sociale è quello direndere possibile la cosiddetta reciprocità generalizzata, che si esplica nella disponibilità del cittadino a farequalcosa per gli altri nella certezza che in un tempo non ben definito anch’egli potrà usufruire dello stesso com-portamento altruistico. Ciò è reso possibile grazie ad un elevato livello di fiducia sociale che si autoalimentaattraverso l’esistenza e il funzionamento di circoli virtuosi.”5 Come ogni tipo di capitale anche quello sociale èproduttivo, poiché consente di raggiungere risultati vantaggiosi impossibili da conseguire in sua assenza. Il capitalesociale costituisce, quindi, un requisito fondamentale affinché in una comunità siano presenti partecipazione e respon-sabilizzazione nei confronti dei beni di interesse collettivo.

È evidente che, come lo stesso Putnam sosteneva, nella Regione Marche vi sia “accumulata” una buona dose dicapitale sociale. Lo dimostra, da una parte, l’enorme espansione del Terzo settore “[…] c’è stata una esplosionedella cooperazione sociale nelle Marche negli ultimi 8-10 anni, […] nel giro di 3-4 anni abbiamo moltiplicatoper 3 o per 4 il numero degli addetti.” (Biscarini).

Un altro indizio della diffusione di tale capitale è la presenza di realtà territoriali particolarmente all’avanguardianel settore sociale. Le realtà all’avanguardia dimostrano anche che il capitale sociale non è uniformemente distribui-to nella Regione, ma i testimoni intervistati concordano nell’attribuire loro la funzione di traino rispetto a realtà piùindietro. Ricco di capitale sociale è in particolare il territorio di Pesaro, come stanno dimostrando sia la Provincia cheil Comune. La prima, oltre ad aver reclamato un maggiore peso dell’Ente Provincia nell’assetto organizzativo delSistema Integrato, ha anche con successo proposto la nascita dell’Osservatorio sulle politiche sociali. Il secondo si staspingendo a sperimentare, con l’aiuto della Regione, un’integrazione globale, che coinvolge non soltanto sociale esanitario, ma anche industriale, economico e commerciale.

4.5 Conclusioni

Ripetiamo ancora una volta, a rischio di essere tediosi, che la consultazione sta permettendo ai diversi attori dientrare in contatto, di costruire insieme un lessico comune. Condizione questa necessaria per ottenere un reale siste-ma integrato.

Tutti gli intervistati, nonostante alcune discordanze sugli esiti, riconoscono l’impegno della Regione in questo sensoe concordano sul fatto che questa modalità di lavoro abbia una valenza estremamente positiva.

Così si esprime l’esponente del Volontariato: “[…] Questo strumento può essere uno strumento importantissi-mo all’interno di una chiarezza dei ruoli di ogni soggetto.” (Ragaini)

Tra i testimoni, c’è chi ritiene che la concertazione sarà il fattore di successo del welfare marchigiano, perché attra-verso il dialogo “[…] gli Enti locali sono stati chiamati in prima linea e responsabilizzati a svolgere un ruolochiave nel processo di riforma.” (Tomassini). O ancora, c’è chi enfatizza il valore del lavoro trasversale, perché“[…] c’è un rapporto continuo, c’è una ricerca, c’è la valorizzazione di tutti gli addetti del settore, c’è la defi-nizione delle competenze, dei ruoli.” (Bartolucci).

Altri non dimenticano di sottolineare le condizioni che sono necessarie affinché tale pratica garantisca risultati posi-tivi. “ […] Secondo me (la concertazione) è un punto di forza, ma può trasformarsi in punto di debolezza, se leclassi dirigenti locali sono inadeguate rispetto alle problematiche […] Questa è stata una scelta di democrazia

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partecipativa, la democrazia è difficile, però è la strada che abbiamo scelto.” (Biscarini).Non mancano le critiche sulla gestione della consultazione. “[…] I tavoli sono e rischiano di essere sempre più

i tavoli dei soggetti gestori.” (Ragaini). Una critica che, tuttavia, non rimane sterile, poiché è accompagnata dalla pro-posta di superare questo problema attraverso il coinvolgimento dei rappresentanti degli utenti.

Un altro elemento di criticità, espresso dagli intervistati, riguarda l’incertezza rispetto alle intenzioni del Governonazionale e cioè se questa legge avrà un seguito o verrà stravolta al punto tale da essere rivista completamente nei suoipresupposti. O ancora l’incertezza dovuta alle risorse economiche, “[…] direi che i conflitti non hanno paralizza-to niente, sono più gli aspetti burocratici, istituzionali che danno lentezza, gli aspetti finanziari sicuramente,problemi di fondi, come tutte le regioni.” (Bartolucci).

In conclusione, riteniamo che il metodo adottato nelle Marche, per quanto auspicabile, sia in realtà difficilmenteapplicabile in altri contesti. Non in tutte le Regioni si presentano le stesse condizioni favorevoli: elevato capitale socia-le, un forte impegno della politica ed una tradizione di eccellenza nei servizi sociali, sia pubblici che afferenti al Terzosettore.

D’altra parte, pur in presenza di condizioni favorevoli, occorre ricordare che questo percorso comporta inevita-bilmente un allungamento dei tempi di attuazione della riforma, un rischio che le Regioni più indietro nel sociale nonpossono permettersi il lusso di correre, se vogliono almeno provare a ridurre il gap esistente.

NNoottee::1 Nel caso delle Linee Guida il documento è stato modificato ben 24 volte.

2 D.G.R. n. 1670 del 17 Luglio 2001, Deliberazione amministrativa n. 306/2000, “Piano regionale per un sistemaintegrato di interventi e servizi sociali - Approvazione linee guida”.

3 Per chi volesse conoscere il contenuto delle Linee guida può consultare la Scheda relativa alla Regione Marche.

4 Putnam R. D., “Making democracy work”, Princeton University Press, 1993 (trad. It. La tradizione civica nelleregioni italiane, Mondatori, Milano, 1993).

5 Ricotta G., “Capitale sociale e competenze: le basi per l’occupabilità”, in Rapporto D.I.eS. (DipartimentoInnovazione e Società), Facoltà di Sociologia, Università di Roma “La Sapienza”: “Prospettive dell’occupabilità:acquisizione delle competenze nei percorsi iniziali della vita lavorativa”.

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5.1. Nessun promosso, molti rimandati

Ad un anno e mezzo dall’approvazione della legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi eservizi sociali ed a più di un anno dall’emanazione del primo Piano sociale Nazionale, il nuovo modello di welfare sten-ta a decollare.

Dall’esame dello stato di attuazione della riforma assistenziale è possibile affermare che nessuna Regione ha anco-ra dato pienamente seguito alle disposizioni previste dalla normativa nazionale.

La maggior parte dei governi regionali tarda ad approvare nuovi Piani sociali, con il rischio di vanificare l’obietti-vo prioritario fissato dal legislatore: garantire standard di prestazioni omogenee sull’intero territorio nazionale.

Il panorama regionale italiano appare piuttosto complesso. È possibile, infatti, individuare varie tipologie di con-dotta, in ordine sia alla priorità data ai singoli adempimenti attuativi, sia alle modalità ed ai contenuti adottati. Le dis-omogeneità possono essere, in parte, attribuite alla stessa natura della legge di riforma, che, in quanto legge quadro,fissa unicamente i principi ed i criteri per il riordino del sistema dei servizi sociali, la cui concreta realizzazione rispon-de alla volontà politica di altri soggetti istituzionali, che sono chiamati ad applicarla, in funzione delle responsabilità diloro competenza.

Se è possibile ritrovare un sostanziale accordo tra le Regioni sui principi guida, risulta più difficile operare un para-gone sulle scelte operative.

In questo contesto, ricavare una misura univoca dello stato complessivo di attuazione della legge nazionale non per-metterebbe di cogliere la complessità del fenomeno. Per evidenziare le diverse sfumature, si ritiene più utile operareun’analisi dei diversi orientamenti regionali rispetto ad alcuni adempimenti applicativi.

5.2. La fotografia di un’Italia a più marce

Pilastro della programmazione regionale, il Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali è lo strumento fon-damentale di costruzione del Sistema integrato.

Attualmente 3 Regioni (Basilicata, Marche ed Umbria) hanno in vigore un Piano precedente all’approvazionedella 328/00, che disciplina il comparto sociale sulla base degli orientamenti delineati dall’allora progetto di legge, acui si deve aggiungere la Provincia autonoma di Bolzano.

Soltanto 5 Regioni (Campania, Toscana, Valle D’Aosta, Liguria e Lombardia), unitamente alla Provinciaautonoma di Trento, hanno provveduto ad emettere un nuovo Piano sociale successivo all’approvazione della leggedi riforma nazionale. Di esse soltanto 4 (Campania, Toscana, Valle D’Aosta e Liguria) hanno rispettato i tempi diemanazione previsti dalla legge quadro: 120 giorni dall’adozione del Piano Nazionale, pubblicato sulla G.U. il6/08/2001.

3 Regioni (Emilia Romagna, Piemonte e Veneto) hanno messo a punto un disegno di legge regionale di rece-pimento della normativa nazionale, attualmente all’esame delle competenti Commissioni Consiliari.

6 Regioni (Abruzzo, Calabria, Lazio, Molise, Puglia, Sardegna) hanno avviato un percorso che porterà, contempi e modalità diverse, all’adeguamento della sussistente disciplina regionale.

2 Regioni (Friuli Venezia Giulia, Sicilia) si trovano ancora bloccate ai nastri di partenza.

Se prendiamo in considerazione i tempi previsti per l’emanazione dei Piani sociali Regionali, soltanto 4 Regionihanno rispettato la scadenza fissata.

La Campania, emanando le Linee programmatiche per l’integrazione degli interventi e dei servizi sociali, hascelto di porsi in una prospettiva di progettazione in progress, da completare e ridefinire nei mesi successivi in rela-zione ad un’attenta valutazione dei processi di cambiamento in atto. La Toscana ha optato per la soluzione del Pianotransitorio annuale (per il 2001), al fine di riallineare, a partire dal triennio 2002-2004, la programmazione socialecon il vecchio Piano Sanitario regionale, in vigore fino al 2001. La Valle d’Aosta ha adottato un documento di pro-grammazione socio-sanitaria che si propone, tra i suoi obiettivi, di colmare lo squilibrio organizzativo e culturale trail settore sociale e sanitario, attribuendo un ruolo più incisivo agli Enti locali rispetto alle Aziende Usl. La Liguria ha

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ribadito e perfezionato, con un nuovo Piano Regionale, il sistema integrato già introdotto dal precedente documentodi programmazione sociale 1999/2001, fornendo una visione puntuale della riforma assistenziale.

Tra le Regioni che hanno emanato un nuovo Piano sociale, pur non rispettando i tempi previsti, del tutto originale si dimo-stra il provvedimento della Lombardia, che dichiara la sua intenzione di adottare tutti gli scostamenti e le differenziazioni oppor-tune dall’impianto nazionale, definito nella scorsa legislatura, al fine di tutelare la specificità del proprio assetto federale.

Un gruppo di Regioni governa il sociale con un documento di programmazione emanato prima del Novembre 2000, datadi approvazione della legge di riforma nazionale. Tali Regioni hanno seguito, nei loro provvedimenti legislativi, i contenuti del-l’allora progetto di legge, al fine di dare immediato avvio alla costruzione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Traquelle che storicamente si sono connotate per una forte attenzione al sociale, troviamo Umbria e Marche, che si contraddi-stinguono per l’aver adottato scelte diverse. La prima ha elaborato un welfare a cinque livelli, che fornisce risposte articola-te a condizioni di disagio di diverso peso. La seconda ha optato per la predisposizione di un Piano processo che fornisce sologli indirizzi per la successiva costruzione partecipata del sistema sociale marchigiano. In questo gruppo, rientra la Basilicatache, pur provenendo da una situazione di arretratezza del sistema dei servizi sociali, si è posta l’obiettivo di colmare il propriogap normativo, realizzando, sulla scorta del progetto di legge nazionale, un Piano sociale ben strutturato.

Le due Province autonome di Trento e Bolzano, accomunate da un percorso simile per ciò che riguarda, in particolare,l’attribuzione delle competenze in materia di gestione dei servizi sociali, si differenziano nelle scelte relative all’attuazione dellalegge 328/2000. Mentre Bolzano ha attualmente in vigore un Piano sociale Provinciale approvato nel ’99, Trento ha emana-to le Linee guide per la pianificazione sociale solo da qualche mese, impegnandosi contemporaneamente nella stesura di undisegno di legge di riordino del sistema integrato dei servizi sociali. Se l’una ha quindi anticipato per alcuni aspetti la legge diriforma nazionale, l’altra ha dato il via ad un programmazione che mira ad adeguare la propria normativa alle indicazioni con-tenute in essa.

Rispetto alle modalità di attuazione della riforma assistenziale, la scelta effettuata da Emilia Romagna, Piemonte eVeneto è di dare seguito alle norme relative alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali mediante ununico progetto di legge regionale (attualmente all’esame delle competenti Commissioni Consiliari), che si configura come lostrumento di applicazione della riforma nazionale (in tutti i suoi adempimenti) sul territorio regionale. In luogo di singoli prov-vedimenti attuativi, lo strumento del disegno di legge regionale consente di mettere mano, in modo organico, alla riorganizza-zione del comparto sociale per l’applicazione del sistema integrato e si configura come un punto di riferimento unitario perogni soggetto locale, pubblico o privato, che operi nei diversi ambiti di intervento assistenziale.

Un percorso simile è stato avviato dalla Calabria, fino ad oggi annoverata tra le Regioni più indietro nel comparto socia-le, che si propone, nelle parole del Presidente della Giunta Regionale, di ricalcare la strada emiliana. Al momento, non èstato tuttavia possibile reperire (pur avendone fatta richiesta) il progetto di legge attuativo del sistema integrato, approva-to dalla Giunta e trasmesso al Consiglio Regionale secondo quanto riferito dal Dipartimento per i servizi sociali.

La Puglia ha anch’essa elaborato un progetto di legge regionale, ma limitatamente alla sola definizione degli ambiti terri-toriali ed alla disciplina della gestione associata degli interventi socio-assistenziali, che è attualmente all’esame della compe-tente Commissione Consiliare.

Tra le Regioni in fase di aggiornamento del proprio documento di programmazione sociale, un passo avanti si troval’Abruzzo, la cui proposta di Piano, che intende consolidare e sviluppare il sistema di welfare regionale, già introdotto nellaprecedente legislatura, a partire da un’attenta analisi dei cambiamenti intervenuti nel triennio precedente, è all’esame delConsiglio Regionale, a causa delle note vicende del governo abruzzese.

Il Lazio, che si proponeva, con il primo Piano socio-assistenziale per il triennio 1999-2001, di perseguire ed anticipare lariforma nazionale dell’assistenza attraverso l’avvio di un percorso di sperimentazione, ad oggi ha emanato le Linee guida aiComuni per l’utilizzo delle risorse provenienti dal Fondo Nazionale per le Politiche Sociali 2001, ma è solo ad una primastesura del proprio Piano Regionale.

La Sardegna, pur avendo in proroga un Piano che individua obiettivi e destinatari sovrapponibili a quelli del PianoNazionale, si rifà ad una legge regionale del 1988 e deve adeguare la propria programmazione sociale riguardo importantiaspetti, quali la previsione dei Piani di Zona. Al contrario, il Molise, che ha emanato nel 2000 una legge di riordino delle atti-vità socio-assistenziali, ha solo una proposta di Piano sociale per dare attuazione alla programmazione nazionale. Proposta chedeve ancora essere portata all’attenzione delle forze sociali.

Infine, non hanno emanato, finora, alcun provvedimento ufficiale la Sicilia ed il Friuli Venezia Giulia, che governano ilsociale con una normativa ormai datata.

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali. (L. 328/00, art. 18, comma 6)Campania “Linee programmatiche per la costruzione di un Sistema integrato di interventi e servizi sociali”,

D.G.R. n. 1826/01.Toscana “Piano Integrato Sociale Regionale 2001”, approvato in Consiglio Regionale il 5/06/01.“Linee

guida per la formazione del piano integrato sociale regionale 2002-2004” D.C.R. n. 60.Valle D’Aosta “Piano Socio Sanitario 2002-2004”, L.R. n. 18 del 4 Settembre 2001.Liguria “Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004”, D.C.R. n. 65 del 28/11 - 4/12/01.

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Lombardia “Piano Socio Sanitario 2002-2004”, approvato in Consiglio Regionale il 13 Marzo 2002.Trento “Piano Sociale Assistenziale per la Provincia di Trento 2002-2003. Linee guida e misure attuati-

ve”, DGP n. 581 del 22 Marzo 2002.Bolzano “Piano Sociale Provinciale 2000-2002”, approvato il 13 dicembre 1999.Umbria “Piano Sociale Regionale 2000-2002”, D.C.R. n.759 del 20 Dicembre 1999.Basilicata “Piano Socio Assistenziale Regionale 2000-2002”, delibera n.1280 del 22 Dicembre 1999.Marche “Piano Regionale per un Sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000-2002”, deliberazio-

ne amministrativa n. 306 del 1 Marzo 2000.

Stato di avanzamento dei lavori nelle altre RegioniAbruzzo Proposta di Piano sociale Regionale 2002-2004, D.G.R. 1347 del 31 Dicembre 2001, attualmen-

te all’esame del Consiglio Regionale.Calabria Progetto di legge regionale: “Realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali nella

Regione Calabria (in attuazione della legge 328/2000)” - D.G.R. n. 212 del 19 Marzo 2002.Emilia Romagna Progetto di legge regionale: “Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realiz-

zazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, attualmente all’esame della compe-tente Commissione Consiliare.

Lazio Prima stesura del Piano socio-assistenziale per il triennio 2002-2004.Molise Elaborata una proposta di Piano sociale Regionale.Piemonte Disegno di legge regionale: “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di inter-

venti e servizi sociali”, n. 407, attualmente all’esame della competente Commissione Consiliare.Puglia Disegno di legge regionale: “Individuazione degli ambiti territoriali e disciplina per la gestione

associata dei servizi socio-assistenziali - Disciplina delle funzioni e dei compiti amministrativi inmateria di servizi sociali da parte degli enti locali”, atto n. 166/A, attualmente all’esame della com-petente Commissione Consiliare.

Sardegna Prorogato il “Piano Socio Assistenziale per il triennio 1998-2000”, approvato dal ConsiglioRegionale il 29 Luglio 1998. Da aggiornare (in particolare per la previsione del Piano di Zona).

Veneto Progetto di legge regionale n. 241/2002: “Testo organico per le Politiche Sociali della RegioneVeneto”, attualmente all’esame della competente Commissione Consiliare. Piano sociale Regio-nale in corso di elaborazione.

Friuli Venezia Giulia Nessun provvedimento formale.Sicilia Nessun provvedimento formale.

5.3. I Livelli essenziali di assistenza in ambito territoriale

Per quanto riguarda la definizione, sulla scorta delle indicazione nazionali ed in funzione delle diverse esigenze locali, deilivelli essenziali di assistenza da garantire in ogni ambito territoriale, la situazione si presenta piuttosto critica. Se la volontà diassicurare prestazioni omogenee sull’intera Penisola italiana rappresenta, senza dubbio, un aspetto caratterizzante della leggequadro, solo 4 Regioni hanno già provveduto a delineare i livelli essenziali di assistenza in ambito zonale: Basilicata, Liguria,Umbria e Valle D’Aosta. La Toscana ha avviato una fase sperimentale, mentre la Provincia autonoma di Bolzano devecompletare un percorso già avviato negli anni precedenti.

Tra le Regioni che hanno dichiarato di aver intrapreso uno studio in questa direzione, un passo avanti si trova l’Abruzzo,nella cui proposta di Piano sociale (all’esame del Consiglio Regionale) la definizioni dei livelli essenziali, da garantire nel pros-simo triennio, poggia sull’analisi dei risultati raggiunti dalla precedente programmazione sociale ed è realizzata in funzionedelle carenze da colmare e dei bisogni sociali da soddisfare.

Dall’esame comparato dei provvedimenti emanati, particolarmente interessante, seppur precedente alla definitiva appro-vazione della legge quadro, è risultato il lavoro di Umbria e Basilicata, che hanno assolto a questa competenza regionaleattraverso una puntuale definizione non solo degli interventi da garantire e degli obiettivi da perseguire, ma anche dei conte-nuti del servizio. I loro documenti di programmazione sociale delineano obiettivi specifici e standard gestionali, indicando temi,destinatari, modalità organizzative e dotazioni professionali.

Nel caso dell’Umbria, in particolare, l’individuazione di tipologie di servizio innovative viene ad accostarsi alla ricolloca-zione delle prestazioni già esistenti, attraverso la selezione dei loro punti di criticità ed il suggerimento di percorsi di adegua-mento.

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali. (L. 328/00, art. 22, comma 4)Basilicata Piano Socio Assistenziale Regionale 2000-2002.Bolzano Definiti in parte.Liguria Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004.

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Toscana Avviata fase sperimentale.Umbria Piano sociale Regionale 2000-2002.Valle D’Aosta Definiti con precedenti leggi di settore e riaffermati con la legge regionale di approvazione del

PSSR (L.R. 18/01).

5.4. I Titoli per l’acquisto dei servizi sociali

Una novità apportata dalla legge quadro è quella dei Titoli per l’acquisto dei servizi sociali, che introducono nel set-tore assistenziale il modello della libera scelta dell’utente. Il fine è di sviluppare una dinamica di mercato a vantaggio dellaqualità, laddove sia l’utente (e la sua famiglia) il principale giudice del servizio erogato.

In un panorama di generale inadempienza sulla disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei Titoli, laLombardia ha da poco concluso la sperimentazione del buono socio-sanitario per l’anno 2001, la Liguria ha avviato lasperimentazione per il biennio 2002-2003 e la Toscana ha elaborato un progetto di sperimentazione per il Comune diFirenze.

La Lombardia ha introdotto i buoni servizio per le famiglie nella propria normativa già dal 1999, con l’obiettivo di favo-rire l’acquisizione diretta delle prestazioni erogate da Enti pubblici e privati accreditati o convenzionati. Attualmente, essa èl’unica Regione ad avere non solo favorito l’utilizzo di questo strumento, ma ad avere addirittura concluso la sperimenta-zione del buono socio-sanitario per l’anno 2001. Tale sperimentazione, da poco terminata, ha coinvolto 7000 famiglie delterritorio lombardo e la Regione si presta adesso a valutarne i risultati per la definizione dei futuri sviluppi operativi.

La Liguria ha avviato la sperimentazione dei “titoli servizio” per il biennio 2002-2003 con il nuovo Piano triennale.Rispetto al buono lombardo, indirizzato in via prioritaria alle famiglie in situazioni di bisogno, quello ligure si configuracome una misura aggiuntiva rivolta a tutti i cittadini. Le due sperimentazioni differiscono infatti per i servizi cui sono desti-nati i titoli, mentre in Lombardia il buono si configura come uno strumento per valorizzare la cura dell’anziano a domici-lio, in Liguria l’acquisto dei servizi spazia dall’aiuto domestico famigliare, al sostegno per non autosufficienti, fino ad arri-vare all’assistenza educativa, attraverso assistenti famigliari o baby sitter.

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi. (L. 328/00, art. 17, comma 2)Liguria Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004.Lombardia L.R. 23/1999 “Politiche regionali per la famiglia”.

D.G.R. n. 2857/2000 “Sperimentazione del buono socio sanitario a favore di anziani non auto-sufficienti assistiti in famiglia”.

Toscana Avviata fase sperimentale.

5.5. Una panoramica generale

Scorrendo il complesso degli adempimenti attuativi di competenza regionale possiamo constatare che la quasi totali-tà delle Regioni ha provveduto alla ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato (art. 4, comma 3) ed alla deter-minazione degli ambiti territoriali (art. 8, comma 3, lettera a)), che di norma vengono a coincidere con i distretti sani-tari.

Al contrario, completamente evaso, se si esclude la presenza di alcuni progetti o l’avvio di tavoli di discussione, risul-ta l’adeguamento della normativa regionale ai principi del decreto legislativo recante una nuova disciplina delle IstituzioniPubbliche di Assistenza e Beneficenza (art. 10, comma 3). Tanto più se si considera che il riordino delle IPAB dovevaessere effettuato entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto, pubblicato sulla G.U. il 1/06/2001.

Stessa sorte per la determinazione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazio-ni (art.8, comma 3, lettera h)), con l’unica eccezione della Basilicata, che ha provveduto ad individuare i caratteri strut-turali e gestionali nel proprio documento di programmazione sociale.

Per la definizione dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi (art. 8comma 3, lettera f)), mentre alcune Regioni dispongono di vecchie disposizioni sull’autorizzazione, nessuna ha ancoraattuato provvedimenti sul delicato tema dell’accreditamento e della vigilanza.

Meno della metà delle amministrazioni ha provveduto a disciplinare i rapporti tra Enti locali e terzo settore (art. 5,comma 3), nonostante sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona il precedente Governo abbia prodotto, in osse-quio alle disposizioni normative, un atto di indirizzo e coordinamento che ha la funzione di guidare le scelte regionali.

Guardando all’ancora incompleta attuazione della riforma assistenziale potrebbe essere legittimo parlare di ritardifisiologici legati ai tempi tecnici di recepimento di una legge innovativa, che richiede il coinvolgimento di tutti gli attori,istituzionali e non, che operano sul territorio nazionale. In realtà patologica appare la situazione delle Regioni più indie-tro, per le quali non è possibile delineare neanche i tempi e le modalità di futura realizzazione del sistema integrato. Fattorequesto che reitera l’assenza di un complesso di prestazioni omogenee sull’intero territorio nazionale.

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PPaarrttee qquuiinnttaa

IINNDDAAGGIINNEE DDEELLPPHHII((DDaanniieellaa BBuuccccii,, AAnnttoonneellllaa LLiizzaammbbrrii))

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66.. IILL FFUUTTUURROO DDEELLLLAA LLEEGGGGEE 332288//22000000 TTRRAA VVIINNCCOOLLII EEDD OOPPPPOORRTTUUNNIITTÀÀ

6.1. Introduzione

L’indagine contenuta in questa parte del rapporto è stata realizzata con l’obiettivo di tracciare un’immagine plau-sibile del futuro dei servizi sociali in Italia dal 2002 al 2005, con particolare riferimento allo stato di recepimento edattuazione della legge 328 del 2000.

La credibilità del rapporto previsionale è direttamente legata alla rigorosità del metodo adottato per la sua realiz-zazione.

Per questo progetto, la costruzione dello scenario futuro è avvenuta con l’ausilio di una variante del metodoDelphi, che implica l’individuazione di una molteplicità di item previsionali, discriminati secondo criteri di plausi-bilità e probabilità soggettiva. L’essenza del procedimento consiste nel dedurre, dalla consultazione di un gruppo diesperti, una “previsione comune” che sia degna di fiducia. Il futuro, di per sé multiplo ed incerto, viene a dipenderedal grado di conoscenza e capacità previsionale degli esperti e dalla sintesi delle loro esperienze, piuttosto che daidati empirici.

La doppia forma di consultazione (prima libera e riflessiva, poi analitica e basata sul meccanismo della scelta seccafra il sì e il no), l’anonimato reciproco degli esperti (che evita sia le contrapposizioni pregiudiziali, sia un assenso fon-dato più sul rispetto dell’autorevolezza che su una verifica puntuale), la selezione severa delle previsioni accettabili(che porta a scartare tutte le frasi in cui non si raggiunge il consenso di almeno due terzi degli esperti) costituisconol’insieme degli accorgimenti metodologici utilizzati a garanzia dell’affidabilità del quadro risultante.

La scelta di proporre in questa sede delle affermazione assertive, in luogo di formule ipotetiche, non deve tuttaviatrarre in inganno: l’intento della ricerca non è quello di offrire certezze circa il verificarsi di accadimenti futuri. Si trat-ta piuttosto di una scelta stilistica, dettata dal desiderio di proporre degli utili spunti di riflessione sui possibili anda-menti futuri, con l’obiettivo di aprire il dibattito politico e di fornire ulteriori strumenti al processo decisionale.

Il senso della costruzione degli scenari previsionali, e quindi anche del progetto “Il futuro della legge 328/2000tra vincoli ed opportunità”, sta principalmente in questo: nell’indurre, con la forza del metodo scientifico, i protago-nisti della vita sociale, della cultura, dell’economia e i decisori della sfera pubblica ad affrontare la fatica ed il rischiodell’anticipazione, per progettare con maggiore consapevolezza le scelte del futuro.

77.. VVEERRSSOO UUNN NNUUOOVVOO MMOODDEELLLLOO DDII SSEERRVVIIZZII SSOOCCIIAALLII

7.1. Croci e delizie delle politiche sociali

Nel prossimo triennio, gli effetti della legge 328/2000 sull’erogazione dei servizi sociali saranno sicuramente posi-tivi. Con l’attuazione del sistema integrato, i servizi assistenziali saranno più coordinati, grazie alla progressiva esten-sione dell’attività di programmazione, più rispondenti alla domanda sociale e più orientati ai bisogni della comunità.

Il modello di politica sociale che si affermerà nel prossimo triennio vedrà le Istituzioni pubbliche impegnate nellaprogrammazione sinergica degli interventi, nei diversi settori che incidono sulla qualità della vita delle comunità e deisingoli che le compongono. Da qui al 2005, si registrerà uno sviluppo della legislazione regionale e degli strumenti diprogrammazione regionale e locale che influirà sull’erogazione dei servizi sociali, in termini di integrazione e siner-gia con i servizi di altri settori che concorrono al benessere e allo sviluppo dei singoli e delle comunità locali (sani-tà, scuola, formazione, politiche abitative, ecc.). Significativa, in questa direzione, sarà soprattutto la definizione degliambiti di integrazione tra sociale e sanitario.

Le differenti programmazioni territoriali, le diverse regolamentazioni, le iniziative che prenderanno il via, graziealle entità economiche che si renderanno disponibili nel primo triennio, non incrementeranno i nuovi servizi inmaniera caotica, ma offriranno sostegno a quelli vecchi. Si verificherà quindi il fenomeno per cui i servizi territorialie promozionali non prenderanno il posto dei servizi segreganti, ma si affiancheranno ad essi.

In alcune Regioni (quali, ad esempio, la Sicilia) l’attuazione della legge non eserciterà effetti particolari sullemodalità di erogazione degli interventi, almeno non in tempi così brevi. Piuttosto si ripiegherà sugli standard fissatidalle vigenti leggi regionali e si deciderà strategicamente di occuparsi, in questa prima fase, solo della convergenzafra le varie PP.AA. locali interessate alla programmazione. In questo modo, si punterà più ad innovare il processo, che

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non il prodotto, ovvero i servizi sociali.Complessivamente, la legge 328/2000 porterà ad interventi nel loro insieme efficienti ed apporterà efficacia di

soluzioni, laddove i cittadini sapranno chiedere ed esigere. Il maggior punto di forza della legge sarà infatti nella crea-zione di una cornice per lo sviluppo di politiche sociali fondate sulla programmazione coordinata, che sappiano inci-dere sulla qualità della vita delle persone e sul riconoscimento del diritto dei cittadini ad ottenere le prestazioni ed iservizi sociali, a fronte di un dovere dei soggetti pubblici di garantirli.

7.1.1. Tra qualità e quantità

Il processo di attuazione della legge quadro determinerà il miglioramento della qualità delle prestazioni sociali ela promozione dell’assistenza mirata. Il potenziamento della qualità degli interventi avverrà molto gradualmente ed inmaniera più accentuata laddove già esiste un sistema di servizi maturo.

L’incremento della qualità delle prestazioni non si verificherà a fronte di una riduzione del numero dei beneficia-ri. Al contrario, si registrerà un aumento del numero delle famiglie che si affacceranno nel mercato sociale regolatodall’Ente pubblico.

La crescita quantitativa dei servizi sociali avverrà solo se le risorse aggiuntive, che la legge renderà disponibili, ver-ranno utilizzate per garantire i livelli essenziali delle prestazioni, previsti dalla normativa. Il rischio è che tali risorsevengano impiegate, in futuro, per riequilibrare la riduzione della spesa in campo sanitario.

7.2. Sinergie pubblico - privato

L’attuazione della riforma assistenziale produrrà un salto di qualità nell’azione degli Enti pubblici. I Comuni diver-ranno, nei prossimi 5 anni, i protagonisti della riorganizzazione dei servizi e delle politiche sociali. E ciò permetteràdi sviluppare logiche di riposta più vicine ai cittadini.

Nel prossimo triennio, le principali ricadute della legge, nel campo dei servizi, riguarderanno il ruolo del privatosociale, che verrà coinvolto in misura maggiore e per un apporto più qualificato, sia nella fase di progettazione, chenella fase di definizione e gestione dei Piani territoriali.

La realizzazione dei Piani di Zona, ancorché difforme sul territorio, determinerà una rivoluzione “copernicana”nel rapporto tra Amministrazioni e società civile, se non altro per il ruolo assegnato al dialogo tra i vari soggetti isti-tuzionali e le espressioni del terzo settore, all’interno di un rapporto non semplicemente gerarchico. Ciò creerà i pre-supposti per la nascita di sinergie tra pubblico e privato, che vedranno il privato, ed in particolare i soggetti del terzosettore, come erogatori di servizi sociali e partner nella programmazione e realizzazione concertata degli interventi.Alla maggior parte delle Pubbliche Amministrazioni mancherà, tuttavia, un’adeguata capacità di progettazione. E ciòimpedirà loro di individuare gli elementi migliori del terzo settore e di evitare ritardi o carenze nella programmazio-ne.

Nel breve termine, l’attuazione della legge non metterà in crisi l’organizzazione dei servizi sociali. I soggetti ero-gatori adotteranno modelli organizzativi e di gestione orientati ai risultati. Ed aumenterà la compartecipazione degliutenti al costo delle prestazioni.

7.2.1. La nascita di un mercato sociale concorrenziale

Tra i diversi soggetti chiamati a concorrere al sistema integrato di interventi e servizi sociali si registrerà un’assenzadi pari opportunità di partenza, che renderà difficile guidare lo sviluppo del mercato socio-assistenziale su parametridi qualità e di corretta valorizzazione degli aspetti imprenditoriali dell’area dei servizi socio-sanitari ed assistenziali.

Nei prossimi tre anni, gli Enti locali non smantelleranno i propri servizi pubblici per affidarli alle organizzazionidel terzo settore. Ma si realizzerà un’apertura del mercato sociale.

Le differenze territoriali saranno legate alle diverse visioni ed orientamenti politici che caratterizzano i Governiregionali. Alcune Regioni manifesteranno una più spiccata tendenza alla privatizzazione della gestione dei servizi socia-li, con trasferimento di risorse ai soggetti privati, fondato sul riconoscimento del valore della libera iniziativa, del ruoloequilibratore del mercato e del potere che su questo hanno le scelte dei cittadini.

L’attuazione della legge introdurrà quindi, in campo sociale, una certa forma di concorrenza. Anche se l’entità delfenomeno sarà modesta nei prossimi tre anni, a causa della ristrettezza dell’arco temporale considerato e della len-tezza dei processi di sviluppo delle nuove idee e dei nuovi servizi.

In questo contesto, da un lato, i soggetti più svantaggiati difficilmente sapranno scegliere il miglior fornitore, mani-festando una scarsa capacità di orientamento nel mercato, dall’altro il terzo settore diventerà dipendente dal merca-to dei servizi e non sarà propositivo di interventi innovativi e di politiche sociali eque.

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88.. NNUUOOVVEE OOPPPPOORRTTUUNNIITTÀÀ PPEERR II CCIITTTTAADDIINNII

8.1. Politiche sociali a misura d’uomo

Le nuove opportunità che scaturiranno dall’attuazione della legge 328/2000 saranno:- la legittimazione istituzionale dei bisogni sociali dei cittadini;- l’emergere di occasioni di confronto e di apertura alle problematiche degli altri, attraverso l’incontro tra

categorie diverse di fasce deboli;- la ricerca dell’azione concordata e sinergica.Grazie al coinvolgimento dei soggetti operanti nel campo della solidarietà sociale, il sistema integrato di inter-

venti e servizi sociali, in generale, ed i Piani di Zona, in particolare, diverranno “permeabili” alle effettive esi-genze degli utenti. Si affermerà un welfare territoriale partecipato, che chiamerà i cittadini (singoli o associati)ad essere protagonisti nella definizione dei sistemi locali. E si attuerà una politica di promozione dei diritti di cit-tadinanza sociale, che favorirà il passaggio da politiche di assistenza a politiche di inclusione.

Ciononostante, da qui al 2005, non si realizzerà l’effettivo superamento della visione dell’assistenza socialecome assistenza categoriale. La legge non aumenterà la capacità del sistema di offrire i servizi sociali anche aicittadini non appartenenti alle fasce più deboli e svantaggiate. E non si affermerà una nuova concezione dellepolitiche sociali volta ad azzerare i “diritti” riconosciuti solo ed esclusivamente in funzione dell’appartenenzacategoriale.

Le famiglie non si trasformeranno da soggetti passivi a soggetti attivi, direttamente coinvolti nelle politichesociali, ma l’attuazione delle legge offrirà alle diverse categorie di cittadini coinvolti l’opportunità, almeno informa embrionale, di poter confrontare offerte differenti.

8.2. I nuovi servizi

Dal punto di vista dei servizi offerti, svolgeranno un ruolo decisivo nel garantire la soddisfazione degli utenti:la Carta dei servizi ed il Segretariato sociale.

La Carta dei servizi rappresenterà uno strumento utile per il cittadino in termini di conoscenza delle oppor-tunità esistenti e di esigibilità dei servizi a livello locale. Il Segretariato sociale diventerà uno strumento crucialeper eliminare le disparità di accesso al sistema dei servizi sociali.

Quanto all’introduzione dei titoli per l’acquisto dei servizi, bisogna sottolineare, in positivo, che i buoni ver-ranno spesi esclusivamente per l’acquisto delle prestazioni sociali da parte delle persone alle quali saranno desti-nati, a differenza di quanto avviene oggi con le provvidenze economiche che spesso vengono designate a scopidiversi da quelli per i quali erano state concesse. Tuttavia, i buoni servizio verranno erogati al di fuori di realiprocedure di controllo sulla qualità degli interventi erogati. E ciò determinerà uno snaturamento di questo stru-mento, che si ridurrà ad una mera erogazione di carattere monetario, non rispondente alle finalità per cui erastato introdotto. Emblematico sarà, in questo caso, l’esempio della Lombardia.

8.3. Universalismo selettivo

Le risorse finanziarie realmente a disposizione per l’applicazione del sistema integrato risulteranno insuffi-cienti a garantire un accesso alle prestazioni di tipo universalistico. Si realizzerà una selezione degli individui chepotranno accedere ai servizi sociali (universalismo selettivo) e gli Enti locali saranno in condizione di erogarei servizi richiesti solo imponendo tassazioni aggiuntive ai cittadini.

Il percorso indicato dalla legge porterà a risultati valutativi differenti, in particolar modo sul concetto di assi-stenza. Le Regioni dovranno rispondere all’interrogativo: far fronte ai bisogni dei più poveri o realizzare il dirit-to sociale dei cittadini?

La modalità di risposta a questo interrogativo condurrà a sistemi sociali regionali differenziati.

8.3.1. I destinatari

Nell’arco dei prossimi tre anni, trarranno i maggiori benefici dall’applicazione della legge le categorie di cit-tadini organizzate in associazioni e movimenti di tutela dei diritti fortemente rappresentate sui territori ed asso-ciate ad imprese sociali esercenti servizi e prestazioni da loro richieste ed indicate o addirittura di loro stessa

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emanazione. Al contrario, trarranno i minori benefici le categorie meno rappresentate, i cittadini singoli isolatie le “minoranze”, che non saranno in condizioni di accedere neanche all’informazione relativaall’istituzione/erogazione degli interventi. Permarrà infatti il problema dell’accessibilità culturale e sociale ai ser-vizi.

In particolare, i maggiori beneficiari saranno:- gli anziani, più considerati in virtù della loro maggiore incidenza numerica;- i disabili, verso i quali verranno effettuati i maggiori sforzi;- le persone con problemi di non autosufficienza, anche se in quest’area persisterà un’enorme quantità di

domanda di tutela non soddisfatta.Viceversa trarranno i minori benefici:- i tossicodipendenti;- gli alcoolisti;- gli immigrati;- i giovani a rischio;- le famiglie unifamiliari;- i carcerati.Ciò accadrà soprattutto perché la risposta ai bisogni di questi soggetti sarà lasciata più a valutazioni territo-

riali e di emergenza, che ad esigenze generali di lotta alla povertà e di attivazione di strategie condivise di inclu-sione sociale.

In ogni caso, permarrà un gap tra l’entità dei bisogni sociali e le risorse disponibili.

99.. VVAALLUUTTAARREE LLAA QQUUAALLIITTÀÀ

9.1. Un obiettivo ancora lontano

I vari livelli di governo non si doteranno di strumenti di verifica periodica dei bisogni della popolazione e del-l’adeguatezza delle risposte date ai cittadini, nonostante le indicazioni fornite dalla legge.

Tra il 2002 ed il 2005, verrà realizzato uno scarso lavoro di analisi dei bisogni sociali. Tra i soggetti istituzio-nali e le organizzazioni del terzo settore non si realizzerà identità ed omogeneità di vedute sul tema dell’analisidei bisogni.

Tuttavia, nel breve periodo, si rafforzerà, nel campo dei servizi sociali, l’assetto istituzionale (in termini diorgani, funzioni e strumenti) degli Enti locali. Di particolare rilievo sarà la creazione di Osservatori, quali stru-menti di supporto nelle attività di programmazione, decisione ed omologazione.

Nel prossimo triennio, mancherà un forte sistema nazionale informativo e di monitoraggio dei processi messiin moto dalla legge. Al livello territoriale, non sarà istituito, all’interno delle varie Amministrazioni, un nuovo uffi-cio per la valutazione delle politiche sociali. Gli Enti locali continueranno ad essere molto in ritardo ed in diffi-coltà nell’individuare gli strumenti di misurazione della soddisfazione dei cittadini. Ed il tema della valutazionenon verrà affrontato seriamente. Si avvertirà, in particolare, l’assenza di una forte cultura comune e di un siste-ma di monitoraggio dei risultati, alimentato da un processo permanente di scambio delle migliori pratiche.

La lenta adozione di sistemi di qualità rispetto alle strutture esistenti controbilancerà, nel periodo considera-to, le ricadute positive della legge in termini di efficienza ed efficacia dei servizi sociali.

9.2. Gli strumenti di valutazione

Per la misurazione della soddisfazione dei cittadini saranno adottati strumenti semplici, come i questionarianonimi a domande chiuse, rivolti soltanto a chi è in grado di rispondere e/o alle famiglie di appartenenza.

Nel complesso, sarà data poca attenzione, nei prossimi anni, alle tecniche di rilevamento della soddisfazionedegli utenti e la Carta dei servizi non sarà considerata diffusamente come un elemento per avviare e sviluppareun sistema di valutazione della qualità, che veda coinvolti i cittadini e gli utenti.

Le modalità di misurazione non saranno finalizzate a verificare prestazioni, soddisfazioni e fedeltà. E non siadotteranno strumenti valutativi dell’efficacia delle politiche sociali e della soddisfazione dei cittadini su specifi-ci servizi (indagini, questionari o interviste mirate).

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1100.. LL’’IINNFFOORRMMAATTIIZZZZAAZZIIOONNEE DDEEII SSEERRVVIIZZII SSOOCCIIAALLII

10.1. Resistere

Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nonostante tutte le loro potenzialità, non saranno postealla base del sistema dei servizi sociali.

Benché nel prossimo triennio si registrerà uno sviluppo ulteriore dell’utilizzo di tali tecnologie nel settore socio-sani-tario ed assistenziale, molte Pubbliche Amministrazioni risulteranno sprovviste delle risorse e del know how necessari adun loro pieno utilizzo nel comparto sociale. Ciò riguarderà soprattutto i piccoli Comuni, dove fondamentale si rivelerà ilruolo di supporto delle Regioni e delle Province.

Peraltro, le Regioni continueranno ad essere in forte difficoltà, nel settore delle nuove tecnologie e del loro impiegosociale. Da qui al 2005, i Poteri Pubblici non realizzeranno una vera innovazione normativa relativa alla standardizzazio-ne tecnologica ed alla riorganizzazione amministrativa e procedurale delle banche dati, delle fonti informative e dellemodalità di raccolta delle informazioni. Tanto che, nell’insieme, le PP.AA. non applicheranno in misura rilevante gli stru-menti informatici nel campo dei servizi sociali: gli URP, le sedi circoscrizionali e gli enti di patronato rappresenteranno iluoghi di facilitazione dell’accesso alle informazioni.

La misura modesta con cui le nuove tecnologie verranno applicate nel comparto sociale dipenderà anche dalla ristret-tezza dell’arco temporale considerato, che sarà insufficiente a creare una nuova cultura, indispensabile ad un uso disin-volto di tali tecnologie su argomenti che vengono ancora trattati con “pudore”.

Lo sviluppo nell’applicazione degli strumenti informatici sarà inoltre frenato dall’esistenza di asimmetrie nel loro uti-lizzo, da parte di cittadini ed utenti.

Nel complesso, l’impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione non sarà all’altezza di sostituirsialla capacità di ascoltare e concertare. La programmazione ed il lavoro in rete tra i diversi soggetti presenti sul territoriosi costruirà non a tavolino, ma stando in contatto con chi è sul campo, mettendo assieme chi rappresenta le Istituzioni, iservizi pubblici, la società civile ed i bisogni dei cittadini.

1111.. UUNN SSIISSTTEEMMAA TTEERRRRIITTOORRIIAALLMMEENNTTEE SSQQUUIILLIIBBRRAATTOO

11.1. Il doppio passo italiano

Nel prossimo triennio, si realizzerà un’attuazione della riforma assistenziale a macchia di leopardo. In alcune Regionisi avrà una concretizzazione della legge coerente con gli obiettivi del Piano sociale Nazionale, in altre Regioni le risorsedel Fondo Nazionale verranno utilizzate per finanziare il vecchio sistema o addirittura per risanare i deficit di bilancio.

Le Regioni che hanno avviato, a partire dagli anni ’70, vari servizi sociali e sanitari e che hanno maturato esperienzequalificate nel settore si troveranno avvantaggiate, rispetto ad altre in cui l’impianto normativo vigente, seppur avanzatorispetto agli anni ’80, non ha trovato piena attuazione e richiede un adeguamento alla luce della legge 328.

La spinta verso l’autonomia dei governi territoriali accentuerà gli squilibri regionali nell’erogazione dei servizi socia-li. Fra il 2002 ed il 2005, si evidenzierà l’incapacità di superare la disomogeneità regionale e si registrerà la difficoltà, daparte delle Regioni in ritardo, di colmare i gravi svantaggi di partenza accumulati:

- nelle istituzioni: assenza, carenza, precarietà e scarsità di risorse;- nelle relazioni tra svantaggiati: corporativismo, maggiore possibilità di imboccare percorsi di esclusione sociale, lotta

tra poveri, tra disoccupati, tra emarginati;- negli effetti perversi del mercato del lavoro: ristrutturazioni, deindustrializzazione, delocalizzazione, ridimensiona-

mento, forte presenza di settori marginali e “sommersi”.Nel nostro Paese, permarrà quindi una situazione caratterizzata da:- un’accentuata disparità dei sistemi locali nell’erogazione dei servizi sociali e nelle modalità di accesso alle presta-

zioni;- un marcato squilibrio, nel sistema degli interventi, tra trasferimenti economici e servizi sociali, questi ultimi presso-

ché inesistenti in intere aree della Penisola;- interventi non sempre e non ovunque capaci di misurarsi con aspettative e bisogni mutati.

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11.1.1. Il peso della storia

La legge 328/2000 avrà tempi di attuazione particolarmente lunghi soprattutto in quelle Regioni che tradizionalmente nonbrillano dal punto di vista dell’intervento sociale e dell’efficienza amministrativa nell’applicazione di questi servizi. Le ricadutedella legge si cominceranno quindi a vedere, specialmente in queste Regioni, in un arco temporale particolarmente lungo,comunque non inferiore alla fine del triennio 2002-2005.

In materia di spese per il sociale, persisterà l’enorme divario tra le Regioni a statuto ordinario e le Regioni a statuto spe-ciale, come conseguenza di un sistema istituzionale che ha attribuito maggiori competenze e ha sommerso di trasferimentifinanziari le cinque Regioni “speciali”.

Una significativa disparità regionale emergerà anche in merito all’elaborazione dei Piani di Zona. Poche Regioni speri-menteranno lo strumento dei Piani operativi, mentre la maggioranza sarà occupata a mettere mano alla ridefinizione ammini-strativa del proprio apparato.

L’emergere di queste differenze territoriali, nell’attuazione della legge, dipenderà dalla storia pregressa di organizzazione,gestione e valutazione dei servizi sociali come sistema e come rete. Le principali differenze territoriali emergeranno infatti fraquelle Regioni in cui sono già consolidate le prassi della programmazione integrata d’area e della concertazione pubblico/pri-vato e quelle in cui tali procedure devono ancora trovare una standardizzazione. Queste ultime sconteranno un ritardo, chenon permetterà di avere effetti benefici sui servizi sociali per alcuni anni.

Le Regioni che si segnaleranno per efficienza saranno dunque quelle che, in passato, hanno già introdotto, nelle loro legis-lazioni e nella loro attività amministrativa, elementi della riforma (quali la diffusione ed il consolidamento dei diritti di cittadi-nanza sociale, lo sviluppo della sussidiarietà verticale ed orizzontale, gli strumenti per garantire i principi di collaborazione edintegrazione dei livelli istituzionali). Al contrario, le Regioni che, negli anni passati, non hanno sperimentato nel sociale i model-li organizzativi e le forme di coordinamento auspicate dalla legge dovranno affrontare preventivamente tali questioni e sub-iranno inevitabili rallentamenti legati alla concertazione ed all’integrazione.

Realizzeranno comunque significativi passi in avanti quelle Regioni che accenderanno un confronto reale con le rappre-sentanze sociali, ed in particolare con i sindacati, quanto meno sul terreno delle normative di attuazione della legge.

11.2. La questione meridionale

Il nostro Paese, in materia di politiche sociali, continuerà a viaggiare a due velocità. Il rapporto tra Regioni del Centro-Norde del Sud rimarrà caratterizzato da una significativa ineguaglianza. Le Regioni meridionali accumuleranno forti ritardi nellacostruzione del sistema integrato di interventi e servizi sociali nel confronto con il resto del territorio, a causa soprattutto diun’eccessiva debolezza del terzo settore e dell’impresa sociale. Nella programmazione ed erogazione dei servizi persisterà ladivaricazione Nord - Sud della Penisola rispetto alla quantità ed alla qualità delle prestazioni erogate.

La specificità delle disuguaglianze territoriali, nel sistema dei servizi sociali, dipenderà dalla forte incidenza della matricestrutturale dei fenomeni di degrado socio-economico e di carenza dei servizi sociali, che continuerà a connotare molte Regionimeridionali, quali la Campania, la Sicilia e la Calabria. Tali disuguaglianze, che manifesteranno una tendenza all’aumento,saranno amplificate dal prevalere, nelle Regioni del Sud, di una situazione di instabilità occupazionale (quando non addirittu-ra di forte disoccupazione ed espulsione dal mercato del lavoro), a fronte di contesti a forte stabilità socio-economica e diquasi pieno impiego propri delle Regioni del Nord, quali la Lombardia ed il Veneto. In questa direzione, le differenze territo-riali, nel sistema dei servizi sociali, saranno difficilmente confrontabili laddove esisterà un’offerta di lavoro in grado di coprirela domanda, poiché un’occupazione adeguatamente remunerata sarà il primo fattore di contrasto della povertà.

Le Regioni che si segnaleranno per efficienza saranno dunque certamente le Regioni centro-settentrionali, poiché farannotesoro della loro storia più consolidata di programmazione sociale e potranno beneficiare di un contesto socio-economico dilivello più avanzato rispetto a quello meridionale. Nonostante questo, le Regioni con impianti normativi e culturali già a soste-gno dei soggetti deboli, anche del Sud, utilizzeranno le risorse economiche messe a disposizione dalla legge per allinearsi alleRegioni con esperienze più avanzate. Molte Istituzioni locali, anche del Mezzogiorno, compiranno sforzi significativi per avvia-re nuove politiche e nuovi servizi.

Il sorgere di tali comportamenti e lo sviluppo ulteriore dei processi di autonomia, indotto dalla riforma costituzionale, por-teranno all’emergere di differenti filosofie di welfare regionale.

11.3. La classifica regionale

REGIONI IN:Emilia Romagna, Marche, Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto.Tali Regioni beneficeranno delle ricadute positive della legge già nel corso del prossimo triennio.

REGIONI OUT:Abruzzo, Calabria, Molise, Puglia, Sicilia.Tra le Regioni meridionali, non rimarrà indietro la Campania.

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11.4. Disomogeneità locali

Le differenze territoriali, che emergeranno nella programmazione ed erogazione dei servizi sociali, saranno dicarattere non solo regionale, ma anche subregionale e comunale.

I Comuni, principali erogatori di prestazioni e servizi assistenziali ed educativi, si troveranno a fronteggiare fortiproblematiche di equità, in rapporto alle differenze territoriali, sociali e demografiche.

Il processo di definizione e costruzione dei Piani di Zona e dei provvedimenti collegati sconterà la diversità dipolitiche e comportamenti in materia socio-sanitaria prodottasi, in questi anni, all’interno di Regioni, Comuni eProvince. Laddove è finora mancata una pianificazione degli interventi su scala sovracomunale o comunque conun’organizzazione complessa il sistema dei servizi partirà in modo non ottimale.

Peraltro, la sola individuazione degli ambiti di zona normati sarà insufficiente a superare le difficoltà postedalla struttura geomorfologica e demografica del nostro Paese (distanze, collegamenti, dimensioni locali, appara-ti tecnico-amministrativi minimali), caratterizzato da ampie zone di territorio disagiate.

In particolare, si verificherà sugli Enti locali una concentrazione di responsabilità e funzioni sproporzionataalle loro risorse e capacità tecnico-professionali. Ciò richiederà un governo illuminato del processo generale diattuazione, che difficilmente potrà manifestarsi.

1122.. II PPOOTTEERRII PPUUBBBBLLIICCII

12.1. Un cambio di direzione

La concreta attuazione della legge di riforma dei servizi sociali non risulterà indipendente dal cambiamentodella maggioranza politica avvenuto all’interno del nostro Paese. Il Governo di centro-destra manifesterà una tota-le discontinuità di indirizzi ed obiettivi rispetto a quanto fatto finora in materia di politiche sociali ed uno scarsointeresse a continuare il percorso tracciato con la legge 328/2000.

L’atteggiamento dell’attuale Governo sarà quello di confermare i principi generali della riforma, ma di non atti-varsi nel concretizzare gli aspetti applicativi e di sviluppo della stessa. Il Ministro Maroni e la Sottosegretaria Sestininon favoriranno il processo di attuazione della legge quadro. E, nel prossimo triennio, proseguirà il ritardo delGoverno nell’emanazione dei necessari provvedimenti attuativi (es. Carta dei servizi, normativa sul Sistema infor-mativo dei servi sociali).

L’inerzia del potere centrale, unita al ritardo della produzione legislativa e degli atti di indirizzo nella maggio-ranza delle Regioni, renderà l’applicazione delle nuove norme in materia di assistenza sociale particolarmentecomplessa e dilazionata nel tempo per grande parte del territorio nazionale. Ciò metterà in discussione la realiz-zazione di servizi fondamentali, atti a garantire il benessere delle famiglie, delle persone più svantaggiate e dellecomunità locali.

Peraltro, anche laddove il Governo interverrà, non terrà conto della coerenza con il quadro legislativo genera-le e della necessità di interlocuzione con le organizzazioni sindacali (ad esempio riguardo al Regolamento sullenuove professionalità). I vantaggi derivanti dall’applicazione della riforma verranno quindi vanificati dai disegni dilegge o leggi delega elaborati dal Governo, particolarmente punitivi rispetto ai bisogni ed ai diritti di particolaricategorie (quali gli immigrati extracomunitari o i minori a rischio di devianza).

I ritardi del Governo, che continuerà ad omettere i propri doveri di elaborazione ed azione previsti dalla rifor-ma, determineranno il rischio di uno snaturamento della riforma, che sarà tanto più concreto quanto più il pote-re centrale mancherà di muoversi in modo consono ai dettami del legislatore. La carica innovativa della leggeverrà, ad esempio, significativamente indebolita dal fatto che il Governo, analogamente a quanto avvenuto in altrisettori, cambierà il termine concertazione in consultazione anche nella programmazione dei servizi sociali, ridu-cendo il rapporto con il terzo settore ad un momento consultivo, con scarsa possibilità di incidere sugli orienta-menti delle PP.AA..

Il progressivo indebolimento della spinta all’attuazione della legge da parte del potere centrale avrà come con-trappeso il rafforzamento del processo di regionalizzazione del sistema delle politiche e dei servizi sociali e sani-tari. Tale fenomeno, favorito anche dalle modifiche istituzionali apportate dalla legge sul Federalismo, determine-rà un lungo periodo di incertezza rispetto ad alcuni aspetti regolativi generali che la legge 328 prevedeva (relati-vi, ad esempio, ad accreditamento, professioni sociali, definizione dei Livelli di Assistenza, Carta dei servizi) ed unaspinta ulteriore delle Regioni e dei Comuni a definire in proprio caratteristiche e sviluppi dei welfare territoriali.

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12.2. La politica di mercato

Nel prossimo triennio, mancheranno, nel nostro Paese, forti movimenti programmatori e volontà politiche di sistematizza-zione del comparto dei servizi sociali.

Il Governo di centro-destra promuoverà una politica:- più vicina alla “sicurezza pubblica” che alla sicurezza sociale;- più di contenimento dei problemi sociali che di promozione dell’uguaglianza.L’Amministrazione Centrale favorirà l’affermarsi di una visione del ruolo dello Stato e dei soggetti pubblici “minimalista”,

fondata sul mercato e sulle decisioni dei cittadini. La politica di sviluppo dei sistemi che favoriscono la libertà di scelta indivi-duale andrà a discapito del rafforzamento di un sistema equo, solidale e responsabile, che si faccia carico di fornire rispostea tutti, e soprattutto a chi si trova in condizione di debolezza a causa di particolari situazioni personali od economiche. Vi sarà,da parte del Governo, una latente e graduale messa in discussione della visione solidaristica delle politiche sociali, con ilriemergere di politiche familistiche di tipo settoriale ed assistenziale, che porteranno alla realizzazione di interventi deboli peri deboli.

In particolare, la politica condotta dal Governo andrà in direzione di una:- enfatizzazione dell’individualismo, del localismo e del corporativismo;- accentuazione delle disuguaglianze e di aumento delle nuove povertà, a causa anche del deterioramento delle condizio-

ni lavorative ed economiche generali;- contrazione degli istituti universalistici realmente implementati e generalizzati.Sul piano dei finanziamenti, il Governo non solo mancherà di prevedere, in prospettiva, un incremento delle risorse desti-

nate al Fondo Nazionale per le politiche sociali, ma diminuirà gli stanziamenti riservati al comparto sociale. Ciò produrrà effet-ti negativi sull’erogazione dei servizi, nonostante le Regioni, anche quelle del colore politico del Governo, continueranno adesigere il riparto dei finanziamenti per l’attuazione della legge 328.

In questa direzione, l’attivazione concreta del sistema integrato dipenderà sostanzialmente dalla capacità di drenare risor-se economiche diverse da quelle provenienti dal Fondo Nazionale per le politiche sociali. Se i capitale scarseggiano in Italia(specie nel Sud), abbondano in Europa e non vengono intercettati da molte realtà italiane a causa della scarsa competenza tec-nica di impostazione dei progetti da parte delle Amministrazioni locali. In proposito, diventerà fondamentale il ruolo di con-sulenza delle Regioni, che, a tal fine, doteranno gli appositi uffici regionali di professionalità esperte e di un buon sistema infor-mativo. Peraltro, la stessa messa in rete delle risorse, attraverso la concertazione e l’integrazione, favorirà una loro migliorefinalizzazione ed una maggiore produttività.

Nei prossimi tre anni, il Governo accetterà la sfida di trovare forme di gestione dei servizi sociali basate su criteri industriali:massimo risultato con il minor impegno finanziario. Gli atti legislativi prodotti favoriranno l’ingresso dell’interesse del capita-le privato nel terzo settore. Ciò non né impedirà la crescita, ma ne snaturerà il ruolo e la funzione, favorendo l’emergere dirapporti di tipo clientelare.

12.3. Standard regionali

Tra il 2002 ed i 2005, mancheranno provvedimenti atti a garantire standard di prestazioni omogenee sull’intero territorionazionale. Le politiche adottate saranno confusionarie, gridate, evanescenti. E nasceranno conflitti con le organizzazioni ed imovimenti per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale.

Lo strumento prioritario per garantire standard di prestazione omogenee sull’intera Penisola sarà quello della definizionedei livelli essenziali di assistenza. Il Governo interpreterà in modo estremamente restrittivo e marginalizzante tali livelli, deter-minando il prevalere di un orientamento basato più sulla definizione di standard minimi di base, che di veri e propri stan-dard di riferimento.

L’Amministrazione Centrale non eserciterà un ruolo di sollecitazione, di coordinamento e, in alcuni casi, di surroga rispet-to alle inadempienze, per favorire un’applicazione uniforme della legge e standard di prestazioni omogenee. Sostanzialmente,il Governo abdicherà al ruolo di garante di un sistema sociale territorialmente omogeneo. Ed i livelli essenziali delle presta-zioni verranno definiti dalle singole Regioni. Ciò contribuirà ad acuire le differenze territoriali nel sistema dei servizi sociali efavorirà l’emergere di una forte connotazione regionale delle diverse forme di intervento.

La mancata volontà politica di applicare la riforma da parte del Governo centrale, ma anche da parte di molteAmministrazioni locali, determinerà il pericolo di uno svuotamento silenzioso della legge. In molte realtà regionali e territo-riali, nonostante un omaggio formale alla 328, nei fatti rimarrà tutto com’era prima.

12.4. Neocentralismo regionale

I prossimi anni saranno molto problematici dal punto di vista dell’integrazione delle politiche sociali tra i diversi livelliamministrativi.

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Il coordinamento tra il livello nazionale e regionale farà riferimento al già collaudato Coordinamento degli Assessori allepolitiche sociali. I gruppi tecnici composti da funzionari referenti, costituiti nell’ambito di tale Coordinamento, rappresen-teranno un valido strumento per il confronto periodico sulle esperienze e sui nodi critici, secondo un metodo che vedrà ilrealizzarsi di scambi incentrati sulle buone prassi: una sorta di solidarietà tra le Regioni.

Il Governo non suggerirà metodi e regole uniformi di integrazione delle politiche sociali. E le Regioni non avvieranno,a livello di studio e di ricerca, delle sperimentazioni in questa direzione. Si registreranno quindi lentezze e difficoltà.

All’interno di ciascuna Regione, il livello centrale e locale si confronteranno attraverso l’attivazione di tavoli regionali:“cabine di regia” del processo di avvio e consolidamento del sistema integrato a livello locale. Tuttavia, emergerà il peri-colo di un neocentralismo regionale. La burocrazia regionale non si rifiuterà di spogliarsi delle proprie competenze, male coordinate delle politiche sociali si realizzeranno più a livello regionale, che nei territori. Le Regioni svolgeranno unafunzione di gestione, anziché di programmazione, coordinamento e promozione degli interventi. E ciò determinerà unaaccentuazione delle disparità territoriali nell’erogazione dei servizi sociali.

Nel complesso, le politiche dei diversi livelli amministrativi risulteranno scarsamente e male integrate. Ed il loro coor-dinamento verrà ulteriormente ostacolato da:

- le rivendicazioni di autonomia gestionale da parte dei vari livelli amministrativi (EE.LL. in particolare);- le chiusure o pretese di leadership da parte delle ASL, con il predominio del modello sanitario;- l’inadeguatezza numerica e professionale delle amministrazioni pubbliche.

1133.. LL’’AAPPPPOORRTTOO DDEEII SSOOGGGGEETTTTII NNOONN IISSTTIITTUUZZIIOONNAALLII

13.1. Il ruolo delle organizzazioni no profit, della cooperazione sociale e del volontariato

L’attuazione della legge 328/2000 condurrà verso uno scenario caratterizzato dalla riorganizzazione migliorativa dei ser-vizi sociali già esistenti sul territorio: si ristruttureranno gli uffici, si attueranno forme di concertazione con esponenti delterzo settore e si apriranno nuovi servizi.

Questo scenario non porterà ad un volontariato tendenzialmente rivendicativo, ad un associazionismo asfittico e ad unacooperazione sociale quale semplice fornitrice di servizi, priva di qualsiasi capacità innovativa. Al contrario, la richiesta daparte dei soggetti del terzo settore sarà di una costante informazione e di un coinvolgimento delle rappresentanze nel dia-logo sociale.

Nel prossimo triennio, si assisterà ad un incremento quantitativo e qualitativo della presenza dei soggetti del no profitnella progettazione e nella definizione degli orientamenti di politica locale. Le indicazioni, contenute nella legge, sul ruolodel terzo settore, nel complesso sistema dei servizi, favoriranno il potenziamento dell’apporto del privato sociale ed una suamaggiore qualificazione.

All’interno del mix pubblico/privato, si segnalerà una preponderante presenza delle organizzazioni del privato sociale,che riguarderà non solo l’attività di progettazione, ma anche quella di gestione dei servizi sociali. Il terzo settore assumeràun ruolo prevalente di conduzione e di iniziativa nella moltiplicazione dei servizi (nelle Regioni del Nord si registrerà unaumento della domanda di residenzialità che coinvolgerà prevalentemente il terzo settore). E la sua presenza sarà signifi-cativa soprattutto nella progettazione di servizi specifici e di interventi di nuova sperimentazione.

L’esternalizzazione della gestione dei servizi al privato sociale non dissolverà la carica innovativa e di alternativa al mer-cato del terzo settore, riducendo quest’ultimo a semplice “imprenditoria sociale”, ossia ad un insieme di imprese che offro-no servizi a basso costo a spese degli utenti e dei soci lavoratori. In questo modo, si sventerà il pericolo che la solidarietàsociale possa diventare un canale di finanziamento illecito dei partiti o un settore in cui i posti di lavoro vengono assegna-ti per “conoscenze”.

La creazione del sistema integrato favorirà, piuttosto, lo sviluppo ed il potenziamento dell’attività dei soggetti privati ope-ranti nel sistema. Il ruolo del terzo settore, delle organizzazioni no profit e del volontariato sarà certamente rilevante nelsuo insieme. E, anche se mancherà la capacità di valorizzare le diverse specificità e di sviluppare nuove funzioni, cresceràlo spazio per forme di imprenditorialità sociale diverse da quelle conosciute fino ad oggi. Da qui al 2005, si registrerà unsignificativo sviluppo delle imprese sociali e della cooperazione nel settore no profit. Tanto che il terzo settore rappresen-terà una fonte di occupazione qualificata, di produzione di reddito e di ricchezza per il Paese.

L’applicazione virtuosa della legge dipenderà anche dalla capacità delle organizzazioni di volontariato di essere stru-menti di coesione della società civile, di creare ed attivare reti nella realizzazione di strumenti e servizi volti a soddisfare ibisogni dei cittadini, in un’ottica di sussidiarietà con lo Stato. In particolare, il ruolo della “cittadinanza attiva” diverrà fon-damentale soprattutto nella creazione di sportelli informativi e di meccanismi di controllo.

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13.2. Parola d’ordine: coprogettare

L’efficacia della politica sociale dipenderà dall’esistenza di un quadro stabile di concertazione e l’efficienza della PubblicaAmministrazione dalla capacità di far collaborare in rete le strutture pubbliche con quelle della società civile, garantendo uncoordinamento efficace tra aspetti gerarchici, collaborativi e di progettazione.

Nel prossimo triennio, inizierà un processo di accreditamento sostanziale dei soggetti non istituzionali. Ma la nascita di unsistema di programmazione concertata dei servizi sociali, che interessi anche quei territori dove tale prassi risulta quasi com-pletamente assente, andrà pienamente a regime, nelle procedure e nei ruoli, solo dopo il 2005. Le difficoltà maggiori sarannonella mancanza di abitudine a lavorare in équipe e nell’assenza di una cultura ed un linguaggio comune della progettazione egestione degli interventi. Emergeranno, in particolare, pericoli di confusione tra programmazione e concertazione, tra pro-grammazione e coprogettazione.

Per fronteggiare questo rischio, si lavorerà alle forme di incontro e di successivo coinvolgimento delle organizzazioni delterzo settore. Per queste ultime, la concertazione rappresenterà una reale opportunità per passare da interventi episodici eframmentari alla progettazione/programmazione dei servizi, con attenzione alla qualità delle prestazioni.

In questa direzione, il terzo settore sarà spinto a dotarsi di rappresentanze fortemente e chiaramente legittimate. Ma con-tinuerà lo stesso a presentarsi ai tavoli di progettazione in modo frammentato, senza capacità di coordinamento e di autore-vole rappresentatività.

L’insufficiente capacità di auto-rappresentanza, pienamente legittimata, del terzo settore dipenderà dall’assenza di un pro-cesso di consolidamento delle proprie rappresentanze condiviso da tutte le organizzazioni che operano al suo interno e dalfatto che non sempre ed in ugual misura esse vedranno riconosciuto il proprio peso politico da parte delle PP.AA..

Ciò costituirà un ostacolo alla concertazione tra il pubblico ed il privato sociale, tanto che il confronto propedeutico allaprogrammazione partecipata tra i soggetti del terzo settore e le Istituzioni avverrà proprio sul tema delle rappresentanze deisoggetti che prenderanno parte alla concertazione.

13.3. Binari di collaborazione

Il modo in cui evolverà il rapporto fra Enti pubblici e soggetti non istituzionali dipenderà dalla volontà dei primi di “met-tersi in gioco”, in una prospettiva di collaborazione ed integrazione con i soggetti non istituzionali, e dalla capacità dei secon-di di tenere distinto il piano della concertazione e collaborazione sugli obiettivi, da quello dell’eventuale ruolo di erogatori deiservizi sociali per conto del sistema pubblico. La promozione di partnership tra il pubblico ed il privato sociale si scontreràinfatti con la persistente diffidenza da parte di molte Amministrazioni nei confronti di un terzo settore giudicato “interessato”più alla gestione che alla pianificazione degli interventi sociali.

Nel complesso, il rapporto fra Enti pubblici e soggetti non istituzionali evolverà in modo collaborativo e non sarà di tipoclientelare.

L’attuazione della riforma assistenziale determinerà un salto di qualità nella capacità dei sindacati e dei soggetti del terzosettore di confrontarsi con le Istituzioni. Tuttavia, permarrà la difficoltà degli Enti pubblici ad entrare in contatto con le orga-nizzazioni di volontariato ed a lavorare con esse alla realizzazione di progetti di intervento sociale.

Il dibattito tra soggetti pubblici e soggetti non istituzionali si incentrerà sulle forme di gestione. E riguarderà, in particolare:- il ruolo del terzo settore;- l’acquisto diretto delle prestazioni da parte dei cittadini;- l’esternalizzazione dei servizi, con finanziamento da parte dell’Ente pubblico.

13.3.1. Attriti ed Accordi

Nel breve periodo, non mancheranno punti di attrito nella programmazione dei servizi sociali tra Enti pubblici e soggettinon istituzionali. In particolare, una forte identità ed omogeneità di vedute si realizzerà nelle visioni ideali, sul piano degli orien-tamenti progettuali, ma non nel concreto, al momento della realizzazione dei diversi tipi di intervento. Così, mentre si verifi-cherà un accordo sostanziale sulle parole-chiave e sugli obiettivi generali, problemi emergeranno invece nella declinazione diquesti obiettivi nelle diverse politiche e nell’individuazione degli strumenti e dei mezzi più idonei al loro raggiungimento.

I punti di disaccordo fra Enti pubblici e soggetti non istituzionali interesseranno, nello specifico, le forme di aggiudicazio-ne, i criteri di accreditamento dei soggetti gestori e le regole di affidamento dei servizi alla persona.

Gli ambiti di conflittualità riguarderanno motivazioni, procedure, tempi ed itinerari metodologici, nonché la necessità diinvestimenti consistenti per la continuità e la stabilità dei servizi, da fornire con strutture ed attrezzature idonee e personalequalificato.

Sul tema delle risorse umane, l’accordo tra Enti pubblici e soggetti del terzo settore si realizzerà sulla formazione del per-sonale, ma non sulla gestione equa e qualitativa delle risorse.

Motivo di divergenza sarà inoltre la resistenza delle PP.AA. al cambiamento e a condividere il ruolo di indirizzo e controllodel sistema integrato di interventi e servizi sociali.

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1144.. OOSSTTAACCOOLLII AALLLL’’AATTTTUUAAZZIIOONNEE DDEELLLLAA LLEEGGGGEE

I principali ostacoli all’applicazione della legge saranno:

Livello politico La non completa adozione da parte dello Stato di alcuni provvedimenti legis-lativi.La mancanza di volontà politica da parte Governo centrale e di molteAmministrazioni locali.Le pressioni al mantenimento dello status quo, rassicurante per molti politi-ci locali e per molti operatori sociali.La difficoltà, su scala nazionale, regionale e comunale, di programmare edattuare l’integrazione socio-sanitaria (a livello istituzionale, gestionale e pro-fessionale).Le problematicità legate all’applicazione dei livelli essenziali di assistenza.

Livello organizzativo e culturale La difficoltà ad assumere, nelle logiche oltre che negli strumenti, le radicaliinnovazioni introdotte dalla legge 328/2000 nel campo delle politiche territo-riali.La debolezza organizzativa e culturale di molte Pubbliche Amministrazioni,ancora tarate sulle vecchie logiche assistenzialistiche.La scarsa capacità di creare nuove modalità e competenze, per consolidareun metodo di programmazione sociale basato sull’attenzione ai bisogni ed aicambiamenti.L’assenza di figure professionali sociali adeguatamente formate e rispondentialle esigenze di vecchi e nuovi servizi.La scarsa cultura della programmazione, dell’integrazione, dello stato socialecome propulsore dello sviluppo, su cui impegnare risorse ed energie.La difficoltà delle Regioni ad assumere rapidamente nuovi compiti e funzioni,a svolgere l’inedito ruolo di programmazione, coordinamento e guida delletrasformazioni del territorio e del sistema economico e sociale.L’impreparazione di molti tecnici nelle PP.AA. rispetto alle modalità di pro-grammazione previste dalla legge.La difficoltà culturale ed operativa di dar vita ad un reale processo di integra-zione tra politiche, competenze ed Istituzioni.La scarsa disponibilità e/o esperienza pregressa delle PP.AA. a lavorare tra diloro in modo integrato, orizzontalmente (per esempio fra settore sociale esanitario) e verticalmente.L’assenza di un metodo di controllo dei risultati, basato su sistemi di monito-raggio costante e su obiettivi di miglioramento continuo.

Livello relazionale Il difficile rapporto fra le rappresentanza politiche (il Coordinamento istitu-zionale, la scelta del Comune capofila, l’approvazione dei provvedimenti inGiunta ed in Consiglio), le burocrazie dei servizi ed il ruolo dei tecnici.La difficoltà degli addetti ai lavori di operare nel modo prefigurato dalla legge328/2000.La scarsa attitudine alla partecipazione.La difficoltà nel coinvolgere adeguatamente il terzo settore nella programma-zione e nella gestione dei servizi.La scarsa esperienza di concertazione pubblico/privato nella programmazio-ne degli interventi.

Livello economico La limitatezza delle risorse finanziarie.La scarsità delle risorse economiche (nazionali, regionali e comunali) e lanecessità di un loro utilizzo più razionale, che imporrà concetti nuovi per ilmondo dell’assistenza: razionalizzazione della spesa, livelli essenziali di assi-stenza, bilanci e programmazione economica, capacità di intercettare altrerisorse (come ad esempio i fondi europei).

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Livello locale La difficoltà, da parte degli Enti locali, ad assumere il ruolo di soggetti princi-pali nella programmazione, organizzazione, gestione e verifica degli interventi.La scarsa volontà politica di elaborare in modo coerente i Piani di Zona.La carente capacità degli Enti locali di programmare gli interventi sociali.La mancanza di abilità e di competenze di regia da parte dei Comuni piccolie medio-piccoli, di fronte alla complessità dell’organizzazione del sistemaintegrato dei servizi.La programmazione locale poco condivisa dagli Enti coinvolti.La diffusa percezione di un Ente locale distante dai cittadini ed arroccato nellepastoie burocratiche amministrative.Il configurarsi di un nuovo assetto giuridico-istituzionale nell’organizzazioneterritoriale delle politiche sociali (gli ambiti, la programmazione e la gestioneassociata), che risentirà della mancata riforma dei servizi pubblici locali edella necessità di sperimentare ed assumere nuove forme giuridiche (ad es.l’azienda consortile, l’azienda speciale, ecc.).La radicata cultura del campanilismo e dell’isolamento.

1155.. LL’’IIMMPPAATTTTOO SSUULL MMEERRCCAATTOO DDEELL LLAAVVOORROO

15.1. Crescita quali-quantitativa del personale sociale

L’impatto della legge 328/2000 sul mercato del lavoro sarà positivo, sia sul versante dell’espansione del mercato, che suquello della qualificazione professionale del personale sociale.

Dal lato dello sviluppo del mercato, l’applicazione della riforma comporterà un incremento occupazionale, determinato daun aumento della domanda dei servizi e dalla diversificazione delle risposte. La creazione di posti di lavoro riguarderà il mer-cato dei servizi sociali in generale. Ma, in particolare, l’occupazione crescerà:

• maggiormente nella regolamentazione dei servizi “leggeri”, quelli rivolti alle persone che li richiedono;• meno nei contesti dei servizi “pesanti”, quelli rivolti alle fasce del disagio e della devianza, che non esigono i servizi in

prima persona.Dal lato della qualificazione delle professioni sociali, la creazione del sistema integrato favorirà lo sviluppo e la professio-

nalizzazione del personale. In particolare, nei prossimi anni, si realizzerà la qualificazione e la puntuale definizione, sia dalpunto di vista dei percorsi formativi che dei mansionari, delle figure professionali già consolidate, quali ad esempio gli addet-ti all’assistenza di base e gli educatori.

Nel lungo periodo, l’attuazione della legge stabilizzerà e potenzierà il settore degli operatori sociali, attualmente spessocostretti al precariato, a causa dell’assenza di un quadro stabile di servizi sul territorio. Opererà in questa direzione l’aumen-to delle opportunità di impieghi a termine per le nuove professioni a valenza pedagogico-educativa e socio-assistenziale, qualiin particolare gli educatori professionali, i mediatori, gli operatori per la cura della persona e della relazione d’aiuto.

15.2. La specializzazione del lavoro sociale

L’applicazione della legge comporterà la definizione di nuovi profili professionali e l’istituzione dei relativi percorsi forma-tivi.

Le professionalità che emergeranno più delle altre, nei prossimi anni, saranno quelle dei manager sociali e dei progetti-sti locali dei servizi. In particolare, vi sarà un forte bisogno di figure:

- dotate di alte capacità di programmazione ed interazione con le Istituzioni sul piano delle politiche sociali;- specifiche in materia di management sociale;- intermedie, ma qualificate, nell’area dell’assistenza socio-sanitaria;- di coordinamento della rete dei servizi, in una ottica di crescente sviluppo della presenza mista pubblico e privato.Nuovi profili professionali saranno richiesti in seguito all’attivazione di nuovi servizi e nuove modalità di risposta. E saran-

no legati a nuovi bisogni ed obiettivi, quali il sostegno al lavoro di cura e l’approccio integrato degli interventi alla persona.Serviranno operatori da destinare specificatamente all’assistenza socio-sanitaria, con particolare riferimento all’area della

non autosufficienza, e figure da utilizzare per esigenze di mediazione mirate, anche con competenze educative (a sostegno della

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1166.. II PPRROO EE II CCOONNTTRROO DDEELLLLAA LLEEGGGGEE TTRRAA IILL 22000022 EEDD IILL 22000055

PUNTI DI FORZA• La diffusione di parole e “pensieri organizzativi” nuovi:

programmazione, valutazione, qualità degli interventi eservizi sociali, integrazione, inclusione, cittadinanzaattiva.

• La programmazione delle politiche sociali.• La definizione delle prestazioni essenziali.• L’integrazione dei diversi settori delle PP.AA..• L’attivazione dei territori, nel rispetto delle risorse e

specificità, in una prospettiva di decentramento e dirispetto delle autonomie locali.

• Il ruolo da protagonisti dei Comuni.• L’obbligatorietà della definizione degli atti di program-

mazione (Piani sociali Regionali e di Zona), con il con-testuale vincolo per l’utilizzo delle risorse del FondoNazionale ed i connessi meccanismi di controllo.

• L’attivazione dei diversi soggetti istituzionali (Regioni,Province, Comuni), del terzo settore, delle rappresen-tanze sindacali e delle diverse categorie di utenti per lacostruzione di un, seppur embrionale, sistema di wel-fare di responsabilità collettive e garanzie dei diritti.

• La concertazione a livello regionale e locale.• Una maggiore attenzione alle politiche sociali.• Dare al sociale una dimensione di settore non margi-

nale.• L’innalzamento rispetto al passato delle risorse dispo-

nibili.• L’impulso a nuove forme di imprenditorialità sociale

ed alla sperimentazione.• La consapevolezza, sempre più diffusa, che la qualità

debba essere garantita da un attento monitoraggio evalutazione del processo e degli interventi sociali.

• La creatività che implicitamente si impone.

PUNTI DI DEBOLEZZA• La debolezza delle politiche formative.• La difficoltà di integrazione delle politiche sociali,

sanitarie, formative e del lavoro.• La definizione dei livelli essenziali.• L’integrazione tra il settore sociale e quello sanita-

rio.• La tensione irrisolta fra decentramento e centrali-

smo politico, fra il particolarismo locale e l’univer-salità dei processi economici globali.

• La programmazione a livello nazionale.• L’impianto fortemente federalista per cui il proces-

so di attuazione della legge dipenderà dalla volontàpolitica di applicarla.

• L’interazione tra i diversi attori coinvolti, sia traquelli istituzionali che tra questi ed il terzo settore.

• La scarsità dei finanziamenti.• Il difficile reperimento delle risorse.

famiglia e della genitorialità, per l’integrazione culturale, per l’accompagnamento in percorsi di reinserimento sociale).In questo contesto, le professioni più richieste saranno quelle di assistente alla persona ed educatore.

15.3. Vecchie e nuove competenze

Nel prossimo triennio, le competenze maggiormente richieste saranno quelle:- manageriali, in riferimento al lavoro sociale ed assistenziale;- di mediazione e relazione d’aiuto (di “protesi” al cittadino come “cliente”: aiuto, cura, accompagno);- relative all’integrazione socio-sanitaria e all’assistenza domiciliare.Occorrerà potenziare le competenze esistenti sul piano della programmazione e della progettazione integrata. In partico-

lare, si richiederanno capacità di valutazione e di pianificazione degli interventi.L’ambito su cui si concentreranno i bisogni di formazione e, conseguentemente, la necessità di figure professionali quali-

ficate sarà quello socio-sanitario.Nel settore pubblico, si renderanno necessari interventi riqualificativi e formativi rivolti prioritariamente al personale diret-

tivo e dirigenziale, poiché sarà compito di queste categorie di funzionari guidare i processi di innovazione e riorganizzazionedelle funzioni e dei servizi sociali. Tuttavia, non verranno realizzati significativi investimenti formativi nelle PP.AA.. Nei Comunicontinuerà a prevalere una formazione del personale di tipo prevalentemente empirico: on the job, sul posto di lavoro.

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1177.. FFUUTTUURREE MMOODDIIFFIICCHHEE OO IINNTTEEGGRRAAZZIIOONNII

17.1. Una riforma durevole

Da qui al 2005, si renderanno necessarie ripetute spiegazioni della legge 328/2000, rivolte ai territori, alle Regioni ed alleUnioni di Comuni, che avranno il compito di applicarla. Nei suoi contenuti ideali la riforma “reggerà”, infatti, per i prossimi20 anni, a patto però che venga capita per poter essere attuata.

Le modifiche e/o integrazioni che si realizzeranno andranno nella direzione di:- aumentare la dotazione finanziaria;- individuare precisi standard qualitativi per i servizi;- implementare meccanismi obbligatori di verifica;- imporre l’analisi dei bisogni, da effettuare con metodologie standardizzate;- rendere obbligatoria l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni.Nel prossimo triennio, verranno affrontati alcuni aspetti “di sistema”, dai quali dipenderà l’effettiva attuazione della rifor-

ma e dei principi sui quali essa si fonda. Si procederà al riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e sor-domutismo, nel rispetto del principio della separazione tra spesa assistenziale e spesa previdenziale, senza nuovi o maggiorioneri a carico della finanza pubblica. I fondi integrativi rappresenteranno uno strumento importante per affrontare il proble-ma di una società che invecchia e vive più a lungo che in passato, a fronte di un sistema pubblico che non è in grande di copri-re tutti i costi assistenziali che questo comporta. Tuttavia, non si realizzerà una effettiva estensione dell’istituto del reddito mini-mo di inserimento come misura generale di contrasto della povertà.

1188.. NNOOTTAA MMEETTOODDOOLLOOGGIICCAA

18.1. Il metodo

Lo scenario del progetto “Il futuro della legge 328/2000 tra vincoli ed opportunità” (nell’arco temporale 2002-2005) èstato costruito sulla base di una variante del metodo Delphi.

Caratteristica peculiare del procedimento è la consultazione, in modo rigorosamente separato ed anonimo, di un gruppodi esperti, al fine di ricavare previsioni basate sulla convergenza delle opinioni circa il futuro dei problemi e dei fenomeni inda-gati.

Per questo progetto, è stata adottata una procedura di consultazione in due stadi di un gruppo composito di undici esper-ti.

1. Nel primo stadio, ogni esperto ha avuto la possibilità di fornire, in modo libero e rigorosamente anonimo, alcune pre-visioni relative ai singoli ambiti di indagine sulla base delle proprie competenze scientifiche e professionali, a partire da un que-stionario articolato in domande aperte.

2. Nel secondo stadio, le previsioni iniziali, opportunamente elaborate e trasformate in item previsionali, sono state nuo-vamente sottoposte al giudizio degli esperti. Ognuno di loro ha avuto la possibilità di analizzare e valutare le opinioni degli altried eventualmente di riconsiderare e modificare le proprie posizioni iniziali.

La fase finale dell’analisi si è concentrata sulle aree di maggiore convergenza: su quelle previsioni che hanno raccolto unalto grado di consenso (o dissenso) circa la probabilità di un loro accadimento futuro.

Lo scenario presentato in questo rapporto è stato costruito sulla base delle ipotesi previsionali che hanno ottenuto il mag-gior accordo e rappresenta il frutto di un vero e proprio “confronto di gruppo”, arricchito dai diversi punti di vista e dallediverse competenze degli esperti intervistati.

L’indagine ha avuto inizio nel mese di Marzo e si è conclusa nel mese di Giugno del 2002.

18.2. Le dimensioni indagate

L’indagine previsionale “Il futuro della legge 328/2000 tra vincoli ed opportunità” ha focalizzato l’attenzione sulle seguen-ti dimensioni:

Il sistema dei servizi sociali: effetti sull’erogazione dei servizi; ricadute in termini di efficienza ed efficacia degli inter-

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venti; opportunità per i cittadini; strumenti di misurazione della soddisfazione degli utenti; informatizzazione della rete dei ser-vizi.

Le differenze territoriali: programmazione ed erogazione degli interventi; quantità e qualità delle prestazioni; politichedi riequilibrio territoriale; ostacoli all’attuazione della legge.

Politica sociale e concertazione: integrazione istituzionale delle politiche sociali; ruolo del terzo settore, delle organiz-zazioni no profit e del volontariato; rapporto fra Enti pubblici e soggetti non istituzionali; scelte governative.

Servizi sociali e mercato del lavoro: impatto sull’occupazione; nuove figure professionali; competenze richieste.

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Renato DaperoLaureato in Giurisprudenza presso l’Università di Pavia. Attualmente è Direttore dell’Istituto Andreoli di Borgonovo Val

Tidone, in Provincia di Piacenza. L’Istituto è una IPAB che gestisce una casa protetta di 150 posti, altri servizi residenziali perdisabili e l’assistenza domiciliare per il Comune di Borgonovo. Ha avuto esperienze professionali in aziende private, in attivitàdi formazione e consulenza, e come Dirigente di Enti pubblici. Socio fondatore dell’Associazione ANSDIPP nel 1994, ne è l’at-tuale Presidente. È collaboratore di diverse riviste e membro del comitato di direzione di “IPAB OGGI”. Volumi pubblicati: “Laproduttività nell’ente locale” (1987) e “Una SPA per l’IPAB. Storia della costituzione di una Spa mista per la realizzazione egestione di servizi” (2000).

Paolo Di GiacomoNella Cgil, in cui milita fin da giovanissimo, ha assunto diversi incarichi, fra cui la Segreteria della Camera del Lavoro di

Roma e quella della Federazione Nazionale dei Lavoratori dell’Edilizia ed Affini (Fillea). Attualmente, presso il CentroConfederale Nazionale, segue alcune tematiche inerenti le politiche sociali, fra cui i diritti dei minori (ha coordinato l’inchie-sta Cgil sul Lavoro Minorile) e l’attuazione della legge 328/2000.

Maria Grazia FalciatoreLaureata in Sociologia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “Federico II” di Napoli. Attualmente è Dirigente

del Settore Assistenza della Regione Campania. Ha condotto attività di docenza e progettazione formativa nel settore dei servi-zi sociali. Ha svolto consulenze organizzative in ambito pubblico e nel terzo settore, in materia di politiche sociali. È autrice divarie pubblicazioni.

Costanza FanelliLaureata in Lettere Moderne all’Università “La Sapienza di Roma”, con specializzazione in Sociologia. Ricopre dal 1995 l’in-

carico di Responsabile del Settore della Cooperazione Sociale aderente all’Associazione Nazionale Cooperative di Servizi eTurismo della Lega delle Cooperative. Dal 1981 al 1987, come responsabile del Settore Femminile della Lega delle Cooperative,ha promosso iniziative, ricerche e progetti per lo sviluppo professionale e della imprenditorialità delle donne attraverso lacooperazione. In quegli anni, ha scritto numerosi articoli sulle esperienze della cooperazione femminile e sulle possibilità disviluppo delle cooperative nel campo della cura alle persone e dei servizi alla famiglia. Pubblicista e giornalista fin dagli anni60, ha curato, insieme ad altri esperti della cooperazione, una “Guida alla Normativa per l’Impresa sociale”, nell’ambito di unprogetto sostenuto dal Ministero del Lavoro.

Francesco FazioLaureato in Economia e Commercio all’Università di Palermo. Nel 1968 viene assunto, per pubblico concorso,

dall’Amministrazione Regionale Sicilia - Assessorato Enti Locali ed assegnato alla Direzione Affari Sociali. All’inizio degli anni’80 partecipa, in qualità di Responsabile dei servizi sociali, alla stesura della legislazione regionale di riordino dei servizi socia-li e delle leggi di settore per particolari utenze, curandone negli anni a seguire la relativa attuazione. Dal 1992 al 1996 è asse-gnato al corpo ispettivo dell’Assessorato, con compiti di accertamento del corretto funzionamento di organi ed uffici dellaAmministrazioni comunali e provinciali e di sostituzione ove necessario di Consigli e Giunte locali. Analogo incarico, in oltreun ventennio, svolge presso IPAB dell’isola, in attesa della ricostituzione dei loro Consigli di Amministrazione. Attualmente èimpegnato nell’adeguamento della legislazione regionale ai contenuti della legge 328/2000.

Grazia FelicoriFunzionario presso la Direzione Generale Sanità e Politiche Sociali della Regione Emilia Romagna, si occupa degli aspetti

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legislativi e giuridici legati alle politiche sociali. Ha partecipato ai tavoli tecnici interregionali sulla riforma nazionale. Nel perio-do dicembre 2000 - gennaio 2001, ha fatto parte del gruppo di esperti incaricato dal Ministro per la Solidarietà Sociale del-l’elaborazione di proposte finalizzate all’adozione di strumenti attuativi, alla preparazione del Piano Nazionale ed all’esecuzio-ne dei vari adempimenti normativi previsti dalla legge 328/2000. Ha lavorato alla stesura del progetto di legge quadro dellaRegione Emilia Romagna “Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato diinterventi e servizi sociali”.

Alessandro GeriaDal 1987 è operatore politico della CISL nazionale, con l’incarico di Responsabile nazionale della Confederazione per le

politiche socio-assistenziali e del terzo settore. Giornalista pubblicista dal 1995. Attualmente è membro dell’Osservatorio perl’infanzia e dell’Osservatorio nazionale per il volontariato del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ha pubblicato arti-coli e saggi sui temi delle politiche sociali.

Guido MemoTra i fondatori, ed attualmente Direttore, del Cesiav - Centro studi e iniziative per l’associazionismo e il volontariato, si è

occupato con particolare attenzione della fase, ancora in corso, di avvio dei Centri di servizio per il volontariato. Studia da annii problemi relativi alla formazione e alla partecipazione democratica tra le associazioni, sia di carattere politico e sindacale, siadi carattere sociale. A partire dalla seconda metà degli anni ottanta ha promosso a livello nazionale iniziative per lo sviluppodella formazione all’impegno sociale e politico, per la formazione alla cittadinanza attiva.

Giacomo PanizzaÈ Presidente della Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme, una aggregazione di Enti e gruppi di intervento e di promo-

zione nei sistemi di servizi e di economia sociale, nata nel 1976. È Docente all’Università della Calabria, insegna “Introduzioneal servizio sociale” al Corso di Laurea in Scienze del servizio sociale. Dal 1997, con la “Scuola del Sociale” di Lamezia Terme,accompagna la costruzione dal basso dei “Patti territoriali sociali” in Calabria. Ha all’attivo diverse pubblicazioni ed articoli inriviste specializzate nel settore delle politiche sociali.

Ferdinando SiringoLaureato in Lettere Moderne presso l’Università di Palermo. Dal dicembre 1994 collabora con la sede regionale dell’Ente

Italiano di Servizio sociale - E.I.S.S. occupandosi di progettazione e gestione di interventi formativi e di consulenza agli Entilocali siciliani nell’ambito delle politiche sociali. Collabora con la Fondazione Italiana del Volontariato per attività di studio,ricerca e formazione nel settore del volontariato e delle politiche sociali. È fra i promotori del Mo.V.I. (Movimento diVolontariato Italiano) a Palermo ed è impegnato, come volontario, in attività socio-culturali a sostegno dello sviluppo del volon-tariato. Dal 1995 è Presidente regionale del Mo.V.I. Sicilia e dal 1999 è Vicepresidente a livello nazionale. Rappresenta il Forumregionale del Terzo Settore ai tavoli di consultazione riguardanti la programmazione degli interventi socio-assistenziali. ÈPresidente del Centro di Servizio per il Volontariato di Palermo.

Angelo Vittorio ZambottoAssunto alle dipendenze dell’ex ENAOLI (Ente Nazionale Assistenza Orfani Lavoratori Italiani), ha svolto per circa 17 anni

l’attività direttiva nelle strutture educative ed assistenziali dell’Ente. Dal 1979, transitato nei ruoli regionali della Regione Veneto,ha svolto attività di Dirigente del servizio programmazione della Direzione Regionale Servizi Sociali. Dal 1990 al 1993 ha rico-perto l’incarico di Capo di Gabinetto dell’Ufficio di Presidenza della Provincia di Padova. Rientrato in Regione, ha svolto la pro-pria attività di Dirigente regionale responsabile del Dipartimento Servizi Formativi e ad interim del Dipartimento dei ServiziSociali. Dal 1997 al 30 settembre 2000 ha ricoperto l’incarico di Direttore regionale della Direzione Servizi Sociali. Nell’anno2001 ha svolto l’incarico di consulente della Giunta Regionale del Veneto nell’ambito delle politiche sociali, in particolare perl’attuazione della legge 328/00. Attualmente collabora con l’ULSS 16 di Padova nell’ambito di progetti regionali relativi all’atti-vazione di un centro di documentazione sulla famiglia.

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Finito di stampare: settembre 2002Realizzazione grafica: Topsygraph, Roma

Stampa: Multiprint, Roma