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IL NIDO DEGLI SCORPIONI
di Pier Paolo Santi e Francesco Sinatti
Smashwords Edition
LICENZA D’USO
Questo ebook e concesso in uso per l’intrattenimento personale.
Questo ebook non puo essere rivenduto o ceduto ad altre persone.
Se si desidera condividere questo ebook con un’altra persona, acquista una copia aggiuntiva per
ogni destinatario. Se state leggendo questo ebook e non lo avete acquistato per il vostro unico
utilizzo, si prega di tornare a Smashwords.com e acquistare la propria copia.
Grazie per il rispetto al duro lavoro di questi autori.
INDICE
Introduzione
Bastardi e Cattivi
Capitolo 1
Dagli scandali di provincia agli scandali internazionali
Entomologia del potere
Politica e porti
Porti & mala
Misteri libanesi
Capitolo 2
L’uomo ombra del governo nigeriano. Gabriele Volpi
Capitolo 3
Genesi di una nuova federazione criminale
Pozzi avvelenati
Gli autori
Introduzione. Bastardi e cattivi
Troppe fazioni, troppa ideologia contaminano il giornalismo italiano. Ma come può un argomento
come questo interessare un americano, inglese o australiano? L’Italia è lo snodo di eventi e
operazioni strategiche che spesso riguardano gli equilibri del mondo. Un giornalismo “locale”, cioè
nazionale, debole e fazioso danneggia l’intera informazione. Nel mondo anglosassone esistono
giornali schierati ma il panorama italiano è unico nel suo genere per faziosità e conflitto d’interessi
che non consentono di svolgere un adeguato servizio pubblico di giornalismo investigativo. È un
paese libero? In Italia si ragiona così: se scoppia un grosso scandalo solo all’ultimo secondo le
redazioni si lanciano sulla notizia “tecnicamente” già putrefatta. Un esempio è rappresentato dallo
scandalo bancario del Monte dei Paschi di Siena. Sempre a cose fatte! Nei casi più spinosi si
limitano a commentare le “veline” della Procura. È necessaria una nuova “razza” di giornalisti, in
via di evoluzione, che pratichino sul campo il loro mestiere fuori dall’area di confort di paludate
redazioni. Usando nuovi mezzi di comunicazione. Riveliamo ai lettori alcuni passaggi di un
autentico “calvario” che abbiamo subito negli ultimi tempi.
Giornalisti Banzai Vs Bonsai: calvario nelle redazioni provinciali
“Vede Direttore la nostra idea è quella di realizzare una inchiesta sui nuovi assetti della ‘ndrangheta
nel nord Italia. Per farlo abbiamo un evento che consideriamo cruciale: il sequestro di quasi una
tonnellata di cocaina a Pallerone (Lunigiana, Ms). Solo con un inchiesta giornalistica dettagliata
possiamo cercare di capire come stanno effettivamente le cose, anche perché le Forze dell’Ordine
tengono il massimo riserbo. Potremmo arrivare a nomi e cognomi. Che ne dice?”
All’improvviso lo studio del malcapitato si trasforma in un teatro Greco arricchito di tutte le
maschere tipiche. Impallidisce e il volto si fa tirato. Al povero Direttore viene allora l’irresistibile
impulso di grattarsi, in modo gentile e professionale, la guancia osservando nel frattempo il
lampadario. Il suo pensiero diviene leggibile: ma perché ho ricevuto questi due? Alla fine riesce a
rabberciare alla meglio una frase:
“Eh! Si potremmo farlo ma vedete è un momento un po’ particolare per il giornale. Aspettiamo
qualche mesetto e poi valutiamo, ok?”.
Ora, qualche mesetto per una inchiesta sulla mafia è come bere del latte scaduto da diciotto mesi. Si
può tentare ma non c’è da lamentarsi se il risultato è prettamente intestinale.
Ci sono poi giornalisti e Direttori che si offendono: ma come! Arrivano questi a fare gli scoop?
Solitamente questa categoria partorisce frasi intelligenti del tipo:
“Ah! Si… ma molte cose le abbiamo già scritte su quella partita di droga”.
Gli facciamo gentilmente notare che un inchiesta consiste nel raccogliere tutto il materiale
disponibile (compresi i loro “preziosi” articoli) unendo i puntini, oltre ad affrontare nuove piste
investigative. All’improvviso il loro risentimento è proporzionato all’ego. Cioè enorme.
“Va bene darò un’occhiata e poi vedremo cosa fare….”.
Passiamo alla categoria successiva: “i prendi per il culo”. Al primo impatto sono i più simpatici.
Rispettano a pieno la regola della buona accoglienza nei confronti di colleghi che si occupano di
argomenti “caldi”. Sono propensi alle belle parole, ascoltano interessati come farebbero vecchi
amici ritrovatisi dopo anni. La scena di chiusura è il momento migliore:
“Come posso aiutarvi?”
Assicuriamo che è spiazzante! Facciamo finta di niente, ripetendo eroicamente il ritornello al
prossimo Direttore di testata.
“Ma ragazzi avete proprio voglia di farvi intitolare una piazza? Siete così desiderosi di farvi
“impallinare”?
Hanno ragione! Le notizie più importanti e vere son ben altre. Una bella mattina aprendo il giornale,
tanto per far intendere come funzionano le cose, trovi in piena pagina questa “drammatica” notizia:
“PAPPAGALLO RAPITO, LA SVOLTA ALF: L’ABBIAMO LIBERATO NOI” (Il Tirreno) oppure:
“BLITZ PER “RAPIRE” UN PAPPAGALLO” (La Nazione)
Peccato che lo stesso giorno ci sia un'altra notizia molto più seria da prendere in considerazione. Un
incendio in una installazione balneare (l’ennesimo targato corto circuito) messo in terzo piano,
quasi per non dare fastidio.
I giornalisti sono liberi di esercitare la professione come credono, ma evitare di trattare di argomenti
“spinosi” è come dire ad un poliziotto di non recarsi ad una rapina in corso perché rischia di
buscarsi qualche pallottola. In questi momenti “mistici” ti accorgi della differenza tra giornalisti
BANZAI e BONSAI, te ne rendi conto quando parlano professionisti come Roberto Galullo o
Milena Gabanelli (che da anni scrivono articoli scomodi contro la mafia e corruzione). Certo, si può
criticarli sulla linea seguita, perfino sui contenuti: mai sulla indiscutibile volontà di informare i
lettori, che poi parrebbe essere il lavoro del giornalista. Parrebbe!
Seconda tappa della via crucis: le redazioni nazionali
Egregio Direttore
Siamo in uno stato di silenziosa e subdola guerra d’informazione dove i campi di battaglia risultano
le rosse terre della Toscana, Emilia e Liguria. Non si tratta di una affermazione alla Saviano
preconfezionata per slogan da riciclare in un talk show o comizi politici mascherati da giornalismo
d’inchiesta. No, è una constatazione consolidata dopo anni di lavoro sulla criminalità organizzata e
corruzione di amministrazioni (e non solo) che hanno perfino l’arroganza di dettare le regole civili.
Il nostro primo nemico è l’omertà, il negazionismo e peggio ancora la mancanza d’azione di molti,
in primis di colleghi locali che trovano più conveniente, per mantenere un posto in redazione, non
affrontare seriamente realtà inquietanti e devastanti. Tutto ciò per assecondare il volere di Prefetti
(ormai stanchi e pronti alla pensione) e politici. Quando denunciavamo infiltrazioni mafiose o
spudorate manovre di corruzione nelle nostre zone ci rispondevano che eravamo dei provocatori.
Alla fine, però, le preoccupazioni stanno risultando fondate tanto che nel giro di pochi anni scandali
e danno erariale da milioni di euro stanno contaminando il territorio. Ma va bene così! Le minacce
da parte di gente legata alla mala sta nei giochi per chi si occupa seriamente di certi argomenti, anzi
rafforza la convinzione di essere nel giusto. L’ostacolo da parte di colleghi con un ego spropositato,
per altro timorosi di perdere il posto, è regola in questo miserabile mestiere. Van bene anche quattro
euro ad articolo, tanto per far contenti Inpgi (pensione giornalistica). Quello che non possiamo
tollerare è non poter informare la gente su come stanno veramente le cose anche nelle provincie. Se
abbiamo inquirenti o una classe politica poco coraggiosa non vuol significare che anche la stampa
debba esserlo. Non abbiamo più intenzione di sentirci ripetere : “ragazzi buoni ci sono già le
indagini in corso e poi abbiamo i comunicati, lavorate su quelli”. E quindi? Fermi tutti? Mai!
Intendiamo portare avanti l’inchiesta legata ad un traffico di droga. Purtroppo la vicenda è stata fino
ad ora ignorata, ma potrebbe condurci alla scoperta di un nuovo progetto ‘ndranghetista. Una
holding radicata in tutto il mondo. Non informare l’opinione pubblica sarebbe un reato
Cordiali saluti
Per questo abbiamo scritto il “Nido degli Scorpioni”. L’unica opportunità per diffondere una
inchiesta scomoda. Per questo ci siamo trovati di fronte a una vera e propria questione di sicurezza
nazionale.
Una questione di sicurezza nazionale
“Controllo e destabilizzazione” sono il paradossale Giano bifronte che tutto muove sulla scacchiera
nazionale e internazionale.
Quando abbiamo affrontato l’inchiesta non ci aspettavamo che ci avrebbe condotto in vicende così
complesse, riguardanti la sicurezza del paese. Un inchiesta che trova la sua forza nel collegamento
sinergico fra affari illegali e lobby di portata internazionale. Nel corso degli anni abbiamo sempre
seguito piste legate a corruzione e mafia che avevano obiettivi limitati, a volte il business e a volte il
potere. Affrontando questa vastissima indagine ci siamo resi conto che questi due elementi, affari e
potere, combinandosi hanno un devastante potenziale di condizionamento e destabilizzazione. Il
risultato è strettamente politico, e qui arrivano i veri guai. Il modus operandi cambia in funzione
dell’area geografica e di sviluppo: nei paesi occidentali l’infiltrazione avviene tramite massoneria,
banche, amministrazioni locali e criminalità organizzata. Nei paesi del terzo mondo, invece, a
giocare la partita sono direttamente le multinazionali e i governi. Il rapporto tra multinazionale e la
classe politica è basato su relazioni esclusivamente personali mancando dei veri organi di controllo
istituzionale. Fino a quando tali rapporti funzionano si concludono affari, ma l’avidità è sempre in
agguato e può suscitare conflitti , creare presupposti per una faida. Seguendo il caso Nigeria
abbiamo potuto verificare come si possa passare da un incarico governativo a essere sospettato di
diventare un referente del circuito terroristico internazionale. In questo intreccio di poteri alla fine la
criminalità organizzata e mafie varie altro non sono che un braccio operativo perfettamente
controllato. Se questo assetto permane la criminalità organizzata servirà sempre. Alla faccia del
sistema di sicurezza nazionale! Rispettando perfettamente il ruolo di guardie e ladri.
Per la complessità degli scenari affrontati avremmo potuto scrivere pagine e pagine con il rischio di
far smarrire al lettore (soprattutto quello straniero) la via maestra dell’inchiesta che in più occasioni
si dirama in vicende tecniche e provinciali. Abbiamo volutamente affrontato, invece, questi temi
come se fossero un dossier con le stesse necessità di sintesi tipiche del rapporto investigativo.
Capitolo 1 - Dagli scandali di provincia agli intrighi internazionali
La provincia
Dio creò il mondo. Una delle più belle creazione era un piccolo lembo di terra. Non gli mancava
niente: le sue coste erano bagnate dal mare Tirreno, le sue colline erano belle e feconde tanto da
dare un vino pregiato e un ottimo olio. Era perfino protetta da una catena di montagne che gli
uomini chiameranno Apuane. Il clima era oltre modo mite. Gli angeli vedendo tutta questa
abbondanza raccolta in un solo luogo andarono a lamentarsi da Dio.
“Perchè Signore hai messo tutta questa abbondanza, perchè hai voluto essere così generoso con
questa terra? È ingiusto”.
Dio ascoltò con pazienza. Una volta conclusa la loro lamentela prese la parola.
“Vi lamentate prima di aver visto il lavoro compiuto?”
Gli angeli rimasero delusi:
“Compiuto?”
“Si. Avete visto solo una parte dell’opera. Ora appare ai vostri occhi come la copia del paradiso
terrestre ma presto metterò un elemento che equilibrerà le cose”
“Quale? Onnipotente”
“I suoi abitanti”
Dopo questa surreale parabola comprenderete che Massa-Carrara (Italia, Toscana) è divenuta una
terra ideale per scandali di portata nazionale e per gl’insediamenti di nuove organizzazioni
criminali. S’intuisce che nella piccola provincia qualcosa non funziona ed è legato agli abitanti e
governanti.
Un inchiesta per caso
Me ne resi conto nel novembre del 2010.
2010 MASSA. Pier Paolo Santi
Due ore prima delle interviste ricevo le chiamate, con un intervallo di dieci minuti l’una dall’altra,
dalle segreterie di Prefetto e Questore per annullare gli incontri. Il tema infiltrazione mafiose si
preannunciava troppo “scomodo”. Non potrò mai scordarmi l’espressione del cameraman dopo aver
ricevuto le chiamate, mentre stavamo preparando le attrezzature: un misto fra ironia e incredulità.
L’inchiesta e la puntata (che stavo preparando all’epoca) sarebbero state seriamente compromesse
se anche il Procuratore mi avesse dato forfait. Non fu così e realizzai un’ottima intervista. Ricordo
l’incontro nella Procura di Massa: il Dott. Federico Manotti ritardò perché stava conducendo una
operazione con la Guardia di Finanza. Quando accadono simili inconvenienti subentra un po’ di
sconforto perché il più delle volte il ritardo equivale ad un rinvio dell’incontro. Passeggiavo avanti e
indietro nei corridoi della Procura, un edificio esteticamente paragonabile ad una aula bunker,
preparandomi ad un altro rifiuto. Le cose però non andarono così. Manotti fece sapere tramite la sua
segretaria che sarebbe arrivato in ritardo. Il Procuratore per definizione, è certamente una figura tra
le più autonome fra le Istituzioni, questo fu uno dei motivi per cui non ebbe timore a esporre e a
suggerire certe informazioni. L’ufficio si presentava ordinato. Sopra la scrivania alcune carte e delle
copie dei quotidiani locali. Una grossa vetrata illuminava la stanza, con grande gioia del cameraman
che lamenta spesso la mancanza di luce nei luoghi dove giriamo. L’intervista iniziò tra una battuta e
brevi considerazioni. Spunti che ispirarono il primo libro denuncia sull’infiltrazioni mafiose in zona
Apuana: “La Provincia del Silenzio”
2011 Massa. Francesco Sinatti
Massa-Carrara: si dice una provincia povera che non ha "soldi". Non ha la possibilità di realizzare
molte delle opere di cui avrebbe bisogno per renderla più efficiente e moderna. In compenso però la
sola Massa ha un debito superiore ai 100 milioni di euro e flussi di cassa annuali per 70 milioni di
euro solo per far girare la macchina del Comune e diverse centinaia di milioni di "buco" nel
bilancio della ASL cittadina. La missione era capire dove finivano fiumi di denaro pubblico.
Milioni e milioni di danno erariale che, puntualmente, aprivano voragini spaventose nelle
municipalizzate massesi senza destare troppo clamore, ne fra i cittadini, ne fra gli amministratori e i
politici. Mi sono "paracadutato" dietro le linee dell'amministrazione fra una selva di delibere, di
giunta e di consiglio. Lo scopo era cercare di capire come sfuggisse questo "denaro" che veniva
regolarmente sprecato. Cermec, R/R, Massa Servizi, CAT, PAAS, Ristrutturazione bilancio,
Depuratore, Derivato e altro. Questi sono alcuni dei "malefici buchi neri" con i quali, da sempre, si
conserva il "consenso politico" e con i quali una torma di politici trombati si mantiene alle spalle
della comunità. Una sequenza di sinistre sigle che compongono l’elenco di "buchi" che alimentano
l'emorragia di denaro pubblico. Si ruba, anche e soprattutto, cosi a Massa e in tutta la penisola.
Dove una casta d’intoccabili non permette che si facciano verifiche, nascondendosi fra le pieghe
dell'accesso agli atti che, ovviamente, solo i consiglieri possono richiedere. Il problema è che spesso
i controllori fanno parte della casta. Conflitto d'interessi? Nessuna terzietà, nessuna verifica vera.
Per concludere le testate giornalistiche locali non indagano mai i veri artefici, ne i veri motivi, per i
quali il danno erariale si perpetua. A ognuno il Suo secondo la linea della palma.
«Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli
scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è
propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni
anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E
sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli
scandali: su su per l'Italia, ed è già, oltre Roma... » (Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961)
2011 Comune di Massa, Seduta di consiglio mentre avevo impostato il lavoro sulla criminalità
organizzata e la mafia, Francesco stava intraprendendo un'altra indagine. Un percorso parallelo
legato al danno erariale e alla politica corrotta. Quello che avremmo definito più avanti
dell’inchiesta come “sprechi organizzati”. Questi due punti di partenza ci avrebbero catapultati in
una indagine giornalistica internazionale a nostra insaputa e i presupposti si manifestarono già al
primo incontro. La seduta di consiglio comunale si era appena conclusa e mentre stavo per uscire
dalla sala Sinatti si avvicinò e in tono scanzonato mi domandò se a mio avviso potevano esserci
collegamenti con la mafia nel caso Cermec (caso che vedremo nel prossimo capitolo). Dopo due ore
di chiacchierata nacque la nostra collaborazione.
I primi tre paragrafi del libro sono il frutto di una riflessione: come è possibile che una piccola
provincia annoveri tanti scandali legati a corruzione e al danno erariale quanto le due regioni più
importanti d’Italia (Lombardia e il Lazio)? Come è possibile che vi gravitino, senza che nessuno se
ne accorga, nomi “discussi” di faccendieri, politici, banchieri, imprenditori, consulenti e cardinali?
Rifiuti tossici, speciali e radioattivi & i 42 container dentro il CERMEC
Cominciamo con un classico degli affari sporchi: i rifiuti. 42 container sospetti abbandonati nel
piazzale della municipalizzata dei rifiuti CERMEC a Massa possono sembrare una notizia
irrilevante, ma inaspettatamente, potrebbero rivelare una traccia di un traffico di rifiuti tossici di
portata nazionale e internazionale. Non sembra un caso che i 42 container, fatiscenti, corrosi e
percolanti liquidi velenosi nel piazzale e terre circostanti (con potenziale interessamento della falda)
siano stati ritrovati abbandonati in un area industriale Apuana in concessione alla fallita ditta
DAMAS dentro il Cermec. La procura di Palmi li sequestrò in quest’area lasciandoli in custodia
ormai 11 anni fa. Ciò che desta allarme è il loro contenuto. Cosa c’è dentro i container recentemente
rinvenuti? Ci sono grosse quantità di rifiuti speciali e pericolosi, valutati a volume in circa 2.500
ton. I campioni esaminati dall'Arpat provinciale, hanno rilevato composti di: piombo, cadmio,
mercurio in alte concentrazioni oltre a sostanze pericolose che rientrano nelle seguenti classi: H 10
Tossico per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea e H 14 Eco – tossico. La sede della ditta
Damas s.r.l. di Massimo Dami, successivamente dichiarata fallita, era a Sesto Fiorentino -
Osmannoro (FI), mentre le autorizzazioni sono state rilasciate dalla Provincia di Massa.
Chi è Massimo Dami?
In passato ha avuto rapporti con Luigi Cardiello, meglio conosciuto come il “Re Mida” dei rifiuti
residente a Viareggio dal 1983, esponente di spicco dell’inchiesta “Greenland” sull’illecito traffico
e smaltimento di rifiuti fra Umbria e Toscana. La medesima operazione che vede coinvolto lo stesso
Massimo Dami (il Tirreno 6 luglio 94).
Luigi Cardiello indossa un paio di occhiali scurissimi a seguito di lesioni agli occhi riportate mentre
maneggiava rifiuti tossici. Il “Boss” ha un curriculum di tutto rispetto per quanto riguarda l’illecito
smaltimento dei rifiuti speciali e pericolosi ed è stato coinvolto (insieme ad altri 98 imputati) nella
più grande inchiesta sulle “ecomafie”: l’operazione “Cassiopea”. Tutti assolti, per una recente
sentenza di “non luogo a procedere”, su fatti che hanno visto inquinare aree vastissime del
territorio Campano (e non solo) con tonnellate di rifiuti speciali e tossici. Ma fin qui sono cose più o
meno note.
Meno nota è la circostanza che potrebbe vedere, secondo il deputato Mario Angelini, Cardiello
legato a Domenico Del Carlo, titolare della “famigerata” DEL.CA e socio privato della
municipalizzata per i rifiuti CERMEC che opera sul territorio Apuano. Del Carlo è stato anche
inquisito in un inchiesta per distrazione di fondi comunitari, danno erariale e falsa fatturazione per
tramite di R/R (la partecipata di Delca/Cermec), quest’ultima al centro di un “cronometrico” quanto
doloso incendio che ha portato al conseguente sequestro dello stabile.
Certamente una coincidenza quella che vede Del Carlo “collegato” al boss camorrista Cardiello
residente in Versilia. Tanto che l’11 maggio 93 lo stesso deputato Pier Mario Angelini dichiara ai
quotidiani locali: “…perché, non dire……. della DEL.CA, non ha parlato nessuno? E si scopre che,
non per iniziativa della procura di Lucca, ma di quella di Napoli,……. che la DEL.CA era partner
di Cardiello che tutti sanno che sant’uomo sia”, continua: “…che dire della DELCAR, l’altra
azienda di smaltimento dei rifiuti di Del Carlo, in affari con il camorrista Luigi Cardiello…?”
Se quello che sostiene l’onorevole è vero, allora Del Carlo era “partner” del camorrista Cardiello
che a sua volta collaborava con Dami, titolare della DAMAS. Non ci vuole molto a ricollegare i
personaggi appena citati, suscitando dubbi e perplessità su chi, come, quando, perché e a che scopo,
abbia permesso di stoccare i 42 container, “sine die”, facendoli letteralmente “marcire” in un area
interna alla già “chiaccheratissima” CERMEC di Massa. Il “cerchio si stringe” sempre di più
intorno alle responsabilità politiche di chi ha permesso che tutto ciò accadesse nel silenzio più
“assoluto”, per decine di anni. Anche perché DAMAS s.r.l. era già stata estromessa a “furor di
popolo”, dopo aver vinto un appalto “fotocopia” alle porte di Milano. Precisamente a Mediglia,
dove era prevista la costruzione del più grande impianto lombardo per lo smaltimento di rifiuti
industriali pericolosi. Inaspettatamente l’appalto e i permessi “saltano” a causa del processo a
Pescara contro il titolare, Massimo Dami, per aver smaltito abusivamente liquami industriali in
alcuni depuratori. C’è di più, però. Massa-Carrara, infatti, potrebbe permetterci di chiudere il
cerchio con il socio Cermec.
Incendi sospetti. Non è la prima volta, infatti, che Cermec è al centro dell’attenzione. Ritornando
alle vicende della sua partecipata RR troviamo un episodio inquietante: l’incendio della struttura il
25 luglio del 2011. Un incendio reso ancor più sospetto dalle condizioni in cui versava la società
all’epoca. Il 30 luglio dello stesso anno vengono incendiati i mezzi dell’Acam di La Spezia
anch’essa nelle medesime condizioni economico-finanziarie di Cermec. Acam non si riprende e
lentamente Hera la sta incorporando. Sotto la lente di ingrandimento anche Heracom campana,
quest’ultima strettamente legata alla figura di Nicola Cosentino indicato come il politico vicino ai
Casalesi. La lista dei guai delle municipalizzate dei rifiuti non finisce qui. La ditta Aimeri operante
in Lunigiana (la stessa provincia di Cermec e RR) per il servizio raccolta rifiuti e smaltimento,
versa in condizioni simili ad Acam e Cermec. Agli onori della cronaca recentemente anche Aimeri
Ambiente di Giarre e il suo ex responsabile Roberto Russo, un boss del clan Cintorino vicino alla
cosca Cappello-Bonaccorsi, indagato insieme ad altri dipendenti della ditta per associazione a
delinquere. Altro fatto interessante. Nel maggio del 2012 un incendio doloso colpisce Aimeri
Ambiente di Giarre. Al vaglio degli inquirenti finisce anche Salvatore Russo della cosca Cursoti che
insieme ai Cintorino sono come visto legati al clan Cappello.
Il teorema. Questi episodi ci permettono di intuire che gravi inefficienze conducono puntualmente
le municipalizzate dei rifiuti a trovarsi in situazioni critiche dal punto di vista logistico-operativo e
finanziario. Gli incendi, a questo punto, servono per nascondere o per infiltrare. Che ruolo hanno le
amministrazioni locali in tutto questo? Le municipalizzate sono un bersaglio perfetto per
“aggredire” il denaro pubblico e le mafie conoscono esattamente come insinuarsi con soci privati
nelle aziende pubbliche e nel circuito degli appalti. La municipalizzata Cermec con il socio privato
DELCA dimostra come la costituzione di R/R fosse proprio la scatola societaria che serviva per fare
falsa fatturazione e schermare l’attività collegata alla distrazione di denaro pubblico. I soggetti che
hanno gravitato attorno alla costituzione di R/R potrebbero dimostrare una contiguità con “Mafia
Spa” che era ampiamente riscontrata dai legami di cointeressenza fra il socio privato Del Carlo e
Luigi Cardiello “il Re mida dei rifiuti”, boss dei Casalesi? Del resto anche l’incendio del capannone
mostra una chiara firma del dolo di matrice mafiosa. La presenza di 42 container con 2500
tonnellate di rifiuti tossici abbandonati nei pressi del piazzale del CERMEC sono un altro indizio su
coloro che gravitavano intorno alla municipalizzata dei rifiuti. Quindi, non potevamo che
approfondire la questione delle municipalizzate. Poi, sempre collegati ai Casalesi ci sono poi traffici
di rifiuti speciali ospedalieri.
Ci sono novità. I giornalisti attendevano il capo della squadra mobile di Massa Antonio Corcione
in una saletta della Questura, nello stesso momento altri colleghi di Napoli, Caserta e Firenze
facevano lo stesso.
All’alba del 28 febbraio 2013 le forze dell’ordine coordinate dalla Dda di Napoli danno il via ad un
importante operazione contro il clan dei Casalesi che porta all’arresto di una trentina di persone per
reati inerenti l’art 416 bis. Gli affiliati ai Casalesi non hanno risparmiato la piccola provincia
Apuana. In una nota consegnata ai giornalisti quella stessa mattina si legge:
“appartenenti a sodalizi criminali di estrazione campana operanti per lo più nelle provincie di
Napoli e Caserta e con vaste e forte ramificazioni in Versilia e nella riviera Apuana”.
La nota proseguiva :
“…nella nostra zona è stato arrestato il noto imprenditore Stefano Di Ronza. È conosciuto
soprattutto per avere costruito complessi residenziali ma anche uffici e centri commerciali”.
Alla fine della conferenza rivolsi al commissario una domanda:
“Nella morsa dell’operazione sono finiti solo i Casalesi o c’erano anche esponenti di altre
famiglie?”Capita, non di rado, di avere d’avanti inquirenti inesperti o non avvezzi a certe indagini,
soprattutto nei piccoli centri dove si sono consumati delitti di una certa gravità. Non è il caso di
Corcione che ha dimostrato una indubbia professionalità, anche in questa occasione. Comprese
subito dove volevo andare a parare:
“Si, in Versilia ci sono stati altri soggetti coinvolti, altre famiglie”
“Quali?”
Accennò a un lieve sorriso, poi:
“Beh basta guardare chi è presente in Versilia…”.
Pensai, stai a vedere che Saetta ha ricombinato qualcosa. Ed in effetti Vincenzo, personaggio noto
ai lettori di “Trame di Potere” risultava una pedina del piano criminale dei Casalesi. La storia di
Saetta potrebbe essere un ottimo esempio di “carriera” personale: ha fatto parte del clan dei
Giuliano (ne fa ancora parte?) per poi espandersi in Versilia. Ora emerge una alleanza con il potente
clan dei Casalesi.
Poco dopo la conferenza stampa mi chiama Sinatti che nel frattempo aveva incontrato alcune nostre
fonti:
“Ci sono novità. Dovremmo controllare anche un altro imprenditore, ma ti dico meglio a voce”.
Ritornando a Saetta. Nel 2010 si viene a sapere, dopo l’operazione “Dedalo”, che Vincenzo aveva
dato protezione ad un noto esponente della famiglia dei Santapaola di Cosa Nostra. Tutto ciò in
apparenza sembra stridere, ma solo in apparenza, perché basta approfondire alcune vicende che i
pezzi del puzzle vanno al loro posto. Nel 2011 gli inquirenti vengono a conoscenza di una stretta
alleanza tra la mafia Catanese (guidata da Nitto Santapaola) e il clan camorrista dei Casalesi. Un
unione sancita per il controllo dei mercati di frutta e verdura (conferma che la mafia riesce ad
infiltrarsi in ogni settore economico). Primo: I Casalesi sono dunque legati ai Santapaola. Secondo:
i Saetta si sono alleati con i Casalesi. La protezione di Saetta data a Antonino Finocchiaro (dei
Santapaola) viene compresa, in tal modo, nella sua completezza. Considerazione inquietante! Nulla
vieta che la collaborazione delle due organizzazioni si sia limitata al solo business della frutta e
verdura estendendosi ad altre attività criminose anche nel nord Italia allargando il loro giro d’affari.
Una mezza idea ce la siamo fatta, ma non possiamo rivelarla in queste pagine. Possiamo però
anticipare l’intenzione di inserire nel prossimo dossier l’intreccio degli appalti negli ospedali di
diverse regioni. Nel frattempo parliamo di alcuni “intrallazzi” riguardanti i rifiuti ospedalieri!
Rifiuti ospedalieri. Dall’arresto dell’imprenditore massese Stefano di Ronza emerge un particolare
che non deve passare inosservato. A quanto risulta dalle indagini non solo si occupava, per conto
dei Casalesi, di coprire affiliati tramite assunzioni nelle ditte edili. Non solo svolgeva la consueta
attività estorsiva presso imprese di questo settore, ma “curava” anche il trasferimento in “terra
Campana” di rifiuti ospedalieri. Bisognerebbe indagare sulla destinazione finale per capire se questi
rifiuti siano finiti nelle discariche napoletane, tristemente famose inseguito ai fatti 2007-2008. Un
passaggio obbligato è la riunione a Villaricca avvenuta a fine anni 80.
Nella cittadina del hinterland napoletano vicina a Giugliano, si tenne infatti un vero e proprio
"summit" fra camorristi, imprenditori, politici e massoni, dove si stabili in modo organizzato e
scientifico di destinare la Campania a deposito fuori legge per rifiuti tossici e speciali provenienti
dal Nord d’Italia. Tra questi, anche i rifiuti ospedalieri. A questo proposito, il nome di Di Ronza
figura già negli atti parlamentari della Camera della Repubblica come “voce interna al clan dei
Casalesi”. A cavallo fra la zona di Viareggio e Massa Carrara, non è il solo. Negli anni si riscontra
la costante presenza di soggetti facenti capo ad unico disegno criminoso. Disegno che ha come
punto di riferimento il trio Gaetano Cerci – Cipriano Chianese – Francesco Bidognetti. Lasciano
poco spazio alla fantasia le intercettazioni fra Di Ronza ed il cognato di Maurizio di Puorto. Alla
fine di una di queste l’imprenditore ottiene l'incontro con di Puorto. Esiste, infine, una relazione fra
il gruppo Schiavone – Russo, operante in Toscana con lo stesso Maurizio di Puorto, referente del
clan Iovine per la stessa regione.
Operazioni da collegare? Il traffico d’armi collegato alla Bosnia, scoperto dopo l’operazione che ha
messo a nudo l’alleanza tra i Santapaola e i Casalesi, potrebbe essere pertinente ad una altro
episodio. Il 10 maggio del 2005 la procura generale di Reggio Calabria, quella di Messina e di
Milano aprono nuovi scenari. Il nome dell’operazione parla da sola: “Gioco d’azzardo”. Viene
scoperto un imponente giro di denaro, nell’ordine di milioni di dollari. Soldi che venivano utilizzati
per affari ma anche per traffico d’armi. Salvatore Siracusano fu considerato il faccendiere anche se
la lista degli inquirenti era lunga: l’inchiesta apriva diversi filoni di indagine. La pista investigativa
che più ci interessa riguarda la Polonia, dove Salvatore portava a termine delle vere speculazioni. Il
metodo è semplice quanto efficace: i capitali, nella maggior parte provenienti dall’acquisto di grossi
immobili a Messina, venivano reinvestiti da Siracusano proprio in Polonia. Siamo giunti allo snodo
della vicenda. Da dove provenivano i capitali? Semplice, dal clan Santapaola! Esiste un
collegamento tra questo giro d’armi e gli arsenali provenienti dalla Bosnia? I paesi dell’est sono il
luogo ideale per l’acquisto di armi, per questo stiamo cercando di circoscrivere le zone di
provenienza. Un traffico d’armi va sempre tenuto nella massima considerazione. Di solito una
partita d’armi ne accompagna una di droga che può essere merce di scambio per ottenere queste
ultime.
Ritorno al Cermec, partiamo dal principio Fatta questa breve parentesi legata ai casalesi è
necessario ritornare sulle tracce della municipalizzata dei rifiuti Cermec. Riportiamo parte di quanto
da noi pubblicato nel libro “Trame di Potere” (Eclettica Edizioni).
Nella vicenda CERMEC è attorno allo stabilimento di bricchettaggio RR che si addensano ombre e
numerosi interrogativi che non hanno trovato ancora una risposta. Nata nel 2003, da una
compartecipazione fra CERMEC e socio privato DELCA, fu costituita ErreErre con finanziamenti
in parte comunitari e in parte da banche. “L’innovativo stabilimento” doveva sviluppare una nuova
linea di riciclaggio dei rifiuti derivati dalla plastica e altri materiali ad alto potere calorico, per poi
essere rivenduti come combustibile industriale. L’idea però abortì quasi subito, per motivi sia
tecnici che economici. La nuova linea di bricchettaggio non “decolla” rimanendo ramo “morto” di
CERMEC fino al 2010, quando si tenta di riproporre commercialmente il combustibile CDR, senza
successo, ultimo tentativo di un idea nata “storta”. Il concordato fallimentare di CERMEC mette in
ombra le vicende della compartecipata RR fino all’asta del maggio del 2011 nella quale vengono
messi all’incanto e aggiudicati ad una ditta di Varese parte dei macchinari che giacciono inutilizzati
nello stabilimento. Poco tempo dopo lo stabilimento, dove sono conservati documenti e macchinari,
viene devastato da un “cronometrico” incendio che danneggia il capannone carbonizzando
documenti e parte della struttura. Da ciò i primi interrogativi legati alla dolosità dell’incendio. Chi
poteva avere interesse ad incendiare il capannone? A che scopo? Che cosa si voleva distruggere
esattamente nel rogo? Dopo l’incendio sigilli e sequestro del capannone, con il suo contenuto, sono
un atto dovuto. Da quel momento si apre un inchiesta. Tutto tace fino alla fine di marzo 2012,
quando si presentano i titolari della Montalbetti S.p.a, ditta aggiudicataria dei macchinari. La
Montalbetti s.p.a intendeva provvedere al recupero del lotto aggiudicato ma le amministrazioni di
Massa e Carrara si opposero e ne impedirono la rimozione dichiarando di voler rientrare in
possesso, in futuro, dei macchinari aggiudicati all’asta.
L’ interrogativo A che scopo le amministrazioni intendono rientrare in possesso dei macchinari? I
risultati antieconomici della produzione industriale di CDR non ne giustificano il riacquisto. Che
senso avrebbe ricomprarli con ulteriore impiego di risorse finanziarie, dopo aver già messo a
concordato 21 milioni di euro da restituire in cinque anni?”
Quando ho iniziato l’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose in terra Apuana ho avuto a che fare con il
tema delle concessioni degli agri marmiferi. Collaborai attivamente con il Dottore Bruno Ricci,
tributarista. Nel corso degli anni la sua professionalità mi ha permesso di approfondire temi
complessi, dimostrando quella necessaria combinazione tra precisione e coraggio nell’affrontare
argomenti scottanti. Un giorno cominciammo a discutere del caso del Cermec e R/R. Prese in mano
i bilanci della società e cominciò a spiegare tutti gli aspetti anomali della vicenda.
Come nasce il fallimento di ErreErre?
A seguito di istanze di fallimento depositate dalle società Curti Costruzioni Meccaniche SpA (r.f.
64/2011), Giesse Srl (r.f. 75/2011) ed Aqua Srl (r.f. 82/2011) il Tribunale di Massa fissava
l’udienza del 15.07.2011 per la convocazione della ErreErre ed in quella sede il Giudice rilevava
che i crediti vantati da Curti Costruzioni e Giesse non fossero definitivi (decreti ingiuntivi opposti),
mentre si poteva considerare definitivamente accertato il credito di Aqua Srl (decreto non opposto
pari ad euro 59,369,66 oltre interessi e spese).
In data 22.07.2011 veniva depositata la sentenza con la quale il Giudice Delegato Dott. Giovanni
Sgambati dichiarava il fallimento di ErreErre così motivando: “Letti i ricorsi presentati da Curti
Costruzioni Meccaniche spa, Giesse Spa ed Aqua srl rubricati ai nnr 64/2011, 75/2011 e 82/2011
IF, ………… Rilevato che i crediti azionati da Curti Costruzioni Meccaniche spa e Giesse srl
risultano essere portati da decreti ingiuntivi opposti e, quindi, non possono ritenersi definitivi;
Considerato altresì che il credito azionato da Aqua Srl è fondato su decreto ingiuntivo non opposto
e, come tale, definitivamente accertato;….Ritenuto, altresì, che risulta dimostrato il superamento
del limite di euro 30.000,00 stabilito dall’art. 15, comma 9 e lo stato di insolvenza, tale da
integrare il presupposto di fallibilità di cui all’art. 1 della legge fallimentare. Visti gli artt. 1, 5, 6,
9 e 16 L.fall.
Dichiara il fallimento”.
Ma ci sta dicendo che la società ErreErre è fallita per soli 59,369,66 euro?
Evidentemente si.
Ci può sinteticamente ricordare la costituzione della base sociale della società ErreErre?
La base societaria della società ErreErre (dal 22.05.2003 al Maggio 2010) era costituita dal socio
Cermec SpA che deteneva una partecipazione del 51% (società, quest’ultima, interamente nella
disponibilità azionaria di Enti Locali: (i) Comune di Carrara per il 48%; (ii) Comune di Massa per il
47%; (iii) Provincia di Massa - Carrara per il 5%) e Delca SpA che deteneva la residua parte pari al
49%. Dal Maggio 2011 tutto il capitale sociale diventa di mano pubblica (Cermec SpA).
Possiamo concludere, conseguentemente a quanto sopra, che ErreErre rappresenti il fallimento
dell’amministrazione dei Comuni di Massa e Carrara nel gestire il denaro della collettività?
Sarebbe veramente arduo ed allarmante che un amministratore pubblico provasse a negare tale triste
e manifesta evidenza.
Facendo un passo indietro, la società ErreErre SpA avrebbe o non avrebbe avuto la possibilità di
pagare il creditore Aqua Srl evitando il fallimento?
Dalla lettura del bilancio ErreErre al 31.12.2010 e soprattutto di quello al 31.05.2011 redatto ai
sensi dell’art. 2446 e 2447 del c.c. emerge, in maniera chiara, l’esistenza di crediti verso i suoi
medesimi soci, ovvero Cermec e Delca per un importo complessivo ammontante alle date del
31.12.2010 e 31.05.2011, ad euro 2.423.340 e 2.620.964.
Perché la società ErreErre non ha mai provveduto ad incassare questi crediti verso Cermec e Delca?
Le ragioni sono le medesime di quando il Comune di Massa decise di costituire la società Massa
Servizi SpA stringendo la mano ad un socio quale la società Ariete SpA. Società, quest’ultima, i cui
soci erano due fiduciarie, ovvero soggetti, ad oggi, ancora IGNOTI alla collettività. Ebbene, se
chiedessimo al sindaco di Massa di dirci se tutto questo sia normale, con molta probabilità non vi
risponderebbe neanche. In altri termini, se un amministratore pubblico non ha la trasparenza
professionale ed umana di rendicontare all’amministrato (i cittadini) la sua gestione, tutto è
possibile. La cosa curiosa e sorprendente è che i cittadini e/o comunque una significativa
maggioranza degli stessi, a loro volta, sembrano, evidentemente, essere indifferenti. Questo è il
problema !!!.
Dott. Ricci, unitamente a quando fin qui detto, ci sono altre stranezze contabili di cui ci vuole
rendere partecipi?
La società ErreErre tra il 01.01.2011 e il 31.05.2011 ha pagato il debito a titolo di “soci Delca SpA
e Cermec SpA c/finanziamenti infruttiferi” per complessivi euro 699.498, in palese violazione del
disposto dell’art. 2467 c.c.: “Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è
postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la
dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito…..”. A pag. 50 della relazione ex.
art. 33 L.F. del 03.01.2012, viceversa, si legge testualmente: “Nell’anno anteriore alla
dichiarazione di fallimento non risultano al momento atti che possono essere oggetto di
revocatoria fallimentare ed ordinaria”. Su quest’ultimo punto merita ampliare l’analisi con
un’ulteriore interessante accertamento. Dalla lettura delle note integrative ai bilanci 2009 - 2010 ed
infine di quella accompagnatoria alla relazione patrimoniale ex. artt. 2446 e 2447 c.c. al 31.05.2011,
risulta che tale finanziamento soci (pag. 9 della nota integrativa al bilancio 2009) era stato effettuato
dal socio Delca SpA per euro 686.299, viceversa, nella nota del bilancio 2010 (pag. 9) tale
finanziamento sarebbe stato effettuato per euro 1.299 dal socio Delca SpA e per euro 710.000 dal
socio Cermec SpA ed infine, nella nota al bilancio 31.05.2011 (pag. 7) tale finanziamento, come
sopra detto rimborsato per euro 699.498, era privo, “ovviamente”, di ogni informativa e quindi non
ci è dato di sapere a chi la società ErreErre abbia rimborsato il finanziamento di cui sopra.
Comportamenti, quest’ultimi, realizzatesi già sotto la nuova governance della società ErreErre
insediatasi in data 20.10.2010. Il Bilancio relativo all’anno 2010 e la relazione, ai sensi dell’artt.
2446 e 2447 c.c., del 31.05.2011 sono stati redatti e firmati, appunto, dal nuovo presidente del CdA,
il sig. Ugo Bosetti.
Mi scusi, Dott. Ricci, mi sta dicendo che la società ErreErre invece di incassare i crediti verso
Cermec e Delca, pagava in una fase pre-falimentare, i debiti verso i suoi medesimi creditori?
Gli atti depositati in Tribunale portano a questa conclusione.
Ci può dire qualcos’altro?
Merita, infine, porre severa attenzione al fatto che diverse voci di bilancio dell’anno 2010 e
riportate anche nella relazione patrimoniale ex. artt. 2446 e 2247 c.c. del 31.05.2011 non
coincidono, ma divergono sensibilmente e questo contra legem. Situazione, quest’ultima, che stride
con quanto affermato a pag. 44 e 45 della relazione ex. art. 33 della Legge Fallimentare. Leggiamo,
infatti: (i) “La contabilità appare, dal punto di vista formale, correttamente tenuta……”; (ii)
“Dall’esame delle scritture contabili e fiscali ricevute da Liquidatore sig. Ugo Bosetti, si è potuto
appurare che queste sono state tenute correttamente, da un punto di vista formale, adempiendo a
tutti gli obblighi imposti dalla legge”. L’organo fallimentare preposto alla redazione della relazione
ai sensi dell’art. 33 c.1 della L.F., non avrebbe dovuto limitarsi alle risultanze del bilancio al
31.12.2010, ma, viceversa, avrebbe dovuto spingersi a: “presentare al giudice delegato una
relazione particolareggiata ……..e su quanto può interessare anche ai fini delle indagini
preliminari in sede penale”. In altre parole, non poteva disinteressarsi dei fatti societari accaduti dal
01.01.2011 al 31.05.2011 ed evidenziati nella relazione ex artt. 2446 e 2447 portante la firma del
nuovo Presidente del CdA il sig. Ugo Bosetti. Inoltre, si deve tenere a mente che la relazione ex artt.
2446 e 2447 faceva parte della documentazione contabile che il Liquidatore sig. Ugo Bosetti
depositò in Tribunale (pag. 44 Relazione ex. art. 33 L.F. n. 267/42). Per concludere, infine, basti
porre attenzione alla pagina 7 della nota integrativa del bilancio al 31.12.2010 per evidenziare
quanto segue: “Per la contabilizzazione di tali contributi è stato scelto il metodo della riduzione del
costo del cespite; cioè ha comportato l’iscrizione in bilancio del costo del cespite, pari ad euro
23.583,773 che, al netto del contributo ricevuto di euro 3.055.184, determina il valore netto di
iscrizione di 20.528.589”. Ma se questo corrisponde al vero come mai troviamo il Contributo
Regione Toscana anche tra i debiti? (Vedi pag. 48 della relazione ex. art. 33 della L. F. n. 267/42).
In altre parole e limitatamente a questo punto, la posizione debitoria della società ErreErre viene
esteriorizzata peggiore di quanto viceversa appare essere sul piano documentale. Quindi, nel caso in
specie, l’attivo immobilizzato, a ragione, è stato diminuito per un importo di euro 3.055.184
(Contributo Regione Toscana) ma erroneamente è stato elevato l’ammontare dei debiti per lo stesso
importo.
Come possiamo concludere dott. Ricci?
Per quanto sopra evidenziato, il fallimento di ErreErre sarebbe potuto essere evitato. A tal fine pare
agevole fare proprie le parole della Cassazione Sez. I, 4 marzo 2005, n. 4789: “Lo stato di
insolvenza dell’imprenditore commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, si
realizza in presenza di una situazione di impotenza strutturale e non soltanto transitoria, a
soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle
condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività, …….”.
Dopo esserci occupati dei rifiuti, riportiamo un altro esempio di combinazione fra municipalizzate,
fiduciarie e danno erariale. A questo punto la nostra inchiesta assume una connotazione sempre più
nazionale. Anche per questa circostanza riportiamo un estratto (aggiornato e ampliato) del nostro
precedente libro “Trame di Potere”.
Massa Servizi/ Master: La foresta delle società. Dopo una campagna elettorale incandescente il
sindaco di Massa Roberto Pucci vinse alle amministrative 2008, sopratutto con la proposta di
chiudere Massa Servizi: “..Massa Servizi deve essere chiusa!…”.
Nel prosieguo del capitolo vedremo come effettivamente sono andate le cose. Insieme a Francesco
Sinatti mi sono imbattuto in un intricato schema legato a movimenti speculativi societari. Un
autentico labirinto pieno di fiduciarie e vicoli ciechi in grado di far emergere, finalmente, il sistema
malato di una provincia “transito” come Massa-Carrara.
La lunga e intricata vicenda cominciò nel 1997, quando il sindaco Roberto Pucci decise di
“esternalizzare” l’attività di riscossione dei tributi del comune di Massa (delegandola ad una
società esterna agli uffici comunali). Questa società cominciò con la riscossione dell’AGIAP, per
poi arrivare a riscuotere tutti i tributi imposti dall’ente locale Apuano. Con il rinnovo del contratto
di servizio nel 2005 l’attività si “trasformò” in modo sostanziale. A quel punto il socio privato
Ariete, che all’inizio era una Società a responsabilità limitata, divenne la “famigerata” S.p.a. . In
questo modo il concessionario per la riscossione dei tributi si trasformò in una “oscura macchina
da soldi” che nascose i propri utili dietro a delle società anonime, anche dette “fiduciarie”. La
mutazione del socio Ariete avvenne con il rinnovo del “contratto di servizio” alla Massa Servizi nel
maggio 2005. Da quel momento la società ricevette “l’investitura ufficiale” del Consiglio Comunale
con il nuovo assetto societario. La variazione della ragione sociale permise ad Ariete S.p.a. di fare
“profitti” senza dover rendere conto della propria attività, nemmeno al socio pubblico, cioè all’ente
locale, che a quel punto “perse il controllo” sugli “utili”. Da quel giorno l’attività di riscossione
finisce per essere “mascherata” dietro a delle società anonime, di cui si vociferano i nomi dei soci
“occulti” senza che si possa fare nulla per rivelare la loro identità che resta legalmente anonima
dietro al dispositivo giuridico della “fiduciaria” . Da questa vicenda sorse l’esigenza di votare “un
atto di autotutela” per permettere al Sindaco Roberto Pucci e alla sua giunta di prendere le distanze
dall’operato e dalla, eventuale, illegittima conduzione dell’attività da parte del socio Ariete S.p.a. Il
16.4.2009 il Consiglio Comunale approvò con atto di giunta n°175, titolato: “atti di affidamento dei
servizi di riscossione alla società Massa Servizi” e contesta ex Art. 7 - legge 241/90:
1 La discrezionalità del socio e l’affidamento senza gara pubblica facendo venire meno i
presupposti per l’affidamento “in house”
2 La gestitone errata del servizio ridotto a “pura committenza” nel riaffidamento ad altri soggetti
tra cui il socio privato Ariete Spa, sempre senza gara pubblica
3 La natura fiduciaria delle partecipazioni della società Ariete Spa senza che vi siano state
comunicazioni all’amministrazione
L’atto di autotutela rappresentava, comunque, una soluzione in “extremis” non priva di “rischi”.
L’amministrazione, infatti, venne esposta a diverse insidie di natura tecnica e politica, oltre ai
ricorsi di Ariete S.p.a. presso TAR, Consiglio di Stato e ai tribunali di Massa e Milano. Una presa di
posizione ambigua, su cui l’amministrazione rischiava di tendersi un “imboscata” proprio il giorno
in cui il sindaco decise di far votare in giunta la “Delibera di Autotutela” per prendere, ricordiamo,
le distanze dall’operato della S.p.a e da, eventuali, reati commessi da soci e società. Di fatto, però,
la votazione di un atto simile coinvolgeva diversi fra consiglieri e assessori dell’attuale
maggioranza che avendo approvato, nella precedente amministrazione Neri, il rinnovo del contratto
a Massa Servizi, “rinnegherebbero” adesso l’approvazione avvenuta nel 2005 in palese conflitto
d’interessi con il loro precedente voto (1). I consiglieri ritennero, allora, il parere dei “tecnici”
sufficiente per ammettere l’atto di rinnovo a “legittima” discussione in consiglio e lo votarono,
senza immaginare che si sarebbero trovati a dover votare, in seguito, un atto di autotutela per
“neutralizzarne” gli effetti. Il rischio di aprire un contenzioso fra l’ente locale e coloro che erano
presenti sia nel 2005 che fra le fila dell’ultima maggioranza Pucci è evidente!!! Quei consiglieri
sarebbero in palese conflitto con se stessi e con il Comune che rappresentano ex art. 63 TUEL,
rinnegando l’atto di rinnovo del contratto di servizi che espone loro ad un palese conflitto con l’ente
locale.
Un bel pasticcio davvero considerando che, a questo punto, la giunta si sarebbe autosfiduciata con
conseguente caduta dell’amministrazione Pucci III per “contrasti” con una decina dei suoi membri
più rappresentativi. La questione non si chiarì e il sindaco giunse ad un accordo con Massa Servizi.
Per quale motivo il Dirigente preposto al controllo, il Segretario Generale, l’Assessore competente e
il Presidente dell’allora Commissione Bilancio portarono il 31.5.2005 in discussione in Consiglio
Comunale un simile atto di rinnovo del contratto di servizi?
A quel punto, al dimissionario Dello Iacono presidente pro tempore di Massa Servizi, subentra un
protagonista del libro (soprattutto nel filone nazionale e internazionale dell’inchiesta) Giulio
Andreani che, nel frattempo, è divenuto anche presidente del “nuovo” concessionario per la
riscossione: La Master. Nata dalle ceneri di Massa Servizi. “La Fenice Master” sembra quasi una
strategia pianificata. La questione è grave ma non è seria…” come si dice in questi casi. Pertanto, il
sindaco trattò un “disonorevole armistizio” con Massa Servizi S.p.a. per 900.000 € ! Perché il
sindaco scelse una transazione da 900.000€ e non chiuse Massa Servizi nella modalità promessa in
campagna elettorale? In definitiva, come risulta dalla commissione speciale su Massa Servizi spa, il
danno erariale si aggira sui 15 milioni di euro per dieci anni di attività.
Penati. A occhi attenti Ariete si presentava come una società piene di sorprese. Nelle analisi
precedenti, avevamo messo in rilievo la composizione di Ariete: formata da tre fiduciarie. Una di
queste risultava essere la Plurifid spa con sede a Torino. La Plurifid possiede un socio unico:
Ubibanca, Unione di Banche Italiane Società Cooperative, con sede in piazza Vittorio Veneto n.8 a
Bergamo. La famigerata fiduciaria potrebbe offrire nuovi sbocchi per la nostra inchiesta. Pare,
infatti, collegata ad una srl finita sotto l’occhio della Guardia di Finanza e dei media. Il caso
finanziario è eclatante: coinvolta risultava la Eventus srl, costituita il 5 dicembre 2006 e messa in
liquidazione il 10 settembre 2009. L’amministratore della società, fino al 9 ottobre 2007, fu un
personaggio importante: Filippo Penati. Uomo del Pd già indagato per finanziamento occulto ai
partiti ed altri gravi illeciti. In breve tempo emerse che la Eventus srl era controllata al 50% dalla
fiduciaria Plurifid spa, la stessa che contribuiva a formare la compagine societaria Ariete Spa. A
questo punto si aprono inquietanti scenari e nuove imbarazzanti coincidenze vengono alla luce.
Penati, il super indagato, ha avuto a che fare con Ariete e quindi con Massa Servizi? È un dato di
fatto che il passaggio in Ariete spa (e il sopraggiungere delle tre fiduciarie) avvenne sotto lo
sguardo distratto di una amministrazione Pd a Massa. Una coincidenza? Penati, uomo Pd, ha forse
intrapreso relazioni con qualche politico locale di Massa-Carrara? Dentro e fuori dal Comune di
Massa cominciò a trapelare una voce: Ariete Spa serviva per il finanziamento occulto ai partiti,
durante la campagna elettorale, di centrosinistra. Può essere una fondata preoccupazione? Quanto è
compromesso Penati? Siamo di fronte ad un autentico modus operandi che coinvolge anche la
provincia di Massa-Carrara?
In breve tempo scoppiò un'altra polemica sui giornali locali tra il Consigliere Stefano Benedetti e
l’Onorevole Andrea Rigoni, rappresentante di spicco del Pd locale. Secondo quanto trapelato in
quei giorni, Massa Servizi aveva sede in un palazzo dell’Onorevole Rigoni (“Palazzo di
vetro”dell’omonima srl dei fratelli Rigoni). Niente di strano, le anomalie invece potrebbero sorgere
approfondendo la questione degli affittuari. Rigoni avrebbe affittato, infatti, il locale ad Ariete Spa
“quasi gratuitamente” il quale a sua volta lo avrebbe subaffittato a Massa-Servizi. Un giro d’affitti
da capogiro e privo di ogni senso logico, o forse tale solo apparentemente: perché non affittare
direttamente a Massa-Servizi? S’intendeva nascondere qualche cosa? Cosa? L’Onorevole Rigoni
rispose alle accuse per mezzo del suo legale: “sono illazioni inaccetabilmente insinuanti, crea
artificiosamente un possibile collegamento tra l’inchiesta Penati e l’onorevole Andrea Rigoni e la
Margherita di Massa .” Il portavoce affrontò anche il tema dell’affitto ad Ariete: “Inoltre non si è
mai concesso quasi gratuitamente unità immobiliare in locazione ad Ariete spa”.
Nota (1) Per quale ragione con l’autotutela non si è provveduto ad accertare anche le responsabilità
di coloro che approvarono nel 2005 il passaggio al socio privato Ariete Spa? Tra coloro che
approvarono questo passaggio non ci sono forse eminenti esponenti della stessa amministrazione
Pucci III che ha preso le distanze con quell’atto di autotutela? Non è forse incoerente una simile
presa di posizione?
Nota (2) Andando a rileggere la registrazione scritta della seduta del 31 maggio 2005 del Consiglio
Comunale di Massa, rileviamo anche interventi significativi contro l’approvazione della delibera di
rinnovo del contratto di Massa Servizi. Tra questi ricordiamo quello del Consigliere Pier Paolo
Marchi (all’epoca di Rifondazione Comunista). Il Consigliere aveva posto una “preventiva
pregiudiziale”. Nella seconda parte del suo discorso pone, inoltre, un quesito importante: perché
non si vuole indire una gara pubblica per il socio privato di Massa Servizi? Perché accettare a priori
la trasformazione di Ariete in spa? Riportiamo a tal riguardo parte del suo intervento : “Questa
delibera arriva a dire delle cose semplicemente utilizzando atti che dicono il contrario di quello che
la delibera stessa sostiene. Non sono un avvocato, non sono un giurista, semplicemente sono un
cassa integrato, quindi ho un po’ di tempo e mi sono divertito ad andare a vedere una ad una le
sentenze del Consiglio di Stato, le leggi a cui si fa riferimento e quant’altro.” Il Consigliere
prosegue : “Bene, l’atto 29 della Legge 448/2001 non dice che si possa assegnare il servizio da una
società costituita ad un socio che non emerga da una gara internazionale ad evidenza pubblica”.
Alla fine il presidente Andrea Ofretti mette ai voti:
Ofretti: “Grazie consigliere Marchi di essere stato anche nei tempi. Mettiamo in votazione la
pregiudiziale del consigliere Marchi, scrutatori in aula ci sono. Votazione aperta. Ci siamo, si può
alzare il consigliere Uilian Berti per cortesia. Votazione chiusa. Presenti 32, votanti 31, astenuti 2.
Favorevoli 5, contrari 24. La pregiudiziale proposta dal Consigliere Marchi Pier Paolo è respinta”
Nota (3) “Per dimostrare la profonda responsabilità politica ed i conseguenti danni erariali, questa
commissione, nelle more delle sue difficoltà operative, dimostra che i partiti di centro sinistra che
hanno governato in questa città negli ultimi quindici anni, ne escono come evidenti responsabili…lo
snodo fondamentale della vicenda rimane l’assoluta mancanza di documentazione ufficiale (verbali
di assemblea dei soci) o anche di carteggio non ufficiale in cui si evidenzi in qualche maniera la
volontà di Ariete S.c.a.r.l (socio al 30%) prima di trasformarsi in Società per Azioni e,
successivamente, cedere le quote a società fiduciarie….. Ha procurato (Massa Servizi nda) un
evidente danno erariale alla comunità massese, quantificabile, dalle varie risultanze in circa 15
milioni di euro. Lo scontro interno al centrosinistra ha, come naturale evoluzione e nella volontà di
creare un differente centro di potere, portato alla determinazione di chiudere questa pessima
esperienza, sebbene da dieci anni in solitaria posizione AN prima e PDL poi hanno condotto una
battaglia contro questa degenerata ed illegale struttura” (Commissione Speciale di Indagine su
Massa Servizi S.p.a, relazione di minoranza di Stefano Caruso membro del Gruppo Consigliare
PDL).
Nota (4) Penati è stato Presidente della Provincia di Milano dal 2004 al 2009, attualmente ricopre
l’incarico di consigliere regionale della Lombardia. In gioventù ha militato nelle file del Partito
Comunista Italiano, ma è negli anni ottanta che ha inizio la sua carriera nella pubblica
amministrazione di Sesto San Giovanni, la “Stalingrado” lombarda. Divenne Assessore al Bilancio
e all’Urbanistica dal 1985 al 1993. L’anno successivo lo ritroviamo alla guida dell’Alleanza dei
Progressisti, una coalizione di sinistra che vedeva come referente nazionale Achille Occhetto.
Penati divenne anche il primo sindaco di Sesto San Giovanni eletto direttamente dai cittadini. Dopo
due legislazioni come sindaco la sua repentina ascesa proseguì. Nel 2004 sfidava il presidente
uscente della Provincia di Milano di coalizione di centro destra, Ombretta Colli, battendola. Venne
sconfitto, sempre nelle provinciali, nel 2009 dal candidato del centro destra Guido Podestà. Dal
novembre 2006 sino al 2009 Penati fece parte del Consiglio d’Amministrazione del Teatro della
Scala di Milano e anche membro del comitato di candidatura per l’Expo 2015. Nel corso degli anni
Penati seguì con attenzione tutte le fasi politiche. Fece parte della Direzione Nazionale dei
Democratici di Sinistra (DS) e del Consiglio federale dell’Ulivo. Alla nascita del Pd Penati entrò
nel coordinamento nazionale del nuovo partito. Da sempre sostenitore di Bersani. Nel 2010 sfidò
per la presidenza della Regione lombardia: Roberto Formigoni, ma senza successo. Penati, inoltre,
venne eletto dal consiglio regionale vicepresidente in rappresentanza delle minoranze, carica da cui
si dimise nel 2011 a causa di indagini giudiziarie che lo vedevano coinvolto. Il 20 luglio venne,
infatti, indagato dalla Procura di Monza per concussione e corruzione. Sotto attenta analisi tangenti
ricevute per la riqualificazione dell’ex Area Falck di Sesto San Giovanni.
“Entomologia del potere”: Giulio Andreani
Non si può comprendere fino in fondo questa inchiesta se prima non ci soffermiamo su alcuni
“uomini chiave”.
Competente, autorevole, poliedrico, ma anche sfuggente, discreto, eminenza grigia di un potere
politico gestito come una satrapia dalle amministrazioni Apuane che si sono susseguite da metà
degli anni 90 fino ad oggi. Questo è il ritratto di colui che "sussura ai potenti" della provincia e, più
su, nelle alte sfere della politica nazionale del paese.
L'aria si fa rarefatta quando si parla di questa (omni) presenza che incrocia tutti gli scandali e le
intricate vicende in cui sono coinvolte le amministrazioni di Massa & Carrara e le loro
municipalizzate. Ogni volta che si tratta di un importante concordato fallimentare o di una
fiduciaria, lui è il consulente o l'ispiratore di una "soluzione" che sembra sempre giuridicamente
ineccepibile. Tutti i raccordi volanti in punta di diritto sulle "faccende" più spinose di casa nostra
sono quasi certamente passati per le sue mani negli ultimi 20 anni. Stimato consulente, amico dei
potenti, si muove da sempre nell'intricato mondo della fiscalità nazionale e, soprattutto
internazionale, di cui conosce ogni risvolto e anfratto tanto da essere docente pluridecorato della
scuola del Ministero dell’Economia e della Finanza e spesso vincitore di prestigiosi premi come li
"Top Legal award".
Non manca mai agli appuntamenti chiave per lo sviluppo dell’economia locale tanto da avere
uomini di fiducia e importanti partner (spesso soci) che decidono di eleggere la sede legale delle
proprie società nel suo studio di tributarista. Spifferi, brusii e voci maligne lo vogliono il numero
uno della massoneria locale, non si muove nulla negli assetti del porto di Marina di Carrara che Lui
non voglia.
Al punto che "casualmente" ritroviamo un suo collaboratore, Paolo Dello Iacono (ha lavorato per
anni nello studio del tributarista) al comando della Porto Hoding società nuova fiammante per la
gestione del porto. Subito dopo la sua costituzione si sbloccano i 25 milioni di euro governativi per
il water front, trovando immediato seguito nell'approvazione del discusso piano del porto fino a
giungere all'acquisto dei cantieri NCA da parte di Tecnomar Tyg (importante realtà del mondo
nautico). Tecnomar e Andreani sono protagonisti di un'altra vicenda legata al controverso acquisto
del cantiere Baglietto, pregiato pezzo del mercato offshore. Su questo tentativo d’acquisto per
procedura fallimentare restano molte controversie.
Giulio Andreani lo ritroviamo protagonista nelle operazioni del porto con personaggi di alto calibro.
Amicizie strane: Un porto in tempesta. Nell’estate del 2011 “Il Fatto Quotidiano” pubblicò una
serie di articoli in cui venivano menzionati anche i così detti “furbetti del quartierino”. Tra loro
figuravano i nomi di Gianpiero Fiorani e Luigi Grillo, quest’ultimo senatore del Pdl. Un articolo, in
particolare, datato 12 agosto 2011 affermava: “Pronti duecento milioni tra Liguria e Toscana per i
sodalizi di Fiorani e Grillo”. Il testo procedeva: “con una serie di società con sede in Lussemburgo e
in paradisi fiscali stanno investendo centinaia di milioni, comprando mezza Liguria, pronti a
sbarcare in Toscana”. La Toscana non è una piccola regione e occorrerebbe essere ancora più
precisi nel “mappare” investimenti anomali. Nel piccolo cercheremo, dunque, di offrire un
contributo supportato dagli ultimi sviluppi. Nella nostra ricerca riscontriamo i nomi di Grillo e
Fiorani parlando del porto di Marina di Carrara, meta assai ambita per intraprendere succulenti
affari. Durante le celebrazioni dei cento anni del porto di Marina di Carrara, l’instancabile senatore
Grillo non solo era presente ma decise perfino di fare un eloquente discorso non previsto dal
programma della Port Authority. Una autentica intromissione del senatore nelle faccende del porto.
Un intervento che spinge a considerare la possibilità di un legame tra “i furbetti” e la volontà
d’investire parte di quei duecento milioni di euro menzionati nell’articolo del “Il Fatto Quotidiano”.
Una vicenda tutta da chiarire soprattutto se le attenzioni si rivolgono ai precedenti di Grillo e
Fiorani inquisiti per l’inchiesta Antonveneta. Su quella vicenda Grillo fu condannato in primo grado
a due anni e otto mesi mentre Fiorani a un anno e otto mesi.
Il progetto del porto di Marina di Carrara ha conosciuto anche un altro nome illustre: quello di
Caltagirone, l’imprenditore romano che propose un nuovo e costoso lifting al porto. Nulla di male
se investitori e imprenditori offrono le loro idee e aspirazioni per ammodernare e rendere sempre
più efficienti strutture antiquate e inefficienti. Nulla di strano, sempre se gli uomini d’affari
coinvolti non nascondono qualcosa di illecito come pare abbia fatto Caltagirone. Nel marzo 2012
Bellavista Caltagirone, presidente del gruppo immobiliare Acqua Marcia, viene accusato di
concorso in truffa aggravata ai danni dello stato per una somma di diversi milioni di euro per il
porto di Imperia. Brutto affare. Secondo gli inquirenti il costo per la costruzione del nuovo porto si
aggira sui centoquaranta milioni in più del previsto. Una somma di denaro troppo ingente per
passare inosservata tanto che dopo intercettazioni e indagini estese, Caltagirone, presidente
dell’impresa addetta alla costruzione, e l’ex direttore del porto di Imperia spa Carlo Conti, vengono
arrestati. Nel libro “La Provincia Del Silenzio”(Eclettica Edizioni) avevamo riportato che nel
novembre del 2010 la Dda di Torino aveva dato inizio a un blitz nel porto di Imperia.
Nell’operazione furono individuati esponenti della ‘ndrangheta Piemontese e Ligure pronti a
inserirsi in importanti affari legati allo scalo. Si tratta di una coincidenza l’avviso del Procuratore
capo Luciano Di Noto, avvenuto poco tempo dopo il blitz, che esponeva i rischi di infiltrazione
mafiosa anche in zona Apuana? Sono in circostanze analoghe a quelle descritte che avvengono le
alleanze tra i così detti colletti bianchi e le mafie, dando inizio a un devastante sodalizio.
Referente tra Caltagirone e il noto armatore Enrico Bogazzi (Presidente e socio della Porto Spa di
marina di Carrara) pare essere stato Giulio il Divo (Giulio Andreani), gran maestro di pubbliche
relazioni. Sfuma l’affare, non se ne fa nulla. Bogazzi aveva già sentito odore di bruciato? Due anni
dopo sarà Bogazzi a fare delle avances ad un noto imprenditore ligure, Gabriele Volpi.
La storia di Volpi è piena di interessanti luci e ombre, almeno a detta di alcuni osservatori. Ma
vedremo più avanti (Parte 2) .Autentico big dell’economia italiana vive attualmente in Nigeria dove
tra i suoi molti affari si occupa di petrolio, in particolare della gestione delle strutture addette allo
stoccaggio e al trasporto del greggio sia nei depositi che nei porti non distanti dai giacimenti.
Intorno al suo impero orbitano società offshore distribuite in mezzo mondo. Patron del Recco
pallanuoto e Calcio Spezia, allarga il suo business anche nell’edilizia soprattutto in terra ligure,
come nel caso del porto turistico di Santa Margherita. Dell’imprenditore di Recco in passato si sono
dette cose poco edificanti: contrabbandiere di armi e associato alla mafia. Ovviamente Volpi ha
sempre negato simili insinuazioni: “Non ho mai avuto bisogno di fare cose del genere”. C’è
comunque una sua società, la Intels, che in passato è stata oggetto di attenzione da parte di alcuni
giornali come il quotidiano Daily Champion che riporta: “Nel settore marittimo e dell’industria
petrolifera , Intels è una delle compagnie che ha continuato a generare controversie… c’e’
soprattutto l’impressione della gente che la compagnia stia mungendo il paese senza contribuire
all’economia nazionale. La cosa più rilevante è che si afferma che Intels sfrutti i Nigeriani che
lavorano per essa” (Ripreso da Maria Riccioni, Casa della legalità e della cultura). Tra le amicizie di
Volpi compare Fiorani: quanto è piccolo il mondo! Nello studio tributarista di Giulio Andreani
vengono ospitate almeno due ditte riconducibili a Volpi: la San Rocco immobiliare e la Santa
Benessere. Il presidente di quest’ultima è l’avvocato Andrea Corradino. Amministratore delegato,
invece, l’architetto Gian Antonio Bandera, costruttore molto vicino al Vaticano. Il Vaticano in
queste faccende appare spesso, ricordiamo che Gianpiero Fiorani è grande amico del cardinale
Tarciso Bertone, ma anche di Gabriele Volpi. Anche queste però potrebbero essere annoverate fra le
coincidenze della vita. Ulteriore coincidenza: Andrea Corradino, che abbiamo visto come
presidente della Santa Benessere con sede in uno studio di Carrara, è l’avvocato dell’onorevole
Grillo. Non è che i soliti noti stanno mettendo le mani sul porto di Marina di Carrara? Ipotesi
suggestiva.
Lo stesso studio di Carrara fu occasione per un altro incontro degno di nota: quello con l’avvocato
Andrea Baldi. Lo stesso indagato per lo scandalo della Conad. A intervenire in sua difesa Giulio
Andreani. A tal proposito riportiamo un articolo del “Il Tirreno”
“PISTOIA”. Un aspetto della maxi-inchiesta esplosa alcuni mesi fa, nei quali erano coinvolti alcuni
nomi di spicco dell'imprenditoria pistoiese fra cui il presidente della Pistoiese Orazio Ferrari, era
quello dell'evasione fiscale. Con una sentenza di pochi giorni fa, la Commissione tributaria
provinciale di Firenze ha però accolto i ricorsi proposti, con il patrocinio di Giulio Andreani, Pietro
Cervasio e Carlo Rosano facenti parte del gruppo societario Tredil-Roscer, contro gli avvisi di
accertamento relativi agli anni 2004 e 2005, notificati loro dall'Agenzia delle entrate per importanti
rilevanti. Per entrambi i contribuenti - soci del gruppo Tredil-Roscer, del quale fanno parte anche
Orazio Ferrari ed Andrea Baldi di Pistoia - i motivi del recupero impositivo preteso dall'Agenzia
delle entrate avevano tratto origine da un'operazione immobiliare relativa ad un terreno edificabile
ubicato in Montopoli Valdarno che, a vario titolo, aveva coinvolto, tra le altre, le Società Conad del
Tirreno, Logistica Valdarnese Srl e Tredil Spa. Questa operazione, come si ricorderà, era già stata
sottoposta all'attenzione della cronaca nel giugno scorso, in quanto oggetto di una verifica da parte
della procura di Roma che aveva dato corso a un'ampia indagine. In particolare, secondo
l'amministrazione, le consistenti erogazioni di denaro corrisposte negli anni 2004 e 2005 dalla
Tredil Spa ai due contribuenti, avrebbero costituito il corrispettivo di non meglio precisati servizi
che costoro avrebbero prestato nell'ambito dell'operazione commerciale di cui si è detto. Invece, la
Commissione tributaria provinciale di Firenze, recependo in pieno quanto argomentato dalla difesa
di Baldi, ha stabilito che dette movimentazioni di denaro non hanno costituito il prezzo di servizi
prestati in favore della Tredil Spa, ma la restituzione di un credito che i soci vantavano nei confronti
della società. Questo credito derivava sia dall'acquisizione delle quote di partecipazione nella
Logistica Valdarnese Srl (della quale erano soci i Cervasio, Rosano, Ferrari e Baldi) sia
dall'acquisto di un credito vantato verso quest'ultima dai soci Cervasio e Rosano, Ferrari e Baldi.
Commentando la sentenza, i difensori pongono l'accento, non solo sul riconoscimento dell'estraneità
all'evasione, ma anche per la condanna dell'amministrazione finanziaria alla refusione delle spese di
giudizio sopportate dai contribuenti. «Atteso che - concludono gli avvocati - quasi sempre, i giudici
tributari, indipendentemente dall'esito della controversia sottoposta al loro giudizio, sono soliti
compensare le spese di lite; il che sta ad indicare l'assoluta infondatezza della tesi dell'Agenzia delle
entrate».
27 settembre 2011 Il Tirreno
Per diritto di cronaca Baldi fu assolto dall’accusa.
Ma cos’è la Tredil Roscer? È una società di Prato i cui titolari sono di fatto i cinque del gruppo
Roscer: Orazio Ferrari, Andrea Baldi, Luigi Minischetti, Pietro Cervasio e Carlo Rosano. È una
società, in definitiva, nata per realizzare affari immobiliari. Nello scandalo Conad la società ha
come referente bancario tra le altre anche Banca Finnat. Una banca interessante quanto il suo
proprietario, Giampietro Nattino. Nattino fin dai primi anni della Repubblica Italiana è stato vicino
a Giulio Andreotti, uno dei politici più potenti e controversi. Tra le altre amicizie di Nattino
ricordiamo due personaggi chiave: Francesco Caltagirone (la stessa famiglia Caltagirone citata nel
cap “un porto in tempesta”) e Stefano Ricucci (immobiliarista e facente parte del famigerato gruppo
dei “furbetti del quartierino”), lo stesso che confessò preoccupato al Pm della Procura di Roma:
Ricucci: “E che, lo chiede a me? Lei non deve palare con me di questi argentini….. Conosce
Caltagirone? Lo convochi. Conosce Bonsignore? Lo chiami. Sa chi è Catini? No. Chiami anche
lui….. chiami anche la banca Finnat e Giampietro Nattino. Chiami Vincenzo De Bustis. Sa cosa è la
banca Finnat? Chi è Nattino?”
Magistrato: “Che fa questo Nattino?”
Ricucci: “Ma lei vuole che a me mi uccidano stasera qui dentro? Lei forse non si rende conto di chi
sta a toccare Lei…. Mi faccia la cortesia, lasci perdere questo dottore…. Io lo dico per me; poi se
Lei vuole andare avanti, lo faccia. Lei c’ha seicento persone che la proteggono, ma a me chi mi
protegge? Nessuno, su sta roba”.
Sempre Ricucci durante l’interrogatorio mette in luce un aspetto nuovo:
“Senta Dottore, secondo me la Finnat è una banca molto vicina al mondo della massoneria…”.
Dopo questa breve testimonianza torniamo a Baldi. Nella città di Carrara aveva compiuto un
investimento importante comprando l’hotel Michelangelo ma non solo:
“Nel luglio dello scorso anno ha inaugurato, con tanto di festa il suo primo investimento in città: ha
rimesso a nuovo, e a tempo record, l'hotel Michelangelo in via Rosselli. E aveva anche annunciato,
in tempi non sospetti, un altro investimento: alla Lugnola, che comprendeva un ampliamento
proprio del supermercato Conad, e la creazione di un nuovo polo per lo shopping con negozi, bar e
locali. Un asse commerciale del tutto inedito in una zona della città che, con la strada dei marmi in
dirittura d'arrivo, verrà liberata dal traffico pesante. Un progetto annunciato, a cui l'avvocato
pistoiese avrebbe dovuto dare gambe grazie proprio ad una cordata formata da altri immobiliaristi.
Ma, proprio la scorsa estate Baldi aveva fatto un passo indietro. «Non sono qui per comprare mezza
Carrara - aveva però precisato il patron dell'hotel, nella serata dell'inaugurazione - chi ci vive
dovrebbe investire di più»”.
15 giugno 2011 Il Tirreno
Quale evento può aver spinto l’avvocato-immobiliarista a non proseguire i suoi investimenti? Una
nota interessante, che ovviamente non c’entra nulla con il caso in questione: La Dia (Direzione
Investigativa Antimafia) insistette su infiltrazioni mafiose nella Strada dei Marmi e in tutto ciò che
riguardava le zone limitrofe che potevano essere influenzate dalla sua realizzazione. Pare che le
indagini si siano intensificate negli ultimi due anni tanto da bloccare, lo afferma lo stesso Prefetto,
diverse intrusioni malavitose o di uomini d’affare poco limpidi.
Politica e porti
Affari PD La politica si è sempre dimostrata interessata al controllo dei porti. Tuoni e fulmini
attendono gli sventurati intenzionati a svelare i misteri dei porti italiani, anche perché queste
vicende vedono coinvolti personaggi assai potenti.
Nel capitolo “Un porto in tempesta” abbiamo descritto le intenzioni dei “furbetti del quartierino”
(area centro destra, informiamo i lettori stranieri che la politica italiana è più complessa di quella
tribale africana) di fare investimenti sui porti liguri dal levante fino allo scalo di marina di Carrara
incluso, considerato “la porta” d’accesso alla Toscana. In queste pagine mettiamo in evidenza il
medesimo modus operandi, ma con regia ed influenze di segno opposto targate PD. Probabilmente
parte dell’establishment regionale e nazionale si è reso conto delle manovre dei “furbetti”
profilando l’idea di perdere il controllo politico su appalti collegati allo sviluppo dei porti toscani.
Si parla d’ingenti finanziamenti comunitari e non solo. Uno scontro politico e amministrativo sotto
traccia dove unici a non beneficiarne sono i contribuenti. Alcuni dirigenti Pd sembrano aver
lanciato la controffensiva con la discussa operazione del porto di Piombino legata al trasferimento e
allo smantellamento del relitto della Concordia. La tragedia della nave da crociera è nota a tutti. Il
problema è tecnico e riguarda lo spostamento e smantellamento di questo “bestione” di trecento
metri. La Regione Toscana, guidata dal controverso Presidente Enrico Rossi, fra tutte le strategie
praticabili opta per quella più surreale: la nave dovrebbe essere trasportata e smantellata nel porto di
Piombino. C’è una questione da risolvere, il porto è piccolo e inadatto alla Concordia. Sono
necessari due anni di lavori e centinaia di milioni di euro solo per abbassare drasticamente il fondale
e creare quattro piscine artificiali. Una operazione fine a se stessa perché, le fantomatiche piscine,
rendono il nuovo porto inadeguato alla sua funzione. A tal proposito anche il Prefetto di Piombino
esprime le sue preoccupazioni riguardo alla scelta di questo scalo:
“Non ho mai posto il problema Piombino o non Piombino, ma ho sempre rilevato che Piombino è
una soluzione complicata” (Dagospia).
Negli stessi giorni in cui gli esponenti del Pd annunciavano il potenziamento del porto di Piombino,
il partito rivolgeva lo sguardo verso una banca (una fissa?!). Il banco di Sardegna.
Mai pensare male ci ammonivano a catechismo, ma se nel breve arco di tre mesi assistiamo allo
sfacelo del Monte dei Paschi, al discutibile annuncio del potenziamento di porti come Piombino e
all’interesse di collocare uomini chiave del Pd in piccole banche, beh! Gli indizi sono veramente
tanti e i sospetti conseguenti. Viene da pensare che il Monte dei Paschi dopo il dissesto finanziario
subito non sia più la “mucca da mungere” per il Pd. Viene da pensare, inoltre, che sia necessario
mettere le mani su una banca (piccola) per sostituire il MPS. Fondi- banche- porti-politica
potrebbero essere un buon inizio per ulteriori finanziamenti e appalti. Sospetti. Solo sospetti.
Se mettiamo in ordine le singole vicende legate ai porti Liguri e Toscani rileviamo strane
coincidenze. Potremo azzardare un ipotesi. Mentre i “furbetti del quartierino” puntavano ad avere
appalti per ottenere l’ampliamento e costruzioni di nuovi porti TURISTICI, parte del Pd
sembrerebbe volere l’esatto contrario: azzerare il tutto, per poi potenziare i porti MERCANTILI o
crearne di nuovi. Visioni contrapposte. Colpi di scena, discussioni infinite, arresti eccellenti e
accuse reciproche hanno caratterizzato il dibattito sui porti negli ultimi anni. Indizi a conferma di
una guerra sotterranea sono rintracciabili nelle ultime vicende legate al progetto del nuovo porto di
Carrara (ancora una volta la provincia Apuana è anticipatrice e in prima linea nelle questioni
nazionali). Quando ancora le influenze dei “furbetti” e dell’ex senatore Luigi Grillo erano palpabili,
le proposte di progetto per il nuovo porto erano prevalentemente orientate all’ampliamento dello
scalo turistico. Eclatanti scandali fanno venire meno queste potenti influenze. Lo scenario cambia e
assistiamo ad un possibile colpo di mano di soggetti appartenenti all’area di centro sinistra,
affiancati dalla regione Toscana con il presidente Rossi e dalle due amministrazioni di Massa e
Carrara. Le dichiarazioni dei vertici della Porto Holding sono un punto di svolta che lascia pochi
dubbi sul futuro del porto: tutti gli sforzi saranno concentrati per ampliare e potenziare il settore
mercantile.
“RIVELAZIONI, RIVELAZIONI!!!!!”, avrebbe gridato a squarcia gola un vecchio strillone
intento a vendere giornali. Si, perché la notizia che pare scontata, è in verità una svolta di non poco
conto. Soprattutto se messa a confronto con quella del porto di Piombino.
Le novità non sono finite. Civitavecchia potrebbe offrirci una ennesimo spunto. Il 19 marzo 2013 il
controverso imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone viene nuovamente arrestato dopo aver
subito un processo per truffa riferibile al porto d’Imperia, in seguito prosciolto, ma attualmente
indagato per irregolarità in quello di Civitavecchia. Caltagirone è collegato ai “furbetti” e all’ex
ministro Claudio Scajola: in conseguenza di questo vuoto di potere, il porto di Fiumicino diviene
più appetibile per i manovratori targati Pd? Una vicenda tutta da seguire. Perché è determinante
ricostruire il braccio di ferro affaristico tra i due principali partiti nazionali? Non certo per ragioni
politiche ma per questioni prettamente pratiche e di controllo dei settori chiave dell’economia del
paese. Trasparenza imporrebbe che nessun partito abbia il controllo su strutture pubbliche. Il
monopolio porta ad inevitabili irregolarità e non di rado a gravi illeciti. In circostanze simili non è
da sottovalutare il problema infiltrazioni mafiose. Si, perché se alcuni esponenti del Pdl hanno
mantenuto una sana dose di complicità con alcune ‘ndrine e clan camorristi, il Pd non può di certo
sbandierare la propria superiorità morale.
Porti & “Mala”.
Tutto parte dalla Liguria. Questo è l’assioma investigativo da cui prende spunto la nostra
inchiesta.
Da qui transita tutto ciò che riguarda gli affari illeciti del centro nord Italia. La piccola e
apparentemente apatica provincia di Massa-Carrara è da considerare non una propaggine della
Toscana, bensì il “sud “della Liguria. Almeno trattando di corruzione e Mafie. Una lingua di terra
che se ben analizzata si potrebbe dimostrare il nervo scoperto di una vasta e articolata rete
criminale. Gli scali della Liguria, infatti, sono da considerarsi strategicamente INSOSTITUIBILI e
fondamentali, cosa che non si può dire di molte aree della penisola.
I porti sono per definizione piattaforme strategiche per coloro che hanno intenzione d’intraprendere
affari illeciti, fin qui è cosa risaputa. Per evitare che quanto detto risuoni vago dobbiamo
soffermarci su un porto in particolare: quello di La Spezia. Un porto che riserverà ancora sorprese
agli inquirenti. La Spezia risulta per le organizzazioni criminali uno scalo perfettamente attrezzato
per la logistica e quindi ideale per grossi traffici, mentre Marina di Carrara (a soli 20 km)
rappresenta un porto defilato e anonimo adatto per affari apparentemente di secondaria importanza.
Inoltre negli appalti del porto ligure non è più possibile speculare. Contrariamente agli appalti e
all’ampliamento dello scalo Apuano in cui esistono ampi margini di profitto legati agli investimenti
di denaro pubblico. Cosa occorre per favorire affari di portata milionaria nei porti? Bisogna allestire
imponenti traffici nazionali e internazionali da cui possono ricavarne profitto tutti coloro che si
trovano nel “cono d’ombra”. Occorre, in definitiva, un modus operandi e una organizzazione che
attualmente solo la mafia possiede (vedere parte III, le due holding). Le preoccupazioni non
dovrebbero finire qui per chi si occupa di mafia, trascurare la Lunigiana (Ms) sarebbe un gravissimo
errore. La Lunigiana, infatti, sembra stia diventando una roccaforte della ‘ndrangheta. A giocare un
ruolo decisivo in Lunigiana potrebbe essere la Scu (la Sacra Corona Unita Pugliese), già presente e
attiva da tempo sul territorio. L’attuale Scu, infatti, sta mettendo in atto in ambito nazionale già da
qualche anno una linea d’azione a più ampio respiro rispetto al vecchio giro delle sigarette e delle
automobili. Un piano con alleanze sempre più strette con la camorra e la ‘ndrangheta finalizzato al
commercio di stupefacenti e armi, quest’ultimo traffico collegato a sua volta con i paesi dell’Est. In
Lunigiana la Scu si è forse alleata con la ‘ndrangheta? (prima holding, vedere parte III). Abbiamo
notato che la Scu, soprattutto in Toscana, Emilia e Liguria, viene spesso sottovalutata e vista come
una organizzazione ancora confinata in traffici minori. Grave errore di valutazione! Che non coglie
a pieno i nuovi assetti, compresi quelli delle due holding di cui più avanti parleremo
approfonditamente. A tal riguardo intendiamo ricollegarci al primo libro. In “Trame di Potere”
avevamo descritto il travagliato progetto che vedeva la costruzione di sei super ville di lusso per i
magnati Russi a Forte dei Marmi (celebre località turistica della Versilia). Quello che però non
avevamo messo in evidenza nel precedente libro era lo spiccato interesse da parte di Antonio
Centonze ad entrare in operazioni immobiliari nella stessa zona. Il nostro uomo è personaggio noto
agli inquirenti, tanto da essere definito addirittura uno dei “polmoni finanziari” della Scu insieme a
Giancarlo Capobianco. Prima di essere arrestato per la terza volta a causa delle dichiarazioni del
pentito Ercole Penna (precedentemente in due occasioni aveva scontato una pena a sette anni di
reclusione), Centonze si vantava di essere sul punto di concludere un affare da quaranta milioni di
euro. L’affare riguardava proprio la costruzione delle ville. Spartiacque per entrare nell’operazione
doveva essere la società D&D nella quale ufficialmente il brindisino risultava semplice operaio ma
in realtà ne era il capo a tutti gli effetti. La società non solo riciclava il denaro della Scu ma veniva
utilizzata per creare nuovi profitti da reinvestire in altre attività. Insomma, il solito “giochino”
criminale. Centonze con quale imprenditore aveva preso contatti? Se consideriamo l’enorme
interesse della mafia russa nei confronti della Versilia tale pista potrebbe condurci a sorprendenti
retroscena. Un indizio che stiamo valutando per porlo agli inquirenti.
Per qualche scatto in più. La costruzione delle ville al Forte dei Marmi ci riporta indietro, ad un
evento accaduto poco prima della pubblicazione del libro “Trame di Potere”. Io e Sinatti avevamo
deciso di fare un sopraluogo direttamente nel cantiere che si trovava poco distante dal mare, al
centro di un piccolo labirinto costituito da viette intersecate fra loro. Un luogo appartato e
tranquillo, proprio come vogliono i magnati russi desiderosi di spassarsela in Versilia lontano da
occhi indiscreti. Svoltammo dalla via principale per inoltrarci all’interno. Finalmente vedemmo le
ville. Non erano ancora completate ma si poteva già immaginare il risultato finale: belle ma nulla di
eccezionale. Mai però avremmo pensato di essere oggetto di attenzioni particolari. Sinatti, alla
guida, decise di accostare poco distante dall’ingresso, punto ideale per scattare qualche foto.
Scendemmo dall’auto con le nostre Canon. Dopo qualche secondo intravidi dall’angolo della
stradina un operaio che ci osservava. Accennai un saluto. Non stavamo facendo nulla di male.
Sicuramente non violavamo la privacy considerando che le ville erano vuote ed ancora in
costruzione. L’operaio non rispose, con uno scatto repentino e nervoso si voltò per sparire dietro le
case. Capimmo che qualcosa non andava. Sinatti spostò l’auto il necessario per uscire mentre
scattavo le ultime foto. Salii in macchina e decidemmo di percorrere il perimetro delle ville. Nel
frattempo gli operai si erano riuniti in un gruppo di quattro o cinque. Dopo essere usciti dal piccolo
labirinto per ritornare alla via principale, quella che conduce al mare, ci guardammo per un istante
in faccia. Spezzai il silenzio, tanto sapevo già cosa pensava il mio collega:
“Ti sembra normale?”. “Roba da matti”.
La bastardaggine è insita nell’animo di chi fa questo lavoro, a maggior ragione se si verificano
episodi strani, allora la curiosità diviene un richiamo irresistibile. Dopo qualche minuto ritornammo
indietro pronti a fare un nuovo giro d’ispezione. Se c’erano ancora dubbi da li a poco furono
dissipati. Gli operai si erano piazzati negli angoli strategici per individuare facilmente chi entrava e
usciva dal labirinto, mentre uno di loro girava con una macchina fotografica. Ci individuarono e con
un cellulare telefonarono.
“Guarda che questi hanno avvisato” .
“L’ho visto”.
“Per ora non vedo nessuno davanti a noi. Attenzione all’angolo e al prossimo rettilineo”.
“Sei pronto con la macchina fotografica?”.
Avevo regolato la velocità dell’otturatore giusto per non avere dei “mossi” anche con scatti
improvvisi dettati da eventi veloci (un po’ come si fa per lo sport).
“Si si”.
Detto fatto. L’uomo con la macchina fotografica si era posizionato in fondo alla strada, in un
incrocio. Sinatti accelerò. L’uomo ci fisso prima di riconoscere l’auto, circostanza che ci dette
modo di svoltare repentinamente e fargli “perdere lo scatto” proprio sulla targa. Uscimmo da quella
strada convinti che il tizio non fosse riuscito a scattarci una foto decente.
“Porca putt…! Manco fossimo stati dei ladri a fare la posta”.
“Eh nel caso c’era tanto da rubare in case ancora in costruzione….”.
“Potevano anche fermarci per chiedere informazioni senza troppi giochi di prestigio”.
Abbiamo riportato questo piccolo episodio per mette in evidenza un certo “nervosismo” presente
nel cantiere. Con questo non vogliamo insinuare nulla o giungere a conclusioni. Non fu una
reazione normale.
Navi & droga: il ritorno di Bogazzi. È un periodo difficile per “i figli di Dio”. Le dichiarazioni
dell’ex leader Iraniano e il prosieguo dei test nucleari hanno allertato la comunità internazionale
tanto da creare un embargo voluto principalmente dagli Usa. Non entreremo nei particolari, ci basti
sapere che quando la comunità internazionale sente odore di traffico d’armi diventa “isterica”. Le
navi sono da sempre un vettore ideale per simili attività illecite (come del resto la droga). Non
bisogna stupirsi se compagnie e armatori vengono coinvolti in operazioni illecite sempre più
frequentemente, spesso a loro insaputa. Riporteremo due episodi che hanno in comune lo stesso
armatore Enrico Bogazzi (per diritto di cronaca certamente estraneo alla vicenda riguardante la
partita di droga). L’armatore come abbiamo visto nelle pagine precedenti, è una delle colonne
portanti dei commerci nei porti di Marina di Carrara e La Spezia.
La United Against Nuclear Iran (UANI) ai primi di marzo del 2013 ammonisce pesantemente con
un comunicato stampa la BSLE Italia Srl, compagnia navale di Bogazzi. Una nave della compagnia,
la BSLE Venus, avrebbe visitato più volte l’Iran intrattenendo rapporti d’affari di non precisata
natura con le autorità portuali. Bogazzi ha risposto con decisione a questo comunicato:
“La nave BSLE Venus non ha mai scalato i porti Iraniani da quando la nave è impiegata per conto
di BSLE. La nave in oggetto è impiegata su rotte per il Mediterraneo, Medio Oriente e India e
quando ha scalato porti iraniani lo ha fatto trasportando carichi che rispettavano al 100% le regole
imposte dall’embargo con l’Iran”.
La vera domanda comunque è : perché UANI si è esposta con una denuncia così grave?
L’imprenditore ha annunciato di voler ricorrere per vie legali e sarà interessante assistere agli
eventuali sviluppi della faccenda e constatare se UANI abbia un asso nella manica. Il secondo
episodio riguarda un Bulk Carrier sempre legato a Bogazzi. Nel 2007 la nave, diretta verso il porto
di Vado Ligure, fa scalo in Venezuela, precisamente a Maracaibo. Una ispezione subacquea delle
autorità portuali scopre 130 kg di cocaina stoccati in sacchi impermeabili appesi allo scafo della
nave. Brutto affare! La nave viene subito sequestrata, il capitano e il suo secondo (entrambi ucraini)
vengono arrestati mentre all’intero equipaggio viene imposto l’obbligo di non uscire dal paese.
Precisiamo che l’armatore e la compagnia erano all’oscuro del traffico. Ciò che a noi interessa è lo
scalo finale della Bulk Carrier, cioè Vado Ligure. I narcos che hanno scelto questa nave, facevano
parte di qualche organizzazione criminale? Quale? Possiamo escludere che l’operazione fosse
targata ‘ndrangheta, così presente nei porti liguri? Vado Ligure, infatti, non è uno scalo nuovo per i
traffici di droga. Sembra perciò che la principale holding ‘ndranghetista stia utilizzando con più
frequenza questo porto (vedere parte III). Facciamo un passo indietro. Nel capitolo dedicato alla
“Federazione Criminale” metteremo in primo piano il ruolo chiave dei Fameli considerati, dopo
l’operazione Carioca, la lavanderia per il riciclaggio dei Piromalli (una delle più importanti famiglie
della ‘ndrangheta). I Fameli sono insediati proprio nel Savonese. Forse qualche controllo incrociato
con Vado Ligure andrebbe fatto. I frequenti sequestri effettuati dalle autorità portuali competenti
potrebbero condurci a collegamenti con l’organizzazione in questione. La partita di droga con rotta
Colombia-Vado Ligure risulta un precedente interessante. L’operazione portò al sequestro di 30 kg
di cocaina in container destinati in parte a Vado Ligure e alla città Iberica di Tarragona. La Spagna
risulta la destinazione più frequente delle rotte provenienti dall’America latina e la tratta sud
America-Spagna-Italia è da sempre la più sfruttata dai narcos.
Arrivano gli Hezbollah, sarà una coincidenza ma…. Un giorno ci trovammo a parlare con un
analista di geopolitica. Stavamo affrontando diversi argomenti senza l’intenzione di giungere a
conclusioni. Un po’ come si fa tra amici quando ci si incontra al bar. La discussione si fece
interessante quando si spostò sulla situazione politica venezuelana. Chavez era morto da poco e si
stava scommettendo sull’affidabilità del nuovo presidente e della forte opposizione che avrebbe
trovato all’interno del paese. Impossibile non affrontare anche il tema della droga. Nel 2013 la DEA
(Us Drug Enforcement Adminidtration) lancia un allarme: gli hezbollah stanno facendo affari con i
cartelli del sud America (Messico, Colombia e Venezuela). Affari legati al traffico di stupefacenti.
Una collaborazione proficua da milioni di dollari. Gli hezbollah finanziano in tal modo le loro
guerre, mentre i cartelli acquisiscono un nuovo partner affidabile e dalle molte potenzialità. Un
enorme problema, invece, per le forze di sicurezza mondiali. La droga, infatti, viene smerciata, in
una seconda fase, anche in Europa. Cosa pensare poi di un ulteriore rafforzamento dei guerrieri di
Allah? A questo punto la domanda è d’obbligo: la criminalità organizzata, a sua volta partner fedele
dei cartelli, rimarrà a guardare? Inverosimile. Prendiamo nuovamente la ‘ndrangheta. Ha tutte le
carte in regola per facilitare il progetto criminale dei cartelli e degli hezbollah. Quello che potrebbe
venirsi a creare, se non sta già accadendo, è un circolo vizioso destinato ad autoalimentarsi senza
interruzioni. Gli hezbollah vendono la droga, coperti dall’Iran, e la criminalità organizzata la
smercia nei mercati mondiali: la ‘ndrangheta in ciò è maestra di vita. Il gioco è fatto. Non
dovrebbero essere modificate nemmeno le rotte per i traffici, come visto anche nel paragrafo “navi e
droga”, il Venezuela rimarrebbe un punto di riferimento come la Spagna e l’Italia. Raccontiamo
nello specifico quanto denunciato dagli Usa perché potremmo giungere ad ulteriori considerazioni
legate alla nostra inchiesta. Intendiamo fare una precisazione: non insinuiamo collegamenti con
quanto espresso nelle pagine precedenti ma è nostro lavoro contribuire a informare l’opinione
pubblica su vicende che spesso trovano le medesime organizzazioni e luoghi coinvolti. Quindi è
nostro dovere porre delle domande.
La Siria non deve essere persa, Assad non deve essere travolto dai terroristi venduti agli occidentali.
Il concetto potrebbe riassumere il pensiero degli iraniani e di hezbollah. La Siria è un avamposto
troppo vicino e troppo importante per cederlo al nemico. La possibilità che al posto di Assad
sopraggiunga un governo democratico marionetta è inconcepibile. Sarebbe un danno perfino per
Russia e Cina. L’unica via che può essere intrapresa è il sostegno incondizionato al regime con
uomini, armi e finanziamenti. L’operazione pare stia riuscendo, nel momento in cui stiamo
scrivendo Assad stà lentamente riprendendo il controllo sul territorio.
Per sostenere la guerra occorrono molti soldi, anche perché dall’altra parte gli angloamericani
appoggiano a loro volta i ribelli. A nuove sfide si deve rispondere con nuove soluzioni, meglio con
soluzioni già collaudate ma raffinate e rese ancora più efficienti. Perché allora non reperire i fondi
necessari alla guerra con il traffico di droga? Una doppia soluzione per i figli di Allah. Da una parte
hanno un sicuro guadagno e in più una soddisfazione morale: quella di vedere le gioventù
occidentali corrompersi e morire con quella droga. Il tramite fra Iran e hezbollah, secondo la DEA,
sarebbe in particolare il cartello messicano dei Los Zetas. Nelle indagini spunta un nome, Ayman
Juma incaricato di essere il tramite con il cartello e l’intero sud America. Ma la situazione sembra
prospettare uno scenario ancora più complesso: in sud America la nuova struttura sarebbe a sua
volta divisa in due reti. La prima denominata “Nassereddine”, gestita da un libanese con, guarda
caso, cittadinanza venezuelana. Stiamo parlando di un personaggio noto, che gode di un notevole
prestigio in Venezuela tanto da essere insignito come “addetto ai rapporti con la Siria”. Tombola!
La sua rete sembra avere anche lo scopo di riciclare il denaro. Quindi un ruolo essenziale. Passiamo
alla seconda rete. A gestirla un altro nome, Hojjat al Eslam Mohsen Rabbani, un iraniano che
parrebbe aver preso il posto di Ayman Juma dopo il suo arresto. Come elementi d’appoggio per le
loro operazioni ci sarebbero anche basi e cellule presenti nel nord Africa. I dirigenti della DEA
rimangono colpiti dal potenziale pericolo innescato dall’organizzazione. Gli americani chiesero
all’Europa di iscrivere nel loro libro nero del terrorismo anche gli hezbollah. Trovano però un
ostacolo. Una donna britannica determinata a non acconsentire alla richiesta: Chaterine Ashton la
quale invitò un gruppo di dirigenti europei a schierarsi contro la richiesta. Tutto ciò potrebbe avere
senso: in Libano è presente la forza di pace composta principalmente da paesi europei. Solo nel
finale hanno preso una posizione tutt’altro che chiara: nel libro nero viene aggiunto solo il braccio
armato degli hezbollah, mentre resta nell’ambito della legalità l’ala politica. La solita foglia di fico.
Misteri Libanesi
Intervistato: “Ero un ex appartenente di un centro Gladio nel nord est dell’Italia”.
Giornalista: “Perché una struttura di questo tipo poteva avere un interesse a supportare certi
traffici?”
Intervistato: “Supportava questo genere di traffici perché era incaricata da chi di dovere di
supportare questo traffico. Era una struttura al servizio dei potenti del momento. Avendo una
struttura del genere, capillare, efficiente che poteva operare anche all’estero con il bene placito degli
statunitensi, riuscivamo ad avere un controllo totale della Somalia e non solo. Insomma si riusciva
ad avere un controllo totale dell’area e poter effettuare qualsiasi tipo di traffico illecito. Ripeto che
per traffici illeciti si parla di contrabbando di armi ma soprattutto si parla di traffico di scorie
nucleari e rifiuti tossico-nocivi. Era una grossa pattumiera. Statunitensi, italiani, tedeschi, francesi,
paesi dell’Est. Gli Stati Uniti forse in modo ancora più feroce di quello che non facevamo noi”
“Giornalista: Poteva esserci una facciata legata alla cooperazione?”
Intervistato: “C’era una facciata legata alla cooperazione per forza, altrimenti non si sarebbe potuto
fare niente”.
(Intervista ripresa da Rai3)
Libano. Fonti non divulgabili ci stanno informando che nel giro dei nuovi traffici, soprattutto per
quanto riguarda il Libano, sono presenti personaggi già segnalati in passato e riconducibili anche
alle navi dei veleni.
"Porta d'ingresso" per aree ad alta instabilità politica ed economica, il Libano è oggi crocevia di
molte vicende oscure che si rincorrono negli ultimi 30-40 anni fra integralismi religiosi, terrorismo,
mafia, servizi segreti e giornalisti uccisi. A più riprese fanno capolino in questi anni vicende non
raccontate fino in fondo ed intrecci che si perdono dietro ad affari spesso inconfessabili che, la
"Svizzera del medio oriente", nasconde dietro a delicati equilibri geopolitici fungendo da snodo per
"traffici" illegali di tutti i tipi.
È proprio qui che riappare la "Rigel", famigerata nave che ufficialmente risulta affondata il 21
settembre 1987 di fronte Capo Spartivento. Per la Procura di La Spezia la “Rigel” è stata affondata
volutamente per riscuotere l’assicurazione. La vicenda nel corso di nuove indagine risulta però assai
più complessa. La “Rigel” non solo trasportava un carico di rifiuti radioattivi ma non sembrerebbe
nemmeno affondata. Una fonte anonima denominata “Jannis” la segnala parcheggiata un mese dopo
il presunto affondamento a Ras Selaata. Un porto fra più defilati e sconosciuti del meraditerraneo a
50 km a nord di Beirut, conosciuto per traffici illeciti. All’epoca, in piena guerra civile libanese, il
porto era controllato dalle Milizie Cristiane Di Marada (filo Siriane).
Sempre la versione ufficiale vede la “Rigel” salpare dallo scalo di Marina di Carrara, stazionare per
una settimana davanti al porto di Palermo, per poi affondare di fronte a Capo Spartivento.
Pare, invece, che le cose non siano andate proprio cosi. La fonte (denominata “Pinocchio”) informa
che il viaggio della "Rigel" sembra sia cominciato in Grecia per poi prendere la rotta dell'Albania e
transitare per il nord africa (il Libano?) prima di fare scalo al porto di Marina di Carrara e
proseguire l'ultima parte del viaggio cosi come ce la raccontano le cronache ufficiali.
Perché allora, per l’altra fonte “Jannis”, ritroviamo la nave ancorata in uno sconosciuto porto del
Libano ben dopo il suo naufragio? I perché sono molti in queste storie e non a tutti si può dare una
risposta certa e definitiva. La "Rigel" sembra in realtà essere stata oggetto di quei traffici di cui
abbiamo testé accennato e la sua rotta sarebbe stata mascherata proprio per occultare la presenza di
un carico "pericoloso" ed illegale, molto probabilmente d'armi. Almeno nella prima parte del
viaggio? Così si potrebbero spiegare lo scalo albanese e quello in Libano: scali che altrimenti non
avrebbero senso. Si capisce immediatamente che non si vuol far sapere cosa trasporta la nave,
quindi la sua rotta non viene ricostruita nella prima parte del viaggio. In tutta la vicenda rimane
sospeso un interrogativo: se effettivamente la “Rigel” non è stata affondata ma è arrivata in Libano,
quale nave giace effettivamente sui fondali di Capo Spartivento?
Il mercantile è oggetto di fortissimo interesse da parte del Capitano Natale De Grazia. Incaricato
dalla commissione d'inchiesta parlamentare sulle navi dei veleni, il Capitano trova la morte
(avvelenato) proprio mentre si reca a La Spezia sulle tracce della "Rigel" e di un sedicente
mercantile Russo. Cosa stava cercando De Grazia prima di morire? Dagli atti d’inchiesta della
commissione parlamentare risulta che il capitano, per ammissione del cognato, avesse molto a cuore
un fascicolo archiviato in Procura a Reggio Calabria, al punto da chiedere allo stesso cognato di
ritirarlo e consegnarglielo personalmente “brevi manu”, senza farlo transitare in ufficio. Di che
fascicolo si trattava? Elementare, del fascicolo sull’affondamento della “Rigel”. Chissà cosa aveva
intuito il Capitano tanto da spingere “qualcuno” ad “intercettarlo” per evitare che all’ultimo
momento si facesse luce sulla vicenda.
Oltre le cronache ufficiali. In un verbale riguardante un omicidio potrebbe trovare soluzione un
segmento d’inchiesta, uno dei più oscuri, riguardante la “Rigel” e le navi dei veleni. Il caso in
questione è quello dell’omicidio dell’ingegnere Alberto Dazzi. Non ha nessuna correlazione con le
navi dei veleni ma tra i verbali della Questura di Massa-Carrara, Squadra Mobile - 1 Sezione, datata
16/9/96 spunta un misterioso personaggio legato alla zona Apuana e Spezzina. Nel rapporto si
legge:
“Anche il (viene riportato il nome di un indagato, affiliato alla banda della Magliana, per l’omicidio
Dazzi) come riferito dal verbalizzante, accenna a questo fantomatico “principe libanese”,
accreditato presso la propria ambasciata e che gode di grande influenza negli ambienti romani”
Sarà un caso ma l’Italia di quel periodo, come dimostra anche il caso Dazzi, assomigliava a Beirut:
le autobomba sono l’epilogo di vicende drammatiche riguardanti gli appalti degli anni 90, dove
politica, servizi segreti e mafia la fanno da protagonisti. Chi era questo “principe libanese”?
Potremmo ritrovarlo nelle carte della Commissione d’Inchiesta sulle Attività Illecite connesse al
ciclo dei rifiuti: Akef Anis Khoury, un potente libanese presente in Italia in quel periodo, guarda
caso con agganci politici importanti, che non faceva mistero di essere un contrabbandiere d’armi
internazionale. Perché si trovava in Italia? Un paese che all’epoca (guidato dalla Dc e Psi) teneva
una posizione filo-araba e palestinese? È forse il “principe libanese” da collegare alla “Rigel”?
Come? Seguendo la nostra ipotesi la “Rigel” trasportava anche un carico d’armi: il libanese poteva
essere una sorta di intermediario fra “l’organizzazione” italiana (servizi segreti?) e il gruppo delle
Milizie Cristiane Di Marada? C’entra qualcosa lo Stato Italiano? Sosteneva i libanesi con le armi
nei momenti “caldi” della guerra? L’Italia pagava in armi paesi dell’africa a cui pretendeva un
concambio in rifiuti tossici? Quanto esposto potrebbe essere un passaggio cruciale non ancora
descritto a pieno nella sua complessità. De Grazia è morto mentre era sulle tracce di un simile
traffico troppo imbarazzante per l’Italia e il suo governo?
“La Rosso”. “Lost Ship”, una semplice nota su un taccuino ricollegherebbe la “Rigel” con un'altra
nave : la “Rosso”. Nel 1989 nel porto di La Spezia , la “Rosso” della compagnia IGNAZIO
MESSINA & C., è alla fonda alla fine della sua vita operativa in temporaneo disarmo prima del suo
ultimo viaggio come nave per il trasporto di rifiuti tossici. Il 4 dicembre 1990 riprende il mare e la
ritroviamo spiaggiata in località “Formiciche” il giorno 14 ad Amantea (CS), dopo un fallito
tentativo di affondamento (guarda caso).
Documenti ritrovati sulla plancia della motonave permettono di ricollegare la "Rosso" alla società
O.D.M. di un certo Ing. Giorgio Comerio. Lo stesso Ingegnere che il 21 settembre 1987 si
appuntava sull'agenda (ritrovata in una perquisizione nella villa di Garlasco) “….lost ship..” a
proposito della “Rigel” (o della nave affondata al suo posto?). Anche qui una coincidenza?
Entrambe le imbarcazioni hanno tracce di radioattività a bordo e la “Rosso” risulterà poi al centro
del progetto come nave modificata per il lancio dei celebri siluri “penetrator” sempre dell’Ing.
Comerio. Casuale?
Il capitano De Grazia si era innervosito negli ultimi giorni, poco prima del suo ultimo viaggio, a
causa di una presunta fuga di notizie riguardante l’inchiesta che stava conducendo. Il suo timore era
un infiltrazione dei servizi segreti, quegli stessi servizi a cui Comerio dichiara di appartenere per
esplicita ammissione della sua compagna, Maria Luigia Nitti. Coincidenze?
Comerio è l’ideatore e promotore del progetto “dei siluri penetratori riempiti di scorie”, con il
quale molti stati europei, e non, speravano di far sparire i propri rifiuti radioattivi sotto i fondali
marini, con una nave appositamente modificata dai cantieri S.E.C di Viareggio. Proprio la stessa
S.E.C. che gestiva la flotta della SHIFCO: compagnia somala per la pesca .
Shifco. La compagnia SHIFCO fa base a Gaeta Latina negli stessi uffici di una società pistoiese: la
PIA (Prodotti Ittici Alimentari). Titolare della PIA è Vito Panati che viene travolto poco prima delle
elezioni del 94 (alle quali è candidato) da un interrogazione parlamentare dei Verdi che ipotizzano
un “traffico d’armi” ricollegato, proprio, alla SHIFCO. Panati si professa all’oscuro di questi
traffici.
Sotto la lente di ingrandimento una nave della compagnia: la “21 Ottobre II”. La nave dovrebbe
trasportare pesce, invece, pare che nei frigoriferi e nelle stive siano stoccati ben altre merci: AK 47,
RPG e armi in genere ricollegabili a Monzer al Kassar, trafficante d’armi siriano. Anche lui legato
alla SHIFCO. Altro particolare da tenere in considerazione: pare che la nave abbia attraccato anche
a Beirut (ritorniamo sempre in Libano) e in Iran. Sulla pista delle armi avevano lavorato Ilaria Alpi
e Miran Hrovatin prima di essere uccisi da un agguato in terra somala. A seguito delle sue indagini,
Ilaria Api aveva intervistato il Sultano di Bosaso. Del nastro alla commissione d’inchiesta sulla
morte della giornalista, arriveranno solo 20 minuti. E poi? Poi ci sono i rifiuti tossici e radioattivi
che giungono con la stessa logica dello scambio, con armi, cooperazione o denaro sulle coste di una
“Stato fantoccio” destabilizzato dalla guerriglia e dalla presenza di “corrotti” signori della guerra. Il
resto è semplice chi s’interessa di questi “traffici”: o ne fa parte, o deve morire!!
In un intervista a “La Repubblica “, Panati intende chiarire la propria posizione:
“Noi abbiamo avuto per un breve periodo la gestione delle navi della Shifco. L’abbiamo avuta dalla
Unisom 2, che è un organismo dell’Onu”.
A domanda del giornalista di Repubblica se fosse collegato con la nave 21 Ottobre II (quella
sospetta del traffico d’armi), Panati risponde:
“Questo episodio delle armi si riferisce al 91. Mi dice cosa c’entro io se ho avuto la gestione delle
navi solo a metà del 93? Non so e non posso sapere cosa è successo prima. Prima di me la flotta era
gestita dalla Sec di Viareggio”
In conclusione: dal porto di La Spezia e Marina di Carrara sono partite molte delle navi dei veleni
affondate nel mediterraneo e nel corno d’Africa. Il ricorrere di questi porti come scali di partenza e
arrivo induce a ritenere che, questa zona, sia una importante piattaforma per il varo di operazioni
“illecite” riguardanti lo smaltimento dei rifiuti speciali & radioattivi e non solo.
Un ulteriore prova: la “Lady O” Nei traffici d’armi, di rifiuti e di droga è sempre esistito un
intenso rapporto tra la criminalità organizzata italiana ed il Medio Oriente. In particolare il Libano.
Nel capitolo “navi e droga” abbiamo profilato l’opportunità che nel traffico tra hezbollah (Libanesi
sciiti) e narcos sud americani si siano introdotte famiglie mafiose, soprattutto della ‘ndrangheta. La
‘ndrangheta è stata una delle “mani operative” negli affondamenti delle navi dei veleni. Un dato di
fatto. Un episodio potrebbe indirizzarci verso nuove piste investigative. Personaggio di primo piano
delle famiglie calabresi negli anni novanta, Antonino Giglione è un nome chiave che spunta
sull’inchiesta denominata “Lady O”. La “Lady O” è una motonave di un armatore libanese, George
Seaman indagato per aver trasportato, proprio con la sua imbarcazione, ingenti quantitativi di droga
in Calabria e Puglia provenienti dalla Libia e dal Marocco. Proprio durante questi traffici Giglione
incontra un altro personaggio degno d’attenzione: Toni Nakouzi, leader del cartello libanese del
narcotraffico. L’operazione “Lady O” dimostra un rapporto stretto fra le organizzazioni menzionate,
rafforzando le ipotesi sviluppate nel libro. Per coloro che nutrissero ancora dei dubbi.
Odore del sangue dall’Est. “Diavolo rosso, traditore”. Una scritta in italiano sul muro
dell’abitazione di un suicida. Meglio, presunto suicida. Un giornalista di grosso calibro della testata
francese “Le Figarò” muore in circostanze misteriose nel maggio del 1996. Xavier Gautier negli
ultimi anni della sua vita si era occupato assiduamente di un grosso traffico d’armi dalla Bosnia.
Una inchiesta lunga, complicata, snervante e molto pericolosa. Gautier era riuscito a pubblicare un
bell’articolo sull’argomento tirando in ballo mercenari, sopratutto italiani, e un traffico che partendo
dalla Bosnia si diramava in Austria, Italia e Somalia. Dopo un anno sabbatico, presumibilmente
passato a scrivere un libro su una rock star americana, il giornalista decide di trascorrere qualche
tempo nella sua casa in Spagna, a Maiorca. L’ultimo viaggio. Lo troverà impiccato dentro
l’abitazione la polizia. Frettolosamente la Procura Iberica archivia come semplice suicidio: pare che
il giornalista da tempo manifestasse segni di depressione assumendo, a volte, un comportamento
schivo e irascibile. Non è dello stesso avviso L’ex moglie, che lo aveva incontrato poco prima del
suo viaggio in Spagna. Altro particolare trascurato, la scritta sul muro. Una frase ambigua. Chi è “il
diavolo rosso”? Cosa ha a che fare con il giornalista? Perché “traditore”? Il caso del giornalista del
“Le Figarò” è uno di quelli che stiamo seguendo da tempo perché potrebbe rivelare inquietanti
retroscena su traffici d’armi internazionale e non solo. Gautier aveva puntato il dito su degli italiani.
Ora, esiste un Reparto militare che porta questo soprannome (stiamo parlando di autentiche
congetture sia chiaro). Avvisiamo il lettore che ci stiamo inoltrando in un ginepraio. Trieste
parrebbe fungere da città transito per “monumentali traffici d’armi”. Proprio in questa città del nord
Italia, Gautier avrebbe incontrato una fonte che era stata responsabile della sicurezza dei convogli
che andavano da Fiume (Rjieka per i croati) a Sarajevo (a chi appartenevano i convogli?). Sarà una
coincidenza ma pare che la fonte avesse un sopranome curioso: “Diavolo rosso”. Si tratta di un
mercenario presente e attivo nel conflitto bosniaco? La scritta “Diavolo rosso, traditore” era un
avvertimento al mercenario che ha tradito una sedicente organizzazione, facendo da fonte al
giornalista francese? Il presunto mercenario aveva contatti con qualche militare della Nato?
Quest’ultima è una domanda legittima perché nel 2010 viene fuori una notizia (trascurata)
direttamente collegabile al conflitto bosniaco.
Il quotidiano di Banjaluka “Nesnavisne Novine” denuncia l’esistenza di un traffico d’armi tra
Bosnia e Italia. Il medesimo traffico che vedeva coinvolto “Diavolo rosso”? La storia ha inizio con
una serie di sequestri d’armi eseguiti in Bosnia (tra il 1991-1995) dai militari italiani. L’operazione
più significativa viene denominata “Zetva” che significa appunto “raccolta”. A sostenere la notizia
sarebbe una fonte che prosegue in dichiarazioni allarmanti. Pare, infatti, che una parte di quelle armi
fossero, in qualche modo, state ritrovate negli arsenali della criminalità organizzata italiana.
Soprattutto camorra e ‘ndrangheta. Il lettore dovrà fare uno sforzo di memoria ritornando al
paragrafo “Operazioni da collegare?”, dove abbiamo supposto l’ipotesi di un legame tra due
operazioni apparentemente separate : quella che vede agli arresti uomini dei Santapaola
(Operazione Gioco d’azzardo) e la scoperta di una alleanza tra gli stessi Santapaola ed i camorristi
dei Casalesi. Scoperta che portò anche al sequestro di armi provenienti dalla Bosnia. Le stesse
sequestrate dalla Nato? Le stesse su cui indagava il giornalista francese?
CAPITOLO 2 -L’uomo ombra del governo nigeriano. Gabriele Volpi
Un “Tycoon” quasi sconosciuto nel suo paese ma conosciutissimo oltre oceano dall'FBI e celebre
fra i tifosi delle sue squadre: Lo Spezia calcio, e Pro Recco palla a nuoto, con il tentativo d'acquisto
prima della Sampdoria e poi del Bologna (prematuramente sfumati), il nostro ha tentato la scalata al
grande calcio in serie A.
Il Federal Bureau Investigation è sulle sue tracce da tempo per il reato di riciclaggio e triangolazioni
varie che hanno fatto tappa anche negli USA. Da sempre "uomo ombra" del governo Nigeriano, con
la Intels, società di servizi per piattaforme petrolifere (fatturato 1,5 miliardi di dollari l'anno),
intrattiene rapporti d'affari e strette relazioni con i maggiori gruppi per l’estrazione petrolifera. La
questione si fa più complicata quando s'indaga sul "giro" di denaro e concessioni petrolifere fra le
multinazionali del settore e governativi nigeriani coinvolti a più riprese in vicende di corruzione e
riciclaggio a cavallo fra la fine degli anni 90 e i primi anni del nuovo secolo. Le sue "amicizie
nigeriane" non sono disinteressate e fra società di comodo, tangenti e tentativi di appropiarsi dei
proventi per lo sfruttamento delle concessioni petrolifere, si crea un vero e proprio conflitto
d'interessi fra "bande" a capo delle quali troviamo i principali esponenti del governo: il Presidente
Obasanjo e il suo Vice Abu Bakar, a cui il nostro uomo d'affari è molto legato, contro il ministro del
petrolio del precedente regime del generale Abacha
“Blocco 245” L’ex ministro del petrolio Etete, avrebbe incassato una vera fortuna dalla vendita di
una vecchia concessione petrolifera che, lui stesso, si auto assegnò poco prima della caduta del
regime di Abacha (28 aprile 1998). Il Presidente Obasanjo e il suo Vice decidono di revocare la
concessione di sfruttamento con la motivazione di procedura irregolare ..."non trasparente e non
etica". Pietra dello scandalo la Malabu Oil & Gas Ltd., fiduciaria controllata dallo stesso Etete e la
concessione per lo sfruttamento del blocco 245.
La decisione non è motivata dalla volontà di ristabilire la legalità ma dal tentativo di entrare in
possesso di una concessione che si era rivelata valere miliardi, per la quale il neo governo insediato
fa pressioni perché il 50% delle quote della Malabu vengano ceduti ad una società scelta da Atiku
Abu Bakar: la Pecos Energy. Consulente di quest'ultima (guarda caso) è proprio Lui, il Nostro
uomo, che pare aver negoziato la concessione per conto del vicepresidente. Il blocco 245 non viene
assegnato per un decennio, fino al 2011, quando Eni & Shell se ne aggiudicano lo sfruttamento
firmando un accordo con il governo nigeriano per 1 miliardo di dollari. Proprio sulla destinazione
finale di questo denaro si addensano ombre e misteri, una grossa fetta del quale pare sia stata
trasferita ad Etete. L’attuale camera nigeriana ha aperto un inchiesta per chiarire i risvolti della
trattativa e l’eventuale presenza d'intermediari. Eni & Shell sembrerebbero non aver "girato" i
proventi del contratto al governo nigeriano, ma con un preventivo accordo fra Malabu e autorità
locali avrebbero depositato la somma su un conto vincolato presso la banca d'affari JP Morgan.
A tale proposito il numero uno di ENI, Paolo Scaroni, verrà poi sentito dalla commissione per
chiarire la posizione della società.
Ma da dove comincia la "fortuna" dell’imprenditore di Recco? Il principio sembra essere legato ad
una compartecipazione azionaria nella Nigeria Container Services Nicotes, divenuta in seguito
Intels, insieme ad Atiku Abu Bakar negli anni 80 (quando era ancora vice direttore del servizio
delle dogane?). Con questa operazione societaria il vice presidente si sarebbe posto in palese
conflitto d'interessi essendo fra coloro che decidevano dell'attribuzione delle concessioni petrolifere
alle multinazionali del settore. Pertanto, si doveva trovare una soluzione, cosa c'era di meglio se non
un Trust di diritto inglese? Cioè un "blind trust"? Il vice presidente conferisce la propria quota ad un
amministratore terzo con il compito di gestire autonomamente l'attività amministrativa. Il trust di
Abu Bakar era però schermato da una fiduciaria Panamense: la Orlean Invest Holding, società
controllata in verità dal socio italiano. Un bel gioco di prestigio! Di fatto chi autorizza lo
sfruttamento delle concessioni detiene anche la gestione dei servizi per l’estrazione. Perfetto!
Tuttavia, il comitato permanente per le investigazioni del senato americano stila un dossier sul vice
presidente dall'esplicito titolo: "tenere fuori la corruzione dagli Stati Uniti". Da subito si sottolinea il
ruolo della moglie di Abu Bakar nel favorire il marito nell’esportazione di 40 milioni di dollari di
fondi sospetti attraverso una società offshore (Gurnsey) insieme al nostro imprenditore definito
socio e amico fidato.
Si dice di lui. Citiamo testualmente quanto affermato dalla “Casa della Legalità” e “Oras”:
“Trafficante d’armi. Trafficante di rifiuti radioattivi. Riduttore in schiavitù. Corruttore. Colluso con
imprese di mafia. Distruttore dell’ambiente”. Non possiamo sapere se l’imprenditore ligure sia
veramente coinvolto in certi traffici, occorrono prove inequivocabili. Però è possibile sostenere con
certezza lo stretto rapporto che lega la terra ligure con la Nigeria nel traffico d’armi e in quello di
uomini. Tecnicamente il traffico d’esseri umani viene definito dalla legge:
“Il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, la custodia di persone, tramite l’uso della forza o altre
forme di coercizione, di sottrazione, di frode, di inganno, di abuso di potere o di una posizione di
vulnerabilità o nell’atto di dare o ricevere qualche forma di pagamento o di altro introito per
acquistare il consenso o il controllo di una persona su un'altra persona, allo scopo di sfruttamento,
incluse le varie forme di sfruttamento sessuale, di lavoro, di schiavitù o di commercio di organi”.
L’operazione “Caronte” (nome ripreso dal traghettatore delle anime dell’Ade) non lascia dubbi.
Una operazione lunga e complessa, condotta in più trance dalla Guardia di Finanza. In pratica la
criminalità nigeriana avrebbe facilitato l’ingresso di circa dieci mila clandestini in Europa. Le città
coinvolte sono: Torino, Milano, Verona, Reggio Emilia, La Spezia, Crotone e Salerno. I paesi
stranieri invece la Francia e la Germania. I clandestini prima di sbarcare nelle coste italiane erano
costretti ad affrontare un viaggio massacrante: una volta superato il deserto del Niger dovevano
affrontare quello della Libia. Dalla Libia, infine, imbarcarsi su gommoni verso Lampedusa (Italia).
Da Lampedusa sarebbero stati poi smistati in altri campi d’accoglienza dove nigeriani con residenza
italiana avrebbero provveduto a farli fuggire. Ad un occhio attento alla criminalità internazionale e
alle mafie non può essere indifferente il tragitto: Nigeria- Libia- Sicilia- Liguria (dove sono scattati
i principali arresti). Sembra del tutto inverosimile che la banda nigeriana abbia operato senza
supporto, o perlomeno l’approvazione, delle mafie nostrane. Per gestire un traffico di simile portata
occorrono coperture finanziarie per il viaggio, mazzette, basi logistiche, falsificazioni di documenti
e quant’altro.
Ritornando a Gabriele Volpi e alle sue amicizie in terra italica. Non possiamo trascurare un incontro
avvenuto nell’agosto del 2003 dove riceve calorosamente in Sicilia Atiku Abu Bakar insieme a
Domenico Gitto. Non si tratta di una visita ufficiale. Visita che però determina sviluppi positivi per
le attività di Gitto, proprietario della Gitto Costruzioni. Dopo quell’incontro, guarda caso,
l’imprenditore siculo ottenne in Nigeria consistenti appalti. Come per Volpi, anche su Gitto si sono
scritte molte cose. Alcuni lo ritengono “l’ufficiale di collegamento con il clan di Bernardo
Provenzano”. Misteriosa è la morte di Gitto avvenuta nel giugno del 2012 a soli 52 anni ad Abuja,
capitale della Nigeria. Ufficialmente il decesso è stato causato da un infarto ma restano dubbi.
Lecito averli. È sufficiente ricordare le vicende drammatiche degli ultimi anni per le attività
produttive italiane in Nigeria (in particolare quelle legate a Volpi). Qualcosa nel mondo degli affari
nigeriano non va. Il denaro lasciato in Africa da Gitto, milioni di euro, sono spariti nel nulla.
Ulteriore enigma.
Asso 21 Ai misteri di terra si aggiungono quelli di mare con l’incidente di “Asso 21”, rimorchiatore
d’altura italiano abbordato presso le coste nigeriane da un gruppo armato dedito alla pirateria.
Attività frequente in quella zona e in quel tratto di costa. Anomalo il prosieguo della vicenda che
vede l’intero equipaggio diventare ostaggio dei pirati. Il rimorchiatore era stato noleggiato dalla
Intels di Gabriele Volpi proprio in quel periodo.
L’episodio, come altri attentati, potrebbe essere ricondotto a eventuali mancati pagamenti sotto
traccia alle fazioni in conflitto in Nigeria. Dicesi una pratica diffusa tra le società straniere, per non
incorrere in “sgradevoli contrattempi”. Si traggano le conclusioni.
Primavera Araba, “vive la France”. Ogni vicenda umana è determinata dalla relazione di causa
ed effetto. Le prime cause dell’attuale instabilità negli assetti Medio Orientali trovano origine nella
primavera araba. La primavera araba ha vissuto indubbiamente una prima fase rivoluzionaria
favorevole all’occidentalizzazione dei paesi nord africani. A destare maggiori preoccupazioni è però
la seconda fase, ancora tutta da comprendere. Potrebbe, infatti, trascinare il mondo arabo verso una
politica ostile nei confronti degli stranieri e delle loro società (soprattutto quelle energetiche) con
effetti catastrofici per l’intera economia mondiale. A credere e ad appoggiare fin da subito la
rivoluzione araba è stata la Francia. Si sa, i francesi sono sempre stati sensibili alla libertà
dell’individuo. Vale anche per questa circostanza? È stato veramente l’altruismo verso il prossimo a
spingere la Francia a coinvolgere il mondo occidentale ad appoggiare i rivoluzionari? Degli affari
ne vogliamo parlare? Uno degli obiettivi primari dell’ex presidente Sarkosy era di isolare e
indebolire la presenza delle società italiane (Eni, Enel, Saipem) nelle regioni coinvolte, soprattutto
in Libia (ex colonia italiana). Il trucchetto adottato è semplice: si partecipa attivamente alla
destabilizzazione della zona creando i presupposti per una guerra civile con lo scopo di abbattere il
vecchio regime (con il supporto dei servizi segreti e non solo). Una volta acceso il conflitto si
procede nel supporto logistico e militare. Quando il nuovo governo provvisorio assume il potere
entra in gioco la diplomazia per aggiudicarsi nuovi contratti facendo decadere quelli con le
precedenti società concorrenti. Come spesso capita la politica estera francese non mette in conto
alcune variabili che nel tempo potrebbero diventare determinanti. Variabili, al contrario, calcolate
dagli Usa, questo dimostrerebbe la loro iniziale diffidenza nel partecipare attivamente ad alcune
operazioni belliche come la guerra in Libia. Innanzi tutto i paesi arabi sono soggetti tutt’oggi a una
forte divisione tribale difficilmente controllabile. Solo la mano forte di alcuni regimi dittatoriali era
riuscita a sopprimere, non certo a risolvere, simili diversità. Questa è anche la ragione della
complessità nel formare in questi paesi provvisori governi di emergenza nazionale. L’altro fattore
destabilizzante consiste nelle due anime del mondo arabo pronte a scontrarsi con forza: quella che
intende allestire una carta costituzionale con nuovi diritti e libertà e coloro che intendono “la sharia”
come l’unica legge da poter adottare . Risultato? Scontri violenti di piazza e governi instabili
quando la situazione appare ancora sotto controllo. Il rischio maggiore, soprattutto per i paesi
occidentali, è che la primavera araba si trasformi in un autunno arabo che veda l’islam governare i
paesi nord africani. Cosa potrebbe significare per gli europei avere sull’altra sponda del
mediterraneo governi che adottano il modello integralista? In genere fine dei rapporti commerciali e
tensioni militari continue. Desta una certa curiosità il dato che indica l’aumento di esportazione
d’armi dalla Francia verso questi paesi precedente alla primavera araba. La Francia, sostenitrice dei
ribelli, ha esportato pochi mesi prima del conflitto quantitativi d’armi verso dittature di quei paesi?
Sono le meraviglie della politica estera. Lo stesso ex presidente Sarkosy non si era mai dimostrato
così ostile verso i regimi nord Africani. Fonte d’imbarazzo per l’Eliseo sono state alcune foto che
ritraevano il presidente in pose amichevoli con il futuro nemico, leader libico Gheddafi. Anche di
questo non bisogna meravigliarsi: gli affari sono affari. Altra manovra sospetta è la decisione dei
francesi di partecipare al conflitto nel Mali. Il Mali, come è risaputo, è da sempre zona strategica
per i governi e le multinazionali. Si trova a confine con terre ricche di risorse tra cui, guarda caso, la
Nigeria. La Francia ha messo le mani avanti con il pretesto della guerra al terrorismo e al propagarsi
nella regione di un islam radicale. Come riporta un quotidiano italiano, “Libero”:
“Infine una coincidenza. Il ministro maliano delle miniere Amadou Sy Baby, il 18 dicembre scorso,
ha firmato un decreto con il quale si riappropria del blocco petrolifero numero 4 che nel 2006 era
stato dato in concessione all’Eni e alla Sipex, società controllata dall’algerina Sonatrach. Era
l’ultimo di proprietà degli italiani nel bacino Taoudeni, controllato dallo scorso aprile dai ribelli
Tuareg dell’Mnia e dai militanti islamici di Ansar Dine e Mujao. A chi è andato quel giacimento?
Ai francesi di Total. Che ora senza l’intervento militare rischiano di perderlo”.
Chiaro!
L’instabilità venutasi a creare dopo la rivoluzione araba potrebbe vedere un aumento del traffico
d’armi, soprattutto illegale. Probabili rivolte e nuove forme di guerriglia rientrano nei futuri scenari
mediorientali e a beneficiarne politicamente potrebbero essere paesi come l’Iran. Nonostante
l’elezione del nuovo presidente Hassan Rowhani, considerato più propenso al dialogo con
l’occidente rispetto al suo predecessore, la situazione non muterà nell’immediatezza. Troppe fazioni
e troppi giochi di potere sono alla base dell’instabilità volutamente creata, anche in Siria. Da tempo
sia la Nato che l’Iran (e Russia?) si sono attivati per rifornire le varie fazioni siriane. A rischiare
maggiormente in questa partita è proprio la Nato: potrebbe rifornire, infatti, un gruppo
apparentemente alleato ma, in realtà, guidato da terroristi islamici. Ciò che vuole mettere in
evidenza questa parte d’inchiesta sono quei traffici d’armi dove entrano in gioco la corruzione di
privati (non di governi) e doppiogiochisti: i così detti uomini ombra. Simili traffici sono meno di
quanto si possa pensare perche hanno un altissimo potenziale di rischio. Realizzare traffici in
proprio in zone dove sono direttamente interessati Stati e servizi segreti aumenta la percentuale di
essere scoperti con gravi conseguenze. Eesempio di questi traffici potrebbe essere nuovamente
quello tra hezbollah e ribelli nigeriani. A questo punto una storia chiave per l’inchiesta.
Tra Hezbollah e pirati. Alcuni paesi africani sono come azioni speculative della borsa: possono
offrire considerevoli opportunità di guadagno oppure affossare ogni speranza senza nessun
preavviso. La Nigeria rientra nella fascia ad altissimo rischio. Se in un paese ricco di risorse naturali
inseriamo una società divisa e lacerata da guerre civili devastanti con una politica impregnata di
corruzione, otteniamo la Nigeria. Nella nostra inchiesta sono presenti passaggi obbligatori che ci
conducono in questo paese dell’africa nera, una pista in particolare marca un filo rosso tra Nigeria-
Libano-Siria-Iran. Partiamo dall’inizio: nel 2012 viene scoperto un grosso carico d’armi iraniano
diretto a Boko Haram, un gruppo terroristico nigeriano riconosciuto per la sua crudeltà. Il nome
ufficiale del gruppo è “Popolo per la Propagazione degli Insegnamenti del Profeta e della Jihad”.
Leader e fondatore della fazione è Ustaz Mohammed Yusuf. La scoperta del carico d’armi mette in
luce alleanze non ancora chiare per gli analisti di tutto il mondo. La corrente sciita (Iran), sta
preparando una stretta alleanza con quella sunnita (Boko Haram)? Qual è l’obiettivo? Proseguiamo.
Tra i finanziatori di Boko Haram risultano anche due governatori: Ibrahim Mohammed Yusuf (zona
di Kano) e Isa Yuguda (zona di Bauchi). La nostra attenzione si è incentrata su Yuguda perche è
sempre stato un fedelissimo del Presidente nigeriano Obasanjo, lo stesso che aveva come ministro
delle dogane e vice presidente Atiku Abubakar, l’amico e socio di Gabriele Volpi. Yusuf ha, inoltre,
un passato importante nel settore bancario. Come mai si vocifera che il governatore di Bauchi
finanzi gli oppositori armati di Boko Haram? Forse lo comprenderemo meglio andando avanti
nell’analisi di questi eventi. Sempre in questo paese è stata individuata e smantellata una cellula di
hezbollah (sciiti libanesi) legati all’Iran.
Ritorniamo alla provincia nigeriana di Bauchi. Nel febbraio 2013 un gruppo di terroristi assalta un
cantiere della Setraco, una società Libanese (che coincidenza!). L’attacco si concluse in un
sequestro e tra i rapiti anche un ingegnere italiano. L’epilogo della vicenda sarà drammatico:
l’ostaggio italiano viene giustiziato. Inusuale un rapimento con queste caratteristiche in Nigeria.
L’attenzione e la responsabilità del grave gesto vengono attribuite in un primo momento proprio
alla fazione di Boko Haram. Poche ore dopo la smentita. Ad aver organizzato l’operazione un
gruppo fino a quel momento sconosciuto denominato Ansaru. Sorgono immediati sospetti sulla
credibilità della sedicente sigla: un depistaggio da parte di Boko Haram? I servizi segreti (di quali
paesi?) hanno inventato una nuova fazione per coprire vecchie e nuove operazioni ombra?
Prima di proseguire facciamo una precisazione sui servizi segreti.
Servizi Segreti. Troppe persone ne parlano a sproposito. Partiamo, tanto per capirci, da una
semplice considerazione: i servizi segreti sono tali perché di coloro che ne fanno parte si deve
sapere poco o nulla. Siamo in grado, al massimo, di lavorare sui loro errori che possono far
emergere delle presunte operazioni. Anche in questo caso bisogna sempre stare attenti ai depistaggi,
usati come degli strumenti di contro informazione. Un'altra opportunità per comprendere
frammentarie manovre dei servizi segreti consiste nell’individuare e studiare gli anelli deboli della
struttura : i politici e i tecnici che hanno a che fare con loro (viene alla mente le commissioni
parlamentari di controllo o quelle ministeriali della difesa e degli interni). Se rimane complicato
trattare di servizi possiamo immaginare gli ostacoli che troveremo di fronte all’analisi di quegli
apparati considerati “deviati”. In più occasioni vengono propinate al pubblico, principalmente per
responsabilità dei mas media, informazioni fantasiose riguardanti i famigerati “servizi deviati”. Un
gioco pericoloso che paradossalmente potrebbe essere usato anche dalla stessa intelligence. Essendo
giornalisti d’inchiesta non abbiamo nessuna intenzione di assecondare i nostri lettori perché ciò che
c’interessa è la verità dei fatti, anche se fosse impopolare. Oggi è di moda parlare male dei servizi
segreti, a priori. Prima di esporre delle considerazioni bisognerebbe riflettere su un dato scomodo
per le nostre democrazie: il mondo è sporco e cattivo ma noi vogliamo viverci bene. Sono due
aspetti inconciliabili, se non s’intende forzare la mano o scendere a compromessi con la propria
coscienza. Spesso occorrono mazzette da elargire in paesi dove la corruzione è un sistema
consolidato. Sono necessari accordi e in qualche caso estremo perfino omicidi. Occorre, in
definitiva, sporcarsi le mani. Come pensate che abbiano operato i nostri servizi durante la rivolta
libica del 2012? Immaginate la guerra strisciante fra le società italiane (partner da sempre del
governo libico), con quelle francesi che hanno fatto enormi pressioni su Sarkosy con l’intento di
destabilizzare l’intera area solo per ribaltare una sfavorevole situazione commerciale. Non facciamo
gli ipocriti! Se per l’interesse nazionale gli apparati dei servizi segreti compiono azioni eticamente
discutibili vanno frettolosamente marchiati come “deviati”? In verità i veri servizi “deviati” sono
quelli che frappongono gli interessi personali dei singoli alla ragion di Stato. Purtroppo la storia
italiana è piena di questi casi, seppur meno di quanto si è scritto o si voglia far credere. In talune
circostanze sarebbe più appropriato parlare di “testate deviate”, divenute sempre più lo strumento di
lobby potenti e prive di scrupoli. Identico ragionamento vale per alcuni filoni della magistratura.
Traffico d’armi. Non sempre viene fatta una distinzione netta tra il normale commercio d’armi
(quello legale) e il traffico d’armi clandestino. Vizio, quello di confondere le acque, proprio di
alcune organizzazioni non governative con la speranza di mettere in risalto i loro ideali screditando
e rendendo dei mostri assetati di sangue (non che molti non lo siano, ben inteso) governi e altre
strutture filo-statali. In una inchiesta giornalistica che si rispetti non è possibile, al contrario, non
mettere in chiaro le cose. Proprio sulla Nigeria riportiamo due casi che consideriamo essenziali per
il prosieguo dell’approfondimento. Amnesty International denunciò un massacro condotto dalle
guardie di sicurezza nigeriane contro civili inermi. Fin qui tutto vero. Nello stesso comunicato viene
messo in risalto che gli uomini della sicurezza utilizzavano armi Beretta, nello specifico M12 e
semiautomatiche. Tra le righe del comunicato si poteva leggere la parola “Vergogna”, rivolta allo
stato Italiano e alla Beretta. Domanda: la Beretta ha fatto un azione immorale vendendo armi alla
Nigeria? A un paese dove la guerra civile sta provocando migliaia di morti? Dipende. Legalmente
no, poiché ha fatto affari con uno stato riconosciuto dalla comunità mondiale. Eticamente
bisognerebbe analizzare con cura le strategie e l’importanza geopolitica della zona. Stanno, ad
esempio, facendo bene gli Angloamericani a rifornire di armi i guerriglieri siriani contro Assad? E
se i guerriglieri si dimostrassero, in un secondo momento, la mano armata di Alquaeda? Il confronto
calza perfettamente anche con la questione nigeriana. Comprendiamo meglio il concetto se ci
orientiamo verso il traffico d’armi clandestino. Il traffico illegale può avere l’esclusiva finalità del
guadagno, in tal caso non si da nessuna importanza alle attività svolte dal acquirente. Il discorso
assume tutt’altra valenza se nella partita d’armi il mittente si propone anche uno scopo politico.
Rifornire d’armi una certa fazione serve per stabilizzare o destabilizzare una intera regione.
Ritornando all’esempio legato alla delicata situazione nigeriana: se riforniamo d’armi il governo la
nostra azione è da considerarsi stabilizzante (la parola non implica automaticamente che porti a
sviluppi positivi). Se, viceversa, rifornisco d’armi i ribelli dovremmo annoverare questa azione
come destabilizzante. Stabilizzante, in definitiva, è quell’azione o decisione intenzionata a non
mutare lo status quo.
In queste operazioni sono essenziali gli intermediari, spesso terze figure come imprenditori, uomini
d’affari, politici inseriti nella così detta “zona grigia”. Ideale se l’intermediario è rappresentato da
un personaggio influente che ha ottimi rapporti con i governi o le fazioni interessate.
Affari nel bel paese.
Imprevisti per un imprenditore. Per un imprenditore con affari in mezzo mondo non è
conveniente avere i riflettori puntati a dosso. Potrebbe non essere salutare per il business. La
discrezione è da sempre il metodo usato da Volpi: è sotto il velo della riservatezza che
l’imprenditore di Recco ha costruito il suo impero senza troppi ostacoli, una strategia vincente.
Negli ultimi anni però il suo nome compare con una certa frequenza sui siti specializzati e su alcune
testate, per questioni preoccupanti.
Tramontata l’influenza di alcuni amici in terra ligure, come Gianpiero Fiorani a sua volta vicino al
senatore Grillo, all’ex ministro Antonio Scajola oltre che all’ex presidente della Banca d’Italia
Antonio Fazio, il nostro imprenditore potrebbe aver perso molto del suo potere di “penetrazione”
negli affari locali e nazionali. Soprattutto nei porti. Anche sul fronte del Vaticano i rapporti
sembrano sfilacciarsi. Con l’avvento del nuovo pontefice Francesco, lo IOR (Istituto Opere
Religiose), la banca delle banche ripresa più volte dagli organi di controllo per operazioni opache
collegate al riciclaggio di denaro, rischia un forte ridimensionamento. A pagarne le conseguenze i
massimi vertici, primo fra tutti l’eminenza grigia della finanza vaticana: Tarciso Bertone, con cui
Volpi è in ottimi rapporti, tanto da prestargli il jet privato. Cronometrico il trasferimento delle sue
società sportive ai figli: nervosismo dovuto a certi cambiamenti? Una manovra preventiva per
tutelare le società da eventuali azioni disposte dal Federal Bureau of investigation?
Sul fronte nigeriano le cose non vanno meglio. Un inquietante segnale di destabilizzazione è il
recente sequestro della nave Asso 21, del rapimento e dell’uccisione dell’ingegnere italiano e le
minacce verso Intels. Si dice inoltre che il nostro uomo sia legato ai vertici massonici inglesi, in
particolare alla figura di Astor Winston Norrish. Come è noto la massoneria non ama essere al
centro di potenziali scandali internazionali come quelli che potrebbero coinvolgere Volpi.
Presupposti che possono preludere ad una emarginazione di “mister Nigeria” nei confronti della
loggia? Sarebbe di certo una buona notizia per alcune società petrolifere che hanno dovuto subire,
in questi ultimi anni, un sospetto monopolio della Intels collegato al governo nigeriano.
Capitolo 3 - Genesi di una nuova federazione criminale. “Rivoluzione Stagno”
La Provincia del Silenzio.Faceva un caldo soffocante. Entro pochi giorni ci sarebbe stata la
presentazione del mio libro “La Provincia del Silenzio”: un testo che intendeva denunciare il
pericolo d’infiltrazioni mafiose in terra Apuana. Mi avevano accusato di aver esagerato creando
inutile allarmismo. Il 18 agosto la conferma che forse non ero stato così precipitoso, un giornale
riporta un titolo: “Mafia, confermate le ipotesi di Santi” (La Nazione). Una tonnellata di cocaina
scaricata nel porto di La Spezia fu successivamente sequestrata a Pallerone (Lunigiana, provincia di
Massa-Carrara). Quando conobbi Sinatti lo coinvolsi subito nel progetto d’inchiesta e decidemmo
d’inserire un approfondimento nel libro “Trame di Potere”. Ancora però non potevamo descrivere e
ipotizzare delicati passaggi che adesso siamo in grado fare. Quello che state per leggere potrebbe
essere lo scenario compiuto di questa vicenda.
L’inizio. In una piccola cittadina (Pallerone) di una piccola provincia Toscana (Massa-Carrara), la
Guardia di Finanza coordinata dalla Dda di Genova ha concluso uno dei sequestri di droga che può
annoverarsi fra i più rilevanti (per quantità) in tutta Europa. Dopo il blitz, dell’agosto del 2011,
vanno “dentro” cinque persone tra cui il presunto capo della banda, Giordano Cargiolli. Qualche
mese fa la conclusione del processo che ha visto lo stesso imputato condannato a scontare una pena
a diciotto anni. L’operazione, denominata “Caucedo” (porto Domenicano da dove era partito il
carico), ha messo in luce che la partita di droga proveniva dai cartelli colombiani. I sigilli scorpione
e dama impressi nei panetti indicavano il cartello di Norte del Valle. Prima di attraccare
definitivamente nel porto di La Spezia la nave contenente il carico aveva effettuato una strana rotta:
proveniente dalla Repubblica Domenicana aveva fatto scalo in un primo momento in Spagna poi a
Gioia Tauro, Napoli, La Spezia, nuovamente Gioia Tauro, Livorno, Genova e La Spezia. Proprio
questi scali anomali avevano messo in allerta la dogana e dato inizio all’operazione. Operazione che
avrebbe potuto mettere in luce una realtà ben più complessa e inquietante e invece viene trascurata
dagli inquirenti e sminuita dai media. A volte l’inchiesta giornalistica nasce proprio da una singola
domanda. La nostra è semplice: perché? La parola chiave di questo segmento d’inchiesta potrebbe
essere la seguente: sinergia tra ‘ndrine. Il traffico di droga non è organizzato dal solo Cargiolli e
dalla sua banda? Potrebbe non essere così, nel libro “Trame di Potere” abbiamo spiegato le
motivazioni. Cerchiamo allora di formulare le domande correttamente e l’analisi di ulteriori eventi
accaduti dopo il sequestro può venirci utile. Nel dicembre 2011 la madre di Cargiolli, Georgetta
Doxan denuncia alle Forze dell’Ordine di essere stata sequestrata da malavitosi che avrebbero
tentato di estorcerle la somma di un milione e duecentomila euro come risarcimento per lo sgarro
fatto nei confronti di un certo “zio”. Coincidenza vuole che la stessa Doxan sia a sua volta inquisita
per aver riciclato il denaro del figlio. Altro elemento da non trascurare: gli individui indicati da
Doxan sono tre affiliati alla ‘ndrangheta: Gennaro Alfano, Florindo Auricchio e Biagio Nasti. Dopo
poco nell’indagine subentrano i nomi dei mandanti: Antonio Stagno (boss della Brianza) e Carmine
Buonaiuto (un ex affiliato al clan cammoristico di Quindici). La ‘ndrangheta è coinvolta nella
partita di droga? Verosimile, basta ripercorrere la vicenda per capirlo. Cargiolli è stato veramente il
contatto diretto dei colombiani del cartello Norte del Valle per la partita di droga? Come avrebbe
potuto, in tal caso, trovare il denaro necessario per garantire un simile carico? Il giovane
imprenditore avrebbe avuto la “rispettabilità” necessaria per trattare con i colombiani e ottenere una
tonnellata di cocaina? Non è invece probabile che ci siano stati altri intermediari? (magari già
presenti in zona e anche nel nord Italia?). Se seguiamo il percorso, il nome di Piromalli è da
prendere in seria considerazione. La famiglia è radicata addirittura in Spagna. È casuale che
Cargiolli e la maggior parte del suo gruppo siano residenti proprio in terra iberica? Non sarebbe
opportuno verificare se Cargiolli ha avuto in Spagna dei contatti con componenti della ‘ndrangheta?
Proseguiamo con le supposizioni. Se, come sembra ormai evidente a tutti tranne che alla Procura, la
‘ndrangheta ha messo le mani sulla partita di droga, preventivamente avrà certamente organizzato
incontri e supporti logistici e investito sul carico (ricordiamo che la ‘ndrangheta gode piena fiducia
dei cartelli colombiani). Dunque, la nave effettuò una rotta anomala attraccando prima a Gioia
Tauro e solo come ultimo scalo a La Spezia. Perché? Chi è presente in quelle zone? Stando a fonti
non divulgabili potrebbe proprio trattarsi degli stessi Piromalli nel caso di Gioia Tauro, mentre, per
La Spezia, le ‘ndrine Piromalli e i Marcianò. Per Napoli? Ricordiamo che in associazione con
Antonio Stagno troviamo Carmine Buonaiuto insediato in Campania. Dobbiamo proprio aggiungere
qualcosa? Troppo scontato, è meglio proseguire. A questo punto l’entrata in scena di Antonio
Stagno (referente dei Giampà in Brianza) e Carmine Buonaiuto diviene determinante soprattutto
dopo il fallimento dell’operazione ed il maxisequestro da parte della Dda e G.D.F di Genova. Per
quale motivo i picciotti dei due boss hanno cercato di estorcere denaro alla madre di Cargiolli?
Secondo molti è un fatto a se stante rispetto alla partita di droga, ma potrebbero esserci dei
collegamenti precisi e inquietanti se si osserva da questa nuova prospettiva. Forse una risposta
potremmo trovarla cercando di ricostruire il percorso finale che avrebbe dovuto fare la cocaina: da
La Spezia a Pallerone (Massa-Carrara) per poi proseguire per la Germania e da li essere distribuita
nel mercato del nord Europa. I Giampà sono presenti in Brianza e forse erano d’accordo con i
Piromalli per controllare il carico nel nord Italia (avendo messo una quota nella partita di droga?).
In seguito Stagno viene scelto come uomo esperto in estorsioni, dopo che l’operazione era andata
male, per chiedere e ottenere un risarcimento dalla madre di Cargiolli. Quest’ultimo è forse
considerato la causa dell’insuccesso? Non dimentichiamo, inoltre, che Stagno e Cargiolli si
trovavano nello stesso carcere (per imputazioni diverse) e quindi l’incarico da parte
dell’organizzazione criminale era scontato che venisse attribuito allo stesso Stagno.
La talpa. La storia non finisce qui, ma diviene più complessa. Come riportato nel libro “Trame di
Potere”, una volta sequestrata la cocaina le Forze dell’Ordine ricevono una informativa che avvisa
della concreta possibilità che alcune ‘ndrine (organizzate e armate) avevano intenzione di
riappropriarsi del carico essendo venute a conoscenza della sua precisa ubicazione (per fortuna che
la ‘ndrangheta non era coinvolta!). Brutto affare perché affaccia l’ipotesi di una (o più talpe) nelle
Procure o nelle Forze dell’Ordine. Sarà certamente un caso ma pare che di talpe nelle Procure
Liguri ce ne siano effettivamente state. Altra coincidenza, il 5 novembre del 2012 Peppino
Marcianò, il presunto capo della ‘ndrangheta di Ventimiglia (provincia di Imperia,) dopo una serie
di conversazioni telefoniche e intercettazioni ambientali si dimostra perfettamente a conoscenza di
diverse attività investigative promosse dai magistrati. Sotto la lente d’ingrandimento un magistrato
di Genova e un Finanziere (singolare che l’operazione nasca dalla Dda di Genova e a condurla sia la
Finanza). Marcianò è in stretti rapporti con i Piromalli: fu lui, dunque, a informare quest’ultimi
sull’ubicazione della droga? Nell’operazione Maglio 3, condotta dai Ros dei Carabinieri, furono
arrestati tutti i presunti boss ‘ndranghetisti operanti in Liguria. Una operazione che in apparenza
sembrava risolutiva. Grande successo della Dda ligure, solo in apparenza. Un anno dopo il giudice
decide di scarcerare tutti gli imputati: il fatto non sussiste. Risultato? Tutti fuori! La squadra della
Dda ligure rimane sconcertata. Come mai gli inquirenti hanno sottovalutato una simile evenienza?
A guidare le indagini è l’allora “discusso” capo della Dda di Genova Vincenzo Scolastico, lo stesso
Pm che ha coordinato il sequestro della tonnellata di cocaina. La Casa della Legalità non usa mezzi
termini nei confronti del magistrato riguardo soprattutto ad una operazione denominata “Carioca”
che vede imputato Antonio Fameli, a sua volta affiliato ai Piromalli. Fameli sarebbe stato, in
definitiva, un elemento essenziale per riciclare il denaro sporco dei Piromalli.
“A proposito di negazionismo ed inefficienza…passiamo al savonese. Se quanto dichiarato da
Scolastico è vero (“in nessuna delle indagini su Fotia, Fameli, Nucera sono emersi collegamenti con
la ‘ndrangheta o a fenomeni di tipo mafioso”), allora bisogna chiudere Dia, Ros, Sco, Commissione
Parlamentare Antimafia, Prefettura e persino la Procura Nazionale Antimafia”.
La Casa della Legalità continua nella sua dichiarazione
“che Fameli non sia legato alla ‘ndrangheta è una barzelletta. E poi Scolastico dovrebbe aver letto
l’ordinanza di custodia cautelare per l’Operazione Carioca..non ha notato che si parla chiaramente
del ruolo di Fameli per conto dei Piromalli”.
Considerate queste circostanze, esistono presupposti che possono collegare le due Operazioni? Una
parola e un nome: riciclaggio e Piromalli. L’operazione Carioca ha messo in luce un intricato
meccanismo di riciclaggio che vede nei suoi componenti uomini strettamente legati alla ‘ndrangheta
ma anche professionisti: commercialisti e notai. Capo del gruppo Antonio Fameli. Se i Piromalli
hanno organizzato traffici nel nord Italia (come la tonnellata di cocaina sequestrata a Pallerone),
riciclavano utilizzando qualche soggetto immischiato nell’operazione “Carioca”? La Liguria ritorna
centrale sia come snodo strategico che come base per riciclaggio.
Dietro una grossa partita di droga, solitamente c’è una spedizione parallela d’armi. Prendendo in
seria considerazione il clan ‘ndranghetista Piromalli e Giampà, specializzato proprio in simili
attività, potrebbe venire il dubbio che la partita di cocaina sequestrata sia in qualche modo legata ad
un traffico d’armi.
La prima Holding. La partita di droga svela indirettamente probabili nuovi assetti di potere e
alleanze nella ‘ndrangheta del nord Italia? La tonnellata di cocaina potrebbe essere stata uno dei
primi affari che hanno sancito una nuova alleanza fra ‘ndrine? Una alleanza che metterebbe in luce
un ulteriore rafforzamento dei già potenti Piromalli ed una ascesa di Antonio Stagno, possibile
braccio armato dell’organizzazione. Dopo l’operazione Medusa, che ha visto 23 componenti della
famiglia Giampà finire in carcere, sarebbe opportuno valutare se Stagno sia effettivamente divenuto
il loro nuovo referente. In particolare dopo il pentimento di alcuni capi come Francesco e Giovanni
Giampà, divenuti collaboratori di giustizia. Riassumendo, i nuovi assetti dell’organizzazione
dominante nel nord Italia potrebbero essere rappresentati dalle seguenti famiglie: Piromalli,
Marcianò, Giampà e una’altra nota famiglia che vede come probabile capo lo “zio” menzionato dai
picciotti di Stagno e Buonaiuto durante il sequestro della madre di Cargiolli.
Braccio armato. Perché Antonio Stagno potrebbe essere divenuto una figura chiave? Al momento
della consegna della partita di droga Stagno si trovava già in carcere. Un impedimento di poco
conto poiché continuava indisturbato a dare disposizioni ai suoi picciotti anche da “dentro”, vedi
l’estorsione Doxan. Chi fece da “staffetta” tra il carcere e l’esterno? Una donna? Come nel caso di
altri boss legati ai Giampà. Stagno è uomo pericoloso e imprevedibile, la sua ambizione segna la
sua storia personale. Tutti coloro che hanno avuto a che fare con lui, o sono morti o si sono
“inaspettatamente” e successivamente pentiti, cosa rara per la ‘ndrangheta. Per quali motivi? Per
proteggersi da un uomo che ordina ed esegue esecuzioni stile padrino? Per proteggersi dall’uomo
che sta divenendo il braccio armato della nuova alleanza fra famiglie? (anche se dietro le sbarre).
Resta una vicenda tutta da chiarire.
La seconda Holding. Dai nuovi scenari criminali possiamo dedurre con facilità che la ndrangheta
stà assumendo un nuovo “volto”. Un simile cambiamento non si manifesta immediatamente nella
sua complessità e ciò è dovuto ad una analisi troppo rigida e accademica del fenomeno ‘ndrangheta
da parte degli addetti ai lavori. Una sorta di federazione criminale, o potremo anche definirla una
nuova holding, rappresenta l’esempio di come si è trasformata il vecchio assetto mafioso.
Indaghiamo dunque l’origine del cambiamento e cerchiamo di comprendere gli scenari futuri, anche
se le informazioni in nostro possesso sono ancora limitate. La svolta dovrebbe essere avvenuta dopo
alcune brillanti operazioni, ricordiamo fra tutte: la “Crimine” e “Maglio1,2,3”, che hanno svelato e
sconvolto i vecchi assetti della ‘ndrangheta, portando all’arresto dei principali capi bastone. Un
duro colpo ma l’organizzazione in questione ha da sempre la capacità di adattarsi ai cambiamenti
per affrontare al meglio i fattori di criticità. Gli esponenti più “avveduti” nelle maggiori famiglie
hanno compreso la necessità di adottare una nuova strategia che ha portato ad un unione fra ‘ndrine
più integrata, forte e “competitiva”sul mercato dell’illecito. Una holding, appunto, composta da
‘ndrine complementari e con specializzazioni diverse fra loro, dove non esiste più una differenza tra
la madre Calabria e il resto dei “locali” (verrebbe in tal modo congelato il presunto conflitto tra chi
intendeva rimanere fedele alla terra d’origine e coloro che invece intendevano mettersi in affari
separatamente). La holding risulta l’unico mezzo per gli ‘ndranghetisti di rimanere temibili, presenti
a livello nazionale e internazionale e credibili nei confronti di partner come i cartelli colombiani e
messicani. Una formula, quella della “holding”, in grado di portare maggiore efficienza e stabilità
nell’organizzazione. Le ‘ndrine che non faranno parte, per svariati motivi, di questo sistema saranno
nel tempo destinate a diventare di terza importanza se non a scomparire. Il vecchio modello è ormai
superato.
In questo capitolo abbiamo descritto la holding più importante, quella rappresentata dai Piromalli-
Giampà- e una terza famiglia di cui (forse) fa parte lo “zio” (e chi sa quali altre ‘ndrine non ancora
identificate). Tuttavia, sembra che vi sia un'altra holding parallela e minoritaria, capeggiata dai
Pesce. Mentre la prima è stato possibile identificarla attraverso l’analisi del sequestro di una
tonnellata di cocaina, la seconda è possibile riscontrarla con l’operazione “Cicala”. Partiamo da
questa operazione per farci un idea sulla complessità del problema. L’operazione ha portato a 43
ordini di custodia e 39 arresti estendendo l’interesse investigativo oltre il confine nazionale, in
Spagna. Nel corso dell’indagine si è scoperto un imponente traffico di sostanze stupefacenti.
Referente dell’organizzazione era Pasquale Cicala, esponente dei Pesce-Bellocco nel nord Italia. Se
fosse confermato il teorema delle due holding di stampo ‘ndranghetista (prevalentemente indirizzate
al traffico di stupefacenti) allora bisognerebbe domandarsi quanto siano cambiati gli assetti della
galassia criminale in Italia e all’estero. Ad aver risentito di simili vicende dovrebbe essere
principalmente il nostro paese, in particolare il nord Italia. Non solo: considerando che la
‘ndrangheta è l’organizzazione criminale più radicata nel mondo, un rinnovamento di tale portata ha
certamente influenzato gli assetti, i rapporti con le altre organizzazioni e le strategie all’estero. Le
due holding dovrebbero, in definitiva, aver rafforzato proprio per efficienza e versatilità la presenza
della ‘ndrangheta nel mondo. A non cambiare sono i nodi strategici, cioè: Spagna, Colombia e
Venezuela, come riscontrato anche dalle ultime operazioni. In questa complessa strategia è
necessario tenere in considerazione ulteriori elementi. Cerchiamo di esaminarli uno per uno
ponendoci delle domande:
1 - Chi sono i referenti del “braccio armato” delle due Holding? Le nuove organizzazioni hanno già
compiuto i primi omicidi?
2 - La costituzione delle due holding ha ristabilito una pax ad interim nelle attuali faide? Oppure
potrà risultare un presupposto per una nuova guerra interna? Allo stato attuale sembra che esista una
politica del rispetto fra le due holding. Lo possiamo riscontrare dalla convivenza nel porto di Gioia
Tauro sul quale vale la pena soffermarsi per un attimo. Il porto in questione è uno scalo basilare per
entrambe (lo è stato anche in passato per le ‘ndrine classiche) e non è certo un caso che ad averne il
controllo siano i Piromalli da una parte e i Pesce dall’altra (le due famiglie divenute leader delle
nuove organizzazioni) .
“Le dinamiche proprie della stretta cointeressenza del Gangeri con una delle cosche di ‘ndrangheta
operanti nell’area territoriale cui è riconducibile il porto di Gioia Tauro, ovvero quella dei Pesce,
già desumibili dall’indagine Solare, trovano quindi ulteriore conferma” (Pag 981 Ordinanza
Crimine 3, fonte “Guardia e Ladri”). E ancora: “… induceva ancor più ad ipotizzare un fattivo
controllo nella gestione delle attività doganali del porto di Gioia Tauro da parte del consorzio
criminale Piromalli-Molè.”
3 - Qual è il contribuito della massoneria in questo nuovo assetto ‘ndranghetista? Sul tema
massoneria-servizi segreti deviati- mafia, si stanno scrivendo migliaia di pagine e non è nostra
intenzione affrontare l’argomento. Questi legami vanno comunque tenuti presenti in ambito locale
(invitiamo a leggere Trame di Potere), dove professionisti e imprenditori iniziati alle logge
intrattengono rapporti diretti o indiretti con possibili affiliati alla mafia. Siamo di fronte alla linea di
demarcazione tra legalità e illegalità: la così detta “zona grigia”, dove convivono rapporti fra
professionisti e organizzazioni criminali. L’intercettazione dei Ros che vede Pantaleone Mancuso
seriamente preoccupato del futuro, fa pensare:
“Loro parlano di ‘ndrangheta quando la ‘ndrangheta non esiste più… una volta, a Limbadi, a
Nicotera, a Rosarno, a…. c’era la ‘ndrangheta.. la ‘ndrangheta fa parte della massoneria” .
4 - Quale posizione hanno assunto rispetto alle due nuove organizzazioni i De Stefano, importante
famiglia ‘ndranghetista radicata da anni nel nord Italia? Domanda chiave poichè i De Stefano sono
in grado di sbilanciare il potere a vantaggio dell’una piuttosto che dell’altra.
Calabria- Roma- Milano. Tutto il mondo stava attendendo che un cardinale pronunciasse la
fatidica frase “Gaudium magnum, abemus Papam”. Roma era ritornata per qualche giorno
nuovamente “caput mundi”, il suo nome veniva pronunciato in continuazione nei Tg. Sarà forse per
questo che il mio collega Sinatti fece una considerazione appropriata:
“….di Roma cosa ne pensi? Praticamente non se ne sente mai parlare, strano…”.
Lo guardai fisso per un istante, perché involontariamente mi aveva catapultato in un altra inchiesta
che avevo portato avanti proprio a Roma:
“Effettivamente due organizzazioni di questa importanza sarebbe strano che non avessero preso in
considerazione la capitale, non foss’altro per i palazzi della politica. La situazione romana è
talmente nebulosa da invitare le due holding ad insistere, anche più di quello che hanno fatto nel
passato, proprio per la mancanza di riferimento della criminalità locale”
“Cosa intendi?”
Mi chiese Francesco. Presi allora dall’archivio un fascicolo dove c’era il resoconto di quanto avevo
scritto per l’inchiesta del macellaio dell’Ardeatina e cominciai a leggerlo.
Mala tempora. Negli ultimi anni nella capitale è scoppiata una autentica guerra per il controllo
dello spaccio e delle bische clandestine. Le parole chiave di questa losca vicenda sono: “bande”,
“calibro” e “freddato”. Il 22 novembre 2011 in Viale del Sommergibile, proprio nel cuore popolare
di Ostia, Francesco Antonino conosciuto come “Sorcanera”, muore dopo essere stato crivellato di
colpi. In Via Forni lo stesso giorno un suo amico fa la stessa fine, Giovanni Galleoni detto
“Baficchio”. I due omicidi fecero salire a quota trentatre i morti per mano del crimine organizzata
dall’inizio 2011. Un record che non si vedeva dai tempi della banda della Magliana. I cognomi di
Antonino e Galleoni erano già stati oggetto d’attenzione da parte degli inquirenti nelle cronache del
2004, durante l’operazione delle forze dell’ordine denominata “Anco Marzi”. I due, infatti,
facevano parte della così detta “batteria degli invincibili” capeggiata dal boss Emidio Salomone,
morto in un agguato. La banda della Magliana rimane d’attualità perché in verità non è mai stata
stroncata definitivamente. Sono rimasti attivi ancora i terminali della vecchia banda, ne è un
esempio il caso di Emidio Salomone e dei suoi due luogotenenti. Troppi “capetti” e troppi interessi
hanno reso la Roma di oggi un campo di battaglia per il controllo, destabilizzando l’accordo di
tregua sancito anni addietro. In merito il sostituto Procuratore Antimafia di Tivoli, Luigi De Ficchi
ha dichiarato: “Oggi siamo di fronte a una situazione criminale completamente diversa da quella
degli anni ‘80. A Roma non c’è il predominio di una banda sulla città come avvenne allora. Ci
troviamo piuttosto di fronte a una pluralità di gruppi che agiscono in modo particolarmente
spregiudicato”. A complicare ulteriormente il quadro nella capitale contribuisce il sopraggiungere
incalzante delle mafie Italiane e straniere. Tali organizzazioni divengono elementi in grado di
sovvertire “la mappa criminale” Romana. Assistiamo allora a scontri armati oppure ad alleanze
dettate dalla paura o semplicemente dall’interesse. È il caso della Mafia Cinese che si “ritrova” la
Camorra come partner nel il traffico di merce contraffatta. Le due organizzazioni hanno realizzato
un piano ingegnoso riguardo alla contraffazione: le merci vengono prodotte in Cina dove la
manodopera è praticamente a costo zero. In Italia giungono attraverso i paesi di Terzigno e San
Giuseppe Vesuviano per finire all’Esquilino e conseguentemente all’intero mercato Romano. Una
partnership estremamente redditizia. La Camorra, però, non si limita alle sole merci contraffatte. La
ritroviamo, infatti, nel settore immobiliare. La ‘ndrangheta non poteva mancare in questo
consistente giro di affari. A fungere da spartiacque risultano le ‘ndrine Alvaro, Palamara, Marcuso,
Bonavota e infine quella dei Fiarè radicati nel giro di stupefacenti, ristoranti e beni immobili. La
Mafia albanese, invece, entra in scena attraverso la prostituzione, ruolo assunto anche in altre parti
del paese.
Le sedi. Milano e Roma potremmo considerarle le sedi simboliche delle due nuovi holding.
Certamente della prima. Proprio come per il paese, Milano rappresenta la sede economica. Roma la
capitale legata alla politica, mentre la Calabria rimane il principale centro di reclutamento. Per
quanto riguarda il capoluogo lombardo il processo d’infiltrazione e radicamento è completato dopo
anni di attività illecita. La situazione appare assai grave a Roma, ma la partita potrebbe essere
ancora aperta. Il vantaggio della prima holding guidata dai Piromalli è evidenziato proprio da
questo processo d’espansione: per la capitale sono il principale pericolo di matrice ‘ndranghetista. I
loro interessi stanno già da alcuni anni coinvolgendo settori economici importanti quali commercio
e ristorazione. Posseggono, inoltre, diverse proprietà immobiliari e una buona rete di contatti.
Contatti con politici romani? La famiglia Pesce, invece, sembrerebbe ancora in una fase embrionale
anche se è possibile che appoggino altre ‘ndrine sul territorio. Proprio l’Urbe potrebbe permetterci
di fare alcune importanti considerazioni su come siano state strette le nuove alleanze, arrivando in
questo modo al cuore stesso delle due holding. Una domanda conclusiva è necessaria: perché alcune
‘ndrine hanno deciso di schierarsi con l’una piuttosto che con l’altra organizzazione? In parte sono
state scelte legate alla potenza e alla capacità delle singole ‘ndrine e in parte a vecchie e nuove
“tensioni”. Non è detto che i tradizionali locali della Liguria (tanto per citare una regione toccata
dalla nostra inchiesta fin dal libro “Trame di Potere”) siano entrati compattamente in una delle due.
I Romeo e i Molè dovrebbero far parte della seconda, mentre i Marcianò d’Imperia della prima.
L’ingresso dei Romeo nella seconda holding è riscontrabile con l’operazione “Imelda”. Coinvolti
Antonio e Giuseppe Romeo che hanno collaborato strettamente con Antonio Ascone, socio di quel
Bruno Pizzata inserito nell’operazione “Cicala” che avrebbe coinvolto la seconda organizzazione
guidata dai Pesce. Altra traccia. Sarebbe scontato ritenere i Molè appartenenti alla prima holding
uniti ai Piromalli. In realtà non sembrerebbe. A Roma, infatti, accade qualcosa di imprevisto. Il 1°
febbraio del 2008 l’omicidio di Rocco Molè incrina il rapporto tra le due ‘ndrine creando scontri e
nuove alleanze.
Pozzi avvelenati
Dopo aver scritto due libri, il silenzio imbarazzato di alcuni politici locali si aggiunge al nervosismo
mal celato di altri:
“Ma cosa state scrivendo? Corruzione? Mafia? La nostra provincia (Ms) capofila per insediamenti
criminali in Toscana?”
La nostra risposta è sempre stata: “Quello che accade all’ombra di una apparente normalità”. La
sufficienza di alcuni ambienti su questi argomenti è stata smentita dai frequenti arresti degli ultimi
mesi. Da queste terre dovremmo cominciare a combattere la presenza della mafia e della criminalità
organizzata che molti ottusamente negano. Fra gli inquirenti ci sarebbero degli investigatori validi
ma vengono puntualmente “stoppati” dai vertici d’istituzioni spesso prossimi al pensionamento.
Allora? Avanti così! Tra arresti a macchia di leopardo e il timore di guardare in faccia una scomoda
realtà.
Diffidate di coloro che sostengono che la lotta alla mafia sia un fenomeno senza fine. Non è vero!
Sappiamo bene chi sono, cosa fanno e come lo fanno. Il problema in realtà è un altro: questi
soggetti spesso sono coperti politicamente. Ad aggravare la situazione spesso procure inadeguate.
Mentre ci sono magistrati degni di merito, per coraggio e professionalità, ne esistono altri il cui
scopo è archiviare. Le nostre inchieste partono sempre da presupposti locali per poi “agganciarsi” a
filoni nazionali e internazionali che ci ripropongono sempre la solita domanda: come è possibile che
scandali, arresti e giri di corruzione non abbiano ancora fatto percepire che “qualcosa” in queste
provincie non è sotto controllo? Massa- Carrara, ad esempio, sono divenute il banco di prova per
“maneggi”(nazionali e internazionali). Ecco perché puntiamo i riflettori su questa terra. Comuni che
collezionano scandali di ogni tipo dovrebbero essere seriamente e costantemente “monitorati” dalla
magistratura, invece si fa poco o nulla. Il metodo giusto per continuare ad avvelenare i pozzi.
Ringraziamenti
Si ringrazi l’Avvocato Pier Paolo Rustighi per la consulenza legale fornita.
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Gli autori.
Pier Paolo Santi. Giornalista pubblicista e direttore della RATIO Lrm, studio che si occupa
principalmente della realizzazione di documentari, reportage e inchieste per la TV e testate
giornalistiche. Si occupa da alcuni anni d´infiltrazioni mafiose, corruzione e cronaca nera. Per
Eclettica Edizioni ha pubblicato "La Provincia del silenzio", Trame di potere.
Francesco Sinatti. Analista politico esperto in materia finanziaria. Ha scritto articoli sui più
eclatanti scandali riguardanti l´attività amministrativa degli ultimi anni nella provincia di Massa-
Carrara. È l´autore-ideatore della testata web, di contro informazione e servizio pubblico,
"SOTTOINCHIESTA" che cura approfondimenti e commenti sulla politica locale e nazionale. Per
Eclettica Edizioni ha pubblicato Trame di potere.
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