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MARIA IVANA TANGA IL PANE E IL MIELE. TAVOLA E CULTURA IN GRECIA Un affascinante viaggio tra storia, mito, religione, cul- tura alla scoperta di una civiltà gastronomica impasta- ta di terra e di sole, ma anche, di miti e riti ancestrali, ossia quella cultura mediterranea che ha saputo tra- sformare il vissuto quotidiano in una grande, fulgida epopea. Così si scopre come pane, vino e olio, presso le genti mediterranee, siano divenuti sacri, e come il cibo, da mero sostentamento, sia divenuto poesia. Grazie a Omero, a Kazantzakis, a Platone, a Bachofen, a Teocri- to, a Durrell, si scopre un’altra Grecia, quella vera, pro- fondamente radicata alla sua identità mediterranea. Maria Ivana Tanga è giornalista-editorialista. Responsabile della rubrica «Soul & Food» del sito web www.leggereun- gusto.it, è consulente di tematiche letterarie (e gastronomi- che) per la rivista on line «Taccuini storici». Per l’Accademia gastronomica storica è rappresentante “consolare” della Grecia e dell’area mediterranea. È autrice de I Malavoglia a tavola, un saggio tra cucina e letteratura, in compagnia di Giovanni Verga. Appassionata di “archeo-gastronomia”, è autrice di uno studio sul banchetto dei greci antichi. 12,00 MARIA IVANA TANGA IL PANE E IL MIELE TAVOLA E CULTURA IN GRECIA DIABASIS cop_grecia_stampa8mm.indd 1 cop_grecia_stampa8mm.indd 1 16-06-2010 18:18:41 16-06-2010 18:18:41

Il pane e il miele

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Dagli altari della Grande Madre mediterranea alle tavole dei greci moderni: un affascinante viaggio tra storia, mito, religione, cultura. Alla scoperta di una civiltà gastronomica impastata di terra e di sole, ma anche di miti e riti ancestrali che ci riportano all'"origine delle cose" (per dirla alla Your cenar). A quella cultura mediterranea che ha sa puto trasformare il vissuto quotidiano in una grande, fulgida epopea. Così abbiamo scoperto come pane, vino e olio, presso le genti mediterranee, siano divenuti sacri, come il cibo, da mero sostentamento, sia divenuto poesia, pensiero, fede.

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Un affascinante viaggio tra storia, mito, religione, cul-

tura alla scoperta di una civiltà gastronomica impasta-

ta di terra e di sole, ma anche, di miti e riti ancestrali,

ossia quella cultura mediterranea che ha saputo tra-

sformare il vissuto quotidiano in una grande, fulgida

epopea. Così si scopre come pane, vino e olio, presso le

genti mediterranee, siano divenuti sacri, e come il cibo,

da mero sostentamento, sia divenuto poesia. Grazie a

Omero, a Kazantzakis, a Platone, a Bachofen, a Teocri-

to, a Durrell, si scopre un’altra Grecia, quella vera, pro-

fondamente radicata alla sua identità mediterranea.

Maria Ivana Tanga è giornalista-editorialista. Responsabile

della rubrica «Soul & Food» del sito web www.leggereun-

gusto.it, è consulente di tematiche letterarie (e gastronomi-

che) per la rivista on line «Taccuini storici». Per l’Accademia

gastronomica storica è rappresentante “consolare” della

Grecia e dell’area mediterranea. È autrice de I Malavoglia a tavola, un saggio tra cucina e letteratura, in compagnia di

Giovanni Verga. Appassionata di “archeo-gastronomia”, è

autrice di uno studio sul banchetto dei greci antichi.

€ 12,00

MARIA IVANA TANGA

IL PANEE IL MIELETAVOLA E CULTURA IN GRECIA

DIABASIS

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In copertinaFotografia di Makis Koutzouvelis

Progetto grafico e copertinaBosioAssociati, Savigliano (CN)

ISBN 978-88-8103-701-8

© 2010 Edizioni Diabasisvia Emilia S. Stefano 54 I-42121 Reggio Emilia Italia

telefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047www.diabasis.it

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Maria Ivana Tanga

Il pane e il mieleTavola e cultura in Grecia

D I A B A S I S

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Maria Ivana Tanga

Il pane e il mieleTavola e cultura in Grecia

Introduzione

Prologo

Capitolo primoLa “sacra triade”: pane-olio-vino

Capitolo secondoNelle pentole dei Santi (il cibo della devozione)

Capitolo terzoMangiando asfodelo (i cibi del digiuno)

Capitolo quartoSacre erbe e dintorni...

Capitolo quintoIl formaggio di Polifemo

Capitolo sestoI dolci di Melissa

Capitolo settimoI frutti della passione

AppendiceL’oro di Chios

Bibliografia

Glossario

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A Bibi,piccola e forte.

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IntroduzioneTeodoro Andreadis Synghellakis

Questa introduzione al libro della collega Maria IvanaTanga mi fa ritornare con la mente, con piacere e qual-che rimorso, a quella che sarebbe dovuta essere la miavera passione: al mio percorso universitario, ai miei studidi antropologia e di greco moderno. Mi aiuta, ci aiuta ariscoprire e a confermare quanto la convivialità di unacena, il rispetto della tradizione, così come le impercet-tibili o coraggiose modifiche apportate dal tempo, sianoparte integrante del modo di comunicare, di conoscersie quindi anche di produrre cultura. Le lumache del gio-vedì santo, le ricette dei monaci bizantini, i digiuni dellecomunità greche dell’Asia Minore altro non sono cheuna testimonianza, forte e inequivocabile, di una varie-gata e “gustosa” continuità culturale. Così come la lin-gua, anche l’arte culinaria che dalla Grecia classica arrivasino ai nostri giorni, porta con sé la sapienza dell’oralità,la voglia di condividere il senso di un’appartenenza forte,radicata nel cuore, nel profondo della civiltà mediterra-nea. Una ricerca supportata dalla forza e dal conforto dipreziosi documenti scritti, alcuni quasi irreperibili. Traletteratura, archeologia, storia e memoria: per salvare,perpetuare, sentirsi parte di una comunità, di una koiné.

«Omero conosce almeno trecentotrentacinque spe-cie di vegetali diverse», ci ricorda Ivana, mentre «leerbe sono un vero e proprio cult per il cuoco sicilianoArchestrato di Gela». E a conferma della polimorfia del

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fenomeno culinario, non manca un riferimento al re-cente film Πολίτικη Κουζίνα (tradotto in italiano conUn tocco di zenzero) che ci presenta uno spaccato dellestorie, delle peripezie e della ricchezza gastronomica deiGreci di Costantinopoli, e cioè, della Polis, la città pereccellenza. Ho conosciuto Ivana in occasione di un’in-teressante anticipazione di un’altra sua fatica letteraria,offertaci dalla rivista «Foroellenico»: si trattava di Sullatavola dei Greci antichi, scritto con passione e cono-scenza, che ha suscitato l’interesse di vari media italiani.Ora che Il pane e il miele, ultima sua opera, arriva in li-breria, mi sento di dire che rappresenta sicuramente unatto d’amore verso la Grecia. Verso la sua memoria sto-rica, verso questa terra che malgrado le tante monta-gne, il vento delle isole, l’arsura estiva, continua adoffrire con generosità e costanza i suoi frutti. Un augu-rio: che questo libro, grazie alla sua dimensione dia-cronica, costruisca un ulteriore ponte tra i nostri duePaesi. Che aiuti a coltivare curiosità e interesse, a ca-pire che la cucina dei Greci non è fatta solo di quelleben note dieci ricette proposte al vasto consumo turi-stico. La ricchezza gastronomica del Belpaese costitui-sce ormai uno dei suoi più preziosi ambasciatori. Speroche, grazie anche all’opera di Ivana, possa avvenire lostesso anche per il mio Paese.

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Prologo

Gli antichi Greci lo chiamavano nostos, il viaggio.Viaggio come scoperta, come ricerca di sé e dell’“Altro”.Quell’“Altro” per noi è sempre stata la Grecia, luogo del-l’anima, della luce, dell’armonia, di una “memoria sto-rica” condivisa. Grecia e Magna Grecia. Così, spinti daquella che Nietzsche chiama «fede nel Sud», ci siamomessi in viaggio sulle rotte del Levante, alla ricerca nondi chimere o Lestrigoni, ma, semplicemente, di odori esapori dimenticati. Pensiamo al profumo del pane ap-pena sfornato che ci ha accolti al nostro primo sbarcoin terra greca. Il suo ricordo, ancora intenso, si con-fonde con la luce trasparente di un’alba chiara, ancoravivida nella memoria. Dalla Itaca omerica alla Itaca delterzo millennio, da Eleusi alla Grecia moderna, ab-biamo compiuto un viaggio emozionante alle radicidella civiltà gastronomica ellenica, in quell’amalgamadi nozioni e di tradizioni, di miti e di riti che si è andatasedimentando nel corso dei millenni fino a giungere,quasi intatta, ai nostri giorni. Pensiamo ai souvlakia, po-polarissimi spiedini di carne, immancabili nelle tavernegreche di oggi, la cui origine antichissima «ci riporta in-dietro alle origini selvagge delle razze», come osserval’imperatore Adriano, nel romanzo della Yourcenar.Mentre, nei supermercati dell’era moderna abbiamoscoperto, con sorpresa ed emozione, semplici biscottinia base di farina di grano chiamati dimitriakà. Il ricordo

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della grande Demetra, signora del grano e della vita ci-vile, si materializza così, incredibilmente, tra gli scaffalie i barattoli di un prosaicissimo pantopolìo. Come siamocerti che il pasteli, snack a base di miele e sesamo, im-mancabile in qualsiasi chiosco, sia lo stesso da tremilaanni, delizia dell’uomo greco di ieri e di oggi.

Ha sicuramente ragione la gastronoma Chrissa Para-dissis quando afferma che la cucina greca vanta più diventicinque secoli di onorata esistenza. Certamente lapiù antica d’Europa. «Quando gli abitanti ancora rozzid’Europa ignoravano i rudimenti della cucina, in Gre-cia, in questo vecchio Paese – scrive la Paradissis – i no-stri antenati sapevano già mescolare diversi ingredientie spezie, così da rendere le vivande saporose».

È in nome di una civiltà impastata di terra e di soleche abbiamo cercato di tessere la trama di una storia an-tica e affascinante che dalle mense minoiche conducedritto ai nostri giorni, alle tavole della Grecia moderna.Un itinerario che si avvale delle scoperte archeologiche,come delle testimonianze letterarie, in bilico tra storiaed economia, tra fede e tradizioni, tra ricordi personalied esperienze raccolte per strada, nei tanti nostos attra-verso la terra greca. Dalla viva voce delle donne incon-trate per caso, in villaggi sperduti, come nelle città onelle tante isole vicine e lontane, abbiamo elaborato unaricerca che promette di rivelare la vera anima della cu-cina greca. È così che, in barba alla globalizzazione delgusto, ai menù da “villaggio globale”, abbiamo risco-perto sapori, aromi, ingredienti dalla memoria antica,veri e propri “fossili viventi” che, miracolosamente,hanno attraversato indenni il turbine dei secoli. Prodottiautoctoni, contenenti in sé «un’essenza di immortalità»,

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come osserva Marguerite Yourcenar, nelle Memorie diAdriano. Il pensiero va alle olive, frutto simbolo del Me-diterraneo, dal «sapore più antico della carne, più an-tico del vino. Antico quanto quello dell’acqua fresca»1.Ma anche a quell’olio quasi verde che, da millenni, con-disce il pane quotidiano: un vero sacramento, una co-munione con Madre Natura, una merenda degna deglidèi celesti. Cibo immortale, cibo dell’anima, propriocome quelle ascetiche sardelle arrostite sulla brace daChristos, una sorta di moderno Efeso, in una tavernaadagiata sul golfo di Vathi, utero di Itaca. Il loro saporesi confonde con l’azzurro del mare, con i granelli di sab-bia tra i denti, con la luce struggente di un tramontogreco che ci arde ancora dentro, nel profondo del-l’anima. In quell’ora incerta, tra il giorno e la notte,quando il mare diventa “color del vino” si levano alti icalici in nome della vita, della salute, della felicità: stinyia mas, “a noi” è la parola d’ordine che rimbalza di ta-verna in taverna, dalle ouzerie alla moda fino all’ultimokafenìo di montagna. Un inno alla vita sembra emergere,potente, dal fondo della terra greca, dal fondo del-l’anima greca. «Oinoé, oinoé» il canto delle corti dioni-siache sembra perdersi negli effluvi della notte greca,quelle “notti d’ambrosia” di omerica memoria, tra ilprofumo sensuale dei “fiori della notte” e dei gelsomini.E la memoria ritorna a lui, al grande dio Dioniso, alquale avranno brindato sia raffinati filosofi che saccentianfitrioni, sia rudi soldati che molli ermafroditi, sia ladriincalliti che poeti appassionati. «Se bevi il rosso succo,ecco che la tua anima si fa grande, troppo grande per latua vecchia carcassa, tanto da sfidare Dio» osserva ilgrande Zorba il greco, a proposito del vino. Miracolo

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dei miracoli, il misterioso succo sacro a Dioniso saràl’anello di connessione tra natura e cultura. Il vino di-verrà canto, poesia, mito, teatro.

Pane-vino-olio: è l’antica memoria mediterranea cheritorna, una memoria luminosa, abbacinante che ci per-vade, che pervade i nostri sensi assopiti, giungendodritto fino allo spirito. «Il Mediterraneo è un mare in-teriore che tutti conserviamo nella memoria», osservalo spagnolo Manuel Vicent. Un universo recondito checontinua a vivere, come un riflesso condizionato, nellanostra memoria storica, nel nostro DNA, nella geneticadella nostra anima.

Con questa nostra ricerca intendiamo rendere omag-gio ad una società che chiamava “madre” la Terra e cheriteneva sacri il vino, l’olio e il pane. Una società che hasaputo convertire la Natura in Cultura, dando vita aduna delle più fulgide e feconde civiltà (gastronomiche)del mondo occidentale.

Sono ancora tutte vive, le madri degli eroi: le isole.Friedrich Hölderlin

Itaca, luglio 2008

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Capitolo settimoI frutti della passione

Albicocchi di Kòrama, more di Matianì, tassi di Mistrà. Grecia, Grecia! Dio mio.

Ghiorgos Seferis

Paragonare la Grecia al mitico “giardino delle Espe-ridi” ci sembra quasi un’ovvietà. Doni divini regalati ungiorno, ormai lontano, dai grandi dei dell’Olimpo agliuomini, i frutti elladici sono, quanto mai, gravidi dimito. Succosi, golosi frutti della passione. Mangiarne ècome ritornare nel grande, accogliente seno di MadreTerra. Per noi mortali, comunque, il frutto simbolodella Grecia è, senza dubbio, il frutto del melograno,grande, grandissima metafora d’amore e di vita.

Rossa, lucida, voluttuosa, la melagrana è da tempoimmemorabile simbolo d’amore e di abbondanza.“Rodi” è il suo antico nome, in ricordo della ninfaRodio, la figlia prediletta del grande Elios, il dio Solemediterraneo. Un frutto che vanta un’origine mitica, inquanto, si narra, sarebbe nato dalle gocce del sangue diDioniso. Una nascita, indubbiamente, di grande fasci-nazione. Sacra ad Afrodite, la melagrana incarna con ilsuo colore la passione, la carica vitale. I novelli sposi,ancora oggi, usano schiacciarla sulla soglia di casa insegno beneaugurante. I suoi rossi chicchi rimandano aduna simbologia vitale, al potere germinativo di madrenatura. Rosso come il sangue, il succo della melagranasembra incarnare l’energia vitale del cosmo. Sull’isoladi Lefkada, gli sposi, prima di prendere possesso dellanuova casa, fanno un segno a croce sulla porta con il

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succo della melagrana appena schiacciata. «La mela-grana dallo spacco purpureo – la definisce Uberto Pe-stalozza – viva realtà vegetale del suo mistero dicarne»105. Persefone, costretta da Ade a mangiare ilseme del melograno, lo definisce “cibo dolce come ilmiele”. Nel mito di Core-Persefone, il frutto del melo-grano viene a simboleggiare il rinnovamento del cosmo.«Uva e melagrana sono accomunati dalla caratteristicadi contenere semi, grani simbolici rappresentativi dellarinascita, dei ritmi della vita che si moltiplica e si rin-forza, in alternanza alla morte, tra la manifestazionedella luce e l’oscurità, tra il buio sotterraneo, chiuso,magmatico e la luce, vitale e rivelatrice»106. Semi di me-lagrana compaiono nel xristougenniatiko pilafi, un piattodal valore beneaugurante, propiziatorio che si usa con-sumare nel giorno di Natale. Nello staròzoumo, comenella spernà, la melagrana si accompagna al grano bol-lito, all’uva passa, alle mandorle, alle noci, al sesamo, al-l’arancia, in un rosario di ingredienti dal chiarosimbolismo propiziatorio. Due piatti, questi, della tradi-zione cefalonita che sono un vero inno alla vita. La me-lagrana, come l’arancia e l’uva contengono semi, simbolodi fertilità. Così come mandorle, noci e sesamo, frutti le-gati alla Grande Madre, ci rimandano a quel principiovitale annidato in seno alla natura. Mentre, “tette di Ve-nere” sono chiamate le mele-pesche che maturano sul-l’isola di Kithìra, luogo natale della dea dell’amore.

Un altro frutto legato alla sfera amorosa è la mela co-togna, la nobile kidonia. Plutarco ci fa sapere che So-lone, il grande legislatore ateniese, prescriveva allegiovani spose «di coricarsi al fianco del marito solodopo aver gustato una mela cotogna»107. «Molte mele

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cidonie lanciavano verso il carro, al signore, e molti ra-moscelli di mirto, e corone di rose, e morbidi serti diviole» il poeta Stesìcoro ci fa sapere che le mele coto-gne, alla stregua del mirto, delle rose e delle viole, fa-cevano parte del corredo beneaugurante, di benvenutocon cui la città accoglieva le persone di alto lignaggio.Nei bassorilievi del tempio di Zeus, ad Olimpia, compa-iono scolpite proprio delle kidonie. «La mela è la mela diSidone (ossia di Creta, ndr.), ovvero la mela cotognasacra ad Afrodite e coltivata per la prima volta in Europadai Cretesi» afferma Robert Graves108. Un frutto degnodegli dèi che, però, ha conquistato anche le tavole degliuomini. Tanto è vero che le cotogne finiscono frequen-temente in composta, in sciroppo, in pasta, in marmel-lata. Durrell, ne La grotta di Prospero, descrive una pastoofferto dal suo nobile amico corfiota: «Per il pranzo ilconte prepara una pasta di cotogna molto speziata, nerae viscosa, ma eccellente». Mixalis Magoulas, nel suo librosulla cucina itacese, definisce “fantastico” il profumodelle kidonie al forno. Un profumo che sa d’infanzia, dimerende estive consumate sotto il pergolato di casa. Ilbeltès o mpeltès è, invece, il nome di uno straordinariobudino di cotogne. Apithàkia kithonopastou è la coto-gnata foggiata a forma di pera, il cui picciolo è costituitoda un chiodo di garofano. Una realizzazione davvero ori-ginale, che ci dà la misura del genio creativo delle mas-saie elleniche e della loro passione per le elaborazioni difrutta. Mentre il kidoni triftò è una sorta di composta alcucchiaio intensamente profumata. Il kidonipasto o kou-feto, cotognata in versione ellenica, arricchita con miele,mandorle e buccia d’arancia è protagonista del ripienodei bourekàkia nistìsima, dolcetti del digiuno in voga a

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Cefalonia nei periodi di sarakostì. Cibo, vi assicuriamo,degno degli dèi! Proprio come quel rodozachari, delica-tissimo dolce al cucchiaio a base di petali di rose che con-fezionano, da secoli, i monaci del monastero di Chozo-viotissas ad Amorgos. Semplice, semplicissimo dessert,dal sapore paradisiaco, che i religiosi sono soliti offrire apellegrini e visitatori. Mentre, al celebre monastero dellaMadonna di Tinos si usa accogliere gli ospiti con teneribiscottini farciti con marmellata alle rose. Decisamenteun dolce e gradito benvenuto!

Quella di ricevere gli ospiti con dolci e liquori fa partedei rituali di accoglienza della maggior parte dei con-venti greci. «Il padre igumeno, Gavriel Marinaki, uomodavvero caloroso e simpatico, ci ha subito voluto offriredolci, caffè e rakì», annota il poeta inglese Edward Lear,a proposito della sua visita al monastero di Arkàdi, sul-l’isola di Creta. Stessa accoglienza è riservata agli ospitiche visitano i monasteri del monte Athos. Spesso il“benvenuto” consiste nell’offerta di frutta sciroppata odi loukoumi, accompagnati da un bicchiere di acquaghiacciata. Possiamo dire che i mitici cubetti gelatinosial profumo di rosa o i frutti caramellati, lucidi e golosi,offerti con leggiadra grazia, costituiscono la cifra distin-tiva dell’ospitalità greca.

Quella di annegare frutta e verdura nello zucchero èuna tradizione molto consolidata in tutta la Grecia. Perl’abbondanza di materia prima, le massaie sciroppanodi tutto: arance, uva, mele, pere, cotogne, melanzane,fichi, mandorle, amarene, ciliegie, prugne, koromila,meloni, limoni. A Lesbo finiscono in sciroppo perfinoi pomodorini, i cosiddetti domatàki glykò. Mentrel’isola di Thàssos è famosa per le glikò karidaki, le noci

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fresche conservate nello zucchero sciroppato. Golosivasi di vetro ricolmi di frutta colorata rivestono le paretidel negozio “Ambrosia” di Skopelos, considerato iltempio di queste delikatessen al cucchiaio. Ma è l’isoladi Chios a detenere la “palma” delle conserve di frutta.Fin dall’antichità presentava un biotopo rigoglioso,tanto da essere definita «la più fiorente delle isole ada-giate sul mare»109. Memorabili le sue melinzanàki glykò,piccole melanzane sciroppate.

Il mio primo incontro con i glykò tou koutalioù, dolcial cucchiaio, si confonde con il ricordo di una terrazzasul mare ornata di uva bianca e nera. Una mano rugosa eun po’ tremante mi porge un piattino con uva zanthia,bionda, tonda, lucida e goduriosa. «Mangia» mi invogliaGeorgia, amica dal volto antico, «è divina». Un saporeunico, di sole, di calore si fonde sulla lingua. Tutti i sen-tori dell’estate greca sembravano stemperarsi in bocca,in una sensuale armonia di dolce e asprigno, di mielato edi sapido. Era la piccola e dolce uva di Corinto che Ge-orgia immortalava nello sciroppo di zucchero, profumatodi barbaroriza, un’erba aromatica che cresceva sui muridel suo giardino. Un cibo degno delle mense divine. Lemassaie di Cefalonia preparano un delizioso dessert d’uvaal cucchiaio con la meravigliosa conte régalo. La nonnadella mia amica Betty, Erigoni Simitis è specialista nelconfezionare il neràntzi glikò, con arance amare. Rino-mate sono anche le sue marmellate di agrumi, colti diret-tamente dal suo giardino di Perachori. Perfino i delicati,profumatissimi fiori di zagara finiscono sotto vetro, gra-zie alla passione e all’abilità delle donne greche, amorosevestali di una tradizione che, spesso, sconfina nel territo-rio dell’arte. Una tradizione nient’affatto banale, che af-

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fonda le radici nella grande tradizione gastronomica bi-zantina. Proprio come quella confettura di fiori d’arancioe maraschino che le massaie corfiote si scambiano da se-coli, preziosi, dorati, solari doni del grande dio Solegreco. Biankèta viene chiamato a Corfù un delizioso des-sert a base di succo e bucce di mandarini, impastati conmandorle tritate, servito, scenograficamente, su profu-mate foglie d’arancio.

Esperideidis ossia “delle Esperidi” vengono chiamatiin greco moderno gli amati agrumi, in ricordo dei fruttidonati da Gea, la Terra, a sua figlia Era, in occasione dellenozze con il grande Zeus. I mitici “pomi d’oro” cresce-vano in un giardino sacro, custodito dalle Esperidi, figliedi Espero, “dio del sole calante”. È sempre una grandeemozione constatare come il passato, il grande passatoelladico, continui a vivere tra le pieghe della odierna quo-tidianità, quasi sommessamente, umilmente.

Una menzione a parte merita il vissino, l’amarena el-lenica, una delle glorie della “gourmanderie” greca. Loscrittore Diphilous di Sifnos ci fa sapere che la qualitàpiù pregiata è quella più scura, originaria di Mileto(città costiera dell’odierna Turchia). A parte la versioneda dessert del glikò tou koutaliou, a noi sembra moltointeressante la bevanda che si ricava dal suo frutto, lacosiddetta vissinada. Allungata con acqua ghiacciata,offre refrigerio nelle calde estati. «L’acqua con dentro lebacche non è a mio parere caffè, come ritengono molticommentatori, ma proprio questa strana bevanda ionia,il vissino», afferma orgogliosamente il conte corfiota neLa grotta di Prospero. La prima volta che ho bevuto lavissinada è stato in casa delle signorine Papadakis, inuna caldissima serata ateniese. «È la nostra Coca-cola»

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mi disse ridendo Maria, la più giovane, porgendomi ilfragile bicchiere di cristallo, color rubino. Il suo riflessomi ricordò il colore del sangue.

«Tredici peri tu mi hai donato, con dieci meli e più diquaranta fichi» scandisce Odisseo, al suo ritorno adItaca, per provare al padre Laerte la sua identità. Il fico,insieme all’ulivo, contribuisce a disegnare il paesaggiomediterraneo. «Il fico subentra là dove viene menol’ulivo ed estende i confini del mediterraneo» osservaPredrag Matvievi|. Gli “efebi”, nel loro giuramento ini-ziatico, promettono di difendere «i confini della Patria,il grano, l’orzo, le vigne, gli uliveti e i fichi». Albero co-smico, era legato intimamente a Gea, la Madre Terra,dal cui grembo sarebbe nato. Un vero miracolo dimadre natura, capace di crescere quasi ovunque. Neiterreni più impervi e accidentati, come nelle forre e neicalanchi riarsi dal sole molto spesso si erge solitaria lasagoma di un albero di fico, presenza surreale di unpaesaggio sofferto, di un paesaggio difficile, sofferente.Quasi una sfida, dunque, quella del figlio del titano Si-keus, sorto, prodigiosamente, dalle viscere della terramediterranea. «Hipponico110, che cose meraviglioseproduce questa terra: miele, pane e fichi» afferma en-tusiasta Ateneo. Prelibati erano i fichi che crescevanonel demo di Sparta, tanto che erano ammessi persinonella sobria dieta del guerriero spartiata. Un grandeestimatore di questo frutto era quel Zenone, fondatoredella scuola stoica. Ghiotti di fichi secchi pare che fos-sero anche Platone e Diogene il cinico.

I fichi, proprio in quanto frutta selvatica, sono il solocibo, insieme ad erbe e radici, di cui si nutrono da sem-pre gli eremiti dell’Athos: «Così chiaramente traspariva

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il volto della semplicità e della povertà, della kamarnia111

e dei fichi non freschi, della vita priva di qualsiasi agio edolcezza»112. Per millenni, i fichi secchi sono stati la ri-serva alimentare dei ceti meno abbienti, metafora stessadi indigenza, di vita grama. Fonte di zuccheri e calorie abasso costo. Cibo prediletto da Pitagora, venivano con-servati in speciali recipienti di terracotta e consumati du-rante l’inverno. A dimostrazione della loro importanzaeconomica, nell’antica Grecia si pensò alla creazione diun funzionario preposto alla raccolta e alla vendita deifichi, detto opisuko. In Attica era proibito esportare que-sti frutti, tanto che fu creata la figura del sicofantes, ossiacolui che denunciava il contrabbando dei fichi.

«… Tolse dalla cintura alcuni fichi secchi avvolti inuna foglia di alloro e li divise con noi» si legge in Zorbail greco. La descrizione dei fichi celati nelle foglie d’al-loro ha un tratto d’eleganza, di delicatezza, come unoscrigno segreto, gravido di dolcezze, di tenere pro-messe. È questo un metodo di conservazione tutt’oggiancora in voga. Alla fine dell’estate, non è raro scorgerecesti di fichi posti ad essiccare su terrazze e balconi. I“titanici” frutti baciati dal dio Sole: una delle immaginipiù care alla nostra memoria mediterranea. Un’emo-zione antica, che attraversa mille estati. Pezzi di sole di-vorati nell’ombra della nostra infanzia. Quando l’ecodei ricordi diventa sapore, diventa odore. Corone difichi secchi venivano offerti come sacrificio nel corsodelle Tesmoforie, insieme al miele, ai formaggi, al grano,al sesamo e al papavero. «Una volta diventata una bellafanciulla, sono stata canefora, portando così la collana difichi secchi» recita il coro delle donne nella Lisistrata diAristofane. In questo caso, la collana di fichi secchi ap-

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pare il segno distintivo della raggiunta maturità sessualedella donna ateniese in epoca classica. Mentre un panieredi fichi freschi rientrava tra le offerte a Dioniso. Già pro-prio quel Dioniso, la cui unica maschera a noi pervenutaè proprio intagliata nel legno di fico.

I bizantini usavano condire i fichi con fantasia, im-mergendoli nel miele oppure nell’acqua di fiori o di rose,confermando così la propria fama di raffinati buongu-stai. Una specialità di Lefkada sono i fichi secchi ripienicon mandorle tritate, ricoperti con semi di sesamo e pe-timezi113, e poi passati in forno. Questo goloso dessertprende il nome di sukomagìdes. A Corfù la farcitura deisukomagìdes è arricchita dal profumo della cannella, deichiodi di garofano, del pepe, della noce moscata, dellabuccia d’arancia. Un dessert divino! Come pure sicura-mente divino al palato risulterà un dessert di origine ot-tomana, ritrovato in un vecchio ricettario “palatiano”114,che vede i fichi secchi farciti con un ripieno di noci e pi-stacchi, profumati all’acqua di rose e vaniglia.

Secondo Durrell, è l’isola di Rodi a vantare i fichi piùdolci del mondo. Ne La grotta di Prospero, è citata una si-kopita, il dolce di fichi preferito da Zarian, il giornalistaarmeno con il quale Durrell condivide il soggiorno sul-l’isola di Corfù. Un vero paradiso terrestre che lo scrittoreanglo-indiano definisce come un «universo di ciliegienere, vele, polvere, corbezzolo, pesci e lettere da casa».

Mentre i monaci dell’Athos danno il benvenuto ailoro ospiti con una composta di fichi secchi annegatinel brandy. In un remoto villaggio del Papingo (nordEpiro) circondati da un gregge belante, abbiamo gu-stato un insolito dessert composto da fichi secchi e yo-gurt di capra dal sapore indimenticabile.

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I Greci antichi e moderni amano le prugne di Da-masco, perciò dette damaskine. Prugne cotte nel vinorosso si mangiano il 31 di agosto durante il panighiri diAlonissos. L’isola di Skòpelos è nota per la produzionedelle prugne gialle Avgato, che vengono essiccate inspeciali forni di terracotta. Ottima è la lepre alle prugnedella Macedonia. Per non parlare del kirinò me dama-skine, quel maiale alle prugne che campeggia soprat-tutto sulle tavole natalizie, in ricordo della grandeurbizantina. Mentre, da Costantinopoli arriva uno splen-dido agnello alle prugne e mandorle, dal sapore asso-lutamente intrigante. Come intrigante è una zuppatipica del Ponto a base di fagioli, farina di grano turcoe prugne secche. Il ridente Ponto è noto per la produ-zione di ottima frutta come quelle ciliegie, grosse e gu-stose, prodotte nella zona di Kerasous, l’antica Kera-sonte, località da cui deriva il nome kerasa, divenuta,poi, la “cerasa” dei romani. A importare le ciliegie dalPonto eusino in Italia sarà, nientemeno, che il golosoLucullo. Nella ridente penisola Calcidica le massaiepreparano un’ottima kerasosoupa, zuppa di ciliegie,dalle molte virtù salutari.

Un posto di rilievo tra la frutta greca lo meritano, si-curamente, i pistacchi di Egina, i più buoni del mondo.Innumerevoli sono le ricette elleniche, dolci e salate,che prevedono l’uso dei pistaccia communis. In parti-colare, la cucina della Polis ne fa un utilizzo davveroabbondante, delizioso scrigno di prelibatezze.

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Glossario

Abloùk – erba autoctona del Ponto.

Afiéroma – offerta votiva.

Aghiasmòs – rituale di purificazione.

Aghioritikos – pane scuro prodotto dai monaci del Monte Athos.

Aghiozoumi – mistura di acqua e olio, aromatizzata con erbe aromatiche.

Aghnopites o anevatà – calzoncini senza lievito.

Agrioprikada – erba autoctona di Itaca.

Agriosèlino – erba autoctona di Itaca.

Àkarpos – sterile.

Aleurida – erba autoctona di Itaca.

Alevrokalvà – halvà a base di farina.

Alukòn – frittelle a base di farina di granturco.

Amigdaloglikò – pasticcini di mandorle al profumo di rosa.

Amighthalòpita – la classica torta nuziale di mandorle; dolce del giovedìsanto a Cefalonia.

Amigthalotà – pasticcini di mandorle, costituiscono la tradizionale of-ferta nuziale, a conclusione della cerimonia religiosa.

Anabatòpita – tipo di pane lievitato.

Anghinares alla polìta – carciofi stufati con patate e carote.

Anghinares me koukià – carciofi stufati insieme ai baccelli di fava.

Anthògalo – formaggio ‘fiore di latte’.

Anthotiro e xinotirì – formaggio di Naxos.

Antidoron – pane benedetto tagliato in piccoli pezzi, distribuito ai fe-deli proprio come l’ostia nella liturgia cattolica.

Apàki – tipo di carne affumicata.

Apidàkia – dolce a base di mandorle e spezie, profumato dall’acqua dimille fiori.

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Apiria – sacrifici senza fuoco e coltello, che portano sugli altari erbe,fiori, frutti, miele e profumi.

Apithàkia kithonopastou – cotognata foggiata a forma di pera.

Apomazoktikia – banchetto tradizionale di Creta.

Arnì sto souvla – agnello allo spiedo.

Arnokouloura – pani beneauguranti per pecore e capre.

Artoklasìa – pane benedetto al profumo di cannella.

Artopolìo – rivendita di pane.

Asfodelo – pianta della famiglia delle Liliacee.

Aslìk – grano pelato.

Aslìk tsorvasì – zuppa di yogurt e grano pelato.

Asourès – dessert tipico di Costantinopoli, a base di grano e frutta secca.

Astè elàia – ulivo della città.

Baklavà – dolce a base di miele e olio.

Bamies – ortaggio.

Barboulè – il nome delle mandorle caramellate tipiche dello Ionio.

Batzos – formaggio macedone realizzato con latte di pecora e capra.

Bazaoulya – focaccia tipica di Cefalonia.

Belusiotika – cipolla di Zakintòs.

Biankèta – delizioso dessert a base di succo e bucce di mandarini, im-pastati con mandorle tritate.

Boidopsomo – pani beneauguranti per mucche e vitelli.

Bouranì – zuppa di verdure miste rigorosamente senza olio.

Bourbourelya – zuppa di cereali misti.

Bourekaki – dolcetti al formaggio sono una vera prelibatezza.

Bourekàkia nistìsima – dolce a base di mele cotogne, mandorle e can-nella.

Bourekia – dolcetti a base di miele, mandorle e sesamo.

Boxades – sfogliatine ripiene di agnello e formaggio.

Chabits – acqua e farina, simile alla polenta, piatto tipico del Ponto.

Chilòs – sorta di polenta fluida.

Chirinò me selino – maiale al sedano.

Chiròmilos – arcaico mulino di pietra a mano.

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Chòndros – grano macinato.

Cikorio – erba autoctona di Itaca.

Cikudia – grappa artigianale.

Daktyla – dolce a base di miele e frutta secca tipico di Cipro.

Decapentìsmo – primi quindici giorni di agosto dedicati alla veneratis-sima Vergine Maria.

Dimitriakà – biscottini a base di farina di grano.

Diples – dolce a base di miele e olio.

Dolmadhakia – involtini di foglie di vite, ripieni di carne e riso.

Dolmàdhes – involtini di foglie di vite.

Domatàki glykò – pomodorini sciroppati.

Domatokeftedes – polpette di pomodori.

Dyosmos – menta di giardino.

Eftazymo – pane con farina di ceci.

Ekumenikì – un’insalata a base di erbe selvatiche.

Elaikì – ricotta secca.

Elaiologos – colui che coltiva le piante d’ulivo.

Elaioparokhos – venditore di uliveti.

Elaioturgia – ciclo dell’olio.

Eliés – olive.

Eliòpsomo – pane alle olive.

Esperideidis – gli agrumi.

Eukraton – mistura di pepe, aneto e cumino.

Fakes – saporite lenticchie.

Fanuropita – dolce tipico di San Fanurio.

Fava – purè di lenticchie gialle.

Favokeftedes – polpette di fave.

Fillo – pasta per torte inzuppata di miele, tipo “millefoglie”.

Formailla – formaggio di solo latte di pecora del Parnaso.

Fotokouloura – frittelle votive.

Fotòpite – dolcetti profumati al miele e sesamo, tondi come tanti pic-coli soli.

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Fourkalida – erba autoctona di Itaca.

Gala – latte.

Galaktoboureko – dolce a base di latte.

Galotiri – formaggio dell’Epiro cremoso, acidulo.

Gamelio – pane tipico delle nozze greche.

Gastridi – sottili strati di pasta, farciti di miele, semi di papavero e se-samo.

Ghemistà – pomodori ripieni di riso.

Ghlikinas – dolce cretese preparato con miele, noci, mandorle e spezie.

Giapràkias – involtini fatti con le foglie di cavolo ed imbottiti con ilgrano macinato.

Glikà – dolci in genere.

Glikò karidaki – noci fresche conservate nello zucchero sciroppato.

Glikò koutalioù – frutta sciroppata.

Graviera – formaggio di latte di pecora.

Hierà – interiora dell’animale sacrificato.

Horta – verdura semiselvatica dal gusto amarognolo.

Hortopita – pita a base di horta.

Idromele – bevanda a base di miele e aceto di rose.

Itria – antenate delle moderne crepes, risultano da un impasto di fa-rina, miele e sesamo.

Jouvetzi – pastina cotta nel sugo della capra.

Kadaifi – dolce a base di miele e olio descritti da Teocrito nelle Siracusane.

Kakavià – zuppa di pesce a base di acqua di mare preparata con loscarto del pescato.

Kalamari ghemistà – calamari imbottiti di timo e capperi.

Kalathaki – feta conservata in cestini di vimini.

Kallikanzaros – spiritello domestico che, secondo il credo popolare,avrebbe avuto il potere di far inacidire il latte.

Kaloguri – erba autoctona di Itaca.

Kanistro – cesto.

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Kantoumà – grano pestato e messo ad asciugare al sole.

Kapnisto tou Metzovo – formaggio tipico dell’Epiro.

Karidopita – dolce a base di noci e miele.

Karteraki – digestivo a base di erbe.

Karydhaki – dolce con noci, miele, cannella e chiodi di garofano.

Kasseri– formaggio di latte di pecora.

Katharà deftera – lunedì pulito, ossia il primo giorno di digiuno dopoil Carnevale.

Kathoura – formaggio di latte di capra, simile a mozzarella.

Katimaria – dolce a base di miele e olio.

Kaukalitra – erba autoctona di Itaca.

Kefalograviera– formaggio di latte di pecora.

Kefalotiri – formaggio di latte di pecora o di capra.

Kerasosoupa – zuppa di ciliegie.

Kerkelia – biscotti di acqua e farina in forma di ‘omega’ maiuscola.

Kerkira boutiro – burro all’olio di oliva tipico di Corfù.

Keskèki – spezzatino di carne con grano.

Keskioùlu – tenero budino alle mandorle, tipico di Costantinopoli.

Kidoni triftò – specie di cotognata.

Kidonia – mela cotogna.

Kidonipasto o koufeto – cotognata arricchita con miele, mandorle ebuccia d’arancia.

Kikeon – bevanda sacra che inaugurava i “misteri eleusini”.

Kirinò me chòndro – maiale accompagnato dal grano macinato.

Kirinò me damaskine – maiale alle prugne.

Kirion – dolce a base di miele e frutta secca di origine cipriota.

Kloro – formaggio di pecora o capra, conservato nel vinsanto, tipicitàdi Santorini.

Koftò – zuppa di grano e ricotta.

Kokkino tirì – formaggio rosso di Kos.

Kokkinoradico – erba autoctona di Itaca.

Kokoretzi– involtino d’interiora d’agnello.

Kolimpàdes – olive piccole e saporitissime.

Kollix – pane nero citato da Archestrato nella sua Gastronomia.

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Kolloura – pane nero saporitissimo.

Kolokithopastìtsa – frittata senza uova con zucchini, cipolle, peperon-cino piccante, farina, sale e pepe.

Kòlyva – dolce per la cerimonia funebre che si celebra quaranta giornidopo la morte del caro estinto.

Konservolià – olive verdi da tavola.

Kontosouvli – tipo di carne cotta allo spiedo.

Kopanisti – formaggio cremoso e piccante delle Cicladi.

Korìatiko – pane rustico.

Korkòton – grano pelato e cotto in forno.

Korkòton me yaoùrti – zuppa di yogurt e grano pelato.

Kosàfi – composta di albicocche secche, uvetta e fette d’arancia.

Kostantinoupoli pagotòs – “gelato di Costantinopoli” alla resina di len-tisco.

Koufolaxanida – erba autoctona di Itaca.

Koukià vrastò – fave bollite.

Koukounàdes – pesce marinato nella salvia.

Koulouria – biscotti farciti di noci, mandorle e sesamo.

Kourabiedes – teneri, burrosi frollini.

Kourbani – riti culinari dedicati ai santi-pastori.

Kourkouri – zuppa a base di grano, zucchero e melagrana, si prepara inoccasione degli onomastici.

Krasì – vino in greco moderno.

Krasotiri gilomeno – formaggio di pecora a pasta dura, conservato nelvino prodotto nel Dodecanneso.

Krassokoulouria – biscotti impastati con il vino.

Kremmidòpita – torta alle cipolle.

Kritarokouloures – pan biscotto tipico di Kàlimnos a base di farina diorzo.

Krittàmo – una sorta di portulaca marina.

Ktapodikeftedes – polpette a base di polpo.

Ktapothòpita nistìsimi – pasticcio di polpo.

Ladenia – focaccia condita con pomodoro, cipolla e abbondante oliod’oliva.

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Ladera – cibi a base di olio.

Ladokoulouria – biscottini all’olio di oliva.

Ladòpsomo – pane all’olio.

Ladotiri – formaggio di latte di pecora, conservato sott’olio, dell’isola diLesbos.

Lagana – sorta di schiacciata senza lievito, cosparsa di abbondante salee sesamo.

Lahanopita – pita a base di cavolo.

Lampriatika kallitsoùnia – calzoncini pasquali.

Lakanikà – vegetali.

Lazarakia – piccoli pani forgiati in forma antropomorfa.

Lefkadiko – tzoureki senza burro e senza uova, profumato con corian-dolo, anice.

Lemonoxorto o gorgoghianni – sorta di verbena greca.

Litzana – erba autoctona del Ponto.

Loukoumades – frittelle a base di miele e olio.

Magheirizia – zuppa di interiora.

Maghirisse – le cuoche.

Makaronia – pastasciutta.

Malempì – budino tipico della Polis, profumato all’acqua di rose e re-sina bianca di lentisco.

Mandolato – dolce a base di miele e mandorle.

Mandole – mandorle caramellate tinte di rosso.

Manouri – formaggio di latte di pecora.

Marida pikantikì – pesciolini impanati con farina, uova e menta.

Mastelo – formaggio di latte misto di Chios.

Mastìcha – resina bianca di lentisco.

Mavromatikà – i fagioli con l’occhio nero.

Megali sarakostì e micrì sarakostì – periodi di digiuno.

Melanzane “toursì” – condite con sedano e carote in aceto.

Melekounia – dolcetti al sesamo e miele tipici di Rodi.

Melichloro – formaggio dell’isola di Lesbos.

Meligala – bevanda a base di latte e miele.

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Melinzanàki glykò – piccole melanzane sciroppate.

Melinzanosalata – crema di melanzane.

Melitinia – dolcetti ripieni di ricotta profumati alla mastìcha.

Melomacaronia – dolce a base di miele e olio.

Melopites – frittelle di noci e farina.

Menda – menta piperita.

Metzovitiko – pane saporitissimo fatto con farina e lievito naturale.

Mezé – antipasto greco.

Mirmizeli – sorta di “riganata” di melanzane arrostite e saporito for-maggio locale.

Mizithra – ricotta.

Mizithrokeftedes – polpette con la ricotta.

Mizithròpita – torta alla ricotta.

Mnemòsino – cerimonia funebre che si celebra dopo quaranta giornidalla morte del caro estinto.

Moloxa – erba autoctona di Itaca.

Moskari – vitello.

Mosxostarida – erba autoctona di Itaca.

Mououri – forno tradizionale.

Moustokoulouria – tipo di biscotti al mosto di vino.

Moustoulevria – budino di farina e mosto di vino.

Mpampanàda – pane duro bagnato nel succo dei legumi.

Mpazìna – polenta condita con cipolla fritta in abbondante olio.

Mpompòta – pudding in versione ellenica, realizzato con farina di mais,uvetta, arancia, cannella, miele e sesamo.

Mziàntara – zuppa a base di lenticchie e pligoùri.

Neràntzi glikò – arance amare sciroppate.

Ntatloù kampàk – piatto a base di riso e zucchine.

Nykhiati – olive da tavola.

Nystìa – digiuno.

Oftì salàta – ortaggi alla brace cotti insieme alle olive.

Opìan tiròn – formaggio cagliato con il latte di fico.

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Ouzo – liquore secco ad alta gradazione alcolica (40-50 gradi) prodottoa partire dall'anice.

Panada – tipo di pane cotto due volte bagnato con olio di oliva e pro-fumata con le erbe.

Panaghia – Madonna.

Panighiri – festeggiamento in onore di un santo.

Pantopolìo – l’antesignano del moderno supermercato.

Papanouri – erba autoctona di Itaca.

Pasteli – dolce a base di miele e sesamo.

Patatàto – capra cotta in forno con cipolle, patate, pepe e cannella.

Patouda – piatto a base di agnello ripieno di verdure, uova e formaggio.

Patùthia – biscottini cretesi ripieni di mandorle, noci e sesamo.

Paximadia – pan biscotto.

Peinìr bourèk – fagottini ripieni di feta.

Perideipnon – banchetti che gli antichi Greci allestivano sulle tombe.

Pina – specie di grande cozza.

Pligòuri – grano pestato macinato grosso.

Plirmizeli – piatto a base di vegetali, pesce salato e pane duro.

Polisporès – letteralmente “pane dai molti semi”.

Poulènta – polenta.

Poungi – dolcetti a base di miele, mandorle e noci che vengono pro-dotti a Paros.

Poutiga – sorta di soufflè al formaggio graviera.

Pretza – formaggio cremoso prodotto a Zakintos.

Prikalida – erba autoctono di Itaca.

Prosphoron – pane votivo.

Prozimi – lievito madre.

Pseudokeftedes – polpette senza carne.

Psikosavato – sabato dello spirito, giorno di digiuno.

Radiki – erba autoctona di Itaca.

Revithada – ceci cotti in forno a legna per tutta una notte conditi concipolle e aneto.

Revitokeftedes – polpette di ceci.

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Riganato – piatto tipico di Itaca, a base di carne e abbondante origano.

Rizatha – zuppa di riso dolce a base di latte.

Rodo meli – un estratto di foglie di melograno addolcito con miele.

Rodozachari – delicatissimo dolce al cucchiaio a base di petali di rose.

Rovanì – dolce a base di semola e miele.

Salingaria boubouristì – lumache fritte in olio bollente e condite conaceto e origano.

Samousàdes – dolcetti di pasta fillo ripieni di mandorle e sesamo, pro-fumati all’acqua di millefiori.

Sarantopita – torta di verdure di campo.

Sarikòpite – calzoncini senza olio tipici per la loro forma a turbante.

Savoro – pesce marinato con uvetta passa e rosmarino.

Sfelìa – formaggio del Peloponneso realizzato con latte di pecora e capra

Sfìna – qualità di feta particolarmente grassa.

Sfoungarides – pescatori di spugne.

Sfungato – sformato a base di carne di agnello macinata, zucchine euova.

Sikopita – dolce di fichi.

Sinapi – erba autoctona di Itaca.

Skaltsotseta – involtini di carne ripieni di formaggio.

Skaltsunia – calzoncini con la ricotta profumati alla menta.

Skordalìa – crema di patate e aglio.

Skordozoumi – pane all’aglio.

Skoupoùli – piccole sacche di pelle di capra o di agnello.

Souma – fortissima acquavite di fichi.

Soumàda – liquore a base di mandorle.

Soupìa kokkinista – seppia in umido con patate e pomodori.

Souvlakia– spiedini di carne.

Spanakopite – pita con ricotta e spinaci.

Spernà – zuppa di grano, condita con uvetta, semi di melagrana, noci,mandorle, sesamo e cannella.

Spianatha – pane duro e legumi.

Stafidolie – olive nere grinzose, conservate in olio di oliva, senza ag-giunta di sale.

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Staròzoumo – semi di melagrana con grano bollito, uva passa, man-dorle, noci, sesamo e arancia.

Stifado – stufato.

Strapazada – sorta di omelette morbida con feta e pomodoro.

Sukomagìdes – fichi secchi ripieni con mandorle tritate, ricoperti consemi di sesamo.

Tahini – zuppa a base di sesamo.

Thagheritai – arcaiche frittelle di farina e miele, cotte nello strutto.

Thargelio – pane votivo.

Thrikonària – focaccia d’orzo.

Tiganòpsomo – tipo di pane a base d’olio, cotto in padella.

Tirì – formaggio.

Tirinìkiriakì – ultima domenica di Carnevale o del formaggio.

Tirokeftedes – polpette al formaggio.

Tiropsomo – pane al formaggio feta.

Tirosalada – crema di formaggio profumata all’aglio o all’aneto.

To elàion – mercato per la vendita dell’olio e delle olive.

Touloubàkia – palline di ricotta conservate in sacche di pelle di capra.

Touloumotiri – formaggio morbido di capra tipico dell’est Egeo.

Trahànas – pastina di semola e latte acido; cous cous greco.

Tsakistès – olive schiacciate.

Tsigarìthya – piatto a base di erbe selvatiche.

Tsiknopempti – giovedì grasso.

Tsikoudia – grappa a base di erbe.

Tsounati – olive cretesi insaporite con erbe e spezie.

Tzaziki – crema a base di yogurt, cetriolo e aglio.

Tzerèpa – forno tradizionale in terracotta.

Tzoureki – ciambella pasquale, aromatizzata con la resina di lentisco.

Tzourekia – pani speciali decorati con sesamo e uova rosse.

Varelissia – formaggio fresco che si conserva ancora oggi in barili dilegno.

Varènika – fagottini ripieni di feta.

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Vassilopita – torta di San Basilio.

Venizelikà – biscottini glassati, ripieni di mandorle.

Vissinada – succo di amarena allungato con l’acqua.

Vissino – amarena ellenica.

Xerotigàna – frittelle cosparse di miele e sesamo.

Xerotirì – formaggio di Andros.

Xìnochondros – grano macinato a cui viene aggiunto del latte acido.

Xinògalo – sorta di latticello che va a condire la spartana insalata di ce-trioli e capperi.

Xinomizithra – ricotta acida detta anche touloumoturi.

Xompliastres – donne specializzate nella decorazione dei pani.

Xristopsomo – pane tipico natalizio.

Xristougenniatiko pilafi – un piatto dal valore beneaugurante che siusa consumare nel giorno di Natale.

Yortì – polpetta di grano.

Zacharoplastìo – pasticceria.

Zaforisto – pane decorato con gli stimmi dello zafferano.

Zaharopùlia – dolcetti di marzapane in forma di uccellini aromatizzaticon la masthìca.

Zerantarìtzas – specie di fagiolini verdi del Ponto.

Zerdes – riso bollito, condito con zafferano, albicocche secche, prugne,uvetta, buccia d’arancia e succo d’uva.

Zoumarida – erba autoctona di Itaca.

Zoùpa – pane tipico di Cefalonia.

Zournadhakia – mitici involtini ripieni di noci, pistacchi, mandorle esesamo, annegati nel miele.

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Nell’azzurro cielo

come le prue turchine dei naviganti egei

e sulla terra e i picchi

in cui nobilmente

le katzike sono signore

perché la madre Grecia non sia

solo quella di questi giorni infelici

trova forma questo libro

sulla tavola e sulla cultura del cibo

stampato nel carattere Simoncini Garamond

su carta Arcoprint delle cartiere Fedrigoni

dalla tipografia Sograte di Città di Castello

per conto di Diabasis

nel giugno

dell’anno

duemila

dieci

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