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Il ruolo delle Regioni nell’Unione europea Maria Chiara Buttiglione N°7/2015 ISSN 2384-8960

Il ruolo delle Regioni nell’Unione europea · verranno ricostruite le tappe più significative dell’evoluzione storica del fenomeno, attraverso i più rilevanti passaggi normativi

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Il ruolo delle Regioni nell’Unione europea

Maria Chiara Buttiglione

N°7/2015

ISSN 2384-8960

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IL RUOLO DELLE REGIONI NELL’UNIONE EUROPEA

Maria Chiara Buttiglione

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CENTRO ALTIERO SPINELLI Working Papers

N°7 - 2015

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00149 Roma

Tel. +39.06.5733.5212

Fax: +39.60.5733.5366

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Il Ruolo delle Regioni nell’Unione europea

di Maria Chiara Buttiglione

Introduzione

Il presente progetto di ricerca parte dall’affermarsi delle entità regionali nell’Unione

europea, per arrivare alle risposte normative adottate in Italia al fine di dotare le

Regioni degli strumenti necessari per far fronte all’incremento delle attribuzioni loro

conferite.

La ricerca si snoda su due livelli, europeo e nazionale, attraverso l’analisi delle

normative (europee, nazionali e regionali), delle dichiarazioni delle Istituzioni

europee e dei Trattati.

Nella prima parte verrà analizzatolo sviluppo del ruolo delle Regioni in Europa,

verranno ricostruite le tappe più significative dell’evoluzione storica del fenomeno,

attraverso i più rilevanti passaggi normativi.

Nel 1984, nella Dichiarazione comune del Parlamento, del Consiglio e della

Commissione viene esplicitata la necessità di una stretta collaborazione tra la

Commissione delle Comunità europee e le autorità regionali o locali, al fine di

rendere conto degli specifici interessi nell’elaborazione dei programmi di sviluppo

regionale. E’ la prima volta che tali enti vengono considerati come un interlocutore

dalle Istituzioni. È solo l’inizio di un lungo processo di rafforzamento del loro ruolo.

Nel 1988 viene istituito il Consiglio consultivo degli enti regionali e locali e viene

emanata la Carta comunitaria della regionalizzazione che in linea di principio

promuove queste entità e ne individua le caratteristiche essenziali.

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Il vero punto di svolta si avrà con il Trattato di Maastricht, che istituisce il Comitato

delle Regioni, composto dai rappresentanti delle comunità regionali e locali, a cui

viene concessa la facoltà di esprimere pareri, molti dei quali obbligatori.

In tempi recenti, nel Trattato di Lisbona e nel Protocollo sulla sussidiarietà e

proporzionalità, sono molteplici le norme che richiamano l’esigenza di coinvolgere le

Regioni.

Ad esempio l’art. 5 del Protocollo istituisce l’obbligo di accompagnare i progetti di

atti legislativi con schede sul rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità

che consentiranno di valutarne l’impatto sulla legislazione statale «ivi compresa (…)

la legislazione regionale», nonché gli oneri che ricadono «sugli enti regionali o

locali» .

La seconda parte dell’analisi, attraverso il commento alle principali normative

nazionali in materia, ripercorre la storia della partecipazione delle Regioni italiane al

processo di attuazione e formazione del diritto europeo.

Dalla legge n.42/82 (cd. legge Abis) alle recenti modifiche apportate alla legge

11/2005 (cd. legge Buttiglione), le competenze attribuite alle Regioni negli ultimi

trent’anni sono profondamente mutate. Dalla semplice possibilità concessa alle

Regioni di esprimere osservazioni sui progetti di direttive e raccomandazioni,

all’esigenza di emanare una legge comunitaria regionale per recepire direttamente le

normative europee nelle materie di competenza.

Ovviamente questo rafforzamento è dovuto anche alla legge costituzionale 3/2001,

che ha notevolmente ampliato il ruolo delle Regioni nel panorama costituzionale.

Grazie alle novità introdotte dalle ultime normative, in particolare dalla legge

11/2005 e successive modifiche, il panorama delle diverse formule organizzative

scelte dalle Regioni per ottemperare ai nuovi compiti in materia è vario e complesso.

In estrema sintesi possiamo dire che quasi tutte si sono dotate di una specifica legge

di procedura, anche se con esiti diversi nella reale ed utile applicazione.

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1. Il principio di sussidiarietà

Il principio di sussidiarietà si afferma per volere del Regno Unito come strumento-

argine del crescente potere della Comunità europea nei confronti degli Stati membri.

Questo appunto sulle sue origini viene sovente trascurato, alla luce della

impressionante evoluzione che ha avuto nel tempo, pur tuttavia ritengo importante

effettuare questa premessa “originaria” in considerazione dell’importanza che

l’interpretazione ha avuto nella storia dell’evoluzione di questo principio.

Dalla sua codificazione più conosciuta1 la sussidiarietà si presenta sempre segnata da

due criteri: l’insufficiente azione degli Stati e la migliore realizzazione dello scopo a

livello comunitario. Si tratta quindi di giustificare la necessità dell’azione comunitaria

rispetto all’intervento statale per imporre l’adozione dell’atto al livello superiore

attraverso il mezzo meno invasivo ma comunque adeguato al raggiungimento

dell’obiettivo. Già da questa semplice formulazione è evidente che non sembra

possibile dare alla sussidiarietà una interpretazione “neutrale”.

Qui ci sovviene la premessa “originaria”.

Per autorevole dottrina, non è possibile, anzi, sarebbe svilente rispetto alla sua

portata, configurare il principio di sussidiarietà unicamente alla stregua di un

congegno, un meccanismo di relazione tra i livelli di governo al fine di rinvenire la

“soluzione migliore”.2 In un certo senso si può dire che si tratta di un principio che la

cui interpretazione si pone come baluardo non solo degli Stati membri, ma come

1 Art 5 Trattato Maastricht: “La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. L'azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato.”

2 Sul punto v. Ridola, Diritto Comparato e Diritto europeo, pag 391 e ss

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vedremo più approfonditamente attraverso la sua evoluzione, delle Regioni, delle

comunità, del decentramento in generale.

In questo senso è stato sicuramente un alleato nel tentativo di avvicinare il diritto

europeo al territorio ed in parte anche ai cittadini, nel cercare di colmare il famoso

gap democratico che da sempre accompagna l’Unione europea.

Data la capacità di inserirsi nei meccanismi più profondi che regolano i processi di

formazione ed attuazione del diritto europeo si è dimostrato più efficace di altre

soluzioni, (come la cittadinanza europea, decisamente ancora poco sentita a livello

nazionale,) o l’ampliarsi delle attribuzioni concesse all’unico organo eletto

democraticamente tra le Istituzioni europee, il Parlamento. Questi ultimi infatti sono

da considerarsi cambiamenti istituzionali di sicuro di rilievo, la cui importanza però è

destinata ad essere compresa fino in fondo più dagli addetti ai lavori che non dal

cittadino comune.

Invece il lento ma inesorabile affermarsi della sussidiarietà nella costituzione

materiale, prima che in quella formale, ha contribuito a quel processo di riforma che

ha trovato la sua massima espressione nella Riforma del Titolo V della Costituzione.

Come sappiamo, il più importante intervento dal punto di vista dell’impostazione

teorica che sostiene la riforma è ben rappresentato dalla diversità di formulazione

data all’art 114: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città

metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” e dal quarto comma dell’art 118:” nelle

materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo

che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello

Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non

espressamente riservata alla legislazione dello Stato”. Si è quindi passati da un

rigido elenco di materie tra Stato e Regioni al perseguimento di obiettivi e finalità

comuni, una nuova impostazione che necessita di un certo margine di flessibilità,

proprio quella flessibilità che caratterizza il principio di sussidiarietà a livello

europeo.

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Questa inversione di tendenza, questo voler ragionare per “principi comuni” e

richiamarsi ad esigenze primarie attuando una leale collaborazione tra le istituzioni

presuppone, come è stato giustamente osservato, “una forte coesione tra le Regioni e

favorisce l’integrazione tra i diversi livelli di governo per coniugare il rispetto delle

identità storico culturali e dell’autonomia politica delle collettività locali con

condizioni di omogeneità sociale ed economica del tessuto territoriale”.3

In effetti anche la Corte Costituzionale nella sentenza 303 del 20034, successiva alla

legge di riforma della Costituzione, mostra di preferire una interpretazione del

dinamica del principio di sussidiarietà, in modo similare a quanto previsto dall’art 72

della Legge Fondamentale tedesca5. Infatti la sussidiarietà necessita di essere guidata

attraverso un’attività di indirizzo e controllo, attività che trova il suo fondamento

nell’art 56 della Costituzione, al fine di mantenere l’unitarietà dell’azione

amministrativa.7 A difesa dell’attività di indirizzo e controllo la Corte si esprime

esplicitamente sostenendo che :” limitare l’attività unificante dello Stato alle sole

materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei

principi nelle materie di potestà concorrente come postulano le ricorrenti,

significherebbe bensì circondare le competenze legislative delle Regioni di garanzie

3 P. Ridola: Diritto Comparato e Diritto Costituzionale europeo, pag 391 e ss 4 5 Art 72 Legge Fondamentale Tedesca: Nell'ambito della legislazione concorrente, i Länder hanno competenza legislativa solo quando e nella misura in cui il Bund non faccia uso del suo diritto di legiferare. (II) II Bund ha in questo ambito il potere di legiferare nel caso sussista la necessità di una regolazione legislativa federale se:

1. una questione non può essere efficacemente regolata dalla legislazione dei singoli Länder, o 2. la regolazione di una questione mediante la legge di un Land potrebbe nuocere agi interessi

degli altri Länder o della collettività, o 3. lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica, ed in particolar modo la

tutela dell'uniformità delle condizioni di vita, prescindendo dai confini territoriali d'ogni singolo Land.

6 Art 5 Cost: “La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia del decentramento.” 7 Sul punto v. più diffusamente G.Rolla, Diritto Regionale e degli Enti locali, Giuffrè ed. Milano, 2009 pag 131 e ss.

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ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in

assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a

determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze [basti

pensare al riguardo alla legislazione concorrente dell’ordinamento costituzionale

tedesco (konkurrierende Gesetzgebung) o alla clausola di supremazia nel sistema

federale statunitense (Supremacy Clause)]. Anche nel nostro sistema costituzionale

sono presenti congegni volti a rendere più flessibile un disegno che, in ambiti nei

quali coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di

vanificare, per l’ampia articolazione delle competenze, istanze di unificazione

presenti nei più svariati contesti di vita, le quali, sul piano dei principî giuridici,

trovano sostegno nella proclamazione di unità e indivisibilità della Repubblica. Un

elemento di flessibilità è indubbiamente contenuto nell’art. 118, primo comma, Cost.,

il quale si riferisce esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per

queste un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida, come si

chiarirà subito appresso, la stessa distribuzione delle competenze legislative, là dove

prevede che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano

essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario,

sulla base dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. E’ del resto

coerente con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarietà che

essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle finalità

che si intenda raggiungere; ma se ne è comprovata un’attitudine ascensionale deve

allora concludersi che, quando l’istanza di esercizio unitario trascende anche

l’ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato.”

Torniamo quindi alla difficile architettura della flessibilità, del bilanciamento tra

poteri e principi, sussidiarietà e leale collaborazione tra le istituzioni, differenziazione

ed adeguatezza, procedendo per obiettivi comuni, nell’interesse generale.

Un nuovo modo di concepire i rapporti tra poteri più simile agli ordinamenti di

common law che di civil law e che non ha caso infatti trova la sua matrice nel Regno

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Unito, ( la premessa originaria!) e si sviluppa all’interno dell’Unione europea, un

ordinamento che nonostante la maggioranza schiacciante di ordinamenti di civil law

finisce per assomigliare sempre più al sistema legale anglosassone, presentandone

moltissimi caratteri.

2. Lo sviluppo europeo

Nel Trattato Istitutivo della Comunità europea le diverse modalità di organizzazione

interna degli Stati non venivano prese in considerazione, usando una definizione

famosa ed appropriata si parlava di “cecità regionale”. Il Trattato prevedeva solo le

“regioni economiche”, intendendo il regionalismo solo in senso funzionale, relativo a

politiche di sviluppo per aree disagiate dal punto di vista economico.

L’unico interfaccia europeo era costituito dagli Stati membri, data l’irrilevanza

dell’organizzazione interna degli stessi. In conseguenza di ciò la Corte di giustizia

con un orientamento giurisprudenziale univoco ha ritenuto di non poter giustificare

l’inadempienza statale a causa dell’inerzia degli organi regionali interni,

richiamandosi all’art 5 TCE.

Una delle cause di questa lacuna era da ricercarsi nel fatto che, tra gli Stati fondatori,

solo l’Italia e la Germania prevedevano una divisione territoriale interna, i Lander

tedeschi e le regioni a statuto speciale italiane.

A seguito dell’entrata di paesi a forte struttura regionale come il Belgio e l’Austria e

del compiersi di processi di regionalizzazione o in ogni caso di forte imprinting

autonomistico, la Comunità europea prese atto dell’esistenza e del potenziale delle

Regioni. In primo luogo, nel 1970 si completa il lungo processo istitutivo delle

regioni a statuto ordinario in Italia, il Belgio porta a termine il suo processo di

regionalizzazione, negli anni ’80 aderiscono la Spagna ed il Portogallo, e negli anni

’90 entrerà l’Austria, stato federale e il Regno Unito inizierà la sua devolution.

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Il percorso che avrebbe portato ad una maggiore rilevanza e partecipazione delle

regioni a livello europeo si presentava impervio. L’organizzazione interna varia da

Stato a Stato, l’Italia è divisa in Regioni, la Germania in Lander, e così via.

L’autonomia regionale si presenta in modo molto diverso e gli Stati membri

manifestano una forte tendenza centralista, anche per contrastare le opposte tendenze

autonomistiche di alcune realtà, come i Paesi Baschi in Spagna e la Corsica in

Francia.

Un’ulteriore problematica risieda nella diversità delle dimensioni delle articolazioni

territoriali. Alcune regioni hanno un’ampiezza maggiore di uno Stato membro. Ecco

dunque due diverse e opposte tendenze, una centralizzatrice, che spinge per

mantenere le competenze in capo agli Stati membri, una, partita in sordina, che

rivendica maggiore autonomia per le realtà territoriali.

Il primo atto in cui si trova traccia di questa lenta presa di coscienza è la

Dichiarazione comune di parlamento, Consiglio e Commissione, adottata nel 1984

nella quale “le tre istituzioni comunitarie concordano sull’opportunità, sia pure nel

rispetto delle competenze interne degli Stati membri e del diritto comunitario, di una

stretta collaborazione tra la Commissione delle Comunità europee e le autorità

regionali o eventualmente locali. Ciò permetterà di tenere in maggiore

considerazione gli interessi regionali nell’elaborazione dei programmi di sviluppo

regionale”.

Nel 1988 viene istituito il Consiglio consultivo degli enti regionali e locali, composto

da 42 membri con mandato elettivo regionale o locale e diviso in due sezioni, Regioni

ed Enti locali. Sempre nel 1988 viene emanata la Carta comunitaria della

regionalizzazione che in linea di principio promuove le entità regionali degli Stati

membri e ne individua le caratteristiche essenziali: personalità giuridica (art 3),

titolarità di competenze legislative( art 11) e sussistenza di assemblee legislative

elette.

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2.1 Maastricht ed il Comitato delle Regioni

La vera chiave di volta è però il Trattato di Maastricht. Innanzitutto il Consiglio dei

Ministri apre alle entità sub statali, eliminando nella sua nuova formulazione il

riferimento ai Governi nazionali. Viene istituito il Comitato delle Regioni, composto

dai rappresentanti delle comunità regionali e locali, a quest’organo viene concessa la

facoltà di esprimere pareri e molti di essi sono obbligatori. Inoltre il Trattato codifica

per la prima volta il principio di sussidiarietà, esprimendo la necessità che le

decisioni vengano prese “il più vicino possibile ai cittadini”.

Il Comitato delle Regioni ha un’importanza strategica che è andata affermandosi

sempre di più, il Trattato di Amsterdam rafforza le sue competenze, permettendo

l’adozione di un regolamento autonomo, svincolato dall’approvazione del Consiglio,

permettendo la consultazione del Comitato anche da parte del Parlamento e non solo

da parte della Commissione e del Consiglio e accresce i casi di consultazione

obbligatoria. Il Trattato di Nizza invece pone l’accento sulla necessità di una

legittimazione democratica dei componenti e riformula il procedimento di nomina

degli stessi, sottraendolo al Consiglio e mettendolo nelle mani dei singoli Governi, la

cui proposta sarà poi sostanzialmente ratificata dal Consiglio.

2.2 Il Trattato di Lisbona:

Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, recepisce le spinte innovatrici,

ma, nell’analisi di alcuni articoli si individuano le tracce del profondo dibattito

interno tra “regionalisti” e “centralisti”.

Prendiamo ad esempio, la formulazione dell’obbligo imposto all’Unione, di rispettare

l’identità nazionale degli Stati membri, insita nella loro struttura fondamentale,

politica e costituzionale, “compreso il sistema delle autonomie locali e regionali”.8

8 «Articolo 3bis 1. In conformità dell'articolo 3ter, qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri.

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Se da un lato viene sicuramente riconosciuta l’importanza dell’articolazione interna

degli Stati membri, dall’altro l’aver inserito il riconoscimento del sistema regionale

all’interno del sistema statale costituisce un’arma a doppio taglio. Significa far

derivare il riconoscimento dell’autonomia regionale proprio dalla supremazia

riconosciuta allo Stato centrale.

Tuttavia non si può ignorare che l’evolversi della teoria del principio di sussidiarietà

viene incontro alle maturate istanze regionali,: viene ribadito, infatti, che nei settori

che non sono di sua competenza esclusiva, “l'Unione interviene soltanto se e in

quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura

sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma

possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere

conseguiti meglio a livello di Unione “.9

2. L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell'integrità territoriale, di mantenimento dell'ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro. 3. In virtù del principio di leale cooperazione, l'Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati. Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione. Gli Stati membri facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione.». 9 «Articolo 3ter 1. La delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione. L'esercizio delle competenze dell'Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità. 2. In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. 3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo.

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Ciò impone di verificare, prima che l’Unione eserciti una competenza concorrente,

non solo che gli obiettivi non possano essere raggiunti a livello centrale, ma anche

che i medesimi scopi non lo siano “a livello regionale e locale”.

Anche il Comitato delle Regioni compie un importante passo in avanti, viene

riconosciuta la facoltà di capo ad esso di proporre ricorso alla Corte di Giustizia per

violazione delle proprie prerogative10.

L’articolo 228, paragrafo 2, TCE cerca di dare una risposta al problema della cd.

“irresponsabilità delle Regioni” innanzi alle istituzione europee. Infatti in caso di

mancato recepimento la responsabilità è attribuita solo allo Stato centrale. Questo,

ovviamente, a causa del già analizzato principio di irrilevanza dell’organizzazione

interna degli Stati membri.

In merito a questo problema, è stato previsto un meccanismo per il quale lo Stato può

azionare un “diritto di rivalsa” nei confronti delle Regioni inadempienti.

Lo Stato può infatti rivalersi sulle quote dei fondi comunitari destinati alla Regione

che con la sua inadempienza ha posto lo Stato in infrazione.

Come vedremo, insieme ad altri meccanismi previsti nelle normative nazionali, il

diritto di rivalsa cerca di realizzare una sorta di co-responsabilizzazione delle Regioni

e dello Stato.

2.2.1 Il protocollo sulla sussidiarietà e proporzionalità

4. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.». 10 L'articolo 230 è così modificato: a) (…) b) al terzo comma, i termini «... che la Corte dei conti e la BCE propongono per salvaguardare le proprie prerogative.» sono sostituiti da «... che la Corte dei conti, la Banca centrale europea ed il Comitato delle regioni propongono per salvaguardare le proprie prerogative»;

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In allegato al Trattato di Lisbona troviamo il protocollo sulla sussidiarietà e

proporzionalità, che ne costituisce parte integrante e regola nel dettaglio alcuni

importanti meccanismi di controllo regionale sulle Istituzioni centrali.

L’articolo 2, del protocollo prevede che La Commissione, nella fase di proposta

normativa, effettua ampie consultazioni e tiene «conto, se del caso, della dimensione

regionale e locale delle azioni previste»

Inoltre, l’articolo. 5, impone l’ obbligo di accompagnare i progetti di atti legislativi

con schede sul rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità che

consentiranno di valutarne l’impatto sulla legislazione statale «ivi compresa, se del

caso, la legislazione regionale», nonché gli oneri che ricadono «sugli enti regionali o

locali»

Grande risalto è stato dato ai commentatori alla previsione del cd. “early warning

system”:, che trova la sua disciplina all’articolo 6.

Secondo questo sistema, ciascuno dei parlamenti nazionali o ciascuna camera di uno

di questi parlamenti può, entro un termine di otto settimane a decorrere dalla data di

trasmissione di un progetto di atto legislativo nelle lingue ufficiali dell'Unione,

inviare ai presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione un

parere motivato che espone le ragioni per le quali ritiene che il progetto in causa non

sia conforme al principio di sussidiarietà. Spetta a ciascun parlamento nazionale o a

ciascuna camera dei parlamenti nazionali consultare all'occorrenza i parlamenti

regionali con poteri legislativi.

Il Protocollo incide anche sulle competenze della Corte di giustizia dell'Unione

europea, che, grazie alla previsione contenuta nell’articolo 8 è adesso competente a

pronunciarsi sui ricorsi per violazione, mediante un atto legislativo, del principio di

sussidiarietà proposti secondo le modalità previste all'articolo 230 del Trattato sul

funzionamento dell'Unione europea dal Governo di uno Stato membro, o trasmessi da

quest'ultimo in conformità con il rispettivo ordinamento giuridico interno a nome del

suo parlamento nazionale o di una camera di detto parlamento nazionale.

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In conformità alle modalità previste dallo stesso articolo, tali ricorsi possono essere

proposti anche dal Comitato delle regioni avverso atti legislativi per l'adozione dei

quali il trattato sul funzionamento dell'Unione europea richiede la sua consultazione.

3. La partecipazione delle Regioni italiane alla formazione ed attuazione del

diritto europeo. Un breve excursus cronologico.

3.1 Gli anni ‘70

Nel delicato processo di integrazione tra l’ordinamento interno e l’ordinamento

comunitario un ruolo preminente è svolto dalla Corte Costituzionale.

Senza qui richiamare interamente tutte le sentenza che compongono il dialogo tra la

Corte e la Corte di Giustizia, si vuole però ricordare le due differenti teorie in merito

al rapporto tra diritto interno e diritto europeo.

La Corte Costituzionale ha lungamente perseguito la strada della teoria cd. “dualista”,

secondo la quale i due ordinamenti sono da considerarsi diversi ma coordinati, per la

Corte di Giustizia l’ordinamento è uno solo, teoria monista”caratterizzato, quindi,

dalla prevalenza, in termini di gerarchia delle fonti, delle normative europee su quelle

statali.

In questo dibattito, per il cui approfondimento si rimanda ad altra sede, si inserisce la

problematica della partecipazione delle Regioni all’attuazione ed alla formazione del

diritto europeo

La legge delega n. 382 del 1975 (Norme sull'ordinamento regionale e sulla

organizzazione della pubblica amministrazione) attuava il decentramento regionale,

rendendo necessaria una chiarificazione maggiore delle competenze attribuite in sede

regionale afferenti alla materia comunitaria.

La Corte Costituzionale non potè esimersi dall’affrontare la questione, evolvendo la

sua giurisprudenza, fino a ribaltarne, se non le premesse, almeno le conseguenze.

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Nella sentenza 22 luglio 1976, n. 182, si manifesta chiaramente l’intenzione di

mantenere il più possibile le competenze in materia di rapporti internazionali ed

europei, in capo agli organi centrali, constatando “assenza degli strumenti idonei a

realizzare tale adempimento anche di fronte all’inerzia della Regione che fosse

investita della competenza all’attuazione”.

In tal modo viene sollevato una ulteriore, non trascurabile, questione: per l’Unione

europea, l’unico centro di imputazione delle responsabilità è lo Stato, mai la Regione.

Viene in tal modo evidenziata la necessità di predisporre meccanismi di salvaguardia

che garantiscano lo Stato dall’inerzia regionale. In assenza di un meccanismo di

protezione la Corte riconosce l’importanza di mantenere in capo agli organi centrali

le competenze relative ai rapporti con l’Unione europea “fino a quando tale

situazione non venga modificata con il ricorso alle forme a ciò necessarie”.

In linea con quanto sostenuto dalla Corte, un primo passo verso il decentramento

delle competenze avviene con la legge 9 maggio 1975 n. 153, che riconobbe una

competenza regionale attuativa di alcune direttive in materia di agricoltura, ma

prevedendo allo stesso tempo, il potere sostitutivo dello Stato in caso di inattività

regionale.

Il Decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, in attuazione della

delega di cui all'art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382 (Norme sull’ordinamento

regionale e sulla organizzazione della Pubblica amministrazione), costituisce il primo

riconoscimento esplicito della competenza regionale all’applicazione in via

amministrativa delle norme comunitarie nelle materie di loro competenza.

Prevedeva, infatti, all’art 6 (Regolamenti e direttive della Comunità economica

europea) il trasferimento alle Regioni, nelle materie indicate nel decreto, anche delle

funzioni amministrative relative all'applicazione dei regolamenti della (allora)

Comunità economica europea nonché l’attuazione delle sue direttive recepite a livello

statale con legge che indicasse espressamente le norme di principio cui la Regione

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doveva attenersi. In questa formulazione, le norme di principio erano vincolanti per il

legislatore regionale, mentre le norme di dettaglio erano derogabili.

In assenza della legge regionale di attuazione, il decreto rinviava alla normativa

statale. Anche qui era disciplinato il caso dell’eventuale inerzia degli organi regionali.

Infatti era previsto che se dall’inattività degli stessi dovesse derivare un

inadempimento degli obblighi comunitari, il Governo della Repubblica, poteva

indicare, con deliberazione del Consiglio dei Ministri, su parere della Commissione

parlamentare per le questioni regionali e sentita la regione interessata, un congruo

termine per provvedere. In caso di persistente inattività il Consiglio dei Ministri

adottava i provvedimenti sostitutivi.

Rimaneva ancora esclusa la possibilità di dare immediata attuazione alle direttive,

almeno di quelle ad efficacia diretta, senza il previo recepimento di una legge statale

che indicasse le norme inderogabili.

3.2 Gli anni ‘80

Nel corso degli anni ‘80 la consapevolezza dell’importanza del ruolo delle Regioni

nei procedimenti di attuazione e formazione del diritto europeo compie alcuni,

significativi, passi avanti.

Innanzitutto si vuole ricordare l’istituzione della Conferenza Stato-Regioni,organo

presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, composto da Presidenti delle

Regioni e dai due Presidenti delle Province autonome di Trento e Bolzano, istituita

grazie al D.P.C.M del 12 ottobre 1983 con “compiti di informazione, di

consultazione, di studio, e di raccordo sui problemi di interesse comune tra Stato,

Regioni e Province Autonome prevedendone la consultazione anche con riguardo

agli indirizzi generali relativi alla elaborazione ed attuazione degli atti comunitari

riguardanti le competenze regionali”.

Sotto il profilo legislativo, dalla relazione al disegno di legge che riordina la materia,

presentato dal Presidente del Consiglio in carica, Spadolini, di concerto con l’allora

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Ministro per il coordinamento interno delle politiche comunitarie, Abis, emergono

elementi di attualità validi ancora oggi, a circa trent’anni di distanza.

Innanzitutto viene posto il tema delle lungaggini burocratiche e normative che

difficilmente consentono di rispettare i termini di scadenza per il recepimento delle

direttive, rendendo lo Stato italiano inadempiente davanti alla Istituzioni europee.

Si rimprovera, allo stesso tempo, al Governo un uso eccessivo della delega

legislativa, strumento che consente di velocizzare le procedure di recepimento, ma

che non sempre sembra esercitato nei limiti imposti dall’art 76 della Costituzione.

Ciò che si propone il disegno di legge è semplificare la procedura di attuazione della

normativa europea, ma anche di incentivare la partecipazione del Parlamento

nazionale e delle Regioni al processo di formazione degli atti normativi.

A tal fine, l’art 1 prevede che i progetti di direttive vengano comunicati al Parlamento

e alle Regioni, a cura del Ministro per il coordinamento interno delle politiche

comunitarie, prima della definitiva adozione da parte della Commissione.

“la informazione alle Regioni si rende opportuna non solo in considerazione

dell’importanza crescente che tali enti ricoprono nell’ordinamento, ma soprattutto

perché molte delle materie nelle quali interviene la normativa comunitaria sono, in

buona parte, di competenza regionale. La conoscenza preventiva dell’azione

comunitaria nei vari settori può consentire alle regioni un più opportuno

coordinamento delle proprie iniziative e una più realistica programmazione della

loro attività”.

A tale petizione di principio non segue un incremento delle competenze regionali

anche per quanto riguarda la “fase discendente”, rimane tuttavia un segnale

importante questo esplicito riconoscimento della compenetrazione tra le materie di

competenza regionale e la normativa comunitaria. Viene inoltre posto l’accento sulla

necessità di conoscere anticipatamente i progetti di normativa europea, al fine di

poter programmare le azioni regionali in modo coordinato e fruttuoso.

19

Nel 1987 viene emanata la cd. Legge Fabbri ( n. 183/1987), che facendo proprie le

considerazioni precedentemente esposte, all’art 9(Comunicazione dei progetti di atti

comunitari, al Parlamento, alle regioni ed alle province autonome) disciplina l’invio

dei progetti dei regolamenti, delle raccomandazioni e delle direttive alle Camere, alle

regioni anche a statuto speciale ed alle province autonome, prevedendo altresì, la

possibilità di inviare al Governo osservazioni. Grazie a quest’ultimo passaggio,

l’invio di osservazioni, si pongono le basi per una reale partecipazione delle regioni

al processo di formazione della normativa comunitaria, con conseguente beneficio

per il Governo, che in tal modo viene messo in condizione di elaborare una posizione

in merito alle singole normative, che tenga conto delle esigenze concrete del

territorio.

Inoltre, entro trenta giorni dalla notifica della raccomandazione o della direttiva

comunitaria il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato per il

coordinamento delle politiche comunitarie informa le Camere, nonche', per le

materie loro attribuite, le regioni anche a statuto speciale ed le province autonome

(Art. 10 Comunicazione degli atti normativi comunitari, al Parlamento, alle regioni

ed alle province autonome).

In merito all’attuazione amministrativa degli atti normativi comunitari, l’art 11

specifica che, nelle materie non coperte da riserva di legge o non già disciplinate con

legge, il Governo o le regioni, danno attuazione alla normativa “entro i termini

previsti dalla stessa mediante regolamenti o altri atti amministrativi generali di

competenza dei rispettivi organi e con i procedimenti previsti per l'adozione degli

stessi”. nell’ipotesi di normativa comunitaria afferente ad una materia già disciplinata

con legge o coperta da riserva il Governo predispone nel più breve tempo possibile il

relativo disegno di legge, che prevede anche le necessarie norme di principio cui le

Regioni devono attenersi. Viene inoltre indicato se, per specifiche materie già

disciplinate con legge e non coperte da riserva di legge, l'attuazione nell'ordinamento

20

interno delle raccomandazioni o direttive comunitarie debba avvenire secondo le

modalità già indicate in precedenza, all'articolo 11, con il coinvolgimento regionale.

Per le Regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano è

adottato un regime diverso, perché nelle materie di competenza esclusiva possono

dare immediata attuazione alle raccomandazioni e direttive comunitarie. Tuttavia

devono adeguarsi, nei limiti previsti dalla Costituzione e dai relativi statuti speciali,

alle leggi dello Stato di cui al comma 1 dell'articolo 12.

In breve, grazie a questo nuovo assetto legislativo le Regioni a Statuto Speciale

vedono riconosciuta la loro competenza ad attuare in via legislativa, nelle materia di

competenza esclusiva, le raccomandazioni e le direttive. Possibilità preclusa alle

regioni a statuto ordinario, che conservano unicamente la possibilità di attuare per via

amministrativa, a seguito di una legge statale di recepimento che contenga i principi

generali.

E’ da segnalare, che nella prassi, queste norme di principio, finivano sempre più

spesso per mascherare la normativa di dettaglio, esautorando così definitivamente

l’organo regionale.

È da notare, inoltre, come nella l. n.183/1987 non viene fatta menzione del potere

sostitutivo dello Stato, passaggio che, come abbiamo visto, rimane centrale per

permettere l’ampliamento delle competenze regionali.

Su questo tasto continua a battere la Corte Costituzionale, proprio in quegli’anni si

registra infatti una timida apertura da parte della Corte, che però non manca di

sottolineare la necessità di prevedere un intervento statale sostitutivo, che metta al

riparo lo Stato da una possibile inadempienza regionale. Nella sentenza 30 settembre

1987, n. 304 afferma:”la competenza ad adottare anche le necessarie misure

normative richieste per la concreta attuazione degli atti comunitari non può essere

.preclusa alle Regioni. (…) resta salva per lo Stato, la facoltà di intervenire.. quando

lo richieda la necessità di garantire … il puntuale e corretto adempimento degli

21

obblighi comunitari, ovvero lo esigano interessi unitari che impongano l’attuazione

uniforme della normativa comunitaria in tutto il territorio nazionale”.

In ultimo, si vuole dare contezza dell’ulteriore passaggio legislativo che ha

provveduto alla riorganizzazione generale della materia, la legge 9 marzo 1989, n86: Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e

sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.

Con l’emanazione della cd. legge La Pergola vengono posti in essere appositi

meccanismi che consentano allo Stato di adempiere puntualmente agli obblighi di

attuazione del diritto comunitario.

All’art 1 vengono esplicitate le finalità: “Con i procedimenti e le misure previste

dalla presente legge, lo Stato garantisce l’adempimento degli obblighi derivanti

dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee..”. a tal fine viene istituita una

legge annuale, cd. “legge comunitaria”, il cui disegno di legge deve essere presentato

dal Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie al Consiglio dei

Ministri entro il 31 gennaio di ogni anno. Il testo deve poi essere presentato alle

Camere entro il 1 marzo successivo. Inoltre, il Ministro illustra lo stato di conformità

dell’ordinamento interno all’ordinamento comunitario.

In ordine alle competenze delle regioni e delle province autonome, vengono

mantenute le prerogative delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di

Trento e di Bolzano, che, nelle materie di competenza esclusiva, possono dare

immediata attuazione alle direttive comunitarie, seppur adeguandosi alla legge dello

Stato nei limiti della Costituzione e dei rispettivi statuti.

Le regioni, anche a statuto ordinario, e le province autonome di Trento e di Bolzano,

nelle materie di competenza concorrente, possono dare attuazione alle direttive

unicamente dopo l’entrata in vigore della prima legge comunitaria successiva alla

notifica della direttiva.

22

La legge statale relativa indica quali disposizioni di principio non sono derogabili

dalla legge regionale sopravvenuta e prevalgono sulle contrarie disposizioni

eventualmente già emanate dagli organi regionali.

In questa normativa viene esplicitato il potere sostitutivo dello Stato in caso di

inadempienza regionale. L’ultimo comma dell’art 9 infatti dispone: “In mancanza

degli atti normativi della Regione si applicano tutte le disposizioni dettate per

l’adempimento degli obblighi comunitari dalla legge dello Stato”. Disposizione da

leggersi in combinato disposto con l’articolo 11 delle medesima legge:

Inadempimenti delle regioni e province autonome. Che dispone in merito

all’inadempimento di un obbligo derivante dal diritto comunitario a causa di

un’inattività amministrativa di una regione o provincia autonoma. La procedura

prevede l’assegnazione di un termine per provvedere all’ente inadempiente, scaduto il

quale il Consiglio dei Ministri dispone l’intervento sostitutivo dello Stato, da

esercitarsi anche attraverso l’istituzione di una commissione da nominarsi con

decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli

affari regionali, sentito il Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie

La legge La Pergola richiama anche il ruolo della Conferenza Stato-Regioni, l’art 10

istituisce una sessione comunitaria della Conferenza, che viene convocata almeno

ogni sei mesi, dedicata specificamente alla trattazione degli aspetti delle politiche

comunitarie di interesse regionale o provinciale.

La Conferenza, in particolare, esprime parere:

a) sugli indirizzi generali relativi all’elaborazione ed attuazione degli atti comunitari

che riguardano le competenze regionali;

b) sui criteri e le modalità per conformare l’esercizio delle funzioni regionali

all’osservanza e all’adempimento degli obblighi di cui all’art. 1, comma 1.

Questa sessione comunitaria permette di conoscere la posizione delle Regioni sulle

questioni comunitarie di interesse regionale. Inizialmente il parere veniva richiesto

unicamente sui progetti di atti normativi europei. Successivamente si è scelto di

23

sottoporre al vaglio regionale anche gli atti preordinati, cercando di incrementare la

partecipazione delle regioni alla cd. fase ascendente, la formazione delle normative a

livello comunitario.

Per quanto riguarda la fase di attuazione, cd. discendente, come abbiamo visto, il

potere di attuare le direttive era riconosciuto unicamente alle Regioni a Statuto

speciale e nelle materie di rientranti nella loro competenza legislativa esclusiva.

Le Regioni a Statuto ordinario invece erano tenute ad attendere l’emanazione delle

prima legge comunitaria statale successiva alla direttiva da recepire.

3.3 Gli anni ’90 e la riforma della seconda parte del Titolo V della Costituzione:

la legge 3/2001

Con la legge statale 24aprile 1998, n 128 "Disposizioni per l'adempimento di obblighi

derivanti dalla appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - legge comunitaria

1995-1997" è stato riconosciuto, grazie ad una modifica della legge La Pergola, il

diritto di dare immediata attuazione alle direttive comunitarie anche alle Regioni a

Statuto ordinario. L’articolo 13, infatti, disponendo le modifiche alla legge 9 marzo

1989, n. 86, alla legge 16 aprile 1987, n. 183, e alla legge 6 febbraio 1996, n. 52,

stabilisce, modificando il secondo comma dell'articolo 9 della legge 9 marzo 1989, n.

86, che “Le regioni, anche a statuto ordinario, e le province autonome di Trento e di

Bolzano, nelle materie di competenza concorrente, possono dare immediata

attuazione alle direttive comunitarie". Inoltre inserisce un nuovo comma, il 2-bis.

Grazie al quale, le leggi regionali e provinciali di recepimento dovranno indicare nel

titolo il numero identificativo di ogni direttiva attuata.

Stabilisce altresì l’obbligo di comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri -

Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, il numero e gli

estremi di pubblicazione di ciascuna legge sono comunicati.

24

La normativa valorizza il ruolo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo

Stato, le regioni e lo province autonome di Trento e Bolzano, modificandone le

modalità di convocazione. Adesso, infatti, la sessione speciale dedicata alla

trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse regionale e

provinciale, può essere convocata su richiesta delle regioni e delle province

autonome.

In occasione della convocazione della Conferenza, “i presidenti delle giunte regionali

e delle province autonome indicano al Governo gli argomenti e le questioni di

particolare interesse per le proprie amministrazioni, che ritengono debbano essere

presi in considerazione nella formulazione delle direttive che il Ministro degli affari

esteri impartisce alla Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea

anche per l'utilizzazione degli esperti ad essa assegnati. Il Governo informa le

Camere delle indicazioni ricevute dalle amministrazioni territoriali".

L’art. 14.(Comunicazione alle Camere dei progetti di atti comunitari) stabilisce

l’invio dei progetti degli atti normativi e di indirizzo di competenza degli organi

dell'Unione europea o delle Comunità europee, nonchè gli atti preordinati alla

formulazione degli stessi, e le loro modificazioni, alle Camere per l'assegnazione alle

Commissioni parlamentari competenti, alle regioni anche a statuto speciale e alle

province autonome, dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro

competente per il coordinamento delle politiche comunitarie, indicando la data

presunta per la loro discussione o adozione da parte degli organi predetti, entro tale

data, le regioni e le province autonome, oltre ovviamente le Commissioni

parlamentari possono inviare al Governo osservazioni.

Il riconoscimento della potestà delle regioni a statuto ordinario in materia di

attuazione delle direttive europee è successivamente riconosciuto anche dalla Corte

Costituzionale, che nella sentenza 10 novembre 1999, n. 425, “l’esecuzione

comunitaria non è un passe partout che consente allo Stato di violare le autonomie

regionali e provinciali senza rispettare i principi della propria attività normativa”.

25

3.4 La legge costituzionale n. 3/2001

La riforma costituzionale della seconda parte del Titolo V della Costituzione ha

profondamente mutato l’assetto istituzionale del rapporto tra lo Stato e le regioni.

In particolare, ai fini della presente trattazione, si vuole fare riferimento alla nuova

formulazione dell’art 117 della Costituzione che prevede “La potestà legislativa è

esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei

vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

(…)Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti

internazionali e con l'Unione europea delle Regioni11….(..).

L’importanza della riforma risiede anche nell’aver affiancato l’ordinamento

comunitario agli obblighi internazionali tra i vincoli dell’esercizio della potestà

legislativa.

Inoltre, come sappiamo la riforma ha innovato in tema di distribuzione delle

competenze tra Stato e regioni, indicando espressamente le materie di competenza

statale, ribaltando la situazione precedente e lasciando la competenza residuale alle

regioni, ampliando notevolmente il loro raggio d’azione. La Costituzione tuttavia,

11 Articolo così modificato dalla legge costituzionale n. 3/2001. Il testo precedente era così diversamente formulato: «Art. 117 La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre Regioni:

ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione; circoscrizioni comunali; polizia locale urbana e rurale; fiere e mercati; beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliere; istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica; musei e biblioteche di enti locali; urbanistica; turismo ed industria alberghiera; tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale; viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale; navigazione e porti lacuali; acque minerali e termali; cave e torbiere; caccia; pesca nelle acque interne; agricoltura e foreste; artigianato;altre materie indicate da leggi costituzionali. Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione».

26

lascia la definizione delle modalità di esercizio delle nuove competenze ad un

intervento statale.

Inoltre, i rapporti con l’Unione europea sono inseriti nell’elenco delle materie a

legislazione concorrente. Come sappiamo, grazie anche allo sviluppo del principio di

sussidiarietà e alla sua evoluzione, ciò significa dare una precedenza all’esercizio

della funzione legislativa da parte delle regioni, rispetto all’intervento statale, come

confermato dal novellato articolo 118: “Le funzioni amministrative sono attribuite ai

Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province,

Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,

differenziazione ed adeguatezza.

La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie

di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre

forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.

Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma

iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse

generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

Trovano così compimento le istanze che nel corso dei precedenti trent’anni avevano

trovato spazio nel dibattito costituzionale, sia a livello dottrinario che, come abbiamo

cercato di dare conto, a livello giurisprudenziale e, in ultimo, legislativo.

A tal proposito la riforma prende atto di un’altra questione aperta, la necessità di

prevedere un potere sostitutivo dello Stato, che mettesse al riparo il Governo dinanzi

all’eventuale inerzia delle regioni. L’inattività di queste innanzi alle mutate

competenze, ed, anzi, all’incremento delle stesse, avrebbe infatti comportato un

rischio importante come la possibilità di incorrere in costose procedure di infrazione,

considerando che, come abbiamo più volte avuto modo di sottolineare, l’Unione

europea, oggi come allora, considera irrilevante l’organizzazione interna degli Stati

membri.

27

Come risposta alle istanze in merito, che abbiamo avuto modo di affrontare in

precedenza, il nuovo articolo 120 prevede: ” 12Il Governo può sostituirsi a organi

delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di

mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria

oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo

richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la

tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,

prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.

La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano

esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale

collaborazione.

3.5 La legge 4 febbraio 2005, n.11

A seguito della riforma costituzionale si rese necessario un intervento statale che

disciplinasse in modo coerente con le nuove disposizioni la partecipazione dello Stato

e delle Regioni e Province autonome alla formazione ed attuazione del diritto

europeo. La legge 4 febbraio 2005, n.11 abroga la legge “La Pergola”, con un

impianto ispirato principalmente alla cooperazione interistituzionale tra lo Stato, le

Regioni e le Province autonome, prendendo in considerazione anche la

partecipazione degli enti e delle autonomie locali.

3.5.1 La fase ascendente

Lo strumento privilegiato per un’attuazione concreta e funzionale dei principi di

sussidiarietà e di leale collaborazione è il potenziamento del ruolo delle Conferenze. 12Articolo così modificato dalla legge costituzionale n. 3/2001. Il testo originario era il seguente: Art. 120 «La Regione non può istituire dazi d'importazione o esportazione o transito fra le Regioni. Non può adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni. Non può limitare il diritto dei cittadini di esercitare in qualunque parte del territorio nazionale la loro professione, impiego o lavoro».

28

In questo senso la legge si pone in continuità rispetto alla normativa statale di

attuazione della riforma costituzionale. In proposito infatti, la legge n. 131/2003, cd.

legge “La Loggia” in particolare l’articolo 5;13 in merito all’attuazione dell’articolo

117, quinto comma, della Costituzione sulla partecipazione delle regioni in materia

comunitaria)ha previsto che: “Le Regioni e le Province autonome di Trento e di

Bolzano concorrono direttamente, nelle materie di loro competenza legislativa, alla

formazione degli atti comunitari, partecipando, nell’ambito delle delegazioni del

Governo, alle attività del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati del

Consiglio e della Commissione europea, secondo modalità da concordare in sede di

Conferenza Stato-Regioni che tengano conto della particolarità delle autonomie

speciali e, comunque, garantendo l’unitarietà della rappresentazione della posizione

italiana da parte del Capo delegazione designato dal Governo”.

La legge 11/2005 prevede inoltre un maggiore coinvolgimento delle Conferenze,

della Conferenza cd. Stato Regioni e della Conferenza dei Presidenti, nello

svolgimento dei molteplici obblighi informativi in capo al Presidente del Consiglio o

del Ministro per il Dipartimento per le politiche comunitarie.

In dettaglio: i progetti di atti comunitari e dell’Unione europea, nonché gli atti

preordinati alla formulazione degli stessi, e le loro modificazioni, compresi i

13 (Attuazione dell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione sulla partecipazione delle regioni in materia comunitaria)1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono direttamente, nelle materie di loro competenza legislativa, alla formazione degli atti comunitari, partecipando, nell’ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio e della Commissione europea, secondo modalità da concordare in sede di Conferenza Stato-Regioni che tengano conto della particolarità delle autonomie speciali e, comunque, garantendo l’unitarietà della rappresentazione della posizione italiana da parte del Capo delegazione designato dal Governo. Nelle delegazioni del Governo deve essere prevista la partecipazione di almeno un rappresentante delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano. Nelle materie che spettano alle Regioni ai sensi dell’articolo 117, quarto comma, della Costituzione, il Capo delegazione, che può essere anche un Presidente di Giunta regionale o di Provincia autonoma, è designato dal Governo sulla base di criteri e procedure determinati con un accordo generale di cooperazione tra Governo, Regioni a statuto ordinario e a statuto speciale stipulato in sede di Conferenza Stato-Regioni. In attesa o in mancanza di tale accordo, il Capo delegazione è designato dal Governo. (..)”

29

documenti di consultazione, quali libri verdi, libri bianchi e comunicazioni,

predisposti dalla Commissione delle Comunità europee sono trasmessi dal Presidente

del Consiglio dei ministri o dal Ministro per le politiche comunitarie, contestualmente

alla loro ricezione, alla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province

autonome di Trento e di Bolzano e alla Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei

Consigli regionali e delle province autonome, ai fini dell’inoltro alle Giunte e ai

Consigli regionali e delle province autonome.

Inoltre al secondo comma dell’articolo 5 si specifica che il Governo deve assicurare

alle regioni e alle province autonome un’informazione qualificata e tempestiva anche

sui progetti e sugli atti trasmessi che rientrano nelle materie di competenza delle

regioni e delle province autonome, curandone il costante aggiornamento.

Il coinvolgimento delle regioni e delle province autonome in questa fase è rivolto

dichiaratamente, come esplicitato al terzo comma dell’art 5, ai fini della formazione

della posizione italiana da sostenere nelle sedi istituzionali europee. Per questo

motivo è data la possibilità alle regioni e le province autonome, nelle materie di loro

competenza, entro venti giorni dalla data del ricevimento degli atti di trasmettere

osservazioni al Governo, per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e

delle province autonome di Trento e di Bolzano o della Conferenza dei presidenti

dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome.

Anche in questo delicato passaggio si valorizza il ruolo delle Conferenze, come luogo

di sintesi delle posizioni. È di tutta evidenza il fatto che maggiore è la partecipazione

delle regioni e delle province, maggiore è la possibilità per il Governo di elaborare

una posizione coerente con le istanze del territorio e, quindi, di ottenere

provvedimenti che siano di più facile attuazione.

Su questa linea deve intendersi la disposizione successiva, che attribuisce la

possibilità concessa ad una o più regioni o province autonome di fare richiesta al

Governo per convocare la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le

regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, per raggiungere un’intesa ai

30

sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 28114, con un termine

di venti giorni. Alla scadenza del termine o nei casi di urgenza motivata

sopravvenuta, il Governo può procedere anche in mancanza dell’intesa.

Tuttavia la Conferenza può chiedere al Governo di apporre una riserva di esame in

sede di Consiglio dei ministri dell’Unione europea. Anche in tale caso decorso il

termine di venti giorni il Governo può procedere anche in mancanza della pronuncia

della predetta Conferenza.

La legge istituisce anche dei tavoli di coordinamento, nelle materie di competenza

delle regioni e delle province autonome, come previsto dall’articolo 3, comma 2, del

decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 30315, tra i rappresentanti delle regioni e delle

14 Decreto Legislativo 28 agosto 1997, n. 281 "Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato - citta' ed autonomie locali" Art. 3. Intese 1. Le disposizioni del presente articolo si applicano a tutti i procedimenti in cui la legislazione vigente prevede un'intesa nella Conferenza Stato - regioni. 2. Le intese si perfezionano con l'espressione dell'assenso del Governo e dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. 3. Quando un'intesa espressamente prevista dalla legge non e' raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato - regioni in cui l'oggetto e' posto all'ordine del giorno, il Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione motivata. 4. In caso di motivata urgenza il Consiglio dei Ministri può provvedere senza l'osservanza delle disposizioni del presente articolo. I provvedimenti adottati sono sottoposti all'esame della Conferenza Stato - regioni nei successivi quindici giorni. Il Consiglio dei Ministri e' tenuto ad esaminare le osservazioni della Conferenza Stato - regioni ai fini di eventuali deliberazioni successive. 15 Decreto legislativo 30 luglio 1999, n.303 Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell'articolo 11 della Legge 15 marzo 1997, n. 59 3. Partecipazione all'Unione europea. 1. Il Presidente promuove e coordina l'azione del Governo diretta ad assicurare la piena partecipazione dell'Italia all'Unione europea e lo sviluppo del processo di integrazione europea. 2. Compete al Presidente del Consiglio la responsabilità per l'attuazione degli impegni assunti nell'ambito dell'Unione europea. A tal fine, il Presidente si avvale di un apposito Dipartimento della Presidenza del Consiglio. Di tale struttura si avvale, altresì, per il coordinamento, nella fase di predisposizione della normativa comunitaria, delle amministrazioni dello Stato competenti per settore, delle regioni, degli operatori privati e delle parti sociali interessate, ai fini della definizione

31

province autonome, finalizzati alla definizione della posizione italiana da sostenere,

in sede di Unione europea. Come è stato giustamente osservato: “… l’attuazione della

disposizione in esame costituisce un passaggio di cruciale importanza ai fini della

piena realizzazione della partecipazione di Regioni e Province autonome alla fase

ascendente del diritto comunitario. E’ infatti in seno ai singoli tavoli di

coordinamento nazionali che i progetti di atti normativi comunitari vengono

analiticamente discussi nel merito ed in base alle valutazioni raggiunte in tale sede

che, il più delle volte, si definisce la posizione italiana da sostenere nelle sedi

comunitarie, sulla base, quindi di considerazioni di merito, essenzialmente tecniche

piuttosto che politiche.”16

Gli obblighi informativi in capo al Governo prevedono anche di informare

tempestivamente le regioni e le province autonome, per il tramite della Conferenza

dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, delle

proposte e delle materie di competenza che risultano inserite all’ordine del giorno

delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea.

Il Governo prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, o del

Consiglio dei ministri dell’Unione europea, riferisce alla Conferenza permanente per

i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in

sessione comunitaria, sulle proposte e sulle materie di competenza delle regioni e

delle province autonome che risultano inserite all’ordine del giorno, illustrando la

posizione che il Governo intende assumere. Entro quindici giorni dallo svolgimento

delle riunioni del Consiglio europeo o del Consiglio dei ministri dell’Unione europea,

il Governo riferisce in merito alla Conferenza dei presidenti.

della posizione italiana da sostenere, di intesa con il Ministero degli affari esteri, in sede di Unione europea. 3. Restano ferme le attribuzioni regionali in materia di attuazione delle norme comunitarie e in materia di relazioni con le istituzioni comunitarie. 16 Cfr.:2 Le Regioni italiane nei processi normativi comunitari dopo la legge n.11/2005” A cura di Guido Carpani, Tania Groppi, Marco Olivetti e Arturo Siniscalchi, pag 239.

32

La legge 11/2005 lascia invariata l’applicazione dell’articolo 5 della legge 5 giugno

2003, n. 131, provvedimento attuativo della riforma costituzionale del 2001, che

regola la fase ascendente che si svolge al’interno delle Istituzioni comunitarie, grazie

ai gruppi di lavoro interni. Per quanto riguarda il coinvolgimento delle Regioni e

delle Province autonome, stabilisce che, nelle materie di loro competenza, è data la

possibilità, ai loro rappresentanti, di partecipare nell’ambito delle delegazioni del

Governo, alle attività del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati del

Consiglio e della Commissione europea. 17.

In tema di partecipazione regionale è necessario citare anche l’articolo 2 della legge,

istitutivo del CIACE, Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei,

prevedendo, al secondo comma, che alle riunioni, “quando si trattano questioni che

interessano anche le regioni e le province autonome, possono chiedere di partecipare

il presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome

di Trento e di Bolzano o un presidente di regione o di provincia autonoma da lui

17 Legge 5 giugno 2003, n. 131"Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 “ "Art. 5.(Attuazione dell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione sulla partecipazione delle regioni in materia comunitaria)1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono direttamente, nelle materie di loro competenza legislativa, alla formazione degli atti comunitari, partecipando, nell’ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio e della Commissione europea, secondo modalità da concordare in sede di Conferenza Stato-Regioni che tengano conto della particolarità delle autonomie speciali e, comunque, garantendo l’unitarietà della rappresentazione della posizione italiana da parte del Capo delegazione designato dal Governo. Nelle delegazioni del Governo deve essere prevista la partecipazione di almeno un rappresentante delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano. Nelle materie che spettano alle Regioni ai sensi dell’articolo 117, quarto comma, della Costituzione, il Capo delegazione, che può essere anche un Presidente di Giunta regionale o di Provincia autonoma, è designato dal Governo sulla base di criteri e procedure determinati con un accordo generale di cooperazione tra Governo, Regioni a statuto ordinario e a statuto speciale stipulato in sede di Conferenza Stato-Regioni. In attesa o in mancanza di tale accordo, il Capo delegazione è designato dal Governo. Dall’attuazione del presente articolo non possono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 2. Nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, il Governo può proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee avverso gli atti normativi comunitari ritenuti illegittimi anche su richiesta di una delle Regioni o delle Province autonome. Il Governo è tenuto a proporre tale ricorso qualora esso sia richiesto dalla Conferenza Stato-Regioni a maggioranza assoluta delle Regioni e delle Province autonome”.

33

delegato e, per gli ambiti di competenza degli enti locali, i presidenti delle

associazioni rappresentative degli enti locali.” 18

In estrema sintesi, per quanto riguarda la fase ascendente, così come regolata dalla

legge 4 febbraio 2004, n.11, si possono individuare alcuni punti riassuntivi:

− La ricerca di una valorizzazione del ruolo delle regioni alla formazione del

diritto europeo, attraverso, ad esempio, l’invio delle osservazioni al Governo,

la possibilità di imporre una riserva anche in sede europea;

18 Legge 4 febbraio 2005, n. 11 "Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari" Art. 2.(Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei) 1. Al fine di concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea e di consentire il puntuale adempimento dei compiti di cui alla presente legge, è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), che è convocato e presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro per le politiche comunitarie e al quale partecipano il Ministro degli affari esteri, il Ministro per gli affari regionali e gli altri Ministri aventi competenza nelle materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche inseriti all’ordine del giorno. 2. Alle riunioni del CIACE, quando si trattano questioni che interessano anche le regioni e le province autonome, possono chiedere di partecipare il presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano o un presidente di regione o di provincia autonoma da lui delegato e, per gli ambiti di competenza degli enti locali, i presidenti delle associazioni rappresentative degli enti locali. 3. Il CIACE svolge i propri compiti nel rispetto delle competenze attribuite dalla Costituzione e dalla legge al Parlamento, al Consiglio dei ministri e alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. 4. Per la preparazione delle proprie riunioni, il CIACE si avvale di un comitato tecnico permanente istituito presso il Dipartimento per le politiche comunitarie, coordinato e presieduto dal Ministro per le politiche comunitarie o da un suo delegato. Di tale comitato tecnico fanno parte direttori generali o alti funzionari con qualificata specializzazione in materia, designati da ognuna delle amministrazioni del Governo. Quando si trattano questioni che interessano anche le regioni e le province autonome, il comitato tecnico, integrato dagli assessori regionali competenti per le materie in trattazione o loro delegati, è convocato e presieduto dal Ministro per le politiche comunitarie, in accordo con il Ministro per gli affari regionali, presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Il funzionamento del CIACE e del comitato tecnico permanente sono disciplinati, rispettivamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e con decreto del Ministro per le politiche comunitarie. 5. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

34

− Il maggiore coinvolgimento dei Consigli regionali, adesso destinatari degli

obblighi informativi in capo al Governo con una evidente funzione di

controllo;

− L’istituzione in capo al Governo di obblighi informativi dettagliati nel

confronti delle Regioni e delle Province autonome;

− Il rafforzamento delle Conferenze, (Conferenza Stato-Regioni e Conferenza dei

presidenti) come momento di incontro e sintesi delle posizioni;

3.5.2 La fase discendente

Per quanto riguarda invece la partecipazione delle regioni alla fase di attuazione del

diritto europeo, la legge 11/2005 all’art 8 (legge comunitaria) stabilisce che “Lo

Stato, le regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza

legislativa, danno tempestiva attuazione alle direttive comunitarie”.

La procedura istituita ripropone gli obblighi informativi, nelle modalità che abbiamo

già analizzato per la fase ascendente, in capo al Presidente del Consiglio dei ministri

o al Ministro per le politiche comunitarie, in merito agli atti normativi e di indirizzo

emanati dagli organi dell’Unione europea e delle Comunità europee.19

Un passaggio importante riguarda la verifica di conformità dell’ordinamento al diritto

comunitario, che il Governo con la collaborazione delle amministrazioni interessate.

le risultanze di tale verifica vengono trasmesse, anche con riguardo alle misure da

intraprendere per assicurare tale conformità, agli organi parlamentari competenti, alla

Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome

di Trento e di Bolzano e alla Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli

regionali e delle province autonome, per la formulazione di ogni opportuna

osservazione.

19 Anche in questo caso attraverso il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, le regioni e le province autonome.

35

Le regioni e le province autonome , per quanto riguarda le materie di loro

competenza, sono tenute alla medesima verifica, i cui risultati vengono trasmessi alla

Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie, con

la segnalazione delle misure da intraprendere.

All’esito della verifica e tenuto conto delle osservazioni inviate dalle regioni e dalle

province autonome il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le

politiche comunitarie, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri

Ministri interessati, entro il 31 gennaio di ogni anno presenta al Parlamento un

disegno di legge recante: «Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti

dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee»; tale titolo è completato

dall’indicazione: «Legge comunitaria» seguita dall’anno di riferimento.

Nella relazione al disegno di legge il Governo rende conto alle camere di diverse

questioni20, in particolare, riguardo alla partecipazione delle Regioni:

“e) fornisce l’elenco degli atti normativi con i quali nelle singole regioni e province

autonome si è provveduto a dare attuazione alle direttive nelle materie di loro

competenza, anche con riferimento a leggi annuali di recepimento eventualmente

approvate dalle regioni e dalle province autonome. L’elenco è predisposto dalla

20Legge 4 febbraio 2005, n. 11 "Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari" Art 8 (Legge comunitaria) (…….) 5. Nell’ambito della relazione al disegno di legge di cui al comma 4 il Governo: a) riferisce sullo stato di conformità dell’ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana; b) fornisce l’elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa; c) dà partitamente conto delle ragioni dell’eventuale omesso inserimento delle direttive il cui termine di recepimento è già scaduto e di quelle il cui termine di recepimento scade nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa; d) fornisce l’elenco delle direttive attuate con regolamento ai sensi dell’articolo 11, nonché l’indicazione degli estremi degli eventuali regolamenti di attuazione già adottati; (…..)

36

Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di

Bolzano e trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le

politiche comunitarie in tempo utile e, comunque, non oltre il 25 gennaio di ogni

anno.”

3.5.3 Il potere sostitutivo dello Stato

Come abbiamo avuto modo di vedere in precedenza, la difficoltà principale di

sostenere il maggiore coinvolgimento delle regioni nel processo di attuazione degli

obblighi europei faceva riferimento all’annosa questione della responsabilità statale

nei confronti dell’Unione europea. Per venire incontro a questa esigenza la legge

11/2005 introduce la cd. “clausola di cedevolezza”. L’articolo 11, ultimo comma,

prevede infatti la possibilità per lo Stato di intervenire dinanzi all’inerzia regionale,

per evitare l’aperture di una procedura di infrazione. In particolare la disposizione

normativa prevede che il recepimento delle normative comunitarie possa avvenire

anche da parte dello Stato, “nelle materie di competenza legislativa delle regioni e

delle province autonome, al fine di porre rimedio all’eventuale inerzia dei suddetti

enti nel dare attuazione a norme comunitarie”.

Perciò, la legislazione statale trova applicazione nelle regioni e nelle province

autonome che non abbiano ancora provveduto ad emanare la propria normativa di

attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della

rispettiva normativa comunitaria.

Gli atti di recepimento statale, “perdono comunque efficacia dalla data di entrata in

vigore della normativa di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma e

recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del

carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute”.

L’esistenza di una normativa “cedevole” ha permesso allo Stato di evitare di cadere

in procedure di infrazione a causa di un’inattività delle regioni. Per quanto, resta

37

sempre possibile l’apertura di una procedura di infrazione per “non corretto”

recepimento.

Tuttavia, ad un’osservazione più attenta, questo meccanismo ha in un certo senso

disincentivato le regioni ad effettuare un pronto recepimento della normativa europea.

In tema sarebbe necessario aprire una lunga parentesi sulle difficoltà che hanno

incontrato le regioni ad adeguarsi alle nuove esigenze. Solo pochissime,

segnatamente possiamo ricordare l’Emilia Romagna ed il Friuli Venezia Giulia,

hanno provveduto con prontezza a dotarsi di strumenti normativi necessari per

cogliere le opportunità offerte dalla nuova normativa. Ad oggi, a distanza di circa

dieci anni, quasi tutte le regioni hanno emanato una legge di procedura, che consente

loro di regolare la propria partecipazione alle attività di formazione e attuazione del

diritto europeo. È necessario, però, segnalare che non tutte le regioni provvedono

puntualmente ad emanare una “legge comunitaria regionale” che recepisca le

normative europee.

4. La legge n. 234/2012

La legge 234, approvata a dicembre 2012 e tutt’ora in vigore, mette mano alla

disciplina della partecipazione dello Stato alla formazione ed attuazione della

normativa europea, alla luce delle difficoltà emerse nel corso degli ultimi anni,

soprattutto in merito al ritardo accumulato dall’Italia nel recepimento delle direttive.

Per la parte che qui ci interessa, relativa alla partecipazione delle Regioni alla fase

ascendente e discendente, non vengono previste novità di tipo sostanziale. Tuttavia

mi sembra di interesse segnalare alcune disposizioni.

In particolare, l’articolo 19 istituisce il Comitato tecnico di valutazione degli atti

dell'Unione europea, con il compito di preparare le riunioni del CIAE e collaborare

alla predisposizione della posizione italiana nella fase di formazione degli atti

normativi dell'Unione europea21

21 Art 19, comma 4

38

Nel caso in cui vengano trattate materie che interessano le regioni e le province

autonome, “il Comitato è integrato da un rappresentante di ciascuna regione e

provincia autonoma indicato dal rispettivo presidente”. In questo caso, le riunioni del

Comitato sono convocate dal responsabile della Segreteria del CIAE di cui all'articolo

2, comma 9, d'intesa con il direttore dell'ufficio di segreteria della Conferenza

permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di

Bolzano e con il direttore dell'ufficio di segreteria della Conferenza Stato-città ed

autonomie locali, che vi partecipano, e si svolgono presso la Conferenza permanente

per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

In qualità di osservatori, alle riunioni del Comitato partecipano funzionari del Senato

e della Camera. Nel caso in cui vengano trattate materie che interessano le regioni e

le province autonome, al Comitato partecipano, anch’essi come osservatori,

rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative delle

regioni e delle province autonome.

L’articolo 22, inoltre, conferma la convocazione periodica della Conferenza

permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome “dedicata

alla trattazione degli aspetti delle politiche dell'Unione europea di interesse

regionale e provinciale, al fine di raccordare le linee della politica nazionale,

relativa all'elaborazione degli atti dell'Unione europea, con le esigenze

rappresentate dalle regioni e dalle province autonome, nelle materie di competenza

di queste ultime”.

“ (…)A tal fine, il Comitato tecnico di valutazione svolge le seguenti funzioni: “a) raccoglie le istanze provenienti dalle diverse amministrazioni sulle questioni in discussione presso l'Unione europea e istruisce e definisce le posizioni che saranno espresse dall'Italia in sede di Unione europea, previa, quando necessario, deliberazione del CIAE; b) trasmette le proprie deliberazioni ai competenti rappresentanti italiani incaricati di presentarle in tutte le diverse istanze dell'Unione europea; c) verifica l'esecuzione delle decisioni prese nel CIAE.(…)”

39

La convocazione della sessione europea della Conferenza è prevista ogni quattro

mesi, mentre nella legislazione precedente era indetta ogni sei.22

In merito alla partecipazione delle regioni e delle province autonome alle decisioni

relative alla formazione di atti normativi dell'Unione europea, l’articolo 24 mantiene

sostanzialmente l’impianto della legislazione precedente. I progetti di normativa

europea e gli atti propedeutici, vengono trasmessi dal Governo, contestualmente alla

loro ricezione, agli organi regionali, per il tramite della Conferenza delle regioni e

delle province autonome e della Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative

delle regioni e delle province autonome.

In merito a progetti di atti legislativi dell'Unione europea che rientrano nelle materie

di competenza delle regioni e delle province autonome, è assicurata ”

un'informazione qualificata e tempestiva”.

Rimangono le competenze relative alla possibilità di apporre una riserva di esame in

sede di Consiglio dell’Unione europea,

Inoltre, l’articolo 25, in ottemperanza a quanto stabilito nel Trattato di Lisbona,

disciplina la partecipazione alla verifica del rispetto del principio di sussidiarietà da

parte delle assemblee, dei consigli regionali e delle province autonome che possono

far pervenire alle Camere le loro osservazioni in tempo utile per l'esame parlamentare

dandone contestuale comunicazione alla Conferenza dei presidenti delle assemblee

legislative delle regioni e delle province autonome. Le Camere possono consultare in

merito i consigli regionali, ma non è previsto alcun obbligo.

22 Articolo 22, comma2. “(…) La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, convocata ai sensi del comma 1, in particolare, esprime parere: a) sugli indirizzi generali relativi all'elaborazione e all'attuazione degli atti dell'Unione europea che riguardano le competenze delle regioni e delle province autonome; b) sui criteri e sulle modalità per conformare l'esercizio delle funzioni delle regioni e delle province autonome all'osservanza e all'adempimento degli obblighi di cui all'articolo 1; c) sugli schemi dei disegni di legge di cui all'articolo 29 della presente legge, sulla base di quanto previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni. (…)”

40

Riguardo alla cd. “fase discendente”, relativa cioè al recepimento delle direttive

europee, l’articolo 40 mantiene la dizione della legge 11/2005: “Le regioni e le

province autonome, nelle materie di propria competenza, provvedono al recepimento

delle direttive europee”. Anche la disciplina normativa rimane sostanzialmente la

stessa.23

Anche il potere sostitutivo dello stato mantiene la medesima disciplina, prevista

all’articolo 41, con la possibilità di intervento statale innanzi ad un’inerzia regionale a

carattere “cedevole” davanti alla successiva normativa regionale.

“I provvedimenti statali recano l'esplicita indicazione della natura sostitutiva del

potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute. I

predetti atti normativi sono sottoposti al preventivo esame della Conferenza

23 Art 40: (…) “2. I provvedimenti adottati dalle regioni e dalle province autonome per recepire le direttive europee nelle materie di loro competenza legislativa recano nel titolo il numero identificativo della direttiva recepita e sono immediatamente trasmessi per posta certificata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche europee, fermo restando quanto previsto all'articolo 29, comma 7, lettera f). 3. Ai fini di cui all'articolo 117, quinto comma, della Costituzione, le disposizioni legislative adottate dallo Stato per l'adempimento degli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione europea, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, si applicano, per le regioni e per le province autonome, alle condizioni e secondo la procedura di cui all'articolo 41 della presente legge. 4. Per le direttive europee, nelle materie di cui all'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, il Governo indica i criteri e formula le direttive ai quali si devono attenere le regioni e le province autonome ai fini del soddisfacimento di esigenze di carattere unitario, del perseguimento degli obiettivi della programmazione economica e del rispetto degli impegni derivanti dagli obblighi internazionali. Tale funzione, fuori dei casi in cui sia esercitata con legge o con atto avente forza di legge o, sulla base della legge europea, con i regolamenti previsti dall'articolo 35 della presente legge, è esercitata mediante deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per gli affari europei, d'intesa con i Ministri competenti secondo le modalità di cui all'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59. 5. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei ogni sei mesi informa le Camere sullo stato di recepimento delle direttive europee da parte delle regioni e delle province autonome nelle materie di loro competenza, secondo modalità di individuazione di tali direttive da definire con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. A tal fine la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche europee convoca annualmente le regioni e le province autonome nell'ambito della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nella sessione europea dedicata alla predisposizione del disegno di legge di delegazione europea e del disegno di legge europea di cui all'articolo 29.”

41

permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e

di Bolzano”.24

Secondo alcuni commentatori25, la legge 234/2012 opera una certa compressione dei

poteri delle Regioni in fase ascendente. Infatti non compare la previsione della

partecipazione delle Regioni in seno alle istituzioni europee, e in particolare nelle

delegazioni del Consiglio. Potrebbe essere la conseguenza del funzionamento poco

24 Art. 41 Poteri sostitutivi dello Stato “1. In relazione a quanto disposto dagli articoli 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, i provvedimenti di attuazione degli atti dell'Unione europea possono essere adottati dallo Stato nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome al fine di porre rimedio all'eventuale inerzia dei suddetti enti nel dare attuazione ad atti dell'Unione europea. In tale caso, i provvedimenti statali adottati si applicano, per le regioni e per le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la relativa normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l'attuazione della rispettiva normativa dell'Unione europea e perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore dei provvedimenti di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma. I provvedimenti statali recano l'esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute. I predetti atti normativi sono sottoposti al preventivo esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. 2. Nei casi di cui all'articolo 37, qualora gli obblighi di adeguamento ai vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea riguardino materie di competenza legislativa o amministrativa delle regioni e delle province autonome, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei informa gli enti interessati assegnando un termine per provvedere e, ove necessario, chiede che la questione sia sottoposta all'esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per concordare le iniziative da assumere. In caso di mancato tempestivo adeguamento da parte dei suddetti enti, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei propone al Consiglio dei Ministri le opportune iniziative ai fini dell'esercizio dei poteri sostitutivi di cui agli articoli 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, ai sensi del comma 1 del presente articolo e delle altre disposizioni vigenti in materia.” 25 Lucia Serena Rossi: See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2246#sthash.awcrdKqC.dpuf

42

soddisfacente del sistema delle regioni capofila che dovrebbero rappresentare tutte le

altre in seno alla delegazione italiana.

Perciò le Regioni che vogliano pronunciarsi in merito alla formazione di norme

europee che incidano su materie di loro competenza, dovranno farlo per il tramite del

governo.

43

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