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“Il ruolo dello psicologo negli interventi di sostegno a soggetti con disturbi
specifici dell’apprendimento: un percorso di identità professionale
applicato al contesto scolastico, familiare e dei servizi sul territorio”
A cura della dott. Marta Desimoni e del dott. Sergio Melogno
Supervisione Scientifica: prof.ssa Margherita Orsolini
Il Progetto è stato finanziato dalla Provincia di Roma sul Fondo Sociale Europeo
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Indice
Prefazione .......................................................................................................................................................... 3
1. Sintesi delle Esercitazioni proposte nell’azione 1...................................................................................... 5
2. Relazioni degli esperti. ............................................................................................................................... 8
2.1. Lo psicologo nei servizi di riabilitazione dell’età evolutiva................................................................ 8
2.2. A casa di bambini con DSA .............................................................................................................. 11
2.3. Interventi domiciliari per il trattamento dei DSA: lavorare in e con la famiglia .............................. 18
2.4. Prevenire le difficoltà di apprendimento della lingua scritta in prima elementare ........................ 20
2.5. Prevenire le difficoltà di apprendimento della lingua scritta in prima elementare: realizzare un
laboratorio ................................................................................................................................................... 24
2.6. Lavorare nel contesto scolastico e realizzare progetti – I parte ...................................................... 29
2.7. Lavorare nel contesto scolastico e realizzare progetti – II parte ..................................................... 35
3. Valutazione del Percorso di Identità Professionale da parte dei Partecipanti: sintesi dei risultati. ....... 43
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Prefazione
La valutazione e la progettazione dell'intervento nei casi di bambini con difficoltà di
apprendimento in età scolare costituisce un importante ambito professionale dello
Psicologo e del quale si registra una crescente domanda nel panorama Italiano. Tale
domanda trova riscontro sia a livello istituzionale (nazionale e regionale1), come
testimoniato dal crescente impegno degli organismi preposti nella definizione di strumenti
di intervento efficaci, sia a livello dei singoli utenti e delle famiglie, in cui i disturbi
dell’apprendimento costituiscono uno dei motivi più frequenti per una richiesta di
consultazione ai servizi territoriali (circa il 5% di bambini in età scolare presenta disturbi
dell’apprendimento2).
Partendo da tali considerazioni, pertanto, il nostro progetto ha voluto offrire ai laureandi e
neolaureati dei corsi di Laurea Magistrale in Psicologia una “finestra operativa” in tale
ambito professionale, che consenta loro di praticare sul campo alcune delle competenze
specialistiche acquisite in materia di valutazione dei disturbi evolutivi e di conoscere,
attraverso una relazione diretta con i professionisti del settore, la varietà dei contesti
lavorativi in cui queste competenze possono essere spese.
La proposta si è articolata in due azioni, tra loro integrate. La prima azione ha voluto
fornire ai partecipanti la possibilità di sperimentarsi nella valutazione dei disturbi
dell’apprendimento, dapprima in un contesto simulato e, in un secondo momento, in un
contesto di work-experience. Il contesto simulato è consistito in workshop durante i quali i
partecipanti sono stati coinvolti nella valutazione di casi-studio e in esercitazioni pratiche
guidate. Il contesto di work-experience è stato costituito da brevi esperienze di
osservazione delle attività del “Servizio di consulenza per la prevenzione e l’intervento sulle
difficoltà di apprendimento”, servizio aperto al pubblico e sito presso il Dipartimento di
Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione (di seguito DPPSS). Tale azione si è
concluso con un incontro finale che ha rappresentato l’occasione per un confronto sulle
esperienze in cui i partecipanti sono stati coinvolti.
Nella seconda azione, in un’ottica di proiezione verso l’esterno delle competenze
professionali e relazionali in oggetto, è stata data ai beneficiari la possibilità di incontrare
esperti che svolgono le attività da loro esperite nell’azione 1 in contesti lavorativi esterni al
DPPSS, sia nell’ambito della riabilitazione dei disturbi dell’apprendimento sia nell’ambito di
progetti d'intervento realizzati nelle scuole. Sono dunque stati previsti incontri in aula con
accreditati professionisti del settore, nei quali i beneficiari hanno potuto, raccogliere
testimonianze dirette circa le modalità operative e i contesti nei quali si realizzano gli
interventi sui disturbi dell’apprendimento, confrontandosi con le particolari problematiche
che caratterizzano tale ambito professionale. Inoltre i partecipanti dell’azione sono stati
coinvolti, sempre con il contributo di esperti che operano come consulenti nel contesto
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scolastico, in esercitazioni guidate sulla stesura di progetti che possono essere realizzati in
tale ambito.
Il progetto si è concluso con una conferenza alla quale sono intervenuti il Direttore del
DPPSS, Prof.ssa Emma Baumgartner, il coordinatore scientifico del progetto, Prof.ssa
Orsolini, e il Presidente Comitato Professionale Associazione Italiana Dislessia, Dott.
Alessandra Luci, il Dott. Sergio Melogno e la Dott. Marta Desimoni. La conferenza finale è
stata l’occasione per sollecitare un dibattito aperto circa una valutazione qualitativa
dell’esperienza svolta, in un’ottica di condivisione circolare tra tutti i partecipanti
all’azione.
Le attività del progetto sono state coordinate dalla Prof.ssa Margherita Orsolini presso il
DPPSS. In particolare, la prima azione è stata realizzata in collaborazione con la dott.
Angela Santese, la dott. Marta Desimoni e il dott. Sergio Melogno. La seconda ha previsto
l’intervento di esperti con comprovata esperienza nel settore: dott. Giovanni Masciarelli,
dott. Eleonora Carnevale, dott. Valeria Tosi, dott. Cristina Maronato, dott. Emanuela
Benvenuti, dott. Maria Crispino, dott. Claudia Di Marco e dott. Cristina Belardi.
La gestione amministrativa dell'intero progetto è stata curata dalla dott. Paola Ciaccia e
dalla dott. Sara Perrone.
Nelle sezioni a seguire saranno riportate: la sintesi delle esercitazioni proposte nell'azione
1, gli interventi previsti nell'azione 2 e una sintesi dei risultati sulla valutazione
dell’iniziativa da parte dei partecipanti.
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1. Sintesi delle Esercitazioni proposte nell’azione 1
Le attività proposte nell’azione 1 hanno avuto la finalità di promuovere nei partecipanti la
traduzione delle conoscenze sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento (di seguito, DSA) - già
acquisite nei rispettivi percorsi di Laurea - in competenze, relativamente alle pratiche della
valutazione e dell’intervento.
A tale scopo sono state progettate e proposte in tre fasi distinte attività con obiettivi
specifici sfruttando approcci metodologici parzialmente differenziati.
Le attività della prima fase sono state svolte in tre incontri che hanno coinvolto l’intero
gruppo dei partecipanti guidati dal tutor. Il tutor ha proposto esercitazioni individuali, dopo
aver sollecitato collettivamente l’attivazione di alcune conoscenze.
Gli obiettivi di tali attività sono stati i seguenti:
a) ricavare informazioni sul bambino con DSA utilizzando fonti quali il colloquio con i
genitori e con gli insegnanti e le scale di osservazione del comportamento;
b) utilizzare strumenti di comprovata validità per l’accertamento dello stato degli
apprendimenti scolastici (lettura, scrittura e calcolo);
c) utilizzare strumenti per l’approfondimento dei processi di lettura, scrittura e calcolo e
per l’esplorazione dei fattori cognitivi e neuropsicologici sottostanti alle difficoltà.
Per quanto riguarda l’obiettivo a), i partecipanti hanno avuto la possibilità di analizzare
parti opportunamente selezionate di colloqui con genitori e insegnanti di bambini con la
consegna di individuare informazioni sulle difficoltà del bambino, ma anche
sull’interpretazione di queste difficoltà ( “immagini” che del bambino hanno genitori ed
insegnanti, idee implicite circa la natura delle difficoltà veicolate dalle loro “parole”,
aspettative circa l’intervento ecc.).
Focalizzando specifici trascritti, i partecipanti si sono potuti dapprima confrontare su
potenzialità e criticità dello strumento-colloquio ed in seguito esercitare nella stesura di
una sintesi delle informazioni più rilevanti. Per queste attività si è scelto di utilizzare
materiale tratto da differenti “casi-studio” al fine di mostrare un’ampia gamma di
problematiche.
Per quanto riguarda l’obiettivo b), sono stati presentati i principali strumenti per la
valutazione dello stato degli apprendimenti. Di ciascuno strumento, sono stati richiamati il
modello teorico di riferimento e le caratteristiche principali. Mediante le esercitazioni si è
data la possibilità di svolgere individualmente attività connesse alla codifica e/o
all’interpretazione dei risultati. Ad esempio, nel caso delle Prove di Lettura MT-2 (Cornoldi
& Colpo, 1998)1, i partecipanti hanno:
- osservato la somministrazione ad un bambino di III classe primaria;
- analizzato quantitativamente e qualitativamente la prestazione;
1 Cornoldi, C., & Colpo, G. (1998). Prove di Lettura M.T. per la Scuola Elementare - 2. Firenze:
Organizzazioni Speciali.
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- ricavato e commentato il profilo.
Per quanto riguarda l’obiettivo c), si è cercato di mostrare come l’approfondimento
valutativo costituisca un processo di formulazione e di verifica di ipotesi. Pertanto le
esercitazioni hanno sollecitato nei partecipanti il passaggio dalla formulazione di un’ipotesi
all’individuazione del “compito” più utile per sottoporla a vaglio empirico. I partecipanti
hanno potuto ripercorrere, con riferimento al “caso-studio” di cui all’obiettivo precedente,
il percorso effettuato familiarizzando con alcuni strumenti di valutazione delle abilità
specifiche associate agli apprendimenti, quali la memoria a breve termine e di lavoro, la
consapevolezza fonologica, l'accesso lessicale, ecc. Anche in questo caso i partecipanti:
- hanno osservato la somministrazione mediante video filmati;
- si sono esercitati nella codifica e nello scoring;
- si sono esercitati nell’interpretazione della prestazione a livello quantitativo e
qualitativo.
La scelto di utilizzare per gli obiettivi b) e c) materiale relativo ad un unico “caso-studio” è
stata dettata dal fine di pervenire, al termine delle attività proposte, ad una visione della
valutazione nel suo complesso, dal primo accertamento dello stato degli apprendimenti ai
successivi approfondimenti volti a comprendere la natura delle difficoltà del bambino.
Le attività della seconda fase, articolate in altri tre incontri, hanno utilizzato una differente
metodologia ma riproponendo attività in parte analoghe a quelle della prima fase.
I partecipanti sono stati suddivisi in gruppi di 10 unità. In questa dimensione di medio-
gruppo hanno avuto la possibilità di confrontarsi in attività relative alle pratiche della
valutazione e dell’intervento.
Nei primi due incontri le esercitazioni hanno permesso ai partecipanti di ripercorrere i
diversi momenti della valutazione affrontando “problemi” la cui risoluzione richiedeva di
applicare conoscenze pregresse e/o acquisite nella prima fase mediante il confronto e la
discussione di gruppo. Ad esempio, dopo aver ascoltato un primo colloquio, in un
“compito”, è stato richiesto di identificare informazioni mancanti e di ipotizzare strumenti
e metodi per ulteriori approfondimenti, in un altro, di produrre una sintesi per il report da
consegnare ai genitori del bambino tenendo conto che: - le osservazioni dei genitori
offrono a pieno titolo indicazioni importati sulle difficoltà del bambino; - i genitori sono
parte del processo di valutazione, sono collaboratori alla valutazione; - la sintesi scritta del
colloquio con i genitori potrà servire nel futuro per ricostruire (anche eventualmente da
parte di altri centri o altri operatori) la storia del bambino. Analizzando il report di una
valutazione è stato invece chiesto:
- di delineare il bilancio dei punti di forza e di debolezza nel profilo cognitivo del
bambino;
- di costruire una “spiegazione” delle sue difficoltà;
- di ipotizzare alcune priorità per gli interventi.
Nell’ultimo incontro è stata introdotta la problematica degli interventi riabilitativi. Sono
state presentate alcune attività proposte al bambino del “caso-studio” precedentemente
analizzato sollecitando la riflessione sulle azioni riabilitative e sulla costruzione di attività
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per il potenziamento di funzioni cognitive carenti. I partecipanti, lavorando nel “Centro di
Calcolo Studenti” del DPPSS, hanno potuto familiarizzare con un software per la
riabilitazione della dislessia.
Nella terza fase I partecipanti hanno realizzato la work-experience presso il “Servizio di
consulenza per la prevenzione e l’intervento sulle difficoltà di apprendimento” del
Dipartimento di Psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione. Suddivisi in gruppi di 10
unità, hanno potuto seguire dietro lo specchio unidirezionale lo svolgimento di una
valutazione. Sollecitato dal tutor ciascun gruppo ha potuto riflettere sulle varie componenti
della valutazione (non solo gli aspetti cognitivi ma anche quelli relazionali ed emotivi)
discutendo in seguito sui seguenti punti: - come creare un clima di fiducia nel processo di
valutazione; - come gestire alcuni momenti di gioco da intervallare alla valutazione con i
test; - come gestire e riflettere sulle emozioni che il bambino esprime nel corso della
valutazione; - come affrontare difficoltà emerse durante l’interazione con il bambino. In
particolare i partecipanti sono stati stimolati a riflettere sulle emozioni vissute in prima
persona durante l'osservazione e sulle eventuali discrepanze tra aspettative e quanto
effettivamente esperito. Infine è stato chiesto, lavorando in gruppo, di produrre una sintesi
della valutazione osservata evidenziando: - i punti di forza e le aree di difficoltà del profilo
cognitivo e degli apprendimenti (lettura, scrittura e calcolo) emergenti dai test; - altri
comportamenti osservati durante la valutazione del bambino che “dicono qualcosa” sul
suo funzionamento emotivo e cognitivo. I lavori prodotti dai singoli gruppi sono stati
condivisi con tutti i partecipanti, alla presenza dei tutor, nell'incontro finale della prima
azione.
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2. Relazioni degli esperti.
2.1. Lo psicologo nei servizi di riabilitazione dell’età evolutiva
Dott. Giovanni Masciarelli
La professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per
la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito
psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità.
Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito. In
questo senso le competenze cliniche richieste agli psicologi sono oggi diverse e più
articolate rispetto a solo pochi anni fa avendo assistito ad un radicale mutamento
dell’operatività psicologica legato all’aumentata consapevolezza dell’utenza ed alla
maggiore attenzione dei mass-media. Di conseguenza, i giovani psicologi sono costretti a
confrontarsi con questi cambiamenti e possono sperimentare una sensazione di
disorientamento.
Il tema del mio intervento pone l’accento sul ruolo dello psicologo in un Centro di
riabilitazione e, in prima istanza, è necessario considerare le dimensioni che lo
caratterizzano da un punto di vista organizzativo. Una prima dimensione importante da
considerare è quella strategico-strutturale, dimensione che fa riferimento a come si è
sviluppato il Centro di riabilitazione da un punto di vista storico, agli obiettivi strategici
originari e la loro mutazione nel tempo, ai bilanci, allo stato patrimoniale, alle forme
societarie ed alle strutture fisiche e giuridiche. Una seconda dimensione è quella
funzionale: il Centro di riabilitazione può essere visto come un organismo inserito
nell’ambiente e costituito da tre sistemi interagenti tra loro e con il contesto. Si tratta, più
specificamente, del sistema di controllo di gestione, del sistema operativo e del sistema
informativo, ognuno dei quali con caratteristiche e compiti specifici (es. controllo
dell’efficienza, gestione delle risorse, acquisizione, elaborazione e trasmissione dei dati
ecc.). Una terza dimensione è quella psicodinamica che riguarda la comprensione dei
vissuti irrazionali che si attivano all’interno del Centro, i rapporti di ambivalenza tra
l’individuo ed il Centro, le dinamiche affettive e di potere, i conflitti dei capi ed i conflitti dei
dipendenti. La quarta dimensione, invece, è quella psico-ambientale, dimensione che si
riferisce al contesto nel quale le persone operano ed ai fenomeni che caratterizzano gli stili
di leadership, la coesione, il conformismo, il cambiamento e la resistenza al cambiamento
all’interno del gruppo di operatori che svolgono la loro attività nel Centro. Quest’ultima
dimensione riguarda pure la comunicazione, i bisogni, gli atteggiamenti ed il grado di
accordo psicosociale tra la pressione ambientale e le aspettative individuali.
Nel passaggio dalla laurea al lavoro in un Centro di riabilitazione è necessario effettuare
alcuni passi che possono così essere sintetizzati. Inizialmente, è bene consultare bandi,
avvisi, collaborazioni a progetto e sostituzioni. Successivamente sarà necessario esplorare
possibilità di lavoro a termine essendo disponibili a trasferirsi in alcune regioni italiane più
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recettive e, a prescindere dal tipo di contratto, il giovane psicologo che entra nel mondo di
un centro di riabilitazione si troverà a svolgere tutte le funzioni indicate dalla legge di
ordinamento della professione di psicologo e le responsabilità professionali. Le differenze,
invece, potranno riguardare le ore settimanali di lavoro e gli aspetti fiscali e previdenziali.
Inoltre, cominciando l’attività professionale in un centro di riabilitazione, ci si troverà a
dover passare, in termini di prospettiva mentale, da un modello universitario incentrato
sulla formazione, il tirocinio, i progetti di ricerca e le pubblicazioni, ad un modello
ambulatoriale orientato sul paziente, i suoi progressi e le sue crisi, sulla famiglia, sulla rete
scuola-servizi territoriali, sulle certificazioni, la formulazione di progetti terapeutici e la
valutazione della loro efficacia. Il giovane psicologo entrerà in un gruppo di lavoro già
costituito dove potranno incontrarsi facilitazioni insieme a problemi laddove l’equipe
cercherà di facilitare o meno l’integrazione del nuovo arrivato mettendolo inizialmente in
grado di esprimere la sua capacità di prendere decisioni, di gestire la relazione con il
paziente e di affrontare il cambiamento. Inoltre, potrà scegliere interlocutori e referenti nei
limiti della loro presenza oraria ed apprenderà la quotidianità del servizio ed i modi
condivisi di gestione del lavoro unitamente ad usi, procedure, gergo, prassi operative e
modulistica. Bisognerà imparare a relazionarsi con differenti figure professionali quali il
neuropsichiatra infantile, il logopedista, il terapista della neuropsicomotricità, il
fisioterapista e gli operatori di segreteria venendo spesso a contatto con prassi acritiche,
atteggiamenti routinari, appiattiti, cronicizzati e cronicizzanti del servizio (organizazione,
budget, monte ore, incentivi, richieste della scuola, compilazione cartelle carenze di risorse
ed atti aziendali). Inoltre si possono incontrare colleghi più anziani, talvolta saturi di un
lavoro difficile e logorante, e sarà necessario confrontarsi con un’etica lavorativa
contrastante e contraddittoria che striderà con l’iniziale idealizzazione del lavoro. La
differenza di linguaggio lavorativo con i colleghi e la differenza generazionali potranno
essere fonte di conflitto tuttavia un approccio curioso e critico sulle proprie posizioni e
l’apertura verso elementi di pratica e pragmatismo quotidiano potranno rivelarsi utili
all’integrazione nel contesto di lavoro. Non solo, gli psicologi con più anni di lavoro
potranno apprendere dai più giovani modelli teorici e riferimenti nuovi così da aggiornare
le strategie d’intervento, di volta in volta più complesse e meglio rispondenti alla
complessità della sofferenza del paziente e della sua famiglia.
Il lavoro cambia nei termini di possibilità operative maggiori rispetto al periodo di
formazione, di amministrazione più autonoma del proprio tempo libero e lavorativo, di
maggiore responsabilità professionale inclusa la responsabilità amministrativa nei confronti
sia dell’utenza sia del servizio. Il giovani psicologo diventerà titolare e responsabile delle
certificazioni, prescrizioni ed esami diagnostici realizzando che la formazione teorica va
adattata e riletta alla luce di quadri clinici spesso indefiniti, di problematiche sociali, di
domande ed aspettative di utenti e familiari. Incontrerà bambini con patologie diverse ad
eziologia complessa, si confronterà con richieste che spesso giungono non dagli utenti ma
dagli amministratori, dovrà rispondere a questa complessità tenendo conto di tante
variabili, ognuna delle quali porterà con se procedure e conseguenze. Sarà necessario
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imparare a tollerare i rischi professionali e gestire l’angoscia derivante attraverso una
logica di decisioni trasparenti, chiare e comprensibili nel tentativo di rispondere sempre
alla domanda “perchè sto facendo questo? quale beneficio per il paziente?”. Bisognerà,
inoltre, tenere bene a mente che si fa parte di un’equipe costruita da professionisti con
ruoli, compiti e mansioni differenti e che tutte le decisioni prese da un componente di
quest’equipe diventano anche la decisioni del gruppo. Infine ma non ultimo, lo psicologo
modificherà il lavoro in funzione delle caratteristiche del territorio in cui si troverà a
lavorare.
Sul piano pratico, ancora, il lavoro in un centro di riabilitazione impone il confronto con una
molteplicità di carenze legate alle risorse, allo spazio, al tempo, agli strumenti ed ai mezzi
per rispondere ai bisogni degli utenti. Così, in sintesi, le caratteristiche necessarie per un
integrazione della figura professionale dello psicologo in un Centro di riabilitazione:
indipendenza, critica riflessiva, auto-motivazione, collaborazione, consapevolezza, grande
capacità di prendere decisioni. In questa direzione si potrà realizzare quanto
espressamente definito dalla Legge sui Disturbi Specifici di Apprendimento (8 ottobre
2010, n. 170).
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2.2. A casa di bambini con DSA
Dott. Eleonora Carnevale
Lavorare nella famiglia
Il lavoro presso le famiglie si colloca in un momento successivo alla valutazione.
Ha inizio all’interno di un equipè dove si discute della valutazione e si decide su quali
aspetti e con quali modalità e materiali lavorare. A seconda della prassi con cui avviene
l’invio si possono prevedere degli incontri con i genitori e il bambino presso il centro in cui
è stata fatta la valutazione, o presso lo studio in cui si esercita, o si possono programmare
dei colloqui preliminari conoscitivi presso l’abitazione del bambino prima di iniziare
l’intervento riabilitato.
La relazione con la famiglia: relazioni e confini
L’intervento, inizia nel momento in cui si entra nella casa del bambino.
Inizialmente ci si pone in una posizione reciproca di studio, noi osserviamo l’ambiente le
relazioni e loro osservano noi come ci muoviamo come interagiamo con le persone e lo
spazio. È importante essere consapevoli di questo, perché i nostri gesti devo essere
orientati e professionali ma non eccessivamente formali, entriamo nel luogo più intimo
delle persone, la loro casa, quindi anche noi dobbiamo abbassare un po’ le difese e
mostrare un po’ di noi.
Chi fa riabilitazione presso le famiglie si affeziona, non solo al bambino, ma a tutte le
persone che vivono con lui, e anche loro si affezioneranno a noi. Tuttavia, se vogliamo
raggiungere il nostro obiettivo non dobbiamo confondere i ruoli o evitare che gli altri
confondano il nostro ruolo con quello di un maestra o di sostegno psicologico a tutta la
famiglia.
Noi siamo lì per aiutare il bambino a potenziare le sue abilità e per accoglierlo e sostenerlo
emotivamente rispetto a queste difficoltà e dobbiamo comunicare con la famiglia, ed
eventualmente con la scuola, rispetto a questi temi, possiamo suggerire ai genitori delle
strategie per fare i compiti con il loro figli, o consigliare un supporto esterno alla famiglia se
ci rendiamo conto che il fare i compiti insieme potrebbe diventare un momento
praticamente o emotivamente ingestibile per i genitori. Infine, se ci rendiamo conto che
nella famiglia si sono strutturate delle dinamiche relazionali disfunzionali possiamo inviare
la famiglia ad un collega esperto di nostra fiducia.
Durante tutte le fasi del nostro lavoro dobbiamo misurare adeguatamente la distanza,
intesa come chiara definizione di un ruolo, con la vicinanza emotiva solo in questo modo
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potremmo proteggere il setting riabilitativo in un contesto familiare, un setting sottoposto
a numerosi rischi di interferenze emotive e ambientali.
Durante un percorso riabilitativo a domicilio, è essenziale stabilire una buona relazione con
i genitori creando un clima emotivo di vicinanza e definendo con chiarezza i confini della
relazione con loro .
Affidare il proprio figlio alla cura di un altro adulto significa mettersi in discussione
ammettere una propria debolezza ma anche essere pronti propositivi verso il cambiamento
essere aperti. Il riabilitatore deve tenere in mente quelle che sono le ansie, le paure e i
sensi di colpa che ha un genitore e quindi accoglierli e ascoltarli e rinforzare al genitore
l’idea che già il fatto di chiedere aiuto è la dimostrazione di essere un buon genitore.
Questo atteggiamento è alla base di un rapporto di fiducia e di alleanza e rappresenta il
primo passo dell’intervento riabilitativo con il bambino.
Per il genitore, inoltre, sarà più facile comprendere il nostro lavoro, rispettarlo e non
invadere i confini del setting riabilitativo se lo rendiamo partecipe.
Per questo è importate condividere con entrambi i genitori (quando è possibile)
dettagliatamente sia la logica che gli aspetti procedurali in modo che il genitore sia in
grado di rappresentarsi con precisione in che cosa consiste un intervento riabilitativo sulle
funzioni cognitive. Potrebbe, inoltre essere utile prevedere uno o due incontri con il
genitore con una finalità psicoeducative, nei quali il riabilitatore può fornire delle
indicazioni utili a comprendere meglio le specifiche difficoltà del figlio negli apprendimenti,
ma anche aiutarli ad interpretare alcuni comportamenti: ritiro o irrequietezza come
manifestazioni “un disaggio” che può essere legato alle loro difficoltà ed eventualmente
aiutarli a modificare le loro credenze disfunzionali riguardo al loro figlio.
Per definire con precisione i confini della relazione con i genitori e le caratteristiche del
proprio ruolo è essenziale spiegare alcuni aspetti organizzativi che contribuisco a chiarire il
setting: definire giorni e orari, tendo presente gli impegni già presi dal bambino, stabilire il
modo in cui il genitore si deve comportare in caso di disdette, stabilire un prezzo, chiarire
la durata, scegliere il luogo dove si terranno gli incontri con il bambino, comunicare
l’importanza di non essere interrotti e che quando il bambino è con noi siamo noi che
stabiliamo delle regole di comportamento (regole che precedentemente sono state
presentate e condivise anche dal genitore ). In alcune situazioni particolari nei primi
incontri si può lavorare con la porta aperta e in seguito probabilmente sarà il genitore a o il
bambino a chiuderla o semplicemente chiuderla dicendo “così vi concentriamo di più” .
Se ci rendiamo conto che il genitore ha compreso e fatto propria la logica dell’intervento
ovvero attraverso il gioco fare in modo che il bambino acquisisca, con il ragionamento e il
sostegno dell’adulto, nuove abilità sottolineando gli aspetti e le qualità positivi e non quelli
negativi del comportamento del bambino, si possono proporre attività da condividere
insieme.
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La relazione con il bambino
Il primo passo da fare nel percorso riabilitativo è comprendere che non si può aiutare
nessuno, in particolare un bambino, senza prima stabilire con lui una relazione affettiva. La
valenza affettiva della relazione è costitutiva dell’intervento d’aiuto, una relazione di aiuto,
quella con il bambino, che si fonda principalmente sull’accudimento e la cooperazione.
La relazione fornisce l’infrastruttura evolutiva (Pianta 1999) e le funzioni necessarie al
bambino per progredire nel suo sviluppo. I processi di sviluppo e i processi di
apprendimento sono entrambi promossi e sostenuti dalla relazione con l’altro.
Un altro passo preliminare di grande valore da compiere è fare in modo che il bambino si
fidi di noi e si affidi a noi. E’ indispensabile che il bambino si renda disponibile a lasciarsi
orientare dall’altro, infatti, affinché si crei un legame tra le funzioni di apprendimento e
quello che noi proponiamo al bambino per stimolarlo e sostenerlo il bambino ci deve
riconoscere come figure affidabili.
Per queste motivi è importante porre l’attenzione, soprattutto, nei primi scambi con il
bambino, verso tutte le condizioni che facilitano o ostacolano questa condizione. Questo è
possibile solo pensando al bambino, non come un sistema di abilità da riabilitare, ma
come un Sistema Complesso di Emozioni, Pensieri e Relazioni. Affinché un atto riabilitativo
risulti realmente efficace è essenziale imparare a conoscere questo sistema e quindi
sintonizzarsi con le emozioni del bambino e sincronizzare le risposte (dare risposte
congruenti), ovvero, comprendere e soddisfare i bisogni del bambino. Questo per il
bambino significa essere pensato in relazione ai propri bisogni e a quello che sta vivendo,
tale atteggiamento richiama quello che Fonagy definisce Funzione riflessiva del sè “pensare
all’altro come essere pensante”. Si creano, in questo modo, le basi per creare una
relazione sicura tra il bambino e il riabilitatore che esorta nel bambino una posizione
esplorativa e stimola le sue capacità metacognitive. La competenza del bambino, in questo
modo, si estende e si arricchisce avvalendosi della funzione di scaffolding (Bruner, 1986)
dell’adulto.
Il primo obiettivo di ogni intervento riabilitativo, indipendentemente dalle specifiche
difficoltà, è quello di costruire una sicurezza emotiva nell’interazione adulto-bambino e
l’idea guida è che ogni essere umano ha abilità migliorabili attraverso l’esercizio, l’impegno,
il gioco e la fiducia in se stessi. Con noi il bambino deve sperimentare un nuovo modo di
essere in relazione con l’altro, proprio rispetto a quelle che sono le sue difficoltà.
Dobbiamo essere capaci di creare un ambiente nel suo ambiente dove è ascoltato e
pensato in modo diverso da come accade nella sua quotidianità. Dove può imparare,
sentirsi competente, chiedere aiuto e contemporaneamente può divertirsi; se trasferiamo
ai bambini l’idea che quello che facciamo con loro ci emoziona e ci appassiona anche loro
crederanno in quello che si fa insieme.
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Il primo incontro
Dopo la valutazione e dopo aver conosciuto e familiarizzato con il bambino ha inizio il
percorso riabilitativo. Già dai primi incontri è importante curare gli aspetti relazionali e
porsi in ottica di attenta osservazione rispetto a quello che il bambino fa, sente e
soprattutto a quello che al bambino piace fare.
Durante il primo incontro a casa del bambino, per costruire un rapporto di sicurezza e
collaborazione è, innanzitutto, importante presentarsi, raccontare un po’ di sé e descrivere
il proprio lavoro, parlandoli degli altri bambini che vediamo, proporre disegni e giochi, che
hanno come sfondo unificatore gli apprendimenti. Chiedere cosa gli piace, individuare
cosa interessa al bambino (individuare possibili rinforzi da inserire nelle attività), indagare
su socialità, amicizie, sport, scuola, chiedere di raccontare una giornata tipica, una
domenica tipica, mostrando molto interesse a tutto ciò che fa e dice, verbalizzando i suoi
comportamenti e riassumendo quanto lui ha detto, dimostrando attenzione e
rimandandogli continuamente la parola. Cosi attraverso l’ascolto e lo stimolo continuo si
costruisce un clima di accoglienza che favorisce l’emergere di un rapporto di fiducia.
Si spiega poi al bambino quali sono le finalità dei nostri incontri, i bambini sono
consapevoli delle loro difficoltà, e soprattutto apprezzano le persone sincere. È inoltre
necessario chiarire al bambino anche gli aspetti più pragmatici del lavoro che si farà
insieme: il giorno della settimana; la durata di ogni incontro; spiegare che si alterneremo
alle attività dei momenti di gioco in cui è lui a proporne qualcosa da fare insieme e che
questi momenti hanno una durata circoscritta; che ogni tanto si faranno delle verifiche per
vedere quanto siamo migliorati, in occasioni di verifiche intermedie o finali si possono
mostrare al bambino dei grafici per rinforzarlo rispetto a ciò che si è fatto vino ad ora.
Infine, durante il primo incontro è utile stabile con il bambino delle regole chiare ma
flessibili di lavoro.
Programmare l’intervento in equipe
Dopo un attenta lettura della valutazione è importante programmare attentamente
l’intervento ovvero pensare ad un complesso di attività correlate tra loro e finalizzate a
potenziare le abilità carenti nel bambino. La progettazione riguarda i materiali (scelta degli
stimoli; modalità di presentazione), i tempi , i costi e le verifiche intermedie e finali, le
verifiche sono momenti importanti per riflettere su quello che stiamo facendo.
È estremamente importante usare sempre un metodo di riferimento ovvero di procedere
in modo strutturato, con un progetto chiaro nella testa.
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Questo lavoro complesso di ricerca, programmazione e verifica trova il suo più efficace
contesto di realizzazione in un lavoro di equipe. Il gruppo, costituito da supervisori esperti
e altri colleghi, è una risorsa, è il metodo più efficace di lavoro per favorire il
raggiungimento degli obiettivi ed inoltre tutela da eventuali rischi di isolamento che si
rischia di avere se si lavora a domicilio. L’organizzazione di periodiche riunioni, dove ci si
confronta e si condividono le proprie informazioni permette di avere una visione più
completa dei casi, ognuno secondo il proprio ruolo e la propria prospettiva. Inoltre, un
monitoraggio in itinere che coinvolga ogni aspetto dei singoli percorsi d’intervento
permette di apporre cambiamenti opportuni laddove i piani stabiliti inizialmente non si
mostrino del tutto efficaci.
Lavorare in parallelo sulle emozioni e la motivazione del bambino
Progettare l’intervento sulla base del profilo emerso dalla valutazione, all’interno di un
percorso riabilitativo completo e integrato, non riguarda solamente gli aspetti cognitivi ma
deve includere un’attenzione sensibile anche alla dimensione relazionale, come già esposto
sopra, a quella emotiva e motivazionale.
Il lavoro di riabilitazione non può non prescindere da un lavoro parallelo sulle emozioni. La
letteratura è chiara circa la frequente comorbidità dei DSA con altri disturbi dell’ Asse I, è
dunque rilevante in questi casi esplorare e sostenere la dimensione emotiva, e se
necessario inviare il bambino ad intraprendere un percorso psicoterapico, collaborando
costantemente con il professionista che si prende in carico il bambino. Ma, anche nei casi
in cui non sia identificabile un quadro clinico che richieda l’intervento di uno
psicoterapeuta, il terapista deve aprire uno spazio d’ascolto alle difficoltà emotive che il
bambino incontra a causa del della sua difficoltà d’apprendimento a scuola e a casa. Molti
autori sottolineano, infatti, lo stretto legame tra emozioni e processi di apprendimento,
che un buon riabilitatore non deve sottovalutare (Piaget “Le emozioni sono la benzina del
nostro motore intellettivo”, Bruner Lo sviluppo cognitivo non può essere interpretato al di
fuori delle mediazioni emotive, educative e sociali che lo rendono possibile).
Un altro aspetto da considerare durante la progettazione dell’intervento è una costante
attenzione alla motivazione del bambino. Le attività e il modo in cui vengono presentate
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devono promuovere la curiosità e l’interesse del bambino. La motivazione può essere
sostenuta attraverso il ricorso a rinforzi da abbinare alle attività, stimoli potenti ma esterni
al processo di apprendimento. Per questo è essenziale, insieme all’utilizzo di rinforzatori,
rendere quello che si fa motivante in se stesso, trasmettere al bambino il senso che
l’obiettivo del nostro lavoro insieme, non è una buona prestazione, ma è la padronanza di
una competenza. Se il bambino assimila questa convinzione osserveremo come il suo
atteggiamento di fronte all’insuccesso si modificherà, aumenterà il suo impegno.
È inoltre importante sostenere la motivazione del bambino facendo in modo che questo
costruisca intorno ad ogni attività che viene presentata un significato ed una strategia.
Infatti, come suggerisce il modello metacognitivo motivazionale (Borkoweski-
Muthukrishna, 1994) le strategie di memoria e di apprendimento sono tanto più efficaci
quanto più vi è nel soggetto consapevolezza, scelta deliberata e uso controllato delle
strategie di apprendimento e impiego delle risorse cognitive, mettendo in risalto il legame
tra motivazione, memoria, apprendimento e metacognizione. Tale modello ritiene che una
persona sia grado di apprendere, e di mettere a frutto il proprio apprendimento, se
conosce ed è capace di utilizzare in modo adeguato un gran numero di strategie. L’uso di
strategie efficaci si sviluppa a partire dall’esperienza con compiti di difficoltà adeguata alle
capacità iniziali del soggetto, consente una buona prestazione e facilita la loro
riapplicazione in un ‘altra situazione. Questo processo di acquisizione è accompagnato da
feedback esterni che determinano lo stile attributivo e influenzano la sfera emotivo-
motivazionale. Le attribuzioni e le motivazioni cosi formate, influenzano a loro volta
l’apprendimento strategico. Si viene così a creare un circuito positivo: da un compito sorge
l’uso di strategie, dall’uso efficace di strategie si forma un corretto stile attributivo e
motivazionale, che a sua volta determina un apprendimento strategico. A tale processo si
accompagna, infine, una riflessione personale (metacognitiva) sui propri obiettivi e che
stimolano ulteriormente l’apprendimento la formazioni di adeguate attribuzioni e
motivazioni (De Beni e Moè 2000; De Beni,2001)
Con quale materiale lavorare e come?
In commercio esistono numerosi e validi materiali per la riabilitazione, tuttavia come
professionisti del settore in alcuni casi si può pensare di accompagnare al materiale pre-
esistente delle attività di propria sperimentazione. Il razionale alla base di tale scelta:
- Esistono molti materiali ma non abbastanza per tutti i profili cognitivi di bambini con
DSA e in alcune occasioni si può avere l’ esigenza di disporre di materiale più vicino alle
caratteristiche del bambino di cui ci si occupa.
- Il riabilitatore può avvertire la necessità, sulla base delle risposte del bambino, di
proporre un materiale più ricco di stimoli, meno ripetitivo e più vicino ai suoi interessi
o alle sue preferenze.
- Rendere più completo e articolato il nostro intervento di psicologi.
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Creare un attività è un processo complesso che richiede tempo e un lavoro di èquipe. Si
può realizzare un attività solo se possiamo fare riferimento ad un supervisore esperto che
conosce in modo sufficientemente approfondito il modelli cognitivi e i meccanismi
neurologici delle abilità che si intende riabilitare. Realizzare un’attività richiede una buona
conoscenza della letteratura sull’argomento, un’esperienza di studio e uso dei materiali
presenti in commercio, per operare su quegli aspetti che abbiamo valutato positivi e
negativi. Inoltre, è importante usare le informazioni su cosa piace al bambino per creare
una cornice intorno all’attività, rendendola cosi più motivante.
Indipendentemente dal tipo di materiale su cui si sceglie di lavorare è rilevante il come si
propone il materiale al bambino, infatti, l’attività per il bambino non deve essere un
semplice allenamento, ma bisogna aiutarlo a costruire intorno ad ogni attività un
significato e delle strategie generalizzabili. È possibile stimolare questo atteggiamento
favorendo nel bambino alcune riflessioni riguardo alle attività che proponiamo attraverso
domande del tipo: a cosa ti serve? Cosa serve per fare bene quest’attività? Quali sono i
trucchi per riuscire bene? E poi insieme sottoporre a verifica le sue ipotesi cercando, così,
di attivare un circuito metacognitivo-motivazionale (Borkowski-Muthukrishna, 19942) e di
trasmettere un obiettivo di padronanza.
2 Borkowski, J. G. e Muthukrishna, N. (1994). Lo sviluppo della metacognizione nel bambino: un modello
utile per introdurre l’insegnamento metacognitivo in classe. Insegnare all’Handicappato, 8 (3), 229-251.
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2.3. Interventi domiciliari per il trattamento dei DSA: lavorare in e con la
famiglia
Dott. Valeria Tosi
Lo psicologo che progetta e realizza interventi di riabilitazione degli apprendimenti
lavorando a domicilio con i bambini è una figura poco diffusa, che nasce tuttavia da una
concreta esigenza delle famiglie, le quali non possono sempre affidarsi a un centro di
riabilitazione per poter usufruire di un percorso di intervento per il proprio figlio con DSA.
Generalmente questa scelta viene fatta per due motivi: la famiglia non riesce ad
organizzare la propria routine quotidiana inserendo gli appuntamenti concordati con il
centro di riabilitazione (orari non compatibili con le disponibilità dei genitori, eccessiva
distanza dal centro), oppure i centri di riabilitazione interpellati non possono accogliere la
domanda della famiglia per mancanza di risorse (liste di attesa troppo lunghe).
Laddove sia possibile stabilire le giuste modalità di intervento e di relazione tra
professionista e famiglia, la riabilitazione dei DSA a domicilio può effettivamente essere
una possibilità per i bambini di seguire una terapia efficace e al tempo stesso
un’opportunità professionale per gli psicologi che desiderano occuparsi con successo di
riabilitazione in un contesto ancora poco esplorato.
In questo intervento vengono quindi esaminate le particolari modalità operative con le
quali si realizzano gli interventi sui disturbi dell’apprendimento a domicilio, avvalendosi
dell’esame di un caso. Sono messe in luce le specifiche problematiche che frequentemente
caratterizzano tale ambito professionale.
Il caso preso in esame ha come origine la richiesta di una famiglia per il proprio ragazzo
dislessico di 13 anni che frequenta la II media. La domanda risulta inevasa dai servizi
pubblici e dai centri di riabilitazione convenzionati.
È stato chiesto ai corsisti di esaminare la diagnosi effettuata dal Servizio di Psicologia clinica
e Neuropsicologia contattato dalla famiglia al fine di ragionare insieme su come lo
psicologo che opera interventi domiciliari si trovi a dover analizzare risposte ed indicazioni
scritte da altri professionisti. È necessario chiedersi quali tipi di approfondimenti replicare,
in base sia alla gravità del disturbo, sia al tempo trascorso dalla diagnosi. Occorre inoltre
porsi domande su come interpretare i dati, al fine di progettare un intervento che rispetti
delle priorità riabilitative; queste priorità possono essere definite solo tenendo presente il
soggetto che si prende in carico, la sua motivazione al cambiamento e gli aspetti emotivo-
relazionali espressi. In questo caso, il ragazzo è stato disponibile al rapporto e
all’interazione con l’adulto, anche se difficilmente ha preso l’iniziativa nell’esprimere
pensieri e stati d’animo; possedeva un buon investimento sulle proprie capacità e
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caratteristiche, che ha mantenuto nonostante il dispiacere e l’insoddisfazione per la
propria prestazione scolastica. I corsisti, tenuto conto di questi dati, hanno progettato degli
interventi che si focalizzano sul potenziamento della lettura e richiedono al ragazzo di
impegnarsi quotidianamente in attività al computer in aggiunta a quanto svolto
settimanalmente con lo psicologo.
La gestione delle relazioni con i bambini e con la loro famiglia è un nodo cruciale per la
riuscita dell’intervento riabilitativo; lo psicologo, a differenza di altre figure professionali,
possiede le competenze necessarie ad osservare e capire il sistema delle relazioni familiari.
Nel caso preso in esame, i corsisti hanno elaborato strategie per la gestione dell’intervento
tenendo conto del rapporto tra il ragazzo e i suoi genitori (il papà non accetta le difficoltà
del figlio, la mamma e il ragazzo hanno difficoltà a esprimere reciprocamente le emozioni
scatenate dal problema di apprendimento).
La fase di progettazione comprende anche delle riflessioni per lo psicologo che interviene
in ambito domiciliare su aspetti tecnico-organizzativi, quali:
l’ambiente fisico nel quale si realizza l’intervento: il bambino ha bisogno di esprimere le sue
difficoltà e le emozioni negative verso se stesso e gli apprendimenti in un luogo sicuro,
dove non si senta giudicato, ma accettato; è necessario ricavare uno spazio privato dove
instaurare un buon rapporto tra bambino e psicologo; al tempo stesso, potrebbe essere
necessario per il bambino, soprattutto nei primi incontri, ritrovare ogni tanto il contatto
con il genitore, per sentirsi tranquillizzato di fronte ad una riabilitazione che può scatenare
un po’ d’ansia e preoccupazione;
durata e frequenza del trattamento: le indicazioni fornite dalla letteratura scientifica sono
applicate in base ai risultati della valutazione, ma il trattamento deve tenere conto
inevitabilmente delle disponibilità della famiglia in termini di orari e necessità degli altri
componenti. Effettuando un intervento domiciliare, questi aspetti hanno sicuramente un
peso maggiore rispetto a quanto accade lavorando in un centro di riabilitazione.
Dopo il ciclo di intervento stabilito, lo psicologo verifica la riuscita dell’intervento ed
eventualmente lo riprogetta in base a nuove priorità.
Nel caso esaminato, i corsisti hanno prodotto delle proposte di revisione dell’intervento in
base alla valutazione degli apprendimenti effettuata dopo 3 mesi di terapia. È stata
discussa la prosecuzione dell’intervento da effettuarsi con un lavoro specifico, vista l’età
del ragazzo, su aspetti metacognitivi della lettura e dello studio, per sostenerlo negli
apprendimenti sempre più complessi che si è trovato ad affrontare.
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2.4. Prevenire le difficoltà di apprendimento della lingua scritta in prima
elementare
Dott. Cristina Maronato
La scuola ha come obiettivo favorire l’apprendimento nei bambini, in tutti i bambini, sia
quelli che apprendono con facilità sia quelli che possono incontrare delle difficoltà e,
quindi, dovrebbe privilegiare progetti che sostengano questi apprendimenti. Tra la prima e
la seconda elementare capita che diversi bambini, quando viene chiesto loro di imparare,
per esempio, a leggere e a scrivere non ci riescono con la semplicità che noi adulti ci
aspetteremmo. Genitori e insegnanti si pongono delle domande e cominciano a cercare
delle risposte sia su come mai sia su cosa fare. I motivi possono essere diversi e la scuola
viene a trovarsi nella necessità non solo di interrogarsi, ma anche di intervenire per
sostenere questi bambini cercando e attivando delle risorse utili. Queste risorse, in parte,
devono essere cercate all’esterno inviando i bambini presso le ASL o nei centri specializzati
in disturbi dell’apprendimento, contemporaneamente dovrebbero essere attivate anche a
scuola dove quotidianamente insegnanti e bambini affrontano insuccessi che comportano
ansia e frustrazione.
Dal momento che non è ancora riconosciuta la figura professionale dello psicologo
scolastico e l’autonomia scolastica consente alle scuole di utilizzare dei fondi per pagare
progetti gestiti da professionisti esperti nel riconoscere e intervenire sulle difficoltà di
apprendimento il nostro intervento a scuola è possibile presentando un progetto. Lavorare
a scuola, però, è diverso che lavorare in una ASL o in un centro privato, quindi, sarebbe
utile riflettere chiarendoci bene quali competenze dobbiamo possedere. Un buon punto di
partenza per pensare cosa proporre ad una scuola è partire dai suoi bisogni e non solo da
ciò che sappiamo fare. Se il progetto, quindi, deve rispondere ai bisogni della scuola è
fondamentale conoscere il contesto dove vogliamo lavorare. Questa conoscenza,
purtroppo, non si trova nei libri che abbiamo studiato all’università, ma va raccolta sul
campo. E’ necessaria come quando arriviamo in una città che non conosciamo per
orientarci bene e non prendere strade sbagliate. La scuola è un organismo complesso fatto
di persone, relazioni che si sono consolidate nel tempo, regole che non ci sono familiari,
tempi da rispettare, spazi a noi estranei in cui dobbiamo imparare a muoverci. Per scrivere
un progetto che abbia la speranza di essere preso in considerazione è importante basarlo
su queste informazioni perché la scuola possa riconoscerlo come rispondente ai suoi
bisogni. Nel progetto occorre spiegare, inoltre, bene cosa offriamo: obiettivi (generali e
specifici), l’articolazione delle attività, la pianificazione temporale, i risultati attesi, verifica
finale e il budget da proporre alla scuola per il nostro lavoro. Tutto deve essere definito
precisamente per non lasciare spazio ad ambiguità e fraintendimenti.
21
Steso il progetto, abbiamo un altro problema da risolvere, dobbiamo promuoverlo
presso le scuole, impegnando ore e ore del nostro tempo senza un risultato immediato a
breve e assumendo un ruolo diverso da quello per il quale ci siamo preparati, cioè essere
bravi imprenditori di noi stessi. Progettare e promuovere noi stessi sono competenze che
forse non pensavamo di dover possedere quando abbiamo scelto di diventare psicologi e
costruircele ci impegnerà a lungo senza un ritorno economico immediato. Prepariamoci a
superare delusioni e frustrazioni.
Ora pensiamo ottimisticamente che il nostro progetto è stato approvato. Per
esempio una proposta possibile potrebbe essere quella di creare a scuola dei laboratori
dove condurre attività che favoriscano l’apprendimento della lingua scritta con lo scopo di
prevenire e sostenere questi apprendimenti. Un laboratorio, infatti, può offrire uno spazio
accogliente, fuori dalla classe, dove l’adulto possa dare e i bambini ricevere l’attenzione
necessaria nei tempi e nei modi che spesso la classe non offre, dando la possibilità ai
bambini di sperimentare un modo diverso di vivere le difficoltà e gli insuccessi che ne
derivano. Naturalmente si possono pensare molte altre proposte: fare formazione per le
insegnanti, offrire una consulenza per valutare un rischio nell’apprendimento e suggerire
dei percorsi di recupero, offrire degli sportelli di ascolto per raccogliere e orientare i
bisogni di bambini, insegnanti e genitori. Perché proprio un laboratorio? Fare formazione
alle insegnanti o offrire una consulenza o uno sportello d’ascolto potrebbe non aiutare i
bambini in difficoltà, perché è l’insegnante e/o il genitore che deve modificarsi per primo e
questa modificabilità auspicabile non dipende solo da noi, ma anche dalla disponibilità
dell’altro a cambiare e mettere in pratica i nostri suggerimenti. Inoltre una consulenza a
scuola si rischia di sovrapporsi con le valutazioni fatte nelle ASL o in centri specializzati di
cui peraltro la scuola ha bisogno per avviare un percorso d’intervento definito per legge.
Uno sportello di ascolto non interviene direttamente sui bambini, ma attende che venga
manifestato un bisogno e consiglia possibili soluzioni che poi possono o non possono
essere messe in pratica. Un laboratorio gestito da noi ci consente, invece, di intervenire
direttamente sui bambini con le nostre competenze. In pratica ciò che possiamo
realisticamente fare a scuola è affiancarci alle insegnanti per riconoscere un rischio o una
difficoltà di apprendimento; sostenere e rafforzare le abilità dei bambini più fragili;
sollecitare, se necessario, percorsi di valutazione e di intervento in collaborazione con ASL
e centri di riabilitazione esterni alla scuola.
Chiarito a noi il nostro ambito di intervento è importante, prima di tutto, farsi
conoscere da insegnanti, genitori e bambini al fine di instaurare un clima di fiducia e
collaborazione. Con gli condividiamo gli obiettivi del nostro lavoro: riconoscere i bambini
più fragili attraverso un’osservazione delle loro competenze in entrata e sostenerli nel loro
percorso di apprendimento attraverso attività mirate all’interno del laboratorio. E’
sconsigliabile pensare di fare a scuola valutazioni o interventi di riabilitazione veri e propri.
Per quelli dobbiamo sollecitare le insegnanti e successivamente i genitori a rivolgersi
presso le strutture di competenza nel territorio. Anche i risultati attesi devono essere
esplicitati chiaramente in partenza: alcuni bambini risolveranno le loro fragilità altri no. Il
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laboratorio non può risolvere tutte le difficoltà, perché in alcuni casi è necessario anche un
intervento specialistico.
Dobbiamo stare bene attenti a stabilire i ruoli dei diversi attori coinvolti nel
progetto: il laboratorio non delega a qualcun altro la risoluzione delle fragilità/difficoltà dei
bambini, ma è una risorsa in più all’interno della scuola. Gli insegnanti e lo psicologo
mantengono ciascuno un proprio ruolo specifico nei confronti dei bambini lavorando in
stretta collaborazione: ciò significa sollecitare momenti per scambiare informazioni sui
bambini, verificare cambiamenti (progressi/regressioni) e ripensare periodicamente a ciò
che è importante per quel bambino per programmare attività utili nel laboratorio e in
classe quando possibile. Dal momento che ci preoccupiamo di bambini in difficoltà è
importante costruire e curare anche un buon rapporto con i genitori. Per loro possiamo
risultare degli estranei che dicono cose negative sul figlio. Per creare un rapporto di fiducia
e collaborazione è fondamentale, però, richiedere la mediazione degli insegnanti che
dovrebbero trasmettere la fiducia in una risorsa in più che la scuola mette a disposizione.
Anche ai genitori è importante chiarire gli obiettivi del progetto utilizzando parole quali
prevenzione oppure sostegno al posto di riabilitazione oppure terapia. Primo perché è
quello che intendiamo realizzare, secondo, perché più rassicuranti. Nei colloqui diamo
spiegazioni raccontando con esempi concreti cosa succederà nei laboratori per fugare
eventuali fantasmi e cerchiamo di raccogliere ansie, paure, dubbi del tutto naturali. Nei
rapporti con insegnanti e genitori stiamo attenti a non cadere in tranelli pericolosi evitando
deliri di onnipotenza. E’ vero, noi sappiamo cosa si dovrebbe fare in certe situazioni, ma
dobbiamo mantenere ben chiaro, a noi e agli altri, cosa possiamo realisticamente fare
rispetto al progetto condiviso con la scuola per garantire ai bambini di frequentare uno
spazio che può aiutarli. Cattivi rapporti fra adulti potrebbero complicare o interrompere
qualsiasi iniziativa a danno del bambino.
Stabiliti dei buoni rapporti e creato un clima di fiducia e collaborazione che va
mantenuto nel tempo organizziamoci rispetto ad aspetti più concreti del progetto:
decidere per chi (quali bambini saranno coinvolti?), dove (quale spazio della scuola
ospiterà il laboratorio?)quando (come inserire il laboratorio nelle routine scolastiche?),
cosa (quali attività proporre?).
Per decidere chi avrà bisogno di frequentare il laboratorio osserviamo le
competenze dei bambini attraverso uno screening iniziale nei primissimi giorni di scuola
utilizzando compiti che fanno emergere con quali conoscenze sul codice scritto i bambini
affronteranno l’apprendimento della letto-scrittura in prima elementare. Per esempio si
possono utilizzare le prove di concettualizzazione della lingua scritta basate sui concetti
teorici di Ferreiro.
Quando cominceremo a lavorare con i bambini sarà importante preoccuparci di
come ci presenteremo. Un buon modo è quello di dire la verità, che ci permetterà di essere
naturali nel nostro lavoro con loro. Per esempio possiamo dire che siamo psicologi
interessati a capire come si impara a leggere e a scrivere, perché siamo diventati grandi e
non ci ricordiamo più come abbiamo fatto. Potrebbe essere importante anche trascorrere
23
qualche mattina in classe partecipando alle attività e proponendo delle attività che
possano facilitare i nostri primi incontri e siano utili a raccogliere informazioni come, per
esempio, dei giochi o dei disegni. Possiamo chiedere ai bambini di partecipare a dei giochi
in cui debbano mettere in gioco le loro competenze linguistiche (es. indovinelli, E’ arrivato
un bastimento carico di…) o disegnare come si rappresentano l’atto della scrittura o della
lettura (es. disegna qualcuno che hai visto leggere o scrivere). Quando e dove osservare i
bambini è un problema complesso legato alle disponibilità della scuola. Possiamo
dimostrare per primi la buona volontà di collaborare cercando di inserirci nelle routine
della giornata e cercando di scegliere e organizzare con le insegnanti il momento migliore
per l’osservazione che comporta l’uscita del bambino dalla classe. Occorre definire bene
spazi e orari che soddisfino sia noi che gli insegnanti e prevedere con precisione quanti
bambini è possibile vedere ogni giorno (es. per una settimana, ogni giorno dalle…
alle…saranno osservati …bambini). Anche metterlo per iscritto e lasciare un memorandum
all’insegnante è importante perché ci vorrà del tempo prima che ci percepiscano come una
presenza all’interno della scuola. Ricordiamoci e ricordiamo che la scuola paga per la nostra
presenza e quindi dobbiamo sfruttare al meglio tempi e spazi.
Raccolte le informazioni con lo screening iniziale occorre sintetizzarle per noi e per
le insegnanti. Può essere utile costruire un profilo della classe e un profilo individuale per
ciascun bambino, individuando i suoi punti di forza e debolezza. Il profilo della classe è utile
perché offre una visione di insieme che ci fa cogliere una variabilità utile all’insegnante per
orientare meglio le proposte didattiche e progettare interventi significativi, mirati e
diversificati nel rispetto delle differenze individuali. Un grosso aiuto per il bambino in
difficoltà è modificare la percezione che hanno di lui gli adulti (insegnanti e genitori) e il
contesto in cui apprende (la classe). Un profilo individuale, invece, offre una conoscenza di
ciò che quel bambino sa fare bene, di ciò che non sa fare bene e come affronta i compiti
proposti. Durante lo screening avrò, infatti, osservato e documentato non solo cosa sa fare
il bambino rispetto a lettura e scrittura, ma anche se e quali strategie utilizza e il suo
atteggiamento verso il compito.
Una volta che abbiamo individuato quali bambini parteciperanno al laboratorio
preoccupiamoci di organizzare un ambiente ricco di stimoli riguardanti la lingua scritta:
raccogliamo cartelloni, riviste, scritte sugli arredi e i materiali nella stanza, una cassetta
della posta (per scambiarsi messaggi), immagini di ortografie diverse, immagini di persone
che leggono e scrivono in situazioni diverse, tutto ciò che ci viene in mente sul tema
scrittura e lettura e che non abbia a che fare necessariamente con la scuola. Nei primi
incontri preoccupiamoci di creare un senso di appartenenza al gruppo e interesse per ciò
che si farà insieme: proponiamo di conoscerci meglio utilizzando foto e racconti di vissuti.
Dopo questa fase di preparazione possiamo proporre le attività.
Non è un lavoro facile, va costruito con pazienza, investendoci molte energie e
sostenuto da una forte motivazione interna, perché il ritorno economico potrebbe non
giustificare la fatica affrontata.
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2.5. Prevenire le difficoltà di apprendimento della lingua scritta in prima
elementare: realizzare un laboratorio
Dott. Maria Crispino e Dott. Emanuela Benvenuti
Introduzione
Negli ultimi decenni è cambiato l’approccio all’apprendimento della lingua scritta.
Le ricerche di E. Ferreiro di A. Teberosky 3(1985) hanno modificato la visione del bambino
che impara a leggere e a scrivere. Secondo le due autrici non esiste un’età precisa in cui
avviene l’incontro con il sistema alfabetico. Il bambino, quando non sa ancora leggere in
modo convenzionale, prova ad intuire il significato di una scritta dal contesto o dal
supporto.
E’ da questa nuova concezione che ha avuto origine il nostro progetto: “Potenziare il
benessere del bambino a scuola”, rivolto ai bambini della classe prima e seconda della
scuola elementare. Il progetto è stato svolto negli anni 2005/2006 e 2006/2007 in due
scuole del quartiere Prenestino-Collatino. I bambini che hanno partecipato a questa
proposta didattica vivono in un contesto culturale medio-basso.
Laboratorio linguistico
Sulle teorie presentate precedentemente è stato realizzato un laboratorio linguistico, in cui
si sono svolte attività in piccoli gruppi.
Il laboratorio si svolgeva una volta a settimana, per due ore, in cui si alternavano i diversi
gruppi formati.
Tutte le attività che abbiamo svolto venivano decise, strutturate ed organizzate prima di
ogni incontro, in base alle esigenze del singolo gruppo o bambino.
Il laboratorio è stato pensato per dare ai bambini un’opportunità in più per entrare nel
“mondo” della lingua scritta.
Il laboratorio è un luogo dove non si insegna a leggere e a scrivere, ma si dà l’opportunità ai
bambini di ascoltare, di vedere scritte, di provare a giocare con il linguaggio. Il laboratorio è
un locale, all’interno della stessa scuola, organizzato per porre i bambini a contatto con vari
tipi di materiale (scritte, cartelloni, libri, giochi,…).
Spesso la scuola non è in grado di offrire un locale ben attrezzato, a misura di bambino, e
per questo l’operatore può cercare di creare un ambiente gradevole con lo stesso aiuto dei
bambini. Nel nostro caso abbiamo realizzato cartelloni, disegni per abbellire il nostro spazio
a disposizione. Abbiamo dato un nome (L’officina delle lettere) al nostro luogo d’incontro
3 Ferreiro, E. e Teberosky, A. (1979). La costruzione della lingua scritta nel bambino. Firenze: Giunti, 1985.
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settimanale, con lo scopo di sentire “nostro” quello spazio inizialmente vuoto. Le attività si
svolgevano in gruppi di quattro o cinque bambini, se necessario, anche individualmente.
Tali gruppi venivano costituiti in modo eterogeneo per i diversi livelli di
concettualizzazione raggiunti. Questo permetteva di creare il conflitto tra ipotesi diverse e,
contemporaneamente, la ricerca di soluzioni all’interno dello stesso gruppo.
Inoltre sono stati formati gruppi omogenei per le caratteristiche socio-relazionali; evitando
in un gruppo bambini con lo stesso temperamento e cercando di promuovere il
coinvolgimento di tutti.
Attività del laboratorio
Le attività, progettate per il laboratorio, hanno cercato di stimolare le abilità cognitive di
base, indispensabili all’apprendimento:
le capacità percettivo-motorie;
le capacità linguistiche;
le capacità attentive e mnemoniche.
Le varie attività svolte hanno avuto diversi obiettivi: alcune di familiarizzazione con i generi
testuali, altre di riflessione sulle caratteristiche delle parole e altre più specifiche sulla
discriminazione fonologica e fusione fonetica.
Gli indovinelli
Questa attività è stata utilizzata per favorire e migliorare la comprensione di piccole parti di
testo.
L’attività prevede che l’adulto legge una filastrocca e il gruppo prova ad indovinare la
soluzione, tenendo conto degli indizi e delle parole in rima.
La tombola ortografica
Questa attività è stata ideata con lo scopo di sviluppare la corrispondenza grafema-fonema
e la consapevolezza fonologica.
Può essere proposta per lavorare sul fonema in posizione iniziale, intervocalica e finale.
L’adulto estrae a sorte una lettera o una sillaba e i bambini coprono grafemi o sillabe sulla
loro cartella.
Il domino
Lo scopo del gioco è di far pensare ai suoni come a qualcosa da analizzare e scomporre,
consolidando la conoscenza delle lettere e la consapevolezza dei suoni corrispondenti. Si
può lavorare sia sul fonema iniziale di una parola che sulle sillabe.
Vengono fornite ai bambini delle tessere da utilizzare per formare una catena, composta
da parole che hanno la stessa lettera o sillaba iniziale.
I rebus
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I rebus aiutano a consolidare il processo di apprendimento della lettura: si gioca a
“costruire parole”.
Con questa attività i bambini imparano che una parola può essere suddivisa in parti che,
successivamente, possono essere riunificate.
Vengono presentate delle schede con immagini, lettere e sillabe; il bambino fonde i vari
suoni per creare una parola.
Scommettiamo che?
E’ stato ideato per sviluppare e consolidare l’abilità di frammentazione delle parole e, allo
stesso tempo, di fusione delle sillabe.
Vengono presentate delle immagini e dei “pezzetti” di parola. Il bambino deve scoprire di
che parola si tratta, aiutato dalle sillabe a disposizione nei vari turni e scommettendo sul
risultato finale.
Isola del tesoro
E’ un gioco di ruolo che ha come scopo il lavoro di gruppo. Con questa attività i bambini
imparano a rispettare i turni e i tempi degli altri, collaborando per la soluzione dei quesiti. I
bambini si muovono su di un tabellone fino a raggiungere l’isola del tesoro. Lungo il
percorso troveranno degli imprevisti che dovranno superare con lo svolgimento di varie
attività (rebus, vicini ortografici, indovinelli, ecc..).
Lettura di un libro
Noi abbiamo proposto la lettura di “Il GGG” di Roal Dahl come momento di aggregazione
del gruppo, per stimolare il piacere della lettura e come prova di comprensione del testo.
In ogni incontro viene letto un capitolo del libro, non prima di aver chiesto ai bambini un
breve riassunto del racconto ascoltato negli incontri precedenti.
L’angolo della posta
Questa attività è stata proposta per promuovere l’apprendimento della scrittura e
potenziarne le abilità.
Attraverso il biglietto il bambino familiarizza con il genere testuale di una lettera, scopre le
sue funzioni comunicative e contemporaneamente riflette su alcuni particolari del “servizio
postale”: il destinatario, l’emittente, il postino, ecc..
Alla fine di ogni incontro i bambini ricevono carta e penna e hanno la possibilità di scrivere
un biglietto ad uno dei compagni presenti nel laboratorio che, nell’incontro successivo,
controllerà nella scatola delle lettere e leggerà la posta ricevuta.
Momenti importanti di un’attività: la consegna
Il momento della consegna è uno dei più importanti prima di passare allo svolgimento di
un’attività. L’adulto spiega, utilizzando una terminologia chiara e adeguata all’età dei
bambini, ciò che viene richiesto loro durante l’attività.
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E’ importante far vedere materiali o fare degli esempi al fine di facilitare i bambini nella
comprensione. Prima di iniziare un’attività è necessario e fondamentale accertarsi che sia
stata compresa.
Creare un clima comunicativo e collaborativo
Il laboratorio non deve essere concepito come un luogo di insegnamento tradizionale.
L’adulto non deve porsi come unica fonte di sapere, ma deve far capire ai bambini che
sono liberi di esprimersi e di scambiarsi idee.
L’adulto, all’interno del laboratorio, svolge una funzione regolativa e di rispecchiamento;
egli deve cercare di riformulare alcuni interventi dei bambini per riproporli, come
momento di discussione all’interno del gruppo stesso.
Cosa osservare durante un’attività
Durante lo svolgimento di un’attività l’adulto deve porsi come osservatore attento verso
ogni bambino del gruppo. Dobbiamo osservare se ciascun bambino esprime delle ipotesi e
se è in grado di argomentarle.
Dobbiamo prestare attenzione se un bambino chiede spiegazioni, se è in grado di
introdurre elementi nuovi e soprattutto dobbiamo cercare di capire il livello di
partecipazione di ogni bambino verso l’attività.
Riflessioni personali
Dalla nostra esperienza abbiamo potuto cogliere qualche difficoltà nel lavorare all’interno
dell’istituzione scolastica.
Entrando in questo contesto non sempre si viene accettati pienamente, molti sono e
rimangono i pregiudizi verso la figura dello psicologo.
Dobbiamo essere in grado di presentarci agli insegnanti e ai genitori come figure di
supporto e non di sostituzione.
All’interno di una scuola può presentarsi difficile anche trovare uno spazio per gestire un
laboratorio con bambini. Spesso il laboratorio è un “ex magazzino”, che si può presentare
vuoto e non adeguato ad un bambino. Il nostro consiglio è di non perdersi d’animo e di
renderlo vivo con un po’ di fantasia, soprattutto raccogliendo le idee e i consigli dei
bambini.
Dopo qualche difficoltà incontrata nella scuola, dobbiamo ammettere che sono molte le
gioie e le soddisfazioni che questa esperienza ci ha lasciato. Siamo riuscite, con il tempo, a
creare buoni rapporti di fiducia con i bambini e di conseguenza con gli insegnanti e i
genitori. Siamo cresciute molto professionalmente, sviluppando anche capacità di lavorare
in team. Abbiamo imparato a creare attività specifiche per un gruppo o per il singolo
bambino. Siamo riuscite a diventare più critiche verso noi stesse, a non avere
atteggiamenti valutativi verso i bambini, ma soprattutto abbiamo imparato ad ascoltare le
loro idee, cercando anche di riutilizzarle.
28
Concludiamo dicendo “la buona riuscita del lavoro potenzia realmente il benessere del
bambino a scuola”. Le attività del nostro laboratorio si sono mostrate utili ai bambini
partecipanti e per questo riteniamo che sia molto importante far rientrare questo tipo di
attività all’interno dei normali curricoli dei primi due anni della scuola elementare.
29
2.6. Lavorare nel contesto scolastico e realizzare progetti – I parte
dott. Cristina Belardi
Obbiettivi dell’intervento
L’intervento era rivolto a soggetti in possesso di diploma di laurea che intendevano
acquisire competenze nell’ambito della progettazione, pertanto la finalità dell’intervento è
stata quella di dare ai partecipanti al corso di formazione le principali informazioni inerenti
i programmi ed i bandi che possono finanziare progetti che possono essere di interesse per
psicologi siano essi liberi professionisti oppure facenti parte di organizzazioni come, ad
esempio, le cooperative o le Srl.
Oltre alle diverse fonti di finanziamento, la cui descrizione è stata compresa all’interno di
una cornice storica di sfondo, sono state affrontate le diverse procedure che regolano
l’erogazione dei finanziamenti pubblici, il processo della progettazione ed alcuni strumenti
utili al progettista.
Metodologie adottate
L’intervento si è aperto con un giro di presentazione del docente e dei partecipanti con
una duplice finalità: innanzitutto fornire al docente informazioni circa le conoscenze dei
partecipanti in merito alle attività di progettazione, informazioni utili per decidere
successivamente su quali tematiche approfondire maggiormente l’intervento formativo; in
secondo luogo consentire ai partecipanti di condividere percorsi ed interessi professionali
facilitando la creazione di un clima d’aula positivo.
Durante l’analisi dei programmi e dei bandi di finanziamento il docente ha chiesto spesso ai
partecipanti di intervenire ogni qualvolta lo ritenevano utile, facendo in modo che i
partecipanti si sentissero autorizzati ad interrompere le attività d’aula; ciò ha consentito al
docente di dare chiarimenti e di approfondire le tematiche ed i concetti che risultavano
meno chiari facilitando il processo di apprendimento dei corsisti.
Al termine dell’illustrazione di tutti contenuti inerenti la progettazione, compresi quelli
gestiti dalla docente Claudia Di Marco, sono state realizzate le attività di lavoro in gruppo
finalizzate a far sperimentare ai corsisti il processo di progettazione tramite la stesura di un
progetto in risposta al bando della Regione Lazio -Assessorato Istruzione, Diritto Allo Studio
E Formazione- a valere sul POR Obiettivo 2, Competitività regionale e occupazione 2007-
2013, ASSE III – Inclusione Sociale, intitolato Avviso Per L’educazione E L’integrazione
Formativa Degli Allievi Con Disturbi Di Apprendimento E/O Di Origine Migrante.
Contenuti dell’intervento
Di seguito si esplicitano i contenuti trattati durante l’intervento formativo.
30
Fonti di finanziamento alle quali accedere
I Fondi strutturali dell’Unione Europea sono strumenti a sostegno della politica regionale e
finanziano programmi pluriennali, basati su strategie di crescita definite di comune intesa
tra le regioni, gli Stati membri e la Commissione europea, conformi agli orientamenti
espressi da quest'ultima e destinati ad incidere sulle strutture economiche e sociali allo
scopo di:
promuovere lo sviluppo di infrastrutture, ad esempio nei settori dei trasporti e dell'energia;
estendere le reti di telecomunicazione;
sostenere le imprese e la formazione professionale;
diffondere le nuove tecnologie dell'informazione.
I progetti di sviluppo finanziati attraverso i Fondi strutturali devono rispondere a precise
esigenze accertate dalle autorità nazionali e regionali competenti, cui spetta il compito di
realizzarli, garantendo il rispetto dell'ambiente e delle pari opportunità.
Una cornice storica:
1957: Firma del Trattato di Roma, che fa riferimento, nel suo preambolo, all'esigenza "di
rafforzare l'unità delle loro economie e di garantirne lo sviluppo armonioso riducendo il
divario fra le diverse regioni e il ritardo di quelle più svantaggiate".
1958 Vengono istituiti il Fondo sociale europeo (FSE) e il Fondo europeo agricolo (FEAOG).
1975 Nasce il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR), con lo scopo attuare a livello
europeo una politica regionale per lo sviluppo delle regioni arretrate dell’Unione Europea.
1989-1993 Primo ciclo di Programmi Operativi
in seguito alla riforma del 1988, i Fondi Strutturali vengono gestiti direttamente
dalle Regioni, attraverso Programmi Operativi, che sono un insieme coordinato e coerente
di interventi, di ambito regionale, mirati a modificare strutturalmente le condizioni
economiche di contesto della regione, attraverso una serie di misure di intervento.
1994-1999: Secondo ciclo di programmi Operativi
Il Consiglio europeo di Edimburgo (dicembre 1993) decide di destinare alla politica
di coesione circa 177 miliardi di ECU (ai prezzi del 1999), ossia un terzo del bilancio
comunitario. Viene creato lo strumento di sostegno alla pesca (SFOP).
2000-2006 : Terzo ciclo dei Programmi Operativi
la concentrazione si è tradotta in una riduzione del numero di obiettivi a 3, di cui i
primi riguardanti solo aree determinate, ed il terzo riguardante tutto il territorio dell’UE.
2007 – 2013: Nel luglio 2006 la Commissione europea ha pubblicato i regolamenti che
disciplinano i Fondi strutturali per il periodo di programmazione 2007 – 2013.
I Fondi Strutturali del periodo di Programmazione 2007-2013
FESR Fondo europeo di sviluppo regionale
31
Finalizzato allo sviluppo e all'adeguamento strutturale delle economie regionali, inclusa la
riconversione delle regioni industriali in declino e delle regioni in ritardo di sviluppo,
sostiene la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale.
FONDO DI COESIONE
Finalizzato al rafforzamento della coesione economica e sociale della Comunità in una
prospettiva di promozione dello sviluppo sostenibile
Finanzia reti transeuropee di trasporto ed azioni relative all'ambiente
FSE Fondo sociale europeo
Contribuisce al rafforzamento della coesione economica e sociale, stimolando l'
incremento della crescita economica, il miglioramento delle opportunità occupazionali per
uomini e donne, della qualità e della produttività sul lavoro; esso inoltre contribuisce al
rafforzamento dell'inclusione sociale delle persone svantaggiate
Finanzia azioni dirette ai singoli ed azioni volte ad intervenire in modo strutturale per il
miglioramento dei sistemi dell'istruzione e della formazione professionale e per un miglior
funzionamento del mercato del lavoro, quali:
riforme dei sistemi di istruzione e di formazione
studi, consulenze di esperti, sostegno al coordinamento interdipartimentale e dialogo fra
gli organi pubblici e privati responsabili
aiuti all'occupazione ed al lavoro autonomo
definizione di strumenti e modalità per il miglioramento dell'accesso dei lavoratori alla
formazione e all'acquisizione di qualifiche
creazione e sviluppo di sistemi di analisi delle tendenze del mercato del lavoro
misure per potenziare l'inclusione sociale
Programmi di Iniziativa Comunitaria (PIC)
Tra i quali ricordiamo i programmi che finanzianto progetti affini alle attività degli psicologi:
Life Long Learning (LLP) (Leonardo Da Vinci, Erasmus, Comenius, Gruntvig, il prossimo
bando scade il 28 febbraio 2011), Cultura e Media
Procedure attuative degli enti pubblici per erogare i finanziamenti
Bando pubblico
L’iter procedurale relativo al bando pubblico prevede le seguenti fasi:
pubblicità del Bando,
presentazione dei progetti e delle richieste di finanziamento da parte dei soggetti
proponenti,
valutazione e verifica tecnico-amministrativa dei progetti presentati e successiva
definizione della graduatoria,
approvazione e finanziamento del progetto,
realizzazione degli interventi da parte dei soggetti proponenti,
32
erogazione dei rimborsi previsti e comunicazione di chiusura delle attività,
chiusura tecnico/amministrativa e rendicontazione finale
Manifestazioni di interesse in caso di interventi di eccellenza, sperimentali e/o innovativi,
studi e ricerche; a differenza del bando, i proponenti insieme al progetto non presentano
una richiesta di finanziamento, ma una candidatura e una richiesta di partecipazione.
Affidamento diretto: tale procedura è prevista per prestazioni da realizzare con ricorso ad
un soggetto qualificato e che, pertanto, esulano dalla sfera di applicazione della Direttiva
comunitaria in materia di appalti, che prevede obbligatoriamente la pubblicazione di un
Bando pubblico. Trattandosi di una sorta di esternalizzazione di funzioni, l’ente pubblico
che affida il servizio deve esercitare sul soggetto affidatario un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi.
Il processo della progettazione
Sono state descritte nel dettaglio le diverse fasi del processo di progettazione
schematizzato nell’immagine n. 1 che segue.
Successivamente sono stati presentati alcuni strumenti che possono essere utili a gestire i
diversi step del processo di progettazione:
a) Scheda per la progettazione di massima
b) Scheda per l’analisi requisiti formali e documentazione da produrre
c) Scheda per l’analisi requisiti sostanziali
d) Scheda-tipo per un formulario
e) Scheda- tipo per un progetto
33
Fase
istruttoria
34
Riflessioni sull’intervento e sui partecipanti
I partecipanti si sono mostrati tutti estremamente interessati ad acquisire conoscenze e
competenze utili a gestire processi di progettazione, in quanto –a fronte di un mercato del
lavoro che offre poche opportunità occupazionali ai giovani – esistono diverse fonti di
finanziamento di progetti ai quali gli psicologi possono accedere. Tale interesse ha
consentito al docente di affrontare tutte le tematiche relative alla progettazione potendo
contare su un gruppo di corsisti particolarmente attento.
Bibliografia e sitografia
Sgandurra I., Manuale operativo di europrogettazione e di gestione di progetto AICCRE
Veneto, 2008
Fondazione CRT, Seconda guida all’europrogettazione, scaricabile dal sito
www.fondazionecrt.it, 2006
www.europa.eu.int (sito ufficiale dell’Unione Europea)
www.europalavoro.it
http://europa.formez.it/ o http://sviluppolocale.formez.it/
Per i complementi di programmazione dei POR si vedano i siti regionali
www.regione.(nome della regione).it
35
2.7. Lavorare nel contesto scolastico e realizzare progetti – II parte
dott. Claudia Di Marco
Finalità e obiettivi dell’intervento
L’intervento, rivolto a laureandi della Facoltà di Psicologia 2, aveva come finalità generale
quella di promuovere lo sviluppo di conoscenze e competenze necessarie per progettare
in contesti specifici, come quelli scolastici, vicini alle loro aree di competenza acquisite
durante il corso di laurea. In particolare, l’obiettivo della giornata è stata quella di
illustrare il processo di progettazione e di indicare gli strumenti utili per la realizzazione
del progetto. In tal senso, sono state fornite informazioni inerenti i programmi ed i bandi
che possono finanziare progetti relativi ad argomenti di interesse per psicologi sia come
liberi professionisti o in collaborazione con cooperative sociali e/o associazioni del privato
sociale. Particolare attenzione è stata data alle procedure, piuttosto articolate, della
progettazione che per uno psicologo diventa una competenza importante per
l’inserimento nel mercato del lavoro.
Metodologie
La metodologia proposta durante l’intervento è stata quella di coinvolgere gli studenti
privilegiando la co-costruzione delle conoscenze mediante la partecipazione attiva di tutti i
partecipanti al corso. Lo stile laboratoriale di conduzione della giornata ha reso il clima
dell’aula positivo: gli interventi sono stati numerosi e ciò ha consentito di approfondire
l’argomento e di entrare nel vivo di alcune questioni complesse come, ad esempio, quella
della redazione di un budget di progetto. L’illustrazione di tutti contenuti inerenti la
progettazione è stato realizzato in codocenza con la dr.ssa Belardi. La scelta della
codocenza è stata adottata per permettere una continuità tra la prima e la seconda parte
della giornata e di consentire alle competenze specifiche delle singole docenti di
intrecciarsi e di integrarle. I corsisti, infine, sono stati coinvolti in attività di gruppo
finalizzate a sperimentare il processo di progettazione in risposta al bando della Regione
Lazio -Assessorato Istruzione, Diritto Allo Studio E Formazione- a valere sul POR Obiettivo
2, Competitività regionale e occupazione 2007-2013, ASSE III – Inclusione Sociale,
intitolato Avviso Per L’educazione E L’integrazione Formativa Degli Allievi Con Disturbi Di
Apprendimento E/O Di Origine Migrante.
Contenuti
I contenuti dell’intervento mirano ad approfondire temi che riguardano la progettazione
attraverso l’esplicitazione del processo che va da un’idea iniziale del progettista fino all’utilizzo
degli strumenti utili alla stesura di un progetto. E’ stata proposta, inoltre, l’analisi di un bando
36
consentendo di individuare le richieste formali ed è stato mostrato il formulario compilato
riguardante quel bando. E’ stato consegnato, infine, un bando, a cui si faceva riferimento in
precedenza, per la stesura di un progetto attraverso gli strumenti forniti ai corsisti, come ad
esempio le schede di progetto.
Il processo della progettazione
Sono state descritte le diverse fasi del processo di progettazione di massima ed è stata
fornita una scheda, riportata di seguito, per procedere alla stesura. L’idea progettuale è
una parte iniziale fondamentale per procedere alla realizzazione del progetto vero e
proprio.
Riferimento all’eventuale finanziamento disponibile
oppure all’area istituzionale cui si vorrebbero chiedere finanziamentI
Titolo
Tema e ragione dell’intervento
(mettere a fuoco gli elementi distintivi dell’idea e il tipo di bisogni che determina la necessità di
intervento):
Azioni dell’intervento e fasi (il cosa, il come, il quando):
Ambito territoriale dell’intervento (dove):
37
Destinatari finali e intermedi dell’intervento (individuazione target e stima del numero):
Durata del progetto (inizio-fine):
Stima dei costi (in generale):
Successivamente sono stati presentati alcuni strumenti che possono essere utili per gestire i
diversi step del processo di progettazione:
1. Scheda per la progettazione di massima
2. Scheda per l’analisi requisiti formali e documentazione da produrre
3. Scheda per l’analisi requisiti sostanziali
4. Scheda-tipo per un formulario
5. Scheda- tipo per un progetto
6. Appunti per redazione budget
In particolare, per il formulario è stata fornito uno schema come strumento utile per procedere
alla sua compilazione.
Schema - tipo per un formulario
Il Formulario
Regola generale: le sezioni sono “domande” a cui rispondere.
Nella prima fase allora è importante determinare quali contenuti inserire in ciascuna sezione.
Dalla scheda-progetto alla proposta progettuale: se mettere a fuoco un’idea,
sintetizzandola nella scheda iniziale, costituisce la fase di “analisi”, quella di estensione del
progetto è la fase di “sintesi”
Un possibile schema logico con cui costruire una proposta progettuale:
38
a) Sintesi minima del progetto: il progetto in 2 pagine, per punti, con tutti gli aspetti che
qualificano la proposta e che saranno declinati nelle aree successive; un invito alla lettura,
un’introduzione ragionata al progetto, anche a beneficio dei valutatori pigri…
b) Ragione dell’intervento (oppure finalità oppure premessa): a partire dall’analisi del “contesto”
e del “problema”, si sintetizza l’idea, messa a fuoco precedentemente nella scheda-progetto.
c) Obiettivi: elencazione per punti, lucida, precisa, e soprattutto sintetica: un buon progetto si
muove nel perimetro descritto da alcune finalità generali ma individua due - tre obiettivi specifici e
concreti da raggiungere.
d) Azioni/Attività articolate in Fasi (o Macro-fasi).
Per esempio:
Fase 1 (durata in mesi: per esempio 3 mesi):
Attività 1
Attività 2
Fase 2 (durata mesi: per esempio 5 mesi):
Attività 3
Attività 4
Attività 5
eccetera
e) Ambito territoriale dell’intervento
f) Destinatari finali e intermedi dell’intervento
39
g) Risultati attesi:
elencazione per punti, se possibile riferendoli a ciascuna azione/attività/obiettivi.
h) Durata dell’intervento
i) Cronogramma:
- precisando lo sviluppo temporale del progetto attraverso uno schema del tipo:
Fase – Attività – Durata
- visualizzando il tutto attraverso il Diagramma di Gannt, il quale consente di chiarire
i rapporti tra fasi e attività. A titolo di esempio:
MESI
FASI/ATTIVITA' 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1
0
1
1
1
2
1
3
1
4
15 1
6
17 18
1.
2.
3.
…
40
l) Organigramma e funzionigramma: per esempio utilizzando una tabella del genere:
ORGANIGRAMMA E FUNZIONIGRAMMA
RUOLO FUNZIONI NUMERO
Responsabile del progetto Seleziona i docenti da coinvolgere nel progetto
Costituisce il punto di riferimento per il gruppo di
insegnanti coinvolti
Sovrintende alle attività del Tavolo di Coordinamento
del progetto
Supervisiona gli incontri di programmazione e
valutazione dell’équipe interprofessionale
…
1
… … …
m) Piano finanziario
Ulteriori aree attivabili:
Specifiche sul proponente
Esperienze pregresse (soprattutto nel caso di progetti europei e/o nazionali)
Elementi di innovatività e trasferibilità.
41
Infine, per la redazione del piano finanziario è stata sottolineata l’importanza di tenere
sotto controllo fin dall’inizio le voci di spesa che vanno di pari passo alla realizzazione del
progetto. Solo per necessità didattiche, infatti, si è tenuto separato il momento della
stesura del formulario da quello dell’ipotesi di costo delle diverse azioni; in realtà idea e
costi vanno pensati insieme, e in effetti è necessario considerare la variabile “costi” sin
dall’inizio e poi sempre nelle diverse fasi:
quando leggiamo il bando: per farci una prima idea del tipo di progetto, dell’impatto sul
territorio che potremo avere con il progetto, del numero di attività che potremo attivare e
di personale che potremo impiegare; in particolare è importante sottolineare i criteri
imposti dal bando per la stesura del budget: qual è (se è indicata) la percentuale imputabile
ai costi di personale? E quale quella dei costi di progettazione? E di amministrazione?
Eccetera, ogni bando ha le sue regole che ci guideranno nella costruzione del piano
finanziario
quando valutiamo la sostenibilità dell’idea progetto: ricorderete che nella scheda-progetto
noi inseriamo una prima indicazione di stima dei costi totali e dobbiamo da subito chiederci
se quell’idea, in relazione a quel budget, è sostenibile, cioè è credibile e concretamente
realizzabile;
quando lavoriamo al formulario: in particolare quando scriviamo l’articolazione delle azioni
e delle attività in cui si declina il progetto: quante attività? Quanto personale? Quali sono i
criteri da seguire imposti dal bando?...
Imparare ad analizzare un bando
Una volta dati gli strumenti per la realizzazione di un progetto ed esplicitato il processo
della progettazione si è proceduto all’analisi di un bando relativo a: “l’Attuazione del
Programma operativo Regione Lazio Ob 3 da realizzarsi con il contributo del Fondo Sociale
Europeo Misura C2 – Anno 2006. Invito a presentare Idee progettuali Innovative su “nuove
strategie per il ri-orientamento scolastico e formativo – attraverso azioni di sostegno al
successo formativo e scolastico dei giovani”. Per molti corsisti era la prima volta che
approcciavano ad un bando ed è stato utile capire la complessità delle richieste. L’analisi è
stata seguita dalla descrizione del formulario, relativo al bando proposto, compilato in ogni
singola parte.
Dal Bando alla stesura del progetto: l’esercitazione
Il bando scelto per avviare l’esercitazione in gruppi è stato individuato sulla base
dell’interesse dei corsisti sui disturbi dell’apprendimento. Il bando, inoltre, mostrava un
grado di media complessità che consentiva di poter compilare un formulario di massima. A
ciascun corsista è stato chiesto di portare un personal computer che consentiva l’accesso
42
ad internet per simulare il lavoro vero e proprio del progettista. I partecipanti hanno
mostrato un forte interesse e motivazione alla stesura del progetto, hanno lavorato
assiduamente e molti di loro hanno avuto idee interessanti sulle modalità operative per
realizzare il progetto.
Riflessioni
I corsisti si sono mostrati molto interessati ed attenti durante tutta la giornata di seppur
ricca di temi complessi soprattutto alla prima fruizione. L’interesse è stato esplicitato dai
numerosi interventi svolti dalla maggior parte dei corsisti. In particolare, per lo psicologo la
progettazione può essere una fonte di lavoro che ha un duplice valore sul piano
professionale: da un lato quello di progettista che individua fonti di finanziamento e scrive
il progetto e dall’altro quello di professionista che realizza operativamente il progetto.
Sitografia
www.europa.eu.int (sito ufficiale dell’Unione Europea)
www.europalavoro.it
http://europa.formez.it/ o http://sviluppolocale.formez.it/
Per i complementi di programmazione dei POR si vedano i siti regionali www.regione.(nome della
regione).it
Per i finanziamenti delle province si vedano i siti provinciali: www.provincia.(nome della
provincia).it
43
3. Valutazione del Percorso di Identità Professionale da parte dei
Partecipanti: sintesi dei risultati.
Dott. Marta Desimoni e Dott. Sergio Melogno
Al termine del percorso di Identità Professionale, i partecipanti sono stati chiamati a
valutare l'intera iniziativa. Tale valutazione ha perseguito sia un obiettivo conoscitivo sia
un obiettivo pragmatico. Da una parte, infatti, considerato il carattere innovativo del tipo
di percorso proposto, si è voluto indagare se e in quale misura esso sia stato percepito dai
partecipanti come integrato e coeso rispetto al percorso formativo pregresso e di come
esso si sia stato valutato rispetto alla metodologie adottate ed alle principali finalità con cui
il percorso stesso era stato prospettato agli utenti. Dall'altra, da un punto di vista più
pragmatico, si è voluto ottenere informazioni utili per migliorare le diverse attività
proposte nel percorso stesso, individuando punti critici ed aree di forza.
Il principale strumento di valutazione è stato costituito da un questionario che si
compone di 22 quesiti, di cui: 7 (SEZIONE A) per la rilevazione delle caratteristiche dei
rispondenti; 14 (SEZIONE B) di valutazione; 1 per l’espressione di eventuali commenti o
suggerimenti. Le aree indagate dai quesiti di valutazione riguardano: l'integrazione e
coerenza delle attività proposte con il normale percorso formativo (da B.1. a B.4, vedi
tabella 1 dell'appendice); l'adeguatezza della metodologia e del materiale rispetto alle
finalità con cui le attività erano state prospettate (da B.5 a B.11); la percezione di efficacia
del percorso rispetto agli obiettivi prefissati (da B. 12 a B.14). Coerentemente ai
questionari di Ateneo per valutazione della didattica da parte degli studenti universitari, è
stata scelta una modalità di risposta multipla con 4 categorie ordinate di risposta:
decisamente no; più no che sì; più sì che no; decisamente sì. Il questionario è stato
distribuito ai beneficiari che lo hanno compilato in forma anonima. Oltre alle rilevazioni
attraverso il questionario, è stato richiesto ai partecipanti, lavorando in gruppo, di valutare
in maniera qualitativa il percorso svolto.
Ha risposto al questionario l'80% dei partecipanti al percorso (n=40), di cui 24
neolaureati e 16 laureandi. Possiamo dunque ritenere il campione dei rispondenti
sufficientemente rappresentativo dell'intero gruppo di partecipanti, soprattutto nel caso
dei neolaureati (in totale il numero di neolaureati partecipanti al percorso è infatti 25).
L'età media dei rispondenti è 26 anni ed il genere prevalente è quello femminile (circa
70%). Il numero medio di incontri cui i rispondenti hanno preso parte è stato 16 su 17
(range: 14- 17). Il 50% dei rispondenti al questionario aveva già avuto esperienze pregresse
nell'ambito dei DSA: nella maggior parte dei casi durante il tirocinio previsto dal percorso
universitario e/o ai fini della raccolta dati per l'elaborato finale o per la tesi di Laurea. Nel
grafici riportati in appendice A (fig.1 e fig.2) sono rappresentate di distribuzioni relative al
corso di Laurea frequentato da Laureandi e Neolaureati.
44
I quesiti di valutazione della sezione B sono riportati nella tabella 1 dell'appendice
al presente documento. Nelle tabelle e grafici successivi sono indicati: le frequenze e le
percentuali rilevate per ciascuna delle quattro modalità di risposta nel campione
complessivo e, separatamente, per laureandi e neolaureati; un indice sintetico di
soddisfazione per ciascuno dei quesiti delle tre aree indagate dal questionario.
Quest'ultimo è stato calcolato come media, per ciascun quesito, dei seguenti punteggi
attribuiti a ciascuna categoria di risposta: decisamente no → 2 punti; più no che sì → 5
punti; più sì che no → 7 punti; decisamente sì → 10 punti. Tali medie sono state collocate
all’interno delle seguenti 4 fasce di giudizio sintetico del livello di soddisfazione (il cui
valore medio 6 è il limite tra la sufficienza e l'insufficienza): fascia di livello di soddisfazione
insufficiente (valori medi inferiori a 6); fascia di livello di soddisfazione discreto (valori medi
maggiori o uguali a 6 e inferiori a 7); fascia di livello di soddisfazione buono (valori medi
maggiori o uguali a 7 e inferiori a 8); fascia di livello di soddisfazione elevato (valori medi
maggiori o uguali a 8). Tale procedura è analoga a quella adottata nei rapporti di
valutazione dell'attività didattica (e.g. vedi rapporto annuale sull’attività di valutazione
della didattica da parte degli studenti frequentanti a.a. 2008/09 dell'Università di Milano).
Come indicato dai grafici relativi agli indici di soddisfazione, in nessuna delle aree
sottoposte ad indagine si è rilevata una valutazione insufficiente. Per quanto concerne i
quesiti dell'area integrazione e alla coerenza delle attività con il normale percorso
formativo (quesiti b.1., b.2., b.3., b.4.) possiamo osservare che le valutazioni dei
partecipanti si attestano da valori discreti a valori elevati. In particolare, valori medi più
bassi (ma comunque superiori a 6) sono emersi rispetto al quesiti "Le conoscenze acquisite
nel corso di studi in Psicologia sono risultate sufficienti per lo svolgimento delle attività
previste nelle esercitazioni pratiche guidate (fase 1 del Percorso)" e al quesito "Le
conoscenze acquisite nel corso di studi in Psicologia sono risultate sufficienti per lo
svolgimento delle attività previste nelle esercitazioni proposte dagli esperti (fase 2 del
Percorso)?".
Da buoni ad elevati sono risultati gli indici di soddisfazione rispetto all'
"adeguatezza della metodologia e del materiale rispetto alle finalità con cui le attività
erano state prospettate" (quesiti b.5., b.6., b.7., b.8., b.9, b.10 e b.11). Particolarmente
positivo è stato il giudizio espresso dai partecipanti rispetto alla work-experience: nel
quesito "Ritiene l'osservazione svolta durante la work-experience utile ai fini del
Percorso?" l'indice sintetico di valutazione è vicino al massimo ottenibile (9.63), con il 92%
circa di neolaureati e l' 81% circa di laureandi che seleziona la categoria di risposta più
elevata("assolutamente sì"). È elevato il giudizio di soddisfazione rispetto alla capacità del
tutor di stimolare l'interesse per gli elementi emersi durante la work-experience stessa
(8.87). Un livello di soddisfazione da buono a elevato è stato inoltre espresso dai
partecipanti rispetto agli altri due tipi di attività principali oggetto di valutazione, ossia le
esercitazioni pratiche guidate e gli incontri ed i workshop con gli esperti. Per entrambi i tipi
di attività emerge un giudizio elevato rispetto alla coerenza dei contenuti proposti rispetto
45
alle finalità prefissate (quesiti b.5 e b. 10), e un giudizio da buono ad elevato rispetto ai
materiali utilizzati e alla tempistica di realizzazione.
Positivi, infine, risultano i giudizi di valutazione rispetto alla percezione di efficacia
del percorso rispetto agli obiettivi prefissati. Nel quesito "Ritiene di aver rafforzato le sue
competenze nell'ambito dei Disturbi Specifici dell'Apprendimento?", il giudizio sintetico è
di 8.63 (elevato) e, come si può osservare nella tabella delle distribuzioni di frequenza (tab.
2), nell'intero campione solo due neolaureati hanno espresso un giudizio nella parte
negativa della scala ("più no che sì"). Un indice di soddisfazione buono (7,9) emerge
rispetto al quesito "Ritiene di aver acquisito maggiore consapevolezza della possibilità di
inserimento professionale nei contesti professionali presentati (servizi, intervento
domiciliare, scuola)?" e un giudizio elevato (8,45) rispetto alla soddisfazione complessiva
del Percorso (b.14). Anche in questi casi, i partecipanti che hanno selezionato una categoria
di giudizio nella parte negativa della scala di risposta sono pochi: 3 (su 40, di cui 2
neolaureati e 1 laureando) nel quesito b.13 e solo 1 nel quesito b.14.
Al quesito 15, relativo agli eventuali commenti e suggerimenti, hanno risposto 21
partecipanti. Nella maggioranza dei casi il suggerimento è stato quello di aumentare il
numero di incontri dedicati alla work-experience e, in un numero di casi, di approfondire
ulteriormente la parte relativa agli interventi di riabilitazione.
Ulteriori informazioni, utili al fine di individuare eventuali punti di forza e criticità
del percorso, emergono dai report prodotti dai partecipanti. La consegna era quella di
valutare in maniera qualitativa il percorso svolto attraverso l'intera iniziativa. Rimandiamo
all'appendice B per la lettura delle riflessioni dei gruppi, riportate per esteso.
Coerentemente a quanto emerso dai dati del questionario, un punto di forza condiviso dai
gruppi è stata la work-experience. Emergono inoltre giudizi positivi nei confronti delle
metodologie adottate trasversalmente alle diverse attività (e.g. lavoro di medio gruppo,
tutoraggio, utilizzo di video nelle esercitazioni pratiche) e alla possibilità di confrontarsi con
professionisti già operanti in differenti contesti nell'ambito dei DSA. Suggerimenti utili ad
un miglioramento delle attività riguardano la proposta di un maggior tempo dedicato alla
riabilitazione e delle strategie di intervento e alla possibilità di ampliare la work-
experience.
Per concludere, ci sembra rilevante riportare anche il dato relativo al numero di
richieste di partecipazione (136 per 50 posti disponibili), dato che sembra supportare
l'interesse da parte dei laureandi e neolaureati in Psicologia nel confronti di un Percorso di
Identità Professionale in un settore di crescente interesse nel panorama Italiano e
internazionale, la valutazione e la progettazione dell'intervento nei casi di bambini con
difficoltà di apprendimento in età scolare. La finalità del nostro progetto, ossia offrire
un'integrazione esperienziale al percorso formativo di laureandi e neolaureati in Psicologia
attraverso un precoce contatto con lo specifico ambito professionale di riferimento,
sembra essere stata raggiunta in maniera soddisfacente, come emerge dalla valutazioni
stesse dei partecipanti. Riteniamo, dunque, che iniziative analoghe possano offrire ai futuri
psicologi la possibilità di acquisire una maggiore identità professionale arricchendo il
46
normale percorso formativo con esperienze e confronti con professionisti già operanti nel
mondo lavorativo che il sistema Universitario ad oggi non ha sempre la possibilità di offrire
direttamente.
Appendice A
Figura 1. Laureandi: distribuzione per Corso di Laurea
47
Figura 2 Neolaureati: distribuzione per Corso di Laurea
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Tabella 1. Quesiti di valutazione (sezione B del questionario).
B.1. Prima di frequentare questo Percorso, conosceva gli argomenti e le tematiche principali trattate?
B.2 Le conoscenze acquisite nel corso di studi in Psicologia sono risultate sufficienti per lo svolgimento delle
attività previste nelle esercitazioni pratiche guidate (fase 1 del Percorso).
B.3 Le conoscenze acquisite nel corso di studi in Psicologia sono risultate sufficienti per lo svolgimento delle
attività previste nelle esercitazioni proposte dagli esperti (fase 2 del Percorso)?
B.4 Le attività proposte nel Percorso sono risultate coerenti con il corso di Laurea scelto?
B.5 I contenuti affrontati durante le esercitazioni pratiche sono coerenti con gli obiettivi del Percorso?
B.6 Il tempo dedicato alle attività svolte durante le esercitazioni pratiche guidate (analisi dei profili cognitivi
ecc.) è risultato congruo rispetto agli obiettivi?
B.7 Il materiale utilizzato durante le esercitazioni pratiche guidate proposte nella prima fase del progetto
(video, materiale cartaceo, ecc.) è adeguato come supporto alle attività svolte?
B.8 Ritiene l'osservazione svolta durante la work-experience utile ai fini del Percorso?
B.9 Il tutor ha stimolato l'interesse per gli elementi emersi durante la work-esperience?
B.10 I contenuti affrontati durante gli incontri con gli esperti sono coerenti con gli obiettivi del Percorso?
B.11 Il materiale utilizzato durante le esercitazioni pratiche proposte dagli esperti (video, materiale cartaceo,
ecc.) è adeguato come supporto attività svolte?
B.12 Ritiene di aver rafforzato le sue competenze nell'ambito dei Disturbi Specifici dell'Apprendimento?
B.13 Ritiene di aver acquisito maggiore consapevolezza della possibilità di inserimento professionale nei
contesti professionali presentati (servizi, intervento domiciliare, scuola)?
B.14 Lei è complessivamente soddisfatto del Percorso di Identità Professionale?
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Tabella 2. Frequenze e percentuali delle 4 modalità di risposta ai quesiti di valutazione nel campione complessivo.
f (R1) f (R2) f(R3) f(R4) % R1 % R2 % R3 % R4
b1 0 8 20 12 0,00 20,00 50,00 30,00
b2 2 12 17 9 5,00 30,00 42,50 22,50
b3 3 14 16 7 7,50 35,00 40,00 17,50
b4 2 5 7 26 5,00 12,50 17,50 65,00
b5 0 0 7 33 0,00 0,00 17,50 82,50
b6 0 3 26 11 0,00 7,50 65,00 27,50
b7 0 2 19 19 0,00 5,00 47,50 47,50
b8 0 0 5 35 0,00 0,00 12,50 87,50
b9 0 1 11 27 0,00 2,50 27,50 67,50
b10 0 1 13 26 0,00 2,50 32,50 65,00
b11 0 2 27 11 0,00 5,00 67,50 27,50
b12 0 2 15 23 0,00 5,00 37,50 57,50
b13 0 3 23 14 0,00 7,50 57,50 35,00
b14 0 1 19 20 0,00 2,50 47,50 50,00
50
Tabella 3. Frequenze e percentuali delle 4 modalità di risposta ai quesiti di valutazione nel campione di neolaureati.
f (R1) f (R2) f(R3) f(R4) % R1 % R2 % R3 % R4
b1 0 4 12 8 0,00 16,67 50,00 33,33
b2 2 8 10 4 8,33 33,33 41,67 16,67
b3 3 8 11 2 12,50 33,33 45,83 8,33
b4 2 3 4 15 8,33 12,50 16,67 62,50
b5 0 0 6 18 0,00 0,00 25,00 75,00
b6 0 3 13 8 0,00 12,50 54,17 33,33
b7 0 2 9 13 0,00 8,33 37,50 54,17
b8 0 0 2 22 0,00 0,00 8,33 91,67
b9 0 1 8 14 0,00 4,35 34,78 60,87
b10 0 1 8 15 0,00 4,17 33,33 62,50
b11 0 2 13 9 0,00 8,33 54,17 37,50
b12 0 2 11 11 0,00 8,33 45,83 45,83
b13 0 2 17 5 0,00 8,33 70,83 20,83
b14 0 1 11 12 0,00 4,17 45,83 50,00
51
Tabella 4. Frequenze e percentuali delle 4 modalità di risposta ai quesiti di valutazione nel campione di laureandi.
f (R1) f (R2) f(R3) f(R4) % R1 % R2 % R3 % R4
b1 0 4 8 4 0,00 25,00 50,00 25,00
b2 0 4 7 5 0,00 25,00 43,75 31,25
b3 0 6 5 5 0,00 37,50 31,25 31,25
b4 0 2 3 11 0,00 12,50 18,75 68,75
b5 0 0 1 15 0,00 0,00 6,25 93,75
b6 0 0 13 3 0,00 0,00 81,25 18,75
b7 0 0 10 6 0,00 0,00 62,50 37,50
b8 0 0 3 13 0,00 0,00 18,75 81,25
b9 0 0 3 13 0,00 0,00 18,75 81,25
b10 0 0 5 11 0,00 0,00 31,25 68,75
b11 0 0 14 2 0,00 0,00 87,50 12,50
b12 0 0 4 12 0,00 0,00 25,00 75,00
b13 0 1 6 9 0,00 6,25 37,50 56,25
b14 0 0 8 8 0,00 0,00 50,00 50,00
52
Figura 3. Indice sintetico di soddisfazione espressa nei quesiti dell'area "integrazione e coerenza delle attività proposte con il
normale percorso formativo"
Figura 4. Indice sintetico di soddisfazione espressa nei quesiti dell'area "adeguatezza della metodologia e del materiale rispetto
alle finalità con cui le attività erano state prospettate "
53
Figura 5. Indice sintetico di soddisfazione espressa nei quesiti dell'area " percezione di efficacia del percorso rispetto agli
obiettivi prefissati "
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Riflessioni sul percorso da parte dei partecipanti:
Gruppo 1
"La prima parte del percorso, strutturata in lezioni teoriche, ha fornito un’ottima base per
l’acquisizione e l’approfondimento di conoscenze relative la valutazione (strumenti, criteri, pratiche) dei
disturbi specifici dell’apprendimento.
La work-experience ha rappresentato una fase del percorso particolarmente stimolante e appassionante.
L’opportunità di osservare l’effettivo svolgimento di una valutazione ci ha consento di cogliere i diversi
aspetti che la caratterizzano (relazioni, motivazione, emozioni, aspetto ludico, strutturazione del setting).
Data la rilevanza di questa esperienza riteniamo che ci sia la necessità, per quanto possibile, di
incrementare attività di questo tipo per la progettazione di un futuro percorso.
Anche gli incontri con gli esperti hanno rappresentato importanti spunti di riflessione e di stimolo rispetto
alle diverse modalità e contesti di intervento, nonostante siano state evidenziate in più occasioni le
difficoltà d’inserimento professionale.
Il percorso in generale è stato anche un’occasione di confronto e scambio di informazioni tra laureandi e
neolaureati che ci ha permesso di condividere idee, preoccupazioni e aspettative circa il nostro approccio al
mondo della professione di psicologi.
Il bilancio dell’esperienza risulta dunque ampiamente positivo."
Gruppo 2
Suggerimenti sul percorso:
Abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con figure professionali esperte nel settore che ci hanno
stimolato positivamente;
La work-experience ha dato modo di osservare l’intervento nella pratica;
Avremmo voluto approfondire maggiormente gli aspetti più pratici relativi al trattamento, magari
attraverso un’esperienza pratica di apprendistato in strutture che si occupano nello specifico dei DSA;
Avremmo voluto analizzare meglio i diversi software riabilitativi.
Appendice B
55
Gruppo 3:
Questo percorso ci ha permesso di inquadrare la professionalità dello Psicologo dell’Apprendimento
all’interno dei diversi contesti applicativi ( scuola, servizi privati, interventi domiciliari, etc.).
Per alcuni di noi provenienti da Psicologia 1 è stato un importante contributo per l’approfondimento e
del nostro percorso formativo, per coloro invece provenienti da Psicologia 2 è stato un modo per affinare le
conoscenze e vederle applicate nel contesto.
Tra gli aspetti che abbiamo notato più formativi e interessanti il nostro gruppo ha individuato la parte
che ha riguardato la valutazione della bambina all’interno del servizio universitario: ci ha permesso di
“calarci” direttamente nel contesto in cui avveniva in vivo la valutazione neuropsicologica e l’emergere di
problematiche emotive specifiche.
Un aspetto meritevole di attenzione ha riguardato la gestione da parte della Psicologa (le sue conoscenze
e competenze acquisite negli anni) dei primi momenti in cui i genitori si sono rivolti al servizio di consulenza
per i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), le loro preoccupazioni e le loro richieste implicite.
La parte inerente ai seminari in cui sono intervenuti dei professionisti che ci hanno illustrato le loro
esperienze ci è apparsa meno interattiva e coinvolgente. La principale motivazione riguarda il fatto che non
siamo tanto riusciti a ricostruire il contesto di lavoro specifico e a ipotizzarne le problematiche, in più
anziché essere un momento di coinvolgimento diretto, ci è sembrata una sorta di lezione frontale come
quelle tradizionali, di fatti un po’ distante dagli obiettivi del percorso per definizione più improntato
all’acquisizione di competenze pratiche.
Gruppo 3
PUNTI DI FORZA
Ha coinvolto sia laureandi che neolaureati;
Ha permesso ai partecipanti di approfondire una tematica (DSA) di grande e crescente interesse;
Si è avvalso della partecipazione di diversi professionisti che operano nel settore affrontando, in
questo modo, le reali possibilità in tale ambito e le difficoltà a cui si può incorrere;
La giovane età, sia delle figure professionali che hanno condotto il percorso, sia di quelle che
operano nel settore e che si sono alternate nei vari incontri, ha favorito un maggior coinvolgimento da
parte dei partecipanti e una maggiore identificazione professionale;
Tutte le figure professionali coinvolte nel percorso nei diversi incontri hanno sviluppato un “clima
non giudicante” in cui ciascun partecipante ha potuto esprimere liberamente le proprie opinioni, domande
e scambiare punti di vista condividendoli in gruppo;
56
Il corso ha favorito un apprendimento collaborativo attraverso esercitazioni svolte in gruppo,
possibilità di confronto, condivisione di idee e pensieri, consentendo ai partecipanti di essere soggetti attivi
della propria formazione, non solo recettori di contenuti;
Ha dato la possibilità di mettere in pratica delle conoscenze acquisite nel percorso di laurea, e di
approfondirle, attraverso l’osservazione di un caso reale, la visione di video ed esercitazioni pratiche, molto
utili sia per una crescita formativa personale che professionale;
Ha favorito una maggiore consapevolezza del ruolo dello psicologo in questo specifico ambito,
dando indicazioni sulle reali e concrete possibilità lavorative.
PUNTI DI DEBOLEZZA
o Ha fornito una panoramica generale sui DSA e ha curato con meno incontri l’ambito della
riabilitazione e delle strategie di intervento;
o I giorni di pausa tra un incontro e l’altro sono stati lunghi (consigliamo di ottimizzare la tempistica
degli incontri e di fare più incontri relativi alle esercitazioni pratiche, che si sono dimostrate molto utili,
interessanti e formative);
o Alcuni partecipanti hanno sottolineato l’importanza di aver disponibile il materiale teorico prima
degli incontri per poter approfondire gli argomenti trattati.