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Periodico del Gruppo Esperienza Parrocchia Santa Teresa del Gesù Bambino Anno 16 - Maggio 2012 Via Eduardo Nicolardi - Napoli IN GUINEA BISSAU ... per imparare a valutare il peso delle cose e quelle per cui vale davvero la pena spendersi! La Grazia del Signore la scorsa estate mi ha con- dotto in Africa, in Gui- nea Bissau per predicare un ritiro che, nato per le Suore Missionarie della Con- solata, è stato poi allargato ad altre fami- glie missionarie, con la presenza del Vescovo di Bissau e di un missionario italiano. Il tema del ritiro era “I discorsi d’addio di Gesù nel IV Evangelo”: è stata una grande e bella esperienza di comunione e fraternità, al di là delle diversissime nazionalità ed esperienze. Anche que- st’anno, come lo scorso anno in Corea, ho potuto vedere quanto la vocazione monastica non sia “distanza” dalle voca- zioni “di prima linea” o “di trincea”, ma come possa essere per queste dimora e necessario servizio alla Parola. Ho in- contrato fratelli assetati della Parola (tanto da piegarsi in tanti all’italiano delle meditazioni, facendo un enorme sforzo per cogliere il più possibile!), fratelli capaci di versare lacrime per la Parola, capaci di stupirsi per essa! È stato meraviglioso vedere come la Santa Scrittura, attraverso la mia media- zione, rimbalzava nei cuori e generava Parola di Dio. Ho vissuto lo stupore anch’io; ho vissuto la gioia di donare la Parola - meditata nella mia vita di mona- co e nella mia storia ecclesiale con tutti voi - alle loro vite così esposte e offerte. È stato bello essere per loro un servo di gioia, perché possano continuare a servi- re e ad essere in quella terra che hanno ricevuto come campo di lavoro, come terra da amare, da umanizzare sempre di più. Il Vescovo, che tutti chiamavano sem- plicemente Don Josè, è il primo prete della Guinea ed è vescovo di Bissau da una decina d’anni: un uomo di Dio sem- plice ed umile che è stato in ascolto di un monaco qualsiasi e lo è stato con cuore aperto e tanta sete … mi ha com- mosso; un uomo che ha avuto il “coraggio” di lasciare per otto giorni il “fare” per darsi solo all’ascolto! E come lui, le suore e Padre Giancarlo … e que- sto in una terra in cui il “fare” ti som- merge per davvero (e non per “dire Mes- se” … ) perché dire che in Guinea ci sono molti bisogni è dire nulla! La Guinea è uno dei venti paesi più po- veri del mondo; ho visto e sentito cose incredibili: lì in terra d’Africa ho vissuto sì un’esperienza bellissima della Parola ma anche un’esperienza grandissima di dolore dinanzi a tanta povertà, a tanto abbandono, a tanta miseria prodotta in massima parte dalla nostra avidità occi- dentale, dal nostro sfruttamento di seco- li! Continua a pag. 2 di P. Fabrizio Cristarella Orestano priore del Monastero di Ruviano

Il Sicomoro Maggio2012 Stili di vita

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Come vivere responsabilmente

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Periodico del Gruppo Esperienza Parrocchia Santa Teresa del Gesù Bambino Anno 16 - Maggio 2012 Via Eduardo Nicolardi - Napoli

IN GUINEA BISSAU ... per imparare a valutare il peso delle cose e quelle per cui vale davvero la pena spendersi!

La Grazia del Signore la scorsa estate mi ha con-dotto in Africa, in Gui-

nea Bissau per predicare un ritiro che, nato per le Suore Missionarie della Con-solata, è stato poi allargato ad altre fami-glie missionarie, con la presenza del Vescovo di Bissau e di un missionario italiano. Il tema del ritiro era “I discorsi d’addio di Gesù nel IV Evangelo”: è stata una grande e bella esperienza di comunione e fraternità, al di là delle diversissime nazionalità ed esperienze. Anche que-st’anno, come lo scorso anno in Corea, ho potuto vedere quanto la vocazione monastica non sia “distanza” dalle voca-zioni “di prima linea” o “di trincea”, ma come possa essere per queste dimora e necessario servizio alla Parola. Ho in-contrato fratelli assetati della Parola (tanto da piegarsi in tanti all’italiano delle meditazioni, facendo un enorme sforzo per cogliere il più possibile!),

fratelli capaci di versare lacrime per la Parola, capaci di stupirsi per essa! È stato meraviglioso vedere come la Santa Scrittura, attraverso la mia media-zione, rimbalzava nei cuori e generava Parola di Dio. Ho vissuto lo stupore anch’io; ho vissuto la gioia di donare la Parola - meditata nella mia vita di mona-co e nella mia storia ecclesiale con tutti voi - alle loro vite così esposte e offerte. È stato bello essere per loro un servo di gioia, perché possano continuare a servi-re e ad essere in quella terra che hanno ricevuto come campo di lavoro, come terra da amare, da umanizzare sempre di più. Il Vescovo, che tutti chiamavano sem-plicemente Don Josè, è il primo prete della Guinea ed è vescovo di Bissau da una decina d’anni: un uomo di Dio sem-plice ed umile che è stato in ascolto di un monaco qualsiasi e lo è stato con cuore aperto e tanta sete … mi ha com-

mosso; un uomo che ha avuto il “coraggio” di lasciare per otto giorni il “fare” per darsi solo all’ascolto! E come lui, le suore e Padre Giancarlo … e que-sto in una terra in cui il “fare” ti som-merge per davvero (e non per “dire Mes-se” … ) perché dire che in Guinea ci sono molti bisogni è dire nulla! La Guinea è uno dei venti paesi più po-veri del mondo; ho visto e sentito cose incredibili: lì in terra d’Africa ho vissuto sì un’esperienza bellissima della Parola ma anche un’esperienza grandissima di dolore dinanzi a tanta povertà, a tanto abbandono, a tanta miseria prodotta in massima parte dalla nostra avidità occi-dentale, dal nostro sfruttamento di seco-li!

Continua a pag. 2

di P. Fabrizio Cristarella Orestano

priore del Monastero di Ruviano

Il Sicomoro - Maggio 2012 Pag. 2

Continua da pag. 1

“In Guinea Bissau” di P. Fabrizio Cristarella Orestano

La Guinea è stata, infatti, colonia porto-ghese per più di 400 anni … sì, una co-lonia … luogo da predare, sfruttare, e consumare, incuranti della gente, delle loro povertà e dei loro dolori, delle loro malattie, della loro umiliazione. Prendere senza nulla dare. Quello che mi ha davvero impressionato è che lì in Guinea non è stata fatta neanche l’evan-gelizzazione; nessuno, né lo stato né la Chiesa di quello stato, nei secoli, hanno sentito il bisogno di raccontare Cristo … d’altro canto che Cristo avrebbero narra-to? Il Dio degli sfruttatori e degli omici-di? Cosa abbia-mo mai fat-to?! L’evangelizzazione cominciò solo intorno al 1950! Oggi devo dire, con tutta onestà che, se in Guinea non ci fosse la Chiesa, non ci sarebbe davvero nulla, o molto poco! Tutte le strutture funzionanti sono della Comunità Cristia-na: ospedali, scuole, asili, orfanatrofi, case di cura per disabili. La Chiesa cura poi la promozione della donna sotto tutti gli aspetti, e le suore sono in prima linea in questo servizio. Lo stato è assoluta-mente incapace e instabile; è un susse-guirsi di lotte per il potere e di colpi di stato sanguinosi. Nella capitale, Bissau, l’energia elettrica non esiste se non in alcune strade del centro, quelle più vici-ne ai palazzi del potere; le case non esi-stono se non per i ricchi: la gente vive in casupole di mattoni, fango e lamiere; si cucina sul carbone all’ingresso delle case, le strade non esistono: per percor-rere pochi chilometri ci vogliono ore perché bisogna camminare su strade che non si possono neanche definire disse-state; l’agricoltura è praticata con stru-

menti in uso più di cento anni fa, e i con-tadini coltivano il riso immersi negli acquitrini tutto il giorno; la malaria im-perversa e l’aspettativa di vita è di cin-quanta anni. La Chiesa promuove volon-tariato di primo livello: c’è bisogno di medici, infermieri, ostetrici; le medicine sono rare e costosissime. I cristiani sono il 5% ma i missionari cercano di essere una presenza per tutti; di fatto, in linea generale, sono molto ben voluti da tutti; anche con i musulmani ci sono buoni rapporti: è un islam pacifico e antico, non imbastardito da integrismi e odi di religione; parlando con suore e missio-nari ho trovato a volte in loro avvilimen-to e senso di impotenza: è facile vedere il proprio lavoro, e il consumarsi in que-sta fatica come una piccola goccia in un

oceano di bisogni. In tanta povertà lo stra-potere delle nostre multinazionali si fa sentire in modo incre-dibile … dicevo al

Vescovo: «Ah, se avessimo noi il potere

di persuasione che hanno queste socie-

tà!» Un potere, in verità, che è perverso

ed insensato; dove si vede questo potere subdolo e stolto? In questa situazione generale, che ho solo pallidamente de-scritto, quasi tutti hanno il cellulare! È incredibile, ma è così! Con la necessità poi, di fare code a pagamento presso i pochi che hanno generatori di corrente per poter ricaricare le batterie! Le schede telefoniche costano pochissimo e così le ricariche, in modo che tutti abbiano il cellulare; mi è parsa una cosa tra il grot-tesco ed il tragico, e mi fa molto riflette-re sulla capacità che l’economia ed il profitto hanno di creare bisogni, anche scavalcando i veri bisogni. Tutto questo in una terra bellissima! Una terra rigo-gliosa, ricca di acqua, con una fauna bellissima e un mare pescosissimo; una terra con risorse naturali per vivere be-nissimo ed avere più del sufficiente; eppure secoli di sfruttamento e anni di mal governo (la dominazione portoghese

è finita con un bagno di sangue nel 1973) tengono questa terra e questi uo-mini in una situazione dolorosissima. Una domenica andai a celebrare nella Parrocchia vicina alla casa delle Missio-narie della Consolata: una Comunità cristiana viva, una liturgia molto bella e curata, per me un’accoglienza fraterna e calda … il parroco, don Cristiano, un giovane di 33 anni, celebrò con la febbre alta perché aveva un attacco di malaria; mi fece tanta tenerezza questo prete che annunciava l’Evangelo reggendosi all’ambone per la debolezza, ma che non rinunciò a fare la sua omelia; gli promisi che, con la sua gente, l’avrei portato nella preghiera e che l’avrei detto anche ai miei fratelli, e durante quell’Eucaristia ho sentito come grande e bella sia la Chiesa, come ogni lontananza, in Cristo, si faccia vicinanza, come quel Pane Uno ci faccia Uno! Don Cristiano (il solo del suo villaggio che sia diventato cristiano tra l’opposizione anche violenta di tutti, “in primis” della sua famiglia) al termine della Messa, che celebrammo in lingua creòla (un misto tra portoghese e lingue locali), mi ringraziò e disse all’assem-blea che ero un segno della grandezza ed unità della Chiesa! Nel mio cuore mi dicevo che loro erano il volto di bellezza della Sposa di Cristo! Un volto bello che queste comunità mostrano con i loro preti e con i missionari che lì danno la vita … e non in modo metaforico!! Una Chiesa così è forza per le nostre Chiese, a volte così sclerotizzate in di-scussioni sterili e accademiche, in pro-blemi che di evangelico non hanno più nulla, in ansie che puzzano di mondanità e di cieca illusione. Pensavo che nelle nostre Comunità ci sarebbe bisogno di fare degli “stages” in terre come questa per respirare ampio, per fare servizio, sì, ma soprattutto per imparare e per valuta-re il peso delle cose e quelle per cui vale davvero la pena spendersi.

Sobrietà per garantire un futuro dell’umanità.

Sobrietà come valore che accompagni tutti gli atti della vita: individuale e collettiva, sociale e politica, culturale ed economica.

Questo pianeta ha ricchezza a sufficienza per i bisogni di tutti, ma non ne ha

a sufficienza per l’avidità di pochi.

Il Sicomoro - Maggio 2012 Pag. 3

I NUOVI STILI DI VITA ...perché oggi è necessario ripensare il nostro modo di vivere

IL 23 ottobre del 1981 la Confe-renza Episcopale Italiana pub-blicava un importante docu-

mento, di cui si propone uno stralcio: «Innanzitutto bisogna ripartire dagli ultimi che sono il segno drammatico della crisi attuale. […] Con gli ultimi e gli emarginati potremo tutti recuperare un genere di-verso di vita. Demoliremo gli idoli che ci siamo costruiti: denaro, potere, consu-mo, spreco, tendenza a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Riscopriremo così il valore del bene comune: della tolleranza, della solidarietà, della giusti-zia sociale, della corresponsabilità e af-fronteremo i sacrifici con un nuovo gu-sto di vivere». Questo «genere diverso di vita», oggi definiti «nuovi stili di vita», nasce dunque dalla dottrina sociale della Chiesa. Paolo VI, nella Enciclica «Populorum progressio» indicava che per affrontare i problemi sociali ed eco-nomici del paese era necessario un cam-biamento che doveva partire dalle istitu-zioni, non senza tuttavia un richiamo ai cittadini affinché lo realizzassero. Dopo la campagna «Contro la fame, cambia la vita» (1985) e sotto la spinta del mondo missionario, questa coscienza nuova si fece sempre più strada nella Chiesa.

Fu Giovanni Paolo II nell’enciclica «Sollecitudo rei socialis» a far risuonare un appello ai cittadini affinché facessero pressione sui vertici della politica: “uno stile diverso personale, fa migliore la vita”.

Infine Benedetto XVI nella Enciclica «Caritas in veritate» sottolineerà: «costruire stili di vita in cui la ricerca del vero, del bello, del buono e della comu-nione con gli altri uomini per una crescita comune, sono gli elementi che determi-nano le scelte dei consumi e degli inve-stimenti; ciò sarà possibile non solo attin-gendo al superfluo ma soprattutto cam-biandogli stili di vita, i modelli di produ-zione e consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono la società». Tutte le Chiese Cristiane, alla fine degli anni ‘80 fecero sorgere così un’iniziativa comune: l’istituzione della Giornata mondiale per la salvaguardia del crea-to, che si celebra il 1 settembre.

Ma che cosa sono gli stili di vita? Gli stili di vita, nel far emergere tutto il potenziale che abbiamo come persone e come Co-munità, conducono l’uomo ad un cambia-mento, a partire dalle sue scelte quotidia-ne per divenire cioè cittadini responsa-bili; cristiani autentici e feriali.

Gli stili di vita generano quattro tipi rap-porti, che corrispondono alla dimensione fondamentale dell’uomo:

1) nuovo rapporto con il creato ► in rela-zione con il mondo dell’ambiente;

2) nuovo rapporto con le cose ► in rela-zione con il mondo dell’economia;

3) nuovo rapporto con le persone ► in relazione con il mondo affettivo-relazionale;

4) nuovo rapporto con la mondialità ► in relazione con il mondo dei popoli.

Simbolo di essi è la mano aperta, dove le quattro dita sono i quattro rapporti che, attraverso il movimento del pollice, inte-ragiscono fra loro in maniera dinamica in modo da generare concretamente nuovi stili di vita. I colori della mano rap-presentano sia gli stili di vita che la bellezza di un mondo a colori, secondo la convi-vialità delle differenze.

Gli stili di vita relativi alla Terra si riassu-mono nella politica delle 4 “R”:

Ridurre i rifiuti, privilegiando confezio-ni senza imballaggi, contenitori riutiliz-zabili, prodotti alla spina;

Riutilizzare gli oggetti, evitando l’usa e getta che è la forma di consumo che spreca di più e produce più rifiuti;

Riciclare e riparare: il riciclo, cioè la raccolta differenziata eseguita corret-tamente, permette ai rifiuti di tornare a vivere in altri oggetti; riparare allunga la vita degli oggetti e risparmia risorse;

Risparmiare l’energia elettrica: adotta-re comportamenti responsabili per far funzionare correttamente gli elettrodo-mestici esistenti; utilizzare elettrodo-mestici di classe energetica A o supe-riore; promuovere politiche che utilizzi-no fonti energetiche rinnovabili e puli-te; fare un uso intelligente dell’auto, promuovendone la condivisione fra un gruppo di persone e riducendo così i costi di trasporto e carburante; predili-gere quando possibile i trasporti pub-blici.

Infine sostenere, incoraggiare e preferire l’acqua del rubinetto; imbroccarla per ridurne il quanti-tativo di cloro libero, e utilizza-re i riduttori di flusso, quei rubinetti cioè che fanno risparmiare perché, miscelan-do acqua e aria, ne riducono i consumi. Più in generale, è necessario impegnarci a mettere in atto pratiche di risparmio a livello familiare, comunitario e agricolo-industriale, tenendo presente che l’80%

dell’acqua è riservato all’agricoltura e all’industria; tuttavia, oggi Napoli è la prima città italiana in cui il Consiglio Co-munale ha deliberato la trasformazione dell’ARIN in azienda pubblica ABC (Acqua Bene Comune)!

Per il cristiano oggi è allora fondamenta-le impegnarsi per il proprio pianeta, la Terra, poiché essa è minacciata da una crisi ecologica, finanziaria, migratoria, energetica ed anche economica. Mai l’umanità aveva affrontato tante crisi in-sieme. Alcuni studi prevedono che entro il 2040 la temperatura globale media dell'aria possa aumentare di circa 1°C se non vengono messe in atto misure per la riduzione della CO2 e degli altri gas ser-ra: questo potrebbe comportare lo scio-glimento dei ghiacciai e un conseguente innalzamento del livello del mare. Questi fenomeni si prevede che a loro volta possano determinare un processo di desertificazione ed un conseguente eso-do dei popoli verso le città occidentali. Appare evidente quindi che l’attuale sistema di vita, il quale si regge sull’idea che la crescita economica possa essere infinita, è in crisi: prevedere, infatti, una crescita economica infinita significa am-mettere che l’ecosistema abbia risorse finite. Le popolazioni occidentali (che rappresentano circa 800 milioni di indivi-dui su 7 miliardi di popolazione mondia-le) non possono pertanto continuare ad attingere a tali risorse in maniera infinita (cioè, con consumo infinito), poiché se ciò si verificasse sarebbero necessari altri 5 pianeti! Ad oggi infatti, l’impronta ecologica (il rapporto cioè tra il territorio, la produzione di risorse e lo smaltimento dei rifiuti) è superiore del 50% rispetto alla capacità del pianeta Terra di rigene-rarsi; e questo ci deve far interrogare circa la vita dei 4/5 di popolazione del pianeta, i cosiddetti impoveriti del mondo (impoveriti da un sistema!)….come po-tranno vivere? Un tale modello di svilup-po è insostenibile. Bisogna necessaria-mente ripensare il nostro modo di vivere.

Il Papa Benedetto XVI nell’ultima enciclica ha detto che se l’uomo è stato scelto per essere custode del creato, esi-ste il diritto per tutti gli uomini di abitare e gode-re dei benefici della terra.

Infatti nel racconto di Genesi (Gen 1,28) l’uomo riceve una precisa responsabilità: la custodia e la salvaguardia della crea-zione, essere fecondo e moltiplicarsi.

Continua a pag. 4

di Vittoria Scarda

“Bisogna vivere semplicemente

per poter permettere agli altri

semplicemente di vivere”

Il Sicomoro - Maggio 2012 Pag. 4 Continua da pag. 3

“I nuovi stili di vita” di Vittoria Scarda

Riempire la terra però non vuol dire cal-pestarla; piuttosto abitarla, perché diventi casa per l’uomo e per tutte le creature, luogo in cui Dio abita con gli uomini e dove la terra partecipa alla storia della Salvezza.

La creazione è il luogo del Regno dove l’uomo manifesta la condivisione e la solidarietà con gli altri esseri viventi, tutti uniti da un destino comune. Concreta-mente, questo significa che noi, come cristiani, possiamo anzi dobbiamo pro-muovere un modello di sviluppo ispirato all’equità, che sia attento a quanto costa agli altri la produzione del nostro perso-nale benessere. È necessario quindi un cambiamento di rotta, una CONVERSIO-NE!

Abbiamo il dovere di passare da una visione utilitaristica della creazione, in cui

la Terra è un oggetto, una merce con la quale si crea profitto anche a costo di depredarla, alla necessità di sentire il creato come parte di noi, e noi come parte del creato.

La Terra ha bisogno di consumatori critici e responsabili, che ne capiscano il valore e che la difendano, e di leggi che non permettano i disastri ambientali di cui sentiamo parlare quasi quotidianamente.

Eppure nelle Scritture c’è una coscienza ecologica che noi cristiani ancora non conosciamo, o conosciamo poco: il no-stro è un Dio che vive l’etica del rispetto, della previsione e della cura per la Terra. Dobbiamo perciò essere consapevoli delle nostre azioni, poiché la legge non serve solo per vivere, ma anche per con-servare la Terra per le generazioni futu-re: essa è benedizione, appartiene a Dio (Levitico 25) e l’uomo non ne è proprieta-rio. La Terra è espressione della fede e dell’Alleanza con Dio, e dal rapporto che Israele ha con la terra dipende anche il rapporto con Dio (Gen 12, 1).

A volte penso a quanto sia stato rimosso dalla nostra coscienza l’elemento natura-le, salvo considerarlo una bella cornice per le foto o versare tante lacrime quan-do si verificano disastri ambientali. Come cristiani dobbiamo assumerci la respon-sabilità del peccato, del tradimento nei confronti della nostra Madre Terra, e riconoscere che non saremo noi a salva-re la Terra, ma se l’assumiamo e consi-deriamo anch’essa come creatura sare-mo noi a salvarci con la Terra (Sapienza 1, 1-7).

Riferimenti per approfondire i temi proposti nell’articolo:

www.acquabenecomune.org/

nuovistilidivitapadova.wordpress.com

decrescitafelice.it/

http://www.girabito.it/

Miniguida dei nuovi stili di vita, di Adriano Sella, ed. Monti, 2007.

Lo stile di vita di ciascuno di noi si

forma, negli anni, attraverso informa-

zioni e valori che si acquisiscono in

famiglia, attraverso conoscenze spe-

cifiche che si apprendono a scuola,

attraverso il recepimento, più o meno

consapevole, di messaggi dei media

o dei luoghi che si frequentano. A un

certo punto il nostro stile assume

una fisionomia ben definita, ed è

caratterizzato da alcune regole o

pilastri fondamentali e da altri aspetti

più flessibili, sui quali ciascuno è

disposto a scendere a compromessi.

I messaggi dei media, nel mio stile di

vita, hanno rivestito un ruolo rilevan-

te. Ricordo soprattutto il famoso De-

nim, un dopobarba che molti di voi

sanno che è “per l’uomo che non

deve chiedere, mai!” Ed io infatti,

quando lo usavo, non mi chiedevo

mai nulla. Una volta però non l’ho

comperato ed ho cominciato a pormi

delle domande. La prima: “Perché

usi questo dopobarba?” La risposta:

non l’ho comprato più.

Poi mi sono posto qualche domanda

più impegnativa sugli stili di vita e di

come, per esempio, la diffusione

della droga non fosse legalizzata.

Non c’è voluto molto per convincermi

che, in una società civile ed evoluta,

il consumo di questi prodotti, così

dannosi e deleteri non solo per lo

stile di vita, ma addirittura per la vita

dei consumatori, fosse da impedire a

tutti i costi, costringendo il consuma-

tore, un soggetto dipendente, a rivol-

gersi ad una rete illegale e criminale.

Bella scoperta direte voi… Però da-

temi un po’ di tempo che pian piano

ci arrivo. Non vi arrabbiate, non sono

banale e, anzi, visto che mi sono

stancato a pensare così tanto, ora mi

fermo!!

Il mio personale stile di vita, super-

condizionato dai messaggi dei me-

dia, mi ricorda che quando sono

stanco “è l’ora senza pari, è

l’ora del Campari!!!”. Buonissi-

mo.

Così come quelle bibite colorate tan-

to care ai più giovani, quelle cosid-

dette soft, a basso tasso alcolico.

Molti iniziano così, consumando quel

prodotto così appetitoso agli occhi,

buono da bere, desiderabile per ac-

quistare potere … E poi pian piano,

una bottiglietta di qua, e un cocktail

di là, e qualcuno di questi giovani

diventa dipendente, ed entra far par-

te di quei 3 milioni di bevitori a ri-

schio, o del milione di alcolisti che ci

sono in Italia. Ma allora, mi direte,

l’alcol è come la droga? L’ho scritto

più sopra: in una società civile ed

evoluta, il consumo di questi prodotti,

così potenzialmente dannosi e dele-

teri, non solo per lo stile di vita, ma

addirittura per la vita dei consumato-

ri, sarebbe da impedire a tutti i costi.

Continua a pag. 5

LEGGI RESPONSABILMENTE

Dal dopobarba al Campari….e fino al Vangelo che salva

di Luigi Pagliara

Il Sicomoro - Maggio 2012 Pag. 5

Continua da pag. 4

“Leggi responsabilmente” di Luigi Pagliara

Eh no!!! Così sarebbe troppo proibi-

zionista: lo sappiamo... il consumato-

re - che in questo caso può essere

talmente fidelizzato da diventare un

soggetto dipendente - si può rivolge-

re ad una rete, stavolta legale, che

paga le sue salatissime tasse allo

Stato. E che compromesso è mai

questo?...potrebbe obiettare qualcu-

no! Così siamo in un paese civile?

Certamente!!!

I benpensanti hanno deciso che per

diventarlo basta scrivere, nelle pub-

blicità degli alcolici, e anche molto

piccolo in basso a sinistra, la frase

magica “bevi responsabilmente”.

Oppure, se la pubblicità è via radio,

basta dire la stessa frase “bevi re-

sponsabilmente” molto veloce, come

quando si metteva il disco a 78 giri…

Bella ipocrisia, potrebbe pensare

qualcun’altro!!! Infatti, se ci penso mi

arrabbio e comincio a fumare. Sì, a

fumare….e lo so, mi rendo perfetta-

mente conto che il fumo incide sul

mio stile di vita. Però non è vieta-

to….e poi questo fumo, quanto potrà

incidere sul mio stile di vita? Basta

che non fumo nella maggior parte

dei posti che frequento, e che leggo

quello che c’è scritto sui pacchetti;

ovvero che il fumo uccide; che pro-

voca il cancro; che invecchia la pelle;

che crea dipendenza, ecc…. Quindi

crea dipendenza, allora - mi potreb-

be dire lo stesso qualcuno di prima -

anche il fumo è come la droga, se

crea dipendenza? L’ho già scritto più

sopra per la droga ed anche per l’al-

cool. In questo caso la vendita non si

vieta. Anche qui, secondo tanti, la

misura sarebbe troppo proibizionista

e poi, con qualche miliardo di Euro

che lo Stato ricava ogni anno dalla

vendita delle sigarette, si possono

mai togliere dal commercio? E se ci

riflettiamo, quando fuori dall’orario

dei negozi abbiamo bisogno di un

pezzo di pane o un litro di latte an-

diamo in difficoltà, ma se vogliamo

un pacchetto di sigarette lo troviamo

nei distributori automatici. Il pane

non lo troviamo, le sigarette sì. Sem-

pre. E si potrebbe mai pensare di

vietarle?

Ma allora, questi messaggi che arri-

vano portano a favorire stili di vita

non sani? Ma nemmeno per sogno!!!

Noi viviamo in una società libera,

dove si può fare tutto. Ad esempio, a

te ti piace vincere facile? Vuoi vince-

re per la vita intera? Ti piace, come

Fabrizio Miccoli, giocare in casa? E

allora non avere dubbi. Con il gioco

d’azzardo, altro che alcol e sigarette,

lì se vinci puoi anche non lavorare

mai più… Questo è il vero, grande

messaggio per uno stile di vita da

sogno. Lo stato pubblicizza il gioco

per favorire quei pochi vincitori del

sogno? E’ così, e i tanti che entrano

in una dipendenza stretta dal gioco e

cambiano completamente il loro stile

di vita? Ci sono quelli delle slot-

machine, delle roulette e del poker

che ormai imperano in internet, le

donne vere, quelle di carne con ma-

riti e figli, che si concedono per poter

giocare di più nelle sale Bingo, è la

decadenza totale di alcune vite. Allo-

ra anche il gioco è come la droga? E

perché non viene vietato? No, ma

che sei pazzo? Ma ti rendi conto di

quanti miliardi di Euro all’anno entra-

no nelle casse dello Stato per i vari

giochi? Se ti metti a grattare, non per

vincere, ma per capire, ti rendi conto

che alla fine c’è sempre un piccolo

ed ipocrituccio compromesso mora-

le. E quel è? La solita postilla, è il

certificato di buona condotta dei ben-

pensanti, che ti dice che se è vero

che vuoi vincere facile è anche vero

che devi giocare con moderazione.

Pensiamo al cosiddetto mondo libero

che guarda al cattolicesimo come

luogo di prigionia, fatto di tanti obbli-

ghi morali e di tante regole incom-

prensibili da rispettare. Questo co-

siddetto mondo, che si crede libero

ma che invece è prigioniero assoluto

delle tante trappole diffuse in giro per

creare dipendenze e business. Il

mondo dipendente dei media, e noi

prigionieri del Vangelo, che guida il

nostro stile di vita e ci aiuta a com-

battere la nostra battaglia anche nel

discernimento dei messaggi pubblici-

tari. Da uomini liberi, senza le catene

del proibizionismo, accettiamo la

diffusione di alcol, fumo e giochi da

sogno consapevoli che la buona no-

vella è una sola. Maranathà.

Ehi, mi raccomando, per chiunque di

voi volesse discutere con me dei

temi di quest’articolo, mi parli re-

sponsabilmente e mi attacchi con

moderazione.

Vostro Fratello in Cristo,

Gino Pagliara

Il Sicomoro - Maggio 2012 Pag. 6

Secondo alcune ricerche, due terzi degli italiani afferma

di sostenere un buon stile di vita. Albanesi (2006) affer-

ma che questo è possibile se un soggetto:

1. non fuma;

2. non beve abitualmente alcolici;

3. non fa uso di droghe e/o di sostanze illecite;

4. non è in sovrappeso;

5. non è sedentario;

6. ha un'alimentazione varia ed equilibrata;

7. esegue controlli periodici di prevenzione;

8. non si sente stressato;

9. non si sente depresso;

10. non si sente ansioso.

Significa che l’italiano medio è migliore di quello che si

dice in giro? Oppure, supportati dall’attribuzione soggetti-

va del significato “stili di vita”, come spesso

accade, ci si è aggiudicati un autocertificato

di buona condotta?

Allora fumare e bere solo nel fine settimana diventa

un’insignificante evasione, e mangiare abitualmente nei

fast-food una forma di alimentazione come un’altra.

La verità è che è rarissimo (se non impossibile) trovare

una persona che effettivamente rispetti tutti e 10 punti.

Ma si può sicuramente tendere ad un costante migliora-

mento. Come? sicuramente un metodo efficace è quello

di porsi piccoli obiettivi quotidiani.

E il cristiano come si pone in merito alla questione? Il

cristiano degno del suo nome, è una persona che segue

“sicuramente” un buono stile di vita: rispetta gli altri e il

suo corpo in quanto dono prezioso di Dio; la sua mente;

il Creato che Dio gli ha affidato. Vive in modo sereno e

gioioso il suo tempo perché sa che non c’è niente e nes-

suno che può separarlo da Lui.

...Non è così fratelli?

La sobrietà è uno stile di vita, personale e collettivo, più parsimonioso, più pulito,

più lento, più inserito nei cicli naturali. La sobrietà è più un modo di essere che di

avere.

È uno stile di vita che sa distinguere tra i bisogni reali e quelli imposti.

È la capacità di dare alle esigenze del corpo il giusto peso senza dimenticare

quelle spirituali, affettive, intellettuali, sociali.

È un modo di organizzare la società affinché sia garantita a tutti la possibilità di

soddisfare i bisogni fondamentali con il minor dispendio di risorse e produzione

di rifiuti. In ambito personale, la sobrietà si può riassumere in dieci parole d'ordi-

ne: pensare, consumare critico, rallentare, ridurre, condividere, recuperare, ripa-

rare, riciclare, consumare locale, consumare prodotti di stagione. Naturalmente

non dobbiamo limitarci a rivedere i nostri consumi privati, ma anche quelli collet-

tivi perché anche fra questi ce ne sono di dannosi e di superflui. Di sicuro dovre-

mo eliminare gli armamenti, ma dovremo anche sprecare meno energia per l'illu-

minazione delle città, dovremo accontentarci di treni meno veloci e meno lussuo-

si, dovremo costruire meno strade. Perfino in ambito sanitario dovremo diventare

più sobri affrontando la malattia non solo con la scienza, ma anche con una di-

versa concezione della vita e della morte, in modo da evitare l'accanimento tera-

peutico e l'eccessiva medicalizzazione di eventi naturali come la vecchiaia.

di Francesco Gesualdi

UN BUON STILE DI VITA E’ POSSIBILE? Come si pone il cristiano?

di Stefania Pacca

F r a n c e s c o G e s u a l d i è un attivista italiano. In gioventù è stato al l ievo di Don Mila-ni alla Scuola di Barbiana. Ormai pensionato, utilizza tutto il suo tem-po per coordinare e svolgere le attività di un centro di documenta-zione, il “Centro Nuovo Modello di Sviluppo” di Vecchiano (PI), che si occupa di squilibri sociali e ambien-tali a livello internazionale, con l'obiettivo di indicare le iniziative concrete che ciascuno di noi può assumere, a partire dalla propria quotidianità, per opporsi ai meccani-smi che generano ingiustizia e malsviluppo. Una sezione del Cen-tro svolge attività di ricerca sul comportamento sociale ed ambien-tale delle imprese, con l'obiettivo di fornire informazioni ai consumatori tramite guide cartacee e siti inter-net. Ha pubblicato libri e articoli riguardanti la negazione dei diritti umani, lo sfruttamento del lavoro m i n o r i l e , i l p o t e r e d e l -le multinazionali, la crisi dell'occupa-zione, l'impoverimento a livello globale, il problema energetico, il debito del Terzo Mondo, l'inquina-mento e la distruzione dell'ecosiste-ma. (Tratto da Wikipedia)

Il Sicomoro - Maggio 2012 Pag. 7

ORATORIO: un luogo nato tanti anni fa per permettere ai genitori dell’allora Grup-

po Giovani (oggi Gruppo Esperienza) di seguire le attività del sabato senza il proble-

ma “dell’organizzazione figli”.

ORATORIO: un luogo dove giocare e divertirsi, e dove attraverso l’incontro e lo scontro con i compa-

gni, i nostri figli possono fare la loro prima esperienza di Comunità.

ORATORIO: un luogo in cui, attraverso i momenti di preghiera in cappellina ed il primo approccio con

la Parola, i bambini possono imparare a conoscere ed amare GESU’.

La Responsabile, Maria Geremia

Nell’oratorio della nostra chiesa stiamo preparando un progetto particolare: ogni sabato avrà un tema in base alla lettera dell' alfabeto attribuita. Qualche sabato fa, abbiamo accolto dei nuovi bambini che faranno parte dell'oratorio, e lo abbiamo fatto in un modo un po’ speciale: abbiamo pre-parato apposta per loro alcuni sketch divertenti: siamo stati tutta una do-menica in oratorio a provare, prova-re, e provare; abbiamo migliorato, abbiamo perfezionato, abbiamo fat-to, rifatto e strafatto. Abbiamo anche preparato loro dei piccoli doni: su alcuni bigliettini abbiamo scritto dei pensieri carini, e li abbiamo attaccati

sopra dei piatti a forma di fiore. Ai nuovi bambini è piaciuto tanto questo piccolo pensierino, e noi sa-remo sempre felici di accogliere altri di loro. Il primo sabato che siamo stati insie-me in oratorio abbiamo giocato alla “pesca fiduciosa dell’amico’’: ci siamo conosciuti, abbiamo imparato i nomi di tutti, e poi quattro bambini, con gli occhi bendati, hanno dovuto in-dovinare il bambino da loro pescato. Poi, un bambino doveva essere ben-dato e doveva riuscire ad eseguire un percorso a ostacoli seguendo e fidandosi delle indicazioni di un suo compagno.

Per me l’ oratorio è una mano che accoglie tante gocce per formare il mare. È la possibilità di capire cos’è una comunità, e capire che ne fac-ciamo parte, che dobbiamo stare insieme, uniti e che dobbiamo aiu-tarci a vicenda. Io, all’ oratorio, ci vado da quando avevo due mesi, ed ho sempre pen-sato che fosse la cosa migliore che mi sia mai capitata, perché mi ha fatto comprendere l’importanza di Cristo e quella dell’amicizia. Però, a volte soffro, perché ci sono alcuni bambini che non eseguono le attività

previste, fanno arrabbiare i grandi-responsabili, e non permettono il mantenimento dell’oratorio, infatti, se l’ora-torio dovesse chiudere come l’anno scorso, ne soffrirei di cuore. MI PIACEREBBE CHE L’ORA-TORIO NON SMETTESSE MAI DI ESISTERE, COSI’ CHE TUTTI, COME ME, POTESSE-RO CAPIRE L’IMPORTANZA DI CRISTO E IMPARARE AD AMARE COME LUI ! ! !

di Fabiana Botta

Il Sicomoro - Maggio 2012 Pag. 8

Gesù, entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse in avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo. Gesù alzò lo sguardo e gli disse: <<Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua>>. In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. (Lc 19, 1-6)

Il sicomoro è l’albero su cui sale Zaccheo; è ciò che gli permette di vedere oltre il proprio punto di vista e i propri limiti, e di lasciarsi “guardare” e scegliere da Gesù.

Ogni settimana, di sabato,

noi bambini dei genitori del

Gruppo Esperienza, veniamo

accompagnati all'oratorio, un

luogo per stare insieme e

divertirci con giochi e lavoretti

festivi. Mentre noi siamo in

questo luogo i genitori fre-

quentano il gruppo. Ogni sa-

bato svolgiamo giochi diversi,

ma come si fa a deciderli?

Si segue un ordine alfabetico:

A = Accoglienza

B = Biscotti

C = Caccia al tesoro...

Gli altri ancora non li co-

nosciamo, ma sicura-

mente saranno divertenti.

Ogni settimana i genitori

fanno a turno per stare

con noi e farci divertire

tutti insieme. Una volta che

abbiamo svolto i giochi ci

fanno mangiare, naturalmen-

te con colazione a sacco! Poi

ci fanno andare in cappellina,

un luogo di preghiera dove

ognuno di noi può fare pre-

ghiere di diverso tipo. lo ci

vado con piacere e lo dimo-

stro dal fatto che quando i

miei genitori vengono a pren-

dermi per andarcene, non

vorrei staccarmi dai

miei amici!!! ... Solo

che una delle regole

vuole che i bambini dalla pri-

ma media in su non possano

più frequentare l'oratorio …

di Francesco Silvestro

Rendiamo necessarie mille cose superflue: esse generano un'infinità di miserie, una perdita di tempo e una vita difficile e tesa.

Il superfluo dei ricchi dovrebbe servire al necessario dei pove-ri e, invece, il necessario dei poveri serve al superfluo dei ricchi.

Si racconta che Socrate visitasse spesso il mercato di Atene e a chi gli chiedeva la ragione di tanto interesse, anche perché non vi acquistava nulla, rispondesse: «Vedo tutte le cose di cui non ho bisogno e di cui si può fare a meno nella vita».

È un po' quello che noi chiamiamo «il superfluo», una realtà sulla quale si fonda invece una buona parte dell'attuale pub-blicità. Mi sono imbattuto, al riguardo, in una suggestiva ri-flessione di Jean Domat, considerato il più grande giurecon-sulto francese del Seicento. La propongo nella sua immedia-tezza perché ci aiuta a fare almeno due considerazioni. Da un

lato, c'è l'efficace rappresentazione delle cose inutili che accu-muliamo (si pensi, solo per fare un esempio, allo spreco dei medicinali). Il cliente - anzi, il customer, come si usa dire oggi - è coccolato, assediato e circuito perché si convinca, come scriveva Erich Fromm nell'Arte di amare, che «la felicità mo-derna consiste nel guardare le vetrine e comprare tutto quello che ci si può permettere, in contanti o a rate». D'altro lato, questo consumismo spesso è un bene sottratto a chi ha la pura e semplice e vera necessità di sopravvivere. Pensiamo all'enorme quantità di pane che ogni giorno è gettata nella spazzatura e allo sperpero di realtà naturali che permettereb-bero a molti di non morire di fame. In questi e altri casi ha ragione Domat: noi destiniamo il necessario dei poveri alle cupidigie del nostro superfluo.

Tratto da “Il Mattutino” di Gianfranco Ravasi (www.avvenire.it)

IL SUPERFLUO