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i siamo stancati di ripetere che il si- stema politico umbro è in crisi. La sen- sazione è che ormai non sia più utile dirlo, è un dato di fatto; e pensare che se ne possa uscire a breve è perlomeno temerario. Ormai co- stituisce e costituirà, non sappiamo per quanto, un elemento permanente del quadro, Dopo le ultime elezioni regionali qualche cretino demo- cratico, accademico e politico, si è beato della contendibilità delle amministrazioni locali, soste- nendo che questo sia un segno del superamento del passato, della fine dell’approccio ideologico alla politica, insomma una espressione di moder- nità. Allo stesso modo oggi si sostiene, disinvol- tamente, che non ci sono alternative al governo dei democratici, poiché le minoranze non sareb- bero credibili, come se bastasse questo per impe- dire cambi di maggioranze e di governo. Ma il punto non sono tanto le stupidaggini che impro- babili commentatori scrivono sui giornali o di- cono in televisione. La questione è più articolata e riguarda l’insieme delle forze in campo. Per ri- durla all’osso: un equilibrio politico durato venti anni è finito. Il centrosinistra non esiste più. Ri- mane un Pd sempre più debole come struttura di partito, mentre a sinistra domina la confusione più totale, con percentuali elettorali da prefisso telefonico. Nel centrodestra si manifesta un’unità di facciata che non riesce a sovrastare la crisi di prospettiva che emerge a livello nazionale. D’altro canto i pentastellati, pur con rispettabili percen- tuali elettorali, non riescono ad essere competitivi sul piano dell’alternativa di governo. La crisi dei partiti, e tra essi di quello di Renzi, ormai ridotto a un insieme di comitati elettorali con un corpo attivo fatto di rappresentanti nelle istituzioni e notabilato di vario genere, fa sì che essi spesso si presentino con candidati e liste in cui la loro pre- senza viene annacquata, quando non nascosta. Insomma il vecchio sistema politico si è rotto, quello nuovo ancora non è nato e non si riesce a comprendere come si configurerà. Tale situazione è icasticamente rappresentata dalla formazione delle liste per le prossime elezioni co- munali. Per una decina di comuni interessati dalla tornata elettorale, di cui solo due, Assisi e Città di Castello, sopra 15.000 abitanti, ci sono una quarantina di candidati a sindaco. C’è qualcosa di più della capacità espansiva del Movimento 5 stelle o del fascino delle liste civiche. Il caso limite è Bevagna dove il centrodestra non si presenta, il Pd si divide in tre liste, all’interno delle quali tro- vano spazio alternativamente esponenti di destra e di sinistra. L’unica lista catalogabile è quella Cinque stelle capeggiata da Emma Di Filippo. Ad Assisi il centrodestra si divide tra uomini di Ricci, con una lista civica che candida a sindaco Lunghi, e una targata Lega, Fi, Fd’I con candidato Bartolini (il vecchio che avanza). Il Pd si è acco- dato ad una candidata sponsorizzata dalla Cei. Una lista, che candida Luigi Ciotti, raccoglie la sinistra diffusa e qualche rifondatore, ma lascia fuori Sinistra italiana. Accanto a queste offerte elettorali ci sono i pensastellati e uno sfavillio di liste civiche. A Città di Castello, infine, il socialista Bacchetta viene appoggiato da Pd, socialisti e la Sinistra per Castello, dove si sono concentrati “Possibile” e Rifondazione, nazionalmente orien- tati verso liste in opposizione ai candidati appog- giati dal Pd. La motivazione è che la giunta tifer- nate è di sinistra-centro (ma qui il Pd non è quello di Verini e Ascani, renziani di ferro?), la stessa con cui Sel e soci giustificavano un anno fa la loro adesione alla candidatura di Catiuscia Marini. A essere malevoli verrebbe da dire che la speranza di un assessorato non olet. Per contro la sinistra diffusa presenta candidato e lista, in cui sono pre- senti anche uomini di Sinistra italiana. Qui il centrodestra si ricompatta per forza di fame, sono presenti i Cinque stelle e qualche lista civica. Come si vede la battaglia per la rappresentanza segue faglie che riflettono i percorsi di disartico- lazione del corpo sociale, prostrato dalla lunga crisi, disilluso, senza nessuna fiducia nella possi- bilità di incidere sulla politica e sull’amministra- zione. Per contro le amministrazioni in carica fi- brillano. A Perugia la giunta Romizi ogni tanto è sottoposta a refoli interni che ne mettono in di- scussione la tenuta, anche se non si manifestano con evidenza: l’occasione di governare la città per grazia ricevuta è stata troppo ghiotta per buttarla a mare. A Terni Di Girolamo non sa più a che santo votarsi ed è permanentemente in apnea, va avanti per forza d’inerzia. A Foligno non è chiaro se l’amministrazione attuale supererà lo scoglio del bilancio. In Regione la crisi “sanitaria” è solo apparentemente superata: i contendenti sono in tregua, basta poco per riaprire le ostilità. È suffi- ciente solo che uno dei punti ceda perché si in- neschi un effetto domino i cui esiti sono difficil- mente prevedibili. È vero: le amministrazioni locali sono contendibili. Già, ma da chi? mensile umbro di politica, economia e cultura in edicola con “il manifesto” commenti Querelati ma non Vinti Santa Rita in Premier League Regole a Braccio Banchi che volano Tra capo e collo La cultura dell’intolleranza Chiedo asilo Vinicio e il lago 2 politica Ballo in maschera 3 di Saverio Monno Tanti numeri e poca sostanza Miss Jane Marple Pubblico fa bene 4 a cura della redazione La ripresa c’è ma non si vede di Franco Calistri Pensione 5 di Jacopo Manna I numeri e i responsabili del disastro 6 di Anna Rita Guarducci un Viaggio in Umbria Da Umbertide a Gubbio 7 a cura di Franco Calistri, Renato Covino, Osvaldo Fressoia, Giovanna Nigi, Giuseppe Rossi società Logge di vetro e logge di cioccolato 11 di Osvaldo Fressoia Un vecchio brontolone 12 di Salvatore Lo Leggio cultura Al centro del cratere 13 di Roberto Monicchia Intelligenze artificiali di Alberto Barelli Viva il colore 14 di Paolo Lupattelli Retroarte di Enrico Sciamanna Lo squallore della lingua e il dialetto ritrovato 15 di Salvatore Lo Leggio Libri e idee 16 maggio 2016 - Anno XXI - numero 5 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10 copia omaggio Il sonno della ragione nestà, onestà!” urlano i grillini. “Sì, ma voi siete come tutti, come noi!” rispondono i renziani. I primi non si rendono conto che la corruzione non è il motivo scatenante della crisi dello Stato, i secondi si pongono sul crinale indicato da Craxi un quarto di secolo fa: la corruzione è connaturata alla politica, battersi contro di essa è puro moralismo, al massimo la si può conte- nere. È la solita situazione in cui si confondono gli effetti con le cause. La causa è la crisi per- manente del sistema democratico così come è uscito dalla seconda guerra mondiale, la sua in- capacità di rispondere ai cambiamenti della so- cietà italiana, lo iato tra quanto previsto nel dettato costituzionale e l’articolazione concreta della pratica istituzionale. In questo quadro i fenomeni di corruzione, le indagini su ammi- nistratori e politici, le contaminazioni tra poli- tica, amministrazione e affari sono un dato “normale”, strutturale. Da anni la soluzione è vista in un cambiamento delle regole del gioco. La riforma costituzionale è l’ultimo atto di un processo che ha provocato la verticalizzazione del potere, prima con l’elezione diretta dei sin- daci, dei presidenti delle Province e delle Re- gioni, poi con l’autonomizzazione degli enti economici e degli appari burocratici. Le assem- blee elettive sono state svuotate, in nome della governabilità, a favore degli esecutivi. Nella ri- forma elettorale e in quella della Costituzione tale itinerario trova il suo naturale compimento. Se ci si pensa bene c’è in tutto questo una linea di continuità tra Craxi, Berlusconi e Renzi e non si possono chiamare fuori neppure gli eredi del vecchio Pci, oggi in minoranza nel Pd. C’è di più. Nella storia europea ci sono state altre torsioni autoritarie della democrazia. L’esempio tipico è quello di De Gaulle e della sua costitu- zione, che all’epoca venne definita un colpo di Stato pulito. Ma dietro ad essa c’era l’autorità del capo della Resistenza francese e un lucido disegno di riorganizzazione dello Stato. Oggi, in Italia, non c’è nulla di tutto questo. Renzi non è De Gaulle e le riforme fatte o in fieri sono destinate a disarticolare ulteriormente la macchina dello Stato, ad accentuarne le disfun- zioni. Che a questo si possa rispondere con il mito della democrazia dei meetup, o con il gioco di chi è più onesto, è francamente risibile. Occorrerebbe una tensione civile e culturale che si tramutasse in lotta di massa. Qualche traccia se ne intravede nella battaglia per il No al referendum sulla Costituzione, speriamo che cresca e soprattutto che sia sufficiente a contra- stare il sonno della ragione. O C Equilibrio precario Gubbio. Piazza Grande Le foto dell’intero numero sono relative al viaggio da Umbertide a Gubbio

Il sonno Equilibrio precario della ragione · alla politica, insomma una espressione di moder-nità. Allo stesso modo oggi si sostiene, disinvol-tamente, che non ci sono alternative

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i siamo stancati di ripetere che il si-stema politico umbro è in crisi. La sen-sazione è che ormai non sia più utile

dirlo, è un dato di fatto; e pensare che se ne possauscire a breve è perlomeno temerario. Ormai co-stituisce e costituirà, non sappiamo per quanto,un elemento permanente del quadro, Dopo leultime elezioni regionali qualche cretino demo-cratico, accademico e politico, si è beato dellacontendibilità delle amministrazioni locali, soste-nendo che questo sia un segno del superamentodel passato, della fine dell’approccio ideologicoalla politica, insomma una espressione di moder-nità. Allo stesso modo oggi si sostiene, disinvol-tamente, che non ci sono alternative al governodei democratici, poiché le minoranze non sareb-bero credibili, come se bastasse questo per impe-dire cambi di maggioranze e di governo. Ma ilpunto non sono tanto le stupidaggini che impro-babili commentatori scrivono sui giornali o di-cono in televisione. La questione è più articolatae riguarda l’insieme delle forze in campo. Per ri-durla all’osso: un equilibrio politico durato ventianni è finito. Il centrosinistra non esiste più. Ri-mane un Pd sempre più debole come struttura dipartito, mentre a sinistra domina la confusionepiù totale, con percentuali elettorali da prefissotelefonico. Nel centrodestra si manifesta un’unitàdi facciata che non riesce a sovrastare la crisi diprospettiva che emerge a livello nazionale. D’altrocanto i pentastellati, pur con rispettabili percen-tuali elettorali, non riescono ad essere competitivisul piano dell’alternativa di governo. La crisi deipartiti, e tra essi di quello di Renzi, ormai ridottoa un insieme di comitati elettorali con un corpoattivo fatto di rappresentanti nelle istituzioni e

notabilato di vario genere, fa sì che essi spesso sipresentino con candidati e liste in cui la loro pre-senza viene annacquata, quando non nascosta.Insomma il vecchio sistema politico si è rotto,quello nuovo ancora non è nato e non si riesce acomprendere come si configurerà. Tale situazione è icasticamente rappresentata dallaformazione delle liste per le prossime elezioni co-munali. Per una decina di comuni interessati dallatornata elettorale, di cui solo due, Assisi e Cittàdi Castello, sopra 15.000 abitanti, ci sono unaquarantina di candidati a sindaco. C’è qualcosadi più della capacità espansiva del Movimento 5stelle o del fascino delle liste civiche. Il caso limiteè Bevagna dove il centrodestra non si presenta, ilPd si divide in tre liste, all’interno delle quali tro-vano spazio alternativamente esponenti di destrae di sinistra. L’unica lista catalogabile è quellaCinque stelle capeggiata da Emma Di Filippo.Ad Assisi il centrodestra si divide tra uomini diRicci, con una lista civica che candida a sindacoLunghi, e una targata Lega, Fi, Fd’I con candidatoBartolini (il vecchio che avanza). Il Pd si è acco-dato ad una candidata sponsorizzata dalla Cei.Una lista, che candida Luigi Ciotti, raccoglie lasinistra diffusa e qualche rifondatore, ma lasciafuori Sinistra italiana. Accanto a queste offerteelettorali ci sono i pensastellati e uno sfavillio diliste civiche. A Città di Castello, infine, il socialistaBacchetta viene appoggiato da Pd, socialisti e laSinistra per Castello, dove si sono concentrati“Possibile” e Rifondazione, nazionalmente orien-tati verso liste in opposizione ai candidati appog-giati dal Pd. La motivazione è che la giunta tifer-nate è di sinistra-centro (ma qui il Pd non è quellodi Verini e Ascani, renziani di ferro?), la stessa

con cui Sel e soci giustificavano un anno fa laloro adesione alla candidatura di Catiuscia Marini.A essere malevoli verrebbe da dire che la speranzadi un assessorato non olet. Per contro la sinistradiffusa presenta candidato e lista, in cui sono pre-senti anche uomini di Sinistra italiana. Qui ilcentrodestra si ricompatta per forza di fame, sonopresenti i Cinque stelle e qualche lista civica.Come si vede la battaglia per la rappresentanzasegue faglie che riflettono i percorsi di disartico-lazione del corpo sociale, prostrato dalla lungacrisi, disilluso, senza nessuna fiducia nella possi-bilità di incidere sulla politica e sull’amministra-zione. Per contro le amministrazioni in carica fi-brillano. A Perugia la giunta Romizi ogni tanto èsottoposta a refoli interni che ne mettono in di-scussione la tenuta, anche se non si manifestanocon evidenza: l’occasione di governare la città pergrazia ricevuta è stata troppo ghiotta per buttarlaa mare. A Terni Di Girolamo non sa più a chesanto votarsi ed è permanentemente in apnea, vaavanti per forza d’inerzia. A Foligno non è chiarose l’amministrazione attuale supererà lo scogliodel bilancio. In Regione la crisi “sanitaria” è soloapparentemente superata: i contendenti sono intregua, basta poco per riaprire le ostilità. È suffi-ciente solo che uno dei punti ceda perché si in-neschi un effetto domino i cui esiti sono difficil-mente prevedibili. È vero: le amministrazionilocali sono contendibili. Già, ma da chi?

mensile umbro di politica, economia e cultura in edicola con “il manifesto”

commentiQuerelati ma non Vinti

Santa Rita in Premier League

Regole a Braccio

Banchi che volano

Tra capo e colloLa cultura dell’intolleranzaChiedo asiloVinicio e il lago 2

politicaBallo in maschera 3di Saverio Monno

Tanti numeri e poca sostanzaMiss Jane Marple

Pubblico fa bene 4a cura della redazione

La ripresa c’è ma non si vededi Franco Calistri

Pensione 5di Jacopo Manna

I numeri e i responsabilidel disastro 6di Anna Rita Guarducci

un Viaggio in UmbriaDa Umbertide a Gubbio 7a cura di Franco Calistri,Renato Covino, Osvaldo Fressoia,Giovanna Nigi, Giuseppe Rossi

societàLogge di vetro e logge di cioccolato 11di Osvaldo Fressoia

Un vecchio brontolone 12di Salvatore Lo Leggio

culturaAl centro del cratere 13di Roberto Monicchia

Intelligenze artificiali di Alberto Barelli

Viva il colore 14di Paolo Lupattelli

Retroarte di Enrico Sciamanna

Lo squallore della linguae il dialetto ritrovato 15di Salvatore Lo Leggio

Libri e idee 16

maggio 2016 - Anno XXI - numero 5 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10copia omaggio

Il sonnodella ragione

nestà, onestà!” urlano i grillini.“Sì, ma voi siete come tutti, comenoi!” rispondono i renziani. I

primi non si rendono conto che la corruzionenon è il motivo scatenante della crisi dello Stato,i secondi si pongono sul crinale indicato daCraxi un quarto di secolo fa: la corruzione èconnaturata alla politica, battersi contro di essaè puro moralismo, al massimo la si può conte-nere. È la solita situazione in cui si confondonogli effetti con le cause. La causa è la crisi per-manente del sistema democratico così come èuscito dalla seconda guerra mondiale, la sua in-capacità di rispondere ai cambiamenti della so-cietà italiana, lo iato tra quanto previsto neldettato costituzionale e l’articolazione concretadella pratica istituzionale. In questo quadro ifenomeni di corruzione, le indagini su ammi-nistratori e politici, le contaminazioni tra poli-tica, amministrazione e affari sono un dato“normale”, strutturale. Da anni la soluzione èvista in un cambiamento delle regole del gioco.La riforma costituzionale è l’ultimo atto di unprocesso che ha provocato la verticalizzazionedel potere, prima con l’elezione diretta dei sin-daci, dei presidenti delle Province e delle Re-gioni, poi con l’autonomizzazione degli entieconomici e degli appari burocratici. Le assem-blee elettive sono state svuotate, in nome dellagovernabilità, a favore degli esecutivi. Nella ri-forma elettorale e in quella della Costituzionetale itinerario trova il suo naturale compimento.Se ci si pensa bene c’è in tutto questo una lineadi continuità tra Craxi, Berlusconi e Renzi enon si possono chiamare fuori neppure gli eredidel vecchio Pci, oggi in minoranza nel Pd. C’èdi più. Nella storia europea ci sono state altretorsioni autoritarie della democrazia. L’esempiotipico è quello di De Gaulle e della sua costitu-zione, che all’epoca venne definita un colpo diStato pulito. Ma dietro ad essa c’era l’autoritàdel capo della Resistenza francese e un lucidodisegno di riorganizzazione dello Stato. Oggi,in Italia, non c’è nulla di tutto questo. Renzinon è De Gaulle e le riforme fatte o in fierisono destinate a disarticolare ulteriormente lamacchina dello Stato, ad accentuarne le disfun-zioni. Che a questo si possa rispondere con ilmito della democrazia dei meetup, o con ilgioco di chi è più onesto, è francamente risibile.Occorrerebbe una tensione civile e culturaleche si tramutasse in lotta di massa. Qualchetraccia se ne intravede nella battaglia per il Noal referendum sulla Costituzione, speriamo checresca e soprattutto che sia sufficiente a contra-stare il sonno della ragione.

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Equilibrio precarioGubbio. Piazza Grande

Le foto dell’intero numero sono relative al viaggioda Umbertide a Gubbio

La culturadell’intolleranza

a commissione cultura del Comune di Perugiaha approvato (con l’astensione del M5s e lanon partecipazione al voto del Pd) la mozione

presentata dai consiglieri di maggioranza Pittola e DeVincenzi a proposito della “tutela e la valorizzazionedella struttura ricettiva Villa Giardino di Ponte Fel-cino”. La mozione chiede all’amministrazione di veri-ficare “il corretto impiego della struttura ricettiva abasso costo Villa Giardino di Ponte Felcino, di proprietàcomunale, le condizioni dello stabile e delle suppellet-tili, nonché le modalità di gestione che l’Associazioneitaliana alberghi per la gioventù sta attuando dell’im-mobile e delle zone verdi limitrofe alla struttura”. Comeè noto i gestori della struttura, attraverso una conven-zione con l’Arci, hanno destinato l’ostello all’acco-glienza di 95 richiedenti asilo. Una parte dei residentie la maggioranza di centrodestra in Comune si opponea questo impiego, indicando di volta in volta diversimotivi: dall’eccessiva concentrazione in un’unica strut-tura di tanti profughi fino al fantasioso legame con lacellula di estremisti islamici che, diversi anni primadell’arrivo dei profughi, fu scoperta nella frazione delcapoluogo. Come ha fatto notare anche il vescovo Giu-lietti, tali motivi di allarme non trovano riscontro nellarealtà. Ecco dunque la scappatoia della commissionecultura: perché fare impiegare ai profughi una strutturada lasciare all’utilizzo turistico e della comunità locale?Tanto per evitare equivoci, i poco diplomatici leghistilocali hanno dato della mozione l’interpretazione au-tentica: “Ponte Felcino finalmente libera dai profughi”.A corroborare la loro esultanza negli stessi giorni è ar-rivato in Umbria Matteo Salvini, che ha tuonato controla costruzione della moschea ad Umbertide, insistendosul fatto che “la cultura islamica è estranea ai nostrivalori”. Vedremo se il consiglio comunale confermerà

gli esiti della commissione. In ogni caso si confermache per la destra la “cultura”, come il latinorum osten-tato da Don Abbondio per confondere Renzo, ha sensose serve a escludere e discriminare.

Chiedo asiloalla singola battaglia alla guerra totale: è la para-bola cui sembra destinata la gestione da partedell’attuale giunta comunale perugina dei servizi

educativi per l’infanzia. Lo scorso anno a tenere banco fula questione mense, con la tenace battaglia dei genitoricontro l’esternalizzazione della parte del servizio di risto-razione (la scelta e l’acquisto dei cibi) prima affidato ailoro comitati. Il cambio di gestione si è fatto, ma i comitatimensa non hanno interrotto la loro azione, denunciandopuntualmente episodi piuttosto sgradevoli, come il ritornoall’uso di stoviglie di plastica. Quest’anno sono scese sulpiede di guerra le educatrici precarie a cui non è statorinnovato il contratto, mentre si apre all’ipotesi di ester-nalizzare tutti i servizi di sei asili comunali. Infine c’èstata l’annunciata chiusura del nido “La Magnolia” diCollestrada, con annessa fuga dell’assessore dall’assembleadei genitori, di cui abbiamo dato conto il mese scorso.Tutto questo è confluito nel “Consiglio grande” dedicatoal tema alla Sala dei Notari, il 18 maggio. Grande af-fliuenza di pubblico, stragrande maggioranza di interventicontrari agli orientamenti dell’amministrazione: un’esem-pio di rispetto partecipazione democratica? Sarà, fatto stache né il sindaco né l’assessore competente (su cui pendeuna “mozione di sfiducia” da parte dell’opposizione)hanno ritenuto di intervenire per rispondere alle tante,circostanziate critiche piovute sul loro capo. La giuntaperugina sembra ispirarsi nella materia in questione aduna massima di altri tempi: molti nemici molto onore.Sindaco e assessori dovrebbero ricordare che in quell’oc-casione non andò a finire molto bene; chissà che al terminedella vicenda non gli tocchi chiedere ... asilo altrove.

Querelati ma non VintiL’A.C. Perugia ha querelato Stefano Vinti, già assessore e consi-gliere regionale, attivo anche come opinionista sportivo, per lefrasi pronunciate durante una trasmissione televisiva. Vinti avevaattaccato la società perugina, rea di non raggiunto i traguardi spor-tivi promessi a inizio stagione, lamentando la passività dell’opinionepubblica, mentre in tempi lontani in città si “tiravano sassate” o,più recentemente, dalla curva nord partiva il grido: “assedio!”.Possiamo testimoniare che nelle parole di Vinti non vi è alcunaistigazione alla violenza. Sicuramente però certi passaggi, comequello in cui denucia con enfasi il “pensiero unico calcistico”, rien-trerebbero pienamente nella rassegna di sproloqui da calcio resapopolare dalla Gialappa’s band.

Santa Rita in Premier LeagueIl calcio, si sa, è una fede, e come una fede prevede ritualità escaramanzie. Della clamorosa impresa di Ranieri, che ha portatolo sconosciuto Leicester a vincere il campionato inglese, potrebbebeneficiare l’Umbria dei santi: pare che il tecnico romano abbia in-tenzione di portare la squadra in ritiro precampionato a Roccapo-rena di Cascia, in omaggio alla “santa dell’impossibile”.

Regole a BraccioLa rievocazione di Braccio incombe e sulla stampa si inseguono lenotizie sulle tante inziative di corredo al rilancio della antico evento.Svelati i giochi che animeranno la competizione tra i cinque rioniperugini: la mossa della torre “una gara di forza fisica volta all’eli-minazione della squadra avversaria”, il tiro del giavellotto e lacorsa col drappo. Pubblicato anche il regolamento per l’eventoclou della manifestazione, il corteo storico, che sarà aperto dalla“Reggenza comunale”: 1 alfiere, 7 trombettieri, 4 mazzieri, 8 ar-migeri; seguiranno i 19 figuranti dei cinque rioni in gara. Ferree ledisposizioni per i figuranti: proibite sigarette, gomme, caramelle,trucco pesante, tatuaggi in evidenza, acconciature e colori di capellistrani. Tanto rumore per una mascherata.

Banchi che volanoTutt’altro che rituale lo scontro che ha avuto luogo in una classedell’Istituto superiore “Cavallotti” di Città di Castello. Un insulto,una parola sgarbata (secondo il racconto della dirigente), sonosfociati in breve in rissa, con tanto di lancio di banchi, in cui adavere la peggio è stato un insegnante intervenuto per dividere icontendenti. L’episodio è grave, ma non certo raro nell’ambitoscolastico; ma il fatto che vi siano coinvolti, oltre a due italiani,quattro richiedenti asilo egiziani, ha innescato il riflesso condizio-nato di Lega e CasaPound, pronti a far partire il ritornello sul falli-mento dell’integrazione. Naturalmente, senza sapere nulla sullecause della vicenda.

Tra capo e colloSingolare a Norcia. L’ufficio tecnico del comune sospende i lavoridi una lottizzazione in località Colle dell’Annunziata dopo aver rile-vato uno sbancamento abusivo. Tra i proprietari dell’area il sindacoAlemanno e il vicesindaco Altavilla che, tuttavia, precisa: “E’ veroche come proprietari siamo finiti in questa vicenda, ma ci è cadutatra capo e collo e a nostra insaputa”. A parte il poco scaramanticoplagio di Scajola, Altavilla non poteva usare un’espressione piùazzeccata: gli sbancamenti possono provocare crolli e frane im-provvisi, “tra capo e collo” appunto.

Consoliamoci con KennedyA maggio molte cattive notizie per Terni: continua l’incertezza sulfuturo dell’Ast, si aggrava l’inquinamento dei terreni circostanti leacciaierie e scoppia la crisi di prospettiva del locale polo universi-tario. Per fortuna una buona nuova arriva dalla Storia: è ormai ac-certato che il fucile che uccise il presidente John Kennedy provenivadalla locale Fabbrica d’armi. Per la precisione era un modello 91modificato, prodotto nel 1940, con matricola C2766, arrivatonegli Usa come tante altre armi requisite dall’esercito americanonel 1943-45, prima di finire tra le mani di Lee Oswald. Non c’è chedire, son soddisfazioni.

il piccasorci

Il piccasorci - pungitopo secondo lo Zingarelli - é un modesto arbusto che a causa delle sue foglie duree accuminate impedisce, appunto, ai sorci di risalire le corde per saltare sull’asse del formaggio. La ru-brica “Il piccasorci”, con la sola forza della segnalazione, spera di impedire storiche stronzate e, ovenecessario, di “rosicare il cacio”.

il fatto

Vinicio e il lago

2 c o m m e n t imaggio 2016

LD

l lupo perde il pelo ma non il vi-zio. Nella tarda primavera di dueanni fa Marco Vinicio Guastic-

chi, all’epoca presidente della GiuntaProvinciale, suscitò un vespaio di po-lemiche annunciando che, causa man-canza di fondi, l’isola Polvese fino al-lora tutelata e custodita dalla Provinciasarebbe stata affidata a privati, addi-rittura con un contratto pluridecen-nale. Poiché notoriamente se non c’èprofitto non c’è gusto la “perla del Tra-simeno” sarebbe stata pure messa a re-gime produttivo costruendovi impiantisportivi, o forse un centro benessere,o magari un campo da golf. L’ipotesidi trasformare una rara oasi ecologicanell’ennesimo villaggio vacanze suscitòreazioni così virulente da imporre ilritiro del progetto: a quanto sembraun po’ di buon senso alberga ancoranella testa dei nostri conterranei. Nonperò in quella di Guasticchi che, pas-sato a vicepresidente del Consiglio Re-gionale, lo scorso autunno e poi ancoraai primi di questo mese se n’è venutofuori con un’altra delle sue: ci sono“almeno duemila barche ferme nelledarsene marittime” che potrebberotornare a navigare nel Trasimeno; senon lo fanno è perché per i motori la-custri è stato fissato il limite di 50 Hp(40 per i non patentati), decisamenteinferiore a quello utilizzato dai moto-scafi marini. Perché non rialzare la so-glia massima di cilindrata e consentiredi solcare il lago anche a natanti da

150 cavalli? Pensate a quanti peruginiriporterebbero la barca fra le amatesponde, incrementando gli affari lacu-stri col noleggio delle darsene, il turi-smo delle gare sportive, annessi e con-nessi! Nel suo entusiasmo, Marco Vinicionon si è neanche preoccupato di cor-redare la proposta con studi previsio-nali o di qualche elaborazione che per-metta di valutare la questione intermini numerici. Tocca perciò a noiricordargli che il limite attualmentefissato non è dovuto ai capricci di qual-che ecologista svanito ma a solide ra-gioni ambientali: motori di cilindratasuperiore, oltre ad inquinare molto dipiù, creerebbero un immane scompi-glio in un lago poco profondo e diampiezza non eccessiva come il Trasi-meno, tutt’altro che adatto a sportnautici come corse o prove di velocità;e va aggiunto che il limite di cilindrataè già stato abbondantemente rialzatovisto che fino agli anni ‘70 era ancorainferiore, cioè di soli 20 Hp. Il Trasimeno ha già ora un suo turismofatto di persone che del lago amano ilsilenzio e l’ambiente naturale ben con-servato: gente che viene anche da lon-tano per navigarne le acque non colmotoscafo, ma in barca a remi, a velao in canoa, alla ricerca di angoli tran-quilli e incontaminati. Se a tutto ciòaggiungiamo che nello specchio d’ac-qua uno spazio riservato allo sci nau-tico esiste già, dove le cilindrate supe-

riori sono ammesse purché solo nelcampo di gara, e che la zona di ripo-polamento compresa tra S. Feliciano,S. Arcangelo e la Polvese è interdettaalle barche sportive di qualunque sorta,ci si renderà conto che voler fare dellago una pista per le “Ferrari delle ac-que” sarebbe una scelta insensata e sui-cida: si viene al Trasimeno per goderedi un contesto storico, culturale, na-turalistico unico al mondo, che nonpuò essere sfruttato in maniera inten-siva, pena la sua distruzione. L’ideacomunque per quanto balzana deveaver sortito qualche effetto: ci è statoriferito che nell’area prospicente la dar-sena di Torricella (finora gestita dallaProvincia ed ora data in gestione a pri-vati) il Comune di Magione sta rea-lizzando opere di ristrutturazione deigiardini, dell’area finora utilizzata aparcheggio e di realizzazione di unanuova spiaggia con l’utilizzo di fondieuropei. Con quali criteri e prioritàquesto si concretizzerà (e quanto siada collegare con le recenti uscite delnostro vicepresidente) è ancora tuttoda vedere. Resta da chiedersi con qualicompetenze Marco Vinicio Guasticchipretenda di occuparsi di questioni nau-tiche, per le quali si richiederebbe tut-t’altra esperienza: a meno che non sivoglia considerare come tale la sua car-riera di politico non solo “navigato”ma, a giudicare dalla disinvoltura concui è balzato da una poltrona all’altra,addirittura “inaffondabile”.

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he tortura questa campagna elettorale.Da Roma al più piccolo dei comuni alvoto, la politica è declinata sempre più

in minuscolo e le candidature proposte nei ter-mini spregevoli dell’offerta politica. Un binomioche sa di supermercato, che da un lato, pretendedi confezionare cose serie che riguardano la vitapubblica come un prodotto di dubbia qualitàda sponsorizzare, dall’altro riduce il popolo so-vrano a un gregge che dovrebbe contentarsi dispilluzzicare su qualsiasi pascolo offra il con-vento. Certo non è una novità di queste ammi-nistrative, ma tale svilimento di ruoli e valorista producendo un calo devastante di tensioneculturale e di legittimazione sociale che si fasempre più allarmante.Non è di questo, però, che vogliamo parlare, névogliamo discutere di quanto l’attuale governo(e il suo primate) indulge a questa incultura.Un esecutivo che invita a disertare le urne di unreferendum e che paventa modifiche alla datadelle elezioni mentre la campagna elettorale èin corso (manco fossimo in presenza di unaguerra o di una catastrofe naturale), non neces-sita di alcuna presentazione.Ciò che conta di più, in attesa di conoscere gliesiti del voto, è comprendere come hanno vis-suto, partiti e candidati, l’avvicinamento al 5giugno, che - come abbiamo scritto mesi fa -costituirà pure un banco di prova limitato, con-siderate le dimensioni del voto, ma non saràininfluente per chi governa il Paese e per il Pd,né lo sarà per il sistema politico istituzionaleumbro, che fino a qualche anno fa sembravainossidabile, e che oggi, invece, è sottoposto atrazioni costanti che possono provocarne il tra-collo in qualsiasi momento.Nella nostra regione sono poco più di 88mila icittadini chiamati al voto per rinnovare le rap-presentanze comunali. Il 13% del corpo eletto-rale regionale. Undici le amministrazioni inte-ressate: cinque in provincia di Perugia (Assisi,Bettona, Bevagna, Città di Castello e NoceraUmbra) e sei in quella di Terni (Amelia, Avi-gliano Umbro, Castel Giorgio, Montecastrilli,Otricoli e Parrano).Ad Assisi e Castello si attendono le sfide più in-teressanti. Sono questi, infatti, gli unici due co-muni dove è prevista la possibilità del ballot-taggio (già fissato per il 19 giugno) nel caso incui nessuno dei candidati sindaco raggiunga lamaggioranza assoluta dei voti validi (50%+1).E a meno di colpi di scena, in entrambe le città,si preannuncia lotta dura e il passaggio al se-condo turno è qualcosa di più di una probabi-lità. Nella città del poverello, a contendersi loscranno più alto di Palazzo dei Priori ci sono 8candidati, sostenuti da 16 liste. C’è @sinistra, illaboratorio politico di Luigino Ciotti, presidentedel Circolo Primomaggio, un rassemblement digiovani e meno giovani provenienti dal mondodell’associazionismo, del sindacato, della sinistradiffusa, sia partitica che non. C’è la lista dellacandidata civica di Pd e Cristiano riformisti,l’ingegnere Stefania Proietti (Assisi domani); c’èl’albergatore Fabrizio Leggio (M5s) e ci sono i5 candidati di centrodestra, che si presentanoalle urne divisi e in ordine sparso. Antonio Lun-ghi, attuale sindaco succeduto a Claudio Riccidopo l’elezione a consigliere regionale, sostenutodalle liste civiche Uniti per Assisi, Lunghi sin-daco e Assisi di Centro Popolare; l’attuale pre-sidente del Consiglio comunale, Patrizia Buini

(Lista Civica Ricci Buini); l’ex sindaco GiorgioBartolini (Bartolini sindaco, Forza Italia, Leganord e Fratelli d’Italia); Claudio Iacono, dipen-dente dell’Istituto Serafico (Popolo della fami-glia) e Francesco Mignani, Consigliere Udc du-rante la prima sindacatura Ricci ed ex assessoreallo sport, supportato dalle liste Scelgo Assisi eMovimento giovani per Mignani.Meno affollata, ma non meno complessa, lacompetizione a Città di Castello, dove la sfida ètra 5 contendenti. Tra questi c’è il sindacouscente, il socialista Luciano Bacchetta, soste-nuto da Pd, Psi e La sinistra per Castello. Più asinistra c’è Roberto Colombo, consigliere co-munale della coalizione Umbria migliore, so-stenuto dalla lista Castello cambia, uno schie-ramento che aggrega forze civiche, di sinistra eprogressiste, da Sinistra italiana, ad alcuni fuo-riusciti del M5s, passando per esponenti dell’areadi Oliviero Dottorini e Osservatorio bene co-mune di Luciano Neri. Seguono a ruota, il27enne Marco Gasperi (M5s) e i due candidatidel centrodestra: l’imprenditore Giovanni Zan-garelli (La Rinascita) e Nicola Morini, docentedi storia e filosofia, sostenuto dalla lista civicaTiferno insieme, Fi, Lega e FdI.A Bettona, dove la rottura col sindaco uscente

Stefano Frascarelli (Idv), ha aperto una crisi digiunta prima e il commissariamento del comunepoi, il Pd non ha ufficialmente candidati e siassiste pertanto a un confronto a tre: oltre Fra-scarelli (Girasole per l’ambiente), ci sono l’exsindaco Marcantonini per il centrodestra (Qua-drifoglio) e Carlotta Caponi (Bettona futura),con una candidatura trasversale in grado di rac-cogliere voti in entrambi gli schieramenti.A Bevagna, dove è il centrodestra a risultare nonpervenuto, si assiste a una vera e propria guerracivile, tutta interna ai democratici. In campo,con una sua lista civica, c’è da un lato il sindacouscente, Analita Polticchia (Per Bevagna futura),silurata dal Pd mesi fa; dall’altro, c’è la profes-soressa Annarita Falsacappa (Congresso civicoper Bevagna) con cui i democratici sono uffi-cialmente schierati. Peccato che il direttivo co-munale, che ha vissuto anche le dimissioni delsegretario, avrebbe voluto candidare l’ex giudiceGiovanni Borsini, e che dopo il voto sfavorevoleincassato, lo stesso Borsini abbia messo in piediuna sua lista (Bevagna rinasce) per sfidare lealtre due. A candidarsi nella città delle Gaite,infine, anche la portabandiera del M5s, EmmaDi Filippo. Meno tumultuosa la situazione aNocera, dove l’uscente Giovanni Bontempi

(centrodestra) proverà a resistere a Franco Bu-riani (centrosinistra). Anche qui però c’è unterzo incomodo, Pino Pesciaioli (un passato neisocialisti e nel Prc e nel 2008 assessore nellagiunta Tinti) che ha presentato una sua lista:Per Nocera.Nel ternano il comune più grande al voto èAmelia, dove sono in quattro a cercare di strap-pare il secondo mandato all’uscente RiccardoMaraga (Pd, Sel, Socialisti e civici) sono Gian-franco Chiericuzzi (M5s), Nadia Moretti (Sini-strAmelia), Laura Pernazza (centrodestra) e Raf-faele De Lutio (Amelia 2016).Giochi aperti anche a Montecastrilli dove i can-didati Sabina Accorroni (Lega nord) ed Ema-nuele Capradossi (Montecastrilli siamo noi, cen-trosinistra) tenteranno di ostacolare la corsa alsecondo mandato del sindaco di centrodestrauscente Fabio Angelucci (Insieme per il benecomune).In quattro si contendono la fascia di sindaco aCastel Giorgio, commissariata dopo le dimis-sioni di Andrea Garbini, centrodestra: lo stessoGarbini (Cambiamo Castel Giorgio), ClaudioTarmati (Lista civica Progetto futuro - Pd); An-drea Corritore (Con i cittadini di Castel Giorgio- Sel) e Rodolfo Proietti (Democrazia e pro-gresso).Chiudono la serie, le sfide a due, centrosinistracontro centrodestra, per i comuni di Otricoli(Francesco Bussoletti contro Antonio Liberati),Avigliano Umbro (Luciano Conti contro Da-niele Marcelli) e Parrano (Valentino Filippetticontro Laura Duranti).In un quadro così disarticolato e complesso cisono tre aspetti che meritano qualche osserva-zione. Il primo riguarda il numero di candidatiin lizza per l’elezione: nel momento di più bassaaffluenza alle urne e di minor affezione alla po-litica, la domanda di partecipazione attiva allacompetizione elettorale è stata decisamente alta.Il logoramento prodotto dalla crisi economica,dalla disoccupazione, dal crollo delle ideologiee dal post-partitismo, spinge un buon numerodi outsider a tentare la sorte dall’altro lato dellabarricata. Tant’è che ai nastri di partenza ci sono40 candidati sindaci (22 nel perugino e 18 nelternano) e circa 800 aspiranti consiglieri (deiquali oltre 250 nella sola città di Assisi). A questi elementi fa da contraltare, un altroaspetto, che riguarda l’insipienza delle classi po-litiche nello stimolare forme di partecipazionepopolare alla vita di partito e nella tempestivapianificazione delle verifiche elettorali.Le elezioni comunali si svolgono ogni cinqueanni e, salvo eccezioni, c’è tutto il tempo di la-vorare per elaborare percorsi e programmi poli-tici e selezionare i futuri amministratori. Adogni giro di boa si assiste invece alla deprecabilequerelle dei corteggiamenti improvvisati a ri-dosso della presentazione delle liste. Una praticaa metà tra il malcostume e la cialtroneria.Il terzo aspetto, per conseguenza, riguardal’eclissi del Pd nella competizione elettorale: adAssisi candida sindaco un “esponente della so-cietà civile”; a Castello conferma l’entente cor-diale con il socialista Bacchetta; a Bettona è uf-ficialmente senza candidati; e così via. Celatoda impulsi di pseudo-civismo e alleanze strate-giche il primo partito d’Italia sceglie di presen-tarsi sotto mentite spoglie. Chissà, forse spe-rando di dileguarsi meglio in maschera in casodi sconfitta.

3 p o l i t i c amaggio 2016

Amministrative 2016

Ballo in mascheraSaverio Monno

sottoscrivi per micropolis

Diecimila euro

9056 euro

Andrea Fornari 150,00 euro;Angelo Giudobaldi 100,00 euro;In ricordo di: Enzo Forini comunista internazionalista,Maurizio Mori comunista impenitente, Ilvano Rasimelli comunista partigiano.

Mantovani Enrico 200,00 euro;Stefano Zuccherini 200,00 euro;

9706 euro

C/C 13112 intestato a Centro Documentazione e Ricercac/o BNL Perugia Agenzia 1Coordinate IBAN IT97O0100503001000000013112

micropolis

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Gubbio

4 p o l i t i c amaggio 2016

opo 7 anni a Roma sei ritornato inUmbria come Segretario generale re-gionale della Funzione pubblica,

eletto lo scorso 5 maggio: prime sensazioni?Quella della segreteria nazionale di categoria èstata un’esperienza complessa e complicata masenza dubbio formativa. Anni difficili, caratte-rizzati dal blocco dei contratti, dal turn over,dai licenziamenti dei precari, dai provvedimentiBrunetta, dalle pseudo riforme Madia e Delrio.Nonostante tutto siamo riusciti a ottenere deirisultati importanti (accordi sulla stabilizza-zioni, sui vincitori di concorso, lo stop alle pri-vatizzazioni e esternalizzazioni di servizi etc.) enon ultimo il recente accordo in Aran sulla ri-duzione dei comparti e dei contratti prope-deutico alla stagione dei rinnovi contrattuali.In Umbria ho avuto già modo di toccare conmano che nel gruppo dirigente c’è la consape-volezza della sfida in atto contro quell’imbar-barimento culturale e politico, una sorta dipensiero unico, che vede nella riduzione dellapresenza del pubblico il volano dello sviluppoeconomico. Una ricetta tanto semplicisticaquanto fallimentare come dimostrano vicendein altri paesi e studi e ricerche di istituti auto-revoli. Rabbrividisco quando sento dirigentidella sinistra regionale che con disinvoltura,oltre a rinnegare una gloriosa storia della pro-grammazione e della gestione della macchinapubblica, sostengono per primi tale tesi. Comesindacato non lo permetteremo.Quali sono secondo te i motivi della campa-gna sui cosidetti “fannulloni”?Senza dubbio siamo in presenza di un disegnostrategico complessivo che ha come obiettivoil superamento dei corpi intermedi e del welfarepubblico, gratuito, universalistico. Non voglioessere retorico, ma ci sono affinità tra il pianoPropaganda2 e alcune proposte e obiettivi del-l’attuale governo.E la vostra strategia? Solo in difesa?È evidente che si punta a denigrare il ruolo dellavoratore pubblico, isolandolo e criminaliz-zandolo. Per questo - pur condannando senza

esitazione determinati episodi di mal costumeche hanno visto coinvolti anche nostri iscritti- abbiamo messo in campo iniziative insiemeai cittadini utenti, e nel tempo si è saldato unasse a difesa dei servizi pubblici decisivo pervincere alcune rilevanti battaglie locali. Certoè che la crisi, prodotta dalle ricette richiamateprima, in assenza di un progetto politico serioe articolato, sta fornendo sostegno a due pes-sime opzioni: un populismo condito da razzi-smo e provvedimenti reazionari, e la governa-bilità ad ogni costo. Invece senza servizipubblici, a partire da quelli fondamentali pre-visti nella Costituzione (istruzione, sanità, pre-videnza, politiche attive del lavoro, etc), il cit-tadino è più solo e più debole.A livello locale quale risposta intendete met-tere in campo?Siamo impegnati nella gestione dei nefasti ef-fetti prodotti dalle “riforme” del Governo,dall’abolizione delle province al jobs act.Nel primo caso pagano il prezzo di un provve-dimento demagogico e sbagliato i cittadini ele lavoratrici e i lavoratori, che stiamo tentandodi tutelare attraverso un accordo nazionale eaccordi regionali. Il tanto strombazzato rispar-mio economico, ottenuto al prezzo del tagliodi servizi, è quasi pari alle spese per le consu-lenze esterne di Palazzo Chigi. Cito come esem-pio le politiche attive per il lavoro, che le pro-vince svolgevano con i centri per l’impiego,strategiche soprattutto in una congiuntura eco-nomica recessiva e in una fase di grandi cam-biamenti normativi, e che oggi rischiano, no-nostante la previsione dell’avvio dell’Agenzianazionale (Anpal), di essere nel frattemposmantellate, con perdita di competenze e postidi lavoro.Sul jobs act, oltre a contrastarlo attraverso ac-cordi decentrati, la categoria, come tutta laCgil, è impegnata nella raccolta di firme a so-stegno del disegno di legge sulla Carta dei di-ritti e dei referendum abrogativi sugli aspettipiù violenti del provvedimento.E sulla sanità?

Il sistema sanitario nazionale, conquistato dallelotte operaie del movimento sindacale, è ancorauno dei primi a livello europeo, nonostante idrammatici tagli ai trasferimenti delle risorse,la devolution, i fenomeni di corruzione e con-cussione (più presenti nel sistema privato ac-creditato). Sta di fatto, però, che per la primavolta si riduce l’aspettativa media di vita e, se-condo tutti i principali parametri medici escientifici, si arretra nella filiera prevenzione-cura-riabilitazione dopo 40 anni di crescita.L’Umbria ha varato riforme degli assetti, oggisi preferisce dire governance, da noi auspicatida tempo, ma nel complesso arretriamo visto-samente rispetto alla altre regioni e questo ciamareggia molto. Certo, sappiamo bene che ilgoverno ha lavorato molto per scaricare tuttele contraddizioni e le difficoltà a livello locale,ma non ho visto la necessaria azione di contra-sto della classe dirigente che sta attualmenteamministrando, vuoi per non disturbare troppoil manovratore centrale, vuoi per l’assenza diuna piattaforma alternativa a quella dei tagli.Siamo stati spesso soli come sindacato, o megliosiamo stati in trincea insieme ai lavoratori epensionati, con le nostre solite armi, mobilita-zioni e proposte. Penso ad esempio che istituireil fascicolo sanitario per ogni cittadino umbropossa evitare la ripetizione di esami e visite me-diche e che sia necessario rivedere gli organiciin presenza di un’età degli operatori molto ele-vata.Cosa serve per rilanciare l’Umbria così pesan-temente attraversata dalla crisi?Servono un sistema pubblico qualificato, unaclasse dirigente autorevole e non autoritaria, euna forte confederalità sindacale. La crisi deipartiti non aiuta purtroppo questo processo.La mancanza di fiducia nei partiti e nelle isti-tuzioni, rende tutto il sistema più fragile, conil rischio di aumentare l’esclusione sociale: lamobilità sociale è bloccata da tempo e a tantigiovani, con alta formazione e scolarizzazionenon resta che emigrare. Dobbiamo avere laforza di riprendere la contrattazione sull’orga-

Fondata sul lavoro

TantinumeripocasostanzaMiss Jane Marple

Il 13 maggio il Ministero del Lavoro edelle Politiche sociali ha pubblicato il re-port sull’andamento del programma

“Garanzia Giovani”, dichiarando orgogliosa-mente che “sono quasi 330.000 i giovani iscrittiai quali è stata offerta una misura del pro-gramma tra formazione, tirocinio, servizio civileo lavoro”. Il numero dei giovani presi in caricorisulta pari a 688.339, con un incremento del19,7% rispetto al 31 dicembre 2015. Aumen-tano anche i giovani che si registrano: al 12maggio sono 907.213. Leggendo con attenzione si scopre che ai329.382 giovani è stata proposta una misuraprevista dal piano, senza specificare di qualemisura si tratti ovvero di un periodo di forma-zione, di un tirocinio retribuito o di una pro-posta di lavoro vera e propria. Ma così le stati-stiche del ministero perdono molto del lorosignificato. In sostanza all’entusiasmo con cui igiovani continuano ad aderire al programmanon corrisponde alcuna verifica sulla traduzionein posti di lavoro veri e propri. A due anni dal varo del piano europeo di con-trasto alla disoccupazione giovanile, per il qualel’Italia ha ricevuto 1,5 miliardi di euro da Bru-xelles, la delusione per quell’esercito di giovanidi belle speranze che hanno preso sul serio lapromessa di una “garanzia” iscrivendosi al pro-gramma è notevole. Se guardiamo l’evoluzionedei tassi di disoccupazione giovanile e al numerodi neet (cioè i giovani che non studiano né la-vorano) emerge chiaramente come non vi siastata nessuna significativa inversione di tendenzadal 2014 ad oggi.Il quadro si incupisce se andiamo ad analizzareil numero veramente importante, quello sulleproposte concrete fatte ai giovani iscritti. Se-condo gli ultimi dati del Ministero del Lavoroqueste ammontano a circa un terzo degli iscritti(300 mila). Una cifra che di per sé certifica ilfallimento del piano e getta un’ombra scurasulle illusioni di quei migliaia di ragazzi che re-stano al momento a mani vuote. Insomma, unapresa in giro. Inoltre, circa il 60% delle proposteconsiste in tirocini di dubbia valenza formativa,mentre i contratti di lavoro veri e propri sonopoco più del 10%, con un boom a dicembre2015, ultimo mese in cui un’impresa potevausufruire del combinato disposto di GaranziaGiovani e decontribuzione per l’assunzione diun giovane con un contratto a tutele crescenti. In Umbria, o forse sarebbe meglio dire a Perugia- visto che non si sa se il Centro per l’impiegodi Terni stia prendendo in carico i giovani, no-nostante abbia anche stilato una convenzionecon Sviluppumbria per l’attuazione del pro-gramma - i neet che hanno aderito hanno su-perato quota 25.000 e nel complesso sono state11.814 le proposte di politica attiva ad oggi ef-fettuate. Le misure più richieste continuano adessere i tirocini, per i quali sono pervenute daparte delle imprese umbre circa 4.000 proposte.Purtroppo, il report regionale del Ministeronon ci dice quante di queste proposte si sonotrasformate in progetto formativo che si è poiavviato e quante si sono trasformate in assun-zioni. L’unica cosa che sappiamo è che i fondiper i tirocini sono terminati e che dal 18 aprilesono state sospese le procedure informaticheper inserire nuove proposte.In sintesi, attualmente il programma offre aigiovani in Umbria solo la possibilità di farecorsi di formazione gratuiti, per la contentezzadegli oltre cento enti di formazione accreditatipresso la nostra regione, almeno fino a che nonsi esauriranno le risorse anche per i voucherformativi.

Intervista a Fabrizio Fratini, Fp Cgil

Pubblico fa benea cura della redazione

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Gubbio. Centro commerciale

nizzazione del lavoro, di portare le istanze dellacontrattazione nel territorio, dando più forzae concretezza alla contrattazione sociale ovveroa un’attività di negoziazione con le istituzionidi governo (regione, comuni, etc.) per miglio-rare ed estendere il welfare. Per farlo con effi-cacia, oltre a una battaglia vera all’evasione, al-l’elusione, all’erosione fiscale, è necessarioriavviare una vera concertazione che si sviluppiattraverso la contrattazione. Concertare, si badibene, non vuole dire essere sempre d’accordo.In passato, prima di diventare uno stanco ritoformale, la concertazione ha prodotto risultatiapprezzabili.In concreto?Ad esempio credo sia utile che ogni ammini-strazione si doti di un bilancio sociale con cuirendere conto ai cittadini delle proprie scelte,dei risultati e dell’impiego delle proprie risorse.E poiché nessuna politica economica e socialeè neutra rispetto alle differenze di genere deicittadini e poiché uomini, donne, bambinihanno bisogni socialmente diversificati, è utiledisaggregare per genere il bilancio sociale. Perfarlo necessitano idee, competenze, passioni,che la Cgil nelle sue articolazioni organizzativedispone: concertare con un ente territoriale èefficace solo se si conosce come si formano ledecisioni, attraverso quali canali e strumenti eper questo è fondamentale coinvolgere i sin-dacati di categoria oltre che le confederazioni.

Non rischiate di apparire fuori dal tempo?Chi sostiene questo, di solito aggiunge che ilsindacato è legato al secolo delle ideologie, chenon esistono più. Ma l’ideologia oggi impe-rante è quella secondo cui è sempre preferibileil privato al pubblico. In questo modo si vo-gliono creare le condizioni per svendere patri-moni pubblici ai privati; un finto liberismo didestra con che piace tanto anche a parte dellasinistra. Trenta anni di esternalizzazioni e pri-vatizzazioni hanno prodotto danni enormi aiservizi, ai cittadini, ai lavoratori. Pubblico èmeglio, pubblico fa bene, sono le parole d’or-dine della categoria. Un pubblico qualificato eriorganizzato.Ma quali sono le priorità?Come sindacato abbiamo sviluppato nel tempomolte indagini sui bisogni sociali del territorio.Emerge chiaramente un invecchiamento dellapopolazione, e nella griglia dei bisogni di unacomunità questo è un dato da tenere un consi-derazione. Inoltre vanno affrontate seriamentee approfonditamente le politiche dell’infanzia.In Italia 900 mila bambini sono esclusi dalla

scuola dell’infanzia. Tutto ciò è inaccettabile.La crisi ha riportato in primo piano la necessitàdi un sistema pubblico dei servizi, impone diripensare il welfare (anche quello locale) e dinon di cancellarlo, altrimenti maggiori sarannole povertà e le diseguaglianze, e nel medio pe-riodo, più lenta e fragile un’eventuale ripresa.Un welfare propositivo e non caritatevole o ri-sarcitorio come sembrerebbero indicare i varibonus renziani.Intanto il Ministro, anziché rinnovare i con-tratti, vara provvedimenti che insistono suldifferenziare i lavoratori in base al merito econtinua ad attaccare il sindacato.Noi siamo per la meritocrazia ma quella vera.

La caricatura ricorrente è che il sindacato vuolepremi a pioggia mentre il governo vuole pre-miare l’efficienza. La realtà dimostra che le re-tribuzioni medie sono calate di 600 euro negliultimi 4 anni. Quindi un monte salari com-plessivo ridotto, anche per effetto del bloccodel turn over, per il fatto che gli assunti più re-centi hanno stipendi più bassi dei dipendentiandati in pensione. A ciò va aggiunto il fattoche sono iniziati contenziosi e conflitti per ri-durre l’entità economiche previste negli inte-grativi sottoscritti, e in alcuni casi per eliminarele voci del salario accessorio. Per il sindacato ilcontratto è un diritto per tutti i lavoratori nonsolo per una parte, e il rinnovo deve restituireinnanzitutto dignità e riconoscimento profes-sionale oltre ovviamente a quello retributivo,certamente sostenendo soprattutto i redditi piùbassi, senza però escludere nessuno.Siamo pronti a proporre al governo un pianoper la produttività, per rispondere ai nuovi bi-sogni e esigenze dei cittadini e delle imprese,ma la produttività non cresce senza innovazioneorganizzativa, senza una moderna riorganizza-zione dei servizi e dei processi produttivi, for-mazione, partecipazione dei lavoratori alla de-finizione degli obiettivi e alla loro misurazionee massicci investimenti in digitalizzazione.Invece di cogliere l’opportunità presentata dalprogetto sindacale contenuto nelle piattaformecontrattuali, il governo continua la sua cam-pagna mediatica contro il lavoro pubblico pro-ponendo un Dlgs sui licenziamenti disciplinari,contenente palesi profili di illegittimità che allafine produrrà il solito polverone e l’impunitàper i veri furbetti del cartellino. Per tutte questeragioni lo sciopero generale unitario regionaledel 25 maggio, inserito nelle articolazioni pro-grammate verso lo sciopero generale nazionale,diventa un appuntamento fondamentale per ilsuccesso della stagione contrattuale.

5 p o l i t i c amaggio 2016

EconomiaLa ripresac’è ma nonsi vedeFranco Calistri

’Umbria, come il resto del paese, è tec-nicamente fuori dalla recessione, ma laripresa non è “ancora reale, i segnali sono

troppo deboli e neanche le famiglie, oltre alle im-prese, percepiscono una ripresa vera e propria”:questo in estrema sintesi il quadro che emergedai dati illustrati dalle Camere di commercio diPerugia e Terni nel corso della 14° edizione delleGiornate dell’economia. Il 2015 ha visto infatticrescere il valore aggiunto dell’intera economiaregionale dell’1,2% (1,1% in provincia di Perugiaed 1,4% in quella di Terni), sostanzialmente inlinea con il dato medio nazionale e quello delresto delle regioni del Centro (+1,3%) ma al disotto di quanto realizzato nel Nord Ovest e nelNord Est (rispettivamente 1,7% ed 1,6%). Al di là della variazione congiunturale del Pil,con quel +1% che induce a parlare di uscita daltunnel, c’è un dato in particolare che fa capire lapesantezza della crisi e quanto sia ancora incertala ripresa: si tratta del Valore aggiunto procapite(Vap) che meglio di altri esprime la capacità diprodurre ricchezza di un territorio. Fatto ugualea 100 il dato medio nazionale, negli anni pre crisi(2005/2008) quello umbro si era stabilizzato at-torno ad un valore 95 (comunque inferiore dicirca il 20% a quello registrato nel complesso delCentro Nord). A partire da 2009 inizia una rapidadiscesa che porta nel 2012 questo indicatore aldi sotto della soglia 90 (76 rispetto al CentroNord) e su questi valori resta fino al 2014; nel2015 risale a 91 (ma sempre 76 rispetto al CentroNord). Insomma la crisi ha colpito nel profondoil tessuto economico regionale, abbassando e de-bilitando la sua capacità di produrre ricchezza,aumentando il divario con le aree più dinamichedel paese, mentre si accorcia il gap con quellemeno avanzate. Infatti nel periodo pre crisi il Vapumbro rispetto al Meridione ed alle isole (base100) era pari a 141, al 2015 si è ridotto a 136.Nella graduatoria delle province italiane, semprein base al Vap, nel 2008 Perugia era al 46° postoe Terni al 62°, al 2015 Perugia è al 51° e Terni al70°. La crisi ha anche prodotto significative mutazionidella base imprenditoriale, con la diminuzionedelle industrie (nel 2015 poco più del 10% totaledelle imprese attive), il ridimensionamento delcomparto costruzioni e la crescita del terziario(55%). Nascono sempre meno imprese e ne muo-iono sempre di più. Nel 2015 in provincia di Pe-rugia meno dei due terzi delle imprese iscritte nel2012 risultava ancora attivo, e così meno dell’80%delle imprese aperte nel 2014. Nonostante la crisiabbia letteralmente falcidiato quelle di piccole di-mensioni e a conduzione familiare, le imprese in-dividuali rappresentano ancora oltre il 50% deltotale, il 55% degli addetti è concentrato inaziende con meno di 10 addetti. A ciò va aggiuntala scarsa propensione all’export (18,6), anche inrapporto alle restanti regioni del Centro (21,4),per non parlare di quelle più avanzate (34,5 ilNord Est, 39,9 il Nord Ovest). Qualche buona notizia viene, però, dal mercatodel lavoro. In provincia di Perugia gli occupatinel 2015 sono cresciuti rispetto al 2014 del 3,0%(da 264.000 a 272.000) con una crescita supe-riore sia alla media nazionale sia al resto del CentroItalia (+0,8%). E’ salito il tasso di occupazione(al 64% nel 2015) ed è sceso quello di disoccu-pazione (dall’11,0% del 2014 al 10,2%). Nono-stante questi progressi il carico di criticità accu-mulato nel corso degli anni continua a farsisentire, in modo particolare tra i giovani, il cuitasso di disoccupazione, sempre in provincia diPerugia, al 2015 si attesta al 34,1%. Non va cosìin provincia di Terni, dove l’occupazione continuaa ristagnare, la disoccupazione si mantiene a livellielevati (11,2%), con punte drammatiche tra igiovani (53,1%). In conclusione la ripresa c’è manon si vede.

Parole

PensioneJacopo Manna

icesi “pensione”, secondo il dizionariodel Battaglia, una “somma di denarocorrisposta a scadenze periodiche, in

particolare a funzionari, dipendenti, cortigiani,dignitari, sudditi, vassalli” o una “sovvenzionea un alleato in cambio di appoggio politico”; efa effetto quella sequenza funzionari – dipen-denti – cortigiani – dignitari – sudditi – vassalliche in sei passaggi contiene tanta della nostrastoria. Partiamo dal principio. Pensione vienedal latino pendere, ossia “pesare” e quindi “pa-gare”. Compare per la prima volta nel Rinasci-mento, a indicare i versamenti periodici in da-naro concessi da signori, monarchi e ponteficiai loro inferiori: chi la riceveva era detto “pen-sionario”, e in questa categoria dell’Ancien Ré-gime rientravano tanto i potentissimi cardinaliquanto quel centinaio di gentiluomini inglesiche ricevevano dal loro sovrano cento sterlineannue solo per scortarlo armati di decorative epoco minacciose alabardine dorate, da cui ladenominazione appunto di “guardia dei pen-sionari”. Siamo già a quella soglia ambigua trapremio e corruzione che resterà appiccicata alvocabolo per i tre secoli seguenti quando ricorredi continuo in richieste e suppliche, com’è ine-vitabile ogni volta che ci si affida all’arbitriodei potenti, o in resoconti impietosi in cui sidà ragione delle forze in campo (“li prìncipiitaliani tutti sono servi, per timore o per pen-sione”, riassume il lucidissimo Paolo Sarpi). È ben strano che lo stesso termine sia passatoad indicare non più la concessione arbitraria diun monarca, ma un diritto acquisito grazie aduna vita di lavoro. Non è strano invece che frai primi autori italiani a definirne il nuovo si-gnificato ci sia un campione dell’efficienza bu-rocratica come Cavour (“Cos’è la pensione? Lapensione non è altro che uno de’ mezzi con iquali lo Stato corrisponde i propri impiegati”);e tutto sommato non è strano neppure che, seil piemontese liberale e quadrato che aprì la viaai Savoia descrive questo provvedimento in ter-mini neutri e funzionali, il piemontese quadratoe liberale che invece concluse definitivamentequell’epoca, cioè Luigi Einaudi, ne parli inmodo quasi toccante: “L’andare in pensione èatto non volontario, ma imposto dalla normainesorabile di legge per i limiti di età e spesso ipensionati si adattano ad occupazioni di scarsorilievo e poco remunerate, pur di poter dire disé: ‘ancora sono atto a qualche cosa’”. Tra l’epoca del Conte e quella del Presidente loStato aveva conquistato sempre più spazio, age-volato dalle falle immense che il sistema del li-bero mercato aveva scoperto di avere; la previ-denza sociale era nata nel 1889, e la possibilitàdi chiudere gli anni della fatica tirando il fiatoe meritandosi l’ozio era stata garantita dall’ar-ticolo 38 della Costituzione: “I lavoratori hannodiritto che siano preveduti ed assicurati mezziadeguati alle loro esigenze di vita in caso di in-fortunio, malattia, invalidità e vecchiaia”. Que-sto termine, diritto, e la sequenza infortunio –malattia – invalidità – vecchiaia sarebbero lamigliore risposta all’altra sequenza con cui si èaperto il presente articolo. Ma il condizionaleè d’obbligo: gli ultimi decenni sono trascorsiall’insegna della guerra alle ingerenze statali(simpaticamente definite “lacci e lacciuòli”), ela pensione sta di nuovo passando da dirittoacquisito a eccezione invidiabile. Altra epocache si vuol chiudere? Pare di sì, se si confrontala commozione di Einaudi per il pensionatodisutile con la seguente battuta colta al volodurante un dialogo fra due insegnanti ultracin-quantenni: “Smetti di chiederti a che età timanderanno in pensione, quello è un falso pro-blema. Con la miseria che ti daranno, tu inpensione devi augurarti di non andarci mai. Tusulla cattedra devi sperare di schiattarci”.

L D

Gubbio. “Il giardino di Don Matteo”

Gubbio. Asfalto sconnesso

a tempo, ormai, i rifiuti sono diven-tati un problema anche in Umbria enon ci consola essere in buona com-

pagnia. Le cause sono molteplici, tanto cheuna ricostruzione di quanto è accaduto è giàin atto da parte della magistratura, il che do-vrebbe essere letto come una conseguenza diuna gestione poco attenta alla qualità del ser-vizio e, ancora meno, ad una equa distribu-zione degli oneri economici sulle spalle deicittadini. Tuttavia la principale ragione percui ora siamo ad un passo dal disastro è l’in-felice scelta storica, operata dagli amministra-tori locali, di considerare - di fatto - conclusoil ciclo dei rifiuti con il conferimento in di-scarica, trascurando, nonostante i tanti esempivirtuosi in Italia e nel mondo, la raccolta dif-ferenziata di qualità e il riciclo dei materiali. Se Perugia, in quanto capoluogo, dovesse es-sere assunta come paradigma regionale, ci sa-rebbe poco da ridere, anche indipendente-mente dalle attuali disavventure giudiziarie.L’amministrazione ha scelto di legarsi a dop-pio filo a Gesenu, unico concorrente delbando pubblico vinto nel 2009 che dureràfino al 2024, il cui principale business è la ge-stione della discarica di Pietramelina, da pocochiusa per esaurimento della capienza. Gliamministratori pubblici pro quota nella so-cietà non hanno svolto bene il ruolo di con-trollori e oggi tutti quelli che a vario titolo sisono succeduti nella gestione dovrebbero fareun “mea culpa”. Prima delle eventuali respon-sabilità penali, il cui accertamento competealla magistratura, i cittadini-elettori guardano

a quelle politiche. Sarà bene ricordare, innan-zitutto, i nomi di chi nell’ultimo quindicenniosi è occupato a diverso titolo di gestione deirifiuti. In Regione, nel decennio lorenzettiano(2001-2010), l’assessorato competente all’am-biente è stato guidato, nell’ordine, da DaniloMonelli (2001-2004) e Lamberto Bottini(2005-2010). Più o meno contemporanea-mente a Perugia “regnava” il sindaco Locchi(2001-2009) che affidava analogo assessoratoa Silvano Rometti. Evidentemente una utilegavetta per il rampante socialista, che diventeràassessore regionale all’ambiente nella primalegislatura Marini (2010-2014). Al suo posto,dallo scorso anno, Fernanda Cecchini. A Pe-

rugia, invece, l’era Boccali ha visto all’am-biente Lorena Pesaresi. Poi con Romizi la de-lega è passata al vicesindaco Urbano Barelli,già presidente di Italia Nostra. Infine, la pre-sidenza di Gesenu, la cui nomina compete alsindaco di Peugia: Roberto Sorrentino (2001-2004), Graziano Antonielli (2004-2013), Lu-ciano Ventanni (2013), Luca Marconi (2013-2015). Esauriti i nomi, veniamo ai relativirisultati di gestione che relegano l’Umbrianelle posizioni occupate dai soggetti menovirtuosi.La gestione dei rifiuti, dunque, nonha mai raggiunto gli obiettivi di legge, né perquanto riguarda i dati regionali né per quellidei due capoluoghi di provincia o degli Ati,fatta eccezione per alcuni comuni. All’internodell’Ati2, tra il 2007 e il 2009, gli obiettivifissati dal D. Lgs. 152/06 sono stati raggiuntisolo da Paciano (2008, 2009) e da Marsciano,Piegaro, Panicale e Tuoro (2009). Nel 2010,quando è scattato anche l’obiettivo del Pianoregionale, ai cinque ancora virtuosi si sonoaggiunti Bettona e Deruta. L’anno successivoil numero è cresciuto: Bettona, Deruta, Ma-gione, Marsciano, Montecastello Vibio, Pa-ciano, Panicale, Tuoro (Piano regionale),Fratta Todina, Piegaro, Torgiano (D. Lgs.152/06). Nel 2012 le cose cambiano: tutti icomuni centrano l’obiettivo del Piano regio-nale tranne Assisi (24%), Castiglion del Lago(44,8%), Città della Pieve (34,5%), Passi-gnano (45,9%) e Valfabbrica (42,1%). Cen-trano l’altro obiettivo solo Fratta Todina,Montecastello Vibio, Torgiano. Nel 2013 re-stano fuori Assisi (35,5%), Città della Pieve(44,8%), Passignano (48,6%) e Tuoro(47,1%). Infine nel 2014 nessun obiettivo èraggiunto da: Assisi (49,8%), Magione(49,5%), Paciano (49,7%) Passignano(46,6%), Tuoro (47,6%) e Valfabbrica(49,4%). In più si deve registrare la differenzadi misurazione tra l’Arpa Umbria e l’Ispra acui risultano valori più bassi come si vedesempre nella Tab. 1. Nella Tab. 2 vediamo che la frazione organicapesa per il 42,12% sul totale della raccoltadifferenziata (Rd), questa viene smistata aivari impianti di compostaggio regionali. Tut-tavia, come vediamo dalla Tab. 3 la percen-tuale degli scarti è molto alta in rapporto adaltre situazioni italiane più o meno virtuose.Evidentemente l’organico umbro ha una bassaqualità che rende impossibile il compostaggioe quindi va ad aumentare i rifiuti conferiti indiscarica per i quali il gestore viene pagatodue volte: la prima per la raccolta differenziatae la seconda per il conferimento in discarica.Curiosità: tra le realtà meno virtuose spicca(Tab. 4) Sassari con l’impianto di Ozieri cheha uno scarto nella Rd molto alto, pari al65,59%. Sembrerebbe un marchio di fabbricaperché, come ci informa il “Comitato Ince-neritori Zero”, il gestore è Campidano Am-biente partecipata dai comuni con la rima-nente quota privata messa a bando e vinta daGesenu spa. Concludendo non si può certoparlare di buona gestione specialmente se con-sideriamo che tutto ciò che non può essere ri-ciclato ritorna in discarica anziché essere ven-duto ai consorzi e scontato sulle nostre bolletteavendo noi contribuito a produrre materia se-conda e risparmiato materie prime come inuna virtuosa economia circolare. Ma qui danoi le virtù sono altre!

6 p o l i t i c amaggio 2016

Rifiuti

I numeri e i responsabilidel disastro

Anna Rita Guarducci

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L’amministrazioneha sceltodi legarsia doppio filoa Gesenu, unicoconcorrentedel bandopubblico vintonel 2009che dureràfino al 2024,il cuiprincipalebusinessè la gestionedella discaricadi Pietramelina,da poco chiusaper esaurimentodella capienza

Lungo il tracciato della Ferroviadell’Appennino CentralePer andare da Umbertide a Gubbio il collega-mento, fino al 1945, era assicurato, oltre chedalla rete stradale, dalla Ferrovia dell’AppenninoCentrale che congiungeva Arezzo a Fossato diVico, passando per Sansepolcro, Città di Ca-stello, Umbertide e Gubbio. La tratta, inaugu-rata nel 1886 e completata nel 1888, aveva loscopo di congiungere la longitudinale Roma-Firenze alla trasversale Roma-Ancona, raccor-dando alla grande viabilità ferroviaria le zoneinterne della provincia di Arezzo e di Perugia.Percorso tormentato, in buona parte montano,lentissimo, tanto da far scrivere a Carlo Fainanel 1922 (L’Umbria ed il suo sviluppo industriale)che occorreva abbandonarlo per una linea diben più ampio respiro che si innestasse sullaCentrale Umbra a Città di Castello per giun-gere, attraverso Sansepolcro e Forlì, al porto diTrieste, aprendo alle merci umbre la strada versoi Balcani e liberando “L’alta Umbria da quellavergognosa e disperante e dannosa linea ferro-viaria che si chiama (nientemeno) Ferroviadell’Appennino Centrale, o più modestamenteArezzo-Fossato, a scartamento ridotto e a ren-dimento ridottissimo”. Alcuni testimoni - vivifino a qualche anno fa - ricordavano come suitratti più in pendenza, soprattutto tra Pietra-lunga e Gubbio, in tarda primavera, nel periododelle ciliegie, i passeggeri scendessero al volodal treno: coglievano i frutti e risalivano dopouna breve rincorsa sulle carrozze; oppure comenel periodo invernale nelle tratte più ripide iviaggiatori fossero costretti a smontare dal trenoper alleggerire lo sforzo della locomotiva e con-sentirle di superare le erte. La linea da Umber-tide piegava verso Perugia, arrivando a Monte-corona. Questa tratta del percorso era statasponsorizzata e voluta Filippo Marignoli, espo-nente di una ricca famiglia spoletina che, conprivative e appalti pubblici, aveva acquisito unanotevole fortuna, investita in proprietà immo-biliari e fondiarie tra cui, nel 1871, la tenuta diMontecorona già di proprietà dei monaci Ca-maldolesi. Da Montecorona, punto più bassodel tragitto (236 m s.l.m), la ferrovia virava poi

verso nord est nella stretta valle del torrente As-sino e arrivava a Pietralunga e poi a Gubbio,come descrive la Guida del Touring Club Ita-liano del 1923, salendo fino alla quota di m.475. Il tragitto raramente toccava i centri abitati.Dalla stazione al paese di Pietralunga si dove-vano percorrere 12,5 km di strada carrozzabile.Oggi l’esistenza della linea è testimoniata dallerestaurate stazioni di Umbertide e di Fossato diVico, altre sono state destinate ad usi diversi.Quella di Pietralunga ad abitazione, quella diGubbio a pizzeria-ristorante. Il tragitto è ancora,in alcuni tratti, leggibile. Restano i sedimi ster-rati, percorribili faticosamente a piedi. Per rag-

giungere da Umbertide i pochi villaggi collocatilungo il percorso, Pietralunga e Gubbio bisognautilizzare le provinciali e la statale 219, tutt’altroche agevoli e veloci.

PietralungaInsomma la montagna già collegata malamenteprima della guerra dalla ferrovia, appare ancorpiù isolata. Il suo centro è Pietralunga, comunemontano che nel 1951 aveva più di cinquemilaabitanti, attualmente ridotti a 2.270. Nel suoviaggio Piovene ne parla solo per la presenza,nel villaggio di Sant’Anna, dei Pentacostali, unachiesa protestante di origine statunitense. Lidescrive come una setta di esaltati, insediatisinel dopoguerra a seguito della conversione diun pietralunghese venuto in contatto con mili-tari americani. In realtà la chiesa pentacostalevenne fondata da Giuseppe detto “il biribino”

alla fine del XIX secolo e dal nome del fondatoreanche i fedeli hanno assunto il soprannome di“biribini”. Stupisce che nella Guida rossa delTouring Club del 1978 ancora si citi comeun’attrazione turistica la presenza dei pentaco-stali. Piovene si pone sulla stessa lunghezzad’onda dell’episcopato e dei parroci dell’area,del fascismo che li aveva perseguitati e deglistessi governi democristiani degli anni del cen-trismo che, per bocca di Mario Scelba, rispon-devano ad una interrogazione parlamentare af-fermando che il culto pentacostale non eratollerato nel territorio italiano. E, tuttavia, loscrittore vicentino coglie un tratto tipico dellecomunità della montagna: quello della difesadel proprio isolamento, della propria autonomiae della propria autosufficienza. Del resto è quanto emerge anche da quello cherappresenta l’evento più rilevante della storiadi Pietralunga contemporanea ovvero la Resi-stenza. Il paese fu il punto di riferimento dellaBrigata San Faustino, poi Proletaria d’urto. Icontadini dell’area rappresentavano il grossodella forza combattente della formazione parti-giana. Il 30 aprile 1944 la brigata liberò il paese,venne nominato sindaco Luigi Pauselli, già sin-daco cacciato dai fascisti nell’aprile 1921. Il 7

maggio l’area subì un violento rastrellamentoda parte dei tedeschi e dei fascisti. La brigata siricompose, Pietralunga rimase il suo punto diriferimento, ma quando arrivò l’odine del Clnprovinciale di marciare su Perugia per liberarlai pietralunghesi si rifiutarono. A nulla valsero i

7 i l v i a g g i omaggio 2016

Da Umbertidea Gubbio

un V

iagg

ioin Umbria

hanno partecipatoe curato il viaggioFranco Calistri,Renato Covino,Osvaldo Fressoia,Giovanna Nigi,Giuseppe Rossi

Lungo la strada che collegaUmbertide a Pietralunga

In bassoGubbio. Ciò che rimanedella stazione ferroviaria

Pietralunga. Monumentoal Partigiano umbro

tentativi di persuasione dei comandi della bri-gata né le minacce. La scelta che fecero fu di ri-manere sulla montagna, di continuare a com-battere i tedeschi in ritirata che, impegnati sullalinea di difesa provvisoria (la Albert) in attesadi consolidare la linea gotica, abbandonaronodefinitivamente l’Umbria a fine luglio. La pro-tezione della comunità ebbe la prevalenza ri-spetto a visioni di carattere strategico.

La resistenza contro il degradoE’ questo carattere comunitario, in cui si co-niugavano solidarietà e chiusura, che si è andatoprogressivamente perdendo. Il racconto di FurioBenigni - dal 1970 a più riprese sindaco, vice-presidente della Comunità montana e infinepresidente dell’Ater di Perugia - è quello di unaresistenza ostinata nei confronti del lento de-grado di una zona interna colpita in mododrammatico dalla crisi agraria degli anni cin-quanta e sessanta. I residenti nel comune chenel 1951 erano 5.174 scendono a 4.169 nel1961 per crollare a 2.825 dieci anni dopo; nel2011 erano ancora calati (2.181), oggi sono2.270. Per Benigni Pietralunga ha retto megliodi altri comuni montani, grazie ad una battagliacondotta dalle istituzioni, finche esse hannoavuto capacità di spesa e autonomia. Dalla suaanalisi emerge come nel primo ventennio dellaRegione, grazie anche alla fine degli occhiuticontrolli prefettizi, le possibilità d’interventodel Comune consentissero di alleggerire la si-tuazione. L’esempio che fa è quello dell’acque-dotto. Pagate le spese di manutenzione avanza-vano sempre dai canoni una decina di milionidi lire che consentivano di accendere mutui erealizzare opere. Alle capacità impositive delComune si aggiungevano, poi, i trasferimentidello Stato e i fondi che venivano resi disponibilidalla Comunità montana. L’esaurirsi di questipolmoni finanziari ha messo alle corde un pic-colo comune come Pietralunga, condannato, adire di Benigni, come altre realtà montane, al-

l’estinzione. L’attuale crisi, peraltro, ha inciso profonda-mente sul tessuto produttivo. Le aziende di fa-legnameria si sono estinte, come pure hannochiuso i battenti due piccole imprese di finituremeccaniche. Reggono la Lucyplast e la Ecoplast,due stabilimenti che producono plastica, di cuila più importante occupa 40 operai. In sviluppola lavorazione del tartufo che registra la presenzadi due aziende, la Giuliano tartufi e la Jimmytartufi: complessivamente una sessantina di oc-cupati. Sembrerebbe il promettente avvio di uncomparto agro alimentare, basato sulle eccel-lenze dell’area, ma l’ex sindaco segnala come loscioglimento della Comunità montana abbiasignificato la fine della cura di ettari ed ettari diterreni demaniali regionali. I terreni agricolisono abbandonati, nonostante diversi agricoltoridella zona li abbiano richiesti alla Regione peril pascolo delle chianine. Essendo oggetto divalorizzazione non potevano essere affittati. Si-mile la situazione dell’azienda faunistico vena-toria. Era stata affidata a trattativa privata aduna cooperativa di giovani per 10.000 euro;quattro anni fa si decise di bandire una gara

con una partenza di asta di 30.000 euro. Risul-tato: la cooperativa venne esclusa dalla gestionee il bando… andò deserto. Oggi Benigni è attivo nell’Anpi e cerca con glialtri soci di mantenere viva la memoria di eventiche hanno rappresentato, come abbiamo giàdetto, una svolta nella vita del paese. All’iniziosi era pensato addirittura ad un Museo dellaResistenza umbra, poi si è ripiegato sui localicomunali già in uso alla Pro Loco per docu-mentare, almeno, l’attività partigiana nella zona.Si attende da mesi la consegna dei localiall’’Anpi di Pietralunga, che dovrebbe allocarviuna mostra, un piccolo centro di documenta-zione, un’aula didattica. Niente di trascenden-tale, dice Benigni, ma - come per il comunismodi Brecht - si tratta di una” semplicità difficilea farsi”. Intanto la memoria della Resistenza èaffidata al Monumento regionale al partigianoumbro, inaugurato nel 2015, nei giardini sottola Piazza. Come il semplice sia difficile a farsi emerge an-che da quanto ci dice Matteo Truffelli, operaiodella Lucyplast e impegnato nel circolo localedi Libera che a Pietralunga ha 35-40 tesserati.Truffelli ci parla delle difficoltà economichedella zona, del languore dell’industria e indivi-dua nelle eccellenze agricole del territorio, lapatata bianca che ha ottenuto la denominazionecomunale di origine e il tartufo, le possibilitàdi una ripresa delle produzioni rurali. In questocontesto si colloca la questione delle terre inu-tilizzate e in particolare dei cento ettari seque-strati dallo Stato nel 2009 alla famiglia regginaDe Stefano legata a doppio filo ai casalesi. L’ac-quisto della tenuta, dove i De Stefano non eser-citavano nessuna attività economica se non l’af-fitto dei boschi e dei pascoli, era dovuto allapresenza a Pietralunga di appartenenti alla‘ndrina inviati a domicilio coatto. I casolari egli annessi presenti nella tenuta erano utilizzaticome “covi freddi” per latitanti o luoghi dovenescondere vittime di rapimenti. Dal sequestrosi è passati nel 2011 alla confisca e il Comunedi Pietralunga ha iniziato la procedura per ilpassaggio dal demanio statale a quello comu-nale, conclusasi qualche mese fa. Nel frattempo Libera ha ottenuto l’assegnazionetemporanea del bene per tre anni, vi organizzacampi scuola e corsi sulla legalità. Squadre divolontari preparano un ettaro di terreno su cuipiantano 10 quintali di patate biologiche donateall’associazione da Lega ambiente, da cui rica-

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I dati macroeconomicidell’Eugubino GualdeseFranco Calistri

l 2014, ultimo dato disponibile, la popolazione residente negli 8 comuni dell’Eugu-bino Gualdese (Costacciaro, Fossato di Vico, Gualdo Tadino, Gubbio, Nocera Umbra,Scheggia e Pascelupo, Sigillo) ammonta a 55.263 unità, pari al 6,2% della popola-

zione regionale, distribuita su di una superficie totale di 835,05 kmq, circa il 10% della su-perficie totale regionale. Al censimento del 2011 gli occupati erano 23.717, dei quali pocopiù di un migliaio (1.020) in agricoltura (4,3% del totale, rispetto al 5,1% dell’intera provinciadi Perugia), 8.372 nella manifattura e nelle costruzioni (35,3%, rispetto al 28,7% della pro-vincia), 7.998 nei servizi privati (33,7% del totale, rispetto al 36,8% provinciale) e 6.328 ne-gli altri servizi, comprensivi della pubblica amministrazione (26,7% contro il 29,4%). Sempreal 2011 (censimento industria, commercio e servizi) nell’area erano presenti 4.753 unità lo-cali, per la quasi totalità di piccole e piccolissime dimensioni; quelle al di sopra dei 100 ad-detti erano in tutto 6 (1 a Nocera Umbra con 972 addetti, 3 a Gubbio per un totale di 408addetti, 1 a Gualdo Tadino con 235 addetti ed 1 a Fossato di Vico con 199 addetti). Il com-plesso di queste 4.753 unità locali dava lavoro a 16.387 addetti, dei quali il 30,6% occupatoin attività manifatturiere, il 12,8% nel settoredelle costruzioni, il 19,3% nel commercio,l’8,5% nell’alberghiero e ristorazione. All’in-terno del comparto manifatturiero (4.974 ad-detti) 1.409 addetti (28,3%) erano occupatinella fabbricazione di apparecchiature elettri-che e non ad uso domestico, dei quali 972alla Merloni di Nocera; il 32,0% nelle lavora-zioni di minerali non metalliferi (1.594 ad-detti dei quali 933 nel comune di Gubbio e494 in quello di Gualdo Tadino). Il complessodi queste attività faceva sì che, sempre al2011 il tasso di occupazione, calcolato sullabase delle risultanze censuarie, nei comunidell’area oscillasse attorno al 48,7% (dal50,1 di Gubbio al 48,2% di Gualdo, al 41,6%di Nocera Umbra) a fronte di un 47,7% dellaintera provincia di Perugia. Il tasso di disoc-cupazione risultava in media attorno all’9,1%(dall’8,6% di Gubbio, al 9,8% di Gualdo, al9,5% di Nocera), non molto distantedall’8,9% della media provinciale. Assieme al manifatturiero l’altra gambadell’economia dell’area era quella turisticache (sempre al 2011) poteva contare su diuna capacità ricettiva di 2.287 posti letti suddivisi in 321 esercizi, dei quali 31 alberghiericon una dotazione di 1.435 posti letto. Nel periodo tra il 2001 ed il 2015 le presenze turisti-che registrate nelle varie strutture ricettive del territorio sono cresciute del 3,5%, dato infe-riore a quello medio provinciale che è stato, sempre nello stesso periodo del 5,8%. Da se-gnalare anche la riduzione della permanenza media che scende dalle 2,8 notti alle 2,4 notti.Su questa struttura economico produttiva costituita da poche imprese di una certa dimen-sione con produzioni fortemente legate agli andamenti del ciclo economico nazionale (cicloedilizio e dei beni di consumo semi durevoli in particolare), da un insieme di piccole impresea dimensione artigianale, un comparto turistico ancora gracile e poco sviluppato (in terminidi attrattività l’area dell’eugubino gualdese è la sesta su nove a livello provinciale), si è ab-battuta la crisi che ha portato alla chiusura di alcune grandi aziende manifatturiere, all’inde-bolimento del sistema produttivo legato al ciclo delle costruzioni, a partire dalla riduzione dipersonale attuata nei cementifici della zona di Gubbio, ad una diffusa situazione di difficoltàanche nei comparti dei servizi e della ristorazione. La mappa delle crisi aziendali, elaborata dalla Cgil, vede proprio in quest’area una forte con-centrazione. I dati del 2015 oltre agli 800 della ex Merloni vedono a rischio altri 350 posti dilavoro alla subentrante Jp Industries di Nocera Umbra, 35 alla Rigel di Gubbio, 30 alla Srapdi Gubbio, 187 alla Faber di Fossato di Vico, mentre nel settore delle costruzioni ci sono 16licenziamenti alla Pecci di Gualdo Tadino, interventi di cassa integrazione a rotazione per120 lavoratori alle Cementerie Barbetti e 116 alla Colacem di Gubbio. E si tratta di un elencoapprossimato per difetto.Nel corso del 2015 la Cig in deroga ha interessato 145 aziende (delle quali 84 a Gubbio) per348 lavoratori; quella ordinaria 22 aziende per 524 occupati e quella straordinaria 4 aziendeper complessivi 600 dipendenti. Gli iscritti ai centri dell’impiego a fine 2015 hanno raggiuntoquota 4.158.

A

Gubbio. cantiere.

Gubbio. Cemeterie Barbetti

Pietralunga. Torre fortificata

Pietralunga. Zona industriale

vano 25 qli di prodotto che viene venduto fuorimercato. È stata costituita, al momento da quat-tro soci, di cui nessuno con consolidate espe-rienze di lavoro in agricoltura, una cooperativatitolata a a Rocco Gatto, piccolo imprenditoredi Gioiosa Ionica ucciso nel marzo 1977 peraver rifiutato di pagare il pizzo alla ‘ndrangheta.Si sono insaturati rapporti con tecnici agricolidi Libera, dell’Università, della Lega delle coo-perative. L’obiettivo è ottenere le terre seque-strate in affidamento definitivo, sapendo diavere la condivisione dei cittadini di Pietralunga,ma occorre un piano d’impresa che ancora non

è stato redatto. Genericamente gli asset produt-tivi dovrebbero essere il tartufo, le patate, il li-quore alle visciole, è invece incerto il destinodelle aree boschive e dei pascoli. Insomma ilprogetto di gestione è ancora in alto mare, iltempo e la burocrazia logorano gli entusiasmi eil passaggio dall’utopia alla prassi appare menosemplice di quanto appariva all’inizio. Intantosi è in attesa del bando di gara del Comune,sperando nell’affidamento alla cooperativa delleterre confiscate.

A GubbioProseguendo il viaggio verso Gubbio si riprendela statale 219, qualche chilometro più avanti siattraversa la frazione di Semonte dove, impo-nente, si staglia il Cementifico Barbetti, che se-gna lo skyline del paese. Si giunge quindi allaCittà dei ceri. Una periferia con palazzi e pa-lazzine anonime, con una viabilità approssima-tiva, frutto di una modernizzazione senza qua-lità. Per contro la città vista da piazza QuarantaMartiri appare, come al solito, nello splendoredelle sue pietre: in primo piano la Loggia deitiratori, incombente su tutto il Palazzo dei Con-soli. Insomma, per dirla con una frase da ro-manzo, la città di pietra e la città degli affari(dei costruttori), quella destinata a durare equella condannata a rapida usura. Ma la cittàdi pietra è anche quella del silenzio, della desertabellezza, con poco più di 3.000 abitanti di cuimolti anziani, attraversata più o meno frettolo-samente dai turisti, con i segni della presenzadi don Matteo, adesso “emigrato” a Spoleto,nelle insegne e nelle réclame dei ristoranti. L’im-magine e la fascinazione della città antica sulvisitatore resta quella evocata, ormai settantaanni fa, da Piovene: “Gubbio è un’altra Umbria,e dell’Umbria la città più straordinaria. Non èdolce, né amena; ma nessun’altra ha una bellezzacosì alta. Questa capitale di antichi montanariappenninici […] fatta di blocchi di calcare e dimattone dalle tinte smorzate, cui solo nel Ri-nascimento si unì l’arenaria, ha un colore uni-forme, profondo, spento. E’ triste ed assoluta:è, per rubare la parola ad un filosofo greco, delcolore di morti. […] Ogni nota gaia o vivacequi sarebbe di troppo”.Come ha inciso su questa realtà isolata la crisi?Quali sono stati i suoi contraccolpi ai diversi li-velli? I dati sono per molti aspetti impressio-nanti. Secondo l’Osservatorio regionale, tra ilII semestre 2014 e il II semestre 2015, le nuoveassunzioni sono state 575, le cessazioni di rap-porti di lavoro 612. Insomma, anche se di poco,il saldo è negativo. Quello che emerge nel primotrimestre 2016, tuttavia, è il numero dei disoc-cupati (2.615) e dei cassaintegrati in deroga.

Le imprese coinvolte sono 136, i lavoratori 630.Se si esamina poi la struttura produttiva, comerisulta dai dati della Camera di Commercio, lesue fragilità appaiono evidenti. Delle 3.156 im-prese registrate solo 376 sono società di capitali,il grosso è rappresentato da società di persone(699) e individuali (2.021). Ancora più signifi-cativi i dati per quanto riguarda la dislocazionedelle aziende nei diversi settori: 844 (26,7%)sono concentrate nel comparto agricolo, 265in quello industriale (8,7%). Il resto (il 64,4%)opera nei servizi. Al di là della tirannia dei nu-meri, tuttavia, ci sono le esperienze individuali,

le sofferenze delle persone, le loro difficoltà, lastrenua difesa di un livello di vita dignitoso: unsalario sia pur modesto ad ogni fine mese, mar-che pensionistiche che assicurino una qualchecertezza per la vecchiaia, uno status sociale ga-rantito dalla rete di socialità che comunque rap-presenta un modo per non essere soli.

Crisi industriale e condizione umanaE’ quanto è stato sottratto a Maria Stella Tra-versini e con lei ad altri 649 lavoratori e lavora-trici della ex Merloni di Gaifana. La crisi eco-nomica, in questo caso, non è un concettoastratto, ma incide sulla concretezza della quo-tidianità. Maria Stella ci racconta la sua storia.Emigrante in Germania, rientrata nel 2000, perdieci anni ha lavorato alla Merloni. E’ vice pre-sidente della Fiom provinciale. L’azienda, incrisi dal 2008, ha evitato il fallimento e i liqui-datori hanno provato con i crediti di Montedei Paschi e di Banca Marche a salvare gli assetpiù significativi. Nel 2014 sono arrivati i licen-ziamenti e si è cercato un nuovo imprenditore,individuato in Giovanni Porcarelli della Jp In-dustries. Subito si è aperto il contenzioso conle banche sui debiti che la vecchia gestione do-veva onorare e che il nuovo proprietario nonintendeva pagare, mentre non si riuscivano asbloccare, per vincoli normativi, i 35 milionimessi a disposizione dal Ministero per lo svi-luppo economico e dalle Regioni Marche edUmbria per il rilancio economico dell’area. Soloin questi giorni si è riusciti a rendere disponibilii primi 9 milioni. Nel frattempo, nonostante cisia l’assicurazione di riassumere 350 operai perprodurre lavastoviglie e frigoriferi, in fabbricasono presenti solo 50 unità. Insomma tra Gai-fana e Fabriano sono spariti centinaia di postidi lavoro, di cui qualche centinaio nel bacinodi Gubbio. Maria Stella è stata così costretta a riconvertirsi,come altre lavoratrici Merloni che non rientre-ranno in fabbrica. Trenta di loro hanno fre-quentato un corso di assistenza socio-sanitariae iniziato l’attività di assistenti domiciliari concontratti figli del jobs act. Non è nata nessunacooperativa, segno che le solidarietà costruitain fabbrica è destinata a logorarsi fuori da essa.Maria Stella registra anche un cambiamentonell’assistenza domiciliare: se prima era soprat-tutto appannaggio di lavoratrici straniere oggiinizia ad esserci una presenza significativa diitaliane. Quelli che erano lavori destinati a manod’opera straniera, in quanto ritenuti meno sicurie qualificati, oggi divengono appetibili ancheper gli indigeni. In questa polverizzazione di mestieri e di formedi sopravvivenza, nel corrompimento delle

forme di organizzazione sociale, poche sono leimprese nuove che si affermano nella città e nelterritorio: una fabbrica di caffè svizzera, qualcheazienda di cashemire, un’impresa a Fossato cheha ripreso la produzione di cappe da cucina.Interessante è un’esperienza di rivitalizzazionedei lavori di sartoria, localizzata nella zona in-dustriale, sorta con un intervento attivo dellaCgil, che si è concretizzata in uno stabilimentoin cui inizialmente lavoravano 30 donne, oggidiventate 47, gestita da una Srl nel cui capitalesono entrate al 20% le lavoratrici. Segnali in-sufficienti per marcare una ripresa e che portanola nostra interlocutrice ad affermare che oggi inuovi “ricchi” sono i pensionati, sono i vecchiche sostengono i giovani, sono le economie fa-miliari che consentono di sopravvivere, di am-mortizzare gli effetti della crisi.

Crisi generale e crisi endogenaCiò porta a ragionare sul modello economicocittadino costruito tra i decenni finali del No-vecento e questo inizio di secolo e sui contrac-colpi delle sue attuali difficoltà sulla società esul territorio. Il riferimento è a gruppi cemen-tieri che operano nel territorio e che hannomarcato i percorsi dello sviluppo industriale eu-gubino.Anche questo settore è in crisi, come del resto alivello nazionale dove si registra una caduta delladomanda, e conseguentemente della produ-zione, del 65%. E’ il frutto delle difficoltà delciclo edilizio e del ristagno delle opere pubbli-che. A Gubbio e per i gruppi industriali del ce-mento presenti nel territorio la situazione è ana-loga. Le imprese o hanno mantenuto unpresidio di carattere amministrativo e marcianoverso la chiusura (Italcementi) o registrano dif-ficoltà produttive dovute alle congiunture eco-nomiche e di mercato. Difficoltà che finora,però, non hanno inciso sull’occupazione direttadegli stabilimenti. I cementifici da questo puntodi vista sono imprese labour saving, hanno pochiaddetti, nel caso eugubino non superano qual-che centinaio. L’impatto più duro sui livelli oc-cupazionali è stato nell’indotto, nelle aziendeche lavorano il cemento (prefabbricati, tubi,ecc.), in quelle di trasporto. Ma, soprattutto, èentrato in crisi un modello che ha retto oltreun settantennio e che ha inciso profondamentelo stesso tessuto sociale e culturale della città, ilcui simbolo è rappresentato da Carlo Colaiacovoil quale al ruolo di spicco che ha avuto ed ha inColacem, il maggior gruppo industriale del ce-mento della città, somma quello di Presidentedella Fondazione Cassa di risparmio di Peru-gia.I tre consiglieri del Movimento Cinque stellein consiglio comunale (il 18% alle ultime ele-zioni) - Sara Mariucci, Mauro Salciarini e Ro-dolfo Rughi - sottolineano questo sviluppo squi-librato, basato sul cemento, la povertàimprenditoriale dei soggetti in campo: i piùvecchi - dicono - sono ormai usurati, i giovaninon sembrano capaci di indurre percorsi di in-novazione. I consiglieri pentastellati mettonoin evidenza come la monocultura cementierasia una delle cause dell’abbandono dell’artigia-nato tradizionale, a cominciare dalla ceramica,come essa sia riuscita a proliferare grazie allacessione di beni comuni, come la marna, aprezzi irrisori da parte della Regione (30.000euro forfettari annui), cui fa da pendant quelladelle risorse idriche di Scheggia a Mottette, lasocietà che imbottiglia l’acqua delle sorgentidel Monte Cucco. Questo ha determinato unacaduta di senso civico e della solidarietà citta-dina, una chiusura identitaria che provoca ele-menti di xenofobia che a volte sfociano in formedi razzismo. Le reazioni negative alla partecipa-

9 i l v i a g g i omaggio 2016

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ioin Umbria

Gubbio. Piazza Grande

Gubbio. Veduta dalla Piazza Grande

10 i l v i a g g i omaggio 2016

zione del Comune ai bandi del Sistema di pro-tezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati, sonoda questo punto di vista emblematiche. In-somma le 240 associazioni presenti in città, ditutti i tipi - sportive, sanitarie, culturali - nonfanno società civile. Si innesca così un mecca-nismo avvitato in cui la povertà culturale generauna percezione fisica dell’immiserimento dellacittà che provoca una litigiosità diffusa che sitrasforma in rifiuto del diverso. Tale chiusurache, al di là della tradizione, si incarna nellaCorsa dei Ceri, è funzionale alla perpetuazionedel comando dei padroni del cemento, al si-stema che hanno progressivamente costruito(stampa, ora dismessa, televisione locale, ero-gazione di provvidenze della Fondazione ban-caria), nonostante che il loro potere oggi sia indeclino e il modello Colaiacovo si vada pro-gressivamente appannando, indebolendo. Maquesta maggiore debolezza non si traduce affattoin una maggiore capacità di regolamentazionee ripresa di protagonismo dell’amministrazionecomunale, che anzi mostra tutta la sua impo-tenza. Appare inutile, commissariata, non riescee non può fare nulla. La vicenda delle Loggedei tiratori non ha come centro la questione sesia giusto o sbagliato “vetrarle”, quanto l’assenzadi dibattito pubblico, il disinteresse dell’opi-nione cittadina, la scelta di non regolamentareniente, la colpevole rinuncia alla necessaria cau-tela sacrificata alla velocità dell’intervento. Ciòsegna una subalternità di fatto ai poteri domi-nanti. Non è l’unica, c’è anche quella nei con-fronti dei dirigenti del comune che i consiglieridefiniscono inefficienti. Insomma, al di là dellebuone intenzioni, a cui ci si rifà nei momentidi difficoltà, Stirati è passato dal Pd … al Pd. Edel resto c’è una difficoltà oggettiva. Dei 30milioni di bilancio comunale, 29,5 sono vin-colati, ciò spiega l’acquiescenza nei confrontidella Fondazione Cassa di risparmio e del suoPresidente. Anche contributi non particolar-mente sostanziosi danno un po’ di respiro allecasse comunali.

La perdita dell’identitàe dell’orgoglio cittadinoMeno congiunturale l’analisi che fa Orfeo Go-racci, per venti anni al centro della politica eu-

gubina. Giovane consigliere comunale del Pciè diventato parlamentare con Rifondazione co-munista nel 1992, poi consigliere regionale eassessore; a Gubbio è stato sindaco per diecianni, infine è stato rieletto in Consiglio regio-nale.Oggi è tornato a fare il suo mestiere di maestro.A fine 2012 è incappato in una vicenda giudi-ziaria inerente alla sua attività di sindaco dacui, come spesso avviene in Italia, sta progressi-vamente uscendo con la fatica di giudizi, con-trogiudizi, caduta di capi di imputazione chehanno coinvolto non solo lui, ma anche fun-zionari e consiglieri comunali. Per Goracci la crisi a Gubbio ha inciso conforza ed è il frutto non solo dei grandi sommo-vimenti economici, ma delle caratteristiche en-dogene del modello di sviluppo cittadino. Ilterritorio non ha conosciuto un vero e proprioprocesso di industrializzazione, se non per l’in-sediamento della Merloni nel comprensorio cheha garantito venti anni di occupazione ma lacui crisi oggi determina pesanti contraccolpi. Aciò ha corrisposto una crescita drogata delle co-

struzioni, grazie al terremoto del 1984, che haconsentito la tenuta di un settore che vedeva lapresenza di muratori di qualità. Infine sono ingrave difficolta i cementifici e il loro indotto.Da tutto ciò deriva l’impoverimento del tessutocittadino, dei ceti medi e dei lavoratori di fab-brica, passati da una condizione di dignità e si-curezza ad una situazione di precarietà ed in al-cuni casi di miseria. Alcuni hanno provato adimpegnarsi in settori alternativi e diversi rispettoa quelli in cui lavoravano, spesso sono stati tra-volti da fallimenti, precipitando in una condi-zione sottoproletaria. La situazione economicae sociale, insomma, è decisamente peggiorata. A questo corrisponde una trasformazione deicentri di decisione e delle culture. Il potere eco-nomico, in particolare la più grande impresacementiera eugubina, decide su tutto anchesull’idea di città. Il potere della Colacem è permolti aspetti analogo, fatte le debite propor-zioni, a quello che altri gruppi industriali hannoesercitato nelle realtà urbane su cui erano pre-senti. La città negli ultimi decenni, peraltro, ècambiata anche dal punto di vista dei tessuti

identitari. Il blocco sociale di riferimento delvecchio Pci a Gubbio era costituito dai mezzadrie da forti gruppi di artigiani a prevalente carat-terizzazione laica, irriducibilmente gelosi dellaloro autonomia. Oggi questo carattere si è an-dato illanguidendo, anche se rimane sottotracciae si manifesta, sia pure in modo parziale, nellafesta dei Ceri. L’eugubino che non si fa metteresotto da nessuno esiste sempre meno. D’altrocanto la vicenda delle Logge è - a parere di Go-racci - la sintesi di un capriccio personale emette in luce una perdita di autonomia del-l’amministrazione comunale nei confronti delpotere economico, come i centri commerciali,come l’assenza di una politica di difesa e di va-lorizzazione del centro storico. Del resto la ri-duzione dei trasferimenti da parte dello Statomette il Comune alla mercé del potere econo-mico. In questo quadro il rischio per Gubbio èquello di non avere una prospettiva, di non sa-pere dove andare. La città è anestetizzata, nonsi sa quali saranno gli sbocchi della crisi: il turi-smo? L’ambiente? Occorrerebbe uno lettura di-versa della realtà che configuri un futuro chenon abbia come momento di caduta una sortadi Gardaland medioevale. Dell’antico bloccosociale che dava orgoglio e identità alla città èrimasto ben poco, ne rimane qualche traccianelle forme di lavoro autonomo. Il potere socialedei cementieri si è esercitato, in passato, con ildrenaggio dei giovani migliori che uscivano da-gli istituti cittadini, oggi si esercita attraverso ilcondizionamento dei corpi sociali affidato, inqualche caso, ai dirigenti intermedi, più che almanagement aziendale, con forme sottili di in-timidazione che generano fasce diffuse di silen-zio e, in qualche caso, di omertà. Gubbio, in-somma, a parere di Goracci, sta perdendo lasua anima, la sua identità e il suo orgoglio, conprospettive incerte, con una crisi economicadiffusa che la attanaglia. Ma è anche, al tempostesso, una città che, per molteplici motivi, nonè solo degli eugubini, che assume nel panoramanazionale una sua rilevanza. In questo contestoin modo molecolare si costruiscono forme diaggregazione e di protesta, di estraneità agliequilibri esistenti di cui, nel prosieguo del nostroviaggio, non è inutile parlare.(continua)

ubbio è sede di due grandi societàproduttrici di cemento: la Cemente-ria Aldo Barbetti Spa e la Colacem.

Quest’ultima è il terzo produttore italiano,con 7 stabilimenti in Italia e il 14,6% dellaquota di produzione nazionale. Prima di leisolo la Italcementi, con 24 impianti e il 26%del cemento prodotto nel nostro paese, e laUnicem con 13 siti produttivi pari al 17,9%.La Barbetti si colloca all’ottavo posto conuna quota del 3,8% e 2 stabilimenti. La pro-duzione di cemento, che in Italia raggiungevai 50 milioni di tonnellate nel 2007, è scesanel 2010 a 34,5 milioni. Nel secondo seme-stre del 2011 il calo è stato del 50% per leproduzioni di cemento e del 70% per quantoconcerne i prefabbricati. I due anni succes-sivi hanno visto una ulteriore diminuzionedelle produzioni. Nel 2013, con 21,7 milionidi t, si è registrata una caduta, rispetto al2012 di circa il 15%, nel 2014 il calo ri-spetto all’anno precedente è stato del 7,4%.L’associazione dei cementieri italiani stimache solo per le tre società quotate in borsa(Italcementi, Bizzi e Cementir) ci sia stato trail 2008 ed il 2013 un dimezzamento dellaproduzione con perdite pari a 1,1 miliardi dieuro. E’, tuttavia, l’intero settore che vive daanni una depressione profonda derivante dadue elementi concomitanti: la crisi del com-parto delle costruzioni e la caduta degli inve-stimenti in lavori pubblici. Le due società eu-gubine sono il frutto del ciclo espansivo deglianni sessanta. La Barbetti nasce nel 1956 ecresce progressivamente nei decenni suc-cessivi. Produce diverse varietà di cementoPortland, cemento da altiforno e cemento dipozzolana. Ha un capitale sociale di circa2,9 milioni di euro. Ha uno stabilimento aRavenna, ed è capofila dal 1990 della Stb,una società di trasporti che movimenta ilprodotto, e della Tecnocal che produce e

vende calcestruzzo preconfezionato e mate-riali inerti con 13 punti vendita in tutta l’Italiacentrale.Entrambe le società hanno sede, come lostabilimento principale, a Semonte, nel co-mune di Gubbio. Ad esse si aggiunge la Bar-betti Ic con sede amministrativa e impianti inprovincia di Latina. Nel 2008 ha acquisito inTurchia la Cimko per 309 milioni di dollari.Ha le concessioni delle cave di marna Valder-chia e Il Cavaliere Petazzano, rispettiva-mente per 484,44 e 596 ettari. Prima dellacrisi il suo fatturato era pari a 175 milioni dieuro (sceso nel 2012-2013 a 96,3 milioni)con un utile netto di 15,4 milioni. Le sue im-prese occupano 200 addetti. La società è

stata fino a qualche anno fa editore del “Cor-riere dell’Umbria”, poi ceduto ad Angelucci,imprenditore con consistenti interessi nellasanità privata e nel settore delle costruzionioltrechè editore di “Libero”.Più articolata la vicenda della Colacem. Lesue radici affondano in una piccola aziendafamiliare sorta nel 1945. Dopo la prematurascomparsa del fondatore, l’azienda vieneesercita dalla moglie attraverso una societàdenominata “Carmela Colaicovo & figli”. Nel1966 la società cambia la sua denomina-zione in “F.lli Colaiacovo snc”, risale al 1973l’assunzione dell’attuale denominazione “Co-lacem”, che diviene una Spa familiare le cuifigure di spicco sono Giovanni e Carlo Colai-

covo, rispettivamente presidente e ammini-stratore delegato. C’è poi la holding di fami-glia, Financo (6 membri su 8 del Cda sonoColaiacovo, per lo più della nuova genera-zione). Presidente Francesca Colaicovo, vice-presidente Maria Cristina. La Financo, ha 12unità operative in Italia, di cui 7 a ciclo conti-nuo, società e impianti in Albania, Tunisia,Repubblica dominicana, Canada, Spagna.L’espansione del gruppo è avvenuta soprat-tutto nel settore del cemento e dei prefab-brica in calcestruzzo. Nel 1987 si ha la costi-tuzione della Colabeton, con sede sempre aGubbio. La Colacem ha nel territorio eugu-bino 3 cave di marna: Il Cavaliere Piazza(227,44 ettari), San Marco (162,51), Case-nove (202,20). La Financo, che ha comples-sivamente 1.000 addetti, si struttura in quat-tro settori: Cemento, Calcestruzzo, Trasportie Diversificati. In quest’ultimo si concentranoattività come alberghiere ed editoriali (Trgme-dia) e, fino a qualche anno fa, il “Giornaledell’Umbria” poi ceduto alla Gifer e oggi in li-quidazione. Al 31 dicembre 2104 il bilancioconsolidato della Financo registrava un fattu-rato complessivo di 505,5 milioni di eurocontro i 524,5 del 2013, le perdite da 10,8milioni sono salite a quasi 19. Se si guardal’hard businness della finanziaria e soprat-tutto le imprese concentrate a Gubbio, Cola-cem registra una diminuzione del fatturatoda 263,8 milioni (2013) a 237,1 (2014),mentre salgono gli utili netti da 4,9 a 14,1mlioni di euro, ottenuti grazie ad una consi-stente riduzione dei costi. Per contro Colabe-ton vede il fatturato scendere da 129,8 a121,4 milioni e le perdite salire da 13 a 14milioni. Sono questi dati, sommati ad unapersistente crisi dell’industria del cemento,che rendono credibili le voci che, sempre piùinsistentemente, parlano di licenziamenti edi cassa integrazione.

CementoG

Gubbio. Piazza Grande e Palazzo dei Consoli

Gubbio. Cemeterie Colacem.

rmai solo a notte fonda, è possibile ve-dere Piazza IV novembre dalla prospet-tiva monumentale di Corso Vannucci,

non occlusa e svilita dalla allucinante teoria digazebo e vettovaglie che ne fanno di giorno e disera un vero e proprio ristorante a cielo aperto.Solo così, allora, la cattedrale di San Lorenzo,introdotta dalle meraviglie della Fontana Mag-giore, appare in tutta la sua austera bellezza, ap-poggiandosi, come un po’ stanca, alle più giovaniLogge di Braccio. Dove cioè, gotico e medioevosi sposano in un singolare e armonioso accrocco,ma anche dove sono visibili i resti del campaniledodecagono addossato alla primitiva Cat-tedrale (abbattuto nel XIV secolo), doveè posta la famosa Pietra della Giustizia edove insiste l’iscrizione dell’estinzione deldebito pubblico risalente al 1233. Il fatto è che proprio sotto quelle logge,così cariche di simboli e di storia, sorgeràuno scintillante Chocobar, con tanto ditavolini e arredi esterni, che ne stravolgeràinevitabilmente il profilo e il significato.Insomma, dopo le Logge dei tiratori diGubbio, adesso tocca a quelle di Bracciodiventare pomo della discordia cittadina.Là - a Gubbio - è la Fondazione Cassa dirisparmio proprietaria del bene storico adeciderne la ristrutturazione (vetrifican-dolo) e l’uso; qui a Perugia è l’imprendi-tore del cioccolato Eugenio Guarducci adisporne, avendolo avuto in concessioneda parte del Capitolo della Cattedrale diSan Lorenzo, proprietario del sito. Il pro-blema è sempre lo stesso: può un soggettoprivato, in quanto proprietario, disporrea piacimento di un bene storico e archi-tettonico tutelato dalla legge e da ciò cheresta dello spirito pubblico di una comu-nità? Sia chiaro: pochi, più di noi, condi-vidono il riuso dell’antico e l’integrazione vir-tuosa fra permanenze, modernità e funzionalità.Le scale mobili dentro la Rocca Paolina ne sono,del resto, uno degli esempi più brillanti e riusciti.Ma con la cioccolateria dentro le Logge di Brac-cio siamo in presenza dello snaturamento di unsito che da luogo pubblico, simbolicamente frai più importanti della città, si tramuta in eserciziocommerciale privato. Purtroppo, i cittadini, an-che quelli più colti e sensibili, paiono assoluta-mente incapaci di reagire. Se, infatti a Gubbio ènato un testardo e battagliero comitato capacedi compattare la gran parte della città contro laprepotenza della Fondazione, fino al punto diottenere l’appoggio del Presidente della Repub-blica Mattarella, a Perugia solo una piccola madeterminata associazione, Umbria grida terra(Ugt), ha avuto il coraggio di mettersi di traversoe chiedere chiarimenti. “(S)loggia, si siede solochi consuma” è lo striscione che ha fatto dasfondo alla manifestazione organizzata lo scorso8 maggio [e replicata il 22, ndr], in forma diparole, comunicati e musica. Una manifestazionenon oceanica, ma capace di radunare, alla spic-ciolata, davanti alle Logge ancora impacchettate,in una grigissima e umida domenica, quella Pe-rugia che non ci sta a subire l’ennesimo colpoinferto alla proprio patrimonio storico e artistico.Ma è bastato questo per rompere quel silenzio-assenso su cui Guarducci e Curia vescovile con-tavano, complice una amministrazione comunaleprona, una Sovrintendenza servile e una cittànel complesso indifferente, quando non intima-mente collusa.

Se a Gubbio Italia nostra è stata fin dall’inizio afianco del Comitato contro la vetrificazione delleLogge dei tiratori, la sezione perugina, sulleLogge di Braccio, è rimasta acquattata dietro lacoltre di una imbarazzata indifferenza, salvo unintervento sui social network degno di una proloco di paese, comunque dalla parte di “lor si-gnori”. Piccata, è arrivata la risposta della Curiache argomenta parlando di “lotta al degrado” e,arrampicandosi sugli specchi, aggiunge che “nonsi tratterà di un banale chocobar ma di un luogoche esporrà il marchio Perugina […] vera e pro-pria bandiera di Perugia nel mondo”. Divertente

anche Guarducci che, terrorizzato come un bam-bino sorpreso con le dita nella marmellata, hachiamato immediatamente “i ragazzi” di Ugtpromettendo loro addirittura di pagare intera-mente le spese del Progetto Mercato Copertoche l’associazione da anni propone, invano, al-l’amministrazione comunale. Per chi non lo ri-corda, infatti, Umbria Grida Terra si impose al-l’attenzione della città - se ne occupò in tv anchela trasmissione di Michele Santoro - con un pro-getto di Mercato Coperto a gestione pubblica,alternativo a quello dichiaratamente commer-ciale e for profit, della Perugia Oberdan. Questaproposta mise alla frusta la passata amministra-zione Boccali, così come quella odierna, con laquale, dopo mesi di inconcludenti e dilatori in-contri, il rapporto è ormai ai minimi termini.“Si tratta di un progetto - ci dicono Vittoria Fer-dinandi e Giuseppe Vaccaro, due fra i massimiesponenti di Umbria grida terra - che intende ri-guadagnare questo spazio, oggi in declino, eppurecosì significativo nella storia di Perugia, ad un usoaperto alla città intera, e non risolversi invece inun ennesimo centro commerciale. Vogliamo che di-venti uno spazio ove vengano valorizzati prodottie attività sottratte alla logica ossessiva del profitto,a favore invece di produzioni e servizi ‘di prossi-mità’: produttori agroalimentari, vignaioli, artistie artigiani, capaci di fare rete con altre attivitàproduttive e commerciali, ristoratori, mense, cate-ring, prima di tutto locali, così da garantire qualitàdei prodotti e costi contenuti. Ma anche un luogodi incontri pubblici, concerti, mostre, laboratoriteatrali, cinema, ecc. Insomma uno spazio pubblico

di eccellenza ove possano coniugarsi cultura e atti-vità economiche ‘eque e solidali’. Ne guadagnerebbetutta la città, in termini di qualità della vita eperfino di occupazione. Piccoli numeri certo, maun significativo esempio di possibile altra economiae di concreta risposta alla epocale crisi che stiamovivendo”. Chiediamo loro che nesso ci sia fra la questionedelle Logge e il progetto del Mercato Coperto.“Noi già in alcuni anni fa, quando giovani stu-denti facevamo parte del Progetto Paul Beathens,intendevamo dare una risposta, non superficiale,al degrado non solo sociale, ma anche culturale,

politico e amministrativo della città. L’obiettivodi fondo era, già allora, quello di restituirle, primadi tutto, il ruolo di spazio (e bene) il più possibilecomune, luogo aperto non solo all’incontro curiosoe alla socialità, ma alla democrazia dal basso, comeuna Polis greca. A maggior ragione oggi questo puòfunzionare come antidoto al degrado, alla paurae, quindi al rischio di chiusura identitaria, securi-taria e xenofoba della città, che l’aggravarsi dellacrisi economica potrebbe indurre e accentuare. Lavicenda delle Logge dimostra che la tendenza inatto, è appunto quella della sottrazione continuadi spazi pubblici e la loro commercializzazione, ascopo di profitto di pochi e a scapito del godimentodi tutti”. Obiettiamo che la controparte dice che quel po-sto era ormai diventato un luogo di pisciate,barboni, ubriachi e forse anche peggio. “Possibileche il degrado - che c’è, e non solo sotto le Logge -diventi il grimaldello per la privatizzazione dispazi che da sempre sono di tutti, invece che l’oc-casione per richiamare, prima di tutto, l’ammini-strazione comunale ai propri compiti e responsa-bilità di tutela e promozione del decoro urbano edel bene comune? Il problema, sia chiaro, non èGuarducci, di cui francamente poco ci importa.In realtà ciò che emerge anche in questo caso è chequanto più la politica è vuota e senza idee, tantopiù è subalterna verso chi ha forza, soldi e in-fluenza. A riprova di ciò, Guarducci già possiedelì accanto, uno store di lusso. Non dimentichiamopoi che durante la settimana di Eurochocolate,unadelle manifestazioni più insulse mai viste, Guar-ducci è il padrone assoluto del centro storico. Lo si

vuole far diventare il padrone di tutta Perugia?”.Continuando a fare la parte dell’avvocato deldiavolo sottolineiamo come Curia e Guarducciinsistano sul fatto che un negozio prestigiosodel cioccolato Perugina potrebbe avere effettibenefici anche per le sorti della storica fabbrica.“Ma queste sono delle sciocchezze - rispondonoquasi in coro Vittoria e Giuseppe - ci vuole benaltro per ridare una prospettiva solida ad unarealtà produttiva che pure nel migliore dei casi,non potrà più tornare ai livelli produttivi del pas-sato, anche più recente. Inoltre - aggiungono, nonnascondendo la loro vocazione altermondialista

- rimane il fatto che questa ennesima sot-trazione di spazi pubblici va a beneficio diuna multinazionale come la Nestlé, piùvolte messa sotto accusa per lo sfruttamentodelle terre e dei lavoratori del cacao inAfrica. Non sarebbe meglio rappresentarePerugia e il suo territorio, incentivando in-vece, più in linea con Papa Francesco, atti-vità etiche e solidali, rispettose del lavorodegli uomini, della natura e del territo-rio?”.Non sappiamo come la vicenda evolverà,ma un risultato è stato raggiunto: la ma-nifestazione di Umbria grida terra hasmosso le acque, persino il Pd ha alzato,un po’ annoiato, le palpebre. Resta, epesa, l’assenza di una sinistra politica ingrado di raccogliere e organizzare la di-scussione e la proposta sull’uso dello spa-zio urbano. Lo stesso concertone di radioSubasio che ha visto per una settimana ilcuore del centro storico, dall’ultimo gra-dino del Duomo fino a Piazza della Re-pubblica, completamente stravolto e as-servito per accogliere l’onda d’urto dei30mila che da giorni già premeva sullacittà e la sua fragile bellezza, ha mostrato

ancora più evidente questa voragine. Sarebbeora di riprendere in mano la nostra Costituzioneche prescrive con forza e passione (articolo 9) latutela del paesaggio e del patrimonio storico eartistico contro il suo uso dissennato. Non è uncaso che i nuovi barbari, giovani e smargiassi,impadronitisi degli scranni più alti della Repub-blica, la vorrebbero stravolgere. Come le Loggedi Braccio. Ma, per l’una e le altre, non è affattodetta l’ultima parola.

O

11 s o c i e t àmaggio 2016

Anche a Perugia, come a Gubbio, si privatizza la città storica

Logge di vetroe logge di cioccolato

Osvaldo Fressoia

Gubbio. Piazza dei Quaranta martiri e le logge

Portatori d’ostieUn amico e compagno mi dice scherzando chesolo “micropolis” oramai si occupa del Giubileo.C’è del vero. Dopo l’apertura delle porte sante, iviaggi in Africa e in Messico, la raffica di librisul giubileo e sulla misericordia, lo stesso Bergo-glio ha scelto di usare altre cornici per le sueesternazioni, salvo recuperare la tematica giubi-lare, quando si tratterà di chiudere le porte. E tuttavia in provincia c’è sempre qualcuno di-sattento al contrordine. Così su “La Voce” del20 maggio c’è un inserto speciale dedicato al“Giubileo della Misericordia” e dentro l’insertoun’articolessa del vescovo ausiliare di Perugia-Città della Pieve, Paolo Giulietti, che così inizia:“Il Giubileo della Misericordia si declina nei tanti‘giubilei’ proposti a diverse categorie di fedelinel corso dell’Anno santo. Ci si potrebbe do-mandare il perché di questa parcellizzazione: nonbastano le occasioni ordinaria-mente offerte a tutto il popolodi Dio?”. L’articolo è in veritàpresentazione dell’incontro chea Città della Pieve vede riunitiinsieme assistenti e assistitidella Caritas, operatori e ospitidelle case di cura, “ministristraordinari della Carità euca-ristica” e che viene rubricatocome “Giubileo delle opere dimisericordia”, visto che pre-vede l’attraversamento di unaporta santa. I “ministri ecc.” sono quelle si-gnore e quei signori che por-tano le ostie consacrate ai ma-lati, ma nell’uso comune sonochiamati “ministeri”, per evi-tare confusione con le Boschi,le Giannini e i Poletti. Un Giu-bileo dei ministeri, si è svoltoad Assisi, nella Chiesa medie-vale di San Rufino il 14 mag-gio, lo stesso giorno del pas-saggio del Giro d’Italia: ipartecipanti, oltre all’indul-genza plenaria e alle lodi delvescovo Sorrentino, hanno ri-cevuto in dono un opuscolettoche costui ha compilato, rac-cogliendovi i “decreti sinodali” e dettando lelinee di condotta nella diocesi. Il titolo è Tu seila nostra gioia. Sorrentino vi parla, tra l’altro, di“carità politica”. Nello stesso giorno, riferendosialle imminenti elezioni comunali nella città del“Poverello”, ha voluto dissipare illusioni ed equi-voci. Il candidato sindaco della sinistra, nellasperanza di una benevola neutralità di preti, fratie monache, aveva dichiarato al mondo la suafede cattolica. Il Pd, a sua volta, aveva scelto diappoggiare con la propria lista una candidatasindaco che viene direttamente dagli organismiecclesiastici.Sorrentino ha fatto sapere per iscritto che “i cri-stiani, almeno quelli coerenti, valuteranno per-sone e programmi alla luce del Vangelo e delladottrina sociale della Chiesa”. Su “La Voce”, cheè l’organo ufficiale dei vescovi dell’Umbria, Fran-cesco Frascarelli ne dà una sorta di interpretazioneautentica: “Tra mondo cattolico e Pd esistonoinvero punti di convergenza, ma prevalgono net-tamente punti di divergenza su questioni nodalicome la famiglia, la procreazione, le difesa dellavita dalla nascita alla morte. Elementi che si ri-percuoterebbero sull’attività amministrativa di-videndo magari un gruppo e d’altro canto ri-compattando sponde opposte”. Parrebbe unbenservito alla Proietti.

La preghiera dei notaiNella stessa Assisi il 13 e 14 maggio trecentonotai cattolici, una rappresentanza significativa

della forte corporazione, hanno celebrato il “Giu-bileo dei Notai italiani” e, nello stesso tempo,svolto il loro 3° Convegno nazionale dell’Ainc.La manifestazione aveva tre diversi aspetti: tec-nico-professionale, spiritual-penitenziale, di be-neficenza. Il tema in discussione - nella parte tecnico-pro-fessionale - è la recente legge sulle unioni civili,sulla quale il giudizio è di netto dissenso, in lineacon le argomentazioni tipiche del mondo catto-lico; ma con diverse relazioni e tavole rotonde inotai hanno studiato anche le novità che inve-stono la loro pratica professionale. Di sicuro cisarà un aumento del carico di lavoro e, ovvia-mente, dei redditi, soprattutto in relazione allecoppie eterosessuali, per i quali si prevedono di-chiarazioni da fare innanzi notaio e nodi da di-stricare specialmente sull’abitazione comune.Non sono previste questa volta obiezioni di co-

scienza: il notaio non concorre in alcun modo alcompiersi del peccaminoso concubinato, ma hafunzione di mera registrazione delle volontà, fun-zione notarile per l’appunto. Nel corso dei lavoriil vescovo Sorrentino ha letto un affettuoso mes-saggio del papa, che ama i poveri ma non di-mentica i fratelli più agiati. Bergoglio invita inotai a “coniugare scienza e morale, professionee spiritualità” e a mettere la loro professionalitàal servizio del bene comune. Oltre al rito dell’attraversamento della porta santanella messa conclusiva svoltasi a Santa Mariadegli Angeli, i notai hanno percorso un camminopenitenziale francescano accompagnati dai fratiche hanno loro consegnato una cartolina ricordocon timbro speciale. Un notaio perugino, MarcoGalletti, ha composto una “Preghiera del notaio”,in cui si chiede l’assistenza del Padre Eterno el’intercessione di San Luca per meglio “com-prendere le ragioni e gli interessi da contempe-rare”, per poter dare un contributo imparziale eprudente.L’aspetto benefico - come del resto tutta l’orga-nizzazione - è stato curato da Elisabetta Carbo-nari, consigliera dell’Associazione e notaio a Fo-ligno.Si tratta di una raccolta di fondi in pro di alcuniospiti dell’Istituto Serafico, bambini polidisabiliprovenienti da paesi in guerra, intitolata I Lettidi Francesco. Carbonari, non avendo ancora ri-cevuto tutti i bonifici, non dà cifre, ma dice cheè andata molto bene.

Amnistia dell’animaLunedì 23 maggio nel carcere circondariale diTerni si è svolto il “Giubileo della Misericordiadei detenuti”. Dopo l’apertura della porta nellacappella, agli ospiti del carcere è stata offertaquesta ulteriore celebrazione. Il vescovo ha ri-cordato loro che Dio non si stanca mai di per-donare. “La Voce”, che dà notizia dell’evento,parla di “amnistia dell’anima”. Non so se ai de-tenuti sarà sembrata una presa per i fondelli. Se-condo noi ne ha tutta l’aria, ma noi siamo -come si sa - grezzi materialisti.

Il Giubileo di PannellaÈ morto Pannella e “Avvenire” evita l’apoteosiche si legge, per esempio, su “l’Unità”. Affida ilcommento principale a Carlo Casini, quello del“Movimento per la Vita”, che gli riconoscel’onore delle armi, mentre Danilo Paolini lo de-

finisce il “principe delle contraddizioni”. Io voglio qui ricordarne la battaglia più antica,la campagna per il divorzio che lanciò esatta-mente cinquant’anni fa, nel 1966, subito dopola presentazione della proposta di legge da partedel deputato socialista Loris Fortuna. La forza d’urto più significativa in quella battagliafu rappresentata proprio dai nuovi radicali diPannella, il giovane che aveva rialzato la bandieradi un piccolo partito distrutto da tensioni internee scandali. Gli strumenti dell’iniziativa furonoessenzialmente due: la Lid, la Lega per l’istitu-zione del divorzio, di cui fu presidente Fortuna,ma i cui principali animatori furono Marco Pan-nella, che ne era segretario, e l’avvocato radicaleMellini; e “Abc”, un rotocalco in bianco e neronon senza ambizioni politiche e culturali e chetuttavia puntava per la conquista dei lettori so-prattutto sulle donnine scollacciate. Il settima-nale, nato per iniziativa di Gaetano Baldacciquasi come reazione alla sua cacciata da “IlGiorno”, era allora diretto da un estroso editore-tipografo, Enzo Sabato, e disponeva di un gruppodi redattori e collaboratori di grande qualità, Lu-ciano Bianciardi, Giancarlo Fusco, Callisto Co-sulich, Giuseppe Signori e una giovanissima Re-nata Pisu, che s’occupava di Cina e di sesso conlo pseudonimo di Cristina Leed. Molti lo com-pravano nascondendolo dentro il quotidiano, al-tri lo leggevano per la sua quasi obbligata presenzanei saloni da barbiere e nelle caserme militari.Era guardato con sufficienza dai colti, ma con-

tribuiva a modificare mentalità e costume. Arrivòa tirare 500 mila copie, anche grazie al divorzio. La Lid si caratterizzava come “organizzazione dimassa”, cercando e ottenendo adesioni soprat-tutto tra i “fuorilegge del matrimonio”, stimatiin almeno 500 mila, spesso uniti in nuove coppieobbligatamente irregolari. “Abc”, dal canto suo,ne pubblicava gli appelli, puntando sulle storiedi gente comune, smontando la leggenda che ildivorzio fosse un problema da “ricchi e famosi”. Dell’efficacia di questa sinergia si ebbe una ri-prova già a metà aprile del 1966, quando al Tea-tro Lirico di Milano, un comizio divorzista rac-colse una folla imponente. Manifestazioni afavore della legge Fortuna si svolsero poi in variecittà, per confluire a novembre in un raduno ro-mano, a Piazza del Popolo, cui parteciparonodecine di migliaia di persone provenienti da tuttaItalia. La rabbia di anni o di decenni poteva fi-

nalmente trasfondersi in im-pegno civile e rompeva il climadi diffidenza che circondava lecoppie irregolari.Alla dura rea-zione della gerarchia cattolica,Pannella reagì rilanciando: ilPartito radicale proclamò peril 1967 una sorta di Giubileoalla rovescia, l’Anno anticleri-cale. L’avvocato Mellini, chedi Pannella era stretto sodale,cominciò a diffondere le sen-tenze della Sacra Rota, relativia scandalosi annullamenti dimatrimonio (di fatto com-prati, per gli alti costi del pro-cedimento), inclusi quelli dipadri di più figli liberati dalvincolo per impotentia co-eundi e pronti a risposarsi.Peruna coincidenza curiosa “Av-venire” pubblica, lo stessogiorno del necrologio di Pan-nella, un documento dei ve-scovi italiani, che parla tra l’al-tro delle facilitazioni chepotrebbero avere, grazie a unrecente motu proprio papale,i processi di nullità dei matri-moni. Di fronte alla crescitadelle convivenze e dei matri-

moni civili vorrebbero correre ai ripari. Troppotardi.

Cani e gattiIl Papa forse parla troppo spesso e ritorna troppostesso sugli stessi argomenti. Certo è che nel suostesso mondo molti lo calcolano alla stregua diun vecchio brontolone, che ripete sempre la stessasolfa e le cui lagnanze non meritano seguito. Inquesto maggio ha intimato: “Siate sobri, bastaproprietà. Bruciate le ambizioni di carriera. Ri-nunciate ai beni non necessari”. Negli stessi giornii giornali rifanno i conti alla Vaticano Spa: 2 mi-liardi di patrimonio tra palazzi, alberghi e ospe-dali. Ma l’ideale del prete scalzo non sembra at-tirare molti, in Curia e nelle curie locali. Edanche a Perugia il cardinale arcivescovo non sicontenta di dare in affitto abitazioni e negozi,vuol guadagnare anche dalle Logge di Fortebrac-cio, contribuendo così a quella privatizzazionedegli spazi pubblici nel centro storico, in cui ilComune si distingue da alcuni anni.Qualche critica ha ottenuto un’altra lamentazionedel Papa, una sorta di contrapposizione che haistituito tra amore per il prossimo e amore pergli animali: “ci si preoccupa del cane, del gatto,e non del fratello che soffre”. Alcuni ambientalistihanno ribattuto che, di solito, chi non ama enon rispetta gli animali, fa lo stesso con gli esseriumani. Forse è una generalizzazione forzata, maa noi continua a piacere Lenin, il rivoluzionario,l’umanitario che amava i gatti.

12 s o c i e t àmaggio 2016

Cronache giubilari

Un vecchio brontoloneSalvatore Lo Leggio

Gubbio. Chiesa di Madonna del Ponte

ei due anni trascorsi dalla pubblica-zione dell’approfondito studio di Ro-berto Iannuzzi Geopolitica del collasso.

Iran, Siria e Medio Oriente nel contesto dellacrisi globale (Castelvecchi, Roma 2014) i cam-biamenti di situazione nell’area consideratasono stati molteplici e profondi, a cominciaredalla crescita spettacolare dell’Isis, qui nem-meno nominato. Eppure ciò non toglie né at-tualità né forza interpretativa al libro, anzi,semmai ne conferma la tesi di fondo: la disso-luzione dell’ordine geopolitico che ha retto lesorti del medioriente nel XX secolo, messa inluce dalle “primavere arabe” e destinata a pro-lungarsi per un periodo indefinito, con con-seguenze e ripercussioni di carattere globale,vista la centralità strategica dell’area che va dalMaghreb al Golfo Persico. Quando nel dicembre 2010 le manifestazionidi Tunisi danno il via alla serie di rivolte poiconosciute come “primavere arabe”, l’atten-zione generale è dominata dalla crisi econo-mica internazionale, scoppiata nel 2008 conl’esplosione della bolla immobialiare negli Usa.Si comincia a comprendere che non si trattadi questioni effimere il 14 gennaio 2011,quando Ben Ali è costretto a lasciare il potere,mentre le rivolte si estendono all’Algeria e alloYemen per poi approdare nell’Egitto, dove ilsolidissimo alleato dell’occidente Mubarak è asua volta deposto il 14 febbraio. Nel frattempouna sollevazione popolare è esplosa anche inLibia, dove si attua una svolta fondamentale:la forza di reazione di Gheddafi conduce aduno scontro armato cui segue l’intervento in-ternazionale, con la Nato che, travalicando ilmandato Onu, punta al regime change. L’eli-minazione di Gheddafi non apre la strada aduna normalizzazione, facendo precipitare ilpaese nel caos in cui si trova tuttora e prean-nunciando la catastrofe in cui sprofonda la re-gione quando le proteste toccano la Siria.Quando le forze dell’opposizione a Bashar el-Assad, spinte dalla brutalità del regime ma an-che dai propri sponsor internazionali, si mili-tarizzano, la questione diviene “ostaggio” deiconflitti regionali con tutte le implicazioni glo-bali che essi comportano. Ma insieme e prima delle conseguenze geopo-litiche, il legame tra la crisi economica inter-nazionale e le rivolte arabe va ricercato nelleorigini, per molti aspetti comuni. La tesi difondo del libro di Iannuzzi è che “le solleva-zioni arabe abbiano rappresentato il tracollodi un sistema regionale forgiatosi politicamentenell’era della decolonizzazione e della guerrafredda, e riconvertitosi economicamente al-l’ombra del neoliberismo imposti dalla globa-lizzazione di matrice americana”. La globaliz-zazione neoliberista aveva riguardato anchel’area mediorentale ed era il frutto della “ri-conversione” dell’ordine nato durante la guerrafredda, riconversione seguita al crollo dell’Ursse al conseguente tentativo unipolare statuni-tense: la crisi di quel modello di sviluppo ha ilvolto del crollo finanziario in occidente e dellerivolte popolari in medioriente. Le primaverearabe contestano regimi corrotti, legati a dop-pio filo alle politiche neoliberiste che avevanocancellato quanto esisteva dello stato sociale.La crisi finanziaria colpisce le monarchie delgolfo, mentre in tutta l’area le “liberalizzazioni”hanno indebolito le protezioni sociali e arric-chito élite legate a doppio filo al potere poli-tico. Se in occidente la crisi fa emergere il de-ficit democratico creato dal neoliberismo, nelmedioriente mostra il volto feroce di governiautoritari e corrotti. Nello specifico si manife-

sta nella forma più acuta la tendenza al declinodell’egemonia Usa. Nata sulle ceneri del colo-nialismo britannico a partire del 1945, questaaveva tra le sue basi un patto con la monarchiasaudita, che prevedeva lo scambio tra petrolioe infrastrutture civili e militari. Il ruolo statu-nitense nell’area si era rafforzato in seguito alledue grandi scosse di inizio anni ‘70, la finedella convertibilità aurea del dollaro e la crisipetrolifera: l’enorme crescita della rendita pe-trolifera dell’Opec non porta ad una maggioreautonomia, perché il petrolio continua ad es-sere commerciato in dollari, che così restanola moneta internazionale (senza i vincoli dellaconvertibilità), mentre l’enorme massa di pe-trodollari riaffluisce negli Usa sostenendoneproduzione e debito pubblico.Il ruolo di banchieri del mondo permette agliUsa di importare più di quanto esportano e diconsumare più di quanto producono. Dal latoopposto i paesi esportatori emergenti, comela Cina, sono costretti a reinvestire il proprioavanzo in titoli Usa per evitare la sopravvalu-tazione della propria moneta. E’ questo sistemache esporta crisi, debito e inflazione, a sup-portare le enormi spese militari delle guerredi Bush e a spingere per quella globalizzazioneneoliberista che a lungo andare ne determinaanche la crisi: la spinta alla delocalizzazionedella produzioni e alla finanziarizzazione del-l’economia produce nel centro del sistemadeindustrializzazione, disoccupazione e ripe-tute bolle speculative. La maggiore di queste,nel 2008, produce la grisi globale, dalla qualetraspare il declino dell’egemonia Usa e la fati-cosa tendenza ad un mondo multipolare. Di questa complicata e non indolore transi-zione il medioriente, tassello decisivo, sta pa-gando tutti i prezzi. La parabola dell’egemoniastatunitense nell’area si era innestata su un pe-santissimo retaggio coloniale, di cui tutti ipaesi continuano a sentire il peso. La penetra-zione europea, che aveva indebolito l’imperoottomano inoculando ideologie nazionalisticheestranee al contesto, tocca il suo culmine trala spartizione franco-inglese del trattato Sy-kes-Picot (1916) e la nascita di Israele (1948).Con la dissoluzione dell’impero ottomano trale due guerre si erano tracciati i confini dellearee di influenza: Siria e Libano nell’orbitafrancese, Palestina, Giordania Arabia e Iraqalla Gran Bretagna. I confini degli stati arabimoderni erano stati tracciati senza tener contodella storia e della composizione etnica dellaregione, mentre Israele era stato sentito comel’ennesima tappa del colonialismo europeo.Nel “passaggio di consegne” tra franco-britan-

nici e Usa, lo stato ebraico era divenuto il terzopilastro, con Arabia e Iran, dell’egemonia oc-cidentale, mentre altrove (Iraq, Siria, Egitto)si tenta una via d’uscita “panaraba” e socialistadal neocolonialismo. L’affievolirsi di questetendenze, la crisi e poi il crollo dell’Urss cam-biano la situazione: dal cruciale 1979 (CampDavid e rivoluzione iraniana) fino alla primaguerra del Golfo (1991) si determina un qua-dro molto diverso, che culmina con il tentativodi egemonia unipolare statunitense attraverso

la “guerra al terrore”. Gli interventi in Afganistan e Iraq sono l’iniziodi una destabilizzazione permanente dell’area.Le rivolte arabe mettono in evidenza faglie in-terne e questioni regionali già attive in prece-denza: la crisi delle élite al potere e la carenzadi leadership alternative; la contrapposizionetra laici e religiosi e tra sunniti e sciiti; l’inca-pacità Usa di assicurare un minimo di stabilità,con oscillazioni strategiche ancora più nettecon Obama; il rientro in gioco della Russia el’ingresso in campo della Cina.Queste tendenze molteplici e contraddittorievengono verificate in particolare nell’evolu-zione di tre potenze dell’area: Israele, sorpresodalle rivolte e stretto tra “isolazionismo” epragmatismo”; la Siria, la cui possibile disso-luzione comporterebbe una catastrofe globale,e l’Iran, vera chiave di volta degli equilibri re-gionali, verso cui gli Usa oscillano tra volontàbellica e ricerca di accordo. In sintesi, lungidal risolverne le secolari contraddizioni, la glo-balizzazione neoliberista, ha aggravato l’insta-bilità della regione mediorientale, che mostrain tutta la sua gravità l’eredità del fallito ten-tativo unipolare e le incertezze radicali del fu-turo prossimo. Come si diceva in avvio, l’irruzione sulla scenadell’Isis dinamizza e inasprisce un quadro cheresta sostanzialmente quello descritto da Ian-nuzzi, con l’intreccio tra questioni interne,problemi regionali e legami internazionali.

13 c u l t u r amaggio 2016

N

Il Medio Oriente nella crisi globale

Al centro del cratere Roberto Monicchia

Gubbio. Cantiere bloccato.

irca centomila anni or sono l’uomodi Neanderthal comincia ad usare ilcolore: ocra rossa finemente macinata

da spargere sul corpo dei defunti, un tentativodi ridare vita al sangue del morto. Toccherà al-l’homo sapiens iniziare ad usare i colori perfini artistici. Ocra rossa, gialla e bianca per darvita all’arte rupestre. Poi la caseina, la resina, lacera d’api usate per stabilizzare i colori primadi arrivare ai pigmenti vegetali, animali o mi-nerali per colorare i tessuti o dipingere tele oaffreschi. Nel 1956 un chimico inglese, WilliamPerkin, scopre la mauveina, il primo coloresintetico. Da questa data inizia la progressivaavanzata dei colori industriali fino all’accanto-namento di quelli naturali che per millennihanno scritto la storia dell’arte.Tra colore naturale e colore artificiale c’è “lastessa differenza che separa una rosa di cartada una rosa piantata nella terra e cresciuta alsoffio aperto dei venti”- ci spiega Alberto Bo-atto - “i colori industriali sono, nella loro es-senza, colori piatti, privi di spessore e mancantial proprio interno di qualsiasi oscurità”. Lamostra “Tossiko 2016” inaugurata lo scorso20 maggio, a Palazzo Bufalini di Città di Ca-stello, con una conferenza dell’artista e di alcunidegli autori che hanno dato un contributo alcatalogo, è un omaggio di Roberto Micheli aicolori tradizionali, tossici ma veri, i protagonistidi migliaia di capolavori del passato, un omag-gio nostalgico alla memoria del colore in questomondo artificiale di plastica. Resterà aperta alpubblico fino al 5 giugno e il ricavato dellavendita del catalogo Procom sarà interamentedevoluto ad Emergency. Oltre alle tele di Micheli l’omaggio ai sette co-lori tossici è completato dai testi di critici, gior-nalisti e scrittori e dalle foto di Diana Martine Danilo De Marco tra cui spicca una giganto-grafia di Mario Dondero. Nel catalogo il primointervento è di Fulvio Abbate che ci aiuta acomprendere la scrittura pittorica di RobertoMicheli che richiama l’arte dell’Abstract ex-pressionism americano ma con una sua parti-colare scansione ed una originale tensione. Pen-nellate rapide ed incisive, grafia intensa in cuii fondi vengono usati come spazi. Un astratti-smo che ricorda Malevic, Klee, Kandisky, cheattinge alle emozioni dove la pittura non sivede ma si sente, dove il colore sprigiona la

forza interiore dell’artista. Un’arte astratta chericorda l’Action painting con la sua pittura ma-teriale e per il gesto del dipingere e al tempostesso il Color field painting che si concentrasulla ricerca estrema del colore. E Micheli sce-glie di giocare nel vasto campo delle materiecolorate con sette colori tossici messi al bandodai burocrati europei che, nell’incapacità direalizzare una reale unità, sfornano divieti omo-loganti e spesso assurdi in ogni settore. I colori tossici citati nella mostra hanno uncurriculum di tutto rispetto, affondano le radicinella storia, sono protagonisti indiscussi di ca-polavori. Dopo una secolare battaglia sono statimessi al bando dalla chimica e dagli interessidella moderna industria. Ecco i reprobi: si vadai lapislazzuli usati da Michelangelo nellaCappella Sistina per realizzare la volta celesteall’orpimento, conosciuto anche con il nomedi oropimento, giallo di zolfo, giallo del re,giallo di Parigi o di Spagna. Il cadmio, usatoper dare persistenza al colore, alla base dei giallivivi di Van Gogh o di Matisse; il minio usatofin dai tempi dell’antica Roma con il nomerosso di piombo, rosso di Parigi, rosso di Sa-turno o sandaraco; il cinabro usato in pitturaper produrre il pigmento vermiglione; il risi-gallo usato per produrre il pigmento risigallo,risigale e sandaraca. Ed infine la biacca, moltousata nell’antichità e denominata con diversinomi: bianco d’argento, bianco d’Amburgo,bianco di Genova, bianco di Londra, biancodi piombo e cerussite. E dalla biacca scrive undivertente e appassionato commiato il giorna-lista Luca Villoresi: “E’ giusto salutarla con ildovuto rispetto, con la riconoscenza dovuta alpiù antico bianco della storia. Il nome vienedal longobardo e significa pallido. Ma la nascitadella biacca risale a molti secoli prima. […]Facile da preparare (la ricetta, a parte le varia-zioni, contempla sostanzialmente piombo eaceto), facile da usare, robusta ed economicala biacca è stata peraltro molto utilizzata ancheal di fuori delle tavolozze, ad esempio comeun cosmetico, o come canonico fondo ma-schera degli attori dei teatri greci e romani.[…] La biacca è troppo popolare, se non po-polaresca. Non a caso si è sempre prestata alpennello, ma anche alla pennellessa. E primadell’avvento delle vernici spray, si prestava atracciare sui muri quelle scritte bianche, essen-

ziali come certe maiuscole sbavate. Viva e ab-basso. La biacca è morta. Viva la biacca”. Il catalogo contiene anche un divertissementdi Massimo Bucchi che ironizza sul mondodell’arte e una presentazione di Aldo Canaleche gioca sulle sensazioni che può generare ilcolore, come la cromofobia, “la paura di chivede nel colore passionalità indecente e cor-ruttiva, un sentimento ignobile che ha trovatoin Le Corbusier il suo testimonial esemplare.Profeta dell’assonnante grigiore, fu classista,razzista ed antifemminista. Un genio del male”.Di Micheli, Aldo Canale dice che questa mo-stra è solo una sosta di un artista in transitopermanente e disorientante nei linguaggi del-l’arte. Chi ha un animo gentile è inevitabil-mente coraggioso e “quanto alla declamata di-fesa della tossicità dei colori è un escamotage.Da tempo Roberto ha deciso che il quadro èuna prigione. […] Roberto non può certo te-mere la tossicità di un tubetto di colore decre-tata dai burosauri europei ai quali è stata dele-gata la funzione di esecutori testamentari delladecadenza occidentale. Cos’altro mai dovreb-bero fare in un’Europa più che mai lecorbu-siana?” E ci piace chiudere queste brevi note con i Co-lori nascosti, la testimonianza di Alberto Barelliche ci racconta i sequestri di quadri della poliziaisraeliana a Ramallah. Se un quadro contienecontemporaneamente il bianco, il verde, il rossoe il nero della bandiera palestinese viene ineso-rabilmente sequestrato. Una volontà discrimi-natoria che arriva a cancellare i colori dell’iden-tità nazionale palestinese anche se usaticasualmente in un dipinto. Una testimonianzaimpressionante che la dice lunga sulla forzaevocativa del colore.Il colore che ci stimola passioni, suscita pro-fondità, influenza i nostri umori, ci regala poe-sia e libertà. Quella forza che sprigiona dai co-lori di ogni quadro di Micheli e dalle suepennellate violente e ritmate che fanno pensarealla musica intensa e alla fisicità con la qualeabbraccia e colpisce il pianoforte Keith Jarrett.Colori usati per uscire dai confini della prigioneimmediata delle cornici e dalle barriere che cisiamo inventati nella prigione della grigia vitadi plastica. Attenzione per ottenere poesia, pas-sione, libertà e risultati soddisfacenti usare solocolori tossici, prego.

14 c u l t u r amaggio 2016

C

Fascino e poesia nei quadri di Roberto Michelia Città di Castello

Viva il colorePaolo Lupattelli

Chipsin UmbriaIntelligenzeartificialiAlberto Barelli

ncora oggi in Italia le statisti-che sugli incidenti sul lavorodimostrano come la cultura

della sicurezza debba ancora diffondersi”:se vi chiedessimo di indovinare da dove èestratta tale frase, vi impegneremmo inuna sfida impossibile. Non si tratta infattidi un documento sindacale ma della pre-sentazione di uno dei progetti premiatinell’ambito del Terni Maker Festival, larassegna dedicata alle novità tecnologiche,tenutosi ai primi del mese nei locali delMuseo Caos.L’appuntamento più atteso era costituitodall’esposizione delle invenzioni ideateunendo tecnologia open source e robo-tica. Il dispositivo per la sicurezza sul la-voro, pensato sulla base dello stesso prin-cipio della cintura per i passeggeri di auto,è stato messo a punto dagli studenti del-l’Istituto tecnico tecnologico “allievi-San-gallo” di Terni. E la loro è stata veramenteuna bella lezione, se si pensa che gli ultimirilevamenti hanno registrato un vertigi-noso incremento degli incidenti sul la-voro, a dimostrazione di come della que-stione ci si occupi sempre meno. Non siè trattato dell’unico progetto pensato perfornire un ausilio utile per prevenire si-tuazioni di difficoltà. Tra i marchingegniideati troviamo Sonar eyes, studiato perpotenziare le applicazioni che necessitanodella misurazione della distanza e che puòessere utilizzato in articolare dai non ve-denti. Tra le altre curiosità i visitatorihanno potuto ammirare, per esempio,l’endoscopio per l’esplorazione di cavitàcon una parte mobile guidata attraversoun telecomando o l’EcoBox, un conteni-tore in atmosfera controllata per lo studiodi ecosistemi. Uno dei meriti della manifestazione èstato quello di aver offerto un momentodi confronto sul Makerspace in una bi-blioteca pubblica, un fenomeno semprepiù in voga e che potrebbe costituire unarisorsa per il rilancio delle strutture del-l’intero paese. Attraverso il Makerspacela biblioteca diventa anche luogo di con-divisione delle informazioni, delle tecno-logie e delle idee, nel quale viene fornitol’accesso a materiali, strumenti e tecno-logie per consentire l’apprendimento par-tecipativo.Tra gli strumenti messi solitamente a di-sposizione vi sono postazioni per scaricaremateriale direttamente sulla propria pendrive o stampanti 3d. L’augurio è che tale esperienza “invada”anche le biblioteche umbre. Intanto ci ac-contenteremmo che il Terni Maker Festi-val lasci in eredità un po’ di dispositiviintelligenti in un settore in cui, se la fur-bizia e l’ingordigia abbondano, l’intelli-genza è merce rara. Uno dei dispositivipresentato è Il bidone in rete: attraversodi esso il bidone dell’immondizia diventaintelligente comunicando quando è pienoall’azienda.Il progetto prevede la gestione del con-trollo attraverso una pagina web, dallaquale poter controllare quali bidoni ne-cessitano dello svuotamento. Ma forsenon sono ancora maturi i tempi per in-venzioni intelligenti: le ultime vicende le-gate alla raccolta dei rifiuti in Umbria of-frono più di una prova in tal senso.

A“

Gubbio. Piazza San Giovanni

redo che Spoleto, non da pochi anni,sia il centro umbro maggiormente at-tivo sul piano artistico. Ciò senz’altro

in grazia della presenza del Festival dei DueMondi. Questo ha dato impulso a una serie dimostre che sono diventate appendici dirette ecorollari delle manifestazioni teatrali e musicali.Il ruolo svolto a suo tempo da Giovanni Ca-randente, in occasione della IV edizione del Fe-stival e poi con la grande mostra dell’anno suc-cessivo Sculture nella città del 1962, si affiancadirettamente alla funzione di promozione cheil Festival ha svolto, al punto che Spoleto vienevista come contenitore ideale per esposizioni diartisti affermati e in cerca di notorietà, nonchédi mercato, ma anche sede di mostre preconfe-zionate itineranti, come quella di Giorgio DeChirico, dal titolo La ricostruzione, opere degliultimi trent’anni di vita dell’artista, fino al 1976,che sarebbero: “sintesi di quelle tematiche cheil Pictor Optimus volle ribadire e diffondereper la salvaguardia culturale e morale del nostroPaese e per il necessario nutrimento delle co-scienze tese al riscatto e alla rigenerazione di unpopolo prostrato, ma ricco di energie e aspira-zioni” ma che, francamente, nonostante labuona volontà del prestigioso curatore ClaudioStrinati, appare poco consona al progetto. L’al-lestimento sarà visitabile fino al 5 giugno a Pa-lazzo Bufalini, predisposto per l’occasione e dalgrande valore strategico, essendo collocato pro-prio nella piazza del duomo. Tornando alla città,palazzi pubblici e privati, ma anche semplicivani riattati costellano di dipinti, sculture, istal-lazioni il centro, soprattutto nel periodo dellafestival, ma in tutto il corso dell’anno, verrebbeda dire tanto più adesso che la città è il set delserial don Matteo, il thriller confessionale piùseguito della televisione italiana.Ma l’attesa maggiore è per Spoleto Arte, a curadi Vittorio Sgarbi, ambientata nello storico Pa-lazzo Leti Sansi, anch’esso nel centro, che daanni attrae migliaia di visitatori e vede comeprotagonisti in esposizione artisti di rilievo delpanorama contemporaneo internazionale. Il ver-nissage è fissato per il prossimo 25 giugno, conuna prestigiosa cerimonia inaugurale. La dire-zione organizzativa è del manager della culturaSalvo Nugnes, noto per l’alacrità nel campodella promozione dell’arte, per essere stato unprecocissimo impresario e per la rete relazionalevariegata, in cui figurano anche alcuni defunti,che comprende, oltre all’ineffabile curatore,Margherita Hack, Francesco Alberoni, KatiaRicciarelli, Silvana Giacobini e Alessandro Me-luzzi, Bruno Vespa, Corrado Augias, AntoninoZichichi, Umberto Veronesi, Piero Chiambretti,Roberto Gervaso, Vittorio Feltri, Margaret Maz-zantini, Mogol, Patty Pravo, Roberto Vecchioni,Amanda Lear, Paolo Limiti, Paolo Crepet,l’eterno Gillo Dorfles, ognuno in qualche modolegato all’iniziativa.Vedere nell’organico degli sponsor, contempo-raneamente, la compianta Hack e Zichichi, Ve-spa e Augias, stupisce, ma tant’è. Credo tuttaviache un insieme di personalità come queste, riu-nite sotto un comune vessillo siano, una voltadi più, la prova provata che Baumann con lasocietà liquida ha ragione; mai al mondo qual-che decennio fa si sarebbe consentito un talemiscuglio, nemmeno in un contesto relativa-mente neutrale come l’arte. L’inaugurazione,come si diceva, è per il 25 giugno, in concomi-tanza con il festival, ma il battage già si è avviatocon una polemica rinfocolata dalla risposta ri-sentita di Pino Bonanno, artista, scrittore e cri-tico, oltre che curatore di mostre e referente di

Artfarmgaia: “Qualcuno/na sostiene che perpartecipare all’esposizione Spoleto Arte 2016non si paghi. Le cose non stanno così. L’orga-nizzatore Salvo Nugnes invita gli artisti, asse-rendo che la partecipazione avviene ‘previa ac-cettazione da parte del comitato scientifico’,ma in realtà pagano tutti i partecipanti con leseguenti modalità: ...” e di seguito i prezzi perla partecipazione che vanno dalle decine allecentinaia di euro, a seconda della quantità diopere.Un’Umbria che fa parlare di sé, per la verità insenso molto positivo relativamente all’arte, inquanto da un sondaggio de “La Stampa” emergeche la Galleria Nazionale dell’Umbria risulta ilmuseo italiano più apprezzato, anche se il gra-dimento dipende non (sol)tanto dai locali edalle opere in essi contenute, bensì dall’insiemedi servizi e circostanze ambientali: si parla infattidi soddisfazione generale per il 93,95% dei vi-sitatori. Resto perplesso pensando all’irraggiun-gibilità del centro perugino, ma si vede che chiha espresso il giudizio ne ha tenuto conto mi-nimamente. Ma la sorpresa, non più in ambitoartistico, ma in quello culturale, proviene dalgiudizio articolato sulla qualità dell’ateneo, che

viene giudicato come il migliore d’Italia tra gliatenei tra i 20mila e i 40mila iscritti. È Il Censische “premia” l’Università di Perugia: è la mi-gliore tra i grandi atenei italiani. Anche qui c’èda fare una precisazione, in quanto altre classi-fiche, stilate da organismi diversi, non sonomolto lusinghiere e, inoltre, prima delle uni-versità considerate “grandi” per il Censis, cisono le “mega”, quelle oltre i 40.000 iscritti.Ad esempio Perugia si piazza trecentoquaran-taquattresima su mille prese in considerazioneall over the world, in base alla graduatoria delCentre for world university rankings (Cwur).Fatto 100 il coefficiente di Harvard, la miglioreuniversità al mondo, all’ateneo umbro va 45,53.Un punteggio che gli vale il 14esimo posto trale italiane.In ogni caso ci pare di vivere il quotidiano inuna regione diversa da quella che giornali e sta-tistici descrivono. E tornando all’arte e alle suevisioni, c’è da fare la triste considerazione chelo sguardo al passato è sempre prevalente, comese si camminasse col freno tirato e con l’occhiofisso sullo specchietto retrovisore, per usare unametafora automobilistica. Rarissimi e al mo-mento inesistenti, al di fuori di alcune nicchiepoco frequentate, i lavori realizzati sfruttandole moderne tecnologie: la natura, o “l’astratti-smo” sono ancora la guida principale degli artistie quelle che suscitano l’interesse maggiore dicuratori e organizzatori.

uscito il primo fascicolo della nuovaserie di “Passaggio”, trimestrale dipoesia e arte dell’Associazione Cul-

turale “La Luna”, diretto dal poeta marchi-giano Eugenio De Signoribus.Contiene una silloge di poesie di Walter Cre-monte dal titolo Con amore e squallore, cor-redata dall’acquaforte Laceramenti 3 dell’ar-tista urbinate Vitaliano Angelini. Si tratta di16 poesie in parte inedite, in parte già diffusein edizioni fuori commercio. Il titolo è illustrato in una paginetta di splen-dida prosa dallo stesso autore. Nasce da unracconto di Salinger, autore cult del Sessan-totto (chi non ricorda Il giovane Holden), daltitolo quasi identico, un racconto di guerra“molto squallido e commovente”. Cremontene adatta il senso alle sue ultime prove chesono - quale che sia l’argomento - poesied’amore (“perché, se no, si scrive?”), ma cheutilizzano il linguaggio degradato e trito delnostro tempo, incapace di raccontare unmondo a sua volta degradato e di restituireuna qualche identità individuale e collettiva. Il riuso dei luoghi comuni, dei “brandelli dichiacchiera” è da sempre praticato dal Cre-monte, che dal bricolage riusciva a ricavaremacchine capaci di volare e portarci fuori daun mondo svuotato di senso verso un altrovericco di profumi e colori, amoroso. Ora que-sto recupero sembra farsi più spesso stru-mento di denuncia, un vero e proprio pro-cesso al mondo realmente esistente, e diresistenza. Così ad esempio nella poesia Unpapavero, che mi è già accaduto di citare comeesemplare. Un altro testo da incorniciare s’intitola Lefoto, in apparenza sulla irredimibilità dellastoria, in realtà sulla certezza che la lotta con-tinua, e che altre generazioni impugnerannole bandiere lasciate cadere. Così recita: “Cosagli diciamo / quando vedranno le foto / diquesti anni // loro diranno come / vi sentivatevoi / a guardare le foto dei campi / delle brac-cia coi numeri sopra / dei vagoni piombati /pressappoco così ci sentiamo / colpa voltastravolta”.Sul finire del 2015 è uscita, per le edizioniCofine di Roma, una antologia dal titolo Dia-letto lingua della poesia. L’ha curata la peru-gina Ombretta Ciurnelli, poeta dialettale di

grandi doti, capace di spaziare dalle speri-mentazioni ludico-linguistiche alla poesia nar-rativa epica o melodrammatica, alla lirica. Ilvolume raccoglie e commenta un centinaiodi testi, di poeti che non concepiscono la poe-sia dialettale come “vacanza” o come ricercadi effetti di colore, ma si affidano alle linguedel territorio soprattutto per un bisogno diverità. Le poesie hanno come tema comuneproprio il dialetto, ma non bisogna aver pauradella monotonia: tutti gli autori in qualchemodo spiegano la propria scelta espressiva,ma, facendolo, toccano una grande varietà dicorde. Il commento che segue le poesie haun non so che di perugino: il metodo che co-struisce i profili degli autori a partire da testiche affrontano il loro rapporto con la materiaprima, la lingua, riprende infatti - con op-portuni aggiornamenti - il nesso “poetica-poesia” caro a Walter Binni. Si comincia con i “monumenti” ottocente-schi, Porta e Belli, si prosegue con i classiciprotonovecenteschi, Giotti, Tessa, Marin, No-venta, Buttitta; poi avanti fino ai nostri giorni,con autori noti (Zavattini, Guerra, Zanzotto,Pasolini) e meno noti di quasi tutte le areelinguistiche.Viene esclusa quasi completamente la poesiain dialetto napoletano: la spiegazione è fornitaincidentalmente, in un commento che citaDi Giacomo, di cui si nota la “cantabilitàpartenopea” un po’ consumistica. Credo chesi sarebbe potuta fare almeno un’eccezione,quel Raffaele Viviani che assai spesso rifiutòil dialetto sdolcinato delle canzonette, cer-cando nei vicoli le sue parole. Le poesie delsecondo Novecento e degli anni Duemilamaggiormente risentono della grande trasfor-mazione novecentesca, della fine dell’Italiarurale, della omologazione e dell’impoveri-mento linguistico; in molte si avverte il rim-pianto per una lingua già morta o che va amorire, in altre il suo recupero ha un evidentecarattere sperimentale. Non mancano alcuni poeti umbri, Spinelli,Ponti, Mirabassi, Pilini, Ottaviani; a me piacecitare, per la sua potenza espressionistica, unapoesia breve ed intensa di Anna Maria Fa-rabbi, perugina di montagna (“ldialetto ldi-ceva lmi babbo e lmi babbo / ce lò ncorpo //si fo cadé la lengua nterra / m’esce”).

Mostre e musei,da Spoleto a Perugia

RetroarteEnrico Sciamanna

15 c u l t u r amaggio 2016

C Poeti in Umbria

Lo squalloredella linguae il dialettoritrovato

Salvatore Lo Leggio

Gubbio.Centro commerciale

Gubbio.Veduta da Palazzo Ducale

È

Cinzia Perugini Carilli, Racconti diricette tradizionali. Trucchi e segretidella cucina di casa mia, Il Formi-chiere, Foligno 2016.

I libri di cucina sono diventati ungenere, come le trasmissioni televi-sive, i siti internet dedicati al tema,le ricette on line che ormai imper-versano. In realtà non è un fattonuovo. Già qualche decennio fa lestatistiche sui libri venduti mette-vano in luce come al primo postostessero i volumi riguardanti giar-dinaggio e arte culiniaria, poi ve-nissero quelli riguardanti l’arreda-mento, molto più giù la narrativa einfine la saggistica. Naturalmentequando un genere si espande tendeanche a frazionarsi, ad articolarsi.Mentre prima ci si trovava di frontead una sorta di manualistica, di ri-cettari volti a fini eminentemente

pratici, la preparazione di un piatto,oggi quello che si tende ad esaltarenon è l’acquisizione di abilità pra-tiche, quanto la realizzazione dibuone pratiche, del cibo sano, dellespecificità territoriali o della acqui-sizione di nuovi stili alimentari (ve-getariano, vegano, ecc.).Ad un sottogenere specifico appar-tiene il libro di Cinzia Perugini Ca-rilli. E’ quello dei ricettari di fami-glia. L’autrice riporta quelle chesono non solo e non tanto le ricettedella tradizione, quanto quelle della“sua” tradizione, i cibi preparatidalla nonna, dalla madre dalla suo-cera e tramandatisi nella cucina difamiglia. Due sono le notazioni cherisultano evidenti. La prima è la fe-deltà ad un ambito sociale primario,oggi esaltato dalla crisi di valori eculture, e quindi l’individuazione

della famiglia come guscio da pre-servare a tutti i costi. La seconda èl’attenzione - attraverso l’esperienzadi tre generazioni - ai cibi del pas-sato e a quelli che vengono ripro-posti nei giorni di festa o in occa-sioni rituali. Il non detto è la ricercanel rito che si celebra a tavola diuno dei tanti significati della pro-pria storia. Le ricette sono pubbli-cate in italiano e in inglese.

Raccontare la guerra. L’area umbromarchigiana (1940-1944), a cura diSilvia Bolotti e Fabrizio Scrivano,Editoriale Umbra, Foligno 2016.

Sono gli atti del Convegno tenutosia Fabriano il 14-15 novembre 2013,promosso dal Comune di Fabriano,dall’Archivio di Stato di Ancona,dall’Isuc e dall’Istituto storia Mar-

che, nel quadro delle celebrazionidel 70° anniversario della Libera-zione. L’obiettivo del convegno erafar convergere studi storici e inda-gine letteraria. Il centro dell’analisiè il racconto visto non solo cometestimonianza del passato, docu-mento, ma anche come storia chemerita di essere raccontata. I terri-tori presi in considerazione sonol’Umbria e le Marche e soprattuttole loro zone montane, dove più in-tensa è stata l’attività della Resi-stenza. I primi due contributi,quello di Giovanni Falaschi e diGioacchino Lanotte affrontano, inun quadro nazionale, diversi modidi racconto: la letteratura, il cinemae la canzone popolare. Alle Marcheè dedicato il contributo di CarlaMarcellini, che prende in esame te-sti di ispirazione letteraria e memo-

rialistica, scritti sia a ridosso dellaguerra che in anni successivi. Del-l’Umbria si occupa invece ClaudioBrancaleoni che si sofferma suscritti di militari in prigionia e sumemoriali di personaggi di spiccodella Resistenza in Valnerina. At-tento alle scritture con motivazionidi carattere letterario e ad ineditiautobiografici è il contributo diScrivano.Seguono interventi più mirati cometema e ambito territoriale: sulle cor-rispondenze di guerra (Anna MariaRati), sulla diaristica e la memoria-listica a Fabriano (Terenzio Bal-doni), su un romanzo sulla Resi-stenza a Sassoferrato (Alvaro Rossi),sulle memorie dei partigiani mon-tenegrini che combatterono in Um-bria (Dino Renato Nardelli).Chiude il volume un contributo sulmemoriale di Giuseppe Brizi sul sal-vataggio da lui operato dell’Archiviodello Stato maggiore dell’esercito,all’epoca ricoverato nei sotterraneidel Duomo di Orvieto (RobertaGalli).

o scorso 13 maggio è stata emessa la sentenza defintiva sulrogo dello stabilimento torinese della Thyssen Krupp che il6 dicembre 2007 costò la vita a sette operai. La grande im-

pressione suscitata dall’avvenimento ha tenuto alta l’attenzione anchedurante l’iter processuale. Senza precedenti è stata la sentenza diprimo grado, che ha condannato i dirigenti della multinazionale te-desca per omicidio volontario, anche se in appello il reato è stato de-rubricato a omicidio colposo. L’ultimo colpo di scena è stata la ri-chiesta del Pg della Cassazione di un nuovo processo di appello perricalcolare le pene; la suprema corte ha invece confermato la prece-dente sentenza. Così i condannati, tra cui i due manager ternaniMarco Pucci, già Ad di Thyssen attualmente in forza all’Ilva diTaranto e Daniele Moroni, direttore dell’impiantistica alle Acciaierie,sono entrati nel carcere di Montesabbione, per scontare rispettiva-mente 6 anni e tre mesi e 7 anni e sei mesi. Il legame tra Torino e Terni va al di là della comune appartenenza so-cietaria. Alla base delle accuse rivolte all’azienda vi era il fatto che lafabbrica torinese - erede della Fiat ferriere, passata per Teksid, Ilva eAst, per approdare con questa alla Thyssen - in procinto di essere di-smessa, aveva diminuito il livello di sicurezza degli impianti. Annun-ciata nel giugno 2007, la chiusura prevedeva il trasferimento di pro-duzione e operai (265) a Terni. Alle prime reazioni di netto rifiuto(con lo striscione “No a deportazioni di massa a Terni”), fannoseguito alcune decine di trasferimenti, più o meno in prova a Terni.Tra questi c’è anche una delle future vittime del rogo, Angelo Laurino,

che dopo tre giorni torna a Torino per una malattia della madre. Itrasferiti vivono una difficile integrazione in una realtà diversa comefabbrica e come città. Lo testimoniano le voci raccolte da AlessandroPortelli in Acciai speciali (Donzelli, Roma 2008): “In fabbrica siamoun po’ messi con la coda nell’occhio diciamo, ci chiamano lo straniero.Le paghe sono anche inferiori rispetto alle nostre. Ciavevano accennatouna perdita di 100-150 euro sul nostro salario. Io mi sono trovatoanche 400-500 euro in meno”. Anche il tragico incidente suscitareazioni contrastanti tra gli operai ternani: al senso di solidarietà e diidentificazione, viste la similutudine delle linee produttive, si accom-pagna la diffusa convinzione che una cosa simile “a Terni non potrebbeaccadere”; è da un lato una forma di esorcismo verso una tragediainaccettabile, dall’altro il segno di politiche aziendali che hanno divisole due realtà: poca eco aveva avuto nelle altre fabbriche del gruppo labattaglia degli operai ternani per salvare le acciaierie nel 2004-2005;poca eco e qualche sospiro di soddisfazione accolgono a Terni l’an-nuncio della chiusura del sito torinese nel giugno 2007.L’ansia per le possibili conseguenze “produttive” della sentenzatraspare nei tutt’altro che abbondanti resoconti dedicatigli dall’in-

formazione locale. Del resto la proprietà ha più volte ventilato l’ipotesidi minore impegno produttivo in Italia in caso di condanne “dure”.È su questo aspetto che s’insiste, al di là delle note di colore sulla si-tuazione “surreale” vissuta dai manager. La preoccupazione trasparedal riferimento ai commenti della stampa tedesca (non citati diretta-mente), che mettono in dubbio l’opportunità di continuare ad inve-stire in Italia. Più nello specifico si invita la comunità locale a ricono-scere la correttezza dell’azienda: “[poiché questa] ha incassato la penadei suoi uomini migliori, allora appare auspicabile che continui adoperare su Terni anche con l’apprezzamento collettivo, alla stessastregua di colui che nella vita ha sbagliato, si è pentito, è ha diritto atornare nella vita civile con una nuova possibilità”. (Giuseppe Caforio,La condanna e gli effetti sul sito di Terni, “Il Messaggero Umbria”,15.05.2016).Se le testimonianze degli operai raccolte da Portelli provano la soffertaaccettazione di uno stato di necessità, da commenti come questoemerge un’adesione incondizionata alle ragioni dell’azienda, le cuiresponsabilità vengono derubricate a “sbagli”, mentre il semplice ri-spetto di una sentenza viene indicato come merito da riconoscere. Inentrambi i casi si evidenzia la debolezza, l’incapacità di incidere sullestrategie e le scelte delle imprese da parte delle società e dei territoriche le ospitano. Nell’epoca delle multinazionali globali si rafforza lacapacità del capitale di adattare alle proprie esigenze di accumulazioneintere comunità. Nonostante la sentenza, rimane la realtà di una ri-duzione del lavoro e dei lavoratori a variabili dipendenti.

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la battaglia delle idee

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Autorizzazione del Tribunale di Perugiadel 13/11/96 N.38/96

Direttore responsabile: Stefano De CenzoImpaginazione: Giuseppe Rossi

Redazione: Alfreda Billi, Franco Calistri,Alessandra Caraffa, Renato Covino, OsvaldoFressoia, Anna Rita Guarducci, Salvatore LoLeggio, Paolo Lupattelli, Francesco Mandarini,Enrico Mantovani, Roberto Monicchia, Saverio

Monno, Francesco Morrone, Rosario Russo, Enrico Sciamanna,Marco Venanzi.

Chiuso in redazione il 23 /05/2016

L

Il rogo, la sentenza e il futuroRoberto Monicchia

16 c u l t u r amaggio 2016

Pietralunga. Verso il monumento al Partigiano umbro