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Il test da sforzo cardiopolmonare nella valutazione del paziente con ipertensione polmonare sospetta o nota A cura di Sergio Caravita 1) Come si fa, come funziona e cosa si misura durante un CPET 2) Il consumo di ossigeno: quanto il mio paziente è “limitato” 3) La riserva respiratoria: il mio paziente è limitato da una patologia respiratoria? 4) La VE/VCO2 slope: quanto il mio paziente “è costretto” a iperventilare durante esercizio, spia di impegno vascolare polmonare 5) Le oscillazioni ventilatorie durante esercizio: spia di aumento della pressione di riempimento nelle camere di sinistra del cuore Introduzione Il test da sforzo cardiopolmonare (CPET) permette l’analisi integrata delle risposte cardiovascolari, respiratorie e metaboliche all’esercizio. Attraverso una analisi multiparametrica, questo test permette di valutare nel singolo paziente: - il grado di limitazione funzionale. Ovvero: se ed in che misura la patologia di base limita il paziente nel fare uno sforzo fisico; - la fisiopatologia dell’esercizio. Ovvero: quale/i elemento/i è maggiormente implicato nella limitazione funzionale e nei sintomi addotti dal paziente. È importante sottolineare che, come suggerito in Figura 1, nel paziente con sospetta o nota ipertensione polmonare, tali analisi possono avere implicazioni: - nell’ambito della diagnostica differenziale dell’ipertensione polmonare (eziologia dell’ipertensione polmonare); - nella valutazione del rischio (stratificazione prognostica). Tutto ciò ovviamente non può prescindere dalla valutazione multiparametrica raccomandata dalle linee guida sull’argomento.

Il test da sforzo cardiopolmonare nella valutazione del ... · cardiaca del paziente). Il VO2 può essere espresso - in termini assoluti (L/min), ... la severità della patologia

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Il test da sforzo cardiopolmonare nella valutazione del paziente con ipertensione

polmonare sospetta o nota

A cura di Sergio Caravita

1) Come si fa, come funziona e cosa si misura durante un CPET 2) Il consumo di ossigeno: quanto il mio paziente è “limitato” 3) La riserva respiratoria: il mio paziente è limitato da una patologia respiratoria? 4) La VE/VCO2 slope: quanto il mio paziente “è costretto” a iperventilare durante esercizio, spia di impegno vascolare polmonare 5) Le oscillazioni ventilatorie durante esercizio: spia di aumento della pressione di riempimento nelle camere di sinistra del cuore

Introduzione

Il test da sforzo cardiopolmonare (CPET) permette l’analisi integrata delle risposte cardiovascolari,

respiratorie e metaboliche all’esercizio.

Attraverso una analisi multiparametrica, questo test permette di valutare nel singolo paziente:

- il grado di limitazione funzionale. Ovvero: se ed in che misura la patologia di base limita il

paziente nel fare uno sforzo fisico;

- la fisiopatologia dell’esercizio. Ovvero: quale/i elemento/i è maggiormente implicato nella

limitazione funzionale e nei sintomi addotti dal paziente.

È importante sottolineare che, come suggerito in Figura 1, nel paziente con sospetta o nota

ipertensione polmonare, tali analisi possono avere implicazioni:

- nell’ambito della diagnostica differenziale dell’ipertensione polmonare (eziologia

dell’ipertensione polmonare);

- nella valutazione del rischio (stratificazione prognostica).

Tutto ciò ovviamente non può prescindere dalla valutazione multiparametrica raccomandata dalle

linee guida sull’argomento.

DIAGNOSI

DIFFERENZIALE

PH-HFpEF PH-LD PAH

VO2 di picco ↓ ↓ ↓↓

Riserva respiratoria ↑ ↓↓ =

SpO2 durante

esercizio

= ↓↓ =/↓

VE/VCO2 slope =/↑ =/↑ ↑↑

EOV Frequente No No

CO/VO2 slope =/↓ = ↓↓

Figura 1. Possibile ruolo del test da sforzo cardiopolmonare nella valutazione del paziente con

sospetta o nota ipertensione polmonare. CO = gittata cardiaca (cardiac output); EOV = oscillazioni

ventilatorie durante esercizio (exercise oscillatory ventilation); HFpEF = insufficienza cardiaca a

normale frazione di eiezione (heart failure with preserved ejection fraction); LD = malattia

respiratoria (lung disease); PAH = ipertensione arteriosa polmonare (pulmonary arterial

hypertension); PH = ipertensione polmonare (pulmonary hypertension); SpO2 = saturazione

ossiemoglobinica periferica; VE = ventilazione minuto; VCO2 = produzione di diossido di carbonio;

VO2 = consumo di ossigeno.

Da un punto di vista pratico, il CPET può essere condotto al tappeto rotante (treadmill), al cicloergometro classico, su un cicloergometro reclinabile (per la valutazione combinata con ecocardiografia da sforzo) o in sala di emodinamica (per la valutazione combinata con emodinamica invasiva). In questa breve rassegna, ci concentreremo sul CPET “classico” ovvero quello eseguito e disponibile nella maggior parte dei laboratori. Dopo una rapida disamina su: - “come si fa, come funziona e cosa si misura durante un CPET” ci concentreremo su 4 variabili chiave nella valutazione del paziente con sospetta o nota ipertensione polmonare: - il consumo di ossigeno, VO2 (quanto il mio paziente è “limitato”, quanto la patologia è grave e lo limita), - la riserva respiratoria (il mio paziente è limitato per una patologia respiratoria?), - la pendenza della relazione tra ventilazione minuto e produzione di anidride carbonica, VE/VCO2 slope (quanto il mio paziente “è costretto” a iperventilare durante esercizio, spia di impegno vascolare polmonare), - le oscillazioni ventilatorie durante esercizio (spia di aumento della pressione di riempimento nelle camere di sinistra del cuore).

1) Come si fa, come funziona e cosa si misura durante un CPET

Durante tutto il test, il paziente (Figura 2) è connesso, attraverso un boccaglio o una maschera, ad un carrello metabolico che permette la registrazione, respiro per respiro, dei flussi e della concentrazione dei gas espirati. Da un punto di vista pratico ciò si traduce nell’acquisizione, respiro per respiro, di variabili quali il consumo di ossigeno (VO2), la produzione di anidride cabonica (VCO2), la ventilazione minuto (VE), la pressione parziale di fine espirazione per l’anidride carbonica (PetCO2), la pressione parziale di fine espirazione per l’ossigeno (PetO2). Il paziente è inoltre generalmente equipaggiato con un pulsossimetro (da lobo auricolare o al dito) per la valutazione in continuo della saturazione ossiemoglobinica periferica oltre che con un elettrocardiogramma a 12 derivazioni e uno sfigmomanometro (Figura 2).

Figura 2. Equipaggiamento “standard” di un paziente che sia sottoposto a test da sforzo

cardiopolmonare.

Dopo un congruo periodo di adattamento al boccaglio o alla maschera e la registrazione di un

“basale” di alcuni minuti (generalmente almeno tre), il paziente inizia a pedalare “in scarico” (fase

di riscaldamento o warm-up) ad un wattaggio compreso tra 0 e 20 W. In seguito, inizia la vera e

propria fase di esercizio incrementale, progressivo, che viene condotta tramite protocollo

personalizzato con l’obiettivo di raggiungere il picco dell’esercizio in circa 6-12 minuti.

Generalmente, per pazienti con patologia cardiovascolare o respiratoria, l’entità di incremento di

carico di lavoro (workload) in un minuto è dell’ordine di 5-15 W. Tale incremento può essere

eseguito, a seconda del modello di ergometro, tramite protocolli a rampa (che permettono di

aumentare il carico di lavoro Watt per Watt, distribuendolo gradualmente e omogeneamente

all’interno del minuto) o tramite protocolli a gradini (o a step), che erogano l’incremento di

wattaggio stabilito in un’unica soluzione al termine del minuto (Figura 3). Come è logico, i

protocolli a rampa permettono un migliore e più graduale adattamento del paziente all’incremento

carico, e possono risultare meglio tollerati specie ai carichi di lavoro maggiori, in prossimità del

picco dell’esercizio.

Figura 3. Protocollo di esercizio incrementale a gradini e protocollo a rampa. A sinistra: esempio

di protocollo incrementale “a gradini” o a step. In questo caso l’incremento di carico di lavoro viene

erogato ad ogni minuto. A destra: esempio di protocollo incrementale “a rampa” In questo caso

l’entità di incremento di carico di lavoro stabilito per minuto viene “diluito” in maniera graduale,

Watt per Watt, nel corso del minuto.

Un concetto da sottolineare, prima di procedere oltre, è quello della valutazione della

“massimalità” di un test. Posto che il paziente deve essere motivato a svolgere un test realmente

“massimale”, limitato dai sintomi, è altresì possibile verificare in maniera oggettiva che lo sforzo

svolto dal paziente sia stato effettivamente congruo e consistente. Al contrario della valutazione

ergometrica classica, ciò non avviene normalmente tramite la valutazione della risposta cronotropa

ma piuttosto tramite la valutazione del quoziente respiratorio (QR, o RQ da respiratory quotient, o

RER da respiratory exchange ratio) al picco dell’esercizio. Il quoziente respiratorio non è altro che il

rapporto tra la produzione di anidride carbonica (VCO2) e il consumo di ossigeno (VO2). In

condizioni di riposo, il valore di tale rapporto è determinato principalmente dal metabolismo

basale e dalla dieta, ed è normalmente compreso tra 0.70 e 1.00. Senza entrare nei meccanismi

specifici, per cui si rimanda ai testi appropriati, al di sopra della soglia anaerobica la VCO2 aumenta

relativamente più del VO2. Si tende a considerare “massimale” un test che presenti al picco

dell’esercizio un quoziente respiratorio > 1.10-1.15, che suggerisca effettivamente lo sviluppo di

significativa acidosi a livello muscolare.

2) Il consumo di ossigeno: quanto il mio paziente è “limitato”

Perché il consumo di ossigeno (VO2) è così importante?

La legge di Fick ci dice che il VO2 è equivalente al prodotto tra gittata cardiaca e estrazione

periferica di ossigeno.

VO2 = GC x d(A-V)O2 = GS x FC x d(A-V)O2

dove GC è la gittata cardiaca, d(A-V)O2 è la differenza artero-venosa di ossigeno, GS la gittata

sistolica e FC la frequenza cardiaca.

In assenza di una patologia muscolare grave e/o in assenza di una marcata ipossiemia, possiamo

assumere, non senza semplificazione, che la capacità di estrazione di ossigeno da parte del

muscolo metabolicamente attivo sia relativamente costante e che quindi, in buona sostanza, il VO2

sia massimamente determinato dalla gittata cardiaca, ovvero dal prodotto tra gittata sistolica e

frequenza cardiaca.

Questo è il motivo per cui il VO2 ha un indubbio valore prognostico, riflettendo in maniera diretta

la riserva cardiovascolare del singolo paziente (è direttamente e strettamente correlato alla gittata

cardiaca del paziente).

Il VO2 può essere espresso

- in termini assoluti (L/min),

- normalizzato per peso corporeo (mL/Kg/min) o

- normalizzato rispetto al predetto (% del predetto).

La modalità probabilmente più comune per esprimere il VO2 è in mL/Kg/min. È però importante

notare che questa normalizzazione può diventare artificiosa o poco informativa in alcuni contesti

“estremi”, laddove il peso corporeo non rende ragione della massa muscolare metabolicamente

attiva, quali ad esempio la persona obesa, la persona magra o l’anziano, come esemplificato nella

Tabella 1.

Uomo, 35 anni

BMI 22 Kg/m2

Uomo, 60 anni

BMI 40 Kg/m2

Uomo, 86 anni

BMI, 22 Kg/m2

VO2 di picco,

mL/Kg/min 14 14 14

VO2 di picco,

% del predetto 35 70 70

Uomo, 35 anni

BMI 22 Kg/m2

Uomo, 60 anni

BMI 40 Kg/m2

Uomo, 86 anni

BMI, 22 Kg/m2

VO2 di picco,

mL/Kg/min 36 21 18

VO2 di picco,

% del predetto 90 90 90

Tabella 1. Come i parametri demografici e antropometrici possono modificare il consumo di

ossigeno predetto e quindi la quantificazione della capacità di esercizio. Nella tabella in alto, 3

soggetti differenti per età e indice di massa corporea presentano tutti un VO2 di picco di 14

mL/Kg/min, a cui corrisponde un VO2 in % del predetto logicamente diverso. Nella tabella in basso,

3 soggetti differenti per età e indice di massa corporea presentano tutti un VO2 di picco pari al 90%

del predetto, a cui corrisponde un VO2/Kg logicamente diverso. I valori predetti sono stati calcolati

tramite equazione di Wasserman/Hansen.

Risulta perciò estremamente utile la normalizzazione rispetto al predetto, che dovrebbe tenere in

giusto conto le dimensioni corporee e l’età anagrafica. È importante però sapere quali valori di

normalità sono inseriti nell’ergospirometro che si sta utilizzando, perché diversi valori di

riferimento possono fornire risultati molto diversi tra loro. È attualmente raccomandato utilizzare

le equazioni proposte da Wasserman/Hansen. È importante notare che si considerano normali

valori prossimi al 100% del predetto.

In questo modo, si può valutare probabilmente meglio il grado di compromissione funzionale del

singolo paziente in relazione alla patologia sottostante (Figura 4). Più basso è il VO2, maggiore sarà

il grado di compromissione funzionale, la severità della patologia sottostante, con rischio

aumentato di peggiore prognosi.

Figura 4. Relazione tra consumo di ossigeno di picco e gravità di patologia. VO2=consumo di

ossigeno.

Se è vero che il VO2 di picco ha un indubbio valore prognostico nell’insufficienza cardiaca (a

maggior ragione quando complicata da ipertensione polmonare) al punto da essere contemplato

nel percorso decisionale verso l’iscrizione in lista trapianto, è altrettanto comprovato il suo valore

prognostico nel contesto dell’ipertensione arteriosa polmonare.

Le linee guida per l’ipertensione polmonare, propongono due variabili ergospirometriche nella

tabella di valutazione del rischio del paziente con ipertensione arteriosa polmonare: il VO2 di picco

(sia normalizzato per peso corporeo sia in % del predetto) e la VE/VCO2 slope (che verrà affrontata

più sotto). I relativi cut-offs proposti dalle linee guida sono riportati nella tabella 2.

Tabella 2. Estratto dalla carta del rischio delle linee guida per l’ipertensione arteriosa polmonare.

Dalla valutazione multiparametrica che include segni, progressione dei sintomi, classe funzionale,

distanza percorsa al test del cammino dei 6 minuti, livelli dei peptidi natriuretici, tecniche di

imaging e valori emodinamici, sono stati scorporati i parametri ergospirometrici a valenza

prognostica proposti, con i relativi cut-offs per distinguere il paziente a basso, intermedio o alto

rischio.

3) La riserva respiratoria: il mio paziente è limitato da una patologia respiratoria?

Quale è la ventilazione minuto (VE) che un soggetto raggiunge normalmente al picco di un

esercizio massimale? Normalmente essa è

- inferiore all’80% della ventilazione volontaria massima (VVM),

- almeno 11 L superiore alla VVM.

La VVM è normalmente approssimata al prodotto tra il volume espiratorio massimo in un secondo

(VEMS) ottenuto alla spirometria e un fattore pari a 35-40.

Quindi: VVM = VEMS x 35-40.

Ad esempio, se il VEMS di un soggetto è pari a 3.0 L, il suo VVM sarà pari a circa 120 L. La sua VE al

picco dell’esercizio sarà quindi normalmente inferiore a 96 L (80% di 120 L) e comunque inferiore a

109 L (120 – 11).

È chiaro che per valutare correttamente la riserva respiratoria è necessario acquisire un VEMS

prima del CPET.

È altrettanto chiaro che la riserva respiratoria assume un valore particolarmente importante in quei

pazienti con sospetta o nota ipertensione polmonare pre-capillare e spirometria anormale e/o un

sospetto di patologia respiratoria. In questi pazienti effettivamente il CPET può essere un elemento

utile nella diagnostica differenziale tra ipertensione arteriosa polmonare e ipertensione polmonare

secondaria a patologia respiratoria. In altre parole, nel contesto dell’inquadramento diagnostico

dell’ipertensione polmonare, un paziente con spirometria anormale che presenti una erosione

della riserva respiratoria, specie se associata a desaturazione da sforzo, ha un’alta probabilità di

avere una ipertensione polmonare secondaria a malattia respiratoria.

Figura 5. Riserva respiratoria e probabilità di limitazione respiratoria all’esercizio.

VE=ventilazione minuto (al picco dell’esercizio); VO2=consumo di ossigeno; VVM=ventilazione

massima volontaria.

Laddove non coesista una patologia respiratoria il valore della riserva respiratoria perde

relativamente di valore.

O meglio, il suo valore è più ridimensionato. Un paziente con ipertensione polmonare secondaria a

patologia del cuore sinistro (specie qualora presenti una ridotta frazione di eiezione ventricolare

sinistra) presenta normalmente una limitazione di gittata cardiaca. La sua riserva respiratoria è

quindi normalmente molto ampia.

Viceversa, un soggetto sano può non presentare alcuna limitazione all’esercizio, avere un VO2 di

picco “super-normale” ma per raggiungerlo può arrivare ad erodere la sua riserva respiratoria. In

questo caso la riserva respiratoria non presenta alcun valore clinico, non presentando il soggetto in

questione alcun tipo di limitazione.

Infine, un paziente con ipertensione arteriosa polmonare può presentare una significativa

limitazione della sua capacità funzionale (testimoniata da un VO2 di picco ridotto), e può,

occasionalmente, presentare una erosione della riserva respiratoria pur in presenza di una

spirometria normale. Il perché di questa “anomalia” è spiegato nella sezione seguente, che analizza

più in dettaglio la risposta ventilatoria allo sforzo (il controllo della risposta ventilatoria durante

esercizio).

Sono riportati in tabella 3 alcuni casi esemplificativi di riserva respiratoria “erosa”.

Caso n 1 Caso n 2 Caso n 3

Età 60 anni 40 anni 30 anni

Fumo 100 pacchi-anno Mai fumato Mai fumato

TC torace Enfisema severo Ndp Ndp

Spirometria

VEMS, L 0.9 3.2 3.2

VEMS/CVF < 0.7 > 0.7 > 0.7

VEMS, % del predetto 40 105 105

CPET

VO2 di picco,

mL/Kg/min 11 14 48

VO2 di picco, % pred. 42 40 120

VE massima, L 32 120 120

VE/VVM 90 94 94

VVM – VE, L 4 8 8

SpO2 basale, % 96 98 98

SpO2 picco, % 86 95 95

Conclusioni

Limitazione

all’esercizio di natura

respiratoria

Limitazione

all’esercizio di natura

non respiratoria

Assenza di limitazione

all’esercizio

(soggetto sano)

Tabella 3. Esempi di erosione della riserva respiratoria, accomunati da un VE/VVM > 0.80 e un

VMM-VE < 11 L. Nel caso n 1 (paziente fumatore con bronchite cronica enfisematosa severa) è

presente una significativa riduzione della capacità di esercizio (VO2 di picco < 50% del predetto)

attribuibile chiaramente a limitazione respiratoria. Nel caso n 2 (paziente non fumatore, senza

evidenza di malattia respiratoria), è presente una limitazione all’esercizio con erosione della riserva

respiratoria; quest’ultima però non è giustificata né sostenuta da una malattia respiratoria, ma

probabilmente da una aumentata risposta ventilatoria all’esercizio (cfr paragrafo sulla VE/VCO2

slope). Il caso n 3 (soggetto sano, asintomatico) è caratterizzato da una ottima capacità di esercizio

(> 100% del predetto); per raggiungerla questo soggetto arriva ad erodere la sua riserva

respiratoria. In questo caso, logicamente, l’erosione della riserva respiratoria non ha alcuna

implicazione clinica.

4) La VE/VCO2 slope: quanto il mio paziente “è costretto” a iperventilare durante esercizio, spia

di impegno vascolare polmonare

Per affrontare il significato della VE/VCO2 slope, è quasi obbligatorio fare un passo indietro sulla

fisiologia. Chi volesse evitare questo ripasso, può saltare direttamente al paragrafo successivo…

VE/VCO2 slope - fisiopatologia

I capisaldi da tenere in considerazione sono i seguenti:

1) durante esercizio, la VE è strettamente legata alla VCO2 (ventiliamo “principalmente” per

eliminare CO2). La relazione tra queste le due variabili è lineare per la maggior parte

dell’esercizio, come rappresentato nella Figura 6. Tuttavia la pendenza di tale relazione è

estremamente variabile da soggetto a soggetto e rappresenta un indice di controllo

ventilatorio durante esercizio.

Figura 6. Relazione tra ventilazione minuto e produzione di anidride carbonica. Fino alla soglia

anaerobica, ventilazione minuto, consumo di ossigeno e produzione di anidride carbonica

procedono parallelamente (figura a sinistra). Al di sopra della soglia anaerobica la produzione di

anidride carbonica aumenta proporzionalmente più del consumo di ossigeno. La ventilazione

“segue” l’incremento relativo della produzione di anidride carbonica, così che la relazione tra

ventilazione minuto e produzione di anidride carbonica è lineare (figura a destra) per la maggior

parte dell’esercizio (fino al punto di compenso respiratorio, non sempre raggiunto e non

rappresentato in figura). Tuttavia, come suggerito dalla figura a destra, la pendenza della relazione

tra ventilazione minuto e produzione di anidride carbonica può essere estremamente variabile (più

o meno elevata) in funzione di una molteplicità di fattori indicati più oltre.

2) Numerosi fattori regolano la relazione tra VE e VCO2, come illustrato nella Figura 7.

Figura 7. Meccanismi di regolazione della ventilazione durante esercizio. Nel riquadro centrale è

mostrata l’equazione che mette in relazione la ventilazione minuto, la produzione di anidride

carbonica e la pressione parziale arteriosa dell’anidride carbonica. Nei riquadri periferici sono

riportati alcuni dei principali meccanismi che possono intervenire sul controllo ventilatorio agendo,

più o meno direttamente, su una o più delle variabili riportate nell’equazione. PaCO2=pressione

arteriosa di anidride carbonica; VCO2=produzione di anidride carbonica; VD=spazio morto;

VE=ventilazione minuto; VT=volume corrente.

Parafrasando la Figura 7, la VE è relata in maniera diretta alla VCO2 e allo spazio morto, e in

maniera indiretta alla tensione arteriosa di diossido di carbonio. Ciò che poi in effetti regola però

queste singole variabili sono meccanismi dipendenti da:

a. la meccanica respiratoria,

b. la funzione muscolare,

c. il matching tra ventilazione e perfusione e

d. il set-point della CO2. Quest’ultimo rappresenta il valore di CO2 che l’organismo

“desidera” o “ritiene di” o “accetta di” mantenere costante, a riposo e soprattutto

sotto sforzo, laddove la domanda metabolica aumenta e con essa la produzione di

CO2. Il set-point della CO2 è regolato attraverso numerosi meccanismi riflessi

complessi, che coinvolgono principalmente:

d.i. i chemocettori dei glomi carotidei ed a livello del sistema nervoso centrale (a

loro volta influenzati dal tono nervoso simpatico),

d.ii. i recettori da stiramento a livello muscolare,

d.iii. il riflesso di Bainbridge a partenza dai meccanocettori (da stiramento) a

livello delle camere cardiache.

Pertanto, la VE/VCO2 slope è una variabile piuttosto complessa.

Più il set-point della CO2 è basso, maggiore sarà la VE/VCO2 slope. Quindi, in altre parole, ad una

maggiore attivazione simpatica e disregolazione autonomica, o a una maggiore pressione

intracardiaca, potrà corrispondere una maggiore VE/VCO2 slope attraverso meccanismi riflessi.

Ad un maggiore mismatch ventilazione-perfusione corrisponderà una maggiore VE/VCO2 slope.

Ad un aumento dello spazio morto corrisponderà una maggiore VE/VCO2 slope.

Da tutto ciò si può intuire per quale motivo, alla VE/VCO2 slope, sia stato attribuito il nome di

“(in)efficienza ventilatoria”, “iperpnea all’esercizio”, “iperventilazione da sforzo”.

Analogo significato della VE/VCO2 slope hanno il rapporto VE/VCO2 alla soglia anaerobica e la

PetCO2 alla soglia anaerobica. Tuttavia, per ragioni di brevità e di semplicità, non ci si dilungherà su

tali variabili.

VE/VCO2 slope - implicazioni cliniche nell’ipertensione polmonare

Al di là della fisiopatologia, ciò che può avere implicazioni cliniche è la dimostrata correlazione tra

emodinamica polmonare e VE/VCO2 slope. Più l’emodinamica polmonare è compromessa (in

termini di resistenza vascolare polmonare, gradienti vascolari polmonari), maggiore sarà la

VE/VCO2 slope.

Questo concetto è esemplificato in Figura 8 e in Figura 9.

Figura 8. Relazione esemplificativa tra ventilazione minuto e produzione di anidride carbonica

nell’ipertensione polmonare. Rispetto al soggetto normale, il paziente con malattia del cuore

sinistro (left heart disease o “LHD”) può presentare un relativo incremento della pendenza della

relazione, generalmente più marcato qualora la malattia del cuore sinistro sia complicata da

ipertensione polmonare post-capillare, e ancora più marcato qualora alla componente post-

capillare dell’ipertensione polmonare sia sovrapposta una componente pre-capillare. Pazienti con

malattia vascolare polmonare conclamata, quale l’ipertensione arteriosa polmonare, presentano

generalmente pendenze della relazione VE/VCO2 ancor più aumentate. CpcPH=ipertensione

polmonare combinata post- e pre-capillare; IpcPH=ipertensione polmonare isolata post-capillare;

LHD=malattia del cuore sinistro; PAH=ipertensione arteriosa polmonare; VCO2=produzione di

anidride carbonica; VE=ventilazione minuto.

Figura 9. Relazione tra ventilazione minuto e produzione di anidride carbonica, e probabilità di

ipertensione polmonare. DPG=gradiente diastolico polmonare; PVR=resistenza vascolare

polmonare; VCO2=produzione di anidride carbonica; VE=ventilazione minuto.

La correlazione tra la VE/VCO2 slope e il livello di impegno vascolare polmonare, nonché con il

grado di compromissione di meccanismi riflessi che caratterizzano la fisiopatologia della condizione

clinica sottostante rende ragione del suo valore prognostico, tanto nell’insufficienza cardiaca

quanto nell’ipertensione arteriosa polmonare (Figura 9).

VE/VCO2 slope - possibili pitfalls

È comunque importante stressare che se ad una alta VE/VCO2 slope può corrispondere un rischio

aumentato di presentare una ipertensione polmonare o una vera e propria malattia vascolare

polmonare, ciò non è sicuramente detto (e deve essere verificato tramite l’algoritmo diagnostico

proposto dalle linee guida), così come un paziente con ipertensione polmonare pre-capillare può

presentare una VE/VCO2 slope non drammaticamente aumentata. Questo proprio in relazione ai

multipli fattori sopra riportati che regolano la VE/VCO2 slope, e che possono concorrere a ridurre

la pendenza della relazione (specialmente fattori relati alla meccanica respiratoria) e non solo ad

aumentarla.

A titolo esemplificativo, è riportato esemplificativamente in Figura 10 ciò che si ritiene accada nella

malattia respiratoria ostruttiva, indipendentemente dalla presenza di ipertensione polmonare.

Figura 10. Relazione esemplificativa tra ventilazione minuto e produzione di anidride carbonica

nella broncopneumopatia cronica ostruttiva. Rispetto al soggetto normale, il paziente con BPCO

nei primi stadi presenta normalmente un aumento della pendenza della relazione tra ventilazione

minuto e produzione di anidride carbonica. La pendenza di tale relazione tende tuttavia a

diminuire negli stadi più avanzati della malattia a causa della cosiddetta “ipercapnia permissiva”.

BPCO=broncopneumopatia cronica ostruttiva; GOLD=Global Initiative for Obstructive Lung Disease;

VCO2=produzione di anidride carbonica; VE=ventilazione minuto.

Come si evince dalla Figura 10, mentre nelle prime fasi della patologia la VE/VCO2 slope può

essere effettivamente aumentata (per aumento dello spazio morto e/o per concomitante

ipertensione polmonare). Tuttavia, nelle fasi più avanzate della patologia respiratoria, proprio a

causa di una meccanica respiratoria sempre più deficitaria, è comune una desensibilizzazione dei

chemocettori, che conduce ad una ipercapnia permissiva non solo a riposo ma anche durante

sforzo. In altre parole, il centro di controllo del respiro di un paziente con patologia respiratoria

severa si trova a scegliere tra aumentare la ventilazione per eliminare CO2 a fronte però di un

sistema di scambio altamente deficitario o tollerare una ritenzione di CO2 per evitare di

“scontrarsi” con i limiti del suo sistema respiratorio deficitario. Ciò fa sì che nelle fasi più avanzate

della patologia respiratoria, il valore della VE/VCO2 slope possa risultare normale o addirittura

ridotto. Ciò che comunque è importante notare, è che la fisiopatologia dell’esercizio di due

condizioni cliniche differenti (ad esempio insufficienza cardiaca e broncopneumopatia cronica

ostruttiva) potrebbe in qualche modo interagire creando dei quadri “intermedi”.

5) Le oscillazioni ventilatorie durante esercizio: spia di aumento della pressione di riempimento

nelle camere di sinistra del cuore

Abbiamo descritto in precedenza l’incremento di ventilazione che avviene normalmente durante

un esercizio progressivamente incrementale. Pazienti con insufficienza cardiaca possono

presentare un quadro “estremo” di derangement ventilatorio, caratterizzato da un oscillazioni

respiratorie, cioè un alternarsi ciclico di fasi di ipopnea ed iperpnea, tanto a riposo e durante

esercizio (Figura 11). Questa forma estrema di respiro di Cheyne-Stokes è generalmente descritta

da un pattern oscillatorio presente a riposo e che persiste per almeno il 60% dell’esercizio, con

oscillazioni di ampiezza superiore al 15% rispetto alle oscillazioni presenti a riposo.

Figura 11. Ventilazione durante esercizio in un soggetto normale ed in un paziente con

insufficienza cardiaca ed oscillazioni ventilatorie. Rispetto al normale incremento della

ventilazione durante esercizio (pannello A, a sinistra: soggetto normale), nel pannello B (a destra:

paziente con insufficienza cardiaca) sono chiaramente visibili oscillazioni cicliche della ventilazione

sia a riposo sia durante esercizio.

Ciò che è estremamente interessante di questa alterazione, è che essa risulta discretamente

prevalente in pazienti con malattie del cuore sinistro, essendo stata messa in relazione all’edema

polmonare interstiziale (con stimolazione dei recettori J a livello dell’interstizio polmonare) e

quindi ad aumentate pressioni di riempimento nelle camere di sinistra del cuore, ad alterazioni del

controllo chemoriflesso con instabilità dello stesso, favorite sia dagli impulsi ciclici provenienti dai

recettori J sia da un aumentato tempo di circolo.

È interessante notare che la prevalenza di oscillazioni respiratorie durante esercizio risulta

ulteriormente aumentata in pazienti con malattia del cuore sinistro complicata da ipertensione

polmonare (fino anche al 40% dei casi), mentre non è mai stata descritta in pazienti con

ipertensione arteriosa polmonare.

Ciò suggerisce che la presenza di oscillazioni respiratorie, quando presenti, possa essere un

ulteriore elemento utile nella diagnostica differenziale, pre-cateterismo cardiaco destro, tra

malattia del cuore sinistro e ipertensione arteriosa polmonare.

È importante infine ricordare come la presenza di oscillazioni respiratorie nel contesto di una

insufficienza cardiaca abbia un comprovato valore prognostico negativo.

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