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Il test da sforzo cardiopolmonare nella valutazione del paziente con ipertensione
polmonare sospetta o nota
A cura di Sergio Caravita
1) Come si fa, come funziona e cosa si misura durante un CPET 2) Il consumo di ossigeno: quanto il mio paziente è “limitato” 3) La riserva respiratoria: il mio paziente è limitato da una patologia respiratoria? 4) La VE/VCO2 slope: quanto il mio paziente “è costretto” a iperventilare durante esercizio, spia di impegno vascolare polmonare 5) Le oscillazioni ventilatorie durante esercizio: spia di aumento della pressione di riempimento nelle camere di sinistra del cuore
Introduzione
Il test da sforzo cardiopolmonare (CPET) permette l’analisi integrata delle risposte cardiovascolari,
respiratorie e metaboliche all’esercizio.
Attraverso una analisi multiparametrica, questo test permette di valutare nel singolo paziente:
- il grado di limitazione funzionale. Ovvero: se ed in che misura la patologia di base limita il
paziente nel fare uno sforzo fisico;
- la fisiopatologia dell’esercizio. Ovvero: quale/i elemento/i è maggiormente implicato nella
limitazione funzionale e nei sintomi addotti dal paziente.
È importante sottolineare che, come suggerito in Figura 1, nel paziente con sospetta o nota
ipertensione polmonare, tali analisi possono avere implicazioni:
- nell’ambito della diagnostica differenziale dell’ipertensione polmonare (eziologia
dell’ipertensione polmonare);
- nella valutazione del rischio (stratificazione prognostica).
Tutto ciò ovviamente non può prescindere dalla valutazione multiparametrica raccomandata dalle
linee guida sull’argomento.
DIAGNOSI
DIFFERENZIALE
PH-HFpEF PH-LD PAH
VO2 di picco ↓ ↓ ↓↓
Riserva respiratoria ↑ ↓↓ =
SpO2 durante
esercizio
= ↓↓ =/↓
VE/VCO2 slope =/↑ =/↑ ↑↑
EOV Frequente No No
CO/VO2 slope =/↓ = ↓↓
Figura 1. Possibile ruolo del test da sforzo cardiopolmonare nella valutazione del paziente con
sospetta o nota ipertensione polmonare. CO = gittata cardiaca (cardiac output); EOV = oscillazioni
ventilatorie durante esercizio (exercise oscillatory ventilation); HFpEF = insufficienza cardiaca a
normale frazione di eiezione (heart failure with preserved ejection fraction); LD = malattia
respiratoria (lung disease); PAH = ipertensione arteriosa polmonare (pulmonary arterial
hypertension); PH = ipertensione polmonare (pulmonary hypertension); SpO2 = saturazione
ossiemoglobinica periferica; VE = ventilazione minuto; VCO2 = produzione di diossido di carbonio;
VO2 = consumo di ossigeno.
Da un punto di vista pratico, il CPET può essere condotto al tappeto rotante (treadmill), al cicloergometro classico, su un cicloergometro reclinabile (per la valutazione combinata con ecocardiografia da sforzo) o in sala di emodinamica (per la valutazione combinata con emodinamica invasiva). In questa breve rassegna, ci concentreremo sul CPET “classico” ovvero quello eseguito e disponibile nella maggior parte dei laboratori. Dopo una rapida disamina su: - “come si fa, come funziona e cosa si misura durante un CPET” ci concentreremo su 4 variabili chiave nella valutazione del paziente con sospetta o nota ipertensione polmonare: - il consumo di ossigeno, VO2 (quanto il mio paziente è “limitato”, quanto la patologia è grave e lo limita), - la riserva respiratoria (il mio paziente è limitato per una patologia respiratoria?), - la pendenza della relazione tra ventilazione minuto e produzione di anidride carbonica, VE/VCO2 slope (quanto il mio paziente “è costretto” a iperventilare durante esercizio, spia di impegno vascolare polmonare), - le oscillazioni ventilatorie durante esercizio (spia di aumento della pressione di riempimento nelle camere di sinistra del cuore).
1) Come si fa, come funziona e cosa si misura durante un CPET
Durante tutto il test, il paziente (Figura 2) è connesso, attraverso un boccaglio o una maschera, ad un carrello metabolico che permette la registrazione, respiro per respiro, dei flussi e della concentrazione dei gas espirati. Da un punto di vista pratico ciò si traduce nell’acquisizione, respiro per respiro, di variabili quali il consumo di ossigeno (VO2), la produzione di anidride cabonica (VCO2), la ventilazione minuto (VE), la pressione parziale di fine espirazione per l’anidride carbonica (PetCO2), la pressione parziale di fine espirazione per l’ossigeno (PetO2). Il paziente è inoltre generalmente equipaggiato con un pulsossimetro (da lobo auricolare o al dito) per la valutazione in continuo della saturazione ossiemoglobinica periferica oltre che con un elettrocardiogramma a 12 derivazioni e uno sfigmomanometro (Figura 2).
Figura 2. Equipaggiamento “standard” di un paziente che sia sottoposto a test da sforzo
cardiopolmonare.
Dopo un congruo periodo di adattamento al boccaglio o alla maschera e la registrazione di un
“basale” di alcuni minuti (generalmente almeno tre), il paziente inizia a pedalare “in scarico” (fase
di riscaldamento o warm-up) ad un wattaggio compreso tra 0 e 20 W. In seguito, inizia la vera e
propria fase di esercizio incrementale, progressivo, che viene condotta tramite protocollo
personalizzato con l’obiettivo di raggiungere il picco dell’esercizio in circa 6-12 minuti.
Generalmente, per pazienti con patologia cardiovascolare o respiratoria, l’entità di incremento di
carico di lavoro (workload) in un minuto è dell’ordine di 5-15 W. Tale incremento può essere
eseguito, a seconda del modello di ergometro, tramite protocolli a rampa (che permettono di
aumentare il carico di lavoro Watt per Watt, distribuendolo gradualmente e omogeneamente
all’interno del minuto) o tramite protocolli a gradini (o a step), che erogano l’incremento di
wattaggio stabilito in un’unica soluzione al termine del minuto (Figura 3). Come è logico, i
protocolli a rampa permettono un migliore e più graduale adattamento del paziente all’incremento
carico, e possono risultare meglio tollerati specie ai carichi di lavoro maggiori, in prossimità del
picco dell’esercizio.
Figura 3. Protocollo di esercizio incrementale a gradini e protocollo a rampa. A sinistra: esempio
di protocollo incrementale “a gradini” o a step. In questo caso l’incremento di carico di lavoro viene
erogato ad ogni minuto. A destra: esempio di protocollo incrementale “a rampa” In questo caso
l’entità di incremento di carico di lavoro stabilito per minuto viene “diluito” in maniera graduale,
Watt per Watt, nel corso del minuto.
Un concetto da sottolineare, prima di procedere oltre, è quello della valutazione della
“massimalità” di un test. Posto che il paziente deve essere motivato a svolgere un test realmente
“massimale”, limitato dai sintomi, è altresì possibile verificare in maniera oggettiva che lo sforzo
svolto dal paziente sia stato effettivamente congruo e consistente. Al contrario della valutazione
ergometrica classica, ciò non avviene normalmente tramite la valutazione della risposta cronotropa
ma piuttosto tramite la valutazione del quoziente respiratorio (QR, o RQ da respiratory quotient, o
RER da respiratory exchange ratio) al picco dell’esercizio. Il quoziente respiratorio non è altro che il
rapporto tra la produzione di anidride carbonica (VCO2) e il consumo di ossigeno (VO2). In
condizioni di riposo, il valore di tale rapporto è determinato principalmente dal metabolismo
basale e dalla dieta, ed è normalmente compreso tra 0.70 e 1.00. Senza entrare nei meccanismi
specifici, per cui si rimanda ai testi appropriati, al di sopra della soglia anaerobica la VCO2 aumenta
relativamente più del VO2. Si tende a considerare “massimale” un test che presenti al picco
dell’esercizio un quoziente respiratorio > 1.10-1.15, che suggerisca effettivamente lo sviluppo di
significativa acidosi a livello muscolare.
2) Il consumo di ossigeno: quanto il mio paziente è “limitato”
Perché il consumo di ossigeno (VO2) è così importante?
La legge di Fick ci dice che il VO2 è equivalente al prodotto tra gittata cardiaca e estrazione
periferica di ossigeno.
VO2 = GC x d(A-V)O2 = GS x FC x d(A-V)O2
dove GC è la gittata cardiaca, d(A-V)O2 è la differenza artero-venosa di ossigeno, GS la gittata
sistolica e FC la frequenza cardiaca.
In assenza di una patologia muscolare grave e/o in assenza di una marcata ipossiemia, possiamo
assumere, non senza semplificazione, che la capacità di estrazione di ossigeno da parte del
muscolo metabolicamente attivo sia relativamente costante e che quindi, in buona sostanza, il VO2
sia massimamente determinato dalla gittata cardiaca, ovvero dal prodotto tra gittata sistolica e
frequenza cardiaca.
Questo è il motivo per cui il VO2 ha un indubbio valore prognostico, riflettendo in maniera diretta
la riserva cardiovascolare del singolo paziente (è direttamente e strettamente correlato alla gittata
cardiaca del paziente).
Il VO2 può essere espresso
- in termini assoluti (L/min),
- normalizzato per peso corporeo (mL/Kg/min) o
- normalizzato rispetto al predetto (% del predetto).
La modalità probabilmente più comune per esprimere il VO2 è in mL/Kg/min. È però importante
notare che questa normalizzazione può diventare artificiosa o poco informativa in alcuni contesti
“estremi”, laddove il peso corporeo non rende ragione della massa muscolare metabolicamente
attiva, quali ad esempio la persona obesa, la persona magra o l’anziano, come esemplificato nella
Tabella 1.
Uomo, 35 anni
BMI 22 Kg/m2
Uomo, 60 anni
BMI 40 Kg/m2
Uomo, 86 anni
BMI, 22 Kg/m2
VO2 di picco,
mL/Kg/min 14 14 14
VO2 di picco,
% del predetto 35 70 70
Uomo, 35 anni
BMI 22 Kg/m2
Uomo, 60 anni
BMI 40 Kg/m2
Uomo, 86 anni
BMI, 22 Kg/m2
VO2 di picco,
mL/Kg/min 36 21 18
VO2 di picco,
% del predetto 90 90 90
Tabella 1. Come i parametri demografici e antropometrici possono modificare il consumo di
ossigeno predetto e quindi la quantificazione della capacità di esercizio. Nella tabella in alto, 3
soggetti differenti per età e indice di massa corporea presentano tutti un VO2 di picco di 14
mL/Kg/min, a cui corrisponde un VO2 in % del predetto logicamente diverso. Nella tabella in basso,
3 soggetti differenti per età e indice di massa corporea presentano tutti un VO2 di picco pari al 90%
del predetto, a cui corrisponde un VO2/Kg logicamente diverso. I valori predetti sono stati calcolati
tramite equazione di Wasserman/Hansen.
Risulta perciò estremamente utile la normalizzazione rispetto al predetto, che dovrebbe tenere in
giusto conto le dimensioni corporee e l’età anagrafica. È importante però sapere quali valori di
normalità sono inseriti nell’ergospirometro che si sta utilizzando, perché diversi valori di
riferimento possono fornire risultati molto diversi tra loro. È attualmente raccomandato utilizzare
le equazioni proposte da Wasserman/Hansen. È importante notare che si considerano normali
valori prossimi al 100% del predetto.
In questo modo, si può valutare probabilmente meglio il grado di compromissione funzionale del
singolo paziente in relazione alla patologia sottostante (Figura 4). Più basso è il VO2, maggiore sarà
il grado di compromissione funzionale, la severità della patologia sottostante, con rischio
aumentato di peggiore prognosi.
Figura 4. Relazione tra consumo di ossigeno di picco e gravità di patologia. VO2=consumo di
ossigeno.
Se è vero che il VO2 di picco ha un indubbio valore prognostico nell’insufficienza cardiaca (a
maggior ragione quando complicata da ipertensione polmonare) al punto da essere contemplato
nel percorso decisionale verso l’iscrizione in lista trapianto, è altrettanto comprovato il suo valore
prognostico nel contesto dell’ipertensione arteriosa polmonare.
Le linee guida per l’ipertensione polmonare, propongono due variabili ergospirometriche nella
tabella di valutazione del rischio del paziente con ipertensione arteriosa polmonare: il VO2 di picco
(sia normalizzato per peso corporeo sia in % del predetto) e la VE/VCO2 slope (che verrà affrontata
più sotto). I relativi cut-offs proposti dalle linee guida sono riportati nella tabella 2.
Tabella 2. Estratto dalla carta del rischio delle linee guida per l’ipertensione arteriosa polmonare.
Dalla valutazione multiparametrica che include segni, progressione dei sintomi, classe funzionale,
distanza percorsa al test del cammino dei 6 minuti, livelli dei peptidi natriuretici, tecniche di
imaging e valori emodinamici, sono stati scorporati i parametri ergospirometrici a valenza
prognostica proposti, con i relativi cut-offs per distinguere il paziente a basso, intermedio o alto
rischio.
3) La riserva respiratoria: il mio paziente è limitato da una patologia respiratoria?
Quale è la ventilazione minuto (VE) che un soggetto raggiunge normalmente al picco di un
esercizio massimale? Normalmente essa è
- inferiore all’80% della ventilazione volontaria massima (VVM),
- almeno 11 L superiore alla VVM.
La VVM è normalmente approssimata al prodotto tra il volume espiratorio massimo in un secondo
(VEMS) ottenuto alla spirometria e un fattore pari a 35-40.
Quindi: VVM = VEMS x 35-40.
Ad esempio, se il VEMS di un soggetto è pari a 3.0 L, il suo VVM sarà pari a circa 120 L. La sua VE al
picco dell’esercizio sarà quindi normalmente inferiore a 96 L (80% di 120 L) e comunque inferiore a
109 L (120 – 11).
È chiaro che per valutare correttamente la riserva respiratoria è necessario acquisire un VEMS
prima del CPET.
È altrettanto chiaro che la riserva respiratoria assume un valore particolarmente importante in quei
pazienti con sospetta o nota ipertensione polmonare pre-capillare e spirometria anormale e/o un
sospetto di patologia respiratoria. In questi pazienti effettivamente il CPET può essere un elemento
utile nella diagnostica differenziale tra ipertensione arteriosa polmonare e ipertensione polmonare
secondaria a patologia respiratoria. In altre parole, nel contesto dell’inquadramento diagnostico
dell’ipertensione polmonare, un paziente con spirometria anormale che presenti una erosione
della riserva respiratoria, specie se associata a desaturazione da sforzo, ha un’alta probabilità di
avere una ipertensione polmonare secondaria a malattia respiratoria.
Figura 5. Riserva respiratoria e probabilità di limitazione respiratoria all’esercizio.
VE=ventilazione minuto (al picco dell’esercizio); VO2=consumo di ossigeno; VVM=ventilazione
massima volontaria.
Laddove non coesista una patologia respiratoria il valore della riserva respiratoria perde
relativamente di valore.
O meglio, il suo valore è più ridimensionato. Un paziente con ipertensione polmonare secondaria a
patologia del cuore sinistro (specie qualora presenti una ridotta frazione di eiezione ventricolare
sinistra) presenta normalmente una limitazione di gittata cardiaca. La sua riserva respiratoria è
quindi normalmente molto ampia.
Viceversa, un soggetto sano può non presentare alcuna limitazione all’esercizio, avere un VO2 di
picco “super-normale” ma per raggiungerlo può arrivare ad erodere la sua riserva respiratoria. In
questo caso la riserva respiratoria non presenta alcun valore clinico, non presentando il soggetto in
questione alcun tipo di limitazione.
Infine, un paziente con ipertensione arteriosa polmonare può presentare una significativa
limitazione della sua capacità funzionale (testimoniata da un VO2 di picco ridotto), e può,
occasionalmente, presentare una erosione della riserva respiratoria pur in presenza di una
spirometria normale. Il perché di questa “anomalia” è spiegato nella sezione seguente, che analizza
più in dettaglio la risposta ventilatoria allo sforzo (il controllo della risposta ventilatoria durante
esercizio).
Sono riportati in tabella 3 alcuni casi esemplificativi di riserva respiratoria “erosa”.
Caso n 1 Caso n 2 Caso n 3
Età 60 anni 40 anni 30 anni
Fumo 100 pacchi-anno Mai fumato Mai fumato
TC torace Enfisema severo Ndp Ndp
Spirometria
VEMS, L 0.9 3.2 3.2
VEMS/CVF < 0.7 > 0.7 > 0.7
VEMS, % del predetto 40 105 105
CPET
VO2 di picco,
mL/Kg/min 11 14 48
VO2 di picco, % pred. 42 40 120
VE massima, L 32 120 120
VE/VVM 90 94 94
VVM – VE, L 4 8 8
SpO2 basale, % 96 98 98
SpO2 picco, % 86 95 95
Conclusioni
Limitazione
all’esercizio di natura
respiratoria
Limitazione
all’esercizio di natura
non respiratoria
Assenza di limitazione
all’esercizio
(soggetto sano)
Tabella 3. Esempi di erosione della riserva respiratoria, accomunati da un VE/VVM > 0.80 e un
VMM-VE < 11 L. Nel caso n 1 (paziente fumatore con bronchite cronica enfisematosa severa) è
presente una significativa riduzione della capacità di esercizio (VO2 di picco < 50% del predetto)
attribuibile chiaramente a limitazione respiratoria. Nel caso n 2 (paziente non fumatore, senza
evidenza di malattia respiratoria), è presente una limitazione all’esercizio con erosione della riserva
respiratoria; quest’ultima però non è giustificata né sostenuta da una malattia respiratoria, ma
probabilmente da una aumentata risposta ventilatoria all’esercizio (cfr paragrafo sulla VE/VCO2
slope). Il caso n 3 (soggetto sano, asintomatico) è caratterizzato da una ottima capacità di esercizio
(> 100% del predetto); per raggiungerla questo soggetto arriva ad erodere la sua riserva
respiratoria. In questo caso, logicamente, l’erosione della riserva respiratoria non ha alcuna
implicazione clinica.
4) La VE/VCO2 slope: quanto il mio paziente “è costretto” a iperventilare durante esercizio, spia
di impegno vascolare polmonare
Per affrontare il significato della VE/VCO2 slope, è quasi obbligatorio fare un passo indietro sulla
fisiologia. Chi volesse evitare questo ripasso, può saltare direttamente al paragrafo successivo…
VE/VCO2 slope - fisiopatologia
I capisaldi da tenere in considerazione sono i seguenti:
1) durante esercizio, la VE è strettamente legata alla VCO2 (ventiliamo “principalmente” per
eliminare CO2). La relazione tra queste le due variabili è lineare per la maggior parte
dell’esercizio, come rappresentato nella Figura 6. Tuttavia la pendenza di tale relazione è
estremamente variabile da soggetto a soggetto e rappresenta un indice di controllo
ventilatorio durante esercizio.
Figura 6. Relazione tra ventilazione minuto e produzione di anidride carbonica. Fino alla soglia
anaerobica, ventilazione minuto, consumo di ossigeno e produzione di anidride carbonica
procedono parallelamente (figura a sinistra). Al di sopra della soglia anaerobica la produzione di
anidride carbonica aumenta proporzionalmente più del consumo di ossigeno. La ventilazione
“segue” l’incremento relativo della produzione di anidride carbonica, così che la relazione tra
ventilazione minuto e produzione di anidride carbonica è lineare (figura a destra) per la maggior
parte dell’esercizio (fino al punto di compenso respiratorio, non sempre raggiunto e non
rappresentato in figura). Tuttavia, come suggerito dalla figura a destra, la pendenza della relazione
tra ventilazione minuto e produzione di anidride carbonica può essere estremamente variabile (più
o meno elevata) in funzione di una molteplicità di fattori indicati più oltre.
2) Numerosi fattori regolano la relazione tra VE e VCO2, come illustrato nella Figura 7.
Figura 7. Meccanismi di regolazione della ventilazione durante esercizio. Nel riquadro centrale è
mostrata l’equazione che mette in relazione la ventilazione minuto, la produzione di anidride
carbonica e la pressione parziale arteriosa dell’anidride carbonica. Nei riquadri periferici sono
riportati alcuni dei principali meccanismi che possono intervenire sul controllo ventilatorio agendo,
più o meno direttamente, su una o più delle variabili riportate nell’equazione. PaCO2=pressione
arteriosa di anidride carbonica; VCO2=produzione di anidride carbonica; VD=spazio morto;
VE=ventilazione minuto; VT=volume corrente.
Parafrasando la Figura 7, la VE è relata in maniera diretta alla VCO2 e allo spazio morto, e in
maniera indiretta alla tensione arteriosa di diossido di carbonio. Ciò che poi in effetti regola però
queste singole variabili sono meccanismi dipendenti da:
a. la meccanica respiratoria,
b. la funzione muscolare,
c. il matching tra ventilazione e perfusione e
d. il set-point della CO2. Quest’ultimo rappresenta il valore di CO2 che l’organismo
“desidera” o “ritiene di” o “accetta di” mantenere costante, a riposo e soprattutto
sotto sforzo, laddove la domanda metabolica aumenta e con essa la produzione di
CO2. Il set-point della CO2 è regolato attraverso numerosi meccanismi riflessi
complessi, che coinvolgono principalmente:
d.i. i chemocettori dei glomi carotidei ed a livello del sistema nervoso centrale (a
loro volta influenzati dal tono nervoso simpatico),
d.ii. i recettori da stiramento a livello muscolare,
d.iii. il riflesso di Bainbridge a partenza dai meccanocettori (da stiramento) a
livello delle camere cardiache.
Pertanto, la VE/VCO2 slope è una variabile piuttosto complessa.
Più il set-point della CO2 è basso, maggiore sarà la VE/VCO2 slope. Quindi, in altre parole, ad una
maggiore attivazione simpatica e disregolazione autonomica, o a una maggiore pressione
intracardiaca, potrà corrispondere una maggiore VE/VCO2 slope attraverso meccanismi riflessi.
Ad un maggiore mismatch ventilazione-perfusione corrisponderà una maggiore VE/VCO2 slope.
Ad un aumento dello spazio morto corrisponderà una maggiore VE/VCO2 slope.
Da tutto ciò si può intuire per quale motivo, alla VE/VCO2 slope, sia stato attribuito il nome di
“(in)efficienza ventilatoria”, “iperpnea all’esercizio”, “iperventilazione da sforzo”.
Analogo significato della VE/VCO2 slope hanno il rapporto VE/VCO2 alla soglia anaerobica e la
PetCO2 alla soglia anaerobica. Tuttavia, per ragioni di brevità e di semplicità, non ci si dilungherà su
tali variabili.
VE/VCO2 slope - implicazioni cliniche nell’ipertensione polmonare
Al di là della fisiopatologia, ciò che può avere implicazioni cliniche è la dimostrata correlazione tra
emodinamica polmonare e VE/VCO2 slope. Più l’emodinamica polmonare è compromessa (in
termini di resistenza vascolare polmonare, gradienti vascolari polmonari), maggiore sarà la
VE/VCO2 slope.
Questo concetto è esemplificato in Figura 8 e in Figura 9.
Figura 8. Relazione esemplificativa tra ventilazione minuto e produzione di anidride carbonica
nell’ipertensione polmonare. Rispetto al soggetto normale, il paziente con malattia del cuore
sinistro (left heart disease o “LHD”) può presentare un relativo incremento della pendenza della
relazione, generalmente più marcato qualora la malattia del cuore sinistro sia complicata da
ipertensione polmonare post-capillare, e ancora più marcato qualora alla componente post-
capillare dell’ipertensione polmonare sia sovrapposta una componente pre-capillare. Pazienti con
malattia vascolare polmonare conclamata, quale l’ipertensione arteriosa polmonare, presentano
generalmente pendenze della relazione VE/VCO2 ancor più aumentate. CpcPH=ipertensione
polmonare combinata post- e pre-capillare; IpcPH=ipertensione polmonare isolata post-capillare;
LHD=malattia del cuore sinistro; PAH=ipertensione arteriosa polmonare; VCO2=produzione di
anidride carbonica; VE=ventilazione minuto.
Figura 9. Relazione tra ventilazione minuto e produzione di anidride carbonica, e probabilità di
ipertensione polmonare. DPG=gradiente diastolico polmonare; PVR=resistenza vascolare
polmonare; VCO2=produzione di anidride carbonica; VE=ventilazione minuto.
La correlazione tra la VE/VCO2 slope e il livello di impegno vascolare polmonare, nonché con il
grado di compromissione di meccanismi riflessi che caratterizzano la fisiopatologia della condizione
clinica sottostante rende ragione del suo valore prognostico, tanto nell’insufficienza cardiaca
quanto nell’ipertensione arteriosa polmonare (Figura 9).
VE/VCO2 slope - possibili pitfalls
È comunque importante stressare che se ad una alta VE/VCO2 slope può corrispondere un rischio
aumentato di presentare una ipertensione polmonare o una vera e propria malattia vascolare
polmonare, ciò non è sicuramente detto (e deve essere verificato tramite l’algoritmo diagnostico
proposto dalle linee guida), così come un paziente con ipertensione polmonare pre-capillare può
presentare una VE/VCO2 slope non drammaticamente aumentata. Questo proprio in relazione ai
multipli fattori sopra riportati che regolano la VE/VCO2 slope, e che possono concorrere a ridurre
la pendenza della relazione (specialmente fattori relati alla meccanica respiratoria) e non solo ad
aumentarla.
A titolo esemplificativo, è riportato esemplificativamente in Figura 10 ciò che si ritiene accada nella
malattia respiratoria ostruttiva, indipendentemente dalla presenza di ipertensione polmonare.
Figura 10. Relazione esemplificativa tra ventilazione minuto e produzione di anidride carbonica
nella broncopneumopatia cronica ostruttiva. Rispetto al soggetto normale, il paziente con BPCO
nei primi stadi presenta normalmente un aumento della pendenza della relazione tra ventilazione
minuto e produzione di anidride carbonica. La pendenza di tale relazione tende tuttavia a
diminuire negli stadi più avanzati della malattia a causa della cosiddetta “ipercapnia permissiva”.
BPCO=broncopneumopatia cronica ostruttiva; GOLD=Global Initiative for Obstructive Lung Disease;
VCO2=produzione di anidride carbonica; VE=ventilazione minuto.
Come si evince dalla Figura 10, mentre nelle prime fasi della patologia la VE/VCO2 slope può
essere effettivamente aumentata (per aumento dello spazio morto e/o per concomitante
ipertensione polmonare). Tuttavia, nelle fasi più avanzate della patologia respiratoria, proprio a
causa di una meccanica respiratoria sempre più deficitaria, è comune una desensibilizzazione dei
chemocettori, che conduce ad una ipercapnia permissiva non solo a riposo ma anche durante
sforzo. In altre parole, il centro di controllo del respiro di un paziente con patologia respiratoria
severa si trova a scegliere tra aumentare la ventilazione per eliminare CO2 a fronte però di un
sistema di scambio altamente deficitario o tollerare una ritenzione di CO2 per evitare di
“scontrarsi” con i limiti del suo sistema respiratorio deficitario. Ciò fa sì che nelle fasi più avanzate
della patologia respiratoria, il valore della VE/VCO2 slope possa risultare normale o addirittura
ridotto. Ciò che comunque è importante notare, è che la fisiopatologia dell’esercizio di due
condizioni cliniche differenti (ad esempio insufficienza cardiaca e broncopneumopatia cronica
ostruttiva) potrebbe in qualche modo interagire creando dei quadri “intermedi”.
5) Le oscillazioni ventilatorie durante esercizio: spia di aumento della pressione di riempimento
nelle camere di sinistra del cuore
Abbiamo descritto in precedenza l’incremento di ventilazione che avviene normalmente durante
un esercizio progressivamente incrementale. Pazienti con insufficienza cardiaca possono
presentare un quadro “estremo” di derangement ventilatorio, caratterizzato da un oscillazioni
respiratorie, cioè un alternarsi ciclico di fasi di ipopnea ed iperpnea, tanto a riposo e durante
esercizio (Figura 11). Questa forma estrema di respiro di Cheyne-Stokes è generalmente descritta
da un pattern oscillatorio presente a riposo e che persiste per almeno il 60% dell’esercizio, con
oscillazioni di ampiezza superiore al 15% rispetto alle oscillazioni presenti a riposo.
Figura 11. Ventilazione durante esercizio in un soggetto normale ed in un paziente con
insufficienza cardiaca ed oscillazioni ventilatorie. Rispetto al normale incremento della
ventilazione durante esercizio (pannello A, a sinistra: soggetto normale), nel pannello B (a destra:
paziente con insufficienza cardiaca) sono chiaramente visibili oscillazioni cicliche della ventilazione
sia a riposo sia durante esercizio.
Ciò che è estremamente interessante di questa alterazione, è che essa risulta discretamente
prevalente in pazienti con malattie del cuore sinistro, essendo stata messa in relazione all’edema
polmonare interstiziale (con stimolazione dei recettori J a livello dell’interstizio polmonare) e
quindi ad aumentate pressioni di riempimento nelle camere di sinistra del cuore, ad alterazioni del
controllo chemoriflesso con instabilità dello stesso, favorite sia dagli impulsi ciclici provenienti dai
recettori J sia da un aumentato tempo di circolo.
È interessante notare che la prevalenza di oscillazioni respiratorie durante esercizio risulta
ulteriormente aumentata in pazienti con malattia del cuore sinistro complicata da ipertensione
polmonare (fino anche al 40% dei casi), mentre non è mai stata descritta in pazienti con
ipertensione arteriosa polmonare.
Ciò suggerisce che la presenza di oscillazioni respiratorie, quando presenti, possa essere un
ulteriore elemento utile nella diagnostica differenziale, pre-cateterismo cardiaco destro, tra
malattia del cuore sinistro e ipertensione arteriosa polmonare.
È importante infine ricordare come la presenza di oscillazioni respiratorie nel contesto di una
insufficienza cardiaca abbia un comprovato valore prognostico negativo.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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