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QUADRIMESTRALE DI CULTURA IN VALDINIEVOLE n. 49 / Gennaio 2012
NebulæQuadrimestrale di cultura valdinievolina
Organo dell’Associazione“Amici di Pescia”
Direttore editoriale, Gigi SalvagniniResponsabile, Riccardo Ercolini
anno XVI, n° 49gennaio 2012
Iscrizione all’Associazione per la sola rivista “Nebulæ” € 8
versam. sul c.c.p. n°11155512intestato all’Assoc. “Amici di Pescia”
Amministrazionevia Santa Maria, 1 - 51017 Pescia
Casella postale n° 75
Direzione, redazione, c/o SalvagniniLungarno C. Colombo, 30
50136 Firenzee-mail: [email protected]. 055.672260 o 377.2787755
Autorizzazione del Tribunale di Pistoia n° 472/1995
Stampa “Tipografia Il Bandino”Bagno a Ripoli
Sommario
2 – Il Parlamento a Montecatini (GigiSalvagnini)
3 – L. Puccinelli Sannini, La lambret-ta è nata a Pescia.
5 – G. Salvagnini, Alberto Parducci via-reggino d’Altopascio.
8 – Un tuffo nel passato. (G. S. e A.Gambarini-Anzilotti)
9-16 – P. Mochi, “Casa nostra” (inser-to staccabile)
17 – G. Nocentini, Umberto Incerpidetto Beusi.
19 – Segnalazioni & recensioni.22 – G. S., Giorgio Palamidessi.
In Copertina: Montecatini, il pinnacolodella fontana si misura col retrostantecampanile.
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E veniamo alla parte che, come valdinievolini,più ci riguarda: “Avendo considerato il problema poli-tico italiano, e la psicologia di senatori e deputati, saràutile trasportare la sede da Montecitorio a Montecatini,che non ha mai avuto contese, non ha aspirato ad alcuna
preminenza, se non per leproprie acque purgative.Faccendieri, roditori deldenaro pubblico, avventu-rieri della politica chehanno bisogno di scandaliper vivere in lusso e conpoca fatica, po trebberotrasferirsi in Montecatini,nel grande Tempio Ster co -rario che, evocato dalleacque purificatrici, garan-tirebbe che tutti sonouguali…”Bevilacqua chiude lasegnalazione senzacom menti. Non cen’era bi sogno. Co -mun que il sottotitolodell’elzeviro recita:“Prez zolini, l’attualitàdi una proposta”...
G. S.
Montecatini: la rigogliosa vege-tazione del Kursal.
Alberto Bevilacqua, bibliofilo accanito, ha scova-to, chissà come e perché, un vecchio librettostampato da Sellerio negli anni Settanta del seco-lo scorso. Opera di quel saggio pessimista che fuGiuseppe Prezzolini: un giornalista che sapevascrivere sarcastichefrasi, inzuppando lapenna in un calamaiodi lacrime amare.Quando scrisse quellibretto, Prezzoliniera già vecchio, scon-solato, convinto chel’I ta lia non si sarebbepiù rialzata. Si intito-lava: “Modeste propostescritte per svago di mente,sfogo di sentimenti e ten-tativo di istruzione pub-blica degli italiani”.Disegnava lo smem-bramento delle regio-ni, tutte più o menoassegnate a na zio na -lità più mature e affi-dabili della no stra.Ma a tutti i cittadiniita liani sarebbe sta taassegnata una pensio-ne “affinché, senza occu-parsi di lavoro, conser-vassero la loro gaiezza”.
IL PARLAMENTO A MONTECATINI
NOTA: Questo fascicolo speciale a24 pagine, dedica quelle centrali (dapag. 9 a pag. 16) ad un fascicolo mo -no grafico da estrarre e piegare, peruna corretta lettura.
Referenze fotografiche
Archivio Nebulæ: pagg. 3-4.Archivio Salvagnini: pagg. 1; 2; 5; 22.Collezione Parducci: pagg. 6-7.Fototeca Pallini: pag. 17.
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La città di Pescia non è una grande città.Negli ultimi 150 anni, dai tempi dell’u-nità d’Italia, la popolazione del suocomune si è mantenuta più o meno sta-bile intorno ai ventimila abitanti. Tuttavia Pescia ha saputo esprimere untale numero di personalità insigni, unpo’ in tutti i rami dello scibile umano, dafar invidia a centri urbani di ben altredimensioni.Cito a braccio e ne dimentico tanti:nella musica Gialdino Gialdini, compo-sitore e direttore d’orchestra; nella scul-tura Libero Andreotti, la cui gipsotecaattrae al “Palagio” visitatori da tutto ilmondo; nella pittura Luigi Norfini cheha immortalato nei suoi dipinti le fasicruciali del nostro Risorgimento; comestorico non posso non ricordare un mioantenato, quel Placido Puccinelli che,fra l’altro, fu il primo a scrivere dellanostra città nelle sue “Memorie diPescia” e come scienziato un altro mioavo, Francesco Puccinelli, matematico,astronomo, ingegnere, idrologo di cuiho ampiamente parlato in “Nebulae”del maggio 2011. Ma Pescia ha prodot-to anche illustri politici come LuigiMochi che fu sindaco alla fine dell’800 erealizzò il progetto della tranviaMonsum mano – Lucca, fondamentalemezzo di trasporto pubblico che rimasein attività per mezzo secolo e illuminatigiuristi quali Francesco Forti, apparte-nente a una delle più antiche e nobilifamiglie pesciatine.
Ma nel settore industriale, fatta eccezio-ne per l’attività cartaria della famigliaMa gnani nota fin dall’inizio del XVsecolo e per la fabbrica di fertilizzantifondata nel 1873 da Ferruccio Marchi,esiste un figlio di Pescia che valga lapena ricordare?Chissà, forse non tutti i pesciatini nesono consapevoli, ma la Lambretta, ilfamoso motor scooter che, soprattuttonegli anni ’50 e ’60 quando ancora leauto erano poche, ha conteso in Italia enel mondo e spesso con successo il pri-mato delle due ruote alla sorella Vespadella vicina Pontedera, è nata a Pescia, omeglio, la nostra città ha dato i natali alsuo geniale creatore: Ferdinando In -nocenti.Il 16 luglio 2011 si è tenuta al Palazzodel Podestà l’inaugurazione della mo -stra dedicata alla Lambretta ed al suoinventore nel 120° anniversario dellasua nascita ed io sono stato incaricato ditracciare un profilo biografico delnostro illustre concittadino. Ecco diseguito, a vantaggio di coloro che nonerano presenti, l’approssimativo conte-nuto della mia relazione.Ferdinando Innocenti nacque a Pescia il1° settembre 1891 da Dante Innocentidi professione fabbro in una abitazioneprossima alla Porta Fiorentina.Ai primi del ‘900 però tutta la famigliacomposta anche dalla madre di Fer -dinando, Zelinda Chiti e dal suo fratella-stro Rosolino (figlio di prime nozze delpadre) si trasferì a Grosseto dove Dante,pur proseguendo la sua attività di fab-bro, aprì una rivendita di ferramenta.Ferdinando, dopo aver terminato la “3°classe tecnica” partecipò con suo padree Rosolino alla conduzione della “Fer -ra menta Innocenti”.Fin da giovane egli manifestò un gran-de interesse per la meccanica ed appro-fondì l’uso dei tubi in ferro e le loroapplicazioni industriali. Nel ‘22 si trasfe-rì a Roma dando vita ad una fabbrica ditubi in acciaio e di manufatti per l’edili-zia, approfittando del fatto che nelperiodo compreso tra il 1922 ed il 1931il regime fascista aveva intrapreso ungrande piano di ammodernamentodella capitale.
Il 1931 fu un anno importante per lagiovane azienda “Fratelli Innocenti” inquanto, grazie all’amicizia contratta daFerdinando con l’ingegnere FrancoRatti, nipote di Pio XI, alla medesima fuaffidata la realizzazione di un comples-so di irrigazione a pioggia nei giardini diCastelgandolfo, poi in quelli Vaticani edinfine il brevetto dei “ponteggi In no -centi” venne utilizzato per dei lavorinella Cappella Sistina dove il sistema dimontaggio e smontaggio rapido protes-se l’integrità degli affreschi. Questeopere di sicuro prestigio trasformaronol’azienda artigianale in una vera e pro-pria impresa industriale.Nei primi anni trenta il polo industrialeitaliano si sposta a Milano e Ferdinandonon si lascia sfuggire l’occasione, apren-do nel quartiere di Lambrate una secon-da sede della società ed un nuovo stabi-limento di produzione degli ormaifamosi tubi di acciaio “Innocenti”caratterizzati dall’innovativo sistema delgiunto a snodo. Siamo ormai prossimi agli anni di guer-ra: nel ‘35 l’impresa di Etiopia, dal ‘36 al‘39 la guerra civile spagnola, seguita benpresto dal secondo conflitto mondiale.L’industria civile viene convertita d’im-perio in industria bellica. La “FratelliInnocenti” che da sempre fabbrica tubi,non ha problemi: si dedica alla costru-zione di capannoni per l’aeronautica e
LA LAMBRETTA è NATA A PESCIAdi Lorenzo Puccinelli Sannini
Ferdinando Innocenti
Snodo dei tubi Innocenti
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soprattutto di corpi per bombe d’aereo,utilizzando spezzoni di tubo. L’Aziendanei primi 4 anni di belligeranza triplicagli impianti e decuplica la produzionearrivando nel ‘43 a sfornare 36.000proiet tili al giorno e a dar lavoro ad ol tre7.000 operai di cui il 50% sono donne. Come Dio volle anche la guerra ebbefine, non prima però di far nascere nellamente vulcanica di Ferdinando l’ideavin cente della sua intera esistenza.Prendendo ispirazione dai motor scoo-ters militari paracadutati dagli alleatidurante il conflitto e prevedendo conlungimiranza le nuove necessità di moto-rizzazione che avrebbe avuto la popola-zione italiana nell’immediato dopoguer-ra, egli ideò la produzione di un veicoloda trasporto di grande diffusione popo-lare a costi bassi: questo veicolo fu la“Lam bretta”, la figlia del Lam bro di cuiFerdinando durante la guerra, perampliare i suoi impianti, aveva deviato ilcorso. L’Innocenti affidò la realizzazione delrivoluzionario scooter a due ingegneridi prim’ordine: Pier Luigi Torre che sioccupò della meccanica e Cesare Pal -lavicino che pensò al telaio e al design.Alla fine del 1947 il primo lotto di 25Lambrette era in fase di completamen-to, altre due partivano splendenti per ilSalone di Pa rigi.Fu così che per quasi 25 anni questostraordinario veicolo, attraverso i suoivari modelli iniziando da quello M (o A)125 di 1° tipo, ingaggiò una entusia-smante ga ra di vendite con l’altro motorscooter italiano, la Vespa della Piaggio,
sulle strade nazionali e internazionali,perché esso venne costruito su licenzain vari paesi europei quali la Germania,la Francia e la Spagna ma anche extra-europei come il Brasile, l’Argentina, ilCile e molti altri.Nel 1955 poi, Ferdinando Innocentirealizzò una delle più grandi impresedel lavoro italiano all’estero: la costru-zione di uno stabilimento siderurgico inVe ne zuela, una commessa colossale dioltre 350 milioni di $.Come si può quindi notare, accanto allaproduzione dello scooter, continuavaquel la estremamente redditizia dellameccanica pesante. Ma ormai i tempi stavano cambiando egran parte degli utilizzatori della Lam -bret ta iniziavano ad orientarsi verso le 4ruote. Il figlio di Fer di nando, Luigi,vicepresidente della So cietà fin dal 1958e che subentrerà come presidente alpadre scomparso a Milano nel 1966,resosi conto della situazione, cominciò apensare alla possibile costruzione diautomobili e nel 1959/60 prese contattocon la BMC di Birmingham per la realiz-zazione in Italia della A40. Iniziò così laproduzione delle varie automobiliInnocenti, ma... questa è un’altra storia.
La biografia di un personaggio nonsarebbe completa se unitamente aquanto da lui realizzato non venisseroricordati anche i suoi comportamenti, ilsuo carattere, i suoi sentimenti, le sueinclinazioni e di conseguenza i rapportiche lo legarono ai suoi frequentatori.Io non ho avuto la fortuna di conosce-
re Ferdinando Innocenti, ma questoprivilegio è toccato ad un grande gior-nalista, Alfredo Pigna, che come croni-sta del “Corriere della Sera” lo ha potu-to intervistare. “Uomo schivo – scrivePigna – che non voleva assolutamente appari-re, prototipo del self-made man”. “Innocenti –prosegue Alfredo Pigna – aveva grandidoti umane ma che mimetizzava al punto dapassare per un personaggio freddo, enigmatico,perfino scontroso”. Sempre Pigna nel suo libro Miliardari inborghese ricorda queste considerazioni diFerdinando Innocenti: “Io sono convintoche il titolare di un’ industria, il «padrone» perusare un termine odioso è un padre, deve esse-re un padre per tutti i suoi dipendenti”“L’operaio deve considerare il «padrone» unpadre, e perciò deve avere stima e fiducia. Unpadre non licenzierebbe il proprio figlio perchéha sbagliato. Semmai lo rimprovera. Ma but-tarlo a mare non può” e ancora “Non amoi fallimenti. Di nessun genere. Licenziare undipendente significa che la Innocenti ha sba-gliato due volte: prima scegliendolo, poi nonsapendolo educare. Ritengo ciò inammissibile”Innocenti fu nominato Cavaliere delLavoro nel 1939. Nel 1953 divenneingegnere honoris causa.Con Delibera del Consiglio comunalen° 179, in data 26 dicembre 1953, gli fuconcessa la cittadinanza onoraria diPescia, sua città natale, per gli alti meri-ti acquisiti in campo industriale. La ceri-monia di conferimento fu tenuta pressoil Palazzo del Vicario l’8 settembre 1954alla presenza dello stesso Innocenti, delsindaco Rolando Anzilotti e del vesco-vo di Pescia Monsignore Dino LuigiRomoli.Si racconta che in questa occasione Fer -dinando si dicesse disposto a realizzareproprio a Pescia una seconda fabbricadella Lambretta ma che i pesciatini de -clinarono la generosa offerta afferman-do che loro producevano fiori e nonmotocicli. La storia, è noto, si scrive coni fatti e non con i ma ed i se: tuttavia ilritenere che con quel rifiuto Pesciaabbia perso il treno potrebbe ancheessere lecito. Comunque sia, con la celebrazione del16 luglio scorso gli abitanti della cittàdel fiore hanno, se non altro, saputocogliere l’occasione per rendere dovero-so omaggio ad uno dei loro concittadi-ni più illustri che con le sue attività hatenuto alto in Italia e nel mondo ilnome della nostra città.
La Lambretta
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Talvolta credi di conoscere tutto etutti in Valdinievole; magari non pro-prio tutto, ma quasi. Poi t’imbatti inqualcuno che ti dice: “Conosci quelrudere?…”; oppure: “Sei stato inquella località?…” E ancora: “Co no -sci quel tale?…”No: non conosco, non ci sono maistato, non l’ho mai saputo. E ci restocon un palmo di naso.Poco tempo fa un amico fiorentinomi chiese: “Te che gironzoli per laValdinievole, conosci Parducci?”. No,non l’avevo mai incontrato. Perché i valdinievolini son gente cu -riosa; campanilista allo stremo, chiu sain sé stessa, forse un po’ gelosa di chiemerge (anche appena un po’), speciese non è del suo comune. E son tanti,troppi (lo grido da decenni) i comunidi questa picccola, polemica, ringhio-sa, ma ammirabile landa che, per l’ap-punto, si chiama Valdinievole.Dei tanti amici che ho da queste parti,nessuno, in quarant’anni, mi avevaparlato di Frateschi, pur sapendo imiei interessi per la scultura; e Cor -rado Frateschi era appunto uno scul-tore, ed anche assai bravo. Così comenessuno, in quarant’anni mi ha parla-to di Parducci, pur conoscendo il miointeresse per l’arte in genere e per gliillustratori in particolare.è stato facile, per me, rimediare allalacuna e mettermi in contatto con Ar -mando Parducci, in quel di Altopascio(anche se per telefonargli ho dovutofare qualche ricerca, essendo il prefis-so del suo paese diverso da quello diPescia, in quanto i due paesi sonoscandalosamente divisi da un confine,oggi solo amministrativo, ma untempo addirittura politico, con tuttoquello che ciò comportava [perfinoguerre combattute vere e proprie]).L’incontro è stato cordiale e fruttuo-so, grazie alla gentile affabilità del miointerlocutore, al quale mi sono pre-sentato come giornalista di “Nebulæ”,perché non mi prendesse per uncurioso qualsiasi, in vena di far perdertempo alla gente che lavora.
Perché Parducci, pittore, incisore, illu-stratore, anche se un po’ in là con glianni, lavora ancora con la stessa fogadi quando ne aveva quaranta; cosìalmeno mi è parso di capire sentendola grande quantità di enti, editori,musei e collezionisti, che fanno a garaper assicurarsi sue opere.Come ogni artista che si rispetti, pra-tica tutti i generi: dal ritratto al pae-saggio, alla natura morta, con la sensi-bilità del figurativo, arricchita da quelpizzico di “espressionismo”, che dasempre considero il più importanteelemento che consente ai figuratividel nostro tempo la loro legittima pre-senza in un mondo che, strapazzatoda cento avanguardie, finisce talvoltaper cadere in un astrattismo di manie-
ra che non tutti sono in grado di gesti-re, producendo così opere al limitedella decenza e spesso, purtroppo, an -che oltre.Dunque il Nostro pratica tutti i gene-ri. Ma ve n’è uno, in particolare, nelquale ha raggiunto una competenzaed una fama internazionali, indiscus-se: il “Militarismo”.I miei lettori che hanno una infarina-tura di “Arte”, resteranno sorpresi: ilmilitarismo non compare fra i generiartistici. Ma come spiegare altrimenti,che questo pittore-illustratore ha mes -so a punto la propria esperienza inmateria, attraverso ricerche specifichedei corpi militari, delle armi, delleinsegne e perfino delle strategie dicom battimento, fino a rappresentare
ALBERTO PARDUCCI, VIAREGGINO DI ALTOPASCIO: UNA SCOPERTAdi Gigi Salvagnini
Alberto Parducci.
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tutto questo, con la dovuta correttez-za documentaria, nobilitata (ecco ilsoffio dell’Arte) dalle armonie dellecom posizioni e dei colori e delle di -na miche quando il tema lo richiede.Non a caso, Parducci, ricordava uncerto col. Gasparinetti, illustre unifor-mologo, grazie al quale avrebbe acquisi-to la sua perfetta conoscenza degliindumenti militari.
Gli chiedo come gli sia nata questapassione. E lui (premettendo che nonha frequentato scuole d’arte e nem-meno – addirittura! – compiuto il ser-vizio militare), ricorda lo stupore colquale, da ragazzo, seguiva le illustra-zioni e le foto degli eventi bellici nelcorno d’Africa. I primi maestri cheguardò con ammirazione, furonoBeltrame e Molino. Ma soprattutto lo
affascinò Kurt Caesar (Montigny,1908), che nel ’38, per “L’Av ven tu ro -so”, creò il personaggio di Ro ma no illegionario, un fumetto ancora oggi sti-mato per la sua correttezza documen-taria e la felicità del disegno. Parduccisegnala questi colleghi con profondasimpatia e rispetto; ricordando ancheVittorio Pisani (geniale illustratorepro pagandista, attivo anche nel ’44durante la Repubblica Sociale), arri-vando a definirlo “il più bravo di tutti,coi suoi efficaci manifesti, anche trop-po espressionisti”.La fama di Parducci ha valicato i con-fini nazionali, dicevo. Soprattutto hamietuto successi nella Russia post-co -munista, dove l’interesse per la “mili-taristica” è ancora assai vivo. QuelMinistero della cultura considera ilpittore di Altopascio un vero maestroin materia. Un professore del l’Ac -cademia di San Pietroburgo è in stret-to contatto con lui, anche per chie-dergli pareri su progetti formulati inproposito nell’ex Unione Sovietica.Sta di fatto che il nostro viareggino diAltopascio, in riconoscimento deisuoi meriti, è stato insignito di unamedaglia d’oro – che si conia inRussia – dedicata alla “Battaglia dellaCernaia”.
Attestato della Me -da glia d’Oro intito-lata alla “Battagliadella Cernaia”, attri-buita al Parducci dalgoverno russo, per isuoi meriti illustrativie documentari.
1983: Alberto Parducci (il secondo da sinistra) ospite del Circolo Ufficiali e Sottufficiali del Reg -gimento “Cavalleggeri di Lodi”.
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Che altro dire di Parducci? Comedocumentare più efficacemente la suaversatilità? Ha disegnato tutte lecopertine della “Rivista dei Ber sa -glieri” e di altre pubblicazioni d’Ar mae d’armi, come “Rivista Militare”,“Storia Verità”, “Rivista di Caval le -ria”, “La Tribuna del collezionista”, “IBer saglieri”, “Diana Armi”, “Storia &Battaglie”, “Il Reduce d’Africa”…; haprodotto la bellezza di cinquecentocartoline illustrate e quaranta calenda-ri militari, elaborato copertine perdecine di libri. Sue opere sono espostein prestigiose quadrerie in quasi tutti imusei d’Arma d’Italia, come quelloNazionale del l’Arma di Cavalleria (Pi -nerolo), nel “Mu seo storico della ‘Fol -gore’” (Livorno), in quello storico delReggimento “Lanceri di Novara”,ecc., e anche in pinacoteche straniere.Ha perfino, in giovane età, tentato ilfumetto…Niente posso dire, anche perché pocodurante l’intervista ho potuto ammi-rare, circa le incisioni, che libere daqualsiasi riferimento concreto, posso-no librarsi in assoluta poesia. Lascio laparola a chi ha avuto l’opportunità divalutarle meglio, con la preparazione ela sensibilità di critico eccellente: Toe -sca. “… Dalle masse elastiche eppur vi -bran ti, ferme come al vertice della tensioneche si propaga nello spazio, emana un signi-ficato di religiosità corale. È come se intornoa quei nuclei di preghiera gravitasse tutto ilcielo – oltre l’orizzonte abbassato – e lievi-tassero la terra, la materia e lo spazio indimensioni di infinito…”Ci siamo lasciati concordi nell’affer-mare che alla nostra età (siamo pres-soché coetanei) lavorare assecondan-do i nostri umori, e lavorare sodo, è ilmiglior modo per andare avanti il piùpossibile, e serenamente…
Tre (delle 500) cartoline disegnate da AlbertoParducci, dedicate a tre eroi delle campagned’Africa (Gen. Orlando Lorenzini, Amm. Sal -vatore Scrofani, Gen. Nicolangelo Car nimeo.
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Nella recente mostra sugli scrittoripesciatini, organizzata dal “Comitatodel le signore” degli “Amici di Pe -scia”, era esposta anche una letteraautografa inviata il 28 dicembre1868, dall’ex generale delle truppe
Come ogni vecchio brontolone, rim-piange le glorie passate, rammarican-dosi dei politici del tempo e del pres-sappochismo dei giornalisti. Macredo non avesse tutti i torti, come ilnostro amico lettore Alessandro
UN TUFFO NEL PASSATO
De Laugier, conte di Bellecour(Porto ferraio, 1789-Fiesole, 1871)quando scrive questa lettera è unvecchio nostalgico combattente,qua si ottantenne, già comandante deitoscani a Curtatone e Montanara.
to scane, Cesare De Lauger, a Raf -faello Gambarini, in Pescia, ufficialed’ordinanza del Duca Carlo Lo do vi -co di Borbone, trisavolo del concitta-dino Alessandro Anzilotti Gam ba -rini. Il quale, sull’argomento, ci ha
“Cariss.mo Amico, 28 Xbre 68.M’affretto rispondere alla graditissima vostra. Vi ringra-zio, e di cuore, vi centuplico gli augurj, che vi compiacesteinviarmi. Purtroppo è vero che gli attuali nostri padroni, népunto né poco stimano i nostri uffiziali toscani. E prova,oltre molte più, il non aver notato sui giornali il bravodefunto generale Iriel!!… Eppure 4682 toscani tenneroforte 7 ore a 35mila nemici il 29 maggio 48 e i 20mila deiloro allobrogi e comandanti nel 24 giugno 66… dica laStoria cosa facessero!!!…Mille saluti a Voi e alla famiglia anche a nome della miacugina Elisabetta. CredetemiVostro Aff.mo Amico Cesare.”
Gam barini ci conferma. D’altrondeogni giorno, ancora oggi, siamocostretti a subire le disastrose velleitàdei “nostri” politici e giornalisti…
G. S.
Cara Redazione di NebulæCredo opportuno intervenire riguar-do all’articolo della prof. Lucia Pe -troc chi Corradini pubblicato sul nu -mero scorso della Rivista circa i fattidel 1848, e nel quale si citava la lette-ra che il Gen. Ce sare De Lauger Con -te di Betancour (comandante dei“toscani” nelle battaglie di Curtatone,Montanara e Le Grazie) scrisse al miotrisnonno Conte Cav. Maggiore Raf -faello Gambarini, ufficiale d’Or di nan -za del Duca Carlo Lo dovico di Lucca,Ducato che dall’ottobre 1847 fa cevaparte del Granducato di Toscana pervendita fattane a Leo pol do II.Col passare degli anni si creò una veraamicizia tra i due personaggi. Nellalettera citata si ricordano le battagliedel ’48 con i dati esatti delle forze incampo, che a suo tempo segnalai alla
tari co me quelli delle università tosca-ne e un gruppo di bersaglieri fiorenti-ni.In tutto circa 650 volontari.Se la matematica non è un’opinione,le truppe regolari erano abbondante-mente superiori a quelle volontarie.Approfitto dell’occasione per raccon-tare un curioso episodio. Quando lenostre truppe regolari giunsero a Mo -dena, in attesa di ordini, si accorseroche le loro divise (giacca bianca, pan-taloni azzurri, e copricapo nero) sem-bravano quelle degli austriaci; cosic-ché, per evitare che in battaglia venis-sero scambiati per nemici, dovetteroindossare un cappotto blu, come ipiemontesi,Grazie dell’ospitalità.
Alessandro Anzilotti-Gambarini
prof. Corradini. I toscani presenti condieci cannoni e un obice erano 4.682;tra essi anche volontari e napoletani.Tutti (troppi), anche la signora Cor -radini, segnalano sempre la presenzadi volontari, studenti, professori,luminari delle università, ecc. ecc.,dimenticando le truppe regolari to -scane e napoletane!… Il corpo di spe-dizione Toscano era composto dalla1ª e 2ª compagnia di Granatieri,l’Artiglieria con i pezzi già in dicati, il“treno” porta munizioni, am bulanzee sussistenza. Inoltre uno squadronedi cento uomini del Real Reg gimentoCac ciatori a cavallo. Ne faceva parteanche il 1° battaglione del 10° Reg gi -mento Fanteria di linea Borbonico,che non ubbidendo all’ordine di rien-trare a Napoli, si aggregò al contin-gente toscano; con loro alcuni volon-
inviato una e-mail, molto interessan-te, che volentieri pubblichiamo, fa -cendola precedere dalla trascrizionedel la lettera-documento al suo avoRaffaello, con l’originale.
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o 1842) ch
e visse lun
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iletta sua villa d
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itata po
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nonna.
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asciando
gli scherzi, d
irò ch
e la mia felice vita livo
rnese fu
sconvo
ltadall’im
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i mio
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ttobre 1906. Io
mi
trovavo
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licenza e la m
attina d
i quel gio
rni fatale, alle u
ndici
circa, salutato
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dio, an
dai a rived
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i mio
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ando a casa p
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e, se ebbe avversari, sep
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non aver m
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emici.
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e la tua n
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e merita il p
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e dolce rico
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adre am
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ebo-
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e intem
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amen
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nella carità n
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a più
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pere,
così ch
e tutte le fam
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amaram
ente la m
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c’è in m
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o tratto
da L
oro
e perch
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prezzin
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mi d
imostraro
no affetto
e molta stim
a, affidan
dom
i talvolta affari assai
importan
ti, con lo
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ddisfazio
ne.
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ella famiglia d
el march
ese dott. A
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ndi, gio
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o, ma allo
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iche m
olto
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io so
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om
a, durato
fino
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1900,quan
do, p
rom
osso
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giudiziario
in segu
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unale d
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n fu
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i giudice. M
a, desid
e-ro
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ell’aprile 1901 e p
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la signora T
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e fa ango
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bre 1904), eb
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erdere la carissim
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cendo
mi traslo
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e,da A
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o, Lucern
a, Zurigo, Sciaffu
sa, Bern
a, Losan
na
e Gin
evra nel 1901; a U
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e, Vien
na, B
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a nel 1902; a T
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za, Basilea, L
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o n
el 1903; a Marsiglia, B
arcellona, Sa-
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nel 1904. A
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el 1906). Ciò
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Umberto Incerpi, detto “Beusi”, eranato ad Uzzano, la cui numerosafamiglia scese presto a Pescia, in cercadi lavoro. Erano scalpellini che anda-vano a cavare le pietre da un costoneroccioso di Vellano: squadravano imacigni per sagomarli ai bei selciatistradali di Pescia. Questi operai, chericordavano i famosi “maestri coma-cini” dell’alto medioevo, eseguivanoun lavoro duro, specie quando acolpi di scalpello, ripassavano lepietre logore dei selciati cittadini,danneggiate dal transito dei bar-rocci e dalla pioggia. La vo ra vanoseduti per terra su una balla di jutae il capo protetto da un cappellodi fogli di giornale.Ma l’Umberto, che era il più gio-vane della famiglia Incerpi, avevaben altro che gli frullava per ilcapo. Egli viveva all’epoca in cui aGenova Filippo Tu rati con Ema -nuele Modigliani, Clau dio Trevese altre teste calde, con animoardente, fondavano il Partito So -cialista dei Lavoratori, attirandovi icaporioni del movimento Anar -chico internazionale, da MicheleBa kunin, a Pie tro Gori, a ErnicoMa latesta e com pagnia bella: eral’anno 1892, a Pe scia nasceva l’As -sociazione di Pub blica Assistenzache subito raccolse i giovani lavo-ratori, volontari per ogni evenien-za, aprendo la porta a una politicaproletaria delle classi lavoratricidimenticate, allora, da Dio e dairicchi proprietari d’industrie e diterre. Umberto che aveva nel san-gue la febbre socialista, decise dibuttarsi nella lotta politica cittadi-na, senza alcun timore, sorretto esospinto da una nuova “fede” chedoveva liberare i lavoratori, schia-vi di un potere politico intransi-gente e demogogico. Pe scia, all’i-nizio del secolo scorso affiancò i
lavoratori delle officine, delle fabbri-che, dell’agricoltura, che si difendeva-no uniti nelle leghe operaie e agricole.
Compiutasi la tragica avventura dellaprima guerra mondiale, stava pren-dendo campo il movimento naziona-lista fondato a Milano, nel ’19 daBenito Mussolini. Esso era costituitoda ex combattenti, giovani e arditi che
marciavano al grido “A chi l’Italia!” “Anoi!”, essi rispondevano; e percorre-vano strade e piazze di paesi e cittàper mettere ordine nell’apparato di -sor dinato dagli infiammati battibecchitra gli opposti partiti politici. Anche aPescia piombavano le squadre fasci-ste, specie da Firenze, perché qui idibattiti politici finivano a cazzotti.Un giorno capitò una di queste squa-
dre in camicia nera col fez (unberretto alla turca con una nappache ciondolava muovendo il ca -po); avevano manganelli e chi unmoschetto militare; s’accamparo-no in cima di piazza seduti perterra con le gambe incrociate ecantavano canzoni di guerra consgarbata arroganza. Alcuni citta-dini che passavano di li, tiravanodi lungo rasentando i muri dellecase, a passo rapido quasi in puntadi piedi, le mani in tasca, i gomitiritti, e alcuni con mezzo sigaro inbocca. Solo qualche donna capan-naiola aveva il coraggio di fermar-si a guardare quei forestieri; alcu-ne di esse abituate al berciare dallafinestra e nella strada della Ba -reglia, si fermavano sull’orlo delmarciapiede con le mani sui gras-si fianchi, per dire: “O ma chemodi so’ cotesti? Oh icchè sietevenuti a fa’, qui a Pescia’?”.“Siamo venuti a mettere ordine,che non vi va?’’. “Avete voglia disgolarvi! Oh che prepotenze so’coteste! Nun s’en’ mai viste divederne di nove! perché nunandate a piglialvelo in tasca daquarch’altra parte?!”. Alcuni diquei giovanotti si mettevano a ri -dere, poi ripigliavano le vecchiecanzoni di guerra e di lotta. Maerano quasi tutti giovani sui 18/20anni, dall’apparenza studenti, e sivedeva che erano figli della bor-ghesia.
UMBERTO INCERPI, DETTO BEUSI: SOCIALISTA IMPERTERRITO
(1897-1975)di Giovanni Nocentini
Umberto Incerpi, nelle sue funzioni di sindaco di Pescia(Anni Sessanta).
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Ma quando la lotta politica divennepiù aspra e pericolosa, UmbertoIncerpi, rifiutando ogni possibilecompromesso, si dette alla “macchia”,verso il Rio de’ Faicchi, scendendo aPescia rare volte per incontrare unasua sorella che viveva sola, all’ultimopiano, in una grande casa a mezzo dipiazza Vittorio Emanuele. Un giorno in seguito ad una spiata,alcuni fascisti pesciatini, s’appostaro-no ne’ pressi del cantino della Mi se -ricordia, e attesero. L’Incerpi avvertìche quel giorno qualcosa andava stor-to: uscendo di casa infilò lestamente ilcantino per fuggire di filato in viaForti inseguito da tre o quattro eroidel manganello; all’altezza delMunicipio svoltò improvvisamentetrovandosi in cima di piazza dovestava sostando, casualmente una vet-tura tranviaria in attesa dell’orario dipartenza. I due tranvieri quando vide-ro l’Incerpi infilarsi nella loro vetturacapirono l’antifona e senza aspettarel’orario di partenza, misero in moto lavettura, beffando gli inseguitori cherinunciarono all’impresa.Una seconda volta l’Incerpi fu inse-guito dietro San Francesco, ma inquel la fuga affannata inciampò ecadde: gli inseguitori gli furono ad -dosso; oltre alle manganellate, uno diessi sparò una rivoltellata, il cui proiet-tile rimbalzando su una pietra prese distriscio il capo dell’Incerpi ferendoloe lasciandolo lungo disteso nella pol-vere proprio davanti all’orto di Pitena,mentre quei giovani scalmanati fuggi-rono berciando e cantando una can-zonaccia squallida e insultante.Un giorno l’intrepido maestro CarloPancani decise di recarsi a Firenzenello studio legale dell’On. GustavoConsolo, con il compagno Incerpi;do vevano partecipare a un incontro“clandestino” di alcuni, sparuti socia-listi toscani. Scoperti dalla solita spia-ta, i fascisti – quelli, per intendersidella “Disperata” di Amerigo Dumini– s’appostarono nella strada in attesache quei “sovversivi” si facessero vivi.Essi, di fatto, sull’imbrunire, uscironoalla spicciolata da quella riunione clan-destina, disperdendosi nel via vai dellafolla. Umberto Incerpi, a quel tempo,
assai giovane, riuscì a sfuggire dallegrinfie degli scalmanati inseguitori;alcuni cittadini col cappello sulle ven-titré tirato sulla nuca, tentarono dimettersi in mezzo, mentre il fuggiascocol fiato oramai corto, s’infilò rapida-mente in una chiesa affannato e stra-volto; il sacerdote interruppe per unattimo la funzione religiosa che ripre-se immediatamente, avendo capitocosa stava succedendo a quel giova-notto mai visto e conosciuto, essendotempi che, per la propria idea politicamolti, specie a Firenze, si randellava-no di santa ragione; starsene alla fine-stra era davvero difficile. Sulla sera l’Incerpi, cautamente, rigidoe impettito s’avviò verso la stazioneferroviaria di Santa Maria Novella do -ve aveva l’appuntamento col Pan caniper tornarsene a casa. Ma del Pancaninemmeno l’ombra. Tuttavia, sotto lapensilina, il Beusi, si avvicinò a un pic-colo gruppo di viaggiatori che parlot-tavano dandosi da fare attorno a dellefontanelle. E proprio li, in mezzo aquei viaggiatori, c’era il Pan cani che loaiutavano a lavarsi il viso insanguinatodalla botte ricevute per via.
8 settembre 1944. La seconda guerramondiale era passata da Pescia comeun dannato vento nero; ma ormai ipesciatini ne erano fuori: cantavano,ballavano, erano allegri, si abbraccia-vano anche tra gente sconosciuta, siabbracciavano, e tutto ciò anche seerano sporchi, affamati, taluni vestitidi stracci: ma cosa importava dopo treanni di fame, di epidemie, di ferocibombardamenti, di micidiali rastrella-menti delle SS germaniche, accettan-do perfino di essere un popolo vinto,ed abbracciavano i vincitori; mentre leragazze, uscite dai loro covi, manda-vano baci a quei buoni soldati cheavevano attraversato l’Oceano Atlan -tico per venirle a liberare. Pareva che ipesciatini, e forse altri della Val di -nievole, quasi non volessero sentirsiun popolo vinto. Perciò continuavanoa cantare, a ballare con quei liberatoriattoniti e sorpresi.Intanto il CLN, di cui l’Incerpi ne eral’anima fervente, accettò che ilSindaco della città, lo designassero gli
Alleati vincitori. E fu Mario Giaccai ilprimo Sindaco della Liberazione cheperò si dimise quasi subito. Il CLNallora, designò Ferruccio Tongiorgi,mentre Umberto Incerpi assunse l’in-carico di Assessore ai Lavori pubblicie mise insieme i suoi concittadini, chearmati di pale e badili, ripulirono lestrade dalle macerie delle case che itedeschi fuggendo, avevano fatto sal-tare minandole, senza nemmenoavvertire alcuni vecchi inquilini chel’abitavano. E anche i tre pontianch’essi distrutti dovevano esserericostruiti a cominciare, secondo ilBeusi, dal ponte antico di Santa Mariache riuniva i quartieri storici delDuomo con la Bareglia.In seguito Umberto Incerpi, puravendo aderito alla scissione socialistadi Palazzo Barberini, del 1947, eral’uomo a cui molti cittadini si rivolge-vano. Fu sempre tra i pubblici ammi-nistratori pesciatini: alle elezioniamministrative del ’61 fu eletto Sin -daco della città e, di nuovo, a quelledel ’64; s’impegnò tra critiche aspre erisse malevoli che specie durante iconsigli comunali accendevano quelleriunioni, finchè nel Settembre del1965 fu sostituito da Nilo Silvestri.Chi fu insomma Umberto Incerpi?Fu un uomo che visse una vita assaidifficile, complessa, che soltanto perla sua incrollabile fede politica potésopportare. Durante gli anni giovanilifu ardente marxista, convinto e ap -pas sionato, tanto da firmare i suoi‘stel loncini’ politici sul “Il Ri sve glio”socialista con lo pseudonimo ‘il Bol -scevico’. Credette nel marxismo, nelsuo messaggio salvifico per la na scitadi una nuova società interamenteumana e unificata. In seguito cadderole sue illusioni, e con grande passionesi ribellò allo stalinismo che dominavala vita sovietica e quella dei paesi satel-liti. Questa presa di coscienza ideale locondusse a difendere con altrettantocoraggio le autentiche libertà civili epolitiche, rafforzando anzi, la sua fedenel socialismo democratico: “quell’i-dea – diceva – che vivrà finchè il solesplenderà sulle sciagure umane”.
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Claudia BECARELLI e Serana CAMBI, Le decorazioninell’atrio-scalone del palazzo comunale di Montecatini Terme.(“Il Tremisse Pistoiese”, luglio/agosto 2011 n°104/5,pp. 36-40).
Daniele BERNARDINI, Benvenuti a Montecatinigrad.Cartelli in cirillico per i russi. (“QN” 14 luglio 2011)
Francesca BIANCHI, La scoperta di incisioni rupestri prei-storiche in Valleriana. (“Rivista Ecologica del Qua ter -nario”, Università di Firenze, 2011)
Emanuele CARFORA, Giampiero GIAMPIERI, LuigiANGELI, Giuseppe Giusti, un poeta in cammino. (“Storialocale” 2011, n° 17, pp. 123-133)
Roberto CIPOLLINI, Pensieri da abitare, Firenze 2009.
Questo piccolo libro, che abbiamo segnalato nello scorso nume-ro di “Nebulæ”, opera di un architetto valdinievolino, è statopresentato in una libreria fiorentina lo scorso 26 luglio. Un libropiccolo, ma grande per l’insegnamento morale e civile che l’ac-compagna. E’ un testo di architettura, sull’architettura, per unaarchitettura onesta e consapevole. Una lezione per niente tecni-ca, bensì umanistica, proprio come l’essenza di questa disciplinaè, o dovrebbe, essere. Poco più di cinquanta paginette facili epiane, perché tutti possano comprenderne il messaggio, in quan-to tutti, anche se non progettisti o imprenditori, abbiamo a chefare con l’ambiente e il territorio; che spesso riusciamo a ferire eviolentare, magari inconsciamente; perché la forza che ci vienedalla moderna tecnologia e da una certa disponibilità di mezzifinanziari, anche se modesta, può renderci inconsapevoli dellanostra odierna, ingombrante presenza. Inoltre l’egoismo; “Si, èvero, esiste la civiltà, gli onesti comportamenti, il rispetto deidiritti altrui. E’ bene conformarci. Tuttavia se qualche eccezione,nel mio piccolo, mi permetterò di compiere, non potrà crearedanni letali alla collettività…”. E a pagina 24 l’Autore ammoni-sce: “L’uomo, oggi, è molto più pericoloso quando interpreta i propri biso-gni. Ha guadagnato in benessere, ma non in civiltà.”Il libro di Cipollini – vera e propria battaglia per una architetturaetica – ci insegna, tra l’altro, che i luoghi, le preesistenze, nonsono materia inespressiva: hanno una loro storia che non possia-mo stravolgere per soddisfare i nostri bisogni o i nostri istinti.Un piccolo libro, dicevo, che può provocare nel lettore qualchepiccolo esame di coscienza; non dico sensazioni di rimorso, pernon esagerare.
Gigi Salvagnini
Rossella CONTE, Pinocchio trionfa per il Carnevale. Colori eallegria ai mercati, nei parchi e nelle vie di Firenze – MaurizioSESSA, Un naso lungo 130 anni: buon compleanno Pinocchio –
Giovanni PALLLANTI, Pinocchio da via Taddea ha conqui-stato il mondo con la forza della fantasia. (“La Nazione”, cro-naca di Firenze, 6/5/2011; 5/7/2011; 10/7/2011)
Attenti pesciatini: la concorrenza avanza…
Chiara DINO, Il mondo è (un) piatto. (“Corriere della Sera”20 agosto, 2011)
Intervista a Igles Corelli, oste ferrarese, approdato – pare prov-visoriamente – a Pescia con otto esperti collaboratori, ad aprir-vi un mini ristorante dall’esotico nome Atman. Mi riservo di tor-nare sulla faccenda in altro momento, per un articolo che sto pre-parando dedicato alla storia della ristorazione valdinievolina. Quiaggiungo solo due parole sull’articolo della Dino, che occupaun’intera pagina del più illustre (dicesi) quotidiano italiano, cor-redato da cinque foto a colori. Il pretitolo e il sottotitolo recita-no: “Vita da chef. Igles Corelli, due stelle Michelin, ferrarese dinascita, adesso lavora a Pescia nel suo mini ristorante da ventot-to coperti – «Le mie ricette vivono di contaminazioni, ma l’in-grediente principe è italiano»”. Una delle cinque foto è il ritratto di Bill Clinton, suo cliente,come lo sono stati la regina di Svezia e Ranieri di Monaco.Chiestogli una ricetta, lo chef detta quella della “Lasagnetta croc-cante al ragù”, complicatissima operazione per la quale occorro-no quindici componenti (escluso acqua, olio e sale). Il suo piattopreferito è “l’anguilla dentro e fuori” condita con un paté di fega-to dell’animale e con le sue stesse lische disidradate e fritte.Buon appetito a chi vuol provare. Io no. G. S.
È nato il museo della civiltà contadina per ricordare il sindacoGiovanni Dei. (“La Nazione” 24 settembre 2011)
Breve trafiletto a firma m.m. per segnalare questa iniziativa realiz-zata a Bagnolo di Larciano. La moda di istituire raccolte del gene-re (impropriamente definite “Musei”) è largamente diffusa inToscana, che difficilmente può liberarsi del ricordo di un passa-to millenario, traumaticamente eliminato. Non so se e quantesono in Valdinievole le iniziative analoghe, che sono cul tu ral -mente degne della massima attenzione: ricordo quella dei Brac -cini presso l’agriturismo verso Aramo e quella di diversa ma ana-loga natura di Publio Biagini a Vellano. Ve ne sono altre?
Arianna FISCARO, Strage del Padule. Chiesti tre ergastoli perl’eccidio nazista (“La Nazione” cronaca di Mon te catini, 5maggio 2011) – Eccidio: “Giustizia dopo 67 anni” (Idem, 6maggio 2011) – “Solo sollievo velato da dolore per una giusti-zia che ha tardato” (Idem, 27/5/2011).
Postumi di una triste, discussa tragedia. Tre vecchi di 88, 91 e 94anni condannati all’ergastolo, che si profila, se sarà applicato, dibreve durata. Intanto il novantunenne è defunto di suo, rispetta-to e commemorato in patria. Alle numerose “parti civili” resta un“velato sollievo” ed un “risarcimento” di alcuni mi lioni di euroda spartire tra enti, associazioni, province, comuni e persone;
Segnalazioni & Recensioni
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risarcimento che non si sa chi e se accetterà di pagare. La moder-na Germania non ne vuol sapere. Dav vero un triste finale peruna tristissima, dolorosa storia.
Marcello FONTANA, Un’idea nata a cena, fra un bicchiere el’altro. (“La Nazione” 28 gennaio 2011)
Breve articolo – poco più di una scheda – col quale l’ex sindacodell’Abetone, rievoca la nascita, (nel 1981, intorno ad una tavolaapparecchiata, insieme a Giancarlo Giannini, Ugo Poli e SergioTaddei) della ormai celebre manifestazione sciistica “Pinocchiosugli sci”, che ogni Valdinievolino conosce, ma non tutti nesanno, o ne ricordano, la storia.
Italo MARIOTTI, Un possibile futuro per la Valdinievole. Lacittà dell’acqua e altro. (“Il Tremisse Pistoiese”, luglio/ago-sto 2011 n°104/5, pp. 55-58).
Ci fa senz’altro piacere apprendere che qualcuno condivide ilnostro trentennale auspicio di considerare questo territorio nonpiù una valle geografica ma una città-territorio; peraltro affasci-nante e ricca di una dozzina di centri storici e almeno due parchinaturali. Ma la soddisfazione si ferma qui. L’autore di questoarticolo immagina di costituire una “città allargata” (così la defi-nisce), unendo tre – soltanto tre – dei comuni che ne fanno parte. Questa prima fase, secondo l’Autore, incontrerebbe immediata-mente delle difficoltà, avendo ciascuno dei tre comuni prescelti,sebbene limitrofi, vissuto ciascuno per proprio conto secondo leproprie necessità, mezzi ed ambizioni più o meno legittime di chida decenni li governa. Si propone, allora, di rimediare alle “slab-brature” territoriali, con apportune “ricuciture” (sempre secon-do la terminologia dell’Autore). Però il proponente avrebbeaddirittura pronto in tasca l’asso vincente per ottenere lo scopo:creare un “parco giocoso”, dotato di una mega vasca con zam-pillone di 40/50 metri. La mega vasca (la definizione è mia,l’Autore la chiama “lago”), dovrebbe essere un bacino lungoalcune centinaia di metri, di forma orribilmente ellittica, ossiaquanto di peggio si potrebbe immaginare, dunque non un lago,che in natura (ma anche se artificiale) non si progetta a tavolinoma si disegna da sé, secondo le asperità circostanti. Perdoniamoal nostro Autore (architetto?) questo eccesso di “razionalismo”.La fissazione dell’acqua dev’essere un male contagioso, che giàFuksas, tempo fa, proponeva pozze e zampilli a Montecatini,magari in forme meno traumatiche…Curioso che un progetto di “ricucitura” di questo tormentato ter-ritorio non si renda conto che la Valdinievole possiede già, dasecoli, un’area umida, storicamente, scientificamente ed ambien-talmente importante. Ovvero, lo sa che esiste; ma preferisce ado-perarla come meta di una passeggiata per i turisti che accorre-ranno a iosa nella triplice città, dopo la realizzazione della mega-piscina) .Esce di tema, il Mariotti, quando ammette che gli ospiti, spe-cialmente i bambini, potrebbero godere di altre esperienze “cari-che di appeal”: come il regno animale dello zoo e il parco diPinocchio. Ma Collodi è fuori dal triangolo “Montecatini-Monsummano-Pieve a Nievole”, e lo zoo più prossimo (a menoche ne sia stato impiantato uno a mia insaputa) è a Pistoia: comepensava, il proponente, di coinvolgere questi due luoghi nel pro-getto, “ricucendo smagliature”?Forse sbaglio a non prender sul serio questo accurato ma utopi-
co studio: eppure non posso fare a meno di spalancare occhi eorecchi laddove si consiglia (oltre a rendere agevoli “con un forteinvestimento” le infrastrutture, la viabilità, la recettività) di cura-re – si osserva poco gentilmente nei confronti degli interessati –che riguardo all’ospitalità “massima cura devrebbe essere dedi-cata a riqualificare la professionalità degli addetti al settore”.Non una parola, invece, per riqualificare gli addetti di un altrosettore (che invece ne avrebbero bisogno): i chiamati a gestire iproblemi politico-amministrativi. E non alludo agli imponentiinvestimenti che la realizzazione richiederebbe e che lo stessoAutore riconosce trattarsi di un “immaginario desiderio rivolto alfuturo” (dunque un’utopia), ma della micragnosa mentalità deipolitici locali, che non mollano volentieri la poltroncina, possi-bile trampolino per poltrone più prestigiose, magari a Roma;anche se appare a chiunque che l’eccessivo frazionamento ammi-nistrativo del territorio valdinievolino, è la causa prioritaria ditutti i mali urbanistici che lo affliggono e che per porvi rimedionon basterebbe “ricucire le smagliature”. Colpevoli i politici, cer-tamente; ma anche lo sfrenato, inconcepibile spirito campanili-stico degli abitanti.Chiudo con l’ultima osservazione: nella Valdinievole geograficanon ci sino soltanto tre comuni, ma almeno una decina, tutti inte-ressati dalla medesima continuità abitativa; anche se qualcunotende – ingiustamente, a mio avviso – ad escluderne alcuni piùperiferici. In queste quattro dense pagine del “Tremisse”, nem-meno una volta si citano Buggiano, Pescia, Chiesima, Pon te;anche loro contribuisco a determinare la “conurbazione” difatto, e ci metto persino Villa Basilica, Altopascio, Montecarlo,Larciano e Lamporecchio, sissignori , anche questi ingiustamen-te considerati lucchesi e pistoiesi…
Gigi Salvagnini
MUSEO della Città e del Territorio del Comune diMonsummano, Walter Iozzelli. 24 maggio 1946: è sindaco,Collana T.r.a.m.e, 2011.
Vivaldo PAGNI, La grande depressione economica mondiale del1929 e la crisi di oggi, Sassoscritto edit., 2011.
Laura PASSERO, Dionisio Anzilotti e la dottrina internazio-nalistica tra Otto e Novecento, Università di Sienam 2011.
Pescia. Ex mercato, incontro col sindaco allo splendor, (“LaNazione” 26 aprile 2011) – Pescia. Ex mercato. Nuove trat-tative tra comune e cooperativa. (“Nazione” 28/4/2011) –Ex-mercato, grandi lavori. “Molti nodi da sciogliere.”(“Nazione” 18/5/2011).
Incerto e presumibile declassamento di un edificio, a suo tempofiore all’occhiello della città per i premi internazionali ottenutiquale eccezionale esemplare architettonico. Il destino riservato aquesto “monumento” crea, per un ingarbugliato effetto domino,problemi anche per il destino delle zone limitrofe, ancora nonrisolti.Notiamo che questi primi anni del terzo millennio, determinanonel pesciatino una vera e propria rivoluzione urbanistica. Oltreal mercato e ai numerosi edifici industriali distrutti o distrug-
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gendi, altre perdite o contaminazioni si avranno per questa ‘car-neficina muraria’. “La Nazione” ci segnala la demolizione (par-ziale o totale?) e ricostruzione del Museo della carta (18/5/2011); perfino lo sfortunato palazzetto, che il rimpianto prof.Gori di Firenze aveva incautamente innalzato in mezzo alla piaz-za Leonardo da Vinci, oltre a risultare poco felicemente ambien-tato, si è anche ben presto dimostrato inadatto alla funzione diPretura, per esser destinato a “Museo archeologico”. Ma, davve-ro senza pace, nel palazzetto sarà destinata quanto primal’“Agenzia delle entrate”, sfrattando coccini ed altri reperti più omeno preziosi nonché, il materiale didattico, in altra sede, anco-ra non individuata (“La Nazione” 22/4/2011 e 18/5/2011)
Pinocchio compie 130 anni e passa dalla carta al pixel.Inaugurata ieri la biblioteca virtuale nel parco di Collodi. (“LaNazione” 8 luglio 2011)
Lorenzo PUCCINELLI SANNINI, L’ultimo alunno,Stravagario 2011.
Lorenzo Puccinelli Sannini potrebbe essere considerato ancoraun “esordiente” della narrativa (ha infatti cominciato a scriveresolo pochissimi anni fa, dopo essere andato in pensione) e ilromanzo breve “L’ultimo alunno” è la sua terza opera, dopo il bat-tesimo con il volume “La Villa”, del 2009, e l’altro romanzo: “Ilprimo bacio” nel 2010. Ma Lorenzo Puccinelli Sannini, nonostan-te la sua attività professionale si sia svolta in un campo del tuttodiverso, quello della industria farmaceutica, ha una mano cosìfelice che sembra nato per scrivere. Questo Ultimo alunno, inserito nella collana I nuovi poeti delleEdizioni Stravagario, si è classificato terzo nella terza edizione delpremio dalla stessa casa editrice destinato agli inediti, ma anche ivolumi precedenti erano stati premiati in altri concorsi letterari.L’Ultimo alunno, che l’autore dedica” ai miei nipoti per aiutarli anon smarrire la diritta via”, nasce da un dichiarato intento educa-tivo e si snoda sul filo di un incontro/scontro generazionale traun vecchio professore in pensione e un gruppo di giovani tenta-ti dalla trasgressione come momento di affermazione di sé. Saràattraverso un complesso intreccio di vicende e personaggi, in unaatmosfera di suspence non priva di colpi di scena, che il vecchioprofessore al tramonto, con la forza della parola e della attenzio-ne empatica per il suo giovane interlocutore, riuscirà a gettare unponte tra questi due mondi e a sottrarre Filippo alla influenzaarrogante dei compagni. In questo percorso grande rilievo hanno i racconti del vecchioprofessore: ricordi di scuola, ma anche di affetti, di emozioni, dilutti familiari; uno spazio perduto nelle famiglie della società del-l’opulenza in cui neppure gli stessi spettacoli televisivi vengonocondivisi da chi vive sotto lo stesso tetto.Un romanzo che si legge d’un fiato, con una scrittura agile cheIrene Sparagna, nella prefazione, ha definito efficacemente “visi-va” ma che in sostanza vuole contrapporre a una società consu-mistica, tendenzialmente cinica e talvolta violenta, una dimensio-ne etica e di solidarietà interpersonale di cui l’autore si fa porta-voce attraverso la figura dell’anziano professore e che si avrebbetorto a definire antiquata.
Vincenza Papini
Quadro donato a S. Michele. (“La Nazione”26 maggio2011).
Si tratta di una Resurrezione dipinta da Franco Del Sarto nel 2006,donata alla Fondazione del Conservatorio San Michele di Pescia.Bella e generosa iniziativa che con piacere segnaliamo. Ma l’oc-casione ci sprona ad una ennesima polemica. Come mai la noti-zia è pubblicata dal quotidiano nella rubrica “Agenda Mon -tecatini”? Forse Pescia è stata messa sotto tutela della vicina cittàtermale? D’altronde il caso non è isolato e riguarda anche altricomuni del territorio come Larciano, Mon summa no, Uz za no,Buggiano e Vellano. Ma Pescia pare presa di mira con magggio-re accanimento: sempre sotto l’egida della suddetta “AgendaMontecatini” appaiono l’assegnazione del 10° premio “LionsPinocchio di Collodi” (“Nazione” 27/5/2011) e i lavori per ilMuseo della carta di Pietrabuona (18/5/2011). Probabilmente iredattori della “Nazione” non sanno che nel brutto carattere deipesciatini, rientra anche uno sfrenato orgoglio e uno spiccatoamor proprio, per non parlar di campanilismo al calor bianco…Vorranno gli zelanti redattori della “Nazione” tenerne conto?
G. S.
Bruna ROSSI, Montecatini Terme e la Valdinievole, Comunedi Montecatini 2011.
Sagra della patata a Serra Pistoiese. Domenica 25 settembre l’e-vento “croccante” della montagna pistoiese. (“CorriereFiorentino” 24 settembre 2011)
Con dovizia di mezzi (spazio e foto) è comparso questo avvisopubblicitario, che mi ha stuzzicato l’interesse, in quanto da un po’di tempo sto monitorando l’andazzo delle sagre paesane gastro-nomiche, che mi sembrano – almeno dalle nostre parti – in fasedi declino. La segnalazione sembrerebbe smentire questa miadiversa impressione. Non so come sia andata la giornata, macredo proprio sia stato un successo; le premesse, d’altronde,erano allettanti e annunciate con cura e dettagliate: dal padellonedi due metri e mezzo di diametro per la frittura delle “croccantidelizie”, affiancate dai tradizionali necci ripieni di ricotta o mo -dernizzati con la nutella; la premiazione del concorso nazionaleper la patata più grossa. Tutto inscenato nel fascinoso abitato,con le due porte urbane, la rocca medievale e la chiesa di SanLeonardo, col campanile già torre di guardia. Cosa volete di più?
G. S.
Sergio SILVESTRINI, La Cartiera Magnani tra le 150aziende che hanno fatto la storia dell’Italia. (“La Nazione” 5giugno 2011)
Laura TABEGNA, Il regista (pesciatino) Samuele Rossiproiettato a New York. Anteprima all’Internation al FilmFestival. (“La Nazione” 5 agosto 2011. [Il lungometrag-gio, girato a Pescia, con finanziatori pesciatini, si intito-la “La strada verso casa”])
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Il 15 aprile scorso è deceduto Gior gioPalamidessi: pesciatino, libero docentein Chimica Farmaceutica e Tos -sicologia. Era uno dei fondatori del -l’Associazione “Amici di Pe scia” nel laquale si impegnò accettando perfino difar parte del Con siglio direttivo. Noi qui non siamo in grado, perincompetenza, di illustrare le sue qua-lità scientifiche, che altri, in altre sediappropriate faranno sicuramente.Possiamo però testimoniare il suoamore per questa città, ereditato dalpadre Giulio: uno dei più impegnatiricercatori di storia locale del primoNovecento, nella cui farmacia si riuni-vano, per discutere, quasi come in uncenacolo, gli intellettuali del tempo.Giorgio, finché fu nel Consiglio dellanostra Associazione, svolse il suoruolo di animatore di una Com mis -sione Ecologica – da lui proposta –operando seriamente e concretamen-te in difesa dell’ambiente urbano e delpaesaggio.Il suo carattere riservato e schivo, gliconsentiva di rado l’impegno pubbli-
co, troppo spesso turbato da velleitàinconcludenti; ed è un peccato, per-ché con i pochi amici era conversato-re piacevole e forbito; ammirevole perla sua correttezza di modi e chiarezzadi esposizione. Un uomo forse conqualche difficoltà nell’accettare la fre-netica vita del proprio tempo, il pres-sappochismo, la faciloneria, la medio-crità e la volgarità dei modi.I miei rapporti con Lui sono statisempre cordiali e affettuosi, determi-nati da reciproco rispetto. Uno scam-bio epistolare di idee intorno ad unarecensione, raffreddò i nostri rappor-ti. Ma intatta rimase in me la consi-derazione nei suoi confronti e il rim-pianto delle occasioni d’incontro pur-troppo interrotte.In precedenza, Giorgio Palamidessi,mi aveva affidato alcuni manoscritti edattiloscritti, di una Storia del Monte aPescia, opera di suo padre Giulio, chie-dendomi di verificare se e quanto diquel materiale fosse già stato pubblica-to. Ricerca che compii con piacere, eche mi permise di appurare che soltan-
to pochi stralci erano apparsi su qual-che periodico locale. Ma il lavoro, nellasua integrità, non aveva mai visto laluce. Restava soltanto da riordinarlo,trascriverlo e computerizzarlo.Giorgio mi aveva anche chiesto sequello studio, ormai quasi centenario,fosse superato, o se ancora potesserivestire qualche interesse. Certo, sinotava con evidenza che finalità emetodologia risultavano “datate”; maproprio per questo, il lavoro mi pare-va interessante, sia come esemplaredocumento di interpretazione storio-grafica, sia per chia rezza espositiva eprofondità della ricerca.Poi, sia lui che io ci dedicammo adaltro e l’idea non ebbe sviluppi.Oggi, sentite la moglie e la sorella diGiorgio, ritengo che si possa comme-morare i Palamidesso padre e figlio,pubblicando questo studio di Giulio,rimasto praticamente inedito, a punta-te, sulla nostra rivista, fin dal prossi-mo numero.Sono certo, d’altronde, che i lettorigradiranno la storia di un sito cosìparticolare, considerato “la Fiesole deipesciatini”.
G. S.
GIORGIO PALAMIDESSI
Gli “Amici di Pescia” in visitaalla villa Palamidessi del Mon -te, in occasione dell’iniziativa“Ville del pesciatino”. GiorgioPalamidessi e la Signora (se -gnati dall’asterisco) ascoltanol’oratore di turno che descrivedella loro dimora.
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