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+ Uni3triestenews - Anno VI - ottobre 2019
In questo numero
Pagina 1 … e siamo a 38! di Lino Schepis
Pagina 2 el primo omo di Anonimus
Libera la fantasia di Ariella Zanevra
Pagina 3 Benvenuto CCT di Giulio Salvador
Pagina 4 Ciak, si gira! di Giulio Salvador
Pagina 5 Storia del cinema. Hollywood in noir di Giovanni Forni
Pagina 6 Scacchi che passione
Pagina 7 La comparsa di una nuova sociologia di Flavio A. Formelli
Pagina 8 Un ricordo di Fabio Forti di E.A.
Pagina 9 Cultura e letteratura nella storia e nella società dell’età comunale di Giovanni Forni
Pagina 10 La vittoria mutilata di Mario Grillandini
Pagina 11 Disobbedisco di Giuseppe Gerini
Pagina 12 Vajont: una tragedia annunciata
di Daniele Pizzamei
Un lavoro dei nostri laboratori artistici
1
…E SIAMO A 38!
Un’altra estate, lunga e sempre più calda (come pare sarà
anche in futuro) è passata, ed eccoci qui pronti ad iniziare una
nuova scommessa, un nuovo Anno Accademico.
E sarà il 38^ anno di vita della nostra UNI3, nata nel 1982 da
una felice intuizione dei Lions triestini, prima in Regione, tra
le prime in Italia.
Che anno sarà?
A giudicare dal nostro libretto programma, ancora più ampio
ed articolato del solito, sarà un anno ancora più ricco di
proposte, di novità, di eventi speciali, di importanti conferme.
Tra tutti spicca la nostra partecipazione ad ESOF 2020, nel
prossimo giugno/luglio, evento di rilevanza mondiale, e che
porterà grande visibilità alla nostra città.
Senza entrare nel merito del programma, permettetemi di
soffermarmi sulla copertina: in essa, dopo avere ricordato agli
interessati che UNI3 propone iniziative in oltre 72 materie, con
più di 350 corsi nelle tre sedi, in altro a destra si ritrova anche
quest’anno l’appello “SALVIAMO IL MONDO DALLA PLASTICA”,
per un impegno iniziato lo scorso anno, che non poteva
fermarsi là. UNI3 continuerà a promuovere iniziative di
sensibilizzazione, forte del fatto di avere dimostrato in
concreto che si può, se si vuole, diventare “plasticless” senza
rinunciare a nulla di ciò che ci piace: da oltre un anno sono
sparite dalla sede bottiglie, posate, bicchieri, ogni oggetto di
plastica mono uso, gadgets inclusi. Si può ben immaginare poi
con quale soddisfazione ed orgoglio abbiamo partecipato alle
molteplici iniziative di sensibilizzazione promosse da alcuni
nostri laboratori, i cui iscritti hanno voluto dimostrare così la
loro forte adesione all’appello. In alto a sinistra compare una
nuova immagine, un nuovo impegno: promuovere la cultura
del “PRIMO SOCCORSO”: siamo già divenuti centro riconosciuto
di cardioprotezione in città, avendo attivato un nuovo
defibrillatore, perfettamente funzionante ed accessibile, ed
avendo abilitato ben 12 assistenti all’utilizzo del dispositivo; a
breve saranno formati anche sulla conoscenza delle più
importanti nozioni di primo soccorso, in modo da essere pronti
a fornire, se necessario, assistenza immediata e consapevole
in situazioni di crisi anche improvvise. Noi intendiamo
includere nei nostri programmi di medicina nozioni di primo
soccorso a disposizione di tutti i nostri iscritti, e nel contempo
fare azione di persuasione presso le istituzioni scolastiche e
politiche perché la materia, per la sua estrema importanza,
divenga insegnamento curricolare, e non come oggi,
informazione saltuaria ed occasionale, legata alla buona
volontà di pochi. Una società poco attenta alla sicurezza dei
cittadini, di ogni età, non può dirsi evoluta e matura.
Anche in questo impegno, come nelle altre occasioni, sono
sicuro che il sostegno e l’appoggio dei nostri iscritti e dei nostri
operatori non mancherà.
Buon Anno Accademico a tutti, arrivederci a presto.
Lino Schepis
2
EL PRIMO OMO
Sono le 11 di giovedì 12 settembre, le iscrizioni sono aperte da
ieri. Avvicinandomi alla nostra sede, memore degli anni
passati, quasi mi preoccupo: non c’è nessuno in fila fuori della
porta, nemmeno sulle scale c’è anima viva, quasi mi vien il
magone.
In cima trovo Graziella, seduta tranquilla alla sua postazione,
un breve saluto, le spiego cosa voglio, mi dà un bigliettino e
mi invia nella sala grande. Anche lì non c’è quasi fila, giusto un
paio di persone che Bruno, il direttore corsi, e le sue assistenti
Marina e Wally disbrigano velocemente. A me tocca Wally,
gentile e sorridente come sempre, che digita alla tastiera ed
in due e due quattro prende i miei dati, mi iscrive e mi stampa
la mia tessera. Mi chiede quali corsi intendo seguire e quindi
mi indirizza all’Aula Professori.
Anche qui una brevissima attesa, giusto tre iscritti, quando
viene il mio turno è libera Bianca Maria: “ Ma la sa che a mia
memoria la xè el primo ad iscriverse a questo corso ?”
Primo inteso come “omo”, mi sorride, digita qualcosa ed ecco
fatto: sono iscritto al Laboratorio “Divertirsi in cucina” diretto
da Maria Greco, ogni giovedì dalle 15.30 alle 18.00, si comincia
ad ottobre.
In tutta onestà, non so a che cosa vado incontro ma l’idea mi
piace, anche perché mi piace, quando ho tempo, cucinare
qualcosa per la famiglia. E poi alle feste ed agli Open Days di
Uni3 ho avuto modo di apprezzare i prodotti di questo nostro
Laboratorio, capace di far fronte in quelle occasioni alla nutrita
folla di partecipanti, l’ultima volta stimata in circa 200
persone, con un buffet di assoluto rilievo. E proprio non mi
dispiace potermi confrontare con le professioniste della nostra
cucina e far parte della loro equipe!
Passo in Segreteria e trovo Lino, il presidente, che con Assunta
sta controllando il flusso delle iscrizioni: è visibilmente
soddisfatto, tutto procede in maniera tranquilla, niente più
attese estenuanti e disagiate, i soci sono contenti e così l’intero
staff di Uni3. Ed anche i numeri confermano il trend positivo,
con un leggero aumento delle iscrizioni rispetto alla passata
stagione.
Il nuovo anno accademico comincia proprio sotto i migliori
auspici.
ANONIMUS
LIBERA LA FANTASIA
Dopo innumerevoli richieste di scrivere "due parole", come mi
dice o ripete spesso il nostro Direttore dei corsi nonché
editore di questo giornale mensile, eccomi qui a raccontarvi il
perché di questo corso. Essendo un'appassionata di cucito
creativo in tutte le sue svariate tipologie, trovo molto bello
condividere questa grande passione; questo è il motivo per cui
ho deciso di iniziare questa nuova avventura che si chiama
"Libera la fantasia", e che proverò a descrivere qui di seguito.
Senz'altro il corso inizierà con l'uso del feltro e il panno lenci
(un tipo di feltro morbido e sottile brevettato dalla ditta Lenci
nel 1920), due materiali molto simili tra loro e facili da usare.
Il feltro ha una lunghissima storia, sembra fosse usato già nel
terzo millennio a.C.(si ritiene che sia stato il primo tessuto
prodotto dall'uomo), e successivamente dai Greci e Romani per
la confezione di vari capi d'abbigliamento. In realtà non è un
tessuto propriamente detto, non è caratterizzato dalla
tradizionale trama e ordito ma si ottiene sottoponendo le fibre
animali (tipicamente lana cardata) a un trattamento meccanico
e chimico che si chiama follatura. Questa caratteristica, come
ho già accennato, lo rende molto facile da lavorare: per
esempio si può tagliare a piacere senza preoccuparsi di cucire
il bordo. Così nel contesto del mio corso il feltro sarà il punto
di partenza ideale per realizzare degli oggetti semplici, da
poterli finire in un pomeriggio per capirci. Poi negli incontri
successivi potremo avventurarci nella confezione di manufatti
più elaborati, a seconda degli interessi e capacità dei
partecipanti.
Ariella Zanevra
3
BENVENUTO, CCT!
Tra le novità di quest’anno, l'Università della Terza Età
presenta una nuova collaborazione con il Club
Cinematografico Triestino. Il CCT, appunto.
Infatti, come forse noto, alcuni insegnanti sono anche membri
di quel Club e alcuni membri di quel Club sono anche allievi
dell'Università.
Inoltre avrete notato che spesso in Sede compaiono le
cineprese e non tutti sanno che c'è un archivio che contiene
diverse documentazioni sulla nostra vita di Sede.
Il Club Cinematografico Triestino nasce nel 1952, quando un
gruppo di videoamatori si riunisce per condividere la propria
passione. Da allora i Soci sono stati più di duecento. Tutti
accomunati nell'hobby del film familiare. E non solo... Infatti
alcuni si sono cimentati con film a soggetto, documentari,
reportage, videoclip e altre forme filmiche. Dall'epoca della
celluloide è passato molto tempo e la tecnologia ha fatto passi
da gigante. Oggi si opera con l'elettronica e l'informatica
(anche se le basi del linguaggio cinematografico sono rimaste
le stesse) ma i Soci maghi (perché il cinema è magia) hanno
saputo adeguarsi ed aggiornarsi e ancora oggi i loro prodotti
offrono un ottimo livello qualitativo.
"VIDEOMAKER" è una parola che da non molto è entrata nel
lessico comune. Indica una persona che "fa video".
È l'erede del cineamatore, hobby che era diffuso a metà del
secolo scorso (anche se alcuni pionieri lo praticavano già
prima). In origine si riprendeva con piccole cineprese a
pellicola ma l'attuale evoluzione della tecnica ha portato ad
incrementare l'uso del mezzo elettronico. Recentemente la
moda delle comunicazioni sociali a mezzo WEB (Facebook, ecc)
ha fatto sì che la visione di quanto girato non sia più riservata
ad una stretta cerchia di amici e familiari ma sia usufruibile in rete. Anche
gli archivi sono cambiati, passando dal cassetto familiare ai sistemi di
rete.
Il videoamatore normalmente comincia con la memoria della
famiglia, spesso un bambino con i suoi momenti importanti,
qualche compleanno, qualche festa o qualche ricorrenza. Le
prime riprese sono traballanti, magari troppo mosse ed
esposte male ma ben presto migliorano e diventano piacevoli
da vedere. Si cerca allora di migliorare. Dal momento che il
cinema è racconto, ecco che c'è bisogno di una serie di
conoscenze, in particolare le capacità tecniche che vanno
affiancate a quelle artistiche, e in quest'ottica la conoscenza
del linguaggio cinematografico ha un ruolo molto importante.
In questo Università e Club Cinematografico sono in prima fila.
Oggi la rete mortifica il lato artistico e lessicale preferendo un
contatto immediato e diretto. Viviamo pur sempre nella "era
dell'immagine". Anche il linguaggio cinematografico si sta
evolvendo.
Giulio Salvador
4
CIAK, SI GIRA!
Dalla nuova collaborazione con il CCT deriva un progetto, che
sarà gestito in sinergia fra l'Università e il Club
Cinematografico Triestino, che prevede la realizzazione di un
"corto".
Il soggetto è lasciato alla fantasia degli allievi, gli attori
saranno scelti fra di essi, mentre il Club Cinematografico ci
fornirà il necessario supporto tecnico e le attrezzature. Il
soggetto potrà anche prevedere la recitazione in dialetto
triestino.
Vista l'ambizione dell'iniziativa si chiede la compartecipazione
(ci piace chiamarla complicità) di altri insegnanti, in particolari
quelli dei corsi creativi, di cinema, di comunicazione, eccetera.
L'opportunità è stuzzicante perché permette alle persone di
cimentarsi con il mondo del video:, infatti, permette loro di
diventare protagonisti immaginando e proponendo una storia,
recitando e infine vedendosi sullo schermo (durante una
manifestazione "di gala" opportunamente organizzata
dall'Università).
Le fasi lavorative saranno:
- Raccolta dei racconti (soggetti di 5 o 10 righe) proposti e
raccolta delle adesioni delle persone disposte a collaborare
per formare il cast e la troupe (ovvero attori e aiutanti del
regista).
- Scelta del soggetto da parte di una commissione
- Trasformazione del soggetto (ovvero dell'idea) in un testo
adatto per la lavorazione
- Lavorazione del film (presumibilmente due o tre mezze
giornate)
- Realizzazione del prodotto finale (montaggio e
sonorizzazione)
- Gran Gala per la "prima"
La recitazione in un film è differente da quella del teatro. Le
scene, infatti, sono molto brevi e vengono girate in maniera da
ottimizzare soprattutto gli spostamenti delle attrezzature (le
clip verranno successivamente messe nella successione giusta
dal montatore). Di conseguenza l'attore (a meno di qualche
caso particolare) non deve studiare a memoria lunghi brani
perché i suoi interventi sono brevi e vengono affrontati al
momento. Naturalmente in caso di errore (le famose "papere")
basta ripetere la ripresa.
Insomma non ci si deve confrontare direttamente e in tempo
reale con un pubblico esigente, e quindi si può recitare con
animo più rilassato e senza tante preoccupazioni (e quindi
divertirsi).
Giulio Salvador
5
STORIA DEL CINEMA. HOLLYWOOD IN NOIR
Da dieci e più anni – ogni mercoledì alle ore 17.30 – il corso
di STORIA DEL CINEMA ha un fortunato concorso e consenso di
iscritti/spettatori. Siamo così arrivati alla produzione
americana di Hollywood fra gli anni 1940/60 e, precisamente,
al genere NOIR/THRILLER/POLIZIESCO (per noi il “giallo”) nel
suo periodo più fecondo e felice per esiti artistici e per i registi
e gli attori di uno star system favoloso e indimenticabile.
Concluderemo l’anno con una prima rassegna di film
DRAMMATICI, senza dubbio i più ricchi di problematicità e
d’impegno fatti dagli americani.
Quest’anno, d’accordo con la Presidenza, vi forniremo on line
un’anteprima dei film programmati (ovviamente in visione
ridotta per spezzoni significativi) con brevi, ma, speriamo,
sufficienti note critico/informative di presentazione. Come
quelle che trovate questo mese nel nostro giornale.
-GILDA di Charles VIDOR (1945): quando uscì, si disse che era
esplosa una nuova atomica, lei, per l'appunto, Gilda alias Rita
Hayworth, trionfo di una femminilità sensuale carica di eros:
nell'immaginario maschile restò per decenni il mito di quel
ballo con lo spogliarello del guanto! Ma Gilda fu ben di più: nel
clima inquieto e mutevole del dopoguerra rappresentò un
modello di donna nuova, più moderna, alla conquista
dell'indipendenza sessuale dalla soggezione tradizionale al
maschio (fidanzatina innocente o casalinga soddisfatta), esser
paritaria, se non aggressiva competitrice.
Ma anche nel maschio c'è un sovvertimento di valori: denaro
non più santificato dal lavoro, bensì accaparramento facile,
immediato, senza scrupoli. E naturalmente c'è il noir: Johnny
lavora per un biscazziere di Buenos Aires che intrallazza con
ex nazisti e contorno di omicidi e suicidi veri o falsi, ma la
connotazione prevalente del film è il melò a tre, un intrico di
passioni turgide, di "odi et amo", ripicche, gelosie, frustrazioni
di ribollente sadomaso.
La fine però è compromissoria col codice di autocensura: sarà
romantica all'insegna del profit. Tutto come prima? No, il sasso
gettato da Gilda aveva smosso lo stagno.
- I GANGSTERS di Robert SIODMAK (1946): nella notte caliginosa
di una cittadina di provincia arrivano due killer per uccidere un
uomo che li attende, rassegnato. All'agente delle assicurazioni
spetterà il compito di svelare gli oscuri perché della vicenda (il
peso del passato e della colpa).
E’un noir d'investigazione poliziesca (in gergo una "detection")
a fatti ormai compiuti, andando a ritroso (flashback) da un
tassello dell'inchiesta all'altro, che il regista conduce con
meticolosa sistematicità e chiarezza narrativa, alla scoperta di
caratteri umani ed ambienti sociali.
Trama robusta ed originale tratta da una novella di E.
Hemingway), in un continuum notturno di interni si scandaglia
tra le pulsioni che spingono alla conquista di un benessere o di
un piacere immediati, riflessi dell'inquieto dopoguerra USA.
Esordio di Burt Lancaster e immediata evidenza delle sue
potenzialità interpretative. Ava Gardner da parte sua disegna
una dark lady di sfingea memoria.
Giovanni Forni
6
.
SCACCHI CHE PASSIONE!
Tra le più interessanti novità dell’anno che va ad incominciare
c’è sicuramente il Corso base di scacchi proposto da Tullio
Mocchi, appassionato scacchista e docente di lungo corso: ha
cominciato a 14 anni, nel 1978, tenendo un piccolo corso per i
giovani più promettenti del “suo” Circolo Scacchi Costalunga.
E’ socio anche dal 1980 della Società Scacchistica Triestina
1904, per la quale ha tenuto il primo corso ufficiale alla fine
del 1994. Da allora, complessivamente, tra corsisti e allievi, ha
insegnato ad una cifra molto vicina alle 200 unità. Oggi è
coordinatore di tutta l’attività tecnica e formatore degli
Istruttori della Scuola di scacchi della SST 1904 ed ha trovato
modo e tempo per proporsi anche alla nostra Uni3Trieste.
Il corso proposto e le lezioni effettuate spaziano dai primi
rudimenti del gioco agli schemi di scacco matto e di guadagno
di materiale, dai temi tattici alle combinazioni, all’attacco
all’arrocco (con i pedoni e con i pezzi) e all’assalto al Re
avversario non arroccato, alle Aperture, ai Finali (elementari e
non), alle posizioni tipiche del Medio-gioco, ad argomenti di
carattere strategico quali il pedone centrale isolato, le diverse
strutture pedonali tipiche, la contrapposizione Cavallo-Alfiere
nell’Apertura, nel Centro-partita e nel Finale, i sacrifici tipici (di
pedone, di Qualità, di pezzo, ecc.) e molti altri ancora omessi
per necessaria brevità.
Il Corso, oltre che per il rigore e la completezza, vuole
caratterizzarsi per una continua ricerca del feedback,
attraverso una verifica cortese, frequente ed insistita della
comprensione di quanto esposto da parte dei corsisti/allievi e
per un loro coinvolgimento nella didattica, invitandoli, quando
lo ritengano opportuno e corretto, ad obiettare, contestare,
chiedere chiarimenti, precisazioni e, in generale, a partecipare
costantemente alla medesima. Di solito si inizia con
un’esposizione teorica dei concetti, per poi presentarli nella
pratica del “gioco vivo”, in modo da far comprendere il forte
legame, il continuo interscambio, le profonde interconnessioni
esistenti, per l’appunto, tra teoria e pratica negli scacchi.
Il docente vuole sviluppare negli allievi l’autonomia di
pensiero, la capacità critica, l’elasticità e -con i più motivati- la
consapevolezza dell’importanza di uno studio serio, accurato,
metodico, costante se (e ciò non è ovviamente richiesto, né
tantomeno indispensabile…) si vogliono raggiungere
determinati risultati in una disciplina (che è scienza, arte e
sport allo stesso tempo) tanto affascinante quanto
enormemente complessa come gli scacchi. Al tempo stesso
cerca di presentare, degli scacchi, i lati più divertenti, più
brillanti, più spettacolari ed emozionanti, nel tentativo di
appassionare, di coinvolgere, di stimolare la creatività e la
capacità di continuare a stupirsi e di rimanere affascinati.
Il corso inizia ad ottobre, ogni martedì mattina dalle 11.00
alle 13.00
7
LA COMPARSA DI UNA NUOVA SOCIOLOGIA
Ancora oggi molti sociologi sono scettici sull’utilità dell’attuale
Sociologia che, tra parentesi, non viene considerata, da molti,
in compagnia con le altre scienze sociali, come “scienza” vera
e propria, ma solo come un’altra forma di cultura che dovrebbe
spiegare l’aggregazione della società, le sue strutture e le sue
dinamiche ma purtroppo, non essendo l’insieme degli esseri
umani l’unico attore sulla scena terrestre, come risultati non è
molto attendibile.
In realtà la Sociologia non gode della possibilità di sottoporsi
agli esperimenti di tipo galileiano, che sono alla base della
scienza moderna, ma si aiuta con ragionamenti, sillogismi e
altro, di tipo filosofico e, notevolmente, con inferenze
statistiche.
Ma neanche la Statistica aiutava più di tanto essendo
impossibile, per quanto vasto, ottenere un campione che
rappresenti tutte le varianti possibili del genere umano e tutte
le combinazioni possibili del suo esprimersi, come è stato
anche osservato da alcuni studiosi.
La mia Sociologia BioNaturale nasce da una felice intuizione
sull’impatto dell’attività umana, psiche e soma, con la sua
matrice natura e ambiente (visto come elemento geologico e
produttore di risorse) a seguito dei miei studi sociologici in cui
avevo colto le contraddizioni di cui ho già detto e, alla fine,
offre una visione del mondo più affascinante e più completa.
La mia ricerca è partita non solo dallo studio delle società
umane, nei vari modi in cui si presentavano, ma prendeva in
esame le società naturali che, precedendo le umane ai vari
gradi della scala dell’Evoluzione, presentavano modalità di
funzionamento più facilmente comprensibili e manipolabili per
le sperimentazioni.
Beh!, aggiungendo elementi da altre discipline, a
testimonianza del fatto che non dovrebbero mai essere
trascurati altri apporti, essendo, tra virgolette e in ultima
analisi, il mondo vivente una unità, anche se poi diversificatasi
enormemente, le acquisizioni furono copiose e
interessantissime perché evidenziavano la vacuità, se non il
raggiro volontario, di molte risposte date dagli antichi per
spiegare la causa di tutti quei fenomeni che terrorizzavano le
genti agli albori dell’umanità; tramandate per via filogenetica
fino a noi, molte, troppe di esse ancora resistono nelle nostre
menti che ne sono incrostate.
L’imperativo è oggi quello di eliminarle, cosa assai difficile se
perfino Einstein affermò che è più facile spezzare l’atomo che
rompere un pregiudizio. Perciò le lezioni di questa materia,
oltre che sulla parte teorica, si basano anche su numerosi
esempi, cenni storici e biblici, miti e leggende che servono a
una più chiara esposizione basata specialmente sulla mia
Teoria dei Quattro Istinti Primari (T4IP) e sul come questa operi
in associazione con parti arcaiche del nostro cervello per
assicurare alla Natura il controllo finale su tutti i viventi.
Altro che libero arbitrio!
Certamente l’efficacia dell’esposizione dei numerosi concetti e
punti di forza richiede tempo nelle lezioni e spazio sui giornali,
specialmente per la dimostrazione storica e scientifica della
T4IP (La Teoria dei Quattro Istinti Primari), dell’influsso delle
Evoluzioni (la naturale e la sociale), dei contrasti tra Natura e
Cultura e delle app, ossia le ricadute a cascata di questa teoria
sulle varie materie sociali, gli enunci e i controlli, in modo che
alla fine ogni fenomeno contingente, sia esso politico, che
economico, medico, religioso e di altro tipo, anche geologico,
abbia la sua, appunto, risposta.
Flavio A. Formelli
8
Alla bella età di 92 anni ci ha lasciato Fabio Forti, già docente di uni3trieste, a lungo protagonista attivo della vita di Trieste da quando, nel maggio 1945, partecipò alla lotta per la liberazione della città inquadrato nella Brigata d’Assalto Venezia Giulia del CLN. Presidente dell’Associazione Volontari Libertà di Trieste e della Venezia Giulia è stato anche assessore al Comune di Trieste. Appassionato speleologo autodidatta, ottenne dall’Università di Trieste il titolo di cultore della materia in Carsismo. Ricercatore sul campo e divulgatore, ha scritto e pubblicato centinaia di articoli, saggi e libri. L’ho sentito al telefono l’anno scorso quando gli ho chiesto un articolo per il numero di aprile del nostro giornale, per ricordare il 25 Aprile, Festa della Liberazione. Era un po’ affaticato, non era sicuro di farcela a rispettare i tempi editoriali, poi ci ha fatto avere il pezzo promesso. Un bell’articolo che oggi ripubblichiamo per ricordarne la persona e la sua collaborazione alla nostra uni3. E.A.
In ricordo dell’insurrezione ordinata il 30
aprile 1945 dal CLN per liberare Trieste
dall’occupazione tedesca
Alla fine di aprile 1945, in uno dei momenti più oscuri, incerti,
angosciosi della storia di Trieste, mentre in tutte le altre parti
d’Italia si gioiva per l’ormai imminente fine di quella spaventosa
carneficina che fu la seconda guerra mondiale, qui dove-vano
ancora accadere dei fatti tragici che avrebbero portato pesanti
conseguenze non solo per il futuro della città ma anche per
l’intera Venezia Giulia. All’alba del 30 aprile venne dato l’ordine
di insurrezione contro l’occupazione tedesca nel nome d’Italia,
per stroncare definitivamente il tentativo di annessione della
Venezia Giulia al III Reich.
L’ordine fu dato da don Edoardo Marzari, Presidente del IV
Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), al Corpo Volontari della
Libertà (CVL), al comando del ten. col. Antonio Fonda Savio
(Manfredi). E’ stato questo l’ultimo atto di quel patriottismo ri-
sorgimentale fortemente radicato nella Città di Trieste.
L’insurrezione contro le truppe germaniche che ancora
occupavano la città è stata fatta in concomitanza con l’ordine
generale, emanato nella notte tra il 24 ed il 25 aprile dal Comi-
tato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI). Trieste però si
trovava in condizioni estremamente più difficili: ormai prossimi
alla città non erano i soldati anglo-americani ma i partigiani
slavo-comunisti e quelli della IV Armata jugoslava del Mare-
sciallo Tito. Che non venivano per “liberare” la Venezia Giulia e
Trieste dalla dittatura nazista, con il beneplacito di quella fasci-
sta, ma per imporci un’altra dittatura, quella comunista e per
occupare (non per liberare) e poi annettere questi territori nella
nuova Jugoslavia. Tutti coloro che combattevano nella resistenza
“italiana” ma non risultavano inquadrati sotto al comando
jugoslavo erano considerati nemici da “eliminare” alla pari, se
non peggio, delle formazioni tedesche delle SS.
Ma l’insurrezione cittadina era stata preparata tra il 1943 ed il
1945 da illuminati personaggi locali ed attivata da un gruppo di
11 brigate di volontari, circa 3500 in gran parte giovani e
giovanissimi che, malgrado fossero stati educati sotto un regime
totalitario in cui sicuramente non si insegnavano i valori ed il
Furono proprio quei giovani, forse inconsapevolmente, a
riscattare Trieste alla nuova Italia che stava sorgendo dal bara-
tro in cui era caduta causa una guerra senza senso, dichiarata
praticamente al mondo intero.
Sentivano profondamente la necessità di ridare alla loro città
quella dignità liberale, sulla base di quei principi ormai lontani e
quasi dimenticati legati ai più puri valori del Risorgimento
ottocentesco. Non per nulla il Presidente della Repubblica Carlo
Azeglio Ciampi definì questi giovani patrioti come facenti parte
del II Risorgimento Italiano. Quasi sessanta anni dopo, le
Medaglie d’Oro al Valor civile che lo stesso Presidente Ciampi
concesse a don Edoardo Marzari ed al ten. col. Antonio Fonda
Savio per il ruolo svolto in occasione dell’insurrezione, rap-
presentano il più valido riconoscimento a Trieste per ricordare ed
onorare tutti coloro che presero parte a quegli avvenimenti,
consci dei rischi che correvano nel caso fossero giunti in città -
come poi avvenne- prima degli alleati occidentali i partigiani del
Maresciallo Tito!
Ma quella che si potrebbe definire come un’azione di grande
responsabilità e serietà, senza sottacere l’indubbio eroismo che
essa rappresentava, fu poi, dopo la guerra, volutamente
dimenticata, perché scomoda e per molti addirittura
controproducente ai loro interessi legati a delle oscure
motivazioni ideologiche. A distanza di settanta anni da quegli
avvenimenti ben pochi sono coloro che possono ancora
“testimoniare” su quei giorni lontani, luminosi e
contemporaneamente tragici, della resistenza italiana a Trieste.
Ma quelli ancora “presenti” continuano a portare un pensiero e
un saluto a coloro che sono caduti nei combattimenti di quei
giorni, altri morti di stenti nei lager nazisti, altri ancora torturati,
fucilati, infoibati o eliminati nei modi più spietati da una diversa
“dittatura” solamente perché italiani.
Ogni anno, il 30 aprile, gli ultimi di quel CVL di Trieste si trovano
sul Colle di San Giusto, attorno al “simbolo” che porta il nome di
“Masso della Resistenza”, che raccoglie in un’unica memoria
quanti si sono sacrificati per la “Libertà e per la Patria” perché
Trieste rimanesse italiana.
Fabio Forti Reggente
Associazione Volontari Libertà di Trieste
9
CULTURA E LETTERATURA NELLA STORIA E NELLA SOCIETA’
DELL’ETA’ COMUNALE
Qui sopra Simone Martini coglie Guidoriccio da Fogliano mentre
trotterella tra borghi e cinte turrite. In basso Ambrogio
Lorenzetti “fotografa” scene di vita cittadina (entrambi al
Palazzo pubblico di Siena). Sono immagini vive e fresche del
vivere civile all’età dei Comuni, tra il Due e il Trecento, il Basso
Medioevo.
E questo sarà il tempo e il luogo storico del nostro Corso,
avendo l’anno passato percorso quel lungo periodo di
transizione che è stato l’Alto Medioevo dopo le “fratture”
dell’universalitas romana, dalla frammentazione feudale alla
rinascita dell’anno Mille con la ripresa delle Città organizzate
in Comuni autonomi, l’economia di scambio, la nuova classe
borghese mercantile, i nuovi valori e orizzonti dell’agire e del
pensare umano pur entro l’ortodossia tradizionale, le
conquiste artistiche del Romanico e del Gotico, l’assestamento
e l’affermazione della neolingua, l’italiano, che nasce
dialettale ma nello scrivere si farà presto toscano e fiorentino.
Insomma cercheremo di rintracciare le origini e gli sviluppi del
nostro essere Nazione, popolo europeo tra altri popoli con
nostri assetti istituzionali, culturali, artistici, linguistici
Pur non avendo costruito allora – come altri – uno Stato
nazionale.
La metodologia espositiva sarà storicistica ed
interdisciplinare, non presentando le tante storie di solito
espresse da discipline separate e parallele, ma avendo
l’ambizione di cogliere l’INSIEME, l’AMALGAMA – il “sugo”
direbbe il Manzoni – delle varie storie per ricostruire la TRAMA
COMPLESSIVA di quella CIVILTA’. E lo faremo attraverso una
selezione assai eterogenea di contenuti, autori, generi, stili,
scritti in prosa e in versi: dalle cronache di viaggio a quelle
cittadine; dalla novellistica fiabesca a quella realistica; dalla
lirica comico/popolaresca a quella aulica, d’arte; dal
didascalismo sapienziale ai memoriali mercantili. Con al centro
le letture tratte da due testimoni altissimi di quell’età e di
quella società: Dante, con canti dell’Inferno, e Boccaccio, con
novelle del Decameron.
Con queste note di presentazione non vorrei suscitare
perplessità né tantomeno timidezze. Non daremo per scontato
alcun bagaglio culturale a priori. Partiremo tutti assieme ed
assieme procederemo. Il corso, nello spirito statutario della
nostra università, ha come fine primario l’intrattenimento
“utile”. Il passare – voi ed io – un pomeriggio piacevole.
Senza complessità o astrusità, solo chiarezza e semplicità. E
della buona cultura come companatico.
Un buon arrivederci, ogni LUNEDI’ alle ore 16.30.
Giovanni Forni
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Leopoldo II
VITTORIA MUTILATA
Questo articolo, il quarto della serie, chiude il ciclo dedicato alla Grande Guerra
“Vittoria mutilata” è un “grido” , coniato da D’Annunzio, sempre tragicamente Lui, in vista della Conferenza di Pace di Parigi. Rivolgendosi agli italiani ed al mondo manifesta la sua
opposizione ad ogni compromesso che intenda limitare la
portata delle rivendicazioni nazionali. Secondo alcuni storici,
alla base del mito della Vittoria Mutilata vi erano convinzioni
e suggestioni radicate nell’opinione pubblica, sintomi di un
nazionalismo isterico e patriottismo ferito. Si sosteneva,
infatti, che la vittoria italiana fosse qualitativamente migliore
rispetto a quella degli Alleati i quali avrebbero sfruttato il
sacrificio italiano per conseguire i loro fini egoistici,
defraudando l’Italia dalle legittime aspirazioni a Oriente.
In questo clima surriscaldato il Vate si prende tutta la scena e
soffia sul fuoco. Nella sua celebre Lettera ai Dalmati, apparsa
sul “Popolo d’Italia” alla vigilia della Conferenza di Pace,
espone con disarmante brutalità le sue idee: “Il mio confine a Oriente è segnato dalle Alpi Bebie e dalle Alpi Dinariche, che continua le Alpi Giulie. Tutta quella banda di paese, che fu costantemente di origine e di essenza italiana, mi appartiene…”. In un altro suo scritto conclude: “… Quale nazione è più puramente e pienamente vittoriosa dell’Italia? Invece no, non siamo i vincitori, siamo i vinti. Siamo più vinti dei Prussiani”. Comunque, al di là di ogni considerazione sulla
violenza verbale del Poeta, era in parte vero che gli Alleati si
stavano mostrando tutt’altro che ben disposti verso l’Italia,
considerata potenza minore, per giunta scarsamente
affidabile. A Versailles, peraltro, i delegati italiani tenevano
un atteggiamento furbastro e incoerente, con Sonnino
incaponito a reclamare il rispetto del Patto di Londra e
Orlando a insistere sull’annessione di Fiume. I due d'altronde
non erano dei Cavour; la loro diplomazia era priva di una
visione realistica delle mutevoli situazioni che emergevano
durante le trattative.
Quando il Presidente americano Wilson si mette a fare il
cowboy e, con una monumentale gaffe diplomatica, rivolge un
appello direttamente al popolo italiano, la Delegazione
italiana abbandona per protesta il Tavolo, accolta in patria da
trionfali manifestazioni di folla e dalla solidarietà della
stampa. Era , comunque, evidente che quel gesto clamoroso
non avrebbe mutato di una virgola i termini della questione.
Quando dovettero fare una inevitabile umiliante marcia
indietro e tornare a Versailles, furono accolti con fastidiosa
freddezza.
Durante le Radiose giornate di maggio fu la piazza, arruffata
dal Vate, a costringere il paese all’intervento; nel dopoguerra,
con il mito della Vittoria mutilata, fu sempre la piazza
(memento per il presente) a reclamare Fiume e la Dalmazia,
anche se, in Parlamento, interventisti e annessionisti erano in
minoranza.
L’uomo che incarnava questi sentimenti, nello spirito, nella
parola e nell’azione è D’Annunzio il quale, avvertito il clima
favorevole, ultimo garibaldino, grida “disobbedisco” e si
lancia a capofitto nell’impresa di Fiume.
Intanto nell’opinione pubblica la sindrome della Vittoria
Mutilata un po’ alla volta si smorza, anche per il profilarsi di
nuovi conflitti. La Questione Adriatica si risolve un anno dopo
con la firma del Patto di Rapallo: l’Istria all’Italia, la Dalmazia, tranne Zara, alla Jugoslavia, Fiume Città Libera. Con il mito dannunziano della Vittoria Mutilata l’Italia ha
vissuto una stagione cupa e turbolenta, con conseguenze di
lungo termine sulla coesione della società e sulla solidità delle
istituzioni.
Mario Grillandini
La Nike di Samotracia
Gabriele D’Annunzio
Vittorio Emanuele Orlando
Sidney Sonnino
F. Cecotti - IRSMLFVG Woodrow Wilson
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DISOBBEDISCO
Un pregevole cammeo estetico, incastonato in una cornice
storiografica (necessariamente ?) molto scarna.
Un cammeo (anzi un “cameo” , più raro) perché porge reperti,
documenti, testimonianze in modo originale e
immediatamente chiaro, accompagnato da un buon gusto
espositivo, qualità, quest’ultima, non sempre presente in
manifestazioni così mirate a un solo argomento. Ma che
argomento ! L’impresa di Fiume è un argomento singolo, ma
inserito in un contesto vastissimo, da cui l’impressione di
essere di fronte a una storiografia necessariamente stretta,
che non conceda di evincere una “storia” più o meno oggettiva.
Mostra che riguarda azioni scatenate, perlopiù , da passioni
personali , concretizzatesi in un territorio piccolo (Fiume), ma
inserito in un contesto (ormai europeo) molto vasto e
complesso, afflitto da contrastanti pulsioni politiche, sociali e
morali complesse se non ingarbugliate; insomma un evento di
per se’ complicato che, lodevolmente, non ha indotto il
curatore nella tentazione di far sintesi storica (se mai fosse
possibile ), limitandosi a una limitata cronologia di pensieri e
azioni esplicative del tema.
Intorno al personaggio D’Annunzio (letterato, politico, soldato,
giornalista) si sono scritti fiumi di parole e, temo, non si
giungerà’ mai a una sintesi che metta d’accordo se non tutti,
almeno i ...molti: fu gigioneria, grande spirito di marketing e
autopromozione, fu il suo smisurato ego, fu illuso (M in primis)
oppure fu vera fede e ardore eroico a muovere non il poeta,
ma l’uomo D’Annunzio ?
Non credo che mai si potrà dare una sintesi di questi
interrogativi. Paradossalmente , anche la lontananza nel
tempo (cronaca ormai divenuta storia) non aiuta a stabilire
inequivocabilmente perché le cose si siano svolte come si sono
svolte. Un testimone oculare potrebbe contribuire
raccontando, oggi, il suo sentimento di fronte a fatti non
proprio ordinari ; ad esempio, un caro amico, Ufficiale
dell’Esercito, ormai vecchio come me “per antico pelo”, e’
rimasto interdetto nel leggere notizie riportate nei documenti
esposti nella mostra concernenti la apparente facilità di
cambio di campo di truppe e, soprattutto, di alti ufficiali: cosa
certo non usuale nel 2019, ma forse piu’ comprensibile con la
mentalità di quel 1919, nel pieno del guazzabuglio dei
movimenti di pensiero, e dei cambiamenti politici e sociali del
dopoguerra.
Ma questi “distinguo” storici non tolgono nulla al “cameo”
estetico, anzi possono offrire il pretesto per un
approfondimento storiografico personale della questione,
volto non a spiegare il perché di azioni attuali , la cui
connotazione appare chiara, quanto a rendere più evidente la
motivazione di certe scelte ideali del D’Annunzio –
nazionalismo in primis .
In ogni caso mi piace ricordare “la favola bella / che ieri /
t’illuse, che oggi mi illude / o....Gabriel“. Una lirica
capolavoro per un formidabile presagio autobiografico ?
Giuseppe Gerini
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“Uni3TriesteNews” è una pubblicazione della Università della Terza Età “Danilo Dobrina” collegata al sito www.uni3trieste.it
Comitato di redazione: Eugenio Ambrosi (direttore), Mario Grillandini (vice direttore), Luigi Milazzi,
Nicola Archidiacono, Bruno Pizzamei. AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE DI TRIESTE DD.- 10/07/2015 N° 12/2015 E N° 2039/2015 V.G. REGISTRO INFORMATICO.
VAJONT: CATASTROFE ANNUNCIATA
Alle 22:39, mentre a Longarone si sta assistendo alla partita
tra Real Madrid e Rangers Glasgow trasmessa in differita, dal
Monte Toc si stacca un fronte di roccia e detriti lungo 2000
metri, a forma di M, con un perimetro di 2,5 Km, e con un
volume stimabile tra i 260 e 270 milioni di m3 In 20 secondi, ad
una velocità di 30m/s (108 Km/h) la frana raggiunge il lago
sottostante, provocando la formazione di un'ondata di circa 50
milioni metri cubi, alta più di 100 metri, che si propaga in
diverse direzioni: spinta verso l'alto, raggiunge e tocca alcune
abitazioni di Casso, e ricadendo sulla frana, crea il lago di
Massalezza; contemporaneamente, colpisce e distrugge
località nei comuni di Erto e Casso.
La porzione dell'onda, stimabile in 25 milioni di m3, che
raggiunge e scavalca la diga, è quella più distruttiva;
incanalandosi nel canyon del torrente Vajont, in 4 minuti
raggiunge Longarone, posta nel fondo valle a 1600 metri
dall'invaso; un rumore indefinibile, che solo i sopravvissuti
possono ricordare e descrivere, e l’improvviso black-out,
precedono l’arrivo dall’aria compressa, generata dalla forza di
spinta dell’acqua, la cui onda d'urto provoca un effetto
paragonabile a quello della bomba di Hiroshima, vaporizzando
letteralmente persone e cose durante il suo tragitto.
Il susseguente arrivo di uno tsunami, alto una settantina di
metri, rade al suolo la quasi totalità dell’abitato. Perdendo
potenza, sbatte contro la montagna posta alle spalle. Con
un’azione non meno dirompente, l’onda di riflusso, scavando
in direzione opposta alla direzione di spinta, termina l’opera
di devastazione.
Rimangono illesi solamente il municipio e le case poste a nord
di questo.
Dopo appena 6 minuti, alcuni residenti, scappati
miracolosamente al disastro, si mettono già in moto per
prestare i primi aiuti, che consistono nella ricerca ed
estrazione di sopravvissuti, mediante l’utilizzo di pale, ma
spesso a mani nude.
Quasi immediatamente vengono raggiunti e coadiuvati
dall’arrivo dei soccorsi civili e militari presenti nella zona
(Vigili del Fuoco, Croce Rossa, Polizia Stradale, Sevizio
Veterinario, Carabinieri, Alpini)
Allertati da un tam-tam telefonico e radiofonico (i social media
all'epoca ancora non esistono), con non poche difficoltà, dovute
fondamentalmente alla natura del territorio e alla distruzione
delle infrastrutture stradali provocata dal disastro, giungono
nella zona del cratere dell’evento e non esistendo ancora la
Protezione Civile, l’opera di coordinamento risulta alquanto
complicata.
Operando praticamente al buio, se non per l’utilizzo di qualche
fotoelettrica, riescono nell’impresa di estrarre e salvare alcuni
abitanti rimasti intrappolati sotto le macerie. Purtroppo
l’opera nei giorni successivi consisterà nel recupero delle
salme, il cui riconoscimento risulta difficile, se non impossibile
(400 cadaveri risultano tuttora non identificati), a causa delle
lesioni e mutilazioni subite.
Alle prime luci dell’alba, la catastrofe si palesa in tutta la sua
portata.
Ne parleremo a novembre, nel corso di un incontro in cui
saranno approfonditi ed esaminati differenti aspetti e
tematiche e aneddoti su quello che è stato il disastro civile
italiano più catastrofico del secondo dopoguerra, causato dalla
sfida lanciata dall’avidità e brama di profitto dell’uomo: analisi
geografico-morfologica del territorio, storia e cronologia del
progetto e dell’evento, cause della tragedia, i personaggi del
Vajont, le reazioni della stampa, della società e delle
istituzioni, il processo e le sentenze, la memoria culturale del
Vajont.
Daniele Pizzamei
Il sito dopo il disastro La valle del Vajont 1955