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BRIGANTAGGIO 1861: IL SANGUE DEI VINTI (E DEI VINCITORI) A settembre Pontelandolfo, nel Beneventano, è stata dichiarata «città martire» per essere stata incendiata per rappresaglia. E non dai soliti nazisti, ma dall’Esercito del Regno d’Italia, durante le guerre contro il Brigantaggio seguite all’Unità. Un fatto doloroso, ma che va inquadrato nell’epoca e soprattutto non deve far dimenticare che non nacque per semplice «crudeltà piemontese» ma ebbe una ben grave ragione: la strage di 44 militari italiani, massacrati, fatti a pezzi ed esposti come trofei dalle popolazioni locali in rivolta di Sergio Boschiero L o scorso set- tembre il Con- siglio Comu- nale di Pon- telandolfo, caratteristico paese del Be- neventano con poco più di duemila abitanti, si è at- tribuito lo status di «città martire», nel ricordo della dura rappresaglia del Regio Esercito, seguita all’ecci- dio di 44 giovani militari impegnati nella guerra al brigantaggio. Già il 14 agosto, per la commemorazione ufficiale del 150° anniversario della rappresaglia, il Comune ha avuto la partecipazione di Giuliano Amato in veste di Presidente del Comitato dei Garanti per i 150 anni dell’Uni- tà d’Italia e di rappresentante del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Amato, a nome del- la Repubblica Italiana, ha chiesto ufficialmente scusa alla piccola comunità per i fatti del 1861. Ma cosa avvenne davvero 150 anni fa e perché si è voluto un atto pubblico riparatore? Il paese si chiamava e si chiama Pontelandolfo, nell’alto Sannio, in provincia di Benevento. Nel 1861 era punto di ritrovo di briganti. Il 7 agosto 1861, celebrandosi a Pon- telandolfo la Festa di San Donato, patrono locale, il paese si risvegliò con il suono delle campane di tutte le chiese e la processione divenne Il doppio massacro di PONTELANDOLFO STORIA IN RETE | 58 Novembre-Dicembre 2011 59 | STORIA IN RETE Novembre-Dicembre 2011 L’incendio di Pontelandolfo in una stampa dell’epoca per i briganti, accorsi a centinaia, l’attesa occasione per mimetizzarsi fra i fedeli e scatenare l’insurrezio- ne contro lo Stato e le ancor giovani istituzioni unitarie. I Briganti assali- rono gli uffici municipali, la polizia e depredarono le botteghe. Riuscirono così ad annientare la presenza dello Stato e ad impadronirsi del paese. Anche due comuni limitrofi insor- sero: Casalduni e Campolettere. Fu imperativo per le istituzioni, allora, intervenire e, alla guida del luogote- nente Luigi Augusto Bracci, vennero mandati 40 bersaglieri del 36° Reg- gimento e quattro carabinieri per ri- stabilire l’ordine nella zona. I soldati italiani giunsero l’11 agosto 1861 a Pontelandolfo e non trovarono, come ci si poteva aspettare, un paese as- sediato dai briganti ma un villaggio schierato coi briganti in cui la popo- lazione – aizzata anche dal clero lo- cale – accolse i militari attaccandoli. I soldati dovettero ritirarsi nella torre medievale, simbolo di Pontelandolfo. Gli ultimi resti architettonici di un castello edificato nel XIV secolo e di- strutto da un terremoto nel giugno del 1688. Non riuscendo a sostenere la situazione i militari decisero di ri- piegare verso la limitrofa Casalduni, zona a torto ritenuta sicura. Questa scelta fu la loro condanna. Nello spostamento vennero attaccati dai briganti, supportati dai contadini di Pontelandolfo. Gli abitanti di Casal- duni aspettavano imboscati l’arri- vo dei militari e, forti per quantità, ci misero poco ad ottenere la loro resa e ad arrestarli. Poi ebbe inizio il massacro. Soltanto un bersagliere riuscì a fuggire. Gli altri 39 soldati, i quattro carabinieri e il luogotenente Bracci vennero letteralmente fatti a brandelli con una ferocia inaudita. Rendendosi conto della reale situa- zione in cui versavano le zone sulle rive del Cerreto, il 13 agosto giunse- ro a Pontelandolfo e Casalduni – gui- dati dal Colonnello Pier Eleonoro Ne- gri – 400 bersaglieri, commilitoni dei militari massacrati due giorni prima. Lo scenario fu agghiacciante: esposti alle finestre delle case e addi- rittura nella chiesa vi erano i sangui- nanti ricordi a testimonianza dell’ec- cidio perpetrato ai danni dell’Eser- cito. Non si trovarono i cadaveri dei soldati ma solo brandelli di essi. Il tenente Bracci, agonizzante, venne assassinato da una donna che ne sfondò la testa a colpi di pietra per poi essere staccata. Il macabro tro- feo era nella chiesa di Pontelandolfo, infilzato su una croce, orribile ex- voto sanfedista. Era troppo. Dopo la fucilazione di alcuni briganti, venne presa la drastica decisione di dare alle fiamme i due paesi. Il 14 Agosto 1861 tutta l’Irpinia guardò gli altis- simi fumi dell’incendio di Pontelan- dolfo e di Casalduni, i due antichi paesi del Sannio diventati rifugio, malgrado i tanti onesti, dei brigan- ti filo-borbonici e anti-unitari. Era la dura rappresaglia dell’Esercito di fronte al massacro di quasi cinquan- ta giovani soldati della nuova Italia, catturati a tradimento. C’erano fra loro Carabinieri e Bersaglieri che di- fesero la bandiera fino all’ultimo. Il massacro dei nostri militari avvenne a Casalduni ma i soldati fuggivano da Pontelandolfo. Vi fu correità. Scri- ve Carlo Alianello (autore di libri «re- azionari» come «L’Alfiere», «L’eredità della Priora», «I Soldati del Re» – tut- ti caratterizzati da un avvincente sti- le letterario e pieni di passione bor- bonica) ne «La Conquista del Sud» (Rusconi, 1972): «il 7 agosto 1861, a Pontelandolfo, per opera dell’ar- ciprete Epifanio De Gregorio e dei reazionari locali, si fecero le solite cerimonie. Si alzò la bandiera bian- co-gigliata dei Borbone, si bruciò in piazza la bandiera sarda [ quella tri- colore italiana NdR ] e il prete cantò il Te Deum , per festeggiare l’auspi- La targa di Pontelandolfo

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brigantaggio 1861: iL SangUE DEi Vinti (E DEi VinCitori)

A settembre Pontelandolfo, nel Beneventano, è stata dichiarata «città martire» per essere stata incendiata per rappresaglia. E non dai soliti nazisti, ma dall’Esercito del Regno d’Italia, durante le guerre contro il Brigantaggio seguite all’Unità. Un fatto doloroso, ma che va inquadrato nell’epoca e soprattutto non deve far dimenticare che non nacque per semplice «crudeltà piemontese» ma ebbe una ben grave ragione: la strage di 44 militari italiani, massacrati, fatti a pezzi ed esposti come trofei dalle popolazioni locali in rivolta

di Sergio boschiero

L o scorso set-tembre il Con-siglio Comu-nale di Pon-t e l a n d o l f o , caratteristico paese del Be-neventano con

poco più di duemila abitanti, si è at-tribuito lo status di «città martire», nel ricordo della dura rappresaglia del Regio Esercito, seguita all’ecci-dio di 44 giovani militari impegnati

nella guerra al brigantaggio. Già il 14 agosto, per la commemorazione ufficiale del 150° anniversario della rappresaglia, il Comune ha avuto la partecipazione di Giuliano Amato in veste di Presidente del Comitato dei Garanti per i 150 anni dell’Uni-tà d’Italia e di rappresentante del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Amato, a nome del-la Repubblica Italiana, ha chiesto ufficialmente scusa alla piccola comunità per i fatti del 1861. Ma

cosa avvenne davvero 150 anni fa e perché si è voluto un atto pubblico riparatore?

Il paese si chiamava e si chiama Pontelandolfo, nell’alto Sannio, in provincia di Benevento. Nel 1861 era punto di ritrovo di briganti. Il 7 agosto 1861, celebrandosi a Pon-telandolfo la Festa di San Donato, patrono locale, il paese si risvegliò con il suono delle campane di tutte le chiese e la processione divenne

Il doppio massacro di PontELanDoLfo

STORIA IN RETE | 58 Novembre-Dicembre 2011 59 | STORIA IN RETENovembre-Dicembre 2011

L’incendio di Pontelandolfo in una stampa dell’epoca

per i briganti, accorsi a centinaia, l’attesa occasione per mimetizzarsi fra i fedeli e scatenare l’insurrezio-ne contro lo Stato e le ancor giovani istituzioni unitarie. I Briganti assali-rono gli uffici municipali, la polizia e depredarono le botteghe. Riuscirono così ad annientare la presenza dello Stato e ad impadronirsi del paese. Anche due comuni limitrofi insor-sero: Casalduni e Campolettere. Fu imperativo per le istituzioni, allora, intervenire e, alla guida del luogote-nente Luigi Augusto Bracci, vennero mandati 40 bersaglieri del 36° Reg-gimento e quattro carabinieri per ri-stabilire l’ordine nella zona. I soldati italiani giunsero l’11 agosto 1861 a Pontelandolfo e non trovarono, come ci si poteva aspettare, un paese as-sediato dai briganti ma un villaggio schierato coi briganti in cui la popo-lazione – aizzata anche dal clero lo-cale – accolse i militari attaccandoli. I soldati dovettero ritirarsi nella torre medievale, simbolo di Pontelandolfo. Gli ultimi resti architettonici di un castello edificato nel XIV secolo e di-strutto da un terremoto nel giugno del 1688. Non riuscendo a sostenere la situazione i militari decisero di ri-piegare verso la limitrofa Casalduni, zona a torto ritenuta sicura. Questa scelta fu la loro condanna. Nello spostamento vennero attaccati dai briganti, supportati dai contadini di Pontelandolfo. Gli abitanti di Casal-duni aspettavano imboscati l’arri-

vo dei militari e, forti per quantità, ci misero poco ad ottenere la loro resa e ad arrestarli. Poi ebbe inizio il massacro. Soltanto un bersagliere riuscì a fuggire. Gli altri 39 soldati, i quattro carabinieri e il luogotenente Bracci vennero letteralmente fatti a brandelli con una ferocia inaudita. Rendendosi conto della reale situa-zione in cui versavano le zone sulle rive del Cerreto, il 13 agosto giunse-ro a Pontelandolfo e Casalduni – gui-dati dal Colonnello Pier Eleonoro Ne-gri – 400 bersaglieri, commilitoni dei militari massacrati due giorni prima.

Lo scenario fu agghiacciante: esposti alle finestre delle case e addi-rittura nella chiesa vi erano i sangui-nanti ricordi a testimonianza dell’ec-cidio perpetrato ai danni dell’Eser-cito. Non si trovarono i cadaveri dei soldati ma solo brandelli di essi. Il tenente Bracci, agonizzante, venne assassinato da una donna che ne

sfondò la testa a colpi di pietra per poi essere staccata. Il macabro tro-feo era nella chiesa di Pontelandolfo, infilzato su una croce, orribile ex-voto sanfedista. Era troppo. Dopo la fucilazione di alcuni briganti, venne presa la drastica decisione di dare alle fiamme i due paesi. Il 14 Agosto 1861 tutta l’Irpinia guardò gli altis-simi fumi dell’incendio di Pontelan-dolfo e di Casalduni, i due antichi paesi del Sannio diventati rifugio, malgrado i tanti onesti, dei brigan-ti filo-borbonici e anti-unitari. Era la dura rappresaglia dell’Esercito di fronte al massacro di quasi cinquan-ta giovani soldati della nuova Italia, catturati a tradimento. C’erano fra loro Carabinieri e Bersaglieri che di-fesero la bandiera fino all’ultimo. Il massacro dei nostri militari avvenne a Casalduni ma i soldati fuggivano da Pontelandolfo. Vi fu correità. Scri-ve Carlo Alianello (autore di libri «re-azionari» come «L’Alfiere», «L’eredità della Priora», «I Soldati del Re» – tut-ti caratterizzati da un avvincente sti-le letterario e pieni di passione bor-bonica) ne «La Conquista del Sud» (Rusconi, 1972): «il 7 agosto 1861, a Pontelandolfo, per opera dell’ar-ciprete Epifanio De Gregorio e dei reazionari locali, si fecero le solite cerimonie. Si alzò la bandiera bian-co-gigliata dei Borbone, si bruciò in piazza la bandiera sarda [quella tri-colore italiana NdR] e il prete cantò il Te Deum, per festeggiare l’auspi-La targa di Pontelandolfo