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Per una Chiesa Viva www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno V- N. 11 – Dicembre 2009 Domenica 29 novembre abbiamo inizia- to il nuovo anno liturgico della Chiesa, da vivere con Dio. Se sapremo viverlo nella gioia di chi sa di essere amato da Dio, salvato da Gesù, l’Unigenito Figlio di Dio, mandato dal Padre per la salvezza di tutti gli uomini; di appartenere alla Chiesa che è la fami- glia di Dio; chi vive in comunione con Dio Padre e con tutti gli uomini fratelli: un cristiano maturo, adulto nella fede coltivata con l’ascolto devo- to della Parola di Dio, abbondantemente proclama- ta nel nostro tempo e diffusa con tutti i mezzi della mo- derna tecnologia; un cristia- no siffatto è nelle condizioni migliori di poter sperimen- tare la grazia e la fortuna di scandire i giorni e le ore dell’anno sempre in comu- nione con Dio, che in Gesù si è definito:l’Emmanuele, Dio con noi. E’la divina e ineffabile realtà di cui pos- siamo godere quando nei Riti Sacramen- tali delle azioni liturgiche celebriamo il mistero di Cristo, unico nostro Salvato- re, rievocandone le varie fasi della vita terrena: -l’attesa -la nascita nel tempo – la Pasqua di passione,morte e resurre- zione, mentre nella ferma speranza atten- diamo il suo ritorno glorioso alla fine della storia. Come uomini credenti, di- scepoli di Cristo, consapevoli del dono di aver scoperto il volto di Dio Padre di tutti gli uomini che si è reso presente in Gesù di Nazaret, e ancora oggi, in ogni tempo e in ogni luogo, e in modo specia- le, nella Divina Liturgia, quando cele- briamo i misteri della nostra fede, incon- triamo Gesù, il Vivente, il Risorto, il nostro Dio. Dalla Liturgia, infatti, fonte e culmine della fede, possiamo attingere l’energia necessaria di cui quotidiana- mente abbiamo bisogno per rafforzare il nostro legame con Cristo, vivere costan- temente in Lui e per Lui, divenire capaci di seguirlo fedelmente nei passi della sua vita; e adempiere coraggiosamente la missione da Lui affidataci: essere suoi testimoni credibili nel tempo della sto- ria. La partecipazione assidua alle azioni liturgiche della chiesa e la liturgia vissuta intensamente ci svela il senso della no- stra vita e ci fa rivivere ogni anno la sto- ria della nostra salvezza. L'«Anno Liturgi- co» compreso e ben vissuto diventa il filo conduttore della vita di ogni autenti- co discepolo di Cristo che di settimana in settimana, di domenica in domenica, nutren- dosi della Parola di Dio e del Corpo di Cristo alla mensa Eucaristica, cresce nella dimensio- ne dell’uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella santità e rigenerato col Sa- cramento del Battesimo. Nella Domenica come in ogni Festa dell’anno Liturgico noi ci riuniamo in Assemblea per rifonda- re le nostre radici e vedere la nostra sto- ria come il dipanarsi del progetto d’amore di Dio e il compiersi della salvezza. Radunandoci nel «Giorno del Signore», la Domenica, e Incontrandolo nei Segni Sacramentali della Parola, del Pane Spez- zato e dell’Assemblea dei credenti, la Chiesa, impariamo a vivere da figli di Dio e uomini nuovi, sapendo di trovarci dentro una storia di allean- za con Dio attraverso Cristo nello Spirito Santo. Di per sé ogni festa porta con sé la memoria di un even- to gioioso già avvenuto, i grandi eventi della vita di Gesù e della sua Chiesa ; ma porta con sé un «oggi» che trasforma la nostra vita. È questo che deve spingerci a par- tecipare alla Liturgia della Chie- sa,soprattutto alla Eucaristia Dome- nicale: a «non disertare le nostre riunioni» come ammonisce l’autore della lettera agli ebrei: “Avendo dunque, fratelli, piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, 20 per questa via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne; 21 avendo noi un sacerdote grande sopra la casa di Dio, 22 accostiamoci con cuore sincero nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. 23 Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso. Cerchia- mo anche di stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone, 25 senza disertare le nostre riunioni, come alcuni hanno l'abitudine di fare, ma invece esortandoci a vicenda; tanto più che potete vedere come il giorno si avvici- na.” (Eb 10,19-25). Don Giuseppe Imperato Come vivere l’Anno Liturgico P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

Incontro Dicembre 2009

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Don Giuseppe Imperato Anno V- N. 11 – Dicembre 2009 PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO triamo Gesù, il Vivente, il Risorto, il nostro Dio. Dalla Liturgia, infatti, fonte e culmine della fede, possiamo attingere l’energia necessaria di cui quotidiana- mente abbiamo bisogno per rafforzare il nostro legame con Cristo, vivere costan- temente in Lui e per Lui, divenire capaci di seguirlo fedelmente nei passi della sua vita; e adempiere coraggiosamente la PAGINA 2 PAGINA 3 PAGINA 4

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Per una Chiesa Viva

www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno V- N. 11 – Dicembre 2009

Domenica 29 novembre abbiamo inizia-to il nuovo anno liturgico della Chiesa, da vivere con Dio. Se sapremo viverlo nella gioia di chi sa di essere amato da Dio, salvato da Gesù, l’Unigenito Figlio di Dio, mandato dal Padre per la salvezza di tutti gli uomini; di appartenere alla Chiesa che è la fami-glia di Dio; chi vive in comunione con Dio Padre e con tutti gli uomini fratelli: un cristiano maturo, adulto nella fede coltivata con l’ascolto devo-to della Parola di Dio, abbondantemente proclama-ta nel nostro tempo e diffusa con tutti i mezzi della mo-derna tecnologia; un cristia-no siffatto è nelle condizioni migliori di poter sperimen-tare la grazia e la fortuna di scandire i giorni e le ore dell’anno sempre in comu-nione con Dio, che in Gesù si è definito:l’Emmanuele, Dio con noi. E’la divina e ineffabile realtà di cui pos-siamo godere quando nei Riti Sacramen-tali delle azioni liturgiche celebriamo il mistero di Cristo, unico nostro Salvato-re, rievocandone le varie fasi della vita terrena: -l’attesa -la nascita nel tempo – la Pasqua di passione,morte e resurre-zione, mentre nella ferma speranza atten-diamo il suo ritorno glorioso alla fine della storia. Come uomini credenti, di-scepoli di Cristo, consapevoli del dono di aver scoperto il volto di Dio Padre di tutti gli uomini che si è reso presente in Gesù di Nazaret, e ancora oggi, in ogni tempo e in ogni luogo, e in modo specia-le, nella Divina Liturgia, quando cele-briamo i misteri della nostra fede, incon-

triamo Gesù, il Vivente, il Risorto, il nostro Dio. Dalla Liturgia, infatti, fonte e culmine della fede, possiamo attingere l’energia necessaria di cui quotidiana-mente abbiamo bisogno per rafforzare il nostro legame con Cristo, vivere costan-temente in Lui e per Lui, divenire capaci di seguirlo fedelmente nei passi della sua vita; e adempiere coraggiosamente la

missione da Lui affidataci: essere suoi testimoni credibili nel tempo della sto-ria. La partecipazione assidua alle azioni liturgiche della chiesa e la liturgia vissuta intensamente ci svela il senso della no-stra vita e ci fa rivivere ogni anno la sto-ria della nostra salvezza. L'«Anno Liturgi-co» compreso e ben vissuto diventa il filo conduttore della vita di ogni autenti-co discepolo di Cristo che di settimana in settimana, di domenica in domenica, nutren-dosi della Parola di Dio e del Corpo di Cristo alla mensa Eucaristica, cresce nella dimensio-ne dell’uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella santità e rigenerato col Sa-cramento del Battesimo. Nella Domenica come in ogni Festa dell’anno Liturgico noi ci riuniamo in Assemblea per rifonda-

re le nostre radici e vedere la nostra sto-ria come il dipanarsi del progetto d ’ a m o r e d i D i o e i l c o m p i e r s i d e l l a s a l v e z z a . Radunandoci nel «Giorno del Signore», la Domenica, e Incontrandolo nei Segni Sacramentali della Parola, del Pane Spez-zato e dell’Assemblea dei credenti, la Chiesa, impariamo a vivere da figli di

Dio e uomini nuovi, sapendo di trovarci dentro una storia di allean-za con Dio attraverso Cristo nello Spirito Santo. Di per sé ogni festa porta con sé la memoria di un even-to gioioso già avvenuto, i grandi eventi della vita di Gesù e della sua Chiesa ; ma porta con sé un «oggi» che trasforma la nostra vita. È questo che deve spingerci a par-tecipare alla Liturgia della Chie-sa,soprattutto alla Eucaristia Dome-nicale: a «non disertare le nostre riunioni» come ammonisce l’autore della lettera agli ebrei:

“Avendo dunque, fratelli, piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, 20per questa via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne; 21avendo noi un sacerdote grande sopra la casa di Dio, 22accostiamoci con cuore sincero nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. 23Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso. Cerchia-mo anche di stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone, 25senza disertare le nostre riunioni, come alcuni hanno l'abitudine di fare, ma invece esortandoci a vicenda; tanto più che potete vedere come il giorno si avvici-na.” (Eb 10,19-25).

Don Giuseppe Imperato

Come vivere l’Anno Liturgico

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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La speranza segna il cammino dell'umanità, ma per i cristiani essa è animata dalla certez-za che Dio è presente e ci accompagna. Lo ha sottolineato Benedetto XVI presiedendo i pri-mi vespri della prima domenica di Avvento, sabato pomeriggio 28 novembre, nella basilica Vaticana. Cari fratelli e sorelle, con questa celebrazione vespertina en-triamo nel tempo liturgico dell'Avvento. Nella lettura biblica che abbiamo appena ascoltato, tratta dalla Prima Lettera ai Tessa-lonicesi, l'apostolo Paolo ci invita a prepa-rare la "venuta del Signore nostro Gesù Cristo" (5, 23) conservandoci irreprensi-bili, con la grazia di Dio. Paolo usa pro-prio la parola "venuta", Parusìa, in latino adventus, da cui il termine Avvento. Riflettiamo brevemente sul significato di questa parola, che può tradursi con "presenza", "arrivo", "venuta". Nel lin-guaggio del mondo antico era un termine tecnico utilizzato per indicare l'arrivo di un funzionario, la visita del re o dell'im-peratore in una provincia. Ma poteva indicare anche la venuta della divinità, che esce dal suo nascondimento per ma-nifestarsi con potenza, o che viene cele-brata presente nel culto. I cristiani adot-tarono la parola "avvento" per esprimere la loro relazione con Gesù Cristo: Gesù è il Re, entrato in questa povera "provincia" denominata terra per rende-re visita a tutti; alla festa del suo avvento fa partecipare quanti credono in Lui, quanti credono nella sua presenza nell'as-semblea liturgica. Con la parola adventus si intendeva sostanzialmente dire: Dio è qui, non si è ritirato dal mondo, non ci ha lasciati soli. Anche se non lo possiamo vedere e toccare come avviene con le realtà sensibili, Egli è qui e viene a visi-tarci in molteplici modi. Il significato dell'espressione "avvento" comprende quindi anche quello di visita-tio, che vuol dire semplicemente e pro-priamente "visita"; in questo caso si trat-ta di una visita di Dio: Egli entra nella mia vita e vuole rivolgersi a me. Tutti facciamo esperienza, nell'esistenza quoti-diana, di avere poco tempo per il Signore e poco tempo pure per noi. Si finisce per essere assorbiti dal "fare". Non è forse

vero che spesso è proprio l'attività a pos-sederci, la società con i suoi molteplici interessi a monopolizzare la nostra atten-zione? Non è forse vero che si dedica molto tempo al divertimento e a svaghi di vario genere? A volte le cose ci "travolgono". L'Avvento, questo tempo liturgico forte che stiamo iniziando, ci invita a sostare in silenzio per capire una presenza. È un invito a comprendere che i singoli eventi della giornata sono cenni che Dio ci rivolge, segni dell'attenzione che ha per ognuno di noi. Quanto spesso

Dio ci fa percepire qualcosa del suo amo-re! Tenere, per così dire, un "diario inte-riore" di questo amore sarebbe un com-pito bello e salutare per la nostra vita! L'Avvento ci invita e ci stimola a contem-plare il Signore presente. La certezza della sua presenza non dovrebbe aiutarci a vedere il mondo con occhi diversi? Non dovrebbe aiutarci a considerare tutta la nostra esistenza come "visita", come un modo in cui Egli può venire a noi e di-ventarci vicino, in ogni situazione? Altro elemento fondamentale dell'Av-vento è l'attesa, attesa che è nello stesso tempo speranza. L'Avvento ci spinge a capire il senso del tempo e della storia come "kairós", come occasione favorevo-le per la nostra salvezza. Gesù ha illustra-to questa realtà misteriosa in molte para-bole: nel racconto dei servi invitati ad attendere il ritorno del padrone; nella

parabola delle vergini che aspettano lo sposo; o in quelle della semina e della mietitura. L'uomo, nella sua vita, è in costante attesa: quando è bambino vuole crescere, da adulto tende alla realizzazio-ne e al successo, avanzando nell'età, aspi-ra al meritato riposo. Ma arriva il tempo in cui egli scopre di aver sperato troppo poco se, al di là della professione o della posizione sociale, non gli rimane nient'al-tro da sperare. La speranza segna il cam-mino dell'umanità, ma per i cristiani essa è animata da una certezza: il Signore è presente nello scorrere della nostra vita, ci accompagna e un giorno asciugherà anche le nostre lacrime. Un giorno, non lontano, tutto troverà il suo compimento nel Regno di Dio, Regno di giustizia e di pace. Ma ci sono modi molto diversi di attendere. Se il tempo non è riempito da un presente dotato di senso, l'attesa ri-schia di diventare insopportabile; se si aspetta qualcosa, ma in questo momento non c'è nulla, se il presente cioè rimane vuoto, ogni attimo che passa appare esa-geratamente lungo, e l'attesa si trasforma in un peso troppo grave, perché il futuro rimane del tutto incerto. Quando invece il tempo è dotato di senso, e in ogni i-stante percepiamo qualcosa di specifico e di valido, allora la gioia dell'attesa rende il presente più prezioso. Cari fratelli e sorelle, viviamo intensamente il presente dove già ci raggiungono i doni del Signo-re, viviamolo proiettati verso il futuro, un futuro carico di speranza. L'Avvento cristiano diviene in questo modo occasio-ne per ridestare in noi il senso vero dell'attesa, ritornando al cuore della no-stra fede che è il mistero di Cristo, il Messia atteso per lunghi secoli e nato nella povertà di Betlemme. Venendo tra noi, ci ha recato e continua ad offrirci il dono del suo amore e della sua salvezza. Presente tra noi, ci parla in molteplici modi: nella Sacra Scrittura, nell'anno liturgico, nei santi, negli eventi della vita quotidiana, in tutta la creazione, che cambia aspetto a seconda che dietro di essa ci sia Lui o che sia offuscata dalla nebbia di un'incerta origine e di un in-certo futuro. A nostra volta, noi possia-mo rivolgergli la parola, presentargli le

L'attesa di Dio dà senso al presente

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PAGINA 3 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA sofferenze che ci affliggono, l'impazienza, le domande che ci sgorgano dal cuore. Siamo certi che ci ascolta sempre! E se Gesù è presente, non esiste più alcun tempo privo di senso e vuoto. Se Lui è presente, possiamo continuare a sperare anche quando gli altri non possono più assicurarci alcun sostegno, anche quando i l presen te di ven ta fatic oso. Cari amici, l'Avvento è il tempo della presenza e dell'attesa dell'eterno. Proprio per questa ragione è, in modo particola-re, il tempo della gioia, di una gioia inte-riorizzata, che nessuna sofferenza può cancellare. La gioia per il fatto che Dio si è fatto bambino. Questa gioia, invisibil-mente presente in noi, ci incoraggia a camminare fiduciosi. Modello e sostegno di tale intimo gaudio è la Vergine Maria, per mezzo della quale ci è stato donato il Bambino Gesù. Ci ottenga Lei, fedele discepola del suo Figlio, la grazia di vive-re questo tempo liturgico vigilanti e ope-rosi nell'attesa. Amen!

Benedetto XVI ESORTAZIONE

DELL’ARCIVESCOVO PER L’ANNO SACERDOTALE

“Cari fedeli, permettete di indirizzare an-che a Voi un pensiero accorato in questo anno sacerdotale in cui ci stringiamo intor-no ai nostri presbiteri con particolare affet-to ed ammirazione. Non si può parlare di presbiteri senza parlare dei laici e non si può parlare dei laici senza riferirsi ai pre-sbiteri: i documenti conciliari e magisteriali sono molto espliciti al riguardo. Anche voi, in ragione della consacrazione battesimale, esercitate il sacerdozio, quello comune, perché ogni attimo della vostra vita sia vissuto sotto lo sguardo provvidente del Signore e a lui sappiate incessantemente innalzare la lode e l’invocazione del suo aiuto. Siete chiamati a immergere ogni azione nell’amore divino e a trasformare l’intera esistenza nel ‘culto spirituale’: cioè a vivere la vita come un’unica e grande celebrazione dell’amore di Dio che è in mezzo a noi. Per poter vivere con fedeltà il vostro sacerdozio comune, Cristo ha voluto il sacerdozio ministeriale, proprio dei dia-coni, dei presbiteri e dei vescovi: “Il sacer-dozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque dif-feriscano essenzialmente e non solo di gra-do, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell'unico sacerdozio di

Cristo. Il sacerdote ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacri-ficio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concorrono all'offerta dell'Eucaristia, ed esercitano il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringrazia-mento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e la carità operosa” Questo legame sacramentale tra laici e presbiteri ci stimola a rendere più saldi tali rapporti, spesso in tensione o intrisi di polemica sui ruoli o sulle competenze all’interno del cammino ecclesiale. Vi invito a sentirvi vicini ai sacerdoti, con l’affetto, la stima e la docilità propria del gregge al suo pastore. “Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini,viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. In tal modo egli è in grado di sentire giusta com-passione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore,essendo anch'egli rivestito di debolezza; proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i pec-cati, come lo fa per il popolo" ho inteso riportare per intero questa pericope biblica perché siamo in grado di conoscere meglio la reale figura del presbitero per apprezzar-la e comprenderla in qualsiasi risvolto di vita essa viene a trovarsi. Il presbitero non

appartiene ad una casta privilegiata o ad una categoria superiore di uomini; non è scelto perché è migliore degli altri, ma semplicemente perché Dio lo vuole e lo chiama a questo, concedendogli la grazia necessaria per adempiere questo ministero. Pur con tutti i suoi limiti umani, caratteria-li, il presbitero, debole tra i deboli, ma rivestito della grazia del sacramento dell'Ordine, resta un dono di Dio alla sua Chiesa, capace di mostrare la compassione e la tenerezza di Dio, nella verità e nella fatica pastorale.Cari laici, vi invito a rinno-vare e a promuovere affetto per i vostri presbiteri: ascoltateli, amateli, perdonateli nei momenti di fragilità, stategli vicino, pregate per la loro fedeltà alla missione a

cui Cristo li chiama, sappiate proteggerli dalle chiacchiere che offuscano la realtà del loro ministero; sentiteli come i preti di tutti e per tutti, senza offuscare o restringe-re mai questo loro totale raggio di azione con gelose manifestazioni affettive; siate corresponsabili con ciascuno di loro nell’opera evangelizzatrice della Chiesa e vicini anche con l’aiuto tangibile nelle loro necessità umane; imparate sempre più a condividere le loro gioie e le loro sofferen-ze, con le quali, insieme a voi, si spendono per rendere la Chiesa una casa aperta a tutti e al servizio di tutti. "Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, mori-remmo: non di spavento, ma di amore... Senza il prete la morte e la passione di No-stro Signore non servirebbero a niente. È il prete che continua l’opera della Redenzio-ne sulla terra... Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti: è lui che apre la porta; egli è l’economo del buon Dio; l’amministratore dei suoi beni... Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie... Il prete non è prete per sé, lo è per voi": queste parole del Santo Curato servano ad avvalorare il mio invito. Su questo fronte tanto confido nel particolare impegno orante delle suore claustrali, Clarisse e Redentoriste, presenti nella nostra Arcidiocesi. Un pensiero va anche a tutti i catechisti perché, nei loro incontri con i fanciulli, i giovani e gli adulti, non dimentichino di formare coscienze cristiane capaci di comprendere il senso e l’identità della missione propria del sacer-dote. Vi invito, inoltre, cari laici, a non tralasciare la preghiera e la cura per le vo-cazioni. “Il dovere di dare incremento alle vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comu-nità cristiana”. Oggi i ministri del Vangelo numericamente non bastano, perché dimi-nuiscono i loro quadri statistici, e perché crescono i campi aperti al loro lavoro. La Chiesa sa – ammoniva Paolo VI - che i gio-vani hanno ancora l’udito buono ad inten-dere la sua voce. È la voce che invita alle cose difficili, alle cose eroiche, alle cose vere. È la voce umile e penetrante di Cri-sto, che dice, oggi come ieri, più di ieri: Vieni! Sappiate, con la vostra laboriosità e testimonianza, creare quelle condizioni necessarie al fiorire delle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa e di sostenerle nei modi che potranno esservi richiesti.” Dalla Lettera Pastorale: “Per una fedeltà più grande” di Mons. Orazio Soricelli

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Che cosa mettiamo in cornice? In cornice mettiamo l’arte, sia idealmente, perché rimane una delle massime espressioni del genio umano, sia materialmente. Sono protetti e valorizzati da una cornice gli antichi, preziosi quadri di Masaccio come le moderne opere di Andy Warhol. D’altronde, l’arte è un fenomeno univer-sale ed eterno; non è un’affermazione indiscutibile? Non esattamente. Cercherò di orientare i nostri lettori verso una semplice discus-sione critica sulla modalità dell’agire u-mano che abbiamo chiamato “arte”, con particolare riferimento al fenomeno este-tico come viene oggi percepito e valuta-to. Innanzitutto, è vero che l’arte è uni-versale? Certo, ma solo nel senso che è antica quanto l’uomo e non legata ad alcun ambiente o Paese in particolare. Sono esistiti (ed esistono ancora in alcune remote zone del globo!) gruppi umani che ignorano l’abbigliamento e persino la costruzione di un’abitazione, ma che, nondimeno, hanno sviluppato delle for-me d’arte, sia pure rudimentali. Detto questo, non dobbiamo cadere nell’equivoco di considerare l’arte (nelle sue varie espressioni: pittura, musica, danza ecc.) come una lingua a tutti intel-legibile. In questo senso, l’arte non è “universale”. Un quadro di Van Gogh o di Goya, che la critica occidentale celebra come assoluti capolavori, possono appari-re come degli sgorbi a membri di altre culture. E la musica di Ludwig Van Bee-thoven potrebbe risultare una sgradevole accozzaglia di suoni per chi è abituato alle melodiose armonie orientali. E’ eterna, l’arte? Istintivamente siamo portati a rispondere in modo affermativo. Se l’arte è il sistema che riflette l’esperienza este-tica della realtà, come può avere una fine? E’ stata concepita come esaltazione del sentimento della vita (Nietzsche), coscienza intuitiva (Croce), liberazione dal bisogno e dal dolore (Schopenhauer): come potremo mai separarcene? Ma l’arte non è un’entità metafisica, è una modalità dell’agire umano; dunque, è plausibile pensare che possa avere una fine storica, alla pari di altri fenomeni creati dal genio dell’uomo. Quante volte abbiamo sentito parlare e dibattere sul

tema della “morte dell’arte”? Fu Hegel a introdurre, esattamente due-cento anni fa, questa delicata questione. In realtà, il filosofo tedesco non sostiene affatto la “morte” dell’arte. Hegel è con-vinto che l’arte, pur essendo ancora ri-spettata e degna di ammirazione, sia ina-deguata ad esprimere la complessa spiri-tualità moderna. Solo l’arte classica ha realizzato una perfetta fusione tra forma sensibile e contenuto spirituale; l’arte moderna, invece, ha bisogno del medium della riflessione perché si possa ricono-scerne il senso e la funzione. Dunque, essa non è più in grado di incarnare l’interiorità spirituale; questo compito, nel mondo moderno, è svolto più ade-

guatamente dalla filosofia, che rappresen-ta il superamento dell’arte. Gli annunci della “morte dell’arte” sono riecheggiati altre volte, dal tempo di Hegel. Nella 2^ metà del Novecento, una posizione mol-to forte, in tal senso, fu assunta da Giulio Carlo Argan. Il grande storico dell’arte attribuiva la morte dell’arte, che conside-rava imminente, a una rivolta morale. In primis, affermava, in una società capace di concepire i campi di sterminio, il ge-nocidio, la bomba atomica, non possono simultaneamente prodursi atti creativi. Inoltre, la nostra è una società di consu-mi, e perciò incompatibile con l’esperienza estetica: in tutto il corso della sua storia, l’arte ha rappresentato un valore di cui si fruisce, ma che non viene consumato. A distanza di due secoli dal pensiero di Hegel, e di decenni da quello di Argan, non registriamo nessuna “morte” dell’arte. Forse lo stesso Argan ebbe modo di percepire l’azzardo della

sua tesi: quasi contemporaneamente ai suoi annunci funebri, nascevano movi-menti e tendenze artistiche in dichiarata opposizione al consumismo e alla merci-ficazione dell’arte. Certo, anche il citta-dino comune è in grado di avvertire la crisi della concezione classica di arte, e l’assenza di personalità capaci di iniziare una scuola, di dettare dei canoni, di crea-re capolavori universalmente riconosciuti come tali. Ma a fronte di accelerazioni troppo brusche, e di momenti di difficol-tà e disorientamento, l’arte ha sempre saputo recuperare le forme espressive della tradizione, fondendole con le nuove istanze. E’ un fatto che mai, come nell’epoca della sua “morte”, l’arte si è trovata immersa nel mondo della vita. Nuove fenomenologie estetiche sono entrate nel quotidiano: il mondo delle immagini, il design tecnico, le elabora-zioni digitali, le creazioni della moda. Il mondo è divenuto un’esposizione perma-nente di forme di ogni genere e tipologia. Ma è proprio una tale proliferazione a indurre una domanda fondamentale: co-stituiscono ancora arte, queste forme? Nessuno può negare che l’enorme lavoro di elaborazione del mondo dell’immagine abbia significato l’avvento di scenari e strutture nate al limite (o addirittura al di fuori) del controllo dell’arte. La produ-zione di immagini non è più un risultato esclusivo dell’atto creativo umano, per-ché le tecniche digitali sono giunte a un tale livello di elaborazione da poter rea-lizzare immagini del tutto analoghe a quelle prodotte dell’uomo. Inoltre, spes-so l’autore dà forma alle cose senza che alla base ci sia un’effettiva progettualità artistica, senza alcuna dichiarazione di volontà di aderire (o disobbedire) a valori e canoni estetici. La conseguenza è che diventa sempre più difficile separare l’arte da ciò che arte non è. E’ in questo contesto che si gioca l’odierno ruolo del fenomeno artistico. Ma non ci sarà alcuna morte dell’arte, per il semplice motivo che l’arte, come la filosofia e la letteratu-ra, non è un’attività che possa avere una fine. Forse non avremo più artisti che operano per l’eternità, ma artisti che, nella loro epoca, sanno comunicare emo-zioni; e tanto basta. I veri rischi, semmai,

IN CORNICE METTIAMO L’AMORE

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sono altrove. Innanzitutto, le nuove for-me estetiche sono spesso dettate dall’establishment; in questo modo, è inevitabile che l’arte perda la capacità di denuncia critica dell’ordine stabilito, diventando strumento dei nuovi poteri. stabilito, diventando strumento dei nuovi poteri. L’arte, per essere tale, non potrà mai rinunciare ad andare oltre l’abbellimento, a farsi veicolo - come pensava Foucault - di cinismo, di irruzione dello scomodo, di ciò che sta in basso. E’ l’elemento che ha permesso all’arte mo-derna, a partire dal XIX secolo, di rifiuta-re le forme acquisite, di opporsi al con-formismo della cultura creando nuova cultura. L’altro pericolo è l’attuale modus vivendi, la modernità liquida di cui parla Zygmunt Bauman. Il nostro è un mondo che tende all’omologazione, alla perfezione, al controllo spietato di ciò che siamo e di ciò che facciamo. Ma già nel secolo scorso, il grande Robert Musil avvertiva: “Non sai dunque che ogni for-ma di vita perfetta sarebbe la fine dell’arte?”. Ecco dunque il vero nemico: la mera estetizzazione di ogni cosa, con la conseguente eliminazione dell’elementare, del difforme, dell’alterità. Ascoltiamo sempre Musil: “…e solo nel mare dell’amore il concetto della perfezione, non più suscettibile di gradazione, e quello della bellezza, fon-dato sulla gradazione, diventano una cosa sola”. E’ una considerazione che riecheg-gia quella di Thomas Mann nelle Conside-razioni di un impolitico: “Quel che invita ad amare, ad esercitare l’arte, è proprio questa splendida contraddizione per cui l’arte è al tempo stesso conforto e giudi-ce inesorabile, lode e celebrazione della vita – in quanto la ricrea amorosissima-mente – e distruzione totale della vita stessa con le armi della critica e della morale”. Arte come amore per la vita e per la bellezza del Creato. Il mondo salvato dalla bellezza, come scrisse Dostoevskij. Alla fine, torniamo al principio: non c’è nulla senza amore, perché l’amore è il principio dell’universo. Dinanzi a certe creazioni umane, di ieri come di oggi, sentiamo la vibrazione dell’Assoluto, sentiamo che è impossibile separarle da un atto d’Amore. E’ questa la cosa che continueremo a mettere in cornice: ciò che nasce per amore. E lo facciamo, in verità, tutti i giorni, nelle scelte più deli-

cate come nelle piccole incombenze quo-tidiane. Infatti, anche negli ambienti ne-gletti e degradati, anche nelle case dove non esiste un solo libro, dove sulle pareti non compare neppure un acquerello, neppure uno sgorbio di quadro, c’è qual-cosa che occupa, sul mobile più impor-tante, il posto centrale: è una cornice, e dentro ci sono gli amori di una vita, le care e struggenti immagini del nostro papà, della nostra mamma.

Armando Santarelli BENEDETTO XVI CI INVITA A

CONOSCERE E STUDIARE I GRANDI AUTORI MEDIEVALI

Giovanni Climaco e Beda il Venerabile

Nell’anno liturgico appena trascorso Be-nedetto XVI ha tenuto una serie di cate-chesi su personaggi, momenti particolari e linguaggi artistici, che hanno caratteriz-zato uno dei periodi più controversi della civiltà europea e non solo: il Medioevo. Attraverso un percorso che oggi voglia-mo far cominciare con Giovanni Climaco e Beda il Venerabile, seguiremo il cam-mino compiuto dal Santo Padre negli incontri settimanali con i pellegrini giunti in Piazza San Pietro. Nell’opinione comune la civiltà medieva-le — ha osservato Paolo Delogu – “ è spesso considerata l’opposto di tutti i valori che sono alla base della coscienza e del costume moderni”. Tradizionalismo, autoritarismo culturale, gerarchizzazione della società; tutti fenomeni che hanno costituito per lungo tempo un motivo di rifiuto del periodo storico. Tuttavia, lo storico evidenziava come nel giudizio culturale dei nostri giorni si coglie anche una viva curiosità per i suoi aspetti “antimoderni”: la fede religiosa e le cre-denze, il primitivismo sociale, una socie-tà semplice, animata da una forte e unita-ria ispirazione ideologica. Ma non solo. Il medioevo è il tempo storico in cui si è costruita un identità che il mondo mo-derno ha contestato e distrutto, un’epoca in cui era possibile un dialogo e un con-trasto tra fede e ragione, tra Chiesa e Impero, tra cultura su Dio e cultura sull’uomo; uno spazio vitale – ha scritto Claudio Leonardi – “in cui la mistica po-teva convivere con la filosofia.” Tutto ciò attraverso il grosso contributo che scrittori e pensatori hanno apportato alla cultura e agli studi teologici e filosofi-

ci. E da queste premesse che il Papa, a partire dall’11 febbraio scorso, sta per-correndo un viaggio storico-letterario che abbraccia l’Occidente latino-germanico e l’Oriente greco-bizantino, a partire dal VI secolo d. C.. Primo autore posto all’attenzione dei fedeli è stato Giovanni Climaco, abate di un monastero sinaitico tra la fine del VI secolo e gli inizi del VII e autore della Scala del Paradiso. L’opera – sviluppata come una scala di trenta gradini - descri-ve il cammino del monaco dalla rinuncia al mondo fino alla perfezione dell’amore. Attraverso questa scalata – esorta il Pon-tefice – “arriveremo così alla vera vita”. Monaco come Giovanni è anche il secon-do autore medievale di cui Benedetto XVI ha parlato nella catechesi del 18 feb-braio 2009. Si tratta di Beda il Venerabi-le, uno dei più grandi ed influenti autori del medioevo latino. Autore prolifico, Beda ha scritto di pedagogia, esegesi bi-blica, agiografia, storia e poesia. Della sua vita è egli stesso a parlare, alla fine dell’Historia ecclesiastica gentis Anglo-rum. Si definiva fumulus Christi, servo di Cristo mentre, nell’elencare le sue occu-pazioni emergono con chiarezza le sue grandi passioni, semper aut discere, aut do-cere, aut scribere dulce habui. Tuttavia, nulla amò più dell’insegnamento nella scuola monastica di Wearmouth – Jarrow. Ne è vivida testimonianza l’affetto e la cura per i suoi discipuli, anche sul letto di morte. Qui, ormai pronto all’incontro con il Padre, si preoccupava di spiegare agli allievi che erano al suo capezzale, il testo dei primi capitoli del Vangelo di Giovanni e alcune imprecisioni nel testo del De natura rerum di Isidoro di Siviglia, perché, come dice-va, nolo ut pueri mei mendacium legant, et in hoc post meum obitum sine fructu laborent. Con le sue opere, che lo spazio a disposi-zione non permette di illustrare, “Beda contribuì efficacemente alla costruzione di una Europa cristiana…conferendole una fisionomia unitaria, ispirata alla fede in Cristo.” Questo è il lascito che il grande autore inglese ha consegnato a questo continen-te, orfano sempre più solo di quella Respublica Christiana nella quale si sono riconosciute intere generazioni di donne e di uomini.

Salvatore Amato

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Nel quarto capitolo dei Promessi Spo-si,Alessandro Manzoni,raccontando la storia di Ludovico,il futuro padre Cri-stoforo,ricorda che,nell’incontro del personaggio con “un signor tale, arrogan-te e soverchiatore di professione””tutti e due camminavan rasente al muro; ma Lodovico(notate bene)lo strisciava col lato destro;e ciò,secondo una consuetu-dine,gli dava il diritto(dove mai si va a ficcare il diritto!) di non …”Prendo spunto dalla frase manzoniana “dove mai si va a ficcare il dirit-to!” per fare alcune considera-zioni sulla risibile ma nello stes-so tempo preoccupante sentenza della corte di Strasburgo( volu-tamente uso la minuscola) che ha condannato l’Italia perché il Crocifisso nelle aule scolastiche viola la libertà dei genitori di educare i figli secondo le loro convinzioni e la libertà di reli-gione degli alunni. Mi astengo dal commentare le ragioni che hanno messo in moto l’intero processo partito a seguito della pretesa di una coppia padovana (povera terra di Sant’Antonio!)di far togliere il Crocifisso dalle aule della scuola frequentata dai figli. La suprema corte ha accol-to il ricorso e ha sentenziato. Dove mai si va a ficcare il dirit-to!Mi domando se nel vecchio continente non ci siano altri diritti violati per i quali Stra-sburgo avrebbe dovuto o do-vrebbe pronunciare una ferma condanna ma continua a tacere. Ci saran-no quotidianamente nel mondo situazio-ni che calpestano la dignità dell’uomo e che dovrebbero suscitare la condanna nettissima dell’Europa e della sua corte suprema e invece l’Europa e la sua corte suprema pensano a far togliere i Crocifis-si dalle scuole italiane! Saranno stati contenti gli irenisti che già da tempo in Italia avevano provveduto “per rispetto dell’altro” ad eliminare qualsiasi riferi-mento alle feste cristiane del calenda-rio,parlando,mi riferisco a qualche zelan-te scuola,di vacanze di inverno e di va-

canze di primavera per indicare le offen-sive e irrispettose vacanze di Natale e vacanze di Pasqua. Oppure l’impegno di qualche politico che fece in Campania stampare diari scolastici “politicamente corretti “ da distribuire agli studenti della Regione. Dove mai si va a ficcare il diritto. Saranno stati contenti i cattolici puri,gli adulti nella fede, che hanno plau-dito alla sentenza di Strasburgo perché rispettosa della laicità dello Stato e hanno

sostenuto che i crocifissi da difendere non sono quelli appesi ai muri ma quelli che si trovano quotidianamente nelle strade o sono vittime di quotidiane ingiu-stizie perpetrate nei loro confronti da uno Stato sempre più populista e disat-tento al sociale. Giusto! Ma cosa diranno se la suprema corte nel suo furore icono-clasta ordinerà di chiudere le mense della Caritas perché lesive dei diritti del pove-ro che non è cristiano ? Sarà stato con-tento Dario Fo,a meno che il recente “pellegrinaggio” a Scala e la visione del Crocifisso conservato nella cripta del

Duomo di san Lorenzo non l’abbia spinto a criticare la decisione di Strasburgo.Per fortuna,una tantum,i politici se-ri,indipendentemente dalla loro apparte-nenza politica e dal loro rapporto con la fede,hanno scelto una linea comune per opporsi alla stravagante decisione di sfrattare il Crocifisso dalle scuole italia-ne. E’ la prova che nel caotico e rissoso mondo della politica italiana,quando si ricorda che la politica è la più alta forma

di carità,si è ancora capaci di essere uniti per salvare e tutelare valori fon-danti della cultura non solo italiana ma anche europea e mondiale. Già! Il Crocifisso è sì il simbolo religioso per eccellenza per i cristiani,ma è anche il simbolo di una cultura e di una iden-tità che ha fondato la vera Europa,non quella odierna tanto caldeggiata amata e osannata proprio da qualche politico cattolico adulto che,grazie a Dio,ora si è ritirato a vita privata. Quel sim-bolo diffuso in ogni angolo dell’Europa,che svetta sui campanili e le chiese,è il simbolo dell’Europa,nata grazie anche all’opera straordinaria della Chiesa cattolica. Di ciò che quel simbolo richiama è intrisa tutta la cultura eu-ropea. Pensiamo solo all’ambito arti-stico e letterario. Se togliamo il Cro-cifisso perché viola la libertà religiosa degli alunni,dobbiamo al posto della Divina Commedia far leggere Topoli-no? Dicano quei genitori patavini quali siano le opere letterarie o arti-stiche che non offendono la loro li-bertà religiosa o saranno costretti a

consultare nuovamente Strasburgo per-ché imponga ai docenti di letteratura italiana di insegnare che il viaggio dante-sco è un meraviglioso viaggio a Garda-land.Come cattolici,obbedienti al Magi-stero che ha denunciato subito la strava-ganza della sentenza e ha così chiarito la posizione ufficiale della Chiesa Italiana mettendo a tacere i soliti piagnoni di cui ho parlato prima,dobbiamo prendere atto che diventa più urgente la necessità di formarsi alla scuola del Maestro e ca-pire che un cristianesimo di facciata fatto di mere pratiche religiose sconfinanti

L’Europa crocifissa

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nell’individualismo e nel pietismo,non serve. L’Europa miscredente e massonica di oggi, che continua a dimenticare proprio quando ha eliminato quel Crocifisso dalla coscienza del singolo ha prodotto le pagi-ne più drammatiche della sua storia, ci chiama a nuove sfide. Non possiamo né dobbiamo essere o restare impreparati. Più che mai urge una formazione permanente che come laici dobbiamo pretendere dai nostri parroci e dai nostri vescovi a loro volta chiamati a far fronte con la parola e con le opere alle sfide dei tempi. Mentre scrivo ascolto la notizia che anche il Dalai Lama si è pronunciato favorevole alla presenza del Crocifisso nelle scuole italiane. Una bella risposta a Domenico Masel-li,pastore protestante,che nel corso della rubrica “Protestantesimo”, a proposito della vicenda del Crocifisso ha voluto ricordare che nel resto dell’Europa essa non ha prodotto il clamore che ha avuto in Italia e che la decisione di Strasburgo viene già da tempo messa in atto. Sentendosi in dovere di chiarire ancora meglio il concetto,ha ricordato che il Crocifisso nelle scuole e negli uffici pub-blici è stato imposto in Italia durante il fascismo e quindi esso è il retaggio di un’alleanza della Chiesa Cattolica con Mussolini. Inoltre ha voluto ricordare,rispondendo a qualche maldestra motivazione pro Cro-cifisso,che il secondo comandamento vieta le immagini sacre e che resta ancora valido il principio “Libera Chiesa in libe-ro Stato”. Concludendo la sua riflessione Maselli ha voluto sottolineare, lo dico con beneficio di dubbio perché mi ero indispettito,che l’importante è essere cristiano senza in-terferire nelle vicende dello Stato. Certo per i protestanti togliere i Crocifis-si e le altre immagini sacre non è sicura-mente un problema,ma l’invito a vivere la propria fede in maniera individualistica mi lascia perplesso e mi fa capire ancora meglio l’humus da cui è nata l’odierna Europa, crocifissa sul Golgota dell’ipocrisia, dell’ateismo e dell’ignoranza.

Roberto Palumbo

“La Corte ritiene che l’esposizione obbli-gatoria di un simbolo confessionale nell’esercizio del settore pubblico relati-vamente a situazioni specifiche che di-pendono dal controllo governativo, in particolare nelle aule, viola il diritto dei genitori di istruire i loro bambi-ni secondo le loro convinzioni e il diritto dei bambini scolarizza-ti di credere o non di credere.” Questo è uno dei passaggi della sentenza emessa il 3 novembre u.s. dalla Corte Europea su un ricorso presentato da una citta-dina italiana contro il governo italiano perché non venisse e-sposto nella scuola dei figli ad Abano Terme il Crocifisso. La Corte Europea ha dato ragione a l l a r i c or r e n te pe r c hé l’esposizione del simbolo reli-gioso può “essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i ragazzi che pra-ticano altre religioni, in partico-lare se appartengono a mino-ranze religiose o sono atei”. In seguito a questa sentenza le voci di dissenso o di approvazione sul verdetto si sono rincorse sulla carta stampata e nella rete e forse il discorso merita qualche considerazioni. Partiamo dal significato delle parole uti-lizzate: se il Crocifisso viene considerato un simbolo religioso, allora l’accezione semantica di simbolo prevede che esso sia “condiviso da un gruppo sociale” che in esso si riconosce e che in esso colga un significato. Quindi un simbolo, anche se riconosciuto da chi non appartiene allo stesso gruppo sociale, non avrebbe alcun significato aggiuntivo se non quello di rimandare ad un dato messaggio. Se io vedo una bandiera inglese sventolare su un edificio pubblico, potrò pensare che quell’edificio abbia un rapporto con il Regno Unito ma non sarò coinvolto e-motivamente da esso, come potrà invece esserlo un cittadino britannico. E allora, se la situazione sta in questi ter-mini, il coinvolgimento emotivo sarebbe l’elemento fastidioso per chi non si rico-nosce in quel simbolo o meglio per chi quel simbolo lo ha rifiutato; ma se io

professo un’altra religione non avrò al-cun coinvolgimento emotivo da esso, al massimo potrò essere spinta a fare una riflessione sulla storia e la cultura del Paese dove mi trovo. Ed infatti è proprio questo il bello della sentenza, non si dice

che il crocifisso andava tolto perché vici-no non erano esposti altri simboli che rimandano a religioni diverse, ma perché può essere “fastidioso”. Io che non credo provo fastidio nel momento che vedo un crocifisso, che, per il fatto stesso che non credo, non dovrebbe significare per me nulla; allo stesso modo è come se una persona che non crede alle previsioni astrologiche strappa il foglio del giornale che legge perché lì c’è l’oroscopo e ne prova fastidio. Ma poi il tipo di istruzione dipende veramente da un crocifisso espo-sto in classe??? Io penso che il tipo di istruzione dipenda dai programmi, dal metodo di insegnamento e dalla profes-sionalità degli insegnanti. Un ateo impara le stesse cose di un cattolico e quello che li distingue è il modo di porsi di fronte agli altri, è il modo di stare con gli altri oltre al fatto che il cattolico percepisce la propria vita pervasa dall’amore paterno e misericordioso di Dio.

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Una sentenza che apre a interessanti riflessioni

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Quindi il problema è un altro: quel cro-cifisso appeso nelle aule di scuola, negli uffici pubblici forse ha un potere che non si riesce a percepire subito e che forse proprio la sentenza ha colto; il fastidio che si prova di fronte al Crocifisso do-vrebbe prendere non solo gli atei o i cre-denti in altre religioni ma soprattutto i cristiani perché quel fastidio sarebbe il sintomo che quell’oggetto appeso anche alle pareti delle nostre case pone ancora interrogativi alle nostre coscienze; se non proviamo fastidio è solo perché siamo diventati sordi a quegli interrogati-vi che ci chiedono conto del nostro ope-rare sul posto di lavoro, a scuola, in fa-miglia. Troppo spesso è solo il punto dove rivol-gersi a fare il segno di croce se ci sovvie-ne il significato, e perde sempre più il ruolo di promemoria di quello che do-vremmo essere. Ma poi è proprio vero che il Crocifisso non è degno di stare nei luoghi pubblici, come qualcuno ha voluto dire? Io penso che sia il contrario: sono i luoghi pubblici non più degni di avere il Crocifisso, per le continue offese al messaggio di amore che Cristo ha concretizzato sulla Croce; nelle scuole si insegnano obietti e non valori, negli uffici si assiste più facilmen-te ad atteggiamenti strafottenti che a quelli di impegno e cortesia… e allora, considerato pure che si è sordi a qualsiasi richiamo visivo, ci voleva una sentenza per farci riflettere su un argo-mento che non tocca più nessuno se non chi utilizza questi argomenti per fare demagogia? Non può essere un Crocifisso a fare pau-ra o dar fastidio a chi non crede o crede in altro, ma non dobbiamo dimenticare che la nostra cultura è intrisa da elementi che rimandano a quel mes-saggio. Un atteggiamento intelligente nelle scuo-le sarebbe quello di prendere atto delle differenze culturali che caratterizzano i popoli e di farne materia di dibattito perché il rispetto delle diversità culturali parte proprio dalla conoscenza che non genera fastidio ma solo accrescimento interiore.

Maria Carla Sorrentino

La Santa Messa è l’avvenimento più im-portante che ogni giorno si compie sulla terra. La Celebrazione Eucaristica ha Gesù come protagonista, ma gli attori sono tanti, tutti, ognuno che vi parteci-pa, compie la sua parte. La Santa Messa coinvolge tutti noi, tutto il popolo di Dio ,ed è per ogni battezzato questione di vita. In Essa, vi ritroviamo ogni gior-no il cammino nella fedeltà a Dio e all’uomo ed attraverso la Santa Eucaristi-a, viviamo anche la realtà di un Corpo dato in sacrificio e di un Sangue versato per una rinnovata alleanza tra noi ed il Padre e tocca profonda-mente la nostra vita spirituale ed umana. “ La realtà Eucaristica è la verità del Cristo che si dona e si consacra sem-pre in un solo Corpo ed un solo Spirito. Il Sacra-mento dell’Eucaristia è molto importante, per-ché è l’unico in cui la materia, l’ostia ,si trasforma totalmente nel Corpo di Cristo Risorto , è l’unico ,ecco perché rima-ne .Ecco perché per noi cristiani è fonda-mentale l’Adorazione dell’Ostia Consa-crata. Cristo Vivente nell’Eucaristia è Immortale .” Il culto doveroso e santifi-cante della presenza di Gesù nella specie del Pane e del Vino Consacrati, anche al di fuori della Celebrazione Eucaristica ,ci offre il dono e la gioia di incontrare “ il Dio con noi”, senza sosta, senza interru-zioni, in un rapporto di adorazione, di amore, di amicizia e contemplazione. L’Adorazione è innanzitutto un dialogo che Dio,attraverso l’umanità di Ge-sù,vuole instaurare con ciascuno di noi; il nostro amore a Lui corrisposto nasce come risposta libera a questo suo intenso desiderio. Egli ha sete della nostra rispo-sta,l’attende,la desidera. Per questo è rimasto presente nella storia dell’uomo in un modo così singolare come l’Eucaristia. La nostra corrispondenza non gli è indifferente. Anche nella Gloria del suo Regno, Egli continua ad avere sete del rapporto con ciascuno di noi, la stessa sete che un tempo manifestò alla Samaritana :< Dammi da bere .>

( Gv,4,7) .Quella sete che la Beata M. Teresa di Calcutta ha voluto fosse ricor-data in ogni cappella della sua congrega-zione e che è all’origine dell’intensa A-dorazione Eucaristica che vivono le sue suore , e che è descritta intensamente nella sua preghiera : “ Ho sete di te .” Maggiormente, allora, adoriamo il San-tissimo Sacramento,per ricambiare l’Infinito Amore, ed il Desiderio di cui siamo oggetti.” Adorare ci aiuta ad entra-re nella Passione vissuta da Cristo per ciascuno di noi e davanti a Lui, nel silen-zio orante, ci abbandoniamo come figli

amorevoli al dialogo che Egli cerca parteci-pando così, ad uno scambio ( seppur spro-porzionato ) di do-ni,come fra due perso-ne che si cercano, che si confidano. Nell’Adorazione diven-tiamo capaci di soste-

nere lo Sguardo del Cristo,movimento che nasce dall’Infinito del Mistero diven-tato Volto; in questo suo diventare a noi familiare nulla si perde della sua Profon-dità e della sua Grandezza,nell’abbraccio che ci lega siamo immersi nella Gioia della sua Presenza e non abbiamo più bisogno di niente ! Le prove, i dolori, gli affanni,ma anche le gioie e le dolcezze della nostra vita assumono un significato diverso,perché sentiamo riversato in noi Amore, Conforto,Speranza e …tanta Pace! L’Adorazione è dono incommen-surabile, e molto spesso sottovalutato; tenere compagnia a Gesù, stare alla sua Presenza ,dare a Lui la gioia e la possibi-lità di “ amare ciascuno di noi” con un amore immediato e personale è un pieno di Energia Spirituale, non dobbiamo spa-ventarci, davanti a Lui non è necessario spendere molte parole, né cimentarsi in ragionamenti complicati, a Gesù basta la nostra presenza ! L’unico impegno che dovremo assumerci è quello di testimo-niare agli altri ,nella quotidianità della nostra vita , i Doni e le Ricchezze Spiri-tuali ricevuti alla Presenza del Cristo Risorto e Vivente nell’Eucaristia.

Giulia Schiavo

SEGUE DA PAGINA 7 VALORE SPIRITUALE DELL’ADORAZIONE EUCARISTICA

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In un’epoca in cui il rapporto “Chiesa - giovani” appare sempre più minato dalle tante distrazioni che l’odierna società offre, le quali sottraggono sempre più tempo alla cura del proprio microcosmo interiore e della propria fede, il successo di eventi come il convegno “Giovani verso Assisi 2009” è piuttosto confortante. Anche da Ravello è partito un gruppo di giova-ni, sotto la dire-zione spirituale di Padre Antonio Petrosino, aggre-gatosi successiva-mente a ragazzi provenienti dalle parrocchie di Nocera, Tramon-ti, Nocera , Cel-lole, Nola , Na-poli, etc. Ancora una volta la città umbra è riuscita, a di-spetto della tem-peratura poco mite, ad infiammare gli animi e ravvivare la fede dei suoi giovani ospiti di età compresa tra i 17 e i 30 anni, confluiti fra il 28 ottobre e il 1 novem-bre da ogni angolino della nostra variega-tissima terra, diven-tando, pertanto, un importante crocevia di modi di pensare, di abitudini, di tradi-zioni, di dialetti… Eppure, in tutti unico è il “cuore”. Un cuore, sia che pulsi nel petto di un solare Campano, sia che in quello di un “tiepido” Piemontese, ugualmente assetato di risposte, desideroso di un po’ dì equilibrio, bramoso di un frammento di gioiosa serenità. E Assisi non ha permesso che nessuno a n d a s s e v i a c o n u n ’ o m b r a di insoddisfazione negli occhi e nell’anima. Il tema affrontato quest’anno è stato “Tra le parole, la Parola. Francesco: il Vange-lo è la mia vita”, il quale è stato ampia-m e n t e a p p r o f o n d i t o

sia attraverso l’esposizione di relazioni pertinenti all’argomento sia per mezzo della partecipazione a specifici gruppi di approfondimento, che hanno messo in luce tutti i diversi aspetti della Parola di Dio(“Parola che alimenta la mente e il cuore”, “La Parola a fondamento di giu-stizia”, “Consacrati nella Parola”,etc) . Il nostro animo, come lo è stato quello di

San Francesco, deve essere affamato non delle vuote chiacchiere della gente, bensì di “parole fragranti”, in grado cioè di dare la “fragranza della vita” nel tempo e nell’eternità. E tali parole non sono altro che quelle della Bibbia. Essa rappresenta una miniera inesauribi-l e , c h e c i d o n a q u a l c o s a in più ogni giorno, a seconda delle diver-se circostanze che stiamo vivendo nel momento in cui la sfogliamo e ne leggiamo anche solo un versetto. Inoltre, essa è simile ad un caleidoscopio in cui frammenti dalle diverse forme e dai molteplici colori formano delle figure a ltr imenti a noi sconosciute: ogni uomo, infatti, accogliendo nel pro-prio intimo la Parola di Dio e rendendola p r o p r i a , l a i m p r e z i o s i s c e ancora di più con il suo unico e inestima-bile contributo.

Stefania Gargano

È vero. Sto alla porta del tuo cuore, gior-no e notte. Anche quando tu non stai ascoltando, anche quando tu dubiti che possa essere Io. Io sono lì. Aspetto anche il più piccolo segno di una tua risposta, anche l’invito sussurrato nel modo più lieve che Mi permetta di entrare. E vo-glio che tu sappia che, ogni volta che Mi inviti, Io vengo – sempre, non c’è dub-bio. Vengo in silenzio e senza essere vi-sto, ma con potere e amore infinito, e portando i frutti abbondanti del Mio Spi-rito. Vengo con la Mia misericordia, con il Mio desiderio di perdonarti e guarirti, e con un amore per te oltre quello che puoi comprendere – un amore grande come quello che ho ricevuto dal Padre (“Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi” – Gv 15,9). Io vengo – con il desiderio ardente di con-solarti e di darti forza, di risollevarti e di fasciare tutte le tue ferite. Ti porto la Mia luce, per dissolvere le tue tenebre e tutti i tuoi dubbi. Vengo con il Mio po-tere, così che Io possa portare te e ogni tuo fardello; vengo con la Mia grazia, per toccare il tuo cuore e trasformare la tua vita; ed offro la mia pace per pacificare la tua anima. Io ti conosco in pienezza – conosco tutto ciò che ti riguarda. Tutti i capelli del tuo capo ho contato. Niente della tua vita è privo d’importanza ai Miei occhi. Io ti ho seguito attraverso gli anni, e ti ho sempre amato – anche nei tuoi smarrimenti. Conosco ogni tuo problema. Conosco tutte le tue necessità e le tue preoccupa-zioni. E certo, conosco tutti i tuoi pecca-ti. Ma ti dico ancora che Io ti amo – non per ciò che hai fatto o non fatto – ti amo per te stesso, per la tua bellezza e la di-gnità che il Padre ti ha donato creandoti a Sua immagine. È un dignità che hai spes-so dimenticato, una bellezza che hai of-fuscato con il peccato. Ma Io ti amo così come sei, e ho versato il Mio Sangue per riconquistarti. Se soltanto Me lo chiede-rai con fede, la mia grazia raggiungerà tutto ciò che nella tua vita ha bisogno di cambiare; e Io ti darò la forza di liberarti dal peccato e dal suo potere distruttivo.

Continua a pagina 10

Ad Assisi giovani alla scoperta della Parola HO SETE DÌ TE...

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SEGUE DA PAGINA 9

Io so cosa c’è nel tuo cuore – conosco la tua solitudine e tutte le tue ferite – il rifiuto, i giudizi, le umiliazioni. Ho por-tato su di Me tutto questo prima di te. Ho portato su di Me tutto questo per te, così che tu possa condividere la Mia forza e la Mia vittoria. Conosco soprattutto il tuo bisogno d’amore – conosco quanta sete tu abbia di essere amato e di essere amato con tenerezza. Ma quante volte ha avuto sete invano, cercando egoisticamente quell’amore, sforzandoti di riempire quel vuoto che avevi dentro con i piaceri effimeri – con il vuoto ancor più grande del p e c c a t o … Hai sete d ’ a m o r e ? “Chi ha sete venga a Me e beva!” (Gv 7,37). Ti darò da bere fino a sazietà. Hai sete di essere amato con tenerezza? Io ti amo tene-ramente più di quanto tu possa immaginare – fino al punto di morire per te su una croce. Ho sete di te. Sì, questo è l’unico modo di cominciare a mostrarti il Mio amore per te: HO SETE DI TE. Ho sete di amarti e di essere amato da te – questo ti dice quanto sei prezioso per Me, ed Io riempirò il tuo cuore e guarirò tutte le tue ferite. Farò di te una nuova creatura, e ti darò la pace, pur in mezzo alle tue prove. HO SETE DI TE. Non devi mai dubitare che Io ti accetti, che Io desideri perdonarti, benedirti e vivere in te la Mia vita. HO SETE DI TE. Se ti senti senza importanza agli occhi del mondo, non importa affatto. Per Me non c’è nessun altro in tutto il mondo più importante di te. HO SETE DI TE.

ApriMi, vieni a Me, voglio che tu abbai sete di Me, donaMi la tua vita – ed Io ti mostrerò quanto sei importante per il mio cuore. Non ti accorgi che il Padre Mio ha già un perfetto disegno per trasformare la tua vita, propri oda questo momento? Abbi fiducia in Me. ChiediMi ogni giorno di entrare nella tua vita e di prenderme-ne cura – ed Io lo farò. Ti prometto di fronte al Padre Mio nel Cielo che opererò miracoli nella tua vita. Perché dovrei farlo? Perché HO SETE DI TE. Tutto ciò che ti chiedo è che tu ti

affidi completamente a Me. Io farò il resto. Anche adesso custodisco il posto che il Padre Mio ha preparato per te nel Mio Regno. Ricordati che sei un pellegri-no in questa vita, in viaggio verso casa. Il peccato non potrà mai soddisfarti né portarti la pace che cerchi. Tutto ciò che hai cercato fuori di Me, ti ha soltanto lasciato ancor più vuoto, per questo non attaccarti alle cose di questa vita. Soprat-tutto, non andartene via da Me quando cadi. Vieni a Me senza indugio. Quando Mi offri i tuoi peccati, Mi dai la gioia di essere il tuo Salvatore. Non c’è nulla che Io non possa perdonare e guarire; così vieni ora, e deponi il peso che è nella tua anima. Non importa quanto lontano tu sia andato vagando, non importa quante volte ti dimentichi di Me, non importa

quante croci potrai portare in questa vita; c’è una cosa che voglio tu ricordi sempre, una cosa che non cambierà mai: HO SETE DI TE – così come tu sei. Non c’ bisogno che tu cambi per credere nel Mio amore, perché sarà la fiducia nel Mio amore che cambierà te. Tu ti dimentichi di Me, eppure Io ti cer-co in ogni momento – sto alla porta del tuo cuore e busso. Lo trovi difficile da credere? Allora guar-da la Croce, guarda al mio Cuore che è stato trafitto per te. Non hai capito la Mia Croce? Allora a-

scolta di nuovo le parole che ho detto da lì – ti dicono chiara-mente perché ho sofferto tut-to questo per te: “HO SE-T E ! ” ( G v 19,28). Sì, ho sete di te – come dice di Me il resto del Salmo che stavo pregando: “Ho atteso compas-sione, ma inva-no, consolatori, ma non ne ho trovati” (Sal 69,21) Per tut-ta la tua vita ho cercato il tuo amore – non ho

smesso mai di cercare di amarti e di esse-re amato da te. Hai provato tante altre cose alla ricerca della felicità; perché non cerchi di aprir-Mi il tuo cuore, proprio adesso, più di quanto tu abbia mai fatto prima d’ora? Ogni volta che aprirai la porta del tuo cuore, ogni volta che sarai abbastanza vicino, Mi sentirai ripeterti senza posa, non in parole puramente umane, ma in spirito: “Non importa quello che hai fat-to, Io ti amo per te stesso. Vieni a Me con la tua miseria ed i tuoi peccati, con le tue preoccupazioni e le tue necessità, e con tutto il tuo ardente desiderio di esse-re amato. Sto alla porta del tuo cuore e busso… ApriMi perché HO SETE DI TE…

Beata Madre Teresa di Calcutta

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PAGINA 11 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Il 4 novembre u.s., in mattinata, è venu-ta a mancare la signora Anna Pagano, figura che lascia un vuoto incolmabile nella Comunità Parrocchiale ravellese. La signora Anna la si poteva vedere tutti i giorni all’ora della messa recarsi in Duo-mo per vivere con la Comunità questo momento importante, piano piano attra-versava la piazza non sottraendosi alla piacevole abitudine di fermarsi con tutti coloro che incontrava per salutare e scambiare quattro chiacchiere. Era solita ricordare che negli anni della gioventù, trascorsi a Scala, era stata educata a fre-quentare la Chiesa partecipando anche all’animazione dei canti; ci teneva a rac-contare le varie celebrazioni che in quei tempi erano appuntamento importante per un cristiano: dalle ore di adorazione a quelli che si chiamavano “sepolcri” fino alle tre ore di agonia. La signora Anna ti raccontava tutto, era una miniera prezio-sa di particolari e tutto poi si trasformava in una disponibilità senza pari. La sua casa diventava punto di incontro per i Centri d’ascolto, organizzati per la prima volta in occasione della missione popola-re più di dieci anni fa; il rosario meditato per l’Ora a Gesù Misericordioso era un appuntamento fisso il venerdì pomerig-gio a casa della signora. Tutto questo era il segno di una vita vissuta alla luce della fede. E solo una fede forte e incrollabile può aver sostenuto Anna nelle sue vicen-de della vita. Una su tutte l’ha vista tra-sformarsi suo malgrado protagonista di

un grande gesto d’amore: la morte pre-matura della moglie di un figlio l’ha resa nuovamente mamma di due bambini che cercavano solo un punto di riferimento femminile nel loro mondo infantile. Lei non si è tirata indietro, aiutata dalle altre figure femminili della famiglia, ha saputo trasformare la vicinanza in amore; e que-sto amore lo dimostrava continuamente: si preoccupava per tutti, chiedeva a tutti di vigilare sui due nipotini anche in sua assenza e si preoccupava perché la sua età potesse essere un handicap all’assistenza prolungata nel tempo dei bambini. Ma il Signore che lei invocava sempre a prote-zione e ad aiuto di questa opera deve averla ascoltata perché ha potuto vedere non solo i due nipoti diventare ragazzi ma anche vederne nascere altri due che lei sapeva amare di un amore particolare. Quando la si incontrava in strada aveva sempre una parola per i nipotini e so-prattutto per Arianna, che, ci teneva a dirlo, sotto la scorza dura della “monella” ha il cuore buono di tutti quelli della sua età. Il suo cruccio più grande negli ultimi tempi, dopo la caduta, era quella di non poter partecipare alle funzioni religiose e vedere il suo posto vuoto in chiesa dava quella malinconia di chi avvertiva la sof-ferenza di una cristiana che ha saputo vivere la propria fede con quella fre-schezza che fa la differenza. La notizia della morte ha colpito tutti; nessuno si aspettava che quella caduta l’avrebbe portata via per sempre e la sua assenza in Chiesa la si viveva sempre con l’attesa che qualche giorno, all’ora del Rosario, si sarebbe vista la signora Anna entrare con il suo bastone e sedersi per pregare. Purtroppo questo non si è verificato, ma per lei che ha saputo vivere ogni giorno - nelle vicende serene e in quelle tristi della sua vita - il comandamento dell’amore, deve essere stato riservato un posto speciale lassù in cielo e sicura-mente si compiacerà che tutti i suoi ni-poti, e soprattutto quelli che lei ha gui-dato nella crescita, non tradiranno i suoi insegnamenti e conserveranno il ricordo di una nonna che ha saputo essere anche mamma, educatrice e compagna.

In occasione dell’anno sacerdotale indet-to da S.S. Benedetto XVI il 16 marzo 2009, l’Unità Pastorale Lone-Pastena-Pogerola ha ricordato, sabato 28 novem-bre 2009, presso la chiesa di Santa Maria Assunta in Pastena (frazione di Amalfi), in un convegno la figura e l’opera del sacerdote ravellese don Raffaele Mansi, del quale ricorre il centenario dalla nasci-ta. Nato a Ravello il 24 novembre del 1909, figlio di Nicola Mansi – co-struttore di Villa Cimbrone e della Ron-dinaia, nonché sindaco di Ravello per oltre venti anni – venne ordinato sacer-dote nel 1932 da Mons. Ercolano Mari-ni. Nel 1934 Don Raffaele fu nominato economo curato della Parrocchia di S. Michele Arcangelo di Torello e l’anno successivo ne divenne parroco. Nel 1940

partì come vo-lontario per la guerra come cappellano mili-tare. Fatto pri-gioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943, al passag-gio del treno nelle vicinanze di Casarsa in

Friuli fu liberato insieme ad altri ufficiali da un gruppo di giovani di Azione Catto-lica. Entrato poi in clandestinità, divenne il cappellano della “Brigata Osoppo” per poi ritornare in patria nel 1946. Nello stesso anno venne nominato Economo –Spirituale di S. Maria a Mare di Maiori, per poi diventarvi Prevosto nel 1948. A Maiori rimase fino al 1953, allorquando mons. Angelo Rossini lo nominò parroco di S. Maria Assunta in Pastena di Amalfi. In quella comunità Don Raffaele esercitò il ministero pastorale per circa vent'anni, fino al 17 settembre 1972, quando, al rientro in casa dopo aver celebrato una liturgia nuziale nella cappella dell’Hotel Excelsior, fu colto da un improvviso forte malore, un infarto cardiaco che ne stroncò la robusta fibra a soli 62 anni, lasciando tutti attoniti e addolorati.

DON RAFFAELE MANSI NEL CENTENARIO

DELLA NASCITA (1909 - 2009)

NEL RICORDO DELLA SIGNORA ANNA PAGANO IN AMATO

Page 12: Incontro Dicembre 2009

CELEBRAZIONI PRINCIPALI DEL MESE DI DICEMBRE

La Messa Vespertina nei giorni festivi (sabato e domenica) sarà celebrata alle ore 18.00 e nei giorni feriali alle 17.30.

3 - 10 –17 DICEMBRE Dopo la Messa feriale Adorazione Eucaristica

4 DICEMBRE MEMORIA LITURGICA DI S. BARBARA - Compatrona di Ravello

Ore 18.00: Santa Messa

6 DICEMBRE II DOMENICA DI AVVENTO

Ore 8.00 - 10.30: Messe Comunitarie Ore 18.00: Messa Solenne cui seguirà

la processione con la statua di S. Barbara. Subito dopo, in Duomo, a cura della Associazione Culturale Notte Ra-

vellese, presentazione del libro: “Marinella Rufolo e Antonio Coppola. Una storia d’amore del Trecento amalfitano” di G. Gargano e S. U. Di Palma

LUNEDI’ 7 DICEMBRE Ore 18.00: Messa Prefestiva

dell’Immacolata Concezione della B.V. Maria MARTEDI’ 8 DICEMBRE

Solennità dell’Immacolata Concezione della B.V. Maria Ore 8.00 - 10.30 - 18.00: Sante Messe

13 DICEMBRE III DOMENICA DI AVVENTO

(Domenica Gaudete) 15 DICEMBRE

Inizio della Novena di Natale Ore 17.00: Santo Rosario, Coroncina, litanie

Ore 17.30: Santa Messa 20 DICEMBRE

IV DOMENICA DI AVVENTO Ore 08.00-10.30-18.00: Sante Messe

GIOVEDI 24 DICEMBRE VIGILIA DI NATALE

Ore 23.45 Processione con la statua di Gesù Bambino Ore 24.00:Messa Solenne della Notte

VENERDI’ 25 DICEMBRE GIORNO DELLA SOLENNITA’ DEL SIGNORE

Ore 8.00 - 10.30 -18.00: Sante Messe SABATO 26 DICEMBRE

Santo Stefano Primo martire Ore 18.00: Santa Messa

27 DICEMBRE DOMENICA FRA L’OTTAVA DI NATALE

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe - Giornata della Famiglia Ore 8.00 - 10.30 -18.00: Sante Messe

GIOVEDI’ 31 DICEMBRE Ore 18.00: Messa di Ringraziamento di fine anno