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8/19/2019 Internazionale - 11 Dicembre 2015
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Ogni settimanail meglio dei giornalidi tutto il mondo
Joe SaccoLe sabbiedel Canada
Evgeny Morozov Connessima non uguali
internazionale.it
Creswell e HaykelLo Stato islamicoe la poesia
3,00 €11/17 dicembre 2015 n. 1132 • anno 23
P I , S P E D I
N A
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A R T , D C B V R
d e , • b e ,
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Come Marine Le Penha cambiato il
Front national perconquistare i francesi
un’ombranerasulla
Francia
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Sommario
i n t e r n
a z i o n a l e . i
t / s o m m a r i o
La settimana
11/17 2015 Nu 1132 Ann 23
AfricAe medio orieNte
28 Il gruppo Statoislamico sirafforza in Libia
Libération
Americhe
32 Il Venezuela voltapagina
Prodavinci34 Gli Stati Uniti
dopo l’attacco diSan Bernardino
The Boston Globe
AsiA
38 I molti limitidella giustiziagiapponese
The Economist
reportAge
47 Le sabbiedel Canada
Joe Sacco
regNo UNito
58 Ripartire dal nord The Sunday Times
ArAbiA sAUditA
62 Il regno sauditaalla resa dei conti
Financial Times
repUbblicAceNtrAfricANA
68 Dove nascela violenza
Foreign Policy
portfolio
76 Il villaggiodei gemelli
Jordi Pizarro
ritrAtti
82 Mauricio Macri Ahora
viAggi
84 La città verticaleThe Telegraph
grAficA
88 Per un’arte sociale Télérama
pop
106 La poesia delloStato islamico
Robyn Creswelle Bernard Haykel
scieNzA
115 Procedere concautela
The Guardian
ecoNomiA e lAvoro
122 L’altruismointeressato diMark Zuckerberg
The New York Times
cuua92 Cinema, libri,
musica, video, arte
Le opinioni
14 Domenico Starnone
30 Amira Hass
42 NatalieNougayrède
44 Evgeny Morozov
94 Goffredo Fofi
96 Giuliano Milani
100 Pier Andrea Canei
102 Christian Caujolle
113 Tullio De Mauro
l u
14 Posta
17 Editoriali
127 Strisce
129 L’oroscopo
130 L’ultima
iN copertiNA
Un’ombra nera sulla FranciaIl Front national è la prima forza politica francese.Il risultato delle regionali è l’ultimo campanello d’allarmeper i socialisti e la destra repubblicana (p. 18). Foto di Christopher Morris (VII/Luzphoto)
Articoli in formatomp3 per gli abbonati
s
Giovanni De Mauro
C’è anche una parola per definirlo:filantrocapitalismo. Per festeggiare la nascitadella figlia, Mark Zuckerberg ha annunciatoche insieme alla moglie Priscilla Chan doneràil 99 per cento delle sue azioni di Facebookalla Chan Zuckerberg initiative. La notizia hacreato una certa effervescenza collettiva. In
fondo si tratta pur sempre di 45 miliardi didollari: più o meno il pil della Tunisia o dellaSerbia. Lasciamo per un attimo da parte ognidiscussione su quanto sia scandaloso che unsingolo individuo abbia tutti quei soldi. Inrealtà, come spiega Jesse Eisinger sul NewYork Times, e a pagina 122 di questo numero,Zuckerberg ha semplicemente “spostato isuoi soldi da una tasca all’altra”. La ChanZuckerberg initiative non è una fondazionenon profit, ma una limited liability company,vale a dire una società privata che puògenerare profitti e che, come tutte le società
private, è libera di fare investimenti di ognitipo senza nessun obbligo di trasparenza. Inpiù, donando azioni anziché soldi, nonpagherà le tasse sull’aumento di valore dellestesse azioni. Tutto legale, ma ogni dollaro ditasse non pagato è un dollaro in meno nellecasse dello stato che potrebbe essere usatoper finanziare, per esempio, la scuolapubblica, il cui budget annuale negli StatiUniti è di 69 miliardi di dollari. Con la ChanZuckerberg initiative il fondatore di Facebookha detto di voler aiutare l’istruzione, ma amodo suo, senza discutere con nessuno quali
progetti finanziare. Non che il sistemapubblico, negli Stati Uniti come altrove, siaperfetto o esente da critiche, ma non èaggirandolo che lo si può migliorare. SeZuckerberg vuole sul serio aiutare la scuola oil suo paese, può semplicemente pagare letasse su tutti i guadagni, oppure trovare ilmodo di mettere davvero i suoi soldi alservizio della collettività.u
Ognisettimanailmegliodeigiornalidituttoilmondo
JoeSaccoLesabbiedelCanada
EvgenyMorozovConnessimanonuguali
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CreswelleHaykel LoStatoislamicoelapoesia
3,00€11/17dicembre2015 n .1 1 32 •anno23
ComeMarineLePenhacambiatoil
Frontnationalperconquistareifrancesi
Un’ombranerasulla
Francia
The Boston Globe È un quotidiano di Boston, pubblicato dal gruppo editoriale The New York Times Company. L’articolo a pagina 34 è uscito il 7 dicembre
2015 con il titolo Guns are more dangerous than Isis. Prodavinci È un sito venezuelano di analisi e politica creato nel 2009 dall’economistaAngel Alayón. L’articolo a pagina 32 è uscito il 9 dicembre 2015 con il titolo La hora de la reconstrucción. Internazionale pubblica in esclusivaper l’Italia gli articoli dell’Economist.
l na n qu nu
Internazionale 1132 | 11 dicembre 2015 7
“Concepire un manifesto significa prima di tutto sapere perché lo si fa. Poi una volta
capito bisogna metterci tutta la forza”pierre berNArd A pAgiNA
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ImmaginiCittà sommersaCarlisle, Regno Unito7 dicembre 2015
Le strade di Carlisle, nel nord dell’In-ghilterra, dove la tempesta Desmond hacausato una serie di inondazioni. Lepiogge torrenziali e le raffiche di ventofino a 130 chilometri orari hanno colpitoanche il nord del Galles e parte dellaScozia e dell’Irlanda. Centinaia di per-sone hanno dovuto lasciare le loro casee molte sono rimaste senza elettricità.
Foto di Jeff J Mitchell (Getty Images)
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ImmaginiDopo l’incendioMumbai, India7 dicembre 2015
Gli abitanti di Damu Nagar, una barac-copoli di Kandivali, alla periferia diMumbai, cercano di recuperare le lorocose dopo un incendio. Le fiamme sonodivampate da un magazzino e hannofatto esplodere circa trenta bombole digas, distruggendo duemila baracche euccidendo almeno due persone. Foto diDanish Siddiqui (Reuters/Contrasto)
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Immagini
Fuochi naturaliCatania, Italia3 dicembre 2015
Fulmini vulcanici sull’Etna, che nellanotte tra il 2 e il 3 dicembre ha comincia-to a eruttare. Una serie di esplosioniall’interno del cratere Voragine ha pro-vocato fontane di lava e una colonnaeruttiva alta diversi chilometri. L’aero-porto di Catania è stato chiuso tempo-raneamente. Secondo l’Istituto nazio-nale di geofisica e vulcanologia è il feno-meno esplosivo più forte degli ultimivent’anni. Il cratere Voragine si è forma-to all’interno del cratere centrale delvulcano nel 1945. L’ultima eruzionedell’Etna risale al 2013. Foto di Marco
Restivo (Demotix/Corbis/Contrasto)
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14/13214 Internazionale 1132 | 11 dicembre 2015
La pace passaper il clima u So che l’articolo di MichaelKlare (Internazionale 1131) siconclude con una nota disperanza. Ma il mio proble-
ma, mentre lo leggevo, è cheho passato tutto il tempopensando al peggio: e cioèche chi può mettere paesi epopoli l’uno contro l’altro lofarà appena ne avrà la possi-bilità. Continua a venirmi inmente l’amministrazioneBush, anche sette anni dopola sua fine. Immagino che senegli Stati Uniti hanno tolle-rato che Bush e Cheney affer-rassero il mondo per la gola
per otto anni, è altrettantopossibile che molti america-ni, in futuro, giustificherannouna qualche forma di genoci-dio nei confronti di paesi chepotrebbero ostacolare la no-stra abitudine all’accaparra-mento. E forse bisognerebbeanche considerare “l’astronascente”, la Cina, come unpossibile concorrente nellamarcia della morte contro ipiccoli paesi.
Walter Pewen, The Nation
I poveri pagano il conto u L’articolo di David Graeber(Internazionale 1131) non sot-tolinea che nel crollo del 2008sono state le banche, e non iprivati cittadini, a fallire. E il
loro debito è stato affibbiato atutti i cittadini, che lo hannodovuto ripagare sotto forma ditasse più alte e riduzione deiservizi. Così oggi i cittadinihanno debiti sotto forma dimutui, prestiti e carte di credi-to e rischiano di andare inbancarotta. Intanto i banchie-ri ottengono dei bonus e ri-mangono ai loro posti. Perchésono le banche a dare soldi aipartiti.
yamialwaysright,The Guardian
Non visti u Da quando c’è Renzi al go-verno, la rubrica Visti dagli al-tri è progressivamente scom-parsa, e quando è presentequasi mai tratta del nostropresidente del consiglio e, sene parla, è sempre in terminientusiastici. Che delusione.
Massimo Davascio
Errata corrige
u Su Internazionale 1131, ilsettimanale Tyžden citato apagina 24 è ucraino e nonslovacco; a pagina 30, dal2013 hanno lasciato Cuba
500mila cittadini cubani,non medici cubani; a pagina80, l’isola di Príncipe produ-ce “le migliori verdure delmondo” e non “i più bei le-gumi del mondo”; l’albumdei Nirvana citato a pagina99 è Incesticide, non Inestici-de; a pagina 110 il credit del-la foto in basso non è GettyImages, ma Noaa; nell’oro-scopo del Sagittario, PemaChödrön è una donna.
Errori da [email protected]
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Nonostante l’arrivo di unfiglio il cinismo nataliziodi mio marito non si è pla-cato e, al grido di “i bambi-
ni hanno più fantasiadell’ufficio marketing del-la Coca-Cola”, si opponealla storia di Babbo Natale.Lo assecondo?–Tania Erin ha sei anni. Dopo ripetu-te domande alla madre sullafatina del dentino (gli ameri-cani non apprezzano l’idea diun topo che ti sale sul letto dinotte e hanno optato per unafatina), una mattina dice allamadre: “Ora ho le prove chela fata del dentino sei tu. Ieri
mi è caduto un dente, l’homesso sotto al cuscino senzadirtelo e stamattina è ancoralì”. Madison, otto anni, mi si
siede accanto su una panchi-na del cortile di scuola e midice a bassa voce: “Io so la ve-rità”. “Quale verità?”, le fac-cio io. “Su Babbo Natale: nonesiste. Però mamma mi hadetto che se mi azzardo a dirloai compagni a Natale non avròneanche un regalo”. Questisono due esempi per mostrarea tuo marito che i bambinipossono essere anche più ci-nici dell’ufficio marketing del-la Coca-Cola. La quale azien-da, per la cronaca, non ha in-
ventato Babbo Natale ma solol’abbigliamento rosso e bian-co in cui lo raffiguriamo di re-cente. Le leggende di Natale
sono cultura ancestrale: daldispettoso nisse, il folletto del-la Danimarca, ai tre reyes dellaSpagna, passando per il prese-pe napoletano, la mitologiaEuropea brulica di bellissimestorie a cui sarebbe un pecca-to rinunciare. Anzi, più ce nesono e meglio è: se volete pre-servare la magia del Natale,fate tagli sui regali e aumenta-te il numero di personaggi im-maginari coinvolti.
Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli
Mai rinunciare alle favole
ParoleDomenico Starnone
E poisi vede
u Il presidente Renzi non fache rincorrere. Rincorre ilcentrodestra. Rincorre il cen-trosinistra. Rincorre perma-nentemente i cinquestelle.Rincorre Angela Merkel per
starle a braccetto sotto l’oc-chio delle telecamere. Rincor-re il caro amico François Hol-lande con lo stesso intento.Rincorre Putin, lui sì che havisto giusto. Rincorre Obamacercando di scendere dallescalette degli aerei saltellan-do da atleta, con braccia adangolo retto e pugni stretti,come lo snello presidente de-gli Stati Uniti. Rincorre tuttociò che possa essere spacciato
per riforma, nella convinzio-ne che basta la parola e poi sivede. Rincorre dai telescher-mi gli italiani di ogni età, dallaculla alla tomba, per far loro –il pollice già sul pistone dellasiringa – iniezioni di bonuscon manierato ottimismo. Pe-rò ecco che, a sorpresa, ha de-ciso di non “rincorrere” – ilverbo è suo, l’ha usato di re-cente sul Corriere della Sera –le bombe di Hollande, Putin,
Merkel, Cameron. Di questosplendido astenersi (lo scrivosenza ironia) bisogna essergliper sempre grati. Anche se poinon si è potuto trattenere e ciha ricordato, sempre sul Cor-riere, che “l’Italia è una forzamilitare impressionante”, cheper truppe all’estero siamo se-condi solo agli Stati Uniti eche appena sarà messa a pun-to una strategia chiara noi cisaremo. Renzi, sia che rincor-ra sia che non rincorra, speracomunque di superare.
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Internazionale 1132 | 11 dicembre 2015 17
Editoriali
I prossimi giorni potrebbero segnare una svoltafondamentale per l’opposizione siriana. Comeaveva promesso agli incontri di Vienna, l’ArabiaSaudita ha convocato a Riyadh cento rappresen-tanti dell’opposizione siriana e venti gruppi mili-tari che combattono contro il governo di Bashar al
Assad, anche se curdi, turcomanni e altri stannoportando avanti negoziati autonomi. Il successodi questa iniziativa è una sfida per i sauditi, ma laresponsabilità grava soprattutto sull’opposizione,che dovrà superare le divergenze e gli interessi diparte per trovare un accordo in grado di fermarela guerra in Siria.
Gli incontri precedenti si sono conclusi con unnulla di fatto a causa dell’atteggiamento intransi-gente di alcuni gruppi ribelli, che ha complicato laricerca di una soluzione politica al conflitto e per-messo ad Assad di restare al potere. L’unità è unacondizione indispensabile perché l’opposizionepossa partecipare in modo efficace agli sforzi di-plomatici in corso. Tra pochi giorni dovrebbero
riprendere le trattative internazionali avviate aVienna, e un esito positivo potrebbe portare a unarisoluzione delle Nazioni Unite che darebbe aun’opposizione unita gli strumenti per superaretutti gli intrighi – a livello locale, regionale e inter-nazionale – che puntano a seminare discordia al
suo interno.Da tempo l’opposizione siriana non viene più
presa in considerazione dalle potenze coinvoltenel conflitto, ma ora ha la possibilità di ritrovareun ruolo importante. Sarà un percorso lungo, mal’unità è il primo passo. Con un programma chia-ro, i gruppi ribelli dovranno affrontare Assad etrovare soluzioni per ottenere il sostegno dellapopolazione siriana al di là dell’appartenenza set-taria o etnica, smentendo gli scettici che negli ul-timi cinque anni hanno fatto di tutto per metterlifuori gioco. Per alcuni quest’iniziativa è solo unaltro gioco politico, ma per milioni di siriani po-trebbe fare la differenza tra un futuro migliore ealtri anni di sangue e disperazione.u ff
L’occasione dei ribelli siriani
The Daily Star, Libano
Trump è un problema per tutti
The Guardian, Regno Unito
Uno spettro si aggira per il mondo: lo spettro di
Donald Trump presidente degli Stati Uniti. For-tunatamente è ancora poco probabile che arrivialla Casa Bianca: esercita un fascino immediatosu alcuni elettori repubblicani (soprattutto bian-chi), ma spaventa molte persone nel suo stessopartito. Anche se dovesse vincere le primarie, do-vrebbe battere Hillary Clinton. Ma il suo spettroincombe.
Dopo la strage di San Bernardino, Trump hadichiarato che vuole vietare ai musulmani di en-trare negli Stati Uniti. È qualcosa di simile a unapolitica del linciaggio ed è anche quasi impossibi-le da mettere in pratica. Un divieto del genere
sarebbe dichiarato anticostituzionale perché vio-lerebbe la libertà di culto, e avrebbe un effettodevastante sulla convivenza tra le comunità (mol-ti musulmani statunitensi sono afroamericani) esulla reputazione del paese.
Forse questa sparata è il segnale che la corsaalla candidatura sta logorando Trump. Ma è con-divisa da molti statunitensi bianchi, e questoautorizza la campagna elettorale a spostarsi an-cora più a destra. Insieme al trionfo del Frontnational alle regionali francesi del 6 dicembre, èun altro segnale che l’incertezza economica, le
migrazioni di massa e il terrorismo jihadista
stanno mettendo a dura prova la democrazia intutto il mondo.I leader occidentali sono accusati spesso di
islamofobia, ma il più delle volte è un’accusa in-giustificata. Su Trump, invece, non ci sono dubbi:è un islamofobo e vorrebbe mettere l’islamofobiaal centro della politica statunitense. Il fatto chel’aspirante leader di una nazione di immigratiparli così indica che qualcosa è cambiato negliStati Uniti. Non si può dire che non ci siano prece-denti. Gli Stati Uniti sono stati fondati sull’ideache un uomo nero vale meno di un uomo bianco.Nel 1882 proibirono l’immigrazione dei cinesi, e
durante la seconda guerra mondiale internaronoi residenti giapponesi. Ma questa sarebbe la pri-ma discriminazione sulla base della fede.
L’islamofobia di Trump mette in pericolo ognitentativo di costruire un rapporto di fiducia tral’occidente e il mondo islamico. Se a gennaio del2017 Trump dovesse diventare il nuovo presiden-te degli Stati Uniti, nessuno potrebbe collaborarecon il suo governo nella lotta contro il terrorismoo in qualsiasi campo dove sia in gioco la credibili-tà dell’Europa agli occhi del mondo musulmano.Trump si ritroverebbe solo, e anche noi.u as
“Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio,di quante se ne sognano nella vostra filosofia”William Shakespeare , Amleto Direttore Giovanni De MauroVicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen,Alberto Notarbartolo, Jacopo ZanchiniEditor Daniele Cassandro, Carlo Ciurlo (viaggi,
visti dagli altri), Gabriele Crescente (opinioni),Camilla Desideri (America Latina), SimonDunaway (attualità), Francesca Gnetti,Alessandro Lubello (economia), AlessioMarchionna (Stati Uniti), Andrea Pipino(Europa), Francesca Sibani (Africa e MedioOriente), Junko Terao (Asia e Pacifico), PieroZardo (cultura, caposervizio)Copy editor Giovanna Chioini (web,caposervizio) , Anna Franchin, PierfrancescoRomano (coordinamento, caporedattore),Giulia ZoliPhoto editor Giovanna D’Ascenzi (web), MélissaJollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web)Impaginazione Pasquale Cavorsi (caposervizio),Valeria Quadri, Marta RussoWeb Giovanni Ansaldo, Annalisa Camilli,Andrea Fiorito, Lucia Magi, Stefania Mascetti(caposervizio), Stella Prudente, Martina Recchiuti(caposervizio), Giuseppe RizzoInternazionale a Ferrara Luisa Ciffolilli,Alberto EmilettiSegreteria Teresa Censini, Monica Paolucci,Angelo Sellitto Correzione di bozze SaraEsposito, Lulli Bertini Traduzioni I traduttorisono indicati dalla sigla alla fine degli articoli. Marina Astrologo, Stefania De Franco, AndreaDe Ritis, Federico Ferrone, Giusy Muzzopappa,Floriana Pagano, Francesca Rossetti, FabrizioSaulini, Irene S orrentino, Andrea Sparacino,Francesca Spinelli, Francesca Terrenato, BrunaTortorella DisegniAnna Keen. I ritratti deicolumnist sono di Scott Menchin Progettografico Mark Porter Hanno collaborato GianPaolo Accardo, Luca Bacchini, Francesco Boille,Catherine Cornet, China Files, Sergio Fant,Andrea Ferrario, Anita Joshi, Andrea Pira, FabioPusterla, Marc Saghié, Andreana Saint Amour,Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pierre Vanrie,Guido VitielloEditore Internazionale spaConsiglio di amministrazione Brunetto Tini(presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot(vicepresidente), Alessandro Spaventa(amministratore delegato), Antonio Abete,Emanuele Bevilacqua, Giovanni De Mauro,Giovanni Lo StortoSede legale via Prenestina 685, 00155 RomaProduzione e diffusione Francisco VilaltaAmministrazione Tommasa Palumbo,Arianna Castelli, Alessia Salvitti
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9 dicembre 2015
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In copertina
18 Internazionale 1132 | 11 dicembre 2015
“Lo shock”. La mattinadel 7 dicembre lastessa parola compa-re sulle prime paginedel Figaro, quotidia-no di centrodestra, e
dell’Humanité, il giornale vicino al Partitocomunista. Riassume lo sgomento della de-stra e della sinistra di fronte al risultato delFront national (Fn) al primo turno delle re-
gionali francesi, il 6 dicembre. E rivela so-prattutto il loro scollamento dalla realtà.Questo shock non è nuovo: va avanti datrent’anni.
Il primo segnale risale al 17 giugno 1984.Alle elezioni europee un ufo spuntato dalnulla ottiene quasi l’11 per cento dei voti alivello nazionale. Tre anni prima Jean-MarieLe Pen – l’ufo in questione, che alle presi-denziali del 1974 aveva raccolto appena lo0,7 dei consensi – non aveva potuto candi-darsi alla presidenza perché non era riuscitoa presentare le firme necessarie. Ma im-
provvisamente, nel 1984, il Front ottienerisultati mai visti. A Marsiglia prende il 21per cento, superando i socialisti, guidatiall’epoca da Lionel Jospin, e a Parigi conqui-sta il 18,7 per cento nell’ottavo arrondisse-ment (borghese) e il 17,8 per cento nel ven-tesimo (popolare). Le premesse del succes-so di oggi ci sono già tutte, ma non sull’inte-ro territorio francese, e in particolare nonnelle campagne.
Il primo shock risale quindi a trent’annifa. Ma c’è subito la tentazione di non accet-tare la realtà. Secondo commentatori e po-litologi, il risultato di Le Pen è solo uno sfo-go temporaneo. La bolla si sgonfierà, com’è
sembra esausto. Ma proprio allora il presi-dente della repubblica Nicolas Sarkozylancia il dibattito sull’identità francese.Subito dopo arriva la crisi. E a partire dal2010 la figlia di Jean-Marie, Marine Le Pen,risuscita il partito. Da lì in poi la crescita ècostante.
Destra, centristi, Partito socialista, am-
successo con Pierre Poujade, il bottegaioxenofobo che nel 1956 prese due milioni emezzo di voti e 52 seggi in parlamento perpoi sparire dal panorama politico.
In seguito, nel 1986, il presidenteFrançois Mitterrand reintroduce il sistemaproporzionale, e l’Fn porta in parlamento 35deputati. L’Eliseo non giudica pericoloso ilrisultato, anzi: potrebbe essere utile per darfastidio alla destra di Jacques Chirac. Per
minimizzare il pericolo rappresentato dalFront, il ministro socialista Roland Dumasparla del “chiacchiericcio politico di Jean-Marie Le Pen”. Due anni dopo, però, allepresidenziali del 1988 il “chiacchierone” LePen prende il 14,3 per cento dei voti: è un“terremoto”, una “trasformazione radicaledel paesaggio politico”. L’Fn mette radici.
La patata bollenteIl fenomeno mobilita i politologi, appassio-na i giornalisti, suscita reazioni in parte del-la società, ma resta senza una risposta poli-
tica. Il Front national continua a essereconsiderato un corpo estraneo. Invece dirispondere alle inquietudini degli elettoriche votano per Le Pen, i partiti di governo siaccontentano di usare l’Fn per le loro stra-tegie elettorali: i socialisti se ne servono perindebolire la destra, che si sposta semprepiù a destra per riconquistare i voti persi.Insieme, poi, fanno muro contro Le Pen: ilfronte repubblicano.
Gli shock si susseguono, sempre accolticon stupore e poi subito dimenticati. E nul-la cambia. Presidenziali del 1995: Le Pen al15 per cento. Nel 2002: Le Pen al secondoturno. Nel 2007, la tregua: il vecchio leader
Un’ombra nerHubert Huertas, Mediapart, FranciaIl Front national è la prima forza politica di Francia.Il risultato delle regionali del 6 dicembre è l’ultimocampanello d’allarme per il centrodestra e isocialisti. Ma era prevedibile. E i partiti tradizionali
non hanno fatto nulla per evitarlo
J E A N P I E R R E A M E T D I V E R G
E N C E
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be tolto voti all’estrema destra, ma avrebbeprovocato l’effetto contrario.
Questo shock, in fin dei conti, somiglia aquello di chi, colpito da amnesia, riacquistaimprovvisamente la memoria. Tutti sape-vano ma nessuno voleva vedere. Sicura-mente non la destra gollista, ormai talmen-te spostata verso l’estrema destra da am-
bientalisti, sinistra: nessuno può far finta discoprire oggi la portata del disastro. Era an-nunciato ovunque: sulle prime pagine deigiornali e in tv. Tutti sapevano che il Frontnational aveva fatto il salto di qualità, grazieall’elezione di più di cento consiglieri regio-nali nel 2010, centinaia di consiglieri comu-nali e undici sindaci nel 2014, e 62 consi-
glieri alle dipartimentali di marzo. Tuttihanno potuto vedere come Marine Le Penha rinnovato e strutturato meglio il partito.Tutti si sono accorti che il “fronte repubbli-cano” non era più così solido. E tutti a destra– tranne Nicolas Sarkozy e i suoi fedelissimi– hanno avuto gli strumenti per capire cheinseguire i temi cavalcati dall’Fn non avreb-
sulla Francia
Marine Le Pen e Marion Maréchal-Le Pen cantano la Marsigliese a Nizza, il 27 novembre 2015
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In copertina
mettere che le uniche divergenze con ilFront riguardano l’economia. Nemmeno isocialisti, che in nome del pragmatismoeconomico e della sicurezza hanno fattopropri il programma e le parole d’ordinedella destra. E neanche la sinistra, divisa eincapace di articolare un discorso credibile.Tutti si passano la patata bollente.
L’accusa di “fare il gioco dell’estremadestra” facendo o non facendo una cosa,dicendone o non dicendone un’altra, è or-mai un ritornello abusato. E ha paralizzatotutto. Così Marine Le Pen è diventata il cen-
tro nevralgico della politica: prima di con-quistare i voti, ha catalizzato i dibattiti.
Salta il bancoQual è la soluzione per uscire da questo cir-colo vizioso? I partiti devono smettere diusare l’Fn per i loro fini elettorali e tornare afare politica. Devono ascoltare, capire ilmessaggio violento che arriva dalle urne,facendo una scelta e assumendosene la re-sponsabilità. Perché in questo caos c’è ditutto: grida di aiuto che bisogna ascoltare erivendicazioni che vanno combattute.
È urgente. Il Front national è troppo ra-dicato, troppo popolare e troppo lanciato
per fermarsi da solo. I francesi sanno tuttodel Front. E da Marine Le Pen accettanoanche comportamenti che condannereb-bero in qualsiasi altro leader politico. Pro-vate a immaginare la figlia di Jacques Chi-rac, Claude, che conquista la guida delladestra, e suo figlio che fa carriera nel parti-to: nessuno lo accetterebbe. E immaginateuno dei figli di Mitterrand che dopo il 1995ottiene la leadership dei socialisti e la figliaMazarine che si candida all’Eliseo: scanda-lo. Quando però tutto questo succede nelFront nessuno batte ciglio. Il partito è pro-
prietà del nonno, della figlia, della nipote,del genero. “E con questo?”, dicono i suoisostenitori. “Marine è una politica così bra-va! Marion è una ragazza così fine!”.
In fondo i parlamentari del Front natio-nal vogliono soprattutto accumulare cari-che, come fanno tutti i vecchi notabili. Ma aloro tutto è perdonato. L’opinione pubblicalo sa bene, come sa degli affari loschi e deifinanziamenti poco trasparenti denunciatisul sito Mediapart dagli articoli di MarineTurchi. Ma nulla cambia. Il Front national èpercepito come il partito del rinnovamento,delle facce nuove, ma in realtà è solo un clo-ne, addirittura peggiore, della vecchia poli-
tica che esso stesso denuncia. Consideratotutto questo, e visti i consensi che il partitoriscuote, il vero shock non è che il 6 dicem-bre il Front national abbia confermato il suoradicamento e la sua crescita, ma che siainvulnerabile.
I leader del partito sembrano potere faretutto ciò che vogliono – anche mettere inscena una lotta all’ultimo sangue tra un pa-dre bisbetico e una figlia priva di scrupoli inuno spettacolo indegno – senza che la gentegli volti le spalle. Anzi, situazioni del genereportano consensi. Perché il voto a Marine
Le Pen è considerato soprattutto uno stru-mento per far saltare il banco. E i francesioggi ne hanno una voglia matta.
L’unica via per ricondurli al buonsensoè tornare alla ragione, offrire un’alternativa.La destra dovrà evitare di spostarsi semprepiù a destra, i socialisti dovranno smetteredi pensare di poter fare la destra, e la sini-stra non dovrà accontentarsi di essere ilpartito della protesta. È un programma im-pegnativo. Ma il tempo stringe. E se glisconfitti del 6 dicembre – cioè tutti i partitiescluso il Front national – non si sveglieran-no rapidamente, nulla fermerà MarineLe Pen.u ma
I T H R E A C O N T R A S T O
Il quartier generale della campagna elettorale di Marion Maréchal-Le Pen a Carpentras, 6 dicembre 2015
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“N
on venderemo l’anima perun’auto blu!”. Il 19 marzo
1998 Philippe Séguin fucostretto ad alzare la voce.
Il presidente del Raggruppamento per larepubblica (Rpr, il partito gollista dell’allorapresidente Jacques Chirac) stava parlandodi fronte a un gruppo di militanti scontenti.Solo quattro giorni prima, alle elezioni re-gionali, il Front national (Fn) aveva ottenu-to un risultato insperato: circa il 15 per centodei voti a livello nazionale e 275 rappresen-tanti eletti. In dodici regioni la destra golli-sta aveva bisogno dei loro voti per avere lamaggioranza. Una parte dell’Rpr era pronta
a rompere il cosiddetto “cordone sanitario”repubblicano alleandosi con l’estrema de-stra, ma Séguin, seppure con difficoltà, riu-scì ad avere la meglio sui sostenitori dell’av-vicinamento all’Fn. Se con i gollisti la digarepubblicana tenne, furono i centristi amandarla in frantumi: nelle regioni Roda-no-Alpi, Borgogna, Picardia, Linguadoca-Rossiglione e Centro i candidati dell’Unio-ne per la democrazia francese (Udf ) furonoeletti governatori grazie all’appoggio delpartito di Jean-Marie Le Pen.
Diciassette anni dopo il Front punta alla
presidenza di diverse regioni. E il tutto sen-za alleanze, nonostante un sistema eletto-rale modificato nel 1999 proprio per sbar-rargli l’accesso ai governi locali.
Il 6 dicembre il partito lepenista ha vis-suto un altro di quei momenti memorabiliche sembrano scandire la sua storia: 1984,1988, 1995, 1998, 2002 e così via. E oggi siparla di un movimento ormai “alle porte delpotere”. In realtà l’affermazione del Frontnational è segnata da una progressione osti-nata e non sempre lineare lunga trent’anni.Da qualche anno, però, l’Fn sembra trovaresulla sua strada sempre meno ostacoli. Ilpartito continua a migliorare i suoi risultati
elettorali e le sue idee incontrano l’approva-zione di un numero crescente di francesi.“Abbiamo vinto la battaglia delle idee, quel-le che fanno muovere le masse”, ha affer-
mato di recente Marion Maréchal-Le Pen,la candidata dell’Fn nella regione Proven-za-Alpi-Costa Azzurra. “Ora dobbiamo vin-cere quella dei partiti”.
Domanda e offertaIn questa battaglia politica la traiettoria delFront national non è stata sempre lineare.Dopo aver messo in crisi la destra gollistanel 1998, l’anno successivo il movimentocrollò: la scissione voluta da Bruno Mégretsegnò l’inizio di un calvario per il partito.L’inversione di tendenza è arrivata nel
2002, quando Jean-Marie Le Pen conquistòil ballottaggio alle presidenziali. Ma la pe-sante batosta inflitta da Jacques Chirac, conl’82 per cento degli elettori che votò controLe Pen, lasciò tracce pesanti. Privo di forzegiovani e guidato da un leader anziano, ilFront non era certo una forza proiettata ver-so il futuro.
Preoccupati per il fallimento del 2002,alcuni giovani militanti decisero di avviareun nuovo corso. Il loro polo di attrazione eraMarine Le Pen, allora trentenne, appoggia-ta dal padre e capace di farsi valere in tv. Per
gli innovatori la parola d’ordine era diven-tata “de-demonizzazione”. La situazione,tuttavia, non è migliorata subito: per il mo-vimento lepenista gli anni duemila sonostati un decennio nero. Nel 2007 i disastrosirisultati elettorali hanno portato il partitosull’orlo del baratro. Sconfitto nettamenteal primo turno delle presidenziali (nel 2007solo il 10,4 per cento dei francesi ha votatoper Jean-Marie Le Pen, il secondo peggiorrisultato di sempre dell’Fn), battuto alle le-gislative dello stesso anno e in grosse diffi-coltà finanziarie, l’Fn ha rischiato di sparire.
Alla fine del primo decennio degli anni due-mila il Front national era ormai un partito disecondo piano. Ma gli elementi della suarinascita erano già presenti.
“L’attuale successo dell’Fn viene dall’in-contro di un’offerta politica riveduta e cor-retta con una domanda radicalizzata”, so-stiene il politologo Pascal Perrineau. Men-tre il Front si trovava in gravi difficoltà orga-nizzative, nell’elettorato stavano infattiprendendo forma nuove aspettative chehanno finito per rafforzare il partito. La crisieconomica e i cambiamenti geopoliticihanno alimentato una richiesta crescentedi autorità e protezione, elementi chiave del
Dominique Albertini, Libération, Francia
Come il Front national
ha conquistato i francesi
Dopo un percorso durato anni,Marine Le Pen ha vinto labattaglia delle idee. E ora puntaa vincere quella politica
Da sapereLe regioni alle urne
Parigi
Provenza-Alpi-Costa Azzurra Midi-Pyrénées/
Linguadoca-Rossiglione
Poitou-Charentes/ Limousin/Aquitania
Paesidella Loira
Centro
Île-de- France
Normandia
Nord-Pas-de-Calais/ Picardia
Bretagna
Alvernia/ Rodano-Alpi
Borgogna/ Franca Contea
Champagne-Ardenne/ Lorena/Alsazia
Corsica
Socialisti e partiti alleati
Républicains e partiti alleati
Front national
u Il primo turno delle elezioni regionali francesisi è tenuto il 6 dicembre 2015. Il secondo turno,a cui possono partecipare i partiti che hanno su-
perato il 10 per cento, sono in programma per il13 dicembre. Per far fronte comune contro icandidati del Front national (Fn) nelle regioniin cui l’estrema destra è favorita, il Partito so-cialista e i Républicains di Nicolas Sarkozy po-tevano decidere di non partecipare al ballottag-gio o creare liste comuni con altri partiti cheavessero superato il 5 per cento al primo turno. IRépublicains hanno scelto di correre ovunque,mentre i socialisti hanno deciso di ritirarsi nelleregioni dove il totale dei voti di tutte le forze di si-nistra è inferiore al risultato dell’Fn. Il primo mi-nistro Manuel Valls ha fatto appello agli elettorisocialisti affinché votino il candidato della destra
repubblicana nelle regioni Nord-Pas-de-Calais/Picardia, Provenza-Alpi-Costa Azzurra e Cham-pagne-Ardenne/Lorena/Alsazia. Le Monde
Le coalizioni più votate al primo turno delleregionali francesi, il 6 dicembre 2015
Risultati del voto a livello nazionaleAffluenza: 49,9 per cento %
Front national
Républicains e partiti alleati
Socialisti e partiti alleati
Europa ecologia-Verdi
Front de gauche
Altri
28,42
27,08
23,48
6,81
4,15
10,06
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progetto frontista. Un segnale di queste in-quietudini è stata la bocciatura nel 2005,con un referendum, della costituzione eu-ropea, criticata da una parte della sinistra in
nome dell’antiliberismo e dall’estrema de-stra e da una parte della destra in nome delnazionalismo. Inoltre “dopo gli attentatidegli anni novanta una parte dell’islami-smo radicale è diventato un pericolo con-creto per la nostra società”, ricordaPerrineau. “Non bisogna dimenticare chele presidenziali del 2002, quando Jean-Ma-rie Le Pen è arrivato al secondo turno, sisono svolte pochi mesi dopo gli attacchidell’11 settembre 2001. E che i terroristi chehanno colpito Parigi il 13 novembre sono
francesi figli dell’immigrazione. Intervi-stando gli elettori francesi, ci siamo resiconto che questi fenomeni sono vissuti inmaniera molto intima. Si fa strada l’idea cheil nemico viva accanto a noi, che abbia lenostre stesse carte d’identità”.
Il ritorno delle frontiereA queste domande l’Fn dà da tempo rispo-ste estremiste. Ma per un certo periodo hadovuto affrontare la concorrenza di NicolasSarkozy. Su indicazione del suo consiglierepolitico Patrick Buisson, Sarkozy (presiden-te della repubblica tra il 2007 e il 2012) hacercato apertamente di conquistare l’elet-torato lepenista, lanciando un dibattitosull’identità nazionale e riprendendo, in undiscorso pronunciato a Grenoble nel 2010diventato celebre, molti dei temi tradizio-
nali dell’Fn. Tutto questo, però, ha avutol’effetto di legittimare le posizioni frontistee non ha impedito, nel 2012, né la sconfittadel presidente uscente né un’ampia affer-mazione dell’estrema destra.
Nel frattempo il partito ha adattato lasua offerta politica. In primo luogo cam-biando volto: nel 2011 alla guida del Front èarrivata Marine Le Pen, affiancata da Flo-rian Philippot (in passato vicino al socialistaJean-Pierre Chevènement). Già responsa-bile del partito durante la disastrosa cam-pagna per le presidenziali del 2007, la figliadi Jean-Marie era riuscita in qualche modoa sfuggire alla vendetta degli avversari in-
terni. Quattro anni dopo, sostenuta del pa-dre, ha sconfitto Bruno Gollnisch nella lottaper la leadership del partito.
A quel punto Marine è stata libera di ap-
plicare quella strategia di “de-demonizza-zione” che aveva teorizzato per anni. In re-altà il nuovo progetto non ha modificato lecaratteristiche fondamentali del partito e lanuova leadership non ha mai pensato di av-vicinare il Front national alla destra “classi-ca”. Semplicemente è stato cancellato ognisospetto di antisemitismo, cacciando glielementi più radicali; è stata edulcorata unpo’ la retorica, evitando le dichiarazioni piùoltraggiose per cui era noto Jean-Marie LePen; e infine il programma politico è statoaperto a nuovi temi, con particolare atten-
zione all’economia.“Dall’ottocento l’estrema destra rispon-
de ai cambiamenti geopolitici proponendoil ritorno a una società chiusa e organica,cioè capace di funzionare in modo armoni-co, come un essere vivente”, spiega il poli-tologo Nicolas Lebourg. Ma anche se que-sto è un elemento costante, le sue modalitàsi sono molto evolute nel tempo. Senza mairinnegare le sue radici di estrema destra,l’Fn non è più associato alle dichiarazioni diJean-Marie Le Pen sulle camere a gas, defi-nite un “dettaglio” della storia, ma è diven-
tato il partito delle frontiere: le frontierenazionali contro lo spazio Schengen e l’ap-partenenza all’Unione europea; le frontiereeconomiche per favorire il protezionismo;le frontiere interne tra francesi e immigrati,con la “preferenza nazionale” che riserve-rebbe esclusivamente ai primi i beneficidello stato sociale; e le frontiere culturali,con il principio della laicità usato in modoselettivo: contro il velo islamico negli spazipubblici, ma a difesa delle radici cristianedella Francia.
“Indipendentemente da come lo si giu-
dichi, questo protezionismo globale pre-senta una forte coerenza interna, perchétutti i livelli sono collegati tra loro” com-menta Perrineau. “Inoltre ha il vantaggio diessere facilmente leggibile da partedell’elettorato”. E non ha nemmeno susci-tato risposte efficaci da parte degli altri par-titi. Dal 2012 il Front national è nuovamenteuna forza politica di primo piano. Alle euro-pee del 2014 ha conquistato il 24,9 per centodei voti e alle dipartimentali del marzo 2015ha avuto il 25,2 per cento dei consensi. Di-ciassette anni dopo il 1998, il partito di Ma-rine Le Pen è determinato a conquistarsi lesue auto blu.u ma
La nuova strategianon ha modificato lecaratteristichefondamentali dell’Fn
L’opinione
“Con la tempesta greca,l’arrivo dei profughi e ilterrorismo dietro l’an-
golo, la misura per l’Europa sem-brava già colma. E ora con il succes-so del Front national (Fn) rischia didebordare”, scrive Le Figaro. “Do-po gli attacchi di Parigi del 13 no-vembre, l’Europa aveva adottato i
colori della bandiera francese: blu,rosso e bianco. Nei prossimi due an-ni potrebbe tingersi di nero”. Quelloche sta succedendo in Francia, con-tinua il quotidiano conservatorefrancese, “è sconvolgente, ma non èuna sorpresa. L’Europa si sta spo-stando a destra. Lo provano i recen-ti successi dei nazionalisti e dei po-pulisti in Polonia e in Danimarca.Le tre crisi – Grecia, profughi e ter-rorismo – fanno il gioco degli euro-scettici, ma in nessun altro paese
come in Francia un partito di estre-ma destra ottiene tanti consensi”.
In tutto il continente comunquec’erano da tempo chiari segnali d’al-larme. “Alle elezioni europee del2014 l’Fn aveva ottenuto il voto diun quarto degli elettori francesi,mandando al parlamento di Stra-sburgo 24 deputati, che hanno stret-to legami con alleati poco racco-mandabili come gli olandesi delPartito per la libertà, gli austriacidell’Fpö o i fiamminghi del Vlaaams
belang. Ma poi lo sconcerto è passa-to ed è tornata la routine. Le uscitedi Marine Le Pen contro la liberacircolazione delle persone in Euro-pa, la radicalizzazione dell’islam ol’austerità provocano solo sbadigli”.Il voto francese del 6 dicembre, in-vece, rimette tutto in gioco: “Credi-bile o meno, il programma del ‘pri-mo partito francese’ cambierà il di-battito politico in Europa sulle fron-tiere e sui profughi, ma anche suldiritto d’ingerenza di Bruxelles nel-le politiche nazionali”.u
Un colpoper l’Europa
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26,14 per cento dei voti, arrivando secondo,mentre il partito guidato da Marine Le Penè primo e in nove mesi ha guadagnato più diventi punti. “Liévin è stata governata daisocialisti per trent’anni. Quando dicevo ingiro che facevo politica qui per il Front na-tional, mi davano del pazzo”, dice Bruno,un dipendente pubblico della cittadina diLiévin che una decina di anni fa ha abban-donato la sinistra per entrare nel Front na-tional. “Ci riempiono di promesse, ma noimoriamo di fame”, aggiunge. Nonostantela recente inaugurazione del Louvre-Lens,
il museo legato al Louvre di Parigi, a Liévinil tasso di disoccupazione è ancora al 16 percento. “In tema di lavoro, immigrazione esicurezza, Marine Le Pen dice quello che lagente vuol sentirsi dire”, sostiene Bruno.Per le strade di Liévin tutti gli argomentisono buoni per giustificare il balzo in avantidel Front national.
Intercettare i voti a sinistra
“Visto quel che succede a Calais con i rifu-giati, non c’è da stupirsi. In ciò che dice Ma-rine Le Pen c’è molto di vero”, dice Emma-
nuelle, che fa la segretaria in uno studiomedico. “La mia pensione non cresce”, silamenta Ginette. “Mio marito e io abbiamofatto richiesta per un alloggio, ma ci è pas-sato davanti uno che porta il turbante”,esclama una donna che non vuole dire il suonome.
Il Front national è arrivato primo nellamaggior parte dei comuni ancora di sinistradi questo bacino minerario. È in questo ter-ritorio che Marine Le Pen spera di racco-gliere molti dei voti necessari per battere alsecondo turno Xavier Bertrand dei Répu-
blicains, il partito di centrodestra. Il Frontnational cercherà di intercettare i voti deglielettori di sinistra piantati in asso da Pierrede Saintignon, il candidato socialista che,arrivato terzo, ha scelto di non presentarsial secondo turno per non togliere voti alcentrodestra. “Il programma di Xavier Ber-trand è: ‘morte ai poveri’. Non sono certache molti elettori di sinistra abbiano vogliadi buttarsi in questa caccia ai poveri”, hadichiarato Marine Le Pen durante una con-ferenza stampa a Lille.
Intanto aumentano quelli che, come Gi-nette, dicono: “Tanto vale stare a vederecosa fa questa Le Pen”.u ma
Guillaume Kaznowski ha 27 anni,il gel sui capelli, un’auto com-prata con un prestito, e vive coni genitori a Liévin, nel diparti-
mento Pas-de-Calais. Ma ora che lavoranella grande distribuzione si è impegnatoad andare a vivere da solo. Anche perché
abitare con mamma e papà sarebbe sconve-niente per un consigliere regionale. Kaz-nowski, dodicesimo nella lista elettoraledel Front national (Fn), il 13 dicembre habuone speranze di essere eletto al secondoturno delle elezioni regionali nella regioneNord-Pas-de-Calais-Picardie.
Al primo turno la più votata della regio-ne è stata Marine Le Pen, leader del Frontnational, con il 40,64 per cento dei con-sensi.
Liévin, 31mila abitanti, roccaforte socia-lista, ha contribuito molto al risultato elet-torale del Front national, riservando a Ma-rine Le Pen il 48,3 per cento dei voti. Kaz-
nowski tiene sottobraccio il cellulare el’iPad. Nella segreteria telefonica conservai messaggi ricevuti nelle ultime settimaneda alcuni abitanti di questa cittadina mine-raria. Chiunque può trovare il suo numerodi telefono nelle ultime pagine del Liévi-nois, il giornale locale. Guillaume guida ilpiccolo gruppo dei cinque consiglieri comu-nali del Front. Una signora anziana gli hatelefonato qualche giorno fa per lamentarsidi un gruppo di squatter che ha occupato ungarage nelle vicinanze. La signora ha tenta-to invano di far intervenire il comune, poi si
è rivolta al Front national. Ma Kaznowskinon l’ha ancora richiamata per darle unarisposta: “Potremo farlo quando ci saremoinsediati in consiglio regionale”, afferma.
A Liévin, a marzo del 2014, il Partito so-cialista aveva vinto le elezioni comunali alprimo turno ottenendo il 55 per cento deivoti, mentre il Front national si era “accon-tentato” del 27 per cento. A marzo del 2015,in occasione delle elezioni dipartimentali,il Partito socialista era arrivato ancora pri-mo con il 51 per cento dei voti, contro il 34per cento del Front national. Oggi la situa-zione si è rovesciata: il Partito socialista alprimo turno delle regionali ha ottenuto il
E D A L C O C K
M Y O P L U Z P H O T O
La vittoria nella roccaforte
dei socialisti
A Liévin, nel nord della Francia,da più di trent’anni governanoi socialisti. Ma il Front nationalè in testa dopo il primo turno
Olivier Faye, Le Monde, Francia
Francia, 21 novembre 2015. Protestacontro la visita di Marine Le Pena Boulogne-sur-Mer
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J E A N P A U L P E L I S S I E R R E U T E R S C O N T R A S T O
Marion Maréchal-Le Pen a Carpentras, il 10 novembre 2015 Il suo vero padre, però, sarebbe Roger Au-que, ex diplomatico, giornalista e, per suastessa ammissione, agente del Mossad, al-meno stando alla sua autobiografia, uscita
postuma nel 2014. Marion difende un mo-dello tradizionale di Francia, ma rivela chenell’intimità domestica ama ascoltare il rapafricano dellebanlieues.
Per la sua candidatura alla presidenzadella regione deve di nuovo ringraziare ilnonno. Jean-Marie era stato indicato comecapolista dal partito, ma poi ha fatto unadelle sue uscite in cui minimizzava l’olo-causto e auspicava la riabilitazione del ma-resciallo Pétain, il capo del governo colla-borazionista di Vichy. Per Marine Le Pen èstato troppo e ha chiesto al padre di ritirarsi.
Alla fine lui ha accettato di lasciare il postoa Marion, che a sua volta aveva tentato diopporsi alla defenestrazione del nonno. Pergli elettori del sud non ha fatto molta diffe-renza: Marion è molto vicina alla tradizionedell’Fn rappresentata dal nonno. Al nord ilpartito insiste soprattutto sui temi socio-economici. Al sud, dove i pieds-noirs (cosìvengono chiamati gli ex residenti in Algeriaai tempi delle colonie) hanno ancora uncerto peso, l’Fn si mantiene sulle posizionidella destra classica: difesa dell’identitàfrancese con una patina di sentimento cat-
tolico e controrivoluzionario, e più liberi-smo in economia. Marion non è tanto anti-semita, quanto “islamofoba, xenofoba eomofoba”, come dice il politologo ThomasGuénolé.
Cattolica praticanteMarion Le Pen, che a differenza della zia ècattolica praticante, incarna la base tradi-zionale del Front national meglio di chiun-que altro. Lo ha mostrato chiaramente nel2013, nel corso delle proteste della Franciaconservatrice contro i matrimoni gay. Men-
tre Marine non ha voluto unirsi alle manife-stazioni, Marion era in prima fila. Inoltre hadichiarato che se sarà presidente della re-gione non darà più sussidi all’organizzazio-ne Planning familial, che si occupa di con-trollo delle nascite, perché vuole far dimi-nuire il numero degli aborti.
È evidente che simili posizioni giovanoal suo successo dentro l’Fn. Nel 2014,all’elezione del comitato centrale del parti-to, ha preso più voti di tutti. “Marine LePen”, prevede Philippe Houillon, parla-mentare dei Républicains di Nicolas Sar-kozy, “non potrà mai diventare presidente,Marion sì”.u ft
La carriera di Marion Maréchal-LePen è cominciata quando avevaappena due anni: posava con ilnonno Jean-Marie per un manife-
sto elettorale del Front national (Fn). “Sicu-rezza… la prima tra le libertà”, c’era scrittosopra l’immagine del fondatore del partito,
che sorrideva raggiante tenendo tra le brac-cia quella bimba che guardava un po’ spa-ventata nell’obiettivo.
Nel 2012, a ventidue anni, Marion è di-ventata la più giovane deputata dell’Assem-blée nationale, la camera bassa del parla-mento francese. Oggi a soli 26 anni, com-piuti il 10 dicembre, potrebbe diventare lapiù giovane presidente di una regione fran-cese. Più del 40 per cento degli elettori del-la regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra, lazona intorno a Marsiglia, Avignone e Nizza,ha votato per la nipote di Marine Le Pen. Laleader dell’Fn, candidata in una regione delnord, è l’unica ad aver avuto più voti. Il non-
no Jean-Marie, che la guardava giocare dapiccola sotto la sua scrivania nel castello difamiglia poco fuori Parigi, ha avuto un ruo-lo cruciale nella carriera fulminea di Ma-rion. Nel 2012 è stato lui che l’ha convinta acandidarsi nel dipartimento meridionaledel Vaucluse, per tradizione un bastione deipartiti di estrema destra. Se dobbiamo cre-dere a un ritratto autorizzato dalla famigliaapparso su L’Express, le avrebbe detto: “Seiuna Le Pen o no?”, mettendo fine alla suaincertezza su una decisione così importan-te, subito dopo la laurea in diritto ammini-
strativo. Eppure alle regionali del 2010 Ma-rion non aveva dato una grande prova di sé:durante un’intervista, a una domanda sulnonno, era scoppiata in lacrime per motivimai chiariti. La campagna elettorale del2012, invece, ha prodotto l’effetto desidera-to: dopo aver preso il 35 per cento al primoturno, Marion ha vinto con il 42 per cento alsecondo. Da allora è una delle figure di rife-rimento del partito. Ma a differenza di Ma-rine, la cui vita privata ormai non ha più se-greti, lei conserva un lato misterioso.
Marion è la figlia dell’ex presidente dellalega giovanile dell’Fn, Samuel Maréchal, edi Yann Le Pen, sorella maggiore di Marine.
L’ascesa inarrestabiledi Marion Le Pen
Più tradizionalista di Marine,la nipote della leader del Frontnational si conferma l’astronascente del partito
Peter Vermaas, Nrc Handelsblad, Paesi Bassi
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DANIMARCA
Sovranitào sicurezza
Il 3 dicembre i danesi hannobocciato, con il 53,1 per cento
dei voti, il referendum che pro-poneva di abolire alcune dero-ghe alle norme europee in ma-teria di giustizia e sicurezza. Leesenzioni erano state adottatenel 1993, dopo che Copenaghennon aveva ratificato il trattato diMaastricht. Il referendum è sta-to promosso dal governo e so-stenuto dall’opposizione, men-tre il fronte del no è stato guida-to dai populisti del Partito delpopolo danese, i cui deputati so-no essenziali per il governo diminoranza del premier conser-vatore Lars Løkke Rasmussen.
Il sì avrebbe consentito alla Da-nimarca di condividere con lepolizie e i servizi di intelligencedegli altri paesi dell’Unione eu-ropea le informazioni sulle per-sone sospettate di terrorismo,spiega Jyllands-Posten. Una
riforma considerata essenzialedopo gli attentati di Parigi e l’ar-rivo di centinaia di migliaia diprofughi in Europa. Eppure glielettori hanno rifiutato una nuo-va cessione di sovranità e hannogiudicato il quesito troppo tec-nico. Inoltre, “la crisi dei mi-granti e la carenza di poteri de-cisionali dell’Unione non hannoaiutato”. Ora, precisa il quoti-diano danese, “Copenaghendovrà negoziare nuove forme di
collaborazione con l’Europol”,l’agenzia europea per l’intelli-gence e la sicurezza.
“Quello che due settimane fasembrava l’inizio di un drammapolitico si è trasformato in una farsa.Dopo l’abbattimento dell’aereomilitare russo da parte della Turchiaalcuni osservatori erano arrivati aparlare del rischio di un’imminenteterza guerra mondiale. Ma oggi tuttosembra essersi ridotto a un banale
litigio tra vicini”, scrive il settimanale The New Times/Novoe Vremja. Le accuse del presidente russo VladimirPutin, secondo cui Ankara commercia il petrolio vendutodal gruppo Stato islamico, “non hanno creato grandescandalo, visto che è noto da tempo che i contrabbandieriturchi, siriani, giordani e israeliani fanno affari con iterroristi. A conti fatti nulla è cambiato: Mosca combatte afianco di Bashar al Assad e la Turchia ritiene che questovada contro i suoi interessi. La Nato mantiene invece unaposizione ambigua: alcuni paesi dell’alleanza hannoespresso solidarietà ad Ankara, ma il segretario JensStoltenberg ha proposto di riattivare la cooperazione con
la Russia, che era stata sospesa in seguito al conflitto inUcraina. È chiaro che con l’avventura siriana Putin vuoleuscire dall’isolamento. E l’occidente gli sta facendo capireche se si comporterà bene la porta sarà aperta”.◆
Russia
Dal dramma alla farsa
The New Times/Novoe Vremja, Russia
REGNO UNITO
Un attaccoisolato Avrebbe agito per vendicare “la
Siria e i suoi fratelli siriani”Muhaydin Mire, l’ex autista diUber di origine somala che il 5dicembre ha accoltellato alla go-la un uomo di 56 anni alla fer-mata della metropolitana diLeytonstone, a Londra (nella fo-to), scrive il Daily Mail. Mire,29 anni, ha ferito altre due per-sone prima di essere fermatodalla polizia. Secondo l’accusa“aveva foto e contenuti riguar-danti la Siria sullo smartphone”.L’esclamazione “non sei un mu-sulmano, fratello”, lanciata dauno dei testimoni della scena èdiventata sui social network loslogan dei musulmani che han-no condannato l’aggressione.
M A T T D U N H A M
A P A N S A
POLONIA
Lo statodi Kaczyński A poco più di un mese dalla vit-toria elettorale del 25 ottobre, ilgoverno nazionalista e conser-vatore del Partito diritto e giu-stizia (Pis, guidato da JarosławKaczyński) è già nel mirino del-le critiche dell’opposizione. Do-po aver invalidato la nomina dicinque giudici costituzionaliscelti dal precedente governo ilparlamento, controllato dal par-tito di Kaczyński, ha nominatoal loro posto dei giudici vicini al
Pis, garantendosi così il control-lo sulle decisioni dell’alta corte.Secondo il quotidiano svizzeroNeue Zürcher Zeitung, il go-verno polacco punta a cambiarel’assetto politico del paese, ri-scrivendo la costituzione e dan-do vita a uno stato presidenzialeforte in cui ci sarà sempre menospazio per la libertà di pensiero.
IN BREVE
Azerbaigian Il 5 dicembre al-meno sette persone sono morte
in un incendio divampato suuna piattaforma petroliferadell’azienda pubblica Socar nelmar Caspio (nella foto). Altre 23persone risultano disperse.Lettonia Il 7 dicembre la pre-mier Laimdota Straujuma si èdimessa a causa delle divisioninella coalizione di centrodestraal potere.Ucraina Le Nazioni Unite han-no annunciato il 9 dicembre che9.098 persone sono morte nelpaese dall’inizio del conflitto,nell’aprile del 2014. Altre 20.732persone sono rimaste ferite.
ARMENIA
Il futurodel presidente Il 6 dicembre gli armeni hanno
approvato, tramite referendum,una serie di emendamenti allacostituzione che trasformano ilpaese in una repubblica parla-mentare. Secondo l’opposizio-ne, la riforma punta a permette-re all’attuale presidente, SerzSargsyan, di mantenere il potereanche dopo la scadenza del suomandato, nel 2018. L’affluenza èstata di circa il 50 per cento, e i sìhanno vinto con il 63 per cento.Secondo la Radio 1 armena,“con il voto Sargsyan è riuscito aliberarsi una volta per tutte diogni avversario politico”.
Europa
A Z E R B A I J A N’ S MI NI S T RY OF E ME R GE N CY S I T UA T I O N S GE T T Y
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Africa e Medio Oriente
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Un attentato in un albergo di lus-so, esecuzioni sommarie filma-te e crocifissioni o la distribu-zione di dolci per festeggiare
gli attentati di Parigi: il gruppo Stato islami-co (Is) è presente in Libia dall’ottobre del2014, ma è già riuscito a imporre la paura. ATripoli la presenza dei jihadisti è evidentesoprattutto la sera, quando di solito le fami-glie prima facevano la spesa. Dopo le dieci
tutte le saracinesche di via Jaraba, nel cen-tro della città, sono abbassate. “Alle settesono a casa. Non vado più nei caè per ve-dere le partite di calcio”, racconta Moha-
med, un abitante del quartiere. Eppure lui,che faceva l’agente di sicurezza per un’am-basciata occidentale, non è una personapaurosa. Ma l’attentato all’albergo a cinquestelle Corinthia di Tripoli, che ha uccisonove persone il 27 gennaio del 2015, hacambiato le cose. I libici sanno che lo Statoislamico può colpire in ogni momento.
Quando a febbraio sono arrivati a Sirte,sulla costa mediterranea, i combattentidell’Is erano quattrocento, secondo il ser-gente Mohamed Turky del centro operati-vo militare di Misurata. Oggi sarebberocinque volte di più. “I jihadisti arrivano so-prattutto dal sud del paese, attraverso il
deserto”, spiega un militare. “Da quandosono cominciati i bombardamenti interna-zionali abbiamo notato che a Sirte sono au-mentati. Ci deve essere un coordinamentosugli obiettivi: se si colpiscono la Siria el’Iraq, bisogna colpire anche la Libia”. Le-gare la situazione mediorientale alla lottacontro lo Stato islamico in Libia è anchel’intenzione del presidente del consiglioitaliano Matteo Renzi, che il 26 novembreha dichiarato che la Libia “rischia di diven-tare la prossima emergenza”.
Di fronte alla difficoltà di raggiungere la
Siria e l’Iraq, gli ideologi dell’Is hanno di-chiarato anche la Libia terra di jihad. In po-co più di un anno, il gruppo si è rafforzato,diversificando le sue attività. Nell’ottobredel 2014 Derna, nell’est del paese, è diven-tata la prima base dell’Is al di fuori dellaregione siroirachena. La città è nota per es-sere molto conservatrice e ottocento deisuoi abitanti sarebbero andati a combatte-re in Siria. L’organizzazione sfrutta le divi-sioni politiche per radicarsi: dall’agosto del2014 in Libia due parlamenti rivali si con-tendono il potere, uno a Tripoli e l’altro aTobruk (le due fazioni hanno raggiunto unaccordo il 6 dicembre che deve ancora es-
Il gruppo Stato islamicosi rafforza in Libia
I jihadisti continuano a radicarsiapprofittando delle divisioniinterne e della crisi politica in
corso nel paese. E spesso hannoil sostegno della popolazionelocale
Mathieu Galtier, Libération, Francia
L O R E N Z O M E L O N I C O N T R A S T O
Le brigate di Misurata si preparano a combattere contro i jihadisti alla periferia di Sirte, marzo 2015
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“Tu, madre del martire, seiuna donna fortunata! Vorrei
che mia madre fosse al tuo po-sto”. Di recente i giovani pale-stinesi hanno cominciato ascandire queste parole ai fune-rali dei loro coetanei uccisidalle forze di sicurezza israe-liane.
La prima persona che mene ha parlato è Mayssa, unaveterana dell’Olp sulla sessan-tina, tornata da qualche tempoin Palestina. Mayssa ha vissutola guerra civile e gli attacchiisraeliani in Libano e ha cono-sciuto bene il regime tirannico
di Bashar al Assad, quindi haavuto a che fare con la violen-
za e con la morte prematura.Eppure è sconvolta da quel co-ro: “Ai miei tempi la gente noncombatteva per morire”. Poic’è Tawfiq, un ragazzo di circaventicinque anni che ha appe-na trovato lavoro in una bancagrazie ai suoi studi in econo-mia (o qualcosa del genere).Ho ascoltato Tawfiq scandirequella frase sorridendo. Luisimpatizza con i ragazzi checercano la morte, ma per oranon vuole unirsi a loro. E poic’è Hala: “Tutti i compagni di
classe di mio figlio di dieci an-ni sognano tre cose: un coltel-
lo, una spada e una fionda”, miha detto. Ogni giorno, dopo lascuola, Hala parla con suo fi-glio e cerca di spiegargli che lamorte è un biglietto di sola an-data e che dovrebbe pensare agiocare con gli amici.
Ho raccontato la storia diHala a Mayssa, ma lei non havoluto crederci. Mi ha raccon-tato che nell’agorà dei tempimoderni, Facebook, i post diHala sono tra i più espliciti nelchiedere vendetta contro Isra-ele.u as
Da Ramallah Amira Hass
Madri fortunate
BURKINA FASO
Accuseretroattive
Il 7 dicembre il generale GilbertDiendéré è stato incriminato peraver partecipato, nell’ottobredel 1987, all’omicidio dell’allorapresidente Thomas Sankara.Sankara, noto come il Che Gue-vara africano, fu ucciso duranteun colpo di stato che portò al po-tere il suo compagno d’armiBlaise Compaoré. Le Faso ri-corda che l’inchiesta sulla mortedi Sankara è stata aperta a mar-zo, cinque mesi dopo la cacciata
di Compaoré. Diendéré, exbraccio destro di Compaoré, è incarcere per aver guidato un gol-pe fallito a settembre.
IN BREVE
Ciad Il 5 dicembre 27 personesono morte in un triplice atten-tato suicida di Boko haram suun’isola del lago Ciad.Seychelles Il presidente JamesMichel (47,8 per cento) sfiderà
Wavel Ramkalawan (33,9 percento) nel secondo turno dellepresidenziali che si svolgerà trail 16 e il 18 dicembre.
SIRIAIRAQ
Guerrasenza confine
In Siria s’intensificano le azionimilitari e gli sforzi diplomatici.Il 3 dicembre sono cominciati iraid aerei britannici contro ilgruppo Stato islamico (Is) e ilgiorno seguente la Germania havotato per aumentare il suo im-pegno nella lotta all’Is. Dall’8 al10 dicembre varie fazioni politi-che e armate siriane si sono in-contrate per la prima volta a Ri-yadh per raggiungere una posi-zione comune in vista dei collo-qui di pace con il governo. AlHayat sottolinea che i curdi nonsono stati invitati. Il 9 dicembrei ribelli hanno cominciato a eva-cuare l’ultima zona sotto il lorocontrollo a Homs, in seguito aun accordo con il governo. Il 7dicembre Damasco ha accusatola coalizione internazionale diavere ucciso tre soldati in unbombardamento nella provinciadi Deir Ezzor, in gran parte con-trollata dall’Is. La coalizione,che ha negato l’attacco, è accu-
sata anche di avere ucciso 26 ci-vili nei raid nel nordest della Si-ria lo stesso giorno.uLa lotta contro l’Is prosegueanche in Iraq. Al Badil riferisceche l’8 dicembre le forze gover-native hanno ripreso il controllodi alcune zone di Ramadi, con-quistata dall’Is a maggio. Bagh-dad inoltre ha minacciato laTurchia di rivolgersi all’Onu seAnkara non ritirerà le sue truppedal nord del paese, dove sonostate schierate per addestrare icurdi a combattere contro i jiha-disti che controllano Mosul.
Il 6 dicembre il governatore della città di Aden, JaafarMohammed Saad, è stato ucciso insieme ad alcunicollaboratori in un attentato (nella foto) rivendicato dalgruppo Stato islamico, scrive Middle East Eye. Il giornodopo l’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen,Ismail Ould Cheikh Ahmed, ha annunciato che il governoe i ribelli houthi hanno acconsentito a partecipare aicolloqui di pace che cominceranno il 15 dicembre a
Ginevra. Il presidente Abd Rabbo Mansur Hadi ha chiestoalla coalizione saudita contro gli houthi un cessate il fuocodi sette giorni in occasione dell’inizio dei colloqui. u
Yemen
Colloqui dopo l’attentato
W A E L Q U B A D Y A
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Tra vent’anni gli storici analizze-ranno gli avvenimenti del 2015 inVenezuela e quasi sicuramenteaffermeranno che è stato l’anno
in cui la cupola al governo ha perso l’amoredel suo popolo. Con 109 deputati (più i tredi Representación indígena) su un totale di167 seggi, il 6 dicembre l’opposizione haottenuto la maggioranza di due terzi in par-lamento. Ma il dato sorprendente è che laMesa de la unidad democrática (Mud), lacoalizione che riunisce i partiti di opposi-zione, ha avuto due milioni di voti in piùdella forza al potere, il Partido socialistaunido de Venezuela (Psuv): la maggioranzaschiacciante degli elettori si è espressa con-tro il governo di Nicolás Maduro.
La prima conclusione è che il chavismoe l’opposizione hanno sconfitto il governo.
Il Venezuela volta pagina
Alle elezioni parlamentari del 6dicembre l’opposizione hasconfitto in modo nettoil governo di Nicolás Maduro.Ora la priorità è lavorare insiemeper superare la crisi econ0mica
Boris Muñoz, Prodavinci, Venezuela
Una versione estesa di questo assioma sa-rebbe che il chavismo ha sfruttato l’oppor-tunità offerta dall’opposizione per formareuna forte coalizione e far capire che ripudiala nomenclatura. Lo slogan “Soy chavistapero no madurista” (Sto con Chávez manon con Maduro) è stato una pallottola d’ar-gento, il modo perfetto per punire il gover-no senza tradire un’identità politica. Eccoperché il risultato ha creato una frattura in-terna tra la base chavista e il partito al go-verno, destinata a diventare più visibilenelle prossime settimane.
Maduro aveva detto che il 6 dicembre ivenezuelani avrebbero dovuto scegliere tradue modelli: “Il modello della patria, boli-variana e chavista, e quello dell’antipatria,arrendevole, piegata agli interessi degli Sta-ti Uniti e corrotta”. In realtà, le elezioni par-
lamentari hanno dimostrato che l’ago dellabilancia si è spostato con forza dal chavismoverso l’altro polo. Ma l’altro polo non è ideo-logico, come il chavismo vorrebbe far cre-
dere. Oserei dire che non riflette neancheun’opposizione intesa in senso tradizionale,ma la stanchezza della maggioranza dei ve-nezuelani, stufi degli effetti nefasti del mal-governo e della corruzione, che nella prati-ca si traducono in un peggioramento dellaqualità della vita e della situazione econo-mica dei cittadini. Per interpretare quelloche sta succedendo la politica deve avere lameglio sull’ideologia. Con i suoi messaggipieni d’intolleranza, esclusione della diver-sità e odio di classe, con le sue mezze veritàche cercavano di schiacciare le differenze
politiche sotto i dogmi di un pensiero unico,negli ultimi anni l’ideologia aveva già datochiari segnali d’inefficienza. Nessuno hacreduto alla storia delle cospirazioni, dellaguerra economica e della controrivoluzionedella destra.
Tendere pontiIl 2016 sarà quindi un anno di cambiamen-ti. Se le cose andranno abbastanza bene, ivapori tossici dell’autoritarismo chavista el’estremismo nascosto dei settori radicalidell’opposizione cominceranno a dileguar-
si, la politica riprenderà fiato e la democra-zia venezuelana potrà rinascere. Ma que-sta è solo una parte della storia. Il paese èabituato ai cambiamenti veloci e spera an-cora che la soluzione ai suoi problemi arriviper magia. Di solito “per magia” significauna cosa sola: “grazie al petrolio”. Ma il 4dicembre a Vienna l’Organizzazione deipaesi esportatori di petrolio ha deciso dimantenere una quota di produzione di 30milioni di barili al giorno. Questo significache a medio termine il prezzo del greggio,il più basso degli ultimi sette anni, non au-
menterà in modo sostanziale. È una pessi-ma notizia per il Venezuela, dove il 95 percento degli introiti delle esportazioni di-pende dal petrolio.
L’ex candidato presidenziale dell’oppo-sizione, Henrique Capriles, ha detto che
A R I A N A C U B I L L O S A P A N S A
Caracas, 6 dicembre 2015. In fila per votare
Elezioni Il nuovo parlamento venezuelanoDopo il voto del 6 dicembre 2015 l’opposizione ha la maggioranza dei seggi
Fonte: Consejo nacional electoral
Mesa de la unidad democrática (Mud) 109 | Partido socialistaunido de Venezuela (Psuv) 55 | Representación indígena 3
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sono state sconfitte le posizioni estreme. Il6 dicembre ha votato quasi il 75 per centodegli aventi diritto e le elezioni si sono svol-te in modo pacifico, salvo pochi incidenti.
Dopo le proteste del 2014, che avevano pro-vocato 43 vittime, la nuova dirigenza dellaMud, guidata da Jesús “Chuo” Torrealba, siè impegnata per arrivare unita al voto. Haallontanato da sé le frange più estremiste,che invitavano alla disobbedienza civile e aforme legittime di lotta non violenta. Daparte sua il chavismo ha evitato di radicaliz-zarsi, come invece aveva suggerito il presi-dente Nicolás Maduro. Quindi il popolochavista ha sconfitto i settori radicali delchavismo.
La sfida del nuovo parlamento sarà forse
la più grande che il potere legislativo abbiamai dovuto affrontare dal 1958, quando,dopo il rovesciamento della dittatura delgenerale Marcos Pérez Jiménez, gettò lefondamenta di una democrazia funzionale,imperfetta ma operativa. L’opposizione de-ve tendere dei ponti per risolvere i problemidella società. In parte questo significheràrimandare alcune decisioni per dare la prio-rità alla ripresa economica. Il governo, daparte sua, deve abbandonare il discorso so-fista della cospirazione, altrimenti il proget-to di Chávez, compresi i suoi aspetti più
progressisti, fallirà.La maggioranza dei due terzi consente
all’opposizione di nominare e rimuoveremagistrati, di promuovere il referendumrevocatorio, che potrebbe accorciare ilmandato di Maduro, e la riforma costitu-zionale. Questa maggioranza dimostrainoltre che il lungo ciclo di egemonia cha-vista sta per finire. Il chavismo non è mor-to, ma avrà bisogno di tempo per ripren-dersi. I due milioni in più di voti ottenutidall’opposizione, che arrivano soprattuttodagli elettori chavisti, sono un mandato
per agire nei canali stabiliti dalla democra-zia e ricomporre, attraverso il potere legi-slativo, il tessuto istituzionale dello stato.
Per i venezuelani la priorità è trovaresubito una soluzione alla crisi economica,poi affrontare il problema della violenza einfine risanare la profonda divisione dellasocietà. È il momento della ricostruzione:il chavismo e l’opposizione devono lavora-re insieme. Ma è la cosa meno ovvia che sipossa immaginare.u fr
Boris Muñoz è un giornalista e scrittorevenezuelano nato a Caracas nel 1969. Vivenegli Stati Uniti.
“I
l risultato delle elezioni legi-slative del 6 dicembre in Ve-
nezuela, dove l’opposizioneha sconfitto il governo di Nicolás Ma-duro, deve invitare a una profonda ri-flessione per capire come difendere lerivoluzioni democratiche”, ha detto ilpresidente boliviano Evo Morales, lea-le alleato politico di Caracas. Oggi igoverni dell’America Latina ispirati alchavismo pensano al loro futuro.
Il 25 novembre la vittoria del con-servatore Mauricio Macri in Argentinaha segnato un’inversione di rotta nellaregione. Un duro colpo per la sinistra
latinoamericana, per cui l’Argentinaera stata un paese chiave. Nel 2005, aMar del Plata, l’argentino NéstorKirchner, il brasiliano Luiz Inácio Lulada Silva e il venezuelano Hugo Chávezavevano stravolto la politica interna-zionale del Sudamerica: si erano allon-tanati da Washington e avevano boi-cottato l’Alca, il trattato di liberoscambio promosso dall’allora presi-dente degli Stati Uniti George W.Bush. In quel periodo era cominciatal’ondata chavista nella regione, a cui si
erano poi uniti anche la Bolivia di EvoMorales e l’Ecuador di Rafael Correa.
Secondo i portavoce dell’opposi-zione, il 6 dicembre i venezuelani sisono ispirati all’Argentina e hanno vo-tato per lasciarsi alle spalle diciassetteanni di governi chavisti. Sono lontanigli anni in cui il Venezuela era una fon-te d’ispirazione per tutta la sinistra la-tinoamericana. David Smilde, analistadel Washington office on Latin Ameri-ca che ha vissuto vent’anni a Caracas,afferma: “Il Venezuela non può piùcontare sulla leadership di un politico
come Chávez né su una risorsa natura-le, il petrolio, che prima fruttava centodollari a barile”. Nicolás Maduro, elet-to nel 2013 poco dopo la morte del suomentore, ha avuto meno margine dimanovra anche a causa del riavvicina-mento diplomatico tra Cuba (tradizio-nale alleato di Caracas) e gli Stati Uni-
ti, annunciato nel dicembre del 2014.
Pochi alleati
“Per Maduro la situazione è semprepiù complicata”, spiega l’analista ve-nezuelana Elsa Cardozo, docente direlazioni internazionali all’universitàSimón Bolívar. La politica estera vene-zuelana, l’atteggiamento nei confrontidei prigionieri politici e la persecuzio-ne di esponenti dell’opposizione han-no fatto diminuire il sostegno degli al-tri paesi della regione verso Caracas.
Oggi al governo di Maduro restanopochi alleati. La presidente del BrasileDilma Rousseff deve affrontare il pro-cesso di impeachment avviato dal par-lamento il 3 dicembre. Tre giorni doposi è formata una commissione di depu-tati che prenderà in esame la richiestadi messa in stato d’accusa. Rousseff,che pensa di avere i voti sufficienti persalvare il suo mandato, ha chiesto aiparlamentari di tornare al lavoro subi-to dopo la pausa natalizia. Il governospera di risolvere la questione dell’im-
peachment nel più breve tempo possi-bile, per non rimandare l’approvazio-ne delle riforme fiscali ed evitare cheaumenti il malcontento dei brasilianiper la crisi economica.
L’Ecuador, un altro alleato della ri-voluzione bolivariana, ha preso le di-stanze dal Venezuela dopo la morte diChávez. Anche se in alcune occasioniil presidente Rafael Correa ha espres-so il suo sostegno a Maduro, è chiaroche la diplomazia venezuelana è in cri-si e che i leader della regione si sonoallontanati.u fr
Il primo grande insuccessodel chavismo in 17 anni segnala fine di una stagione perle sinistre sudamericane
Fine di un ciclo continentale
El Espectador, Colombia
America Latina
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Il 6 dicembre il presidente BarackObama ha parlato alla nazione dallostudio ovale a proposito della stragedi San Bernardino, in California, in
cui 14 persone sono morte e altre 21 sonorimaste ferite. È la prima volta che Obamadedica tanta attenzione a una strage causa-
ta dalle armi da fuoco. Questo fa sorgereuna domanda: perché questa strage è diver-sa da tutte le altre?
La differenza deriva dal fatto che gli sta-tunitensi hanno ancora paura del terrori-smo. A quanto pare i responsabili della stra-ge di San Bernardino, Syed Rizwan Farooke Tashfeen Malik, si sono ispirati al gruppoStato islamico, e per questo sono stati defi-niti terroristi, ma non è chiaro cosa li distin-gua da altri assassini estremisti come Ro-bert Dear, che a fine novembre ha aperto ilfuoco in una clinica di Planned parenthoodin Colorado, o come Dylann Roof, il supre-matista bianco che a giugno ha ucciso nove
Gli Stati Uniti dopol’attacco di San Bernardino
La morte di 14 persone inCalifornia ha fatto tornare nel
paese le paure legate alterrorismo islamico. Ma ilproblema vero è la diffusioneincontrollata delle armi
Michael A. Cohen, The Boston Globe, Stati Uniti
F O N T E : T H E N E W Y
O R K T I M E S
persone in una chiesa in South Carolina.Non ci sono dubbi sul fatto che l’attacco
di San Bernardino è stato motivato
dall’estremismo islamico, e quindi questoepisodio si può collocare nella stessa cate-goria degli attentati alla maratona di Bostondel 2013 e di Fort Hood nel 2014. Ma è al-trettanto vero che tutte le stragi avvenutenegli ultimi anni hanno un elemento in co-mune: sono state compiute con pistole ofucili d’assalto ottenuti legalmente. Se gliassassini fossero stati un gruppo di statuni-tensi ribelli, arrabbiati con il mondo e radi-calizzati da un’ideologia o da una fede di-versa dall’islam, probabilmente la reazionesarebbe stata identica a quella causata da
altre stragi: sarebbe scoppiato il solito di-battito pubblico furioso e polarizzato sulcontrollo delle armi che non avrebbe porta-to a nessuna decisione politica. Qualcunoavrebbe chiesto d’intensificare i controllisulla salute mentale dei potenziali assalito-ri e forse qualcun altro si sarebbe concen-trato sulle motivazioni specifiche degli as-sassini. Poi tutti avrebbero proseguito per laloro strada fino all’episodio successivo: unanuova inevitabile strage che avrebbe datovita alla stessa dinamica.
Negli Stati Uniti in media in un anno iterroristi jihadisti fanno meno vittime deifulmini e dei televisori che cadono dal cielo,
ma quattordici anni dopo gli attacchi dell’11settembre 2001 anche il minimo segnale diun legame con il jihadismo globale spinge icittadini e molti politici a chiedere una rea-zione energica. E, soprattutto, li spinge achiedere un cambio di strategia per sconfig-gere il gruppo Stato islamico (Is), anche sequasi nessuno è in grado di proporre un’al-ternativa migliore. Non c’è da stupirsene,dato che in questo momento non esiste unastrategia migliore per sconfiggere l’Is.Nell’ultimo anno e mezzo gli Stati Uniti e gli
altri paesi della coalizione che combattecontro i jihadisti in Iraq e in Siria hanno ef-fettuato più di ottomila bombardamentiaerei. Le conquiste territoriali dell’Is si sonoridotte: dall’estate l’organizzazione ha per-so un quarto dei suoi territori, tra cui diver-se città importanti riconquistate dalle forzecurde. Secondo alcune fonti, inoltre, ilgruppo fatica a trovare nuove reclute e lasua struttura interna si sta indebolendo.
Senza bacchetta magicaIl 1 dicembre il New York Times ha pubbli-
cato un articolo con i racconti di militantiche hanno lasciato l’organizzazione: “Stan-do a una serie di interviste rilasciate da per-sone fuggite di recente, il progetto del calif-fato è ormai in difficoltà. Messi alle strettedalle incursioni aeree di diversi paesi e dallenuove offensive delle milizie curde e sciite,i jihadisti cominciano a mostrare segni dicedimento. Una serie di importanti servizimessi in piedi dal gruppo non funzionanopiù a causa della scarsa manutenzione. Ementre le attività di contrabbando e di ven-dita del petrolio vacillano, l’Is dipende sem-pre più dalle tasse e dai dazi che estorce aisuoi cittadini”. Secondo alcuni esperti, gli
Da sapere Un anno violentou Dal 1 gennaio al 2 dicembre del 2015 negli Stati Uniti le sparatorie con almeno quattro vittime sono state 354. Le sparatorie sono avvenute in 220città di 47 stati. In totale 462 persone sono morte e 1.314 sono rimaste ferite.
Settembre Ottobre Novembre Dicembre
Sparatoriaa San Bernardino
= una sparatoria con almeno quattro vittime
Maggio Giugno Luglio Agosto
Gennaio Febbraio Marzo Aprile
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attacchi compiuti a novembre a Parigi e nelSinai indicano che l’Is è sulla difensiva eche, avendo perso terreno in Iraq e in Siria acausa dei bombardamenti aerei, sta usando
tattiche più economiche ma comunque le-tali per dar prova della sua potenza.È probabile, insomma, che gli sforzi de-
gli Stati Uniti e di altri paesi stiano comin-ciando a dare dei risultati, anche se potreb-bero servire ancora anni per sconfiggere l’Ise tutto dipenderà dalle capacità di contra-starlo dei gruppi che combattono sul campoin Iraq e in Siria. Ma questa è una storia piùcomplicata di quella di cui deve occuparsioggi Barack Obama. Dal momento che ilpresidente non è stato in grado di agitareuna bacchetta magica e far sparire la mi-
naccia dell’Is, il suo discorso era destinato aessere deludente, anche perché in un paesetraboccante di armi da fuoco non ci sonobacchette magiche che possano evitare laprossima strage, che sia ispirata dall’islamradicale o da altri tipi di estremismi. Tutta-via, c’è un modo per rendere queste stragimeno probabili e meno mortali: misure dicontrollo per evitare che armi letali finisca-no nelle mani di potenziali assassini. Perottenere questo risultato non serve nem-meno una bacchetta magica: basta solo unpo’ di volontà politica.u fp
T
utte le persone perbene sonotristi e arrabbiate per l’ultimo
massacro di persone innocenti,avvenuto il 2 dicembre a San Bernardi-no, in California. Le forze di sicurezzae d’intelligence si sono concentrate suicollegamenti tra gli assassini e il terro-rismo internazionale. Ed è giusto chesia così.
Ma il movente non cambia la so-stanza di quello che è successo a SanBernardino, o di quello che negli ultimimesi è successo in California, in Colo-rado, in Oregon, in South Carolina, inVirginia, in Connecticut e in molti altri
posti. E l’attenzione e la rabbia deglistatunitensi dovrebbero essere indiriz-zate anche verso i politici che devonogarantire la nostra sicurezza e che inve-ce sono molto più interessati ai soldi eal potere di un’industria che fioriscegrazie alla diffusione incontrollata diarmi da fuoco sempre più letali.
Il fatto che dei civili possano acqui-stare un’arma progettata per ucciderecon impressionante velocità ed effi-cienz