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INTERVISTA A colloquio con la nota scienziata Margherita Hack Anche noi siamo il frutto dell’evoluzione dell’universo ratteristiche che si osservano nelle immagini stellari, negli spettri stel- lari, si possono non notare certi fe- nomeni, non rendersi conto della lo- ro importanza, oppure capire, intui- re, che in quelle anomalie, in quei fe- nomeni fuori dalla norma, per altro non sempre molto visibili, si nascon- da qualcosa sulle cui ragioni fisiche bisogna indagare. Non deve essere stato sempre facile per una scienziata del suo calibro lavora- re in un universo prettamente maschi- le e anche in anni in cui erano pochis- sime le donne ad occupare certe posi- zioni di prestigio. Quali i principali ostacoli che ha dovuto superare? Io debbo dire che non ho avuto al- cun problema di sorta. Forse ho do- vuto lavorare di più dei miei colleghi maschi per vincere la Cattedra, ma a parte questo, non mi sono mai sen- tita diversa, perché ho sempre sen- tito di vivere con degli esseri umani, femmine o maschi che fossero, cer- tamente anche in maniera competi- tiva. Lei ha infatti dei trascorsi sportivi: la sua specialità il salto in lungo e il sal- to in alto. Che cosa le ha insegnato lo sport? Ho fatto atletica a livello naziona- le e posso dire che lo sport è molto utile in quanto aiuta a misurarsi con gli altri, a rendersi conto delle proprie capacità, e dà quella competitività necessaria anche nella vita. In fon- do anche la ricerca, il volere andare avanti e riuscire, è una gara. Perciò io ho preso la vita come una gara. Fra le scoperte scientifiche da lei com- piute, ve n’è una che l’ha particolar- mente appagata? Forse una c’è una, ed è quella per la quale ho avuto la conferma a una mia teoria 22 anni dopo. Nel 1956 ero a Berkeley, in California. Stavo stu- diando una stella molto strana, con caratteristiche uniche, che subiva un’eclissi ad opera di un oggetto sco- nosciuto sul quale erano state avan- zate varie ipotesi. Tra di esse quella di Otto Struve, l’allora direttore del Dipartimento di Astronomia di Berkeley, secondo cui quell’oggetto avrebbe potuto essere una stella molto fredda che occultava la stella visibile ogni 27 anni senza lasciare traccia. Io ebbi la fortuna di avere de- gli spettri eccellenti per studiare quella stella. Da certe caratteristiche molto poco visibili ho immaginato che la causa dell’eclissi fosse il con- trario di quanto suggerito da Struve, e cioè che si trattasse di una stella molto più calda, ma molto più pic- cola di quella visibile. Per conferma- re questa mia teoria sarebbe stato necessario osservare questo oggetto nell’ultravioletto, ma nel 1956 non era ancora incominciata l’era spazia- le - lo Sputnik fu lanciato nel ’57, il primo satellite astronomico alla fine degli anni ’60. Quando nel ’78 ven- ne lanciato un satellite preposto al- l’osservazione degli spettri ultravio- lette delle stelle, il primo programma da me proposto fu quello di osserva- re questa stella di cui mi ero occupa- ta molti anni prima. Dal satellite ar- rivavano le immagini su uno scher- mo televisivo. Se la mia ipotesi fos- se stata sbagliata, lo schermo sareb- be dovuto rimanere nero. Dopo un po’ apparve invece una strisciolina luminosa, ossia lo spettro della stel- la calda. È stato emozionante veder- lo apparire, una bella soddisfazione. Sia chiaro che non è stata una gran- de scoperta, ma pur sempre un pic- colo tassello che ho portato all’astro- fisica. Ammirare incantati la cupola celeste con le stelle brillanti e la luna è un’e- sperienza comune a tutti. Ma quando Margherita Hack osserva il cielo, le emozioni umane si combinano imman- cabilmente con quelle scientifiche? Certo il cielo è un bello spettaco- lo, quando si riesce a vederlo, perché ormai è sempre meno visibile a cau- sa dell’inquinamento luminoso. Quando io lo guardo, ciò che mi me- raviglia sempre è pensare che, sem- plicemente analizzando la luce bian- ca di quei puntolini così deboli e lon- tani, si è potuto capire tanto della struttura fisica delle stelle. Capire che sono globi completamente gassosi, in equilibrio fra due forze opposte, quella di gravità e la pressione dei gas. Ricavare dalla condizione fisica alla superficie che sono corpi com- pletamente gassosi. Risalire alle con- dizioni interne scoprendo che den- tro le stelle avvengono delle reazio- ni nucleari che nel corso di milioni di anni modificano la loro struttura interna, facendole evolvere. È straor- dinaria la possibilità di ricostruire tutta la storia di una stella: come si forma, come invecchia e come fini- sce. Che cosa le hanno insegnato per il suo mestiere i testi degli antichi filosofi che lei cita spesso? A volte meravigliano le intuizioni degli antichi greci come Democrito e la sua idea atomica, o Ipparco che aveva capito che era la terra a girare su se stessa e non la volta celeste a muoversi da est a ovest, e che aveva ideato dei mezzi per misurare la di- stanza della luna e del sole, mostran- do l’esattezza di quei metodi. Soltan- to i suoi mezzi di misura erano trop- po incerti nonostante la sua misura- zione della distanza della luna aves- se valore praticamente uguale a quello attuale, mentre quella del so- le era stata largamente sottostimata, malgrado il principio fosse giusto. È proprio in base a queste misure che probabilmente aveva capito che il sole era molto più splendente dei pianeti e quindi forse per questo ave- va immaginato che dovesse essere il sole al centro del sistema solare e non la terra. Meraviglia, in definiti- va, questa capacità di liberarsi dal- l’inganno dei sensi. A meravigliare lei è anche l’ingenuità dei bambini, come scrive in L’univer- so di Margherita. Storia e storie di Mar- gherita Hack (Editoriale Scienza, Trie- ste, 2006): "Dovremmo tornare un po’ tutti come bambini". Come fare? È possibile restare bambini, ci si può divertire a fare quello che si fa- ceva da bambini. Certamente dipen- de dal carattere. Io, ad esempio, mi sento, non dico come a 10 anni, ma come a 20 sì! È nel corso della sua esistenza che so- no state fatte le principali scoperte su stelle, galassie, Universo. Un bel pri- vilegio. Nel corso del XX secolo si sono ve- rificati enormi sviluppi. Prima del XIX secolo le stelle venivano studia- te soltanto come punti luminosi di cui si esaminava la posizione e di cui si tentava di misurare i moti. L’astro- fisica è nata all’inizio del XIX secolo quando si è cominciato a studiare lo spettro del sole, ossia a disperdere la luce del sole con un prisma e vede- re che c’era una striscia luminosa con delle righe scure che non si ca- piva che cosa fossero. Poi, a metà del XIX secolo, il grosso contributo di Angelo Secchi che ha studiato siste- maticamente gli spettri delle stelle, iniziando a capire le differenze, a in- tuire che erano dipendenti dalla di- versa temperatura superficiale. Tut- te queste osservazioni, però, erano fatte a occhio. Si guardava il telesco- pio, si vedevano le immagini, ci si do- veva ricordare quanto si era visto per poi disegnarlo. Erano insomma tut- te osservazioni molto soggettive che dipendevano dalla memoria visiva e dall’abilità del disegnatore. Quando il salto di qualità? Un grosso passo in avanti si è avu- to alla fine dell’Ottocento quando è stata inventata l’emulsione fotogra- fica: fissando le immagini, essa ha permesso di studiarle con calma a ta- volino e in modo oggettivo. Sono poi arrivati i grandi telescopi che hanno permesso di vedere più lontano: ve- dere più lontano significa anche guardare più indietro nel tempo, e di conseguenza si è potuto iniziare a ca- pire come si modifichi l’Universo nel tempo. Agli inizi degli anni Trenta si era scoperto che la galassia emette anche onde radio e quindi l’astrono- mia, che fino ad allora aveva studia- to il cielo semplicemente misuran- do la luce, ha visto che esiste anche un cielo radio. Successivamente è ar- rivata l’era spaziale che ha permes- so di studiare l’Universo a raggi gamma, raggi x, ultravioletto, infra- rosso - tutta la gamma dello spazio elettromagnetico- mostrando che ci sono oggetti completamente igno- rati prima, molto deboli nel visibile ma magari forti radiosorgenti. In- somma, si è scoperto un aspetto del cielo completamente nuovo. di LUCA BERNASCONI Ospite applauditissima dell’ASRI (Associazione Svizzera per i Rappor- ti Culturali ed Economici con l’Italia: www.asri.ch), introdotta dal suo Pre- sidente, l’avvocato Paolo Solari-Boz- zi, la professoressa Hack ha tenuto banco per più di un’ora ripercorren- do la storia dell’Universo in modo esauriente e con una lucidità invidia- bile. Una vita dedicata all’osservazio- ne e alla comprensione delle stelle per le quali Margherita Hack ha da- to molti contributi: "Sono contenta di aver fatto la mia modesta parte". Una grande fortuna per lei l’aver at- traversato un secolo durante il qua- le sono avvenute le principali scoper- te che hanno riguardato il suo cam- po di ricerca. Scienziata di fama in- ternazionale, donna modesta e ge- nuina, con i piedi ben piantati in ter- ra, si è raccontata all’indomani del- la conferenza, con il suo sorriso bo- nario, con la sua giovinezza negli oc- chi d’un azzurro limpido come un cielo estivo. Né vocazione, né passione precoce sono state le chiavi d’ingresso al mon- do dell’astrofisica e dell’astronomia, ma piuttosto il caso. Che cosa l’ha at- tirata maggiormente una volta varca- ta quella soglia? Il divertimento di fare ricerca. In- tanto a me è sempre piaciuto lavo- rare con le mani, quindi anche uti- lizzare uno strumento, imparare a usarlo; e poi incominciare a capire che cosa significasse fare ricerca, os- sia lavorare di testa mia trovando dei programmi con gli strumenti a di- sposizione che all’epoca erano limi- tati come a Firenze il telescopio da 30 centimetri che permetteva soltan- to lo studio di stelle abbastanza bril- lanti. Tuttavia, c’era il gusto di fare da sé e di innovare malgrado le limita- zioni strumentali. Altro aspetto del divertimento, quello di capire dagli spettri le ragioni fisiche di certe anomalie che vi apparivano. Il mio campo principale di ricerca è infat- ti sempre stato quello di studiare stel- le peculiari, diverse dalla norma. Quali sono le componenti che fondano una mentalità scientifica? Intanto la costanza, il non scorag- giarsi davanti alle difficoltà, sia per- ché la matematica e la fisica, che debbono piacere, sono discipline abbastanza dure, sia perché la ricer- ca non dà risultati immediati, a vol- te nemmeno un risultato. Oltre a ciò, è poi necessaria una certa fantasia scientifica: capire quali siano i pro- blemi aperti che si possono affron- tare. La mentalità scientifica ha in qualche misura modellato la sua quotidianità? Non saprei di preciso, sebbene possa confermare di avere una men- talità abbastanza pratica. Essendo in campo scientifico sperimentale e non teorica, è probabile che la mia forma mentis scientifica abbia in un certo senso influenzato la mia quo- tidianità. "Rimane il mistero di come l’Univer- so si sia originato" scrive in Dove na- scono le stelle (Sperling & Kupfer Edi- tori, Milano, 2004). Per un credente il mistero viene risolto con l’intervento della mano di Dio. Ma per chi creden- te non è? Non sappiamo come si sia origina- to l’Universo e la scienza non è in grado di dirne la ragione. Essa cerca di capire come funzioni l’Universo, la natura, il nostro corpo, ma non sa rispondere al perché l’Universo sia nato, sempre che sia nato. A me in- teressa il campo scientifico. Ci sono scienziati credenti, non credenti, agnostici. La scienza ha il compito di studiare la natura attraverso l’osser- vazione e l’esperimento; se poi qual- cuno crede in Dio è questione di fe- de, come lo è anche il non crederci, perché l’esistenza di Dio non può es- sere dimostrata. Qual è il ruolo dell’intuizione e dell’im- maginazione in un lavoro scientifico? È importante, poiché da certe ca- La nota scienziata Margherita Hack, ospite dell’ASRI a Zurigo. CORRIEREdegli ITALIANI MERCOLEDÌ 4 OTTOBRE 2006 A TU PER TU 3 Quali altre scoperte sono state fondamentali per la scoperta di chi noi siamo? Certamente l’aver scoperto che le stelle chia- mate supernovae sono quelle che producono tutti gli elementi presenti nell’Universo, per cui anche noi siamo fatti di materiale ed elementi che sono stati creati da queste supernovae. An- che noi non siamo qualcosa al di fuori dell’Uni- verso, ma siamo proprio il prodotto dell’evolu- zione dell’Universo. Nelle sue risposte si sente spesso echeggiare la pro- fessoressa Margherita Hack. Al proposito lei ha scrit- to una frase molto significativa: "Bisogna aver ca- pito a fondo le cose per poterle insegnare". Qual è la sua visione sulla scuola odierna? A giudicare dai risultati... Spesso i ragazzi ar- rivano all’Università senza saper scrivere in ita- liano. Naturalmente ce ne sono di molto bravi, ma mi pare che la maggioranza abbia una pre- parazione molto scarsa. La scienza, soprattutto, è sempre stata trascurata nelle scuole medie, an- che ai tempi miei quando l’era un po’ più seria. Le opere divulgative che lei ha scritto traducono in ragionamenti semplici concetti complessi. Sebbe- ne siano meritorie in quanto permettono l’accesso a discipline ostiche ai non addetti ai lavori, non si corre il rischio di una semplificazione snaturante? Infatti bisogna cercare di spiegare i fenomeni con esempi semplici ma pertinenti, anche per- ché tutta la vita è governata dalla fisica. Quan- do si parla ad esempio del big bang, della fuga delle galassie, si usano termini impropri che dan- no un’idea sbagliata, perché ci si immagina un gran botto iniziale, un’esplosione, da cui tutte le galassie sono scaraventate in tutte le direzioni. Probabilmente non c’è stato nessun botto, la fu- ga delle galassie non è una fuga perché è l’espan- sione, lo spazio, a trascinare le galassie, come la pasta di un dolce che lievita. Se in questa pasta ci sono delle noccioline, esse vengono trascina- te l’una via dall’altra perché a gonfiarsi è la pa- sta, non sono le noccioline che si muovono. Lo stesso avviene con le galassie: gli ammassi di ga- lassie non espandono, in quanto sono tenuti in- sieme dalla forza di gravità, come le noccioline che, essendo solide, non espandono. La mia Firenze. In riva all’Arno con Margherita Hack (Edizioni della Laguna, 2003), è una sorta di gui- da in sua compagnia alla scoperta di una delle più belle ed importanti città italiane. Che cosa rende Fi- renze tanto speciale per lei? Forse perché l’ho girata tanto a piedi che ne conosco ogni pietra, e quindi tutto mi ricorda de- gli episodi legati ai miei genitori, ai miei amici, ai miei compagni. E poi, che sia una bella città, me ne sono resa conto quando me ne sono an- data, perché vivendoci non si va ad ammirare i monumenti, ma quando si torna dopo tanto, la bellezza è sotto i propri occhi. Il Campanile di Giotto da una parte, dall’altra l’Os- servatorio Astronomico di Arcetri. Quali sono per lei i punti in comune fra arte e scienza? Sia l’arte che la scienza sono due manifesta- zioni della mente umana, della creatività uma- na. Anche nell’arte, come nella scienza, esisto- no rapporti di forme, di dimensioni che fanno un oggetto bello o brutto. Per cogliere la bellezza di immagini come quelle che qualche tempo ci sono giunte da Marte, è sufficien- te fermarsi all’oggettività scientifica? Chi ama la natura, ammira Marte già solo ve- dendo tutte le strutture formate ad esempio dal- la sabbia, o guardando i crateri, le pianure, le montagne: pur essendo un paesaggio desertico, ha una sua bellezza. La meraviglia risiede anche nel cogliere le analogie e le differenze con la Ter- ra, vedendo ad es. le tracce lasciate dall’acqua che un tempo era abbondante su Marte. È una bel- lezza paragonabile a quella di una montagna, di un lago, di un paesaggio terrestre. Le stelle chiamate supernovae INTERVISTA La Nebulosa del Granchio. È un resto di supernova: una nebulosa di gas in espansione.

INTERVISTA A colloquio con la nota scienziata Margherita Hack ... · immagini stellari, negli spettri stel-lari, si possono non notare certi fe-nomeni, non rendersi conto della lo-ro

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Page 1: INTERVISTA A colloquio con la nota scienziata Margherita Hack ... · immagini stellari, negli spettri stel-lari, si possono non notare certi fe-nomeni, non rendersi conto della lo-ro

INTERVISTA A colloquio con la nota scienziata Margherita Hack

Anche noi siamo il fruttodell’evoluzione dell’universo

ratteristiche che si osservano nelleimmagini stellari, negli spettri stel-lari, si possono non notare certi fe-nomeni, non rendersi conto della lo-ro importanza, oppure capire, intui-re, che in quelle anomalie, in quei fe-nomeni fuori dalla norma, per altronon sempre molto visibili, si nascon-da qualcosa sulle cui ragioni fisichebisogna indagare.

Non deve essere stato sempre facile peruna scienziata del suo calibro lavora-re in un universo prettamente maschi-le e anche in anni in cui erano pochis-sime le donne ad occupare certe posi-zioni di prestigio. Quali i principaliostacoli che ha dovuto superare?Io debbo dire che non ho avuto al-

cun problema di sorta. Forse ho do-vuto lavorare di più dei miei colleghimaschi per vincere la Cattedra, maa parte questo, non mi sono mai sen-tita diversa, perché ho sempre sen-tito di vivere con degli esseri umani,femmine o maschi che fossero, cer-tamente anche in maniera competi-tiva.

Lei ha infatti dei trascorsi sportivi: lasua specialità il salto in lungo e il sal-to in alto. Che cosa le ha insegnato losport?Ho fatto atletica a livello naziona-

le e posso dire che lo sport è moltoutile in quanto aiuta a misurarsi congli altri, a rendersi conto delle propriecapacità, e dà quella competitivitànecessaria anche nella vita. In fon-do anche la ricerca, il volere andareavanti e riuscire, è una gara. Perciòio ho preso la vita come una gara.

Fra le scoperte scientifiche da lei com-piute, ve n’è una che l’ha particolar-mente appagata?Forse una c’è una, ed è quella per

la quale ho avuto la conferma a unamia teoria 22 anni dopo. Nel 1956 eroa Berkeley, in California. Stavo stu-diando una stella molto strana, concaratteristiche uniche, che subivaun’eclissi ad opera di un oggetto sco-nosciuto sul quale erano state avan-zate varie ipotesi. Tra di esse quelladi Otto Struve, l’allora direttore delDipartimento di Astronomia diBerkeley, secondo cui quell’oggettoavrebbe potuto essere una stellamolto fredda che occultava la stellavisibile ogni 27 anni senza lasciaretraccia. Io ebbi la fortuna di avere de-gli spettri eccellenti per studiarequella stella. Da certe caratteristichemolto poco visibili ho immaginatoche la causa dell’eclissi fosse il con-trario di quanto suggerito da Struve,e cioè che si trattasse di una stellamolto più calda, ma molto più pic-cola di quella visibile. Per conferma-re questa mia teoria sarebbe statonecessario osservare questo oggettonell’ultravioletto, ma nel 1956 nonera ancora incominciata l’era spazia-le - lo Sputnik fu lanciato nel ’57, ilprimo satellite astronomico alla finedegli anni ’60. Quando nel ’78 ven-ne lanciato un satellite preposto al-l’osservazione degli spettri ultravio-lette delle stelle, il primo programmada me proposto fu quello di osserva-re questa stella di cui mi ero occupa-ta molti anni prima. Dal satellite ar-rivavano le immagini su uno scher-mo televisivo. Se la mia ipotesi fos-se stata sbagliata, lo schermo sareb-be dovuto rimanere nero. Dopo unpo’ apparve invece una strisciolinaluminosa, ossia lo spettro della stel-la calda. È stato emozionante veder-lo apparire, una bella soddisfazione.Sia chiaro che non è stata una gran-de scoperta, ma pur sempre un pic-colo tassello che ho portato all’astro-fisica.

Ammirare incantati la cupola celestecon le stelle brillanti e la luna è un’e-sperienza comune a tutti. Ma quandoMargherita Hack osserva il cielo, leemozioni umane si combinano imman-cabilmente con quelle scientifiche?Certo il cielo è un bello spettaco-

lo, quando si riesce a vederlo, perchéormai è sempre meno visibile a cau-sa dell’inquinamento luminoso.Quando io lo guardo, ciò che mi me-raviglia sempre è pensare che, sem-plicemente analizzando la luce bian-

ca di quei puntolini così deboli e lon-tani, si è potuto capire tanto dellastruttura fisica delle stelle. Capire chesono globi completamente gassosi,in equilibrio fra due forze opposte,quella di gravità e la pressione deigas. Ricavare dalla condizione fisicaalla superficie che sono corpi com-pletamente gassosi. Risalire alle con-dizioni interne scoprendo che den-tro le stelle avvengono delle reazio-ni nucleari che nel corso di milionidi anni modificano la loro strutturainterna, facendole evolvere. È straor-dinaria la possibilità di ricostruiretutta la storia di una stella: come siforma, come invecchia e come fini-sce.

Che cosa le hanno insegnato per il suomestiere i testi degli antichi filosofiche lei cita spesso?A volte meravigliano le intuizioni

degli antichi greci come Democritoe la sua idea atomica, o Ipparco cheaveva capito che era la terra a giraresu se stessa e non la volta celeste amuoversi da est a ovest, e che avevaideato dei mezzi per misurare la di-stanza della luna e del sole, mostran-do l’esattezza di quei metodi. Soltan-to i suoi mezzi di misura erano trop-po incerti nonostante la sua misura-zione della distanza della luna aves-se valore praticamente uguale aquello attuale, mentre quella del so-le era stata largamente sottostimata,malgrado il principio fosse giusto. Èproprio in base a queste misure cheprobabilmente aveva capito che ilsole era molto più splendente deipianeti e quindi forse per questo ave-va immaginato che dovesse essere ilsole al centro del sistema solare enon la terra. Meraviglia, in definiti-va, questa capacità di liberarsi dal-l’inganno dei sensi.

A meravigliare lei è anche l’ingenuitàdei bambini, come scrive in L’univer-so di Margherita. Storia e storie di Mar-gherita Hack (Editoriale Scienza, Trie-ste, 2006): "Dovremmo tornare un po’tutti come bambini". Come fare?È possibile restare bambini, ci si

può divertire a fare quello che si fa-ceva da bambini. Certamente dipen-de dal carattere. Io, ad esempio, misento, non dico come a 10 anni, macome a 20 sì!

È nel corso della sua esistenza che so-no state fatte le principali scoperte sustelle, galassie, Universo. Un bel pri-vilegio.Nel corso del XX secolo si sono ve-

rificati enormi sviluppi. Prima delXIX secolo le stelle venivano studia-te soltanto come punti luminosi dicui si esaminava la posizione e di cuisi tentava di misurare i moti. L’astro-fisica è nata all’inizio del XIX secoloquando si è cominciato a studiare lospettro del sole, ossia a disperdere laluce del sole con un prisma e vede-re che c’era una striscia luminosa

con delle righe scure che non si ca-piva che cosa fossero. Poi, a metà delXIX secolo, il grosso contributo diAngelo Secchi che ha studiato siste-maticamente gli spettri delle stelle,iniziando a capire le differenze, a in-tuire che erano dipendenti dalla di-versa temperatura superficiale. Tut-te queste osservazioni, però, eranofatte a occhio. Si guardava il telesco-pio, si vedevano le immagini, ci si do-veva ricordare quanto si era visto perpoi disegnarlo. Erano insomma tut-te osservazioni molto soggettive chedipendevano dalla memoria visiva edall’abilità del disegnatore.

Quando il salto di qualità?Un grosso passo in avanti si è avu-

to alla fine dell’Ottocento quando èstata inventata l’emulsione fotogra-fica: fissando le immagini, essa hapermesso di studiarle con calma a ta-volino e in modo oggettivo. Sono poiarrivati i grandi telescopi che hannopermesso di vedere più lontano: ve-dere più lontano significa ancheguardare più indietro nel tempo, e diconseguenza si è potuto iniziare a ca-pire come si modifichi l’Universo neltempo. Agli inizi degli anni Trenta siera scoperto che la galassia emetteanche onde radio e quindi l’astrono-mia, che fino ad allora aveva studia-to il cielo semplicemente misuran-do la luce, ha visto che esiste ancheun cielo radio. Successivamente è ar-rivata l’era spaziale che ha permes-so di studiare l’Universo a raggigamma, raggi x, ultravioletto, infra-rosso - tutta la gamma dello spazioelettromagnetico- mostrando checi sono oggetti completamente igno-rati prima, molto deboli nel visibilema magari forti radiosorgenti. In-somma, si è scoperto un aspetto delcielo completamente nuovo.

di LUCA BERNASCONI

Ospite applauditissima dell’ASRI(Associazione Svizzera per i Rappor-ti Culturali ed Economici con l’Italia:www.asri.ch), introdotta dal suo Pre-sidente, l’avvocato Paolo Solari-Boz-zi, la professoressa Hack ha tenutobanco per più di un’ora ripercorren-do la storia dell’Universo in modoesauriente e con una lucidità invidia-bile. Una vita dedicata all’osservazio-ne e alla comprensione delle stelleper le quali Margherita Hack ha da-to molti contributi: "Sono contentadi aver fatto la mia modesta parte".Una grande fortuna per lei l’aver at-traversato un secolo durante il qua-le sono avvenute le principali scoper-te che hanno riguardato il suo cam-po di ricerca. Scienziata di fama in-ternazionale, donna modesta e ge-nuina, con i piedi ben piantati in ter-ra, si è raccontata all’indomani del-la conferenza, con il suo sorriso bo-nario, con la sua giovinezza negli oc-chi d’un azzurro limpido come uncielo estivo.

Né vocazione, né passione precocesono state le chiavi d’ingresso al mon-do dell’astrofisica e dell’astronomia,ma piuttosto il caso. Che cosa l’ha at-tirata maggiormente una volta varca-ta quella soglia?Il divertimento di fare ricerca. In-

tanto a me è sempre piaciuto lavo-rare con le mani, quindi anche uti-lizzare uno strumento, imparare ausarlo; e poi incominciare a capireche cosa significasse fare ricerca, os-sia lavorare di testa mia trovando deiprogrammi con gli strumenti a di-sposizione che all’epoca erano limi-tati come a Firenze il telescopio da30 centimetri che permetteva soltan-to lo studio di stelle abbastanza bril-lanti. Tuttavia, c’era il gusto di fare dasé e di innovare malgrado le limita-zioni strumentali. Altro aspetto deldivertimento, quello di capire daglispettri le ragioni fisiche di certeanomalie che vi apparivano. Il miocampo principale di ricerca è infat-ti sempre stato quello di studiare stel-le peculiari, diverse dalla norma.

Quali sono le componenti che fondanouna mentalità scientifica?Intanto la costanza, il non scorag-

giarsi davanti alle difficoltà, sia per-ché la matematica e la fisica, chedebbono piacere, sono disciplineabbastanza dure, sia perché la ricer-ca non dà risultati immediati, a vol-te nemmeno un risultato. Oltre a ciò,è poi necessaria una certa fantasiascientifica: capire quali siano i pro-blemi aperti che si possono affron-tare.

La mentalità scientifica ha in qualchemisura modellato la sua quotidianità?Non saprei di preciso, sebbene

possa confermare di avere una men-talità abbastanza pratica. Essendo incampo scientifico sperimentale enon teorica, è probabile che la miaforma mentis scientifica abbia in uncerto senso influenzato la mia quo-tidianità.

"Rimane il mistero di come l’Univer-so si sia originato" scrive in Dove na-scono le stelle (Sperling & Kupfer Edi-tori, Milano, 2004). Per un credente ilmistero viene risolto con l’interventodella mano di Dio. Ma per chi creden-te non è?Non sappiamo come si sia origina-

to l’Universo e la scienza non è ingrado di dirne la ragione. Essa cercadi capire come funzioni l’Universo,la natura, il nostro corpo, ma non sarispondere al perché l’Universo sianato, sempre che sia nato. A me in-teressa il campo scientifico. Ci sonoscienziati credenti, non credenti,agnostici. La scienza ha il compito distudiare la natura attraverso l’osser-vazione e l’esperimento; se poi qual-cuno crede in Dio è questione di fe-de, come lo è anche il non crederci,perché l’esistenza di Dio non può es-sere dimostrata.

Qual è il ruolo dell’intuizione e dell’im-maginazione in un lavoro scientifico?È importante, poiché da certe ca- La nota scienziata Margherita Hack, ospite dell’ASRI a Zurigo.

CORRIEREdegliITALIANIMERCOLEDÌ 4 OTTOBRE 2006 A TU PER TU 3

Quali altre scoperte sono state fondamentali per lascoperta di chi noi siamo?Certamente l’aver scoperto che le stelle chia-

mate supernovae sono quelle che produconotutti gli elementi presenti nell’Universo, per cuianche noi siamo fatti di materiale ed elementiche sono stati creati da queste supernovae. An-che noi non siamo qualcosa al di fuori dell’Uni-verso, ma siamo proprio il prodotto dell’evolu-zione dell’Universo.

Nelle sue risposte si sente spesso echeggiare la pro-fessoressa Margherita Hack. Al proposito lei ha scrit-to una frase molto significativa: "Bisogna aver ca-pito a fondo le cose per poterle insegnare". Qual èla sua visione sulla scuola odierna?A giudicare dai risultati... Spesso i ragazzi ar-

rivano all’Università senza saper scrivere in ita-liano. Naturalmente ce ne sono di molto bravi,ma mi pare che la maggioranza abbia una pre-parazione molto scarsa. La scienza, soprattutto,è sempre stata trascurata nelle scuole medie, an-che ai tempi miei quando l’era un po’ più seria.

Le opere divulgative che lei ha scritto traducono inragionamenti semplici concetti complessi. Sebbe-ne siano meritorie in quanto permettono l’accessoa discipline ostiche ai non addetti ai lavori, non sicorre il rischio di una semplificazione snaturante?Infatti bisogna cercare di spiegare i fenomeni

con esempi semplici ma pertinenti, anche per-ché tutta la vita è governata dalla fisica. Quan-do si parla ad esempio del big bang, della fugadelle galassie, si usano termini impropri che dan-no un’idea sbagliata, perché ci si immagina ungran botto iniziale, un’esplosione, da cui tutte legalassie sono scaraventate in tutte le direzioni.Probabilmente non c’è stato nessun botto, la fu-ga delle galassie non è una fuga perché è l’espan-sione, lo spazio, a trascinare le galassie, come lapasta di un dolce che lievita. Se in questa pastaci sono delle noccioline, esse vengono trascina-te l’una via dall’altra perché a gonfiarsi è la pa-sta, non sono le noccioline che si muovono. Lostesso avviene con le galassie: gli ammassi di ga-lassie non espandono, in quanto sono tenuti in-sieme dalla forza di gravità, come le nocciolineche, essendo solide, non espandono.

La mia Firenze. In riva all’Arno con Margherita Hack(Edizioni della Laguna, 2003), è una sorta di gui-da in sua compagnia alla scoperta di una delle piùbelle ed importanti città italiane. Che cosa rende Fi-renze tanto speciale per lei?Forse perché l’ho girata tanto a piedi che ne

conosco ogni pietra, e quindi tutto mi ricorda de-gli episodi legati ai miei genitori, ai miei amici,ai miei compagni. E poi, che sia una bella città,me ne sono resa conto quando me ne sono an-data, perché vivendoci non si va ad ammirare imonumenti, ma quando si torna dopo tanto, labellezza è sotto i propri occhi.

Il Campanile di Giotto da una parte, dall’altra l’Os-servatorio Astronomico di Arcetri. Quali sono per leii punti in comune fra arte e scienza?Sia l’arte che la scienza sono due manifesta-

zioni della mente umana, della creatività uma-na. Anche nell’arte, come nella scienza, esisto-no rapporti di forme, di dimensioni che fannoun oggetto bello o brutto.

Per cogliere la bellezza di immagini come quelle chequalche tempo ci sono giunte da Marte, è sufficien-te fermarsi all’oggettività scientifica?Chi ama la natura, ammira Marte già solo ve-

dendo tutte le strutture formate ad esempio dal-la sabbia, o guardando i crateri, le pianure, lemontagne: pur essendo un paesaggio desertico,ha una sua bellezza. La meraviglia risiede anchenel cogliere le analogie e le differenze con la Ter-ra, vedendo ad es. le tracce lasciate dall’acqua cheun tempo era abbondante su Marte. È una bel-lezza paragonabile a quella di una montagna, diun lago, di un paesaggio terrestre.

Le stellechiamatesupernovae

INTERVISTA

La Nebulosa del Granchio. È un resto di supernova: una nebulosa di gas in espansione.