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INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA DELLA SCIENZA. UN APPROCCIO STORICO 1. Che cos’è la filosofia della scienza? 1.Questioni terminologiche Origine del termine “epistemologia” Il termine al quale la filosofia della scienza viene assimilata è quello di “epistemologia”. Usato x la prima volta da Ferrier nell’800, indicava una delle 2 parti della filosofia, la seconda coo estituita dall’ontologia. Il termine veniva inteso da Ferrier come sinonimo di “teoria della conoscenza”, riferito alla “teoria della conoscenza scientifica”. Il significato di “epistemologia” nella filosofia francese ed italiana In Italia l’epistemologia tende a collocarsi nel campo della riflessione sul pensiero scientifico, viene assimilata alla filosofia della scienza. “EPISTEMOLOGIA” = “branca della teoria generale della conoscenza ke si occupa di problemi quali i fondamenti, la natura, i limiti e le condizioni di validità del sapere scientifico”. E’ concepita come “una teoria della scienza ke riconosce l’esemplarità del sapere positivo e si propone di analizzarne metodi e strutture”. Il significato di “epistemologia” nella cultura anglosassone Nella tradizione filos inglese l’epistemologia è assimilata alla “teoria della conoscenza”. Ne “La filosofia”, Rossi afferma di attenersi all’uso corrente nella letteratura inglese nel “considerare come sinonimi teoria della conoscenza, epistemologia e gnoseologia”. EPISTEMOLOGIA = “branca della filosofia ke concerne l’indagine nsulla natura, le fonti e la validità della conoscenza”. Anke in Polonia prevale qst modo di intendere l’epistemologia: con Ajdukiewicz .

INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA DELLA SCIENZA. UN … · INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA DELLA SCIENZA. UN ... Rossi afferma di attenersi all’uso corrente nella letteratura inglese nel

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INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA DELLA SCIENZA. UN APPROCCIO

STORICO

1. Che cos’è la filosofia della scienza?

1.Questioni terminologiche

Origine del termine “epistemologia”

Il termine al quale la filosofia della scienza viene assimilata è quello di

“epistemologia”.

Usato x la prima volta da Ferrier nell’800, indicava una delle 2 parti della

filosofia, la seconda coo estituita dall’ontologia. Il termine veniva inteso da

Ferrier come sinonimo di “teoria della conoscenza”, riferito alla “teoria della

conoscenza scientifica”.

Il significato di “epistemologia” nella filosofia francese ed italiana

In Italia l’epistemologia tende a collocarsi nel campo della riflessione sul

pensiero scientifico, viene assimilata alla filosofia della scienza.

“EPISTEMOLOGIA” = “branca della teoria generale della conoscenza ke si

occupa di problemi quali i fondamenti, la natura, i limiti e le condizioni di

validità del sapere scientifico”. E’ concepita come “una teoria della scienza ke

riconosce l’esemplarità del sapere positivo e si propone di analizzarne metodi

e strutture”.

Il significato di “epistemologia” nella cultura anglosassone

Nella tradizione filos inglese l’epistemologia è assimilata alla “teoria della

conoscenza”.

Ne “La filosofia”, Rossi afferma di attenersi all’uso corrente nella letteratura

inglese nel “considerare come sinonimi teoria della conoscenza,

epistemologia e gnoseologia”.

EPISTEMOLOGIA = “branca della filosofia ke concerne l’indagine nsulla

natura, le fonti e

la validità della conoscenza”. Anke in Polonia prevale qst modo di intendere

l’epistemologia: con Ajdukiewicz .

2. L’epistemologia come teoria della conoscenza

I quesiti dell’epistemologia tradizionale

Il problema centrale dell’epistemologia è definire i criteri e i caratteri ke

devono essere presi in considerazione x giungere alla conoscenza del reale.

Esso è articolato in qst

classici quesiti:

a)Ke cos’è la conoscenza?

La conoscenza è definibile come credenza vera giustificata: credenza, xkè

consiste in uno stato psicologico del soggetto ke possiede certe idee, di solito

espresse in forma proposizionale; vera, xkè tali credenze non possono

essere il mero frutto della fantasia, ma devono rispekkiare la realtà ke hanno

come oggetto; giustificata, in quanto non è sufficiente ke le nostre credenze

siano vere, ma è necessario esibire ragioni e motivi x ritenerle tali.

b)Come dovremmo arrivare ad essa?

E’ compito dei filosofi rispondere a qst quesito, concernente il quid juris, cioè

quali siano le regole ke bisogna seguire x pervenire alla conoscenza.

c)Come ci arriviamo?

Compete agli psicologi la risposta a questa domanda, concernente il quid

facti, cioè il modo in cui effettivamente si comportano gli individui nel

procurarsi le loro conoscenze.

d)I processi con cui ci arriviamo sono gli stessi di quelli con cui dovremmo

arrivarci?

E’ possibile fare una comparazione tra le risposte date alle domande b) e c),

x poter risp ondere anke alla domanda d).

E’ tipico dell’epistemologia tradizionale cercare di risp a tali quesiti “mediante

la riflessione su casi possibili. Gli epistemologi descrivono i casi possibili,

consultano le loro intuizioni x sapere se siano o no in presenza di una

conoscenza e decidono se il caso esaminato dimostri ke l’analisi proposta è

errata...il compito è portato avanti solo da un epistemologo seduto in

poltrona, senza l’aiuto della scienza”. L’epistemologia

rivendica una priorità concettuale e metodologica sulla scienza.

Carattere normativo dell’epistemologia e suo attegiamento

“fondazionalistico”: la prima philosophia

L’epistemologia è una disciplina normativa: non si limita a descrivere i

processi conoscitivi effettivamente messi in atto, ma indica delle norme sul

modo in cui si debbono condurre le nostre attività cognitive allo scopo di

ottenere una conoscenza vera e giustificata. Ciò la porta a un compito

ambizioso: trovare il fondamento delle pretese di conoscenza avanzate

dall’umanità. Questa la prospettiva “fondazionalistica”: compito

dell’epistemologia è fornire alla scienza una base sicura di credenze

indubitabili sulle quali costruire l’intera conoscenza scientifica. Il filosofo

ambisce alla fondazione della conoscenza scientifica, è lui solo in grado di

risolvere il problema della conoscenza; e ciò deve essere attuato facendo

ricorso solo alle proprie forze in uno sforzo teoretico ke trae argomentazioni e

tesi dalla generale capacità razionale umana.

L’orizzonte problematico dell’epistemologia è definito dalla necessità di risp

alla sfida scettica, dissipando l’ombra del dubbio dalle nostre conoscenze.

L’epistemologia viene intesa come una filosofia fondamentale,o prima

philosophia.

3. La filosofia della scienza come disciplina autonoma

Assimilazione della “epistemologia” alla filosofia della scienza e suo carattere

metadiscorsivo

“Scopo di tale disciplina non è tanto costruire un fondamento oppure

un’estensione delle scienze quanto affrontare o descrivere il proprio oggetto

dal punto di vista metodologico e critico”. La filosofia della scienza viene

considerata come un’attività “riflessa”: l’analisi dei concetti adoperati dalla

scienza e dei risultati cui essa perviene è il dato di partenza x arrivare a delle

considerazioni sul modo di procedere degli scienziati, sulla natura delle loro

asserzioni e sul metodo da essi adoperato.

La rivendicazione dell’autonomia dell’epistemologia rispetto alla

gnoseologia

Tale piena autonomia è stata rivendicata x la prima volta nella filosofia

tedesca del 19 sec, ke ha introdotto la distinzione tra Wissenschaftlehre

(dottrina della scienza) e Erkentnisslehre (dottrina della conoscenza): la

prima indica l’epistemologia come metodologia o teoria della ricerca

scientifica, mentre la seconda indica la tradizionale filosofia della

conoscenza.

La svolta con il Circolo di Vienna

Con il circolo di Vienna, fondato da Schlick nel 1929, la filosofia della scienza

acquisisce una fisionomia autonoma. Nell’epistemologia si vede sempre +

non lo studio della conoscenza in generale, bensì di quel suo particolare tipo

ke viene incarnato nella scienza. Si assume ke la scienza sia la forma

conoscitiva x eccellenza, ke ha dato la prova concreta di sé nella spiegazione

e comprensione della natura, sikkè compito del filosofo è capirne la struttura

e il modus operandi, senza influenzarla nei suoi contenuti.

Vi era la speranza ke, una volta compreso l’arcano ke rende la scienza

conoscitivamente efficace, lo si potesse applicare agli altri campi dell’umana

attività pratico-teorica.

L’epistemologia intesa in modo antifondazionista nel neopositivismo

Il modo nuovo in cui viene intesa la “teoria della conoscenza” da coloro ke gli

hanno dato origine, fondandola su basi logico-linguistike segna una svolta

decisiva x liberare la filosofia della scienza dai caratteri posseduti dalla vekkia

epistemologia. Riceve forte impulso la tendenza a distinguere scienza e

metafisica, razionalità logico-analitica e razionalità storico-dialettica; vengono

posti in secondo piano gli aspetti fondazionistici ke gli pervenivano dalla

tradizione della vekkia gnoseologia.

Il continuum di normatività e descrittività

Se si propende x un approccio normativo al problema della conoscenza, ci si

pone nel campo della tradizionale epistemologia; se invece si opta x un

approccio descrittivo, allora si prende come punto di partenza la conoscenza

in atto e ci si pone sul piano della filosofia della scienza. Se si risp al dubbio

scettico attraverso argomentazioni di carattere filosofico, allora abbiamo a ke

fare con l’epistemologia nell’accezione criticata dagli antifondazionalisti; se

invce si ritiene qst dubbio assorbito dalla pratica della scienza, allora ci si

pone su di un piano non + fondativo, ma descrittivo. Non di rado è capitato ke

il filosofo della scienza, partendo da una prospettiva iniziale meramente

descrittivista, sia poi approdato a una posizione di tipo normativo. Dal fatto ke

la scienza applica un particolare metodo, si è passati alla norma ke impone a

tutte le indagini conoscitive di applicare il medesimo metodo, affinkè esse

possano conseguire lo stesso grado di certezza conoscitiva. Se la scienza è

conoscenza in quanto applica il metodo scientifico, allora ogni altra disciplina

deve applicarlo se vuole essere anke conoscenza. E’ un passaggio

dall’essere al dover essere, dal fatto alla norma.

4. Alle origini della filosofia della scienza

Il programma della “filosofia scientifica”

All’inizio del 900 divenne parola d’ordine x molti scienziati e filosofi, specie di

formazione scientifica, l’esigenza di rifondare la filosofia in modo da renderla

“scientifica”. Si forma un’insistente campagna in favore della “filosofia

scientifica”, il cui programma può assumere 3 diversi significati:

a) La scienza costituisce il fondamento della filosofia, la quale viene intesa

come una riflessione filosofica sulla scienza, ke si preoccupa di estendere i

risultati al di là del loro ambito specialistico.

b) La scienza è l’oggetto della filosofia ke non deve essere nient’altro ke

teoria della scienza, indagine sulle sue assunzioni, finalità, metodi.

c) La scienza deve costituire il modello della filosofia: filosofia scientifica in

senso stretto, avente un proprio oggetto diverso dalla scienza, e quindi in

grado di portare una conoscenza distinta da quella da essa fornitaci, ma

ottenuta imitandone il metodo e le procedure.

La formazione del primo nucleo del “Circolo di Vienna”

A partire dal 1907 cominciarono a riunirsi un gruppo di amici accomunati da

un comune modo di vedere la filosofia e la scienza. Qst gruppo di

discussione, x la cui formazione si era adoperato il matematico Hahn, era in

particolare interessato alla nuova immagine di scienza ke si andava

delineando in seguito al declino del paradigma meccanicistico ottocentesco e

ke faceva parlare di “crisi delle scienze”. Nasce come una riflessione di

studiosi di formazione scientifica. E’ all’interno di esso ke emerge l’esigenza

di discutere dei problemi della scienza anke con ki fosse maggiormente

fornito di competenza filosofica, con un “ filosofo autentico” ke avesse

familiarità in campo epistemologico. Il progetto verrà a realizzarsi solo dopo la

guerra, quando Hahn ritornerà da Bonn nel 1921 e rikamerà a Vienna il

filosofo Schlick.

Le conseguenze della prima guerra mondiale sulla filosofia scientifica

viennese

La prima guerra mondiale, con lo smembramento dell’impero asburgico e la

creazione di nuove entità nazionali, incise profondamente sullo sviluppo della

filosofia scientifica austriaca. Si smarrì quel terreno comune di dibattito ke

prima aveva caratterizzato la cultura della grande Vienna.

Schlick a Vienna nel dopoguerra e l’influenza di Wittgenstein

Gli studiosi ke si raccolsero nel Circolo di Vienna nella sua configurazione

matura, pur condividendo il programma generale di Brentano e riconoscendo

ad esso il merito di aver attirato l’attenzione sulla riflessione logica grazie alla

conoscenza della scolastica, lo innestarono con influenze ed esigenze ke ne

trasformarono i connotati, specie in direzione del rifiuto dello psicologismo. La

trasformazione + rilevante fu il progressivo abbandono del programma della

“filosofia scientifica” (scienza come modello della filosofia) in favore di una

concezione della filosofia intesa come metascienza, trasformata in filosofia

della scienza. Grazie all’opera di Wittgenstein la filosofia è giunta ad un

“punto di svolta”, sorgendo una sua “nuova epoca”: essa viene ormai intesa

non come un sistema di conoscenza ma di atti tesi a kiarire il senso degli

enunciati, laddove la verità di questi è demandata esclusivamente alla

scienza. Non esiste una filosofia come scienza sui generis, con un proprio

insieme di problemi, e il filosofo non è detentore di un particolare tipo di

conoscenza. La logica non è il metodo ke permette la scientifizzazione della

filosofia, ma lo strumento ke qst utilizza nella sua attività tesa a dissipare le

confusioni derivanti dalle parole e dal linguaggio, in modo ke i suoi problemi

possono essere risolti sul terreno scientifico. E’ la dikiarazione

dell’abbandono della tesi ke esistano autentici problemi filosofici a segnare il

nuovo periodo del pensiero di Schlick, successivo all’influenza di

Wittgenstein: la filosofia non è conoscenza e quindi è assurdo pensare ke sia

possibile “scientificizzarla”. La “filosofia scientifica” è ormai ritenuta

impossibile. Non resta ke praticare, al suo posto una filosofia della scienza.

La filosofia della scienza si propone consapevolmente come teoria della

scienza, senza dimenticare mai del tutto l’ambizione rettificatrice nei confronti

della filosofia.

2. Le trasformazioni della scienza tra 800 e 900

1. Il mondo secondo Laplace

La sistemazione del newtonianismo con Laplace

La sistemazione della fisica classica aveva ricevuto una sua formulazione

esemplare con Laplace. Egli coltivò l’idea di scienza come conoscenza x

eccellenza, contrapposta alla filosofia tradizionale, caratterizzata x

l’applicazione del “metodo induttivo”. La sua opera consiste nell’elaborazione,

perfezionamento ed estensione della scienza newtioniana. Egli edifica un

“sistema del mondo” in cui ceca di coniugare visione meccanicistico-

deterministica del reale e consapevolezza dei limiti della conoscenza umana.

La metafora della intelligenza divina

La visione del reale di Laplace è resa dalla metafora: “Raffiguriamoci lo stato

presente dell’universo come l’effetto del suo stato anteriore, e come la causa

di quello ke seguirà. Un’intelligenza ke x un dato istante conoscesse tutte le

forze da cui la natura è animata e la situaz rispettiva degli esseri ke la

compongono abbraccerebbe in un’unica e medesima formula i movimenti dei

+ grandi corpi dell’universo e quelli del + lieve atomo: niente sarebbe incerto

x essa. Lo spirito umano offre una pallida immagine di qst intelligenza”.

I caratteri della concezione di Laplace: unitarietà e semplicità

dell’universo, meccanicismo, riduzionismo e determinismo

V’è in Laplace l’idea dell’unitarietà e semplicità dell’universo. Tale unitarietà si

esprime nelle leggi ke ne governano il divenire e ke hanno natura meccanica,

si basano sull’applicabilità della dinamica settecentesca e sulla possibilità di

risolvere con equazioni differenziali ogni problema di calcolo. Alla base della

dinamica v’è la «tendenza a considerare ogni sistema reale come l’aggregato

di componenti elementari e l’evoluzione del sistema come il risultato

dell’interazione di qst unità elementari»; ne deriva la predilezione x un

approccio atomista alla natura. Qst’impostazione meccanicistica esprime una

concezione della scienza riduzionistica, esiste una scienza fondamentale i cui

concetti devono consentire di ottenere i concetti base delle altre scienze. Si

esprime anke una posizione determinista: la conoscenza esatta dello stato

iniziale di un certo sistema fisico è sufficiente x prevedere con certezza il suo

futuro, ogni sua componente elementare è soggetta ad una causa ke ne

determina in maniera univoca l’evoluzione. Alla base dell’impostazione

riduzionistica stava la convinzione ke il mondo microscopico fosse + semplice

di quello macroscopico: x comprendere qst’ultimo è sufficiente scomporre i

sistemi complessi x trovare le loro componenti semplici. Fatto ciò, si pensava

fosse possibile formulare un’espressione matematica (lagrangiana), con la

quale ricavare le equazioni dinamike ke descrivono il divenire del sistema.

Trovata la lagrangiana tutto era spiegato.

Il calcolo della probabilità come rimedio alla limitatezza della

conoscenza umana

L’ipotesi dell’Intelligenza infinita mette in luce il fatto ke l’ideale della perfetta

conoscenza non è realistico: l’uomo non potrà mai ottenere qst infinita

precisione delle misure. Conosciamo solo in modo inesatto lo stato di un

sistema. L’avvicinarsi al vero è un processo infinito e l’uomo resterà sempre

lontano dalla conoscenza completa, pur allontanandosi sempre +

dall’ignoranza. Qst scarto sempre esistente tra la nostra conoscenza e la

verità giustifica x Laplace l’introduzione del calcolo delle probabilità.

Qst ragionamento si applica alla conoscenza della natura: l’impossibilità di

conoscere con esattezza lo stato di un sistema fisico in un dato momento non

ci consegna irrimediabilmente all’ignoranza, in quanto grazie alla teoria della

probabilità possimo gettare un ponte tra essa e la natura, in modo da

procedere ad un calcolo approssimato e probabilistico del suo divenire.

Negata all’uomo la possibilità dell’onniscienza, resta uno spazio enorme e

fruttuoso tra essa e l’ignoranza. La scienza diventa probabilistica senza

perdere il suo carattere meccanicistico e riduzionistico e l’uso del calcolo

delle probabilità diventa uno strumento indispensabile in fisica. Il modello

teorico proposto da Laplace segnò tutto l’800 ed ebbe un immenso successo

grazie alle sue applicazioni in molteplici campi.

2. Il calore e la termodinamica

La termodinamica di Fourier mette in crisi l’idea laplaciana di scienza

unitaria

Il fisico francese Fourier aveva dimostrato all’inizio dell’800 come fosse

possibile edificare una scienza dei fenomeni termici prescindendo da una

visione meccanicistica della realtà. Egli partiva da grandezze macroscopike e

quindi da fatti ‘generali’ che permettevano la previsione e la formulazione di

teoremi ed equazioni sulla propagazione del calore ke avevano altrettanta

validità e rigore matematico di quelli tipici della meccanica. La teoria del

calore di Fourier metteva in crisi la fisica laplaciana.

La termodinamica si poteva costituire come scienza autonoma,

indipendentemente dalla meccanica e senza condividerne le ipotesi di fondo.

Il modello della fisica molecolare si rivelò inadeguato al compito ke Laplace

gli aveva assegnato, quello di riunificare la fisica. Gran parte della storia della

scienza dell’800 è storia del riconoscimento dei limiti sempre nuovi, sempre +

numerosi all’applicabilità del modello di Laplace al mondo empirico.

I fenomeni termici e la freccia del tempo

I fenomeni connessi alla propagazione del calore manifestavano un

comportamento ke contraddiceva alcuni dei principi basilari della dinamica

classica. E’ un’evidenza empirica il fatto ke il calore si trasmette secondo una

direzione: va sempre dal corpo + caldo a quello + freddo, mai avviene il

contrario. Qst comportamento metteva in luce la circostanza ke certi

fenomeni naturali seguono spontaneamente una direzione temporale; si

evolvono solo in una direzione, diversamente dai fenomeni descritti dalla

meccanica, ke sono indifferenti rispetto al tempo e possono svolgersi in un

senso o in un altro. Al mondo senza tempo della meccanica si contrappone

un mondo ke segue la cosiddetta freccia del tempo.

Il secondo principio della termodinamica e l’entropia

Il solco tra i fenomeni descritti dalla termodinamica e la visione

meccanicistica sembrò approfondirsi quando venne scoperto da Clausius il

secondo principio della termodinamica, ke introdusse il concetto di entropia.

Qst nuova grandezza fisica stava ad indicare il processo necessario di

decadimento dell’energia derivante dal fatto ke, in un sistema kiuso, i corpi

prima o poi assumono la stessa temperatura, qualunque sia la loro differenza

iniziale. E’ un processo irreversibile, ke contrasta con il divenire della

meccanica, ke viene descritto sempre come reversibile. Essendo la

differenza tra temperature essenziale affinché si possa produrre lavoro ne

derivava ke un sistema in cui l’entropia giunge al suo massimo (tutte le sue

parti hanno la stessa temperatura) non è in grado di generare alcun lavoro;

diremo ke è inerte. L’universo tenderebbe ad evolvere nel senso di un

progressivo aumento dell’entropia. Il tempo non è ke un’espressione del

processo entropico. Diversamente dalla meccanica, x la quale il tempo era

indifferente, nei processi termodinamici esso è un elemento essenziale, ke

scorre nel senso dell’aumento progressivo ed inesorabile dell’entropia.

La morte termica dell’universo e le sue implicazioni filosofiche

Se si assume ke l’universo è un sistema kiuso e finito, prima o poi tutte le sue

parti avranno la stessa temperatura e in esso non sarà possibile + alcun tipo

di lavoro: andrà incontro alla morte termica. Qst la conclusione cui giunse

Thomson. Qst prospettiva della fine del mondo contrasta con la tesi,

sostenuta da materialisti e meccanicisti, di un universo infinito ed eterno, ke si

basava sull’idea della conservazione dell’energia formulata dal primo

principio della termodinamica (in nessun caso l’energia viene creata o

distrutta, ma viene continuamente scambiata fra i vari sistemi fisici sotto

forma di calore o lavoro). L’ammissione della morte termica dell’universo

dava fiato a coloro ke volevano combattere il materialismo ed il positivismo

col negare l’autonomia e l’eternità della natura e miravano ad introdurre la

necessità di un intervento esterno in grado di spiegarne la nascita e di

scongiurarne l’altrimenti inevitabile fine: l’ammissione dell’esistenza di Dio.

Non tutti accettavano una tale prospettiva. Spencer, rigettava l’ipotesi della

morte termica sostenendo l’idea ke il nostro universo fosse parte di un

universo + ampio ed infinito in grado di intervenire dall’esterno e di impedirne

il degrado entropico. E’ imp rilevare ke emerge una discrepanza, in seno

stesso alla termodinamica, tra il primo e il secondo principio.

Il primo principio sostiene la conservazione dell’energia e la persistente

capacità di lavoro; il secondo afferma il necessario degrado dell’energia e

l’impossibiltà di compiere lavoro una volta raggiunto l’equilibrio termico. Il

primo è del tutto in linea con una visione meccanicistica della natura; il

secondo, con la freccia del tempo e l’irreversibilità, è in palese contrasto con

la reversibilità propria della dinamica classica.

Maxwell e la formulazione della teoria cinetica dei gas

Maxwell formulò una convincente teoria cinetica dei gas. In essa il

comportamento delle molecole veniva trattato in modo probabilistico,

riuscendosi a calcolare sia il percorso medio da ciascuna effettuato nel suo

moto casuale prima di collidere con un’altra particella, sia la distribuzione

statistica della loro velocità, ke viene compresa entro certi valori con un

addensamento intorno a quelli medi (secondo la curva a campana di Gauss).

Maxwell rappresenta le molecole paragonandole a sfere di piccolissime

dimensioni, dure e elastike, ke si muovono caoticamente all’interno di un

recipiente, sikké possono occupare indifferentemente qualsiasi posizione:

tutte le direzioni e le posizioni da esse tenute sono pertanto equiprobabili.

Considerando ke le molecole hanno massa e velocità media – dunque una

certa energia cinetica – nel loro movimento caotico un certo numero di esse

finisce x urtare contro una delle pareti del recipiente, trasmettendole parte

della propria energia e quindi esercitando una certa spinta. Se si considera

ke qst avviene x milioni e milioni di molecole ke compongono il gas, sarà

facile immaginare come l’energia così trasmessa alle pareti non sia altro ke la

pressione, una delle grandezze macroscopike fondamentali della

termodinamica. Qst ragionamento permetteva a Maxwell di derivare una

grandezza macroscopica (la pressione) dal comportamento di grandezze

microscopike (le molecole), ke ubbidiscono solo alle leggi classike della

dinamica newtoniana. Il meccanicismo e l’idea laplaciana del reale sembrava

risorgere.

La teoria cinetica permette di superare il contrasto tra primo e secondo

principio della termodinamica

Maxwell è così in grado di fornire un’interpretazione della termodinamica ke

permette di superare il contrasto tra il primo e il secondo principio. L’energia

non si annulla, non scompare, solo si distribuisce in modo da risultare

inutilizzabile.

La spiegazione dell’entropia su base statistica: il diavoletto di Maxwell

E’ possibile spiegare con la teoria cinetica dei gas il contrasto tra la

reversibilità ke caratterizza i processi meccanici e l’irreversibilità dei fenomeni

termodinamici. La seconda legge della termodinamica è il risultato a livello

macroscopico di un comportamento statistico delle molecole ke compongono

il gas e ke ubbidiscono alle normali leggi della meccanica.

Boltzmann e la connessione tra probabilità ed ordine: l’entropia come

evoluzione verso il disordine

Boltzmann, fondatore della meccanica statistica, approfondì il significato della

distribuzione probabilistica delle molecole ke compongono un gas e interpretò

l’entropia come lo stato macroscopico + probabile verso il quale evolve il

sistema. La condizione di maggiore probabilità veniva ad essere identificata

con la condizione di maggior disordine del sistema e l’aumento dell’entropia

poteva essere considerato come l’evoluzione dall’ordine al disordine. Ogni

lavoro utile, ke presuppone la trasformazione dell’energia, necessariamente

produce entropia e aumenta il disordine complessivo del sistema. Affinké si

possa ancora produrre lavoro è necessario mettere in contatto il nostro

sistema con un altro sistema ke possa accollarsi l’entropia in eccesso e

fornire l’ordine mancante: un sistema dal quale il nostro gas possa trarre

“negaentropia”. Un es di una makkina del genere è fornito dal frigorifero ke

trae dall’esterno – energia elettrica + ambiente circostante – la negaentropia

ke gli permette di mantenere una temperatura interna bassa con l’espellere

entropia sotto forma di calore verso l’esterno.

La natura probabilistica e non assoluta del secondo principio della

termodinamica

Diventa ancora + evidente in in tal modo la natura non assoluta, ma

semplicemente probabilistica, della seconda legge della termodinamica e

nulla in linea di principio esclude ke il processo ke porta al “mescolamento”

delle molecole calde e fredde non possa essere invertito.

Discontinuità tra conoscenza del macroscopico e del microscopico

La meccanica statistica introduce nel modo di considerare la conoscenza

della natura una discontinuità tra la conoscenza sensibile dei suoi stati

macroscopici e la conoscenza concettuale di quelli microscopici: uno stato di

quiete empiricamente constatabile era il risultato di un moto di miliardi di

particelle, il cui comportamento non poteva essere direttamente osservato ma

solo ipotizzato grazie all’utilizzo di sofisticate tecnike matematike e

probabilistike. La trattazione statistica dei processi fisici segna un’imp svolta

nella fisica dell’800 xkè segna il passaggio dall’interpretazione causale

deterministica, propria delle leggi della meccanica, a un’interpretazione di tipo

probabilistico ke contribuisce a mettere in luce i nessi tra determinismo e

predicibilità.

3. L’elettromagnetismo e l’idea di campo

I problemi suscitati dallo studio dei fenomeni magnetici ed elettrici

Altro punto di crisi della concezione meccanica sorgeva nel campo dei

fenomeni magnetici ed elettrici. Oersted evidenziò come sia possibile

generare effetti magnetici mediante la corrente elettrica, mettendo in

relazione fenomeni diversi: magnetismo ed elettricità. Ancora + interessante

era il fatto ke l’esperimento ed il tipo di interazioni messo in luce tra elettricità

e magnetismo non seguiva le leggi della dinamica newtoniana. Sembrava ke

gli esperimenti di Oersted non fossero riconducibili ad interazioni tra particelle

di tipo newtoniano, ma fossero il sintomo di forze ke operavano in tutto lo

spazio circostante al conduttore, secondo delle traiettorie circolari. Ke

equivaleva ad ammettere una concezione della materia non + discontinua,

ipotizzata dalla fisica newtoniana, ma continua.

La Fisica cartesiana del continuo contro fisica newtoniana del

discontinuo

X Cartesio l’universo non può ammettere vuoti, esso è un plenum di materia:

anke dove sembra ke i corpi siano separati da una distanza priva di materia è

necessario ammettere l’esistenza di un mezzo continuo, un fluido etereo, nel

quale “nuotano” i corpi celesti. In un approccio meccanicistico come quello di

Cartesio la reciproca interazione è ammissibile solo mediante il contatto tra

materia, assicurato da qst fluido etereo. X Newton, al contrario, è ammissibile

il ricorso a forze ke si comunicano a distanza in modo istantaneo e senza

contatto meccanico tra materia, come avviene nei fenomeni gravitazionali; in

qst’ottica tutte le forze agenti in natura avrebbero dovuto essere ridotte alle

attrazioni e repulsioni istantanee e a distanza tra particelle, tra loro separate

dal vuoto.

Supremazia del programma newtoniano e il problema della azione a

distanza

Lasciava perplessi gli scienziati l’idea di un’azione a distanza ke sembrava far

rivivere passati tentativi di spiegazione dei fenomeni naturali facendo ricorso

a cause occulte.

Newton, consapevole delle difficoltà, aveva rifiutato di indagare sulla natura di

questa forza, affermando ke ad essere imp era determinare come essa

agisse, e a tal fine era sufficiente la legge matematica da lui fornita.

L’idea di “campo” e le linee di forza- La scoperta dell’induzione

elettromagnetica di Faraday era una nuova realtà fisica: quella di campo.

Faraday x spiegare i fenomeni di induzione elettromagnetica faceva uso di

linee di forza e di azioni x contatto, ke potevano essere ammesse solo se si

ipotizzava un continuo materiale, contraddicendo

la descrizione dualistica del mondo fisico fatta dai newtoniani. La materia

infatti era x

lui “ovunque”: un continuo dove non sussistono distinzioni tra gli atomi e

l’ipotetico

spazio intermedio e dove non risultavano + ammissibili l’azione a distanza e

la

propagazione istantanea di forze fisike. Si affacciava l’intuizione di un “campo

unificato

di forze”, ke risiederebbe nell’intero spazio e ke permetterebbe di spiegare in

maniera

unitaria i fenomeni elettrici, magnetici, kimici e gravitazionali.

Maxwell cerca di dare rigore matematico alle idee qualitative di Faraday

Concezioni qst ke sembravano ai fisici contemporanei troppo qualitative e

oscure: Faraday aveva cercato sì di descrivere il campo come un insieme di

linee di forza esten- dendosi nello spazio a partire dalle carike elettriche, ma

non era stato in grado di dare loro quell’elegante veste matematica ke invece

era caratteristica della scuola francese.

Maxwell darà vero e proprio statuto scientifico a qst idee.

Maxwell: dal meccanicismo alla formalizzazione matematica facente a

meno di modelli meccanici

Maxwell si preoccupa di sviluppare una teoria matematica dei fenomeni

elettromagnetici, in modo da ottenere una serie di equazioni da cui poi

derivare logicamente tutte le conseguenze ke erano state riscontrate

empiricamente nei numerosi esperimenti condotti da Faraday e da lui stesso.

Perde anke interesse x lui la costruzione di un’immagine visualizzabile

dell’etere, al cui posto subentra il desiderio di formulare le equazioni

differenziali ke regolano i fenomeni in esso verificantesi. Egli vuole costruire

una “teoria dinamica del campo elettromagnetico”. Egli ritiene ke modelli e

interpretazioni diventano irrilevanti quando si sono trovati le leggi generali in

grado di ordinare un certo ambito fenomenico.

Le “equazioni di Maxwell” e la loro importanza per la fisica successiva

Come affermano Einstein ed Infeld «la formulazione di qst equazioni

costituisce l’avvenimento + importante verificatosi in fisica dal tempo di

Newton». Sono leggi valide nell’intero spazio e non soltanto nei punti in cui

materia o carike elettrike sono presenti, com’è il caso x le leggi meccanike.

Rammentiamo come stanno le cose in meccanica. Conoscendo posizione e

velocità di una particella, in un dato istante, e conoscendo inoltre le forze

agenti su di essa, è possibile prevedere l’intero futuro percorso della

particella stessa. Nella teoria di Maxwell invece basta conoscere il campo in

un dato istante x poter dedurre dalle equazioni omonime in qual modo l’intero

campo varierà nello spazio e nel tempo. Le equazioni di Maxwell permettono

di seguire le vicende del campo, così come le equazioni della meccanica

consentono di seguire le vicende di particelle materiali. Grazie ad esse viene

fornito in forma matematicamente ineccepibile un quadro unitario nel quale

descrivere sia i fenomeni elettromagnetici sia quelli luminosi. E difatti negli

anni successivi si estese il vocabolario introdotto da Maxwell alla teoria

newtoniana della gravitazione, iniziandosi a parlare di “campo gravitazionale”.

L’azione istantanea a distanza viene definitivamente respinta in favore

dell’azione per contiguità anke nei fenomeni gravitazionali.

L’etere quale punto di unificazione tra meccanica ed elettromagnetismo

Il concetto di campo e le stesse equazioni ke lo descrivono sono in netto

contrasto con il concetto di particelle e le equazioni tipike della meccanica

classica. Ma nessun fisico ortodosso di fine 800 avrebbe mai accettato l’idea

di una scienza della natura divisa in 2 fisike diverse e inconciliabili. Avrebbe

piuttosto cercato di ricondurre la teoria elettromagnetica alla meccanica

classica, ipotizzando un supporto materiale del campo ke ne spiegasse

l’azione. Così vanno le cose e a venire in soccorso è l’analogia delle onde

elettromagnetike con le onde in un liquido: qst ultime possono avvenire xké

vè un mezzo elastico (x es l’acqua) nel quale si formano; analogamente le

onde descritte da Maxwell avvengono in un mezzo materiale ke ne

costituisce il supporto: è il vekkio concetto di etere a essere utile. Qst’etere

cosmico finisce x svolgere l’importante funzione di unificare 2 settori della

scienza fisica altrimenti inconciliabili: la teoria meccanica e il concetto di

campo.

Fiducia nella scienza ed ottimismo sul suo sviluppo futuro tra 800 e 900-

I grandi progressi nei campi della scienza facevano pensare ke la

conoscenza umana si fosse incamminata su binari sicuri e ke non restasse

ke applicare ed estendere a nuovi domini dell’esperienza umana i metodi e le

teorie note x accumulare nuove conoscenze e scoperte.

4. La teoria della relatività

Il rivolgimento + radicale della scienza del 900 si deve ad Einstein il cui nome

ben presto divenne un punto di riferimento x indicare una rivoluzione

scientifica paragonabile a quella operata a suo tempo da Copernico.

Il principio di relatività formulato da Galileo: l’esempio della nave

Punto di partenza di Einstein è la riflessione sul principio di relatività

galileiana. Qst principio era stato formulato da Galileo x sostenere la mobilità

della terra durante la controversia x l’affermazione del sistema copernicano.

Una delle obiezioni fondamentali mosse dai tolemaici consisteva

nell’osservare ke, qualora la terra fosse in moto, un peso lasciato cadere da

una torre dovrebbe giungere al suolo non alla sua base, ma spostato di un

spazio corrispondente al moto nel contempo effettuato dalla terra. X risp a

tale obiezione Galileo aveva concepito un esperimento: immaginiamo di

essere rinkiusi nella stiva di una nave, sul pavimento della quale vi è un vaso

con una piccola apertura e sopra di esso un sekkio dal quale delle gocce

d’acqua si stakkino versandovisi; se la nave è ferma vedremo ke tutte le

gocce cadendo verticalmente si verseranno entro il vaso a terra. Facciamo

ora muover la nave a qualsivoglia velocità, ma con moto uniforme e non

fluttuante; non vedremo alcuna differenza nel comportamento delle gocce, ke

cadranno dal sekkio sempre in modo da centrare la bocca del vaso. Lo

stesso accadrà x ogni altro fenomeno fisico ke avviene nella stiva della nave,

a condizione però che il moto sia rettilineo e uniforme, ovvero non subisca

oscillazioni e fluttuazioni. Applicando il principio di relatività alla teoria di

Copernico, Galileo era così in grado di sostenere ke non è possibile con

esperienze di tipo meccanico affermare ke la Terra è ferma.

I sistemi inerziali e la ricerca del sistema di riferimento per eccellenza:

lo spazio assoluto

La velocità è una quantità relativa al sistema di riferimento rispetto al quale

viene effettuata la sua misura; nel caso della nave di Galileo qst sistema di

riferimento è rappresentato dalla terra. Quando il sistema di riferimento in cui

si trova l’osservatore si muove di moto rettilineo uniforme o sta in quiete si

dice ke è un sistema inerziale, un sistema x il quale vale il primo principio

della dinamica di Newton: «ogni corpo persiste nel suo stato di quiete o di

moto rettilineo uniforme finké forze esterne ad esso applicate non lo

costringano a mutare qst stato». Un sistema di coordinate spaziali inerziale è

detto sistema di coordinate galileiane. Newton sentì l’esigenza di assumere

come sistema di riferimento per eccellenza lo spazio assoluto, considerato il

contenitore immobile di tutti i corpi, cioè quel sistema inerziale di riferimento

privilegiato nel quale valgono tutte le leggi della meccanica e al quale devono

essere riferite tutte le nostre misure.

Equivalenza dei sistemi inerziali per le leggi della meccanica e

trasformazioni galileiane

La sostanza del principio di relatività meccanica è dunque l’idea secondo la

quale tutti i sistemi inerziali sono tra loro equivalenti, cioè i fenomeni

meccanici avvengono in modo identico sia entro un sistema in moto rettilineo

uniforme, sia in un sistema in quiete rispetto allo spazio assoluto. Tra i sistemi

in moto rettilineo uniforme non vi sono sistemi di riferimento privilegiati. 2

osservatori, uno in quiete e l’altro in moto rettilineo uniforme, vedono un

qualunque fenomeno meccanico ke avvenga nel proprio sistema nello stesso

modo dell’altro; x entrambi il comportamento meccanico dei corpi è identico.

Matematicamente qst proprietà si esprime dicendo ke le equazioni della

meccanica non cambiano, sono cioè invarianti, nei diversi sistemi di

riferimento inerziali. E’ sempre possibile “tradurre” la descrizione di un

fenomeno fisico effettuata da un osservatore a nel sistema fisico inerziale S

nella descrizione effettuata da un altro osservatore a’ appartenente ad un

altro sistema fisico inerziale S’, grazie alle cosiddette trasformazioni

galileiane.

Esempio del treno e applicazione delle trasformazioni galileiane

Le trasformazioni galileiane ci permettono di conoscere la posizione di un

corpo (il passeggero) rispetto a diversi sistemi di riferimento inerziali (quello

del passeggero e quello dello spettatore sul marciapiede).

Un corollario importante delle trasformazioni galileiane: la legge della

somma delle velocità

Nell’effettuare il passaggio da un sistema di riferimento all’altro, si effettua la

somma delle velocità tenute dal treno (rispetto al marciapiede) e del

viaggiatore (rispetto al treno). Ciò viene espresso nella meccanica classica

dalla cosiddetta legge della somma delle velocità.

L’esistenza dell’etere come sistema di riferimento privilegiato

Come stanno le cose quando passiamo dalle leggi della meccanica a quelle

dell’elettromagnetismo? Una delle conseguenze teorike + imp delle equazioni

di Maxwell e della sua teoria elettromagnetica è ke la velox di propagazione

della luce è costante, equivale a c (circa 300.000 Km al secondo nel vuoto),

indipendentemente da qualsiasi sistema di riferimento. Qual’è il sistema di

riferimento nel quale la velocità della luce è uguale a c? Era naturale

rispondere, con Newton: lo spazio assoluto, ke poi di fatto veniva ad essere

identificato con l’etere immobile. L’etere finisce x costituire un sistema di

riferimento privilegiato, ke ha la stessa funzione assunta dallo spazio assoluto

x le leggi della meccanica di Newton. Era qst una situazione assai strana: la

fisica si trovava ad ammettere una dualità di comportamenti: mentre x le leggi

della meccanica erano equivalenti tutti i sistemi inerziali, invece x quelle

dell’ottica e dell’elettromagnetismo ne era valido uno solo, quello definito

rispetto al solo sistema privilegiato, costituito dall’etere immobile. Tale

situazione porta ad un evidente ed insanabile contrasto col principio

fondamentale della relatività galileiana, ke sta alla base della meccanica

classica, x la quale vale la legge della somma delle velocità.

L’esempio del treno e la contraddizione tra teoria elettromagnetica e

meccanica classica

In base alla relatività galileiana, se dal centro di un treno in moto rettilineo

uniforme viaggiante alla velocità di 150 Kmh facciamo partire un raggio di

luce esso possiede x il viaggiatore a ke sta all’interno del treno la velocità c,

qualunque direzione si consideri.

Invece x lo spettatore a’ ke sta sul marciapiede, il raggio di luce ke va nella

stessa direzione del treno dovrebbe possedere la velocità di c+150 Kmh,

ovvero la velocità del treno sommata alla velocità della luce; quello ke va

invece in direzione opposta del treno dovrebbe avere invece la velocità di c-

150 Kmh, cioè la velocità della luce meno quella del treno. Qst è quanto si

deve evincere dalla legge della somma delle velocità.

Ma qst è proprio quanto viene negato dalla teoria elettromagnetica, x la quale

il raggio di luce ha la stessa velocità c sia x il passeggero, sia x l’osservatore

sul marciapiede della stazione: è come se la luce dentro il treno si muovesse

“ignorando” l’esistenza del treno e del suo moto e quindi percorresse

comunque 300.000 Kms, rispetto a qualsiasi sistema di riferimento inerziale.

2 delle teorie fondamentali della fisica classica – la meccanica e

l’elettromagnetismo – sono in contrasto tra di loro.

L’esperimento di Michelson e Morley

Era fondamentale poter accertare l’esistenza di qst etere. Michelson e Morley

fecero una serie di eperimenti aventi lo scopo di verificare se esistessero

delle differenze nella velocità di un raggio di luce viaggiante in 2 direzioni tra

loro perpendicolari, una delle quali in direzione del moto della terra. Si

riteneva ke, se la terra viaggia attraverso l’etere, un raggio luminoso

viaggiante nella direzione del moto orbitale avrebbe dovuto essere rallentato

dal “vento d’etere” ke le veniva incontro controcorrente, mentre un raggio ke

viaggia in direzione opposta avrebbe dovuto essere accelerato;

analogamente a come avviene x il suono, la cui velocità dipende dal moto

dell’aria ke ne permette la trasmissione. Il risultato dell’esperimento non

faceva rilevare alcuna differenza nella velocità della luce e pertanto non

sembrava lasciar vie di scampo: era impossibile rilevare in alcun modo

l’esistenza dell’etere, in quanto gli effetti sulla velocità della luce non avevano

luogo.

Einstein: abbandono del concetto di etere e primo postulato della teoria

della relatività ristretta

Perchè non abbandonare tale concetto? Come conclude Einstein “tutti i

tentativi di fare dell’etere una realtà sono falliti”. Quando Einstein scrisse il

suo articolo del 1905 in cui propose x la prima volta la teoria della relatività

era motivato dalla necessità di risolvere il dissidio nel campo della fisica tra

elettromagnetismo e meccanica classica.

Era tale esigenza alla base della sua decisione di abbandonare il sistema di

riferimento privilegiato o assoluto costituito dall’etere e di accettare la validità

generale del principio di relatività galileiana, ke si applica non solo ai

fenomeni meccanici, ma anke a quelli elettromagnetici: non è possibile fare

alcuna distinzione tra due sistemi in moto rettilineo uniforme. È questo il

primo postulato fondamentale da cui parte Einstein x formulare la sua teoria:

le leggi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento

inerziali. Con qst postulato si estende a tutta la fisica il principio di relatività

galileiana.

Il secondo postulato della teoria della relatività

Il secondo postulato consiste nel sostenere ke la velocità della luce è sempre

la stessa (uguale a c) in tutti i sistemi di riferimento inerziali, siano in moto o

in quiete. Ma l’accettazione di qst 2 principi porta a rigettare il presupposto ke

era alla base della meccanica classica, cioè la legge della somma della

velocità: qst non può più essere rigorosamente valida e di conseguenza si

impone la necessità di riformulare le trasformazioni galileiane. Einstein

dovette costruire una nuova fisica, della quale la vekkia fisica newtoniana

rappresenta un’approssimazione utile solo nel caso in cui si prendono in

considerazione velocità molto piccole rispetto a quella della luce.

Cambia anche il concetto di tempo: analisi della simultaneità

In qst nuova fisica viene sottoposto a radicale modifica non solo il concetto di

spazio ma anke quello di tempo. Ciò viene effettuato con l’analisi del concetto

di simultaneità di 2 eventi, ke porta Einstein a concludere ke in 2 diversi

sistemi inerziali eventi ke sono contemporanei x l’osservatore posto in uno di

essi non sono contemporanei x un osservatore posto nell’altro sistema di

riferimento. Ne concludiamo ke un orologio cambia il suo ritmo quando è in

moto e ke quanto + un sistema inerziale si muove ad una velocità vicina alla

luce, tanto + il tempo in esso scorre lentamente. Anke il tempo, oltre allo

spazio, non è assoluto e non scorre uniformemente in tutti i sistemi di

riferimento.

Il continuo quadridimensionale di Minkowski

La teoria di Einstein comportava una radicale modificazione dell’intera fisica e

dava l’avvio a una nuova fisica relativistica ke, lasciati cadere i concetti

assoluti di spazio e di tempo, considerava gli eventi fisici rispetto a spazi e

tempi relativi all’osservatore.

Veniva a crollare il quadro concettuale in cui era iscritto il grande e glorioso

universo-makkina newtoniano. Spazio e tempo sono strettamente correlati tra

loro in modo da formare un’unica entità kiamata spazio-tempo: è qst il

continuo quadridimensionale (o spaziotemporale) con il quale il matematico

Minkowski sintetizzò in elegante forma geometrica le conseguenze della

relatività speciale.

Le trasformazioni di Lorentz sostituiscono quelle di Galileo

Nasce il problema di trovare il modo x passare da un sistema di riferimento

all’altro.

Qst fu assicurato dalle trasformazioni di Lorentz, esse permettono di trovare

le coordinate di spazio e di tempo in un sistema se qst sono note nell’altro

sistema e se è nota anke la velocità relativa tra i 2 sistemi. La differenza

rispetto alle trasformazioni galileiane consiste nel fatto di considerare ora la

variabile tempo non più uguale in ogni sistema, ma diversa, dipendente dal

ritmo degli orologi, ke varia al variare della velocità del sistema al quale essi

appartengono. Tuttavia la discordanza tra i 2 tipi di trasformazioni è

avvertibile solo x velocità assai prossime a quella della luce, x velocità molto

piccole le trasformazioni galileiane rappresentano una buona

approssimazione.

L’importanza delle trasformazioni di Lorentz consiste nel fatto ke tutte le leggi

di natura sono invarianti rispetto ad esse. E’ possibile costruire una nuova

fisica: è qst quanto volle fare Einstein, unificando così le 2 branke della fisica,

la teoria meccanica e quella dei campi x mezzo del suo nuovo principio di

relatività ke assicura l’invarianza delle leggi di natura mediante le

trasformazioni di Lorentz.

La convertibilità tra massa ed energia

Altra imp conseguenza della teoria della relatività è consistita nell’unificazione

delle 2 leggi classike di conservazione accettate nel 19 secolo: la legge della

conservazione della massa e la legge di conservazione dell’energia. X il fisico

classico massa ed energia sono entità nettamente distinte sia

qualitativamente che quantitativamente: un corpo ke riceve energia non

cambia di massa; e viceversa l’energia può generare solo lavoro, ma non

massa. Invece grazie alla teoria della relatività Einstein dimostra ke l’energia

non è qualcosa di imponderabile, ma possiede una massa ben definita, anke

se estremamente piccola; ed a sua volta la massa ha un’energia. Non vi sono

2 principi di conservazione, ma solo uno, il principio di conservazione della

massa-energia, ke viene sintetizzato nella celebre formula E=mc2 cioè

l’energia è uguale alla massa del corpo moltiplicata x il quadrato della velocità

della luce.

La velocità della luce come limite insuperabile

Qst conseguenza deriva dal limite della velocità della luce. Se nessun corpo

può superare la velocità della luce, ciò significa ke non può essere

ulteriormente accelerato; ma qst avviene solo se al crescere della sua

velocità, e cioè della sua energia cinetica, cresce anke la sua massa

inerziale. Man mano ke il corpo si approssima alla velocità della luce la sua

massa aumenta sempre + rapidamente rikiedendo x la sua ulteriore

accelerazione una quantità di energia sempre maggiore; alla velocità della

luce, la sua massa diventerebbe infinita, in modo tale da rikiedere x la sua

accelerazione un’energia infinita. Il ke significa ke nessun corpo può

raggiungere la velocità della luce, a meno ke non sia privo di massa (come x i

fotoni). Ma se la massa varia al variare della velocità, allora l’energia cinetica

deve possedere una massa, x quanto piccola e trascurabile alle velocità cui

siamo normalmente abituati. E il rapporto tra massa ed energia cinetica è

dato dalla formula E=mc2, ke introduce il nuovo principio della conservazione

della massa-energia. Da come si evince dalla formula, x produrre una

grandezza estremamente piccola di massa occorre una grande quantità di

energia; ciò spiega xké nei normali fenomeni termici non si avverte nessun

cambiamento della massa quando a qst viene fornita energia: esso è così

piccolo da non poter esser rilevato neanke con le bilance più sensibili.

La relatività generale come estensione di quella speciale

La teoria presentata da Einstein nel 1905 era limitata ai sistemi in moto

inerziale (rettilineo e uniforme). Negli anni successivi Einstein affrontò il

problema di una fisica relativistica x i sistemi non inerziali, quei sistemi ke

subiscono una forza, la quale può derivare o dall’influsso del campo

gravitazionale, oppure dall’applicazione di un’accelerazione. «Le leggi della

fisica devono essere di natura tale che esse si possano applicare a sistemi di

riferimento comunque in moto. Seguendo questa via giungiamo a una

generalizzazione della teoria della relatività [ristretta]». Qst generalizzazione

fu appunto la teoria della relatività generale proposta nel 1916 da Einstein.

Il principio di equivalenza tra massa gravitazionale e massa inerziale

Il principio di equivalenza afferma ke qualunque sistema di riferimento posto

in un campo gravitazionale uniforme e costante nel tempo è del tutto

equivalente, x quanto riguarda i fenomeni fisici, ad un sistema sottoposto ad

una opportuna accelerazione costante e posto in una zona di spazio in cui il

campo gravitazionale è nullo. E’ sempre possibile scegliere un opportuno

sistema di riferimento in modo da simulare l’esistenza di un dato campo

gravitazionale uniforme o, reciprocamente, in modo da eliminare l’effetto della

forza di gravità costante. Un passeggero kiuso in un sistema isolato non ha la

possibilità di distinguere se la forza ke lo tiene attaccato al pavimento derivi

dalla forza gravitazionale ke lo attrae verso una data massa oppure sia

causata da una accelerazione del suo sistema in direzione opposta alla forza:

non è possibile distinguere in alcun modo una forza gravitazionale da una

forza inerziale, essendo gli effetti dell’una spiegabili come dovuti all’altra. Una

conseguenza di tale equivalenza è il fatto ke un raggio di luce dovrebbe

essere deviato da un campo gravitazionale, come se fosse costituito da

particelle dotate di massa e quindi di peso: viene gettato un ponte fra

gravitazione ed elettromagnetismo.

La curvatura dello spazio-tempo per effetto del campo gravitazionale

Einstein propose un’interpretazione geometrica della gravitazione, x la quale

lo spazio, sinora ritenuto come euclideo, in effetti non è “piatto”, ma curvo in

quanto “piegato” o “distorto” dalle masse gravitazionali in esso esistenti. Egli

pervenne alla conclusione ke la luce si propaga seguendo il cammino + breve

tra 2 punti, come previsto dalle leggi dell’ottica e dell’elettromagnetismo, ma

qst cammino non coincide con la retta euclidea se nello spazio è presente un

campo gravitazionale. Dal principio di equivalenza fra inerzia e gravitazione

Einstein trasse la conseguenza ke anke il tempo viene influenzato dal campo

gravitazionale: un orologio posto in un campo gravitazionale rallenta il suo

moto. Qst effetto è noto come “dilatazione gravitazionale dei tempi”. X

spiegare sia il rallentamento degli orologi ke la curvatura dello spazio Einstein

postula ke il campo gravitazionale renda non euclidea la struttura dell’intero

spazio-tempo, x cui abbiamo a ke fare con un unico fenomeno fisico: la

curvatura dello spazio-tempo dovuta al campo gravitazionale. In tal modo lo

spazio ed il tempo non solo non sono + assoluti, come riteneva Newton, e

non sono neanke indipendenti dai fenomeni ke in essi avvengono, i quali ne

definiscono la geometria attraverso la distribuzione di masse ed energia, ke

determina il campo gravitazionale.

Il significato filosofico della relatività: Einstein ‘filosofo implicito’

L’opera di Einstein ha comportato delle consequenze rilevanti sul piano

filosofico. Come ha sostenuto Reichenbach, sarebbe un errore credere ke la

teoria della relatività non sia anke una teoria filosofica; infatti, benké Einstein

sia rimasto sostanzialmente un «filosofo implicito» e non si sia addentrato in

un esame filosofico della sua teoria, tuttavia essa «ha conseguenze radicali

per la teoria della conoscenza». X Schlick, la teoria della relatività è

strettamente legata alla filosofia, da un duplice punto di vista: metodologico,

xkè Einstein rigettò l’ipotesi puramente fisica di Lorentz e Fitzgerald sulla

contrazione dei corpi in movimento sulla base di un principio puramente

epistemologico, e qst è un requisito filosofico, non una proposizione

sperimentale. X cui si può affermare ke la teoria della relatività tende x

propria natura verso la filosofia e cerca qui le sue basi e il suo compimento.

Ma la teoria della relatività ha anke conseguenze sulla filosofia, ed è qst il suo

secondo aspetto, quello materiale: essa può fornire contributi diretti alla

soluzione di vekki problemi filosofici e dare sostegno alla filosofia

dell’empirismo, come quella + adeguata x intenderne le caratteristike.

Un possibile equivoco: confondere relatività fisica e relativismo

filosofico

Occorre eliminare un possibile equivoco cui induce lo stesso termine di

“relatività”. Si potrebbe pensare ke tale teoria deponga a favore di una visione

relativistica della conoscenza, una sorta di scetticismo. Nulla di più errato.

«La “soggettività” di cui parla la teoria della relatività è una soggettività fisica,

ke esisterebbe anke se nel mondo non ci fosse proprio niente di simile ai

cervelli e ai sensi. Inoltre, si tratta di una soggettività limitata. La teoria non

dice ke tutto è relativo; al contrario mette a disposizione una tecnica x

distinguere quel ke è relativo da quel ke a buon diritto fa effettivamente parte

di un fenomeno fisico». Sachs commenta «secondo le idee di Einstein quello

che isogna considerare come relativo è il linguaggio ke il singolo osservatore

deve usare x esprimere delle leggi assolute della materia; qst sono invece

indipendenti da ogni sistema di riferimento. Cosikké la teoria della relatività è

da considerare in realtà una teoria degli assoluti; infatti concentra l’attenzione

sulle leggi della natura +ttosto ke sul linguaggio ke le esprime. Non ha niente

a ke fare col relativismo filosofico, contrariamente a ciò ke molti hanno voluto

credere».

L’incidenza filosofica della relatività: la crisi della concezione kantiana

di spazio e tempo e l’abbandono del senso comune

All’epoca in cui Einstein propose la relatività speciale, aveva un particolare

credito la concezione di Kant, x la quale lo spazio e il tempo costituivano

forme a priori dell’intuizione sensibile, preesistenti ai fenomeni: nulla si può

concepire se non nello spazio e nel tempo. Qst impostazione, ke si rifaceva

alle idee di Newton, finisce x concepire lo spazio secondo il modello euclideo

ed il tempo come qualcosa di universale e comune a tutti gli uomini. Come si

concilia la posizione di Kant con le nuove idee portate avanti da Einstein?

Mentre i seguaci del filosofo tedesco cercavano in qualke modo di conciliarne

le idee con quelle della nuova teoria, sul versante dei filosofi della scienza il

verdetto fu univoco: la relatività fa cadere il carattere a priori di spazio e

tempo, mostrando come la presunta loro naturalezza nasca solo da un

pregiudizio psicologico, dal fatto ke nella nostra esperienza quotidiana

abbiamo a ke fare con velocità assai distanti da quella della luce e con campi

gravitazionali deboli, circostanze nelle quali gli effetti relativistici non si fanno

notare. Assume sempre + consapevolezza, da una parte, il fatto ke è

pericoloso erigere i concetti derivanti dalla nostra esperienza quotidiana a

principi generali e ke le novità introdotte dalla relatività avrebbero finito x

ripercuotersi sul modo con cui sono stati concepiti i rapporti di causalità,

l’evoluzione, il tempo ecc, creando un nuovo senso comune; dall’altro, si

afferma l’idea ke la filosofia non può non tener conto delle nuove acquisizioni

ke vengono effettuate nel campo della scienza, ke sono direttamente rilevanti

x dare una risp non + metafisica a molti problemi tradizionali della storia del

pensiero.

5. La meccanica quantistica

Relatività e meccanica quantistica: la messa in discussione del

concetto di determinismo

La seconda grande rivoluzione della fisica del 900 è costituita dalla teoria dei

quanti. Si passa dalla fisica del macroscopio alla fisica del microscopio o

mocrofisica. Nasce la necessità di rivedere concetti e modi di pensare radicati

nella nostra intuizione e fatti propri anke dalla scienza fisica, in particolare

l’idea laplaciana ke la natura sia governata da leggi rigorose e deterministike

e ke siano solo i nostri limiti umani a non permetterci la conoscenza perfetta

della posizione e del moto di ogni oggetto esistente nel mondo. La rivoluzione

quantistica inizia con lo studio dell’assorbimento delle onde elettromagnetike,

nel corso del quale vengono evidenziati fatti sperimentali non spiegabili con i

metodi della fisica classica. Prosegue con lo studio dell’effetto fotoelettrico di

Einstein, dove ancora una volta si trattava di capire come mai i risultati

sperimentali non si accordassero con quanto sarebbe dovuto accadere in

base alle leggi dell’elettromagnetismo di Maxwell.

I quanti di Planck: le radiazioni vengono assorbite ed emesse per

quantità discrete

Planck fornì una formula in grado di accordarsi con i risultati sperimentali; a

tale scopo era però necessario supporre ke le radiazioni sono trasmesse o

assorbite da parte di un corpo non in maniera continua, ma x quantità

discrete, multiple di una quantità minima – detta quanto di Planck -, al di sotto

della quale non è possibile scendere. Tale quanto è indicato dalla relazione: E

= hv dove E indica l’energia, v (lettera graca equivalente alla n) indica la

frequenza ed h è la costante di Planck, ke ha un valore fisso corrispondente a

6,62618 x 10-34 Js. X Planck qst relazione rappresenta la minima quantità di

energia ke può essere scambiata; di essa si possono avere solo multipli

interi.

Le perplessità di Planck: i quanti artificio matematico o proprietà reali

del mondo?

Planck si mostrò incredulo e scettico circa la propria scoperta, ke non era

giustificabile in base a nessuna legge della fisica allora conosciuta ed

implicava la rinuncia alle leggi dell’elettrodinamica fondata da Maxwell. Cercò

a lungo di dedurre la sua formula dalla teoria classica della radiazione e solo

quando tutti i suoi tentativi fallirono si convinse ke l’interazione tra materia e

radiazione non avviene in modo continuo, come previsto dalla fisica classica.

Del resto l’idea da lui presentata sembrava così bizzarra ed in contrasto con

una radicata convinzione della scienza sin dai tempi di Aristotele – secondo la

quale natura non facit saltus, ovvero la natura cambia con gradualità, senza

salti – da risultare incredibile ai suoi contemporanei ke esistesse una

costante universale h ke segnasse il limite minimo di energia scambiabile.

Ciononostante la costante di Planck sarà destinata a divenire una delle +

feconde ed importanti scoperte teorike, ke entra in gioco ogni volta si studino

fenomeni del mondo microscopico.

Einstein e i quanti: i fotoni

Nel 1905 Einstein nel primo dei 3 articoli pubblicati quell’anno utilizza il

quanto allo scopo di spiegare l’effetto fotoelettrico, altro fenomeno ke non era

compreso nel quadro della fisica classica. Einstein ribaltò la concezione della

luce ke si era affermata con Maxwell (intesa come fenomeno ondulatorio) e,

facendo ricorso alla quantizzazione, ipotizzò ke la radiazione fosse

quantizzata non solo quando interagisce con la materia, ma anke quando

viaggia nel vuoto; ovvero l’energia raggiante avente una certa frequenza è

costituita da uno sciame di quanti di energia (i fotoni), ke viaggiano alla

velocità della luce ed aventi ognuno un’energia indivisibile pari a h v. Quanto

proposto da Einstein ingloba l’ipotesi di Planck: se infatti la radiazione

elettromagnetica è fatta di fotoni, ciascuno dei quali trasporta una quantità di

energia indivisibile, allora è evidente ke la materia può assorbire o cedere

energia solo in quantità discrete, equivalenti a multipli interi della quantità h v,

posseduta da ciascun fotone. Da osservare ke la quantità estremamente

piccola di energia quantizzata posseduta da un fotone fa sì ke il modello

proposto da Einstein non entri in contrasto con la teoria elettromagnetica di

Maxwell quando si tratti di studiare e spiegare i fenomeni su scala

macroscopica ordinaria: l’enorme quantità di fotoni posseduti da un fascio di

luce ordinario si comporta come un’onda, rivelando i fotoni la loro

“individualità” solo in particolari condizioni. Si arriva così alla conclusione ke

la luce si comporta come onda o corpuscolo a seconda del tipo di

esperimento svolto: nel caso dell’effetto fotoelettrico la radiazione presenta

un carattere corpuscolare; nel caso di fenomeni di interferenza e diffrazione,

essa ha invece carattere ondulatorio.

Bohr e la quantizzazione dell’atomo

Nell’arco di un decennio, agli inizi del 900, una serie di decisivi esperimenti

fece uscire l’atomo dalla scomo9da condizione di ipotesi utile solo x spiegare

certi fenomeni, ma priva di conferma sperimentale, x farlo diventare un

oggetto avente piena cittadinanza nella fisica, ke è possibile studiare e

descrivere. Fu Bohr a utilizzare nel 1913 l’idea della quantizzazione anke x

spiegare il comportamento degli atomi.

Il modello dell’atomo di Bohr e la rottura con la fisica classica

Bohr, pur consapevole delle limitazioni e delle difficoltà presenti nel modello

di atomo di Rutherford, lo riteneva troppo utile x rigettarlo del tutto. Propose di

abbandonare la fisica classica x la spiegazione dei fenomeni atomici in favore

di una nuova teoria, il cui punto di partenza è costituito dall’ammissione di 3

postulati:

a) il raggio delle orbite percorse dagli elettroni può avere solo certi valori

particolari, ke definiscono le cosiddette orbite stazionarie, sulle quali un

elettrone può ruotare senza emettere energia;

b) le orbite stazionarie sono caratterizzate dal fatto ke il momento angolare

dell’elettrone è pari ad un multiplo della costante di Planck, secondo la

formula mvr = n h/2 , con n = 1, 2, 3, kiamato numero quantico principale;

c) un elettrone può passare da un’orbita stazionaria ad un’altra avente

diverso livello energetico e questa transizione è accompagnata da emissioni

o assorbimenti di energia, determinati sempre secondo la costante di Planck.

I primi 2 postulati sono in netto contrasto con quanto ammesso dalla fisica

classica, x la quale è impossibile ke una carica elettrica possa ruotare senza

irraggiare. Inoltre non si capisce xkè sia proibita l’esistenza di un elettrone in

orbite diverse da quelle stazionarie e in ke modo avvenga il “salto” da

un’orbita stazionaria all’altra: l’elettrone, infatti, x uno dei postulati

fondamentali della teoria di Bohr, non può esistere nella orbite intermedie;

esso dovrebbe scomparire da un’orbita e riapparire in un’altra.

La “vecchia meccanica quantistica” e il principio di corrispondenza

Per spiegare il rapporto tra la nuova meccanica quantistica e la fisica

classica, Bohr propose il cosiddetto principio di corrispondenza. In base ad

esso, la meccanica classica è contenuta come caso limite della teoria

quantica, così come la dinamica newtioniana è contenuta nella teoria della

relatività x velocità molto distanti da quella della luce. Egli cercava di

garantire una certa continuità tra vekkia teoria e nuova teoria: la prima non

era completamente abbandonata a favore di quella nuova, ke non avrebbe +

nulla a ke fare con essa; la fisica classica non può essere considerata un

cumulo di errori se è vero ke ha spiegato con successo numerosi fenomeni. Il

principio di corrispondenza diveniva il cardine intorno a cui ruotavano i lavori

dei fisici ke hanno lavorato intorno alla cosiddetta “vecchia meccanica

quantistica”. Alla costruzione della nuova teoria si giunge attraverso 2 strade

diverse ke finiscono x edificare nel giro di poki anni 2 concezioni alternative

dei fenomeni macroscopici: la prima con De Broglie e Schrödinger, prende il

nome di meccanica ondulatoria; la seconda con Heisenberg, Born e Jordan è

la meccanica delle matrici.

La meccanica ondulatoria

Punto di partenza della meccanica ondulatoria è l’idea di De Broglie ke anke

la materia, come le radiazioni elettromagnetike, possiede sia natura

corpuscolare, sia natura ondulatoria. La relazione E = h v introdotta da

Planck vale anke x una particella materiale, come l’elettrone. Ad ogni

particella materiale avente quantità di moto p (uguale a mv, cioè massa x

velocità) deve essere associata un’onda avente lunghezza , secondo la

formula = h/p , la quale, grazie alla mediazione della costante di Planck h,

mette insieme grandezze caratteristike di un corpo materiale con la

grandezza tipica di un’onda. Nel 1927 la concezione di De Broglie viene

confermata sperimentalmente. Nel 1926 Schrödinger costruisce con

successo un modello ondulatorio dell’atomo, ottenendo un’equazione le cui

soluzioni, dette funzioni d’onda, coincidono con i valori postulati nel modello

atomico di Bohr. X lo studio della struttura intima della materia una meccanica

di tipo nuovo ha sostituito la meccanica classica: è la meccanica ondulatoria.

Tuttavia Schrödinger, pur consapevole della profonda inadeguatezza della

fisica classica x la spiegazione dei fenomeni della microfisica, pensava ke la

nuova meccanica dovesse mantenere uno stretto rapporto di continuità con la

vekkia, costituendone uno sviluppo organico, piuttosto ke una radicale

sostituzione.

La meccanica delle matrici

Heisenberg cercava di stabilire le basi della meccanica quantistica facendo

riferimento a grandezze sperimentalmente osservabili, le sole ke x lui hanno

significato fisico.

Secondo lui, le difficoltà incontrate derivavano dall’aver fatto uso di

grandezze ke non erano direttamente osservabili. X realizzare qst

programma egli fece uso del “calcolo matriciale”, poi sviluppato da Born,

Jordan e Heisenberg stesso, in un formalismo assai rigoroso ke gettò le basi

di una nuova meccanica quantistica matriciale. Era una teoria ke sembrava

ottenere lo scopo di contenere nelle proprie basi i postulati stessi della fisica

quantistica e permetteva inoltre di calcolare e spiegare gran parte degli

aspetti sconcertanti presentati dagli atomi. Diversamente dalla meccanica

ondulatoria, l’impostazione matriciale insisteva sugli elementi di discontinuità

tipici della teoria quantistica, come i salti quantici, dunque privilegiava il

carattere corpuscolare dell’elettrone. Nel 1926 Schrödinger mostrò ke la

meccanica delle matrici e quella ondulatoria, pur essendo diverse nella

forma, erano in realtà matematicamente equivalenti. Siccome il formalismo

della meccanica ondulatoria era molto + semplice e familiare ai fisici del

tempo, qst preferirono servirsi dell’equazione ondulatoria x risolvere gran

parte dei problemi.

Born e l’interpretazione probabilistica della funzione d’onda

Born si era posto il problema di capire cosa esattamente descrivesse la

funzione d’onda introdotta da Schrödinger. Il cardine dell’interpretazione di

Born sta nella interpretazione probabilistica della funzione d’onda ψ, x cui

questa fornisce soltanto la probabilità ke, ad es., un elettrone si trovi durante

un certo intervallo di tempo in un determinato volume. In tal modo l’elettrone

torna ad essere un corpuscolo, il cui movimento non è però descrivibile con

precisione assoluta, ma solo probabilisticamente:è una kiara sfida alla

concezione ondulatoria di Schrödinger e alle esigenze di interpretare la

funzione d’onda ψ come una entità fisica reale. Le probabilità calcolate a

partire da ψ sono le informazioni + dettagliate ke in linea di principio è

possibile avere sul sistema quantistico sotto esame; non è quindi ipotizzabile

alcun perfezionamento nelle nostre capacità di misura o di conoscenza ke

possa superare qst limite. Ne segue ke l’elettrone si muove non in base a

leggi deterministike, ma a leggi intrinsecamente indeterministike.

Heisenberg e il principio di indeterminazione

Heisenberg imboccò la strada dell’abbandono dei vekki concetti cinematici

giungendo nel 1927 alla formulazione del suo famoso principio di

indeterminazione. Qst stabilisce in generale l’impossibilità di conoscere

esattamente la posizione e la velocità di una particella atomica. +

esattamente, quanto + si aumenta la precisione con cui si conosce la quantità

di moto di una data particella, tanto meno si conosce la probabilità della

posizione da essa occupata; sikkè una determinazione assolutamente

precisa della quantità di moto dell’elettrone implica l’assoluta ignoranza

riguardo alla sua posizione, e viceversa. Dal punto di vista fisico, tale

indeterminazione è dovuta alla perturbazione introdotta dallo strumento di

misura sul processo osservato, in quanto ogni processo di misura deve far

uso di quantità di energia, sia pure piccole, ke modificano lo stato microfisico

alterandolo irreversibilmente.

Bohr e il principio di complementarità-

Nel 1927 Bohr introduce una nuova categoria logoca, alla quale è stato dato il

nome di complementarità. La complementarità ruota intorno all’idea ke la

complessità del reale non può essere colta con un solo sistema coerente di

concetti, ma ke dobbiamo far ricorso a loro coppie ke forniscono prospettive

reciprocamente inconsistenti, e tuttavia indispensabili x comprendere il reale.

Nello specifico il principio di complementarità ammette ke esistano aspetti

della realtà fisica ke sono tra loro complementari, nel senso ke ciascuno di

essi rende conto di certi fenomeni e non di altri, e ad un tempo incompatibili,

ovvero non presenti simultaneamente, sikkè ogni esperimento ke mostri

l’uno, al tempo stesso impedisce la possibilità di osservare l’altro.

Heisenberg, dopo una iniziale resistenza, finì x accettare qst prospettiva:

nasceva così la scuola di Copenaghen.

L’interpretazione della scuola di Copenaghen

La scuola di Copenaghen, sorta tra il 1920-30 intorno alla figura di Bohr,

costituisce il tentativo + riuscito di conciliare l’aspetto corpuscolare con quello

ondulatorio dei fenomeni. L’accettazione dell’interpretazione di Copenaghen

implica la messa in dubbio di principi ke avevano retto ogni indagine fisica e

scientifica del reale: il principio di casualità e il carattere deterministico della

natura, di impostazione laplaciana.

L’ammissione di una indeterminazione intrinseca nei processi della

microfisica faceva svanire l’esistenza di una connessione rigorosa tra cause

ed effetti. Non si tratta di una limitazione della conoscenza umana o di una

impossibilità dei metodi di misura, ma di una vera e propria impossibilità di

ordine concettuale. Inoltre, quanto affermano Born e Heisenberg circa

l’indissolubile implicazione tra oggetto osservato e soggetto osservatore, ha

dato luogo ad una serie di interpretazioni di tipo soggettivistico, x le quali il

fenomeno sembra perdere ogni oggettività x divenire o un mero formalismo

matematico oppure un puro fatto psicologico. Si è arrivati a sostenere con

Jordan non solo ke la misura disturba inevitabilmente ciò ke viene misurato,

ma addirittura lo produce. Diventa problematico parlare di un ”oggetto”

indipendente dal soggetto osservatore, avente una sua esistenza autonoma a

prescindere dall’atto osservativo.

Non tutti i fisici ke parteciparono allo sviluppo della meccanica quantistica

accettarono le concezioni della scuola di Copenaghen, ke portavano a

conseguenze così sconvolgenti. I cosìdetti “fisici berlinesi” (Einstein, Planck e

Schrödinger) concordavano nel rifiuto di una teoria acasuale e del principio di

complementarità, sostenendo la necessità di una spiegazione dei fenomeni in

termini di modelli spazio-temporali. Einstein criticava il concetto di

indeterminazione ed insisteva sulla necessità di mantenere il principio di

causalità rigorosa come strumento di intelligibilità della natura.

Schrödinger criticava in particolare la complementarità, ritenuta una mera

escogitazione linguistica: ”quando non si capisce una cosa si inventa un

nuovo termine e si crede di averla capita”. Planck difendeva sia il principio di

causalità, sia l’irrinunciabilità dell’esistenza di un metodo oggettivo del tutto

indipendente dall’attività conoscitiva. De Broglie si skierò dalla stessa

barricata. Le discussioni tra i protagonisti della rivoluzuine quantistica

mettono anke in luce come la meccanica quantistica abbia costituito un

deciso allontanamento dal dato concreto dell’intuizione sensibile. È quanto

mette in luce Heisenberg, quando sottolinea come col passaggio alla fisica

atomica i corpi vengono a perdere la possibilità di poter essere determinati in

uno spazio e in un tempo oggettivo.

L’incidenza filosofica della meccanica quantistica

I principali protagonisti furono influenzati dalle idee filosofike diffuse in

Germania dopo la prima guerra mondiale e lo stesso concetto di in

indeterminismo aveva avuto il terreno preparato sia dalla filosofia della

scienza di Poincarè, sia dalla filosofia di Kirkegaard. Qst background fece sì

ke essi meglio si rendessero conto della fondamentale importanza della

riflessione filosofica sui fondamenti della scienza ke praticavano, sikkè

pensavano fosse giunto finalmente il tempo di stabilire tra esse un nuovo

fecondo rapporto. Ad emergere vigorosa è la sempre + sentita esigenza, tra i

grandi fisici teorici dell’inizio del secolo, di un’apertura verso la filosofia. Il

bisogno di un ripensamento filosofico delle teorie scientifike nasce innanzi

tutto all’interno della scienza. Il + deciso sostenitore di qst reciproca

integrazione tra scienza e filosofia è stato proprio Heisenberg ke ha

dimostrato una notevole sensibilità e competenza filosofica. Avere una buona

filosofia è indispensabile x lo scienziato, in quanto una concezione ingenua e

arretrata del mondo, ke ritiene addirittura di poter fare a meno della filosofia,

porta a deprecabili errori nel campo stesso della teoria della particelle

elementari. Era dunque un clima nuovo ke veniva ad instaurarsi sempre +

nell’ambito della comunità degli scienziati, avvertito anke in Italia, dove Vailati

notava il nuova interesse x i problemi filosofici da parte degli scienziati. E’

giunto il tempo – afferma Schlick – ke tra filosofia e scienza cessi la reciproca

inimicizia iniziata nel XVIII secolo con nla filosofia idealistica di Schelling,

Fiche ed Hegel, quando qst si dikiarava superiore alla scienza xkè in

possesso di “una sorta di via regale ke portava ad una verità riservata solo ai

filosofi”. Ormai non è + concepibile uno scienziato ke non sia al tempo stesso

filosofo: “Lo scienziato deve essere un filosofo se vuole comprendere e

ulteriormente costruire appoggiandosi ai concetti di base della sua scienza”.

La filosofia non è + vista come un ostacolo affinkè si possa dispiegare la kiara

razionalità scientifica, ma è ritenuta indispensabile al suo sviluppo.

Il bisogno di nuovo modo di filosofare adeguato alla nuova fisica

Se la scienza riskiedeva la filosofia, a sua volta la filosofia non poteva + farsi

senza tener conto dei risultati della scienza: si trattava di 2 facce della stessa

medaglia, alla prima della quale erano in particolare sensibili gli scienziati,

alla seconda invece i pensatori aventi una formazione filosofica. La filosofia –

sostiene Russel – non può ignorare la scienza, in quanto molti dei suoi

problemi trovano soluzione in qst. I filosofi si trovano a riflettere sul portato

specifico delle nuove teorie scientifike, ed innanzi tutto su quella scissione nel

corpo della scienza ke vedeva da una parte la fisica classica con le sue leggi

deterministike , dall’altra il mondo del microscopico in cui non valgono + le

leggi clessike. È qst la situazione ke hanno di fronte i fondatori del Circolo di

Vienna e i filosofi della scienza dei primi decenni del 900. Essi si pongono il

compito di trovare x tale crisi nuovi strumenti concettuali ke meglio

permettano di comprenderne la natura e ke siano diversi da quelli forniti dalle

vekkie filosofie delle scuole. Si trattava come dice Frank, parafrasando una

parabola evangelica, di mettere il vino nuovo in otri nuovi, dove «gli otri

vecchi erano gli schemi della filosofia tradizionale, e il vino nuovo la scienza

del Novecento». E, una volta fatto il vino, bisogna trovare le botti filosofike

adatte, ke non ne rovinino il sapore. Alla costruzione di queste “botti” avevano

mirato le discussioni ke avevano luogo in quello ke abbiamo kiamato il “primo

Circolo di Vienna”.