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Irene Scienza UOMO E CAVALLO: UN LEGAME ATTRAVERSO I SECOLI 1 Orgoglio di re e conquistatori, giocattolo preferito dei bambini, compagno inseparabile di attori che hanno reso famosi i film western, soggetto sfruttato nei messaggi pubblicitari per la sua velocità, resistenza e potenza, il cavallo non è sempre stato lo splendido animale che conosciamo oggi, con il corpo slanciato e muscoloso: al contrario, il suo percorso evolutivo è stato molto complesso. I. Che tipo di animale è il cavallo? Le sue origini Il ritrovamento del primo antenato del cavallo fa risalire la sua esistenza a 60 milioni di anni fa e lo situa nelle foreste del Nord America. Era alto circa 40 cm, possiamo immaginarlo grande quanto una volpe (Eohippus), e caratterizzato da cinque dita per piede. Si cibava di foglie ed evitava accuratamente gli spazi aperti, nei quali sarebbe stato una facile preda. Con il passare dei millenni le praterie si sostituirono alle foreste e, contemporaneamente, questo animale si trasformò in maniera tale da poter percorrere lunghe distanze alla ricerca di nuovi pascoli. L’equide evolutosi fino a questo periodo fu definito Mesohippus: esemplare aumentato nelle dimensioni, il cui numero delle dita era diminuito e gli arti si erano allungati. Le successive evoluzioni originarono il Merychippus e il Pliohippus, che presentavano un aspetto equino già ben delineato e molto simile a quello del cavallo attuale (Equus caballus). Perse progressivamente le dita che si unirono a formare un’unica unghia, nota come “zoccolo”, anche se è ancora possibile notare il residuo di una delle dita precedenti in una crescita callosa all’interno delle zampe anteriori poco sopra le ginocchia, nota come “castagna”. L’antenato del cavallo si è di fatto estinto: l'equino moderno e le varie razze, infatti, sono frutto di varie mutazioni genetiche volte a migliorare questa o quella caratteristica dell’animale, a seconda dell’impiego.

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    Orgoglio di re e conquistatori, giocattolo preferito dei bambini, compagno inseparabile di attori che hanno reso famosi i film western, soggetto sfruttato nei messaggi pubblicitari per la sua velocità, resistenza e potenza, il cavallo non è sempre stato lo splendido animale che conosciamo oggi, con il corpo slanciato e muscoloso: al contrario, il suo percorso evolutivo è stato molto complesso. I. Che tipo di animale è il cavallo? Le sue origini

    Il ritrovamento del primo antenato del cavallo fa risalire la sua esistenza a 60 milioni di anni fa e lo situa nelle foreste del Nord America. Era alto circa 40 cm, possiamo immaginarlo grande quanto una volpe (Eohippus), e caratterizzato da cinque dita per piede. Si cibava di foglie ed evitava accuratamente gli spazi aperti, nei quali sarebbe stato una facile preda. Con il passare dei millenni le praterie si sostituirono alle foreste e, contemporaneamente, questo animale si trasformò in maniera tale da poter percorrere lunghe distanze alla ricerca di nuovi pascoli. L’equide evolutosi fino a questo periodo fu definito Mesohippus: esemplare aumentato nelle dimensioni, il cui numero delle dita era diminuito e gli arti si erano allungati. Le successive evoluzioni originarono il Merychippus e il Pliohippus, che presentavano un aspetto equino già ben delineato e molto simile a quello del cavallo attuale (Equus caballus). Perse progressivamente le dita che si unirono a formare un’unica unghia, nota come “zoccolo”, anche se è ancora possibile notare il residuo di una delle dita precedenti in una crescita callosa all’interno delle zampe anteriori poco sopra le ginocchia, nota come “castagna”. L’antenato del cavallo si è di fatto estinto: l'equino moderno e le varie razze, infatti, sono frutto di varie mutazioni genetiche volte a migliorare questa o quella caratteristica dell’animale, a seconda dell’impiego.

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    Circa un milione di anni fa i primi veri cavalli migrarono verso l’Europa e l’Asia. Si è ipotizzato che il passaggio sia avvenuto percorrendo il territorio che collegava il continente americano con quello asiatico (attuale stretto di Bering); successivamente il loro numero iniziò a diminuire, forse a causa di cambiamenti climatici oppure per l’avvento di un nuovo predatore: l’uomo. Il suo incontro con il cavallo fu sicuramente un momento decisivo per entrambi, poiché a differenza di capre, pecore e bovini, divenuti già da tempo animali domestici, il cavallo era per l’uomo solo una facile preda. Successivamente il modo di considerare tale animale cambiò e l’uomo cominciò ad essere affascinato dalla potenza e dall’eleganza di tale animale, comprendendo che tramite le sue agili e veloci zampe poteva migliorare il suo stile di vita, e iniziò ad approcciarsi ad esso, creando quello che con i secoli si delineerà come un vero e proprio rapporto di reciproca stima e amicizia. Secondo l’ipotesi espressa nel documentario "Horses" mandato in onda da National Geographic Channel il 29-08-2005, si potrebbe ipotizzare che tutto sia iniziato come un rito sciamanico o con una bravata adolescenziale, una specie di rito per testare il coraggio salendo sulla groppa dell’animale simbolo della libertà per eccellenza. Questo gesto cambierà le sorti del mondo: da allora, il cavallo è stato osservato e studiato attentamente per sfruttarne il carattere mite e la forza in battaglia, in agricoltura, nelle miniere, nei trasporti da soma e al traino. Senza ombra di dubbio il cavallo fu la più grande conquista dell’uomo. Per la sua agilità, ma soprattutto per la sua massa, il cavallo fu da subito impiegato come compagno di valorosi guerrieri, già a partire dai tempi più remoti fino alle guerre di inizio Novecento. Nel corso della storia si è potuto constatare che tipo di rapporto si instaura tra uomo e cavallo in un clima di guerra: pericolo, paura e morte vengono condivise sia dal cavaliere che dal cavallo, i quali si ritrovano a contare l’uno sull’altro per combattere, difendersi e vincere.

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    Cavalli e cavalieri nel primo conflitto mondiale II. La costruzione di un rapporto

    Come ho accennato in precedenza, con il cavallo è possibile creare un rapporto basato sul rispetto, che si sviluppa giorno per giorno con pazienza e costanza: mi sentirei di escludere il classico colpo di fulmine (almeno nella maggior parte dei casi). Grazie alla sua generosità, alla sua voglia di fare e alla sua intelligenza è possibile creare un legame fra cavallo e cavaliere, alla base del quale vanno collocate le buone maniere e la gentilezza, e in tal senso è bene adottare il metodo: “Tanto dai e tanto ricevi”. Gli equini sono dotati di straordinaria memoria e perciò sono in grado di ricordare i gesti belli come i gesti violenti, e soprattutto questi ultimi vanno evitati perché sono la causa di ritorsioni dello stesso tipo da parte dell’animale; e siccome si sta parlando di qualche tonnellata di peso contro qualche chilo, è meglio non abusare della loro pazienza. Senofonte, nel suo trattato Sull'equitazione, insiste sull’"adoperare i cavalli con le buone maniere e non con collera, perché l’importante è diventare padroni dell’animo (ψυχή) del cavallo, ciò che si ottiene trattandolo bene". Sottolinea inoltre che occorre ottenere "la migliore disposizione da parte del cavallo, affinché i suoi movimenti siano belli, come un ballerino che balla bene quando danza con entusiasmo e non quando è forzato". Il rapporto che ne nasce non è esente da problemi; la tradizione vuole che la sottomissione dell’animale avvenga attraverso l’impiego di due binari che corrono paralleli: l’addomesticamento coercitivo e un processo psichico. Fortunatamente di recente ci si sta impegnando per la ricerca di metodi per l’addestramento che non contemplino l'uso della frusta, ma considerino la psiche dell’animale, andando ad instaurare un rapporto più umano; il così detto approccio etologico ("doma gentile" o "dolce"). Tale pratica è volta al benessere

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    dell’animale, con il quale si instaura ugualmente un rapporto di sottomissione, perché il cavallo deve accettare la leadership dell’uomo, ma ciò avviene non con la forza, bensì con l’adozione da parte dell’uomo di strumenti quali il linguaggio del corpo e la voce. Interessante è la tecnica ideata da Monty Roberts, che propone la creazione di un dialogo fra uomo e cavallo; lui stesso, forse citando il celebre film "L'uomo che sussurrava ai cavalli" di Robert Redford, tratto dall'omonimo romanzo di Nicholas Evans, afferma: “Gli allenatori bravi possono sentire i cavalli parlare; quelli grandiosi possono sentirli sussurrare”.

    Monty Roberts La tecnica che Roberts utilizza si basa sull'ovvio principio che convincere un cavallo a fare spontaneamente ciò che gli si chiede è meglio che costringerlo, poiché in questo modo il cavallo collabora con l'uomo invece di eseguirne meramente i comandi. Il primo passo per la comprensione dei gesti di un cavallo sta nel rendersi conto che, essendo un erbivoro, ragiona come una preda e non come un predatore: è quindi l'uomo a doversi adattare alla mentalità del cavallo, e non il contrario. Notevole è constatare che durante tali esercizi il cavallo è libero, senza funi, e perciò è lui che decide se stare con l’uomo o meno. Altra scuola importante è quella di Pat Parelli, aperta in Italia nel 2002, la cui tecnica è volta a studiare la natura del cavallo, che, essendo un animale gregario, finisce per vedere nell’uomo il branco che gli dà sicurezza e protezione: anche in questo caso si crea un rapporto di sottomissione senza l’impiego della forza.

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    Pat Parelli

    III. Aneddoti equini

    Interessante è notare come alcuni straordinari o talvolta bizzarri sovrani passarono la storia insieme al loro inseparabile equide. L'aneddotica storica ci tramanda numerose vicende di intima complicità fra uomo e cavallo: vale la pena di citare la vicenda di Bucefalo e Alessandro narrata da Plutarco e la ben nota storia di Incitatus, fatto senatore da Caligola. Il maltrattamento e l’impiego di metodi coercitivi contro questi animali per natura pacifici sono una costante della storia e purtroppo sono tuttora una realtà presente. Scolasticamente il maltrattamento più famoso vede come protagonista un ronzino che si accasciò a terra brutalmente frustato e passò la storia per il definitivo tracollo psicologico di un grande filosofo della fine dell’Ottocento: sto parlando della vicenda di Friedrich Nietzsche, che, assistendo a tale orrore in Piazza Carlo Alberto a Torino il 3 gennaio 1889, subì il definitivo crollo psichico, dal quale non si sarebbe più ripreso. Proprio in questi anni del soggiorno torinese (1888-1889) vanno collocate le famose “Lettere della follia” e altri importanti scritti fra cui Ecce homo. IV. Il cavallo come fonte di benessere

    La magia che da secoli avvolge il mondo dei cavalli è tuttora immutata: in groppa ad un cavallo ci dimentichiamo delle preoccupazioni quotidiane e iniziamo a sognare ad occhi aperti. Personalmente posso affermare che trovarsi immersi nella natura in sella al proprio destriero è una sensazione di libertà unica e speciale: una sensazione preziosa, di cui bisogna fare tesoro nell’epoca in cui viviamo oggi, dove lo stress metropolitano spesso ci soffoca.

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    Studi scientifici affermano che siano le endorfine secrete dal cavallo a scatenare in noi sensazioni così piacevoli. I movimenti regolari del cavallo stimolano la muscolatura dorsale del cavaliere, che si muove quindi in sincronia con l’animale; dal momento che tutto ciò avviene senza il controllo del sistema nervoso centrale, il cavaliere può veramente rilassarsi. Tale effetto viene sempre più sfruttato anche dai terapeuti nella cura di persone disabili e sviluppa così l’affascinante mondo dell’ippoterapia, che ci fa comprendere quanto sia speciale l’effetto che questo animale fa sull’essere umano. Il mio personale obiettivo è proprio quello di riuscire a far percepire, tramite la mia piccola ricerca, l’importanza del ruolo del cavallo nella vita dell’uomo e il benessere che questo animale ha garantito e continua tuttora a garantire al genere umano.

    Tuttavia andare a cavallo ci rende consci anche dei nostri limiti e delle nostre capacità (o incapacità) d’intesa con l’animale, ed è per questo che l’equitazione resta una delle discipline più formative del carattere e anche una delle più rivelatrici: perché a cavallo, come in arte o in amore, fingere è impossibile.

    V. Uno studio antico

    Nel mondo antico troviamo alcuni fra i più grandi appassionati e cultori del mondo equino. I primi a studiare con attenzione il cavallo, per quanto ne sappiamo, furono i Greci e i Romani; a testimoniare tale attenzione rimangono ad esempio gli scritti di Senofonte, soprattutto il già citato trattato Sull’equitazione, sull’arte dell’equitazione e sull’addestramento del cavallo, che definisce con straordinaria precisione quali dovessero essere le caratteristiche atte a garantirne il miglior rendimento possibile. Lo scritto di Senofonte può a buon diritto essere considerato il primo “manuale” d’equitazione; in esso l'autore mise in luce l’importanza di possedere cavalli con le seguenti peculiarità: testa piccola e leggera con un’incollatura lunga e giustamente arcuata, in modo da essere facilmente trattenuti dai cavalieri; occhi grandi e sporgenti, perché i soggetti con tali caratteristiche sarebbero stati più attenti; narici grandi

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    per permettere una buona respirazione; costole rotonde e piuttosto profonde, le quali, oltre a rendere il cavallo di bell’aspetto, lo fanno più robusto. VI. Un simbolo importante

    L'importanza del cavallo per la vita dell'uomo è evidente soprattutto dal suo frequente impiego come simbolo, a significare valori molto alti ma anche profondamente ambigui: infatti, secondo l’ottica archetipica, il cavallo è connesso sia al fuoco, come spesso è indicato in gran parte della mitologia nordica ed europea continentale, che all'acqua, come nella mitologia classica greca: nel primo significato, l'animale si eleva in alto verso la dimora degli dei; nel secondo significato, invece, il cavallo diviene animale ctonio, tenebroso, figlio della notte e del mistero. Questa duplice valenza simbolica richiama subito alla mente il cavallo bianco e il cavallo nero del “Mito della biga alata” raccontato nel Fedro di Platone, al quale fa probabilmente riferimento l'Arcano Maggiore numero 7 dei Tarocchi: il Carro.

    Ma gli esempi sono innumerevoli: solo per citarne alcuni, il cavallo è impiegato come simbolo positivo (di lavoro e fedeltà) da George Orwell in Animal Farm, da Giovanni Pascoli nella “Cavallina storna” ancora come simbolo di fedeltà al "nido" familiare, come simbolo "oscuro" invece da pittori come Füssli nel suo celebre "Incubo", di cui esistono tre differenti versioni; è interessante notare come night-mare significhi alla lettera "cavallina notturna", nel senso di "portatrice dei sogni".

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    Füssli, Incubo, 1781

    Ma è soprattutto in Gran Bretagna che il culto del cavallo è sempre stato particolarmente vivo e continua tuttora ad esserlo, come simbolo stesso dell'aristocrazia. Agli inglesi si devono la caccia alla volpe, il polo e manifestazioni amatissime come il dressage. Ad Enrico VIII, che era grande amante delle corse, si deve l’inizio dell’emanazione di vari editti volti al miglioramento degli allevamenti di cavalli nel Paese, incentivando tale sport a tutti i livelli, e ciò accadde anche sotto il pacifico e ricco regno di Vittoria. Uno dei principali pittori di cavalli fu George Stubbs (1724-1806), che agiva spesso su commissione degli aristocratici inglesi.

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    Un dipinto di George Stubbs

    Il cavallo è poi protagonista di movimenti artistici quali il Futurismo e Der Blaue Reiter. Il primo vedeva il cavallo come simbolo del dinamismo, poiché i valori su cui intende fondarsi la visione del mondo futurista sono quelli della velocità e dello sfrenato attivismo considerati come distintivi della moderna realtà industriale. Il suo maggior esponente fu Umberto Boccioni, che contribuì alla creazione del “Manifesto dei pittori futuristi”: possiamo considerare la sua opera “La città che sale” come il capolavoro del futurismo italiano. In primo piano è rappresentato un enorme destriero rosso-dorato, simbolo della Forza soprannaturale, della Velocità e dell'Energia esplosiva; è da tenere presente che in fisica la potenza, cioè l’energia potenziale “del cavallo di ferro” - del treno o dell’automobile - una volta si misurava in cavalli (Hp). Il secondo movimento, fondato a Monaco di Baviera da Kandinskij, Marc, Munter e Kubin, nato come reazione all’esclusione di tali artisti dalla mostra ufficiale (Neue Künstlervereinigung), ebbe origine dalla passione di Kandinskij per il colore blu e dall'amore di Marc per i cavalli, come afferma lo stesso Kandinskij (Der Blaue Reiter significa "Il Cavaliere azzurro"). Kandinskij aveva dipinto nel 1903 un'opera con lo stesso nome (Der Blaue Reiter), che si può già considerare in un certo senso un manifesto della poetica del movimento: un cavaliere

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    azzurro, simbolo della spiritualità, guida e domina la corsa di un cavallo, simbolo dell’energia psichica e irrazionale delle passioni. Ancora nel quadro di Pablo Picasso, “Guernica”, opera intrisa di molteplici simboli legati ad un fatto storicamente accaduto (bombardamento della città di Guernica nel 1937 per mano dei franchisti) il cavallo assume un valore simbolico come emblema del popolo spagnolo, onesto e laborioso (secondo altri rappresenta la sofferenza dell'intera umanità).

    Picasso, Guernica (dettaglio), 1937

    VII. Mitologia equina

    Il cavallo è un animale che ha sempre rivestito una notevole importanza nell'immaginario collettivo, entrando a far parte della vita dell'uomo non solo nella sua quotidianità, accompagnandolo nel lavoro ed in guerra, ma anche nella leggenda. Numerose sono le storie riguardanti cavalli, dotati di poteri più o meno soprannaturali, che si sono tramandate nel corso dei secoli. Nell’immaginario umano, per lo più il cavallo evoca libertà e bellezza, ma la simbologia ambigua correlata al cavallo, cui ho fatto cenno sopra, ne ha messo in risalto, contemporaneamente, i caratteri positivi e negativi. Se in epoca arcaica il cavallo è stato associato al regno dei morti e come tale sacrificato ai defunti, successivamente il cavallo fu associato alla divinità Sole: il cavallo, infatti, era l’animale da tiro che trainava il "carro del cielo" condotto da Apollo. Molte favole dell´antichità raccontano le gesta di cavalli alati. Il più noto è sicuramente Pegaso, nato dal collo di Medusa, a cui Perseo aveva tagliato la testa.

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    Bellerofonte addomesticò questo animale facendo uso delle briglie avute in dono da Atena e grazie ad esso riuscì a vincere Chimera.

    Nel simbolismo, il cavallo alato unisce la vitalità e l´energia dell’animale con la capacità di svincolarsi dalla terra e dalla realtà materiale. Il legame uomo-cavallo si strinse così tanto da fonderli insieme in uno stesso corpo, originando il centauro, che, come e più del cavallo, non sempre è un simbolo positivo, anche perché derivato forse dal primitivo terrore che suscitarono tra le popolazioni le invasioni di stranieri che utilizzavano i cavalli come mezzo di spostamento e di razzia. Considerato simbolo dell´animalità, il centauro nel Medioevo era contrapposto al nobile cavaliere. Anche per il centauro si ritrova, quindi, un simbolismo duplice: personaggio sapiente, come Folo e Chirone, che istruì Achille e Giasone, come ci racconta Apollonio Rodio nelle “Argonautiche”, ma anche espressione di istinti animali e di bassa vendicatività, come il centauro Nesso che causò la morte di Eracle e il suicidio di Deianira nelle Trachinie di Sofocle. Una variante affascinante dei cavalli mitici è l’unicorno (o liocorno) di cui parla anche Plinio il Vecchio, raffigurato come un cavallo bianco con un corno a spirale sulla fronte dotato di proprietà magiche e terapeutiche. Nella simbologia l’unicorno rappresenta la purezza, la forza e la castità. VIII. Conclusioni

    È palpabile come il cavallo sia compagno di fatiche e di glorie insieme all’uomo: senza di lui il nostro destino sarebbe stato sicuramente più lento, meno dinamico. Al giorno d’oggi questo animale non viene più utilizzato in guerra e lo è sempre meno in agricoltura, ma è ugualmente

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    considerato come simbolo di una tradizione contadina e il suo mito resiste come compagno delle avventure del Far West. Riscuote successo come mezzo sportivo, cioè come co-protagonista di imprese ricche di emozioni che ci riconducono tra i miti arcani della natura, suggerendocene la bellezza e stimolando entusiasmi assopiti nella società a noi contemporanea. Avvicinarci a questo animale e dedicargli ore della nostra vita, ore non sciupate di certo, ci dà la possibilità di riacquistare serenità e pace per il nostro spirito: e questo, a mio parere, è quanto di più alto l’uomo possa desiderare da un incontro.