205
Indice CAPITOLO I - Fonti e principi dell’obbligazione retributiva 3 1. La retribuzione tra diritto civile e diritto del lavoro..............................................3 2. La nozione di retribuzione......................10 3. Retribuzione e principi costituzionali: la sufficienza........................................18 4. Retribuzione e principi costituzionali: la proporzionalità....................................23 5. Retribuzione e principi costituzionali: la parità di trattamento.....................................27 5.1 La parità di trattamento e i limiti all’autonomia individuale........................................41 5.2. La parità di trattamento e i limiti all’autonomia collettiva.........................................48 5.3. L’attualità della questione della parità di trattamento........................................51 6. Il procedimento di adeguamento..................54 7. La natura della decisione.......................57 1

iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Indice

CAPITOLO I -

Fonti e principi dell’obbligazione retributiva 3

1. La retribuzione tra diritto civile e diritto del lavoro......................................3

2. La nozione di retribuzione..........................................................................10

3. Retribuzione e principi costituzionali: la sufficienza..................................18

4. Retribuzione e principi costituzionali: la proporzionalità...........................23

5. Retribuzione e principi costituzionali: la parità di trattamento...................27

5.1 La parità di trattamento e i limiti all’autonomia individuale...................41

5.2. La parità di trattamento e i limiti all’autonomia collettiva......................48

5.3. L’attualità della questione della parità di trattamento.............................51

6. Il procedimento di adeguamento.................................................................54

7. La natura della decisione.............................................................................57

8. I criteri di determinazione giudiziale della retribuzione sufficiente: le

condizioni economiche e territoriali e la dimensione dell’impresa...................58

CAPITOLO II - Retribuzione ed assetto della contrattazione..........................62

1. Retribuzione e assetto della contrattazione.................................................62

2. La riforma degli assetti contrattuali: il ruolo del contratto nazionale e la

funzione di garanzia della certezza dei trattamenti economici..........................71

3. La contrattazione di secondo livello. La contrattazione aziendale e il

premio variabile.................................................................................................79

1

Page 2: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

4. La riforma degli assetti contrattuali: i rapporti tra diversi livelli e il

fenomeno della contrattazione aziendale separata.............................................84

5. La riforma degli assetti contrattuali: L’elemento di garanzia retributiva.. .86

CAPITOLO III - I sistemi retributivi..................................................................91

1. La retribuzione ad economia.......................................................................91

2. Sistemi retributivi incentivanti: il cottimo..................................................94

3. Sistemi retributivi incentivanti: i premi di produzione...............................98

4. Sistemi retributivi incentivanti: la retribuzione variabile e i premi di

risultato.............................................................................................................100

5. Meriti e premi nel pubblico impiego: cenni..............................................105

Bibliografia..........................................................................................................112

2

Page 3: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

CAPITOLO I

Fonti e principi dell’obbligazione retributiva

Sommario: 1. La retribuzione tra diritto civile e diritto del lavoro. – 2. La nozione di retribuzione. – 3.

1.1. Retribuzione e principi costituzionali: la sufficienza. – 4. Retribuzione e principi costituzionali: la proporzionalità. – 5.

1.1.1. Retribuzione e principi costituzionali: la parità di trattamento. 5.1. La parità di trattamento e i limiti all’autonomia individuale. – 5.2. La parità di trattamento e i limiti all’autonomia collettiva. – 5.3. L’attualità della questione della parità di trattamento.- 6. Il procedimento di adeguamento. – 7. La natura della decisione. - 8. I criteri di determinazione giudiziale della retribuzione sufficiente: le condizioni economiche e territoriali e la dimensione dell’impresa.

1. La retribuzione tra diritto civile e diritto del lavoro.

Chi si ponga alla ricerca del significato dogmatico del concetto di

retribuzione e proceda ordinatamente discendendo le fonti del diritto,

troverà nell’art. 36 Cost.1 i primi elementi.

La retribuzione è anzitutto il mezzo attraverso cui il lavoratore

garantisce a sé e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Tuttavia per trovare una definizione di retribuzione occorre proseguire

nella lettura delle fonti fino ad imbattersi nell’art. 2094 c.c.

Il fatto che la definizione giuridica di retribuzione sia legata a

quella di lavoratore subordinato lascia intendere come la prima sia

intimamente connessa al concetto di subordinazione.

La retribuzione è uno degli elementi del rapporto tra prestatore e

datore di lavoro e più precisamente costituisce il diritto fondamentale

del primo e l’obbligo principale del secondo.

1 Cfr. T. Treu, Commento sub art. 36, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1979, p. 77 e ss.

3

Page 4: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Dal lato datoriale la retribuzione si colloca nella categoria delle

obbligazioni aventi fonte in un contratto a prestazioni corrispettive e

soggiace alla relativa disciplina codicistica (ed in primo luogo agli art.

1176 c.c. sulla diligenza nell’adempimento e 1218 c.c. sulla

responsabilità del debitore). In particolare, poiché la retribuzione

viene normalmente corrisposta in denaro, si applicano gli articoli del

codice civile che disciplinano le obbligazioni pecuniarie (art. 1277 c.c.

e ss)2.

Rispetto a queste ultime, la retribuzione presenta alcune

particolarità derivanti dalla funzione che le è propria e dal fatto di

trovare la propria origine nel rapporto di lavoro, le cui fonti sono

complesse e di varia natura. La principale conseguenza della

complessità delle fonti che la governano consiste nella limitazione

dell’autonomia privata individuale nella determinazione dei livelli

retributivi, ad opera dell’ autonomia collettiva. Da ciò, unitamente alla

comprovata circostanza per cui l’organizzazione sindacale è sorta per

regolare i movimenti di rivendicazione salariale3, si argomenta

tradizionalmente per sostenere il legame tra la retribuzione e le regole

che governano le relazioni industriali.

La destinazione della retribuzione a garantire il sostentamento del

prestatore di lavoro, costituzionalmente tipizzata all’art. 364, comporta

che essa può sussistere anche quando il rapporto sia sospeso o la

2 G. Perone, voce Retribuzione, in Enc. giur., Milano, 1989, vol. XL, p. 40; A. Di Majo, Aspetti civilistici della obbligazione retributiva, in Riv. giur. lav. prev. soc., I, 1982, p. 397.3 Cfr S. Webb, B. Webb, Industrial democracy, Edimburgo, 1897.4 T. Treu, Onerosità e corrispettività nel rapporto di lavoro, Milano, 1968, p. 45: “Nel contratto di lavoro oneroso la prestazione subordinata è svolta come mezzo di scambio per ottenere il sostentamento o comunque in vista di un corrispettivo. Si realizza così la naturale funzione del lavoro e la situazione tipica in cui si attua nel sistema economica la utilizzazione delle energie produttive umane”.

4

Page 5: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

prestazione impossibile, come nei casi di infortunio, gravidanza e

puerperio di cui all’art. 2110 c.c. Per le stesse ragioni il medesimo art.

36 Cost. al terzo comma, prevede la persistenza dell’obbligazione in

capo al datore di lavoro anche nel periodo in cui il prestatore fruisce

del periodo di ferie.

La peculiarità della retribuzione rispetto alle altre obbligazioni

civilistiche, che si manifesta già al livello delle fonti e si riflette sulla

disciplina delle interruzioni della prestazione5, è dettata dalla

circostanza che tra i rapporti economici disciplinati dalla Costituzione,

quello di lavoro attiene non solo all’ “avere” ma anche all’ “essere “

del prestatore6.

Altra caratteristica della retribuzione è il suo essere normalmente

condizione necessaria del rapporto di lavoro subordinato.

Lo schema negoziale tracciato del diritto positivo sembra non

lasciare dubbi sul fatto che la prestazione lavorativa imponga a carico

del datore l’obbligo di corrispondere la retribuzione. Da ciò si

argomenta tradizionalmente a favore di una presunzione atecnica (cioè

non fondata sul diritto positivo né sull’id quod plerumque accidit) di

onerosità del lavoro subordinato7. Pertanto, si attribuisce normalmente

carattere corrispettivo alla prestazione lavorativa subordinata, fondata

sul contratto tipico di lavoro.

A seguito degli studi sul tema condotti sul finire degli anni ‘60 si è

ritenuta ammissibile la fuoriuscita dallo schema negoziale codificato,

quando il rapporto di lavoro subordinato trovi fondamento in un

contratto in cui la prestazione è resa a titolo gratuito e non finalizzata 5 T. Treu, Onerosità e corrispettività, cit. p. 3.6M. Dell’Olio, Retribuzione, quantità e qualità di lavoro, in ADL, 1995, 2, p. 1 e ss.7 L. Riva Sanseverino, Commento sub art. 2103, in Commentario del codice civile a cura di A. Scialoja, G. Branca, , Bologna-Roma, 1986, p. 312.

5

Page 6: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

alla realizzazione di una utilità a favore del datore di lavoro con

obbligo alla controprestazione8.

Secondo una diversa impostazione non sarebbe invece ammissibile

la prestazione di lavoro subordinata a titolo gratuito in quanto gratuità

e subordinazione sarebbero termini antitetici e la prestazione resa

senza obbligo di corrispettivo dovrebbe essere classificata quale

contratto atipico estraneo all’area di ricerca del diritto del lavoro9.

Tra le forme gratuite di lavoro generalmente si annovera quello

familiare reso in ragione del vincolo solidaristico e di affetto che lega i

componenti10.8 T. Treu, Onerosità e corrispettività, cit., p. 45: “Nell’ipotesi in cui invece il lavoratore accetti di prestare la propria opera alle dipendenze altrui senza contropartite, a titolo di liberalità, l’attività subordinata non si configura come strumento per attuare uno scambio di utilità reciproche tra i contraenti, ma serve per la soddisfazione di scopi altruistici o, comunque, di interessi non esprimentesi in controprestazioni obbligatorie”.Contra cfr. M. Grandi, Osservazioni critiche sulla prestazione gratuita di lavoro subordinato, in ADL, 2000, 1, p. 444 e ss., secondo cui “La trasformazione del contratto di lavoro da oneroso in gratuito determina una mutazione genetica del tipo contrattuale incompatibile con la sua struttura regolativa: lo schema tipico del lavoro subordinato include l’onerosità come elemento causale essenziale”. Secondo l’A. “Esclusa la possibilità di conservare la tipicità dello schema contrattuale al prezzo dell’esclusione dell’onerosità, per i fautori della gratuità non resta che ritrarsi nel comprensorio dell’atipicità, attestandosi sulla prospettiva offerta dall’art. 1322, secondo comma c.c.”, “Questo ripiegamento, però, impone il pagamento di un prezzo: la rinunzia al requisito della subordinazione della prestazione lavorativa”.9 cfr. M. Grandi, Osservazioni critiche, cit. p. 465.10 F. Mortillaro, voce Retribuzione. 1) Rapporto di lavoro privato, in Enc. Giur., Roma, 1991, p. 1 e ss.Più complesso appare l’inquadramento sistematico delle fattispecie di attività di volontariato prestata spontaneamente e a titolo gratuito (L. 11 agosto 1991, n. 266. Legge-quadro sul volontariato) e l’attività svolta nell’ambito di un progetto di servizio civile (D.Lgs. 5 aprile 2002, n. 77. Disciplina del Servizio civile nazionale a norma dell'articolo 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64). Con riguardo ai suddetti istituti, a prima lettura sembra ricorrere lo schema del rapporto di lavoro gratuito, come risulta evidente dal fatto che in entrambi i casi il legislatore si affretta a escludere che i volontari acquisiscano il diritto alla retribuzione (art. 2 comma 1, L. 11 agosto 1991, n. 266 e art. 10 D.Lgs. 5 aprile 2002, n. 77) e che si costituisca un rapporto di lavoro (art. art. 2 comma 3, L. 11 agosto 1991, n. 266 e art. 9 D. Lgs. 5 aprile 2002, n. 77). In particolare nel caso del servizio civile, il

6

Page 7: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Vi è inoltre chi non esclude che profili di rilevanza possa

conservare l’istituto del lavoro gratuito con riguardo ai rapporti in cui

il prestatore si pone in qualità di discente e dunque nell’attività di

praticantato delle professioni liberali11.

La questione è tornata d’attualità in ragione della presentazione in

Senato del DDL n. 1198 in cui all’art. 41 comma 9 si leggeva “Il

tirocinio professionale non determina l’instaurazione di rapporto di

lavoro subordinato anche occasionale; in ogni caso, al praticante

avvocato, decorso il primo anno, è dovuto un adeguato compenso

commisurato all’apporto dato per l’attività effettivamente svolta

ovvero quello convenzionalmente pattuito”.

Nel corso dell’iter parlamentare il DDL n. 1198 è stato trasfuso nel

DDL S.601, approvato in Senato il 23 novembre 2010. Nel passaggio

è scomparso ogni riferimento al compenso al praticante avvocato,

essendo previsto esclusivamente il rimborso delle spese sostenute ed

inoltre un rimborso congruo per l’attività svolta12.

rapporto contrattuale tra il volontario, l’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile e l’ente selezionatore riproduce una triangolazione strutturalmente identica a quella della somministrazione di cui al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Tuttavia in ragione della tassativa esclusione da parte delle disposizioni legislative, deve concludersi che si tratti in entrambi i casi di attività materialmente lavorativa senza la costituzione di un rapporto di lavoro.I casi del lavoro volontario e di quello reso nell’ambito di un progetto di servizio civile non sono gli unici di attività lavorativa senza rapporto di lavoro. Rientrano in questa categoria anche i lavori socialmente utili (D. Lgs. 1° dicembre 1997, n. 468. Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili, a norma dell'articolo 22 della legge 24 giugno 1997, n. 196 e D. Lgs. 28 febbraio 2000, n. 81. Integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell'articolo 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144).11 F. Mortillaro, voce Retribuzione., cit., p. 3.12 DDL S.601, Modifiche al regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, in materia di riforma dell'accesso alla professione forense e raccordo con l'istruzione universitaria, approvato con il nuovo titolo “Nuova disciplina dell’ordinamento ella professione forense”, art. 39 comma 8, Il tirocinio professionale non determina l’instaurazione di rapporto di lavoro subordinato anche occasionale. Al

7

Page 8: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Atteso che recenti studi dimostrano che l’età media di permanenza

nell’albo dei praticanti avvocati è di 5,5 anni, è facile intuire come la

questione non sia di poco conto13.

La prestazione resa del discente non può certo definirsi attività

autonoma professionale neppure, ovviamente, nelle moderne forme di

un rapporto di lavoro economicamente dipendente, in quanto chi la

svolge non è ancora in possesso dei titoli abilitanti.

Pertanto, non resta che la subordinazione quale categoria dogmatica

per l’inquadramento della fattispecie. In effetti, normalmente possono

dirsi sussistenti gli elementi della subordinazione in quanto l’attività è

senz’altro svolta sotto la direzione ed il coordinamento e presso l’unità

produttiva (rectius lo studio professionale) del dominus che riceve

dalla prestazione un vantaggio economico. Essa, vero è che il più delle

volte è propedeutica all’apprendimento della professione, ma ben

potrebbe essere svolta da dipendenti del professionista perché non

necessariamente consistente in atti il cui compimento è

infungibilmente richiesto al professionista per ragioni fiduciarie14.

Il rapporto postula necessariamente uno scambio tra il vantaggio

economico che il professionista ottiene dalla prestazione e

l’apprendimento del discente. Infatti secondo una risalente ma attuale

opinione, l’ “addestramento” ottenuto dal prestatore può ritenersi

praticante avvocato è sempre dovuto il rimborso delle spese sostenute per conto dello studio presso il quale svolge il tirocinio. Ad eccezione che negli enti pubblici e presso l’Avvocatura dello Stato, decorso il primo anno, l’avvocato riconosce al praticante avvocato un rimborso congruo per l’attività svolta per conto dello studio, commisurato all’effettivo apporto professionale dato nell’esercizio delle prestazioni e tenuto altresì conto dell’utilizzo da parte del praticante avvocato dei servizi e delle strutture dello studio.13 Cfr. G. Basso, Pellizzari M., Quelle barriere per gli aspiranti avvocati, in Lavoce.info, 2010.14 Si pensi allo svolgimento dell’attività di cancelleria o di notificazione presso gli uffici UNEP nello svolgimento della pratica forense.

8

Page 9: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

suscettibile di valutazione patrimoniale essendo diretto a migliorare la

qualificazione professionale e la capacità di guadagno; inoltre

l’insegnamento deve ritenersi un obbligo per il professionista, sicché il

rapporto non può che definirsi corrispettivo anche se il corrispettivo è

del tutto peculiare rispetto a quello del rapporto di lavoro subordinato

tipico15.

Poiché il rapporto tra praticante e professionista deve ritenersi, per

le ragioni esposte, a carattere corrispettivo, ad esso si estende

l’applicazione dell’art. 36 Cost. anche se con i dovuti adattamenti che

ne impediscono l’attuazione nel senso comune, ovvero quello indicato

dalla giurisprudenza di estensione dei livelli retributivi previsti dai

contratti collettivi. La ragione è che questi sono negoziati per

compensare la prestazione lavorativa unicamente tramite il

corrispettivo in denaro, e dunque non tengono conto dell’apporto

costituito dall’insegnamento impartito dal professionista e della

fruizione degli strumenti posti a disposizione del discente16.

Pertanto l’applicazione adeguata del precetto costituzionale di cui

all’art. 36, deve intendersi nel senso della ammissibilità di

adeguamento del corrispettivo alle caratteristiche del rapporto di

lavoro del discente17.

2. La nozione di retribuzione.

15 Cfr. T. Treu, Onerosità e corrispettività, cit., p. 100.16 Cfr. T. Treu, Onerosità e corrispettività, cit., p. 115 e ss.17 Cfr. P. Ichino, La nozione di giusta retribuzione nell’art. 36 Cost., in Riv. it. dir. lav., 2010, I, p. 751.

9

Page 10: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Per retribuzione può intendersi il corrispettivo dell’attività

lavorativa, cioè qualsiasi attribuzione patrimoniale ottenuta

sinallagmaticamente verso la cessione di una prestazione18.

Questa definizione, pure tratta dalla disciplina legislativa e fondata

su categorie civilistiche, non è di alcuna utilità pratica per le quali si è

posto il problema dell’esistenza di una nozione di retribuzione19.

Infatti tutte le volte che si renda necessario quantificare l’importo di

alcune voci retributive (retribuzione feriale, mensilità aggiuntive) la

cui base di calcolo è costituita dalla retribuzione (c.d. retribuzione

parametro), si pone il problema di stabilire quali voci vi rientrino.

Il legislatore, al di là dell’inquadramento sistematico dell’istituto

nel diritto delle obbligazioni, non fornisce strumenti unidirezionali per

la elaborazione della nozione di retribuzione. Tradizionalmente la

scelta è stata quella di astenersi dal disciplinare direttamente

l’obbligazione retributiva lasciando alla negoziazione collettiva il

compito di riempirla di contenuto attraverso l’individuazione delle

voci e la determinazione dei livelli. Quando il legislatore ha deciso di

intervenire direttamente ha tenuto due atteggiamenti: la fissazione di

garanzie minime, come la retribuzione sufficiente di cui all’art. 36

Cost. o il mantenimento dei livelli raggiunti ex art. 2103 c.c. come

modificato dalla l. 20 maggio 1970, n. 300, ovvero la previsione di

singole voci come, a titolo esemplificativo, l’indennità di anzianità e il

t.f.r., le maggiorazioni per il lavoro straordinario e festivo. In entrambi

i casi si tratta di “tutele legali statiche”20.18 Cfr. M. Roccella, Manuale di diritto del lavoro, Torino, 2010, p. 368.19 Cfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.20 Cfr. M. D’Antona, Appunti sulle fonti di determinazione della retribuzione, in Riv. giur. lav. prev. soc., 1986, I, p. 11.

10

Page 11: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Tra le definizioni legali, l’unica che potesse fornire qualche

fondamento per una nozione di retribuzione utile ai fini pratici era

quella contenuta nella originaria formulazione dell’art. 2121 c.c.

secondo cui ai fini del calcolo dell’indennità di anzianità e di mancato

preavviso, si sarebbero dovute computare “le provvigioni, i premi di

produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti e tutti i compensi

di carattere continuativo, con esclusione di quanto è corrisposto a

titolo di rimborso spese”.

All’interrogativo sulla esistenza di una nozione legale di

retribuzione unitaria e di generale applicabilità per i fini pratici cui si è

accennato21 si è cercato di fornire una risposta argomentando a partire

dall’art. 2121 c.c.

La circostanza che l’art. 2118 c.c. ha posto una corrispondenza

quantitativa tra l’indennità di mancato preavviso e la somma di tutti i

compensi percepiti dal prestatore, ha generato la convinzione che gli

unici elementi strutturali del concetto giuridico fossero la

determinatezza, la corrispettività e la continuità22.

Ciò ha portato alla riconduzione ad unità di tutti i compensi

percepiti dal lavoratore in funzione delle energie psico-fisiche erogate

con esclusione delle sole spese sostenute nell’intereresse del datore di

lavoro.

Questa tesi, classificata con il termine omnicomprensività, nella

eclettica varietà di argomentazioni, si fondava sulla supposta esistenza

di un principio immanente nell’ordinamento giuridico, e desumibile

21 Cfr. M. Roccella, Manuale di diritto del lavoro, Torino, 2010, p. 368.22 Cfr. Carinci F., De Luca Tamajo R., Tosi P., Treu T., Il rapporto di lavoro subordinato, cit., p. 247.

11

Page 12: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

dall’art. 36 Cost., di nozione unica di retribuzione, ricavabile dalle

diverse norme di legge che contengono definizioni di retribuzione23.

Lo scopo della giurisprudenza nell’adottare la concezione

omnicomprensiva di retribuzione è stato evidentemente quello di

realizzare una “alta tutela sulle normative salariali”24 e la conseguenza

è stata la dichiarazione di nullità e la sostituzione automatica di ogni

clausola che escludesse dalla base di calcolo un elementi retributivo

caratterizzato da determinatezza, corrispettività e soprattutto

continuità25.

La retribuzione omnicomprensiva utilizzata quale base di calcolo

dei diversi istituti26, determinava degli evidenti effetti distorsivi di

moltiplicazione e contribuiva ad incrementare l’automatismo salariale

e la crescita di elementi differiti o indiretti della retribuzione27.

La nozione omnicomprensiva di retribuzione inoltre tendeva ad

avere un effetto fortemente riduttivo della autonomia collettiva che

veniva di fatto spogliata della sua più importante prerogativa ovvero

quella di definire l’articolazione della retribuzione28.

Tali considerazioni hanno indotto ad una critica profonda del

concetto di omnicomprensività, a partire dai suoi fondamenti giuridici.

In particolare si è sottoposta a revisione la definizione del carattere

della continuità della erogazione, desunto dalla vecchia formulazione

dell’art. 2121 c.c., quale criterio selettivo naturale in quanto esistono 23 Cfr. M. D’Antona, Le nozioni giuridiche della retribuzione, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1984, 22, p. 271.24 Cfr. M. D’Antona, Appunti sulle fonti, cit. p. 11.25 Cfr. F. Mortillaro, Retribuzione. 1) Rapporto di lavoro privato, in Enc. Giur. Treccani, XXVII, 1991, p 6.26 Cfr. Carinci F., De Luca Tamajo R., Tosi P., Treu T., Il rapporto di lavoro, cit., p. 248.27 T. Treu, Problemi giuridici della retribuzione, in Giorn. dir. lav. rel. Ind., 1980, 5, p. 38.28 Cfr. F. Mortillaro, Retribuzione, cit., p 6.

12

Page 13: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

compensi retributivi ma occasionale, quali ad esempio le indennità

una tantum29.

La critica sull’assenza di un fondamento legale della teoria e della

riduzione del valore e della portata della contrattazione collettiva

hanno indotto alla riflessione in giurisprudenza, avviata con la

sentenza n. 5312 dell’11 ottobre 1979, n. 5312 della Corte di

Cassazione, che ha portato in tempi brevi ad una modifica

dell’orientamento di legittimità. Infatti, anzitutto si è affermato che

non esiste un fondamento normativo della nozione di

omnicomprensività ma soltanto una tendenziale regola suppletiva che

avrebbe avuto spazio di applicazione solo in assenza di specifiche

disposizioni legali e contrattuali30. Questo primo approdo del processo

giurisdizionale di revisione della omnicomprensività della retribuzione

consentiva ancora di risolvere due “problemi cruciali per

l’applicazione delle normative salariali” ossia la qualificazione degli

emolumenti di dubbia natura e la quantificazione delle voci retributive

a base incerta31.

Tuttavia la strada era segnata e a distanza di pochi anni sarebbe

giunto a compimento il processo di revisione della nozione di

omnicomprensività32 con l’esclusione della funzione sussidiaria e

l’affermazione dello stesso unicamente quale metodo, non

generalizzabile con cui il legislatore ha regolato singoli istituti o voci

retributive, pur con l’accoglimento di un concetto ampio di

retribuzione quale “coacervo di tutto ciò che il lavoratore riceve dal

29 Cfr. F. Bianchi D’Urso, Spunti critici in tema di onnicomprensività e continuità della retribuzione, in Riv. it. dir. lav., 1983, I, p. 394.30 Cfr. F. Mortillaro, Retribuzione, cit., p 6.31 Cfr. M. D’Antona, Appunti sulle fonti, cit. p. 12.32 Cfr. Corte Cass., S.U., 13 febbraio 1984, n. 1081, in Foro it., 1984, I, p. 677.

13

Page 14: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

datore di lavoro non solo in cambio della sua prestazione lavorativa,

ma anche a causa della sua implicazione nel rapporto di lavoro”33.

In altri termini, la revisione della teoria dell’omnicomprensività non

ha travolto la concezione di corrispettività che la dottrina aveva

desunto dall’art. 2121 c.c. e che ha ritenuto in forma tanto più ampia

rispetto agli altri contratti sinallagmatici, da farvi rientrare le

prestazioni dovute dal datore nei periodi in cui manchi l’attività

lavorativa34. Anzi secondo alcuni la stessa operazione

giurisprudenziale di revirement si fonderebbe proprio su di essa e

pertanto andrebbe condivisa la descrizione della retribuzione in

termini di coacervo di tutto ciò che è dovuto al prestatore in cambio

della prestazione e della implicazione nel rapporto di lavoro35.

In conseguenza dell’abbandono del concetto di omnicomprensività,

si deve prendere atto da un lato che, sul piano della qualificazione

giuridica degli istituti, non esiste un concetto omnicomprensivo di

retribuzione, e dall’altro che deve essere invece ritenuto sussistente un

concetto unitario di retribuzione-obbligazione intimamente connesso

alla nozione di corrispettività. Tuttavia, sul diverso piano della

determinazione della base di calcolo delle attribuzioni esistono varie

nozioni. Esse sono determinate dalla contrattazione collettiva quale

fonte privilegiata, occasionalmente limitata da definizioni legislative.

Pertanto la determinazione delle varie voci retributive si riduce ad una

questione di interpretazione delle definizioni negoziali o legislative36.

33 Cfr. M. D’Antona, Le nozioni giuridiche della retribuzione, cit., p. 274.34 Cfr. T. Treu, Onerosità e corrispettività, cit., p. 165 e ss.35 Cfr. M. D’Antona, Le nozioni giuridiche, cit., p. 274.36 Cfr. C. Zoli, G. Zilio Grandi, Qualificazione e quantificazione, in La retribuzione. Struttura e regime giuridico, a cura di B. Caruso, C. Zoli, L. Zoppoli, Napoli, 1994, p. 231.

14

Page 15: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

La fonte dei vari istituti consente una agevole classificazione degli

stessi secondo una bipartizione: da un lato vi sono quelli che traggono

origine nella contrattazione collettiva mentre nel secondo gruppo

rientrano quelli di origine legale.

Secondo una classificazione risalente ma attuale37 gli istituti di

origine legale andrebbero ulteriormente distinti. Da un lato si

collocano quelli originati e determinati dalla legge e dall’altro quelli

privi di determinazione legale. Alla prima categoria devono essere

riportate l’indennità di anzianità, l’indennità sostitutiva del preavviso

e l’indennità per causa di morte, il t.f.r., il trattamento economico in

gravidanza e puerperio e il compenso per le festività infrasettimanali.

Si deve precisare che la determinazione legale non comporta

necessariamente l’inderogabilità ad opera della contrattazione

collettiva in quanto, anche a tal fine si deve prestare attenzione alla

volontà del legislatore. Ad esempio in tema di t.f.r. il secondo comma

dell’art. 2120 fa salva la diversa previsione dei contratti collettivi ai

fini della determinazione del trattamento. Secondo un parere38 ormai

accolto dall’orientamento costante della giurisprudenza39 ciò comporta

che l’autonomia collettiva può derogare in melius ma anche in pejus

alla definizione offerta dal legislatore.

Il t.f.r., in considerazione del diritto del prestatore azionabile in

giudizio sia pure limitatamente all’accertamento della misura, deve

essere definito più quale retribuzione accantonata che retribuzione

37 Cfr. C. Zoli, G. Zilio Grandi, Qualificazione e quantificazione, cit. p. 232.38 Cfr. A. Garilli, I trattamenti economici di fine rapporto, in La retribuzione. Struttura e regime giuridico, a cura di B. Caruso, C. Zoli, L. Zoppoli, Napoli, 1994, p. 249.39 Per una completa rassegna cfr. M. N. Bettini, sub art. 2120 c.c., in Diritto del lavoro, vol. I, a cura di G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, Milano, 2009, p. 1214 e ss.

15

Page 16: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

differita, ed è calcolato sommando per ciascun anno di servizio una

quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione

dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. A tal fine la retribuzione si

intende comprensiva di tutte le somme compreso l’equivalente delle

prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro,

a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a

titolo di rimborso spese.

A causa di questa formulazione ampia, la dottrina ha ritenuto che la

retribuzione quale parametro ai fini del calcolo del t.f.r. si

configurerebbe come sostanzialmente omnicomprensiva,

atteggiandosi ad eccezione rispetto al principio ormai consolidato di

assenza di un concetto di retribuzione dotato di tale caratteristica40. In

accoglimento di questa impostazione, la giurisprudenza ritiene

computabili ai fini del calcolo del t.f.r. il premio di rendimento, i

premi di fedeltà aziendale, le componenti retributive correlate alla

professionalità, l’indennità di lavoro notturno, i ratei di tredicesima,

l’indennità sostitutiva di ferie e festività, l’indennità per festività

soppresse, le somme corrisposte a titolo di permessi non retribuiti,

l’indennità di sottosuolo, di cassa, di cuffia e di disagiata residenza,

l’indennità sostitutiva del preavviso41.

Altrettanto ampie sono le nozioni di retribuzione ai fini del calcolo

delle somme dovute ai lavoratori per la prestazione resa nelle giornate

di ricorrenze festive e per il periodo di congedo di maternità e

paternità. Per quanto concerne la prima, l’art. 5 della l. n. 260 del 27

maggio 1949 fa riferimento alla retribuzione globale di fatto

giornaliera. L’art. 23 del d.lgs. n. 151 del 26 marzo 2001, che ha 40 Cfr. G. Giugni, R. De Luca Tamajo, G. Ferraro, Il trattamento di fine rapporto, Padova, 1984, p. 59 e ss.41 Cfr. M. Novella Bettini, sub art. 2120 c.c., cit., p. 1224 e ss.

16

Page 17: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

sostituito l’art. 16 della abrogata 30 dicembre 1971, n. 1204

sostanzialmente riproducendone il contenuto, fa riferimento alla

retribuzione globale giornaliera.

Nella categoria degli istituti retributivi di origine legale ma privi di

una determinazione ad opera della stessa fonte si collocano i compensi

per la prestazione resa oltre il normale orario di lavoro. Come noto

l’art. 2108 c.c. prevede che il prestatore sia compensato per le ore di

straordinario con un aumento della retribuzione rispetto a quella

dovuta per il lavoro ordinario. Il d.lgs. n. 66 dell’ 8 aprile 2003 di

attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE che ha modificato

taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, non si occupa

dell’aspetto retributivo del lavoro prestato oltre l’orario normale.

Pertanto devono ritenersi attuali tutti i principi elaborati dalla dottrina

e dalla giurisprudenza fino a quel momento42.

Occorre distinguere quanto dovuto a titolo retributivo per le ore di

straordinario, da quanto dovuto a titolo di risarcimento del danno

dovuto in aggiunta alla retribuzione nel caso di soppressione del

riposo settimanale, a condizione che si dia prova del danno biologico

provocato dall’usura quale conseguenza del suo mancato godimento43.

Per quanto concerne la retribuzione feriale la Corte di Cassazione

ha ritenuto legittime le statuizioni della contrattazione collettiva con

cui si escludeva dal computo della somma dovuta al prestatore, i

compensi spettanti normalmente per la presenza effettiva sul luogo di

lavoro, mentre per la maggiorazione per lavoro straordinario ha

42 Cfr S. Bellomo, Orario e riposo, commento sub artt. 2106, 2107, 2108 e 2109 c.c., in Diritto del lavoro, vol. I, a cura di G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, Milano, 2009, p. 1007 e ss.43 Cfr. Corte Cass., S.U., 3 aprile 1989, n. 1607 in Mass. giur. lav., 1989, p. 455, con nota di Mormile.

17

Page 18: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

ritenuto che nella specie sia stata introdotta una nozione

omnicomprensiva di retribuzione44.

Infine, con riguardo agli istituti retributivi di origine negoziale è

evidente che la giurisprudenza in caso di contestazioni non incontra

alcun limite legislativo e deve limitarsi all’interpretazione della

volontà delle parti sulla retribuzione parametro da adottarsi.

Sennonché l’operazione può presentarsi molto complessa qualora

manchino specifiche indicazioni.

3. Retribuzione e principi costituzionali: la sufficienza.

In tutti i casi in cui si costituisca un rapporto di lavoro subordinato a

titolo oneroso, l’art. 36 Cost. prescrive che la retribuzione abbia i

requisiti della proporzionalità e sufficienza.

Il primo problema che si pose agli interpreti fu quello di

determinare il carattere della norma in esame. Negli anni

immediatamente successivi alla promulgazione della Costituzione si

avviò una lunga querelle in cui i commentatori presero posizione

dividendosi tra sostenitori dell’efficacia immediatamente precettiva45 e

coloro che sostenevano il carattere programmatico della norma46. La 44 Cfr. C. Zoli, G. Zilio Grandi, Qualificazione e quantificazione, cit., p. 233.45 Tra di essi v. S. Pugliatti, La retribuzione sufficiente e le norme della Costituzione, in RGL, 1950, I, p. 190, A. Cessari, L’invalidità del contratto di lavoro per violazione dell’art. 36 Cost., in Dir. lav., 1951, II, p. 197, U. Natoli, Ancora sull’art. 36 Cost. e sulla sua pratica attuazione, in Riv. giur. lav., 1952, II, p. 9, R. Scognamiglio, Sull’applicabilità dell’art. 36 Cost. in tema di retribuzione del lavoratore, in Foro civ., 1951, p.352.46 Cfr. G. Ardau, La Costituzione della Repubblica e la determinazione della retribuzione, in Jus, 1952, p. 550, A. Sermonti, L’adeguatezza della retribuzione di fronte ai contratti collettivi di diritto comune e il primo comma dell’art. 36 Cost., in MGL, 1952, p. 128, G. Pera, La giusta retribuzione dell’art. 36 Cost., in Dir. lav., 1953, I, p. 99, F. Guidotti, La retribuzione nel rapporto di lavoro,

18

Page 19: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

questione, ritenuta successivamente una “falsa contrapposizione” in

ragione del fatto che il vero problema risiede nelle modalità di

attuazione dell’art. 36 Cost.47, fu risolta dalle prime pronunce di

tribunali di merito a favore della tesi della programmaticità della

norma. I giudici ritenevano infatti che la disposizione invocata non

contenesse una disciplina tanto dettagliata da consentirne

l’applicazione diretta senza un intervento del legislatore. Questo

orientamento di merito si fondava su una sentenza della Corte di

Cassazione48 poi subito seguita da un revirement 49 che diede avvio ad

un imprevedibile applicazione50, dell’art. 36 Cost.

L’imprevedibilità non sta tanto nell’attribuzione del carattere

precettivo all’art. 36 Cost., scelta obbligata in ragione

dell’inattuazione dell’art. 39 Cost., quanto piuttosto nell’aver

individuato nel giudice il soggetto responsabile dell’applicazione51. La

struttura del sistema, fondato sull’erga omnes del contratto collettivo,

mostra l’estraneità alle intensioni del legislatore costituente, della

Milano, 1956.47 Cfr. T. Treu, Commento sub art. 36, cit., p. 77.In effetti questa posizione sembra coerente con quella secondo cui “L’art. 36 della Costituzione, nato senza dubbio come norma programmatica, che avrebbe trovato concretezza soprattutto nel meccanismo di contrattazione con efficacia generale di cui all’inattuato art. 39, fu improvvisamente accettato tra il 1950 e il 1951, come norma precettiva, atta a colmare quello che allora appariva come il vuoto legislativo derivante dall’inattuazione dell’art. 39”. Cfr. G. Giugni, introduzione a M. L. De Cristofaro, La Giusta retribuzione, Bologna, 1971, p. 9 e ss. Da notare inoltre che l’A. non esclude la possibilità di un intervento legislativo per la regolamentazione della retribuzione pur ritenendo la volontà del legislatore costituente andasse verso la determinazione della giusta retribuzione “soprattutto” attraverso lo strumento dell’autonomia collettiva.48 Il precedente di legittimità, (sent. Corte Cass. 228/1953) per quanto consta inedito, è richiamato dalla sentenza del Tribunale di Foggia, 14 febbraio 1953, n. 447, in M. L. De Cristofaro, La giusta retribuzione, cit., p. 92.49 Cass. Civ., sent. 12 maggio 1951, n.1184, in MGL, 1951, p. 157, con nota di A. Sermonti.50 Cfr. M. Roccella, Il salario minimo legale, in Pol. dir., 1983, 2, p. 254.51 Cfr. T. Treu, Commento all’art. 36, cit., p. 77.

19

Page 20: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

possibilità che la retribuzione sufficiente potesse essere individuata

per via giudiziale52.

Preso atto della resistenza ad intervenire per l’attuazione della

seconda parte dell’art. 39 Cost. e della sordità del legislatore ordinario

alle istanze di introduzione di una legge sul salario minimo, più volte

avanzate in dottrina53, quella tracciata dalla giurisprudenza altro non è

che l’unica via percorribile.

La deriva giurisprudenziale della sufficienza ha determinato una

difformità rispetto ai risultati attesi dal legislatore costituente.

Anzitutto la sufficienza non può che essere dichiarata caso per caso e

con efficacia limitata alle parti per effetto dei principi sul giudicato.

Inoltre, secondo un consolidato orientamento di legittimità, il

giudice per determinare la misura salariale sufficiente deve guardare

al contratto collettivo nazionale di riferimento. In dottrina si tende ad

approvare l’ancoraggio ad un parametro ritenuto oggettivo in quanto

espressione della composizione periodica e frequente (a livello

collettivo) tra gli interessi opposti del datore di lavoro e del

lavoratore54. L’orientamento prevalente, dopo una fase di applicazione 52 Cfr. M. Marinelli, Il diritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente: problemi e prospettive, in Arg. Dir. lav., 2010, I, p. 87; P. Ichino, La nozione di giusta retribuzione, cit., p. 739.53 Cfr. T. Treu, Costo del lavoro e sistema retributivo in Italia, in La retribuzione. Struttura e regime giuridico, a cura di B. Caruso, C. Zoli, L. Zoppoli, Napoli, 1994, p. 24 ss.; M. Roccella, Oltre l’indicizzazione dei salari, in Lav. Dir., 1993, 3, p.444; ID, I salari, Bologna, 1986, p 79 ss., A. Garilli, Il lavoro nel sud, Torino, 1997, p. 45; A. Bellavista, I contratti di riallineamento retributivo, in Il pacchetto Treu, a cura di M. Napoli, in Le nuove leggi civili commentate, 1998, 5-6, p.1413; P. Ichino, La nozione di giusta retribuzione, cit., p. 739.54 “Il contratto collettivo… offre una tutela più spontanea e quindi più aderente alle reali esigenze del lavoro e della produzione, e, se pure rappresenta una limitazione della libertà contrattuale, lascia però sempre spazio ad un effettivo contrasto di interessi. Sta di fatto che solo attraverso una reale competizione di forze economiche è possibile giungere all’effettivo riconoscimento, alla valorizzazione ed alla composizione degli interessi delle varie categorie e quindi anche a rendersi conto nel modo migliore di quale sia, secondo le circostanze

20

Page 21: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

“meccanicistica” delle tabelle salariali55, ha ritenuto il riferimento ai

minimi tabellari solo orientativo e non vincolante56, aprendo al giudice

di merito la possibilità di valutare la rispondenza a sufficienza rispetto

alle esigenze del singolo lavoratore. Il soggettivismo nella

determinazione dei criteri di sufficienza da applicare al caso di specie

costituisce l’ulteriore divaricazione tra gli effetti attesi dai costituenti e

quelli prodotti dall’applicazione delle norme costituzionali. Infatti,

come è ovvio, lo scopo del sistema fondato sull’efficacia erga omnes

dei contratti collettivi era quello di garantire una tutela diffusa dei

livelli salariali con l’effetto della perequazione, ottenuta nel

precedente sistema corporativo per il tramite della stipulazione

obbligatoria del contratto collettivo e dell’inquadramento sindacale

obbligatorio.

economico-sociali concrete, il livello minimi al disotto del quale la rimunerazione degli operai non può discendere”. L. Riva Sanseverino, Salario minimo e salario corporativo, Roma, 1931, p. 57. Cfr. anche L. Riva Sanseverino, Commento sub art. 2099, in Commentario del codice civile a cura di A. Scialoja, G. Branca, Bologna-Roma, 1986, p. 336.Anche la Corte costituzionale si è espressa in senso sostanzialmente identico ritenendo che i contratti collettivi e i contratti aziendali “quali estrinsecazioni del potere delle associazioni sindacali, sono frutto e risultato di trattative e patteggiamenti e costituiscono una regolamentazione che, in una determinata situazione di mercato, è il punto di incontro, di contemperamento e di coordinamento dei configgenti interessi dei lavoratori e degli imprenditori”. Cfr. Corte cost. sent. 9 marzo 1989, n. 103, in Riv. giur. lav. prev. soc., 1989, I, p. 3 con nota di U. Natoli; in Riv. it. dir. lav., 1989, II, p. 389, con commento di G. Pera.55 M. L. De Cristofaro, La giusta retribuzione, Bologna, 1971, p. 96 e ss.56 T. Treu, Problemi giuridici della retribuzione, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1980, 5, p. 5.Cfr. da ultimo, Corte Cass., 8 gennaio 2002, n. 132, in Foro it., 2002, I, 1033; Cass. 29 luglio 2000, n. 10002, in Rep. Foro it., 2001, voce Lavoro (contratto) [3850], n. 37; Corte Cass., 17 marzo 2000, n. 3184, in Rep. Foro it., 2000, voce Lavoro (contratto) [3890], n. 1303; Corte Cass., 26 marzo 1998, n. 3218, in Foro it., 1998, 3227, con nota di M. Ricci; Corte Cass., 15 dicembre 1997, n. 12663, in Rep. Foro it., 1998, voce Lavoro (contratto) [3850], n. 25.

21

Page 22: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

L’attribuzione di immediata precettività all’art. 36 al fine di

valutare la sufficienza della retribuzione convenzionalmente stabilita a

livello individuale, trovava il suo presupposto necessari nella

indisponibilità del relativo diritto57.

La portata dirompente dell’orientamento sulla precettività dell’art.

36 Cost. non deve passare inosservata. L’assetto legislativo precedente

alla Costituzione repubblicana, attribuiva efficacia diretta al contratto

collettivo corporativo, in ragione dell’inquadramento sindacale

obbligatorio e della stipulazione obbligatoria del predetto contratto.

Pertanto, i livelli salariali per i contraenti individuali erano vincolanti

ex lege, senza riconoscimento di alcuna posizione giuridica soggettiva

attiva al giusto salario. La garanzia dell’adeguatezza dei livelli

salariali secondo la visione positivista dell’epoca, derivava quale

conseguenza del “regime di giustizia sociale” di cui il salario

corporativo si riteneva fosse espressione58.

Evidentemente il riconoscimento del diritto alla retribuzione come

una profonda innovazione per il fatto che la posizione giuridica

soggettiva, oltre a costituire parametro di legittimità della legislazione

ordinaria, si sia ritenuta preesistesse alla stipulazione del contratto

individuale di lavoro59.

4. Retribuzione e principi costituzionali: la proporzionalità.

57 S. Pugliatti, La retribuzione sufficiente, cit., p. 189.58 L. Riva Sanseverino, Salario minimo, cit., p. 91.59 G. Pera, La determinazione della retribuzione giusta e sufficiente ad opera del giudice, in MGL, 1961, p. 429

22

Page 23: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Come risulta evidente da quanto fin qui detto, l’attribuzione di un

valore immediatamente precettivo all’art. 36 Cost. non era nelle

intenzioni del legislatore costituente, nel cui progetto era contemplata

una efficacia erga omnes dei contratti collettivi stipulati ex art. 39

Cost., da cui sarebbe dovuta discendere la disciplina della retribuzione

del lavoro subordinato. In questa prospettiva l’art. 36 Cost. sarebbe

rimasto confinato nell’area delle mere enunciazioni di principio con

la sola efficacia di paletto nell’eventuale esercizio del potere

legislativo in materia60.

Secondo quanto già detto, la giurisprudenza ha riportato l’art. 36

Cost. sul piano della precettività. In questa operazione tuttavia a

differenza del principio della sufficienza, quello della proporzionalità

ha avuto un’applicazione meno incisiva61.

Il motivo di questa limitazione della giurisprudenza è da alcuni

ricondotto alla volontà di sottrarre l’adeguatezza dei livelli retributivi

stabiliti a livello collettivo, al vaglio di proporzionalità in quanto ciò

avrebbe comportato la messa in discussione anche de criteri di

valutazione e inquadramento che li definiscono, assoggettando perciò

al sindacato del giudice gli equilibri complessivi del rapporto di lavoro

e delle sue prestazioni62. In altri termini la giurisprudenza, attuando un

evidente self restraint, avrebbe preferito astenersi da una

intromissione troppo invasiva nella sfera dell’autonomia negoziale che

avrebbe comportato il giudizio sulla proporzionalità della retribuzione.

60 Cfr. L. Zoppoli, L’art. 36 della Costituzione e l’obbligazione retributiva, in La retribuzione. Struttura e regime giuridico, a cura di B. Caruso, C. Zoli, L. Zoppoli, Napoli, 1994, p. 95; P. Ichino, La nozione di “giusta retribuzione” nell’art. 36 della costituzione, in Riv. it. dir. lav., I, 2010, p. 739.61 Cfr. P. Ichino, La nozione, cit., p. 750.62 Cfr. T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Riv. it. dir. lav., I, 2010, p. 665.

23

Page 24: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Effettivamente le poche pronunce che si sono registrate in materia

di proporzionalità si sono concentrate su alcune applicazioni

particolari del principio di proporzionalità.

In particolare, in ragione del principio suddetto, è ritenuta legittima

la riduzione delle retribuzioni in rapporti di lavoro a tempo parziale,

quale postulato della proporzionalità delle stesse alla quantità del

lavoro prestato, come il riconoscimento di maggiorazioni a favore di

quei soggetti che svolgano le prestazioni in giorni festivi o in luoghi

diversi da quello abituale63.

A parte le suddette applicazioni del principio di proporzionalità,

esso in genere è utilizzato in funzione di correttivo di quello della

sufficienza.

Secondo una parte della dottrina64, l’utilizzazione rigorosa e diffusa

degli standards retributivi previsti dal contratto collettivo avrebbe

dovuto essere la conseguenza dell’applicazione dell’art. 36 Cost. Ciò

in quanto se si fosse data attuazione al sistema delineato alla seconda

parte dell’art. 39 il minimo sarebbe stato uguale per i lavoratori su

tutto il territorio nazionale. E a risultati diversi non avrebbe dovuto

condurre la scelta di dare attuazione alla volontà dei costituenti in

modo anomalo, attraverso l’intervento della giurisprudenza. Al

contrario, l’intervento del giudice sui livelli retributivi stabiliti

dall’autonomia collettiva, attuato per adeguare lo standard al caso

concreto, comporta una valutazione soggettivistica estranea alle

intenzioni del legislatore dirette unicamente a ottenere per il tramite

della proporzionalità e della sufficienza la perequazione dei salari

all’interno delle categorie di lavoratori.

63 Cfr. P. Ichino, La nozione, cit., p. 751.64 Cfr. T. Treu, Commento sub art. 36, cit., p. 89.

24

Page 25: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

L’interpretazione più rispettosa dei principi costituzionali di cui

all’art. 36 Cost. impone dunque l’applicazione dei livelli retributivi di

cui al contratto collettivo in tutti i casi di pattuizione difforme in senso

peggiorativo65. Ciò realizza peraltro il non trascurabile risultato di

politica del diritto di evitare che la sufficienza si attesti sui livelli del

c.d. salario alimentare66.

Il riferimento ai livelli retributivi deve intendersi non alla

retribuzione minima ma ai compensi fissati per le qualifiche proprie

dei singoli lavoratori. In tal modo si realizza una applicazione

integrata della norma costituzionale sulla retribuzione nei due aspetti

della sufficienza e proporzionalità. Questa interpretazione conferma

che quest’ultimo principio ha carattere precettivo e dunque

contribuisce a segnare il punto di equilibrio fra le prestazioni nel

rapporto di lavoro come determinato dalle parti collettivamente.

Ciò suggerisce l’utilità pratica di più recente evidenza del principio

di proporzionalità ossia consentire la valutazione sulle deviazioni dei

sistemi di remunerazione della prestazione rispetto al nesso tra

retribuzione e lavoro. Essa è particolarmente evidente in tutti i casi in

cui sia presente una componente premiale in cui i parametri

incentivanti siano connessi a fattori indipendenti dai caratteri della

prestazione o addirittura dalle scelte imprenditoriali come nel caso in

cui una parte della retribuzione sia legata ai risultati finanziari

dell’impresa o all’andamento dei titoli sul mercato azionario. Nel caso

limite, difficilmente realizzabile, in cui la quota variabile della

retribuzione, slegata dai caratteri della prestazione dovesse risultare

65 Cfr. T. Treu, Problemi giuridici, cit., p. 6.66 Cfr. A. Antignani, Riflessioni su retribuzione, parità di trattamento, automatismi e art. 36, 1° comma della costituzione, in Riv. giur. lav. prev. soc., 1981, I, p.283.

25

Page 26: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

assolutamente prevalente, si potrebbe dubitare della rispondenza al

concetto costituzionale di retribuzione e la pattuizione potrebbe essere

censurata proprio in relazione ai caratteri di proporzionalità e

sufficienza di cui all’art. 36 Cost67.

Questa opinione sembra perfettamente conciliabile con la proposta

di chi suggeriva una terza via per superare la netta contrapposizione

tra la lettura ipergarantista che tende a radicare nell’art. 36 Cost. una

tutela rigida e quella iperliberista che tende a minimizzare la portata

della norma costituzionale68. Essa condurrebbe alla deduzione dai due

principi della proporzionalità e sufficienza di due distinte nozioni di

retribuzione: una retribuzione quale obbligazione sociale e l’altra

quale obbligazione corrispettivo. La prima riconducibile al principio

costituzionale delle sufficienza avrebbe una funzione di garanzia

minimale di tipo universalistico e sarebbe parzialmente insensibile ad

influenze derivanti dalle fluttuazioni del mercato, mentre la seconda

riconducibile al principio della proporzionalità. Quest’ultima

assoggettata alle regole negoziali individuali e collettive potrebbe

garantire la flessibilità necessaria ai moderni sistemi di relazioni

industriali che le deriverebbe dall’ampia libertà delle sue fonti di

tenere conto dei condizionamenti e convenienze di mercato.

5. Retribuzione e principi costituzionali: la parità di trattamento.

Secondo parte della dottrina un corollario della regola della

proporzionalità è costituito dalla identità di trattamento che postula

67 T. Treu, Le forme retributive, cit., p. 666.68 Cfr. L. Zoppoli, L’art. 36 della Costituzione, cit., p. 98 e ss.

26

Page 27: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

l’uguaglianza di retribuzione a parità di lavoro69. Sotto tale aspetto

l’art. 36 Cost. avrebbe lo stesso obiettivo sotteso al successivo art. 37,

con la differenza che quest’ultimo è diretto alla tutela dal divieto di

discriminazione in ragione di sesso ed età.

Se questo principio poteva valere per tutti i lavoratori di una stessa

categoria e avrebbe dovuto essere realizzato attraverso il ricorso

pedissequo alle retribuzioni tabellari di cui alla contrattazione

collettiva, a maggior ragione avrebbe dovuto imporsi in ambito

endoaziendale. Ed in tal senso parve muoversi la Corte di Cassazione

nel ritenere che la condotta di buona fede da parte del datore di lavoro

presuppone l’applicazione del contratto collettivo sottoscritto dalla

associazione cui aderisce, anche ai lavoratori non iscritti alle

controparti organizzative sindacali70.

L’orientamento dottrinale sulla parità di trattamento si pone in linea

di continuità con quella corrente di pensiero, che ha portato a

conseguenze ulteriori i precedenti studi sul divieto di arbitrarie ed

ingiustificate discriminazioni, secondo cui dall’art. 36 Cost. sarebbe

possibile desumere un principio positivo di parità di trattamento non

limitato cioè al divieto di atti discriminatori71.

Il dibattito sulla parità di trattamento economico dei lavoratori di

un’impresa ha preso avvio attraverso una serie di studi che hanno

tratto spunto dalla dottrina tedesca. Il problema era infatti sconosciuto

dalla dottrina nazionale, a causa del precedente assetto legislativo di

natura corporativa che ostava ad un diverso trattamento economico

69 Cfr. T. Treu, Commento all’art. 36, cit., p. 89. Sulla parità di trattamento Cfr. anche L. Angiello, La parità di trattamento nei rapporti di lavoro, Milano 1979, L. Galantino, Formazione giurisprudenziale dei principi del diritto del lavoro, 1981.70 Cfr. T. Treu, Problemi giuridici, cit., p. 6.71 Cfr. G. Pasetti, Parità di trattamento e autonomia privata, Padova, 1970.

27

Page 28: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

della medesima prestazione, mentre da tempo impegnava i giuristi

stranieri e entrava a far parte di documenti internazionali72.

Dalla dottrina tedesca è stato importato il concetto secondo cui la

parità di trattamento deriva dall’appartenenza del prestatore di lavoro

ad una comunità al cui interno non sarebbero ammissibili

discriminazioni in ragione del carattere spersonalizzato della

prestazione nell’industria di produzione di massa che impone il

trattamento omogeneo di tutti i componenti73.

Questa impostazione fu criticata da chi successivamente si

occupò del problema perché ritenuta priva di sufficienti fondamenti di

diritto positivo. Pertanto si propose di agganciare il divieto di

trattamenti discriminatori al diritto del lavoratore ad un trattamento

dignitoso, fondato sull’art. 2087 c.c., e sull’obbligo gravante sul

datore di lavoro, di orientare secondo buona fede le proprie condotte

nell’esecuzione del contratto di lavoro, ex art. 1375 c.c. 74.

I suddetti rilievi, se producevano l’effetto di radicare in norme di

diritto positivo il concetto di parità di trattamento, non mutavano la

sostanza della tutela riconosciuta al prestatore in quanto limitata ad un

obbligo di astensione dal compimento di atti discriminatori.

Attraverso il richiamo all’art. 36 Cost. invece fu possibile dedurre il

principio di parità di trattamento implicante una condotta positiva del

datore75, inteso anche nel senso che la proporzionalità di cui al

72 Si pensi al comma II dell’art. 23 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 secondo cui “Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro”73 Cfr. P. Rescigno, Persona e comunità, Bologna, 1966.74 Cfr. C. Smuraglia, La persona del prestatore di lavoro, Milano, 1967.75 Cfr. G. Pasetti, Parità di trattamento e autonomia privata, Padova, 1970.

28

Page 29: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

suddetto articolo imporrebbe l’uguale retribuzione a parità di lavoro

svolto76.

Tali posizioni furono tuttavia disattese dalla giurisprudenza di

legittimità che ritenne insussistente un obbligo di parità di trattamento

gravante sul datore di lavoro77, per mancanza di un principio

suscettibile di applicazione immediata. Esso infatti non poteva essere

desunto dall’art. 36 Cost. che impone la corresponsione di una

retribuzione proporzionata e sufficiente prescindendo da una

valutazione intersoggettiva.

Né si sarebbe potuto ricavare dall’art. 3 comma 1 Cost. che

costringe il legislatore nel binario della parità di trattamento di tutti gli

individui, ma da cui non si può far discendere un principio di

uguaglianza nei rapporti privati.

La dottrina rispose alle critiche che la giurisprudenza muoveva alla

teoria della precettività dell’art. 36 Cost. quale fondamento di un

obbligo alla parità di trattamento in capo al datore di lavoro, facendo

osservare che il comma 2 del’art. 3 Cost., a differenza del comma 1,

ne rende possibile l’estensione della portata normativa78.

Tale orientamento parve ottenere regione quando nel 1989 la Corte

costituzionale intervenne sul punto.

Si ritenne infatti che la nota sentenza 9 marzo 1989, n. 10379 della

Corte, aprisse la via al riconoscimento dell’obbligo datoriale di

uniformare i trattamenti retributivi di lavoratori che svolgessero la

medesima attività.

76 Cfr. T. Treu, Problemi giuridici, cit., p. 6; L. Galantino, Sui trattamenti retributivi individuali più favorevoli, in Riv. it. dir. lav., 1980, I, p. 153.77 Corte Cass., 24 marzo 1987, n. 2853, in Orient. giur. lav., 1987, p. 400.78 Cfr. G. Pasetti, Parità di trattamento, in Encicl. Giur., 1990, p. 3.79 Corte Cost., 9 marzo 1989, n. 103, in Riv. giur. lav. prev. soc., 1989, I, p. 3 con nota di U. Natoli; in Riv. it. dir. lav., 1989, II, p. 389, con commento di G. Pera.

29

Page 30: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Soprattutto parve sanzionare l’obbligo per il giudice adito di

verificare le ragioni di errori o violazioni del prescritto obbligo

gravante sul datore ogni volta che le pur ammissibili disparità e

differenziazioni non fossero giustificate e comunque ragionevoli.

Nell’evidenziare i limitati effetti del giudicato sulla questione della

parità di trattamento, nei commenti alla sentenza si osservò che forse

la Corte avrebbe dovuto essere più chiara nell’affermare la legittimità

delle differenziazioni nei trattamenti retributivi, solo quale condizione

dell’applicazione del principio di proporzionalità. Si affermò inoltre

che si trattava di una sentenza interpretativa di rigetto e pertanto priva

di effetto vincolante per i giudici ordinari, se non nel senso di

impedire una interpretazione incompatibile al dettato costituzionale.

Comunque si ritenne che essa avrebbe aperto la strada ad un

ripensamento dell’orientamento di legittimità.

La conseguenza che si produsse in esito alla sentenza della Corte

costituzionale fu un contrasto giurisprudenziale in seno alla sezione

lavoro della Corte di Cassazione.

Da un lato si posero le pronunce che ritenevano che si fosse

affermata la parità di trattamento e l’esistenza di un principio cogente

in tal senso nell’ordinamento80.

Contrariamente altre ribadirono l’orientamento precedente alla

sentenza 103 del 1989 continuando a negare l’esistenza di un principio

di parità di trattamento81.

Le Sezioni Unite intervennero a composizione del conflitto

ritenendo “di aderire, confermandola, all’ampia elaborazione 80 Cfr. Corte Cass., 9 febbraio 1990, n. 947, in Riv. it. dir. lav., 1990, II, p. 380; Corte Cass., 8 marzo 1990, n. 1888 in Riv. it. dir. lav., 1990, II, p. 799.81 Cfr. Corte Cass., 6 novembre 1990, n. 10648, in Not. Giur. lav., 1991, p. 23; Corte Cass., 18 settembre 1991, n. 9695; Corte Cass., 28 gennaio 1992, n. 886 in Mass. giur. lav., 1992, p. 38.

30

Page 31: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

giurisprudenziale che la Corte aveva compiuto prima della sentenza n.

103 del 1989 della Corte costituzionale, ed alle pronunzie successive,

che, dando una lettura della sent. n. 103 non antitetica rispetto a quella

giurisprudenza, ad essa esplicitamente o implicitamente si

richiamano”82.

In tale affermazione tuttavia le Sez. unite congiungono due

operazioni non del tutto compatibili. Infatti vero è che la decisione

riprende esattamente i precedenti anteriori alla sentenza n. 103 ma

questi non corrispondono per contenuto alle sentenze della Sezione

lavoro successive al 1989 che hanno negato la esistenza del principio

di parità di trattamento. Queste ultime hanno infatti generalmente un

oggetto più ristretto.

Tutte le sentenze contrarie alla esistenza del principio, richiamate in

quella delle S.U., si sono pronunciate con riguardo alla fattispecie

della parità di trattamento economico dei lavoratori ad opera

dell’autonomia collettiva e non sulla parità di trattamento a livello di

rapporto individuale di lavoro.

La sentenza della Corte costituzionale poteva indurre a ritenere che

il principio di parità di trattamento vincolasse il giudice alla

valutazione della ragionevolezza delle differenziazioni tra lavoratori

operate dalla contrattazione collettiva, oltre a quelle introdotte dal

datore a livello individuale83. Questa possibile chiave di lettura,

probabilmente imprevista, ritenuta conseguenza della più volte

denunciata infelice formulazione delle motivazioni, bastò ad innescare

il timore che la libertà dell’autonomia collettiva potesse venir meno e

82 Cfr. Corte Cass., S.U., 29 maggio 1993, n. 6030, in Riv. it. dir. lav., 1993, II, p. 653 con nota di R. Del Punta.83 Cfr. Corte Cost., 9 marzo 1989, n. 103, cit. “per tutte le parti, anche per quelle sociali, vige il dovere di rispettare i precetti costituzionali”.

31

Page 32: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

che la giusta retribuzione non sarebbe più stata il prodotto

dell’incontro delle volontà delle parti sociali nel CCNL, ma l’oggetto

di una libera determinazione del giudice operata volta per volta, con il

rischio di una elevazione del contenzioso ed una sostanziale incertezza

dei rapporti. Le sezioni semplici della Corte di Cassazione investite

della questione successivamente alla sentenza 103 della Corte

Costituzionale, probabilmente per prevenire tale eventualità, ritennero

insussistente un obbligo di parità di trattamento a carico

dell’autonomia collettiva. Pertanto nei precedenti richiamati dalle

S.U., rigettarono le richieste di dichiarare la nullità di clausole del

contratto collettivo che introducevano differenziazioni salariali tra

lavoratori, tuttavia in nessun caso venne trattata la questione

dell’esistenza di un obbligo di parità di trattamento a carico del datore

nei rapporti individuali.

In realtà la Corte Costituzionale probabilmente non intendeva aprire

al sindacato del giudice sulle scelte effettuate dalla contrattazione

collettiva in materia di inquadramento e retribuzione, ma solo evitare

che la stessa rinviando alla contrattazione individuale veicolasse la

legittimità di condotte arbitrarie e discrezionali dell’imprenditore.

Infatti l’operazione ermeneutica effettuata dalla Corte fu quella di

reperire nell’ordinamento un principio immanente nella disciplina

positiva (parità di trattamento) effettuandone un bilanciamento con

quello di cui all’art. 41 Cost.84, ai fini di indicare al giudice ordinario i

criteri per valutare la ragionevolezza delle condotte delle parti

individuali di un contratto di lavoro.

84 L. Mengoni, L’argomentazione nel diritto costituzionale, in Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, p. 115 e ss.

32

Page 33: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

In altri termini il riferimento all’art. 41 Cost.85 non intendeva aprire

alla funzionalizzazione della contrattazione collettiva ad interessi

diversi da quelli perseguiti dalle parti, quanto evitare che per il tramite

dell’autonomia collettiva si introducesse la possibilità di derogare, a

livello individuale, ai principi costituzionali posti a garanzia della

dignità del lavoratore. La Corte intendeva riaffermare la illegittimità

delle discriminazioni irragionevoli compiute dal datore anche

nell’ipotesi in cui fossero conseguenza di una facoltà concessa dalla

contrattazione collettiva. Dunque la sentenza della Corte

Costituzionale era priva di un contenuto radicalmente rivoluzionario

che potesse minare alla base l’autonomia collettiva.

In conclusione, vero è che alcune pronunzie della sez. lavoro della

Cassazione successive alla sent. 103 del 1989 hanno ritenuto

insussistente il principio di parità di trattamento, ma ciò è avvenuto

con riguardo alla contrattazione collettiva.

Per quanto consta, non si registrano tra la sent. 109 del 1989 della

Corte di Costituzionale e la sent. n. 6030 del 1993 precedenti di

legittimità che negano l’esistenza del principio di trattamento quale

criterio discretivo della legittimità dell’operato dell’autonomia

individuale: pertanto, potrebbe dirsi che non esisteva neppure un

contrasto di orientamenti da risolvere.

Tuttavia la Corte di Cassazione ha ritenuto di pronunciarsi nel senso

della inesistenza di un obbligo alla parità di trattamento nei confronti

dei prestatori, anche in capo al singolo datore di lavoro.

Si può affermare dunque che secondo l’attuale orientamento di

legittimità sono ammissibili trattamenti differenziati tra soggetti che 85 Per la prima volta rintracciato in uno scritto sul divieto di discriminazione in L. Isenburg, Divieti di discriminazione nel rapporto di lavoro, Milano, 1984, p. 1 e ss.

33

Page 34: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

svolgano identiche mansioni pur sussistendo un divieto di condotte

discriminatorie tassativamente indicate dal diritto positivo.

La finalità di politica giurisdizionale che sostiene tale orientamento

è che occorre garantire al datore di lavoro il diritto di differenziare i

trattamenti retributivi, sulla scorta di valutazioni circa l’effettivo

apporto dei lavoratori, con il limite costituito dalle scelte

discriminatorie. Ciò anche in considerazione della sempre più ristretta

possibilità di condotte lesive della dignità dei lavoratori per effetto, da

un lato del dato normativo che attraverso la sempre più ferrea

legislazione antidiscriminatoria vale a restringere il campo di

discrezionalità datoriale86, dall’altro dell’opera dell’autonomia

collettiva.

Tuttavia non si può prescindere dal sindacato del giudice sulle

scelte datoriali, negando la possibilità dell’equiparazione al rialzo

delle retribuzioni dei lavoratori retribuiti in misura inferiore, ove la

concessione sia fondata su criteri irrazionali. In quanto al contrario,

sostenendo la legittimità dei trattamenti differenziati stabiliti

discrezionalmente e ritenendo che dalla impossibilità di desumere

dall’art. 36 Cost. un principio di equivalenza derivi anche l’esclusione

del sindacato sulle scelte, come pure è stato sostenuto in una visione

ideologicamente orientata87, la conseguenza di fatto sarebbe

l’impossibilità di accertare giudizialmente le condotte discriminatorie

operate attraverso presunte procedure selettive a carattere oggettivo.

In effetti la giurisprudenza in passato si è già pronunciata

positivamente sulla ammissibilità di un controllo giudiziale sulla

scelte datoriali sia pure limitatamente ai casi di concorsi privati e 86 Cfr. M. Marinelli, Il diritto alla retribuzione, cit., p. 101.87 Cfr. S. Hernandez, I principi costituzionali in tema di retribuzioni, in Dir. lav., 1997, I, p. 164.

34

Page 35: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

promozioni nei quali le condotte datoriali sono ritenute valutabili in

ragione della aderenza alla regola della condotta seconda buona fede88.

A questo punto viene spontaneo domandarsi il motivo per cui, a

parte le suddette fattispecie particolari, la discriminazione è

sanzionabile solo quando sia apprestata una tutela da parte di norme di

carattere speciale come gli art. 15 e 16 dello st. lav. e non è possibile

tutelare i lavoratori dalle scelte discrezionali e irragionevoli del datore

di lavoro. Secondo la giurisprudenza anche di legittimità89 seguita alla

sent. delle S.U. n. 6030 del 1993, coerente con essa, il motivo risiede

nel fatto che non esiste un diritto soggettivo del lavoratore subordinato

alla parità di trattamento in quanto non si riscontrano nella

Costituzione e nella legislazione ordinaria norme imperative, che

accolgano la regola della parità di trattamento economico e normativo.

Appare curioso, tuttavia, che il legislatore non abbia posto un limite

all’esercizio della discrezionalità del contraente più forte in danno del

contraente debole. Questi senza dubbio ha un interesse a percepire la

maggiorazione retributiva, ma tale interesse giunge alla soglia della

posizione giuridica attiva senza porvi accedere.

In effetti osservando il problema dal punto di vista tradizionale

dell’eguale retribuzione per eguale lavoro può sorgere il dubbio che

non esista nessun diritto alla parità di trattamento.

88 Cfr. C. Zoli, La giurisprudenza sui concorsi privati tra logiche pubblicistiche e strumenti civilistici: oscillazioni e aggiustamenti, in Riv. dir. civ., 1992, I, p. 11 e ss.: secondo l’a. quello sui concorsi privati rappresenta un “laboratorio sperimentale privilegiato per operazioni ermeneutiche di grande respiro, sia sul piano della teoria generale che su quello delle applicazioni concrete”.89 Corte Cass., S.U., 17 maggio 1996, n. 4570 in Riv. it. dir. lav., 1996, II, p. 765 con nota di P. Chieco.

35

Page 36: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Tuttavia non si può escludere che per il tramite dei principi generali

di buona fede e correttezza il canone dell’uguaglianza trovi accesso

nei rapporti intersoggettivi privati90.

Infatti la retribuzione costituisce dal lato datoriale l’obbligazione

principale del rapporto di lavoro e soggiace alla disciplina generale

delle obbligazioni di cui al titolo I del libro IV del c.c. Pertanto il

datore di lavoro è tenuto a comportarsi secondo correttezza (art. 1175

c.c.) nel retribuire il lavoratore subordinato e a comportarsi secondo

buona fede nell’eseguire il contratto (art. 1375 c.c.).

Occorre a questo punto domandarsi se la soggezione del datore di

lavoro ai suddetti obblighi possa avere un qualche effetto sulla

posizione giuridica del prestatore di lavoro.

Le sentenze delle S.U. che si sono pronunciate contro la sussistenza

di un diritto alla parità di trattamento, hanno ritenuto che non fosse

possibile sostenere l’esistenza di un diritto del prestatore di lavoro alla

parità di trattamento a partire dall’obbligo di buona fede e correttezza,

al contrario di quanto avvenuto per la fattispecie delle assunzioni o

delle regole collettive sulle progressioni in carriera91: tali atti 90 A. Garilli, Le categorie dei prestatori di lavoro, Napoli, 1988, p. 150.91 Cfr. Corte Cass., S.U., n. 6030 del 1993: “E’ poi necessario brevemente, ma con fermezza, escludere che un principio di parità di trattamento discendente dall’art. 3 della Costituzione, sia rinvenibile nel governo fatto dalla giurisprudenza del dovere di correttezza e di buona fede nel rapporto di lavoro (art. 1175 e 1375 c.c.). Per comprenderlo con chiarezza è sufficiente ricordare come le fattispecie nelle quali si è dato applicazione a tali norme riguardavano il rispetto dei criteri di selezione dei lavoratori nelle assunzioni o delle regole collettive sulle progressioni in carriera, nelle quali il controllo sulle determinazioni unilaterali del datore di lavoro discendeva dal fatto che quegli atti erano adempimenti di un obbligo contrattualmente assunto di imparzialità”.Cfr. Corte Cass., S.U., 4570 del 1996 in cui si legge che il diritto alla parità di trattamento non può sorgere dalla violazione del criterio di ragionevolezza in quanto “il tramite per un controllo di ragionevolezza sugli atti di autonomia individuale è rappresentato dalle clausole generali di correttezza e buona fede. Tali clausole, però, agiscono all’interno del rapporto e consentono al giudice di accertare che l’adempimento di un obbligo, contrattualmente assunto o

36

Page 37: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

costituivano l’adempimento di un obbligo contrattualmente assunto a

livello collettivo e pertanto era legittimo che il giudice esercitasse il

controllo sulle determinazioni unilaterali del datore di lavoro.

Si è osservato che questa ricostruzione appare coerente con la

differenza descritta in dottrina tra clausole generali e principi o norme

generali92.

A sostegno di questa ricostruzione si richiama autorevole dottrina93

secondo cui le clausole generali sono norme incomplete destinate a

concretizzarsi nell’ambito di programmi normativi di altre

disposizioni.

Dalla natura di norma incompleta si deduce l’idoneità delle clausole

generali a introdurre nel contratto individuale una norma dispositiva

sulla parità di trattamento e non a fondarla94. In altri termini non si può

ritenere che l’art. 1375 c.c. sancisca il diritto del lavoratore alla parità

di trattamento, perché anzi la sua applicazione presuppone l’esistenza

del diritto la cui violazione costituirebbe condotta contraria a buona

fede. I principi generali pongono infatti limiti esterni all’autonomia legislativamente imposto, avvenga avendo come punto di riferimento i valori espressi nel rapporto medesimo e nella contrattazione collettiva”92 Cfr. M. De Luca, Clausole generali e rapporto di lavoro, in Dir. lav., 1994, I, p. 27 in cui si legge che “nel confermare la negazione dell’esistenza, nel nostro ordinamento, di un principio generale ed inderogabile di parità di trattamento nel rapporto di lavoro privato – disattendendo, così, l’orientamento giurisprudenziale minoritario, in senso contrario, che era emerso nell’ambito della sezione lavoro (a seguito di Corte cost. 103/1989) – le sezioni unite civili della Corte di Cassazione (sent. 6030-6034/1993) hanno colto l’occasione per enunciare, espressamente, il criterio distintivo fra quel principio e la clausola generale di correttezza e buona fede”. In realtà la differenza è espressa tutt’altro che chiaramente come provato dal fatto che se lo stesso A. successivamente dubita della consapevolezza con cui le S.U. hanno fornito una ricostruzione coerente con la differenza strutturale fra clausole generali e principi e norme generali quale risultante da autorevole dottrina. 93 L. Mengoni, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986, 1, p. 11;94 Cfr. P. Chieco, Le sezioni unite e la parità di trattamento: gli equivoci del nuovo diniego della cassazione, nota a S.U. 17 maggio 1996, n. 4570, cit., p. 783

37

Page 38: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

privata ma sono inidonei, se non integrati in norme precettive di

diritto, a costituire fonti di diritti ed obblighi.

Ciò ha determinato una affannosa ricerca di un fondamento positivo

al diritto di parità di trattamento del prestatore di lavoro per

giustificare l’intervento del giudice.

In realtà la forma delle clausole generali è tale da impartire la

direttiva per la ricerca della norma di decisione nel sottosistema

nell’ambito del quale la clausola viene richiamata95: le clausole

generali delegano al giudice la formazione della norma di decisione e

la direttiva consiste nella indicazione della misura di comportamento o

standard sociale che il giudice deve concretizzare in forma

generalizzabile.

La concretizzazione della clausola di buona fede nel rapporto di

lavoro, in quanto il potere di governo dell’organizzazione impone la

misura della discrezionalità, si svolge nella teoria della parità di

trattamento nei rapporti privati96.

Tale categoria dogmatica comprende una serie di ipotesi applicative

già verificatesi, ad esempio nel caso delle procedure concorsuali e

nelle promozioni e costituisce un modello che il giudice potrebbe

utilizzare ogni volta che gli si presenti una fattispecie sussumibile

senza dover ripetere valutazioni e bilanciamenti di interessi in gioco.

In altri termini dalla disposizione costituzionale è possibile

desumere uno standard di comportamento che deve pervadere le

condotte delle parti nell’esecuzione del contratto e che costituisce la

concretizzazione in forma generale della buona fede in senso

oggettivo in campo contrattuale. La portata di questa interpretazione 95 Cfr. L. Nivarra, Ragionevolezza e diritto privato, in Ars interpretandi, 2002, 7, p. 375.96 Cfr. L. Mengoni, Spunti per una teoria, cit., p. 19.

38

Page 39: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

dell’art. 1375 c.c., se trasposta sul piano del rapporto di lavoro

potrebbe avere effetti determinanti sotto il profilo del riconoscimento

della parità delle condizioni economiche tra lavoratori.

La lettura del campo di applicazione delle clausole generali, ritenuta

valida per i contatti commerciali, ben potrebbe essere trasposta sul

piano del rapporto di lavoro, ove sussistono fondamenti solidi per

ritenere coercibile l’obbligo del rispetto della solidarietà sociale.

Dunque, preso atto della resistenza della giurisprudenza di ritenere

sussistente un diritto alla parità di trattamento, dando ulteriore seguito

ad un orientamento di legittimità che da più ampio spazio applicativo

alle clausole generali97, si potrebbe utilizzare la buona fede quale

criterio alternativo al principio di parità di trattamento ottenendo gli

stessi effetti pratici di aprire ad un controllo giudiziale sulla legittimità

delle scelte datoriali in materia .

Potrebbe dirsi che già la sentenza n. 103 della Corte costituzionale

abbia lasciato intendere che questa potrebbe essere la via percorribile

in quanto ha affermato che disparità di trattamento economico sono

ammissibili solo se “giustificabili e comunque ragionevoli”. La

ragionevolezza infatti altro non è che un criterio di qualificazione

della condotta che si pone in un ambito molto vicino alla buona fede

in executivis98.

In ogni caso, posto il diverso trattamento legislativo dell’autonomia

collettiva e di quella individuale che riflette la diversa considerazione

sociale che ricevono tali fonti dell’ordinamento del diritto del lavoro,

97 Pur essendo stati evidenziati i pericoli di un ricorso disinvolto alle clausole generali, che nel diritto del lavoro sarebbero anche gravi involgendo “equilibri ormai assestati e le prerogative di organizzazione e gestione aziendale”: cfr. G. Ferraro, Poteri imprenditoriali e clausole generali, in Dir. rel. ind., 1991, 1, p. 169.98 Cfr. L. Nivarra, Ragionevolezza e diritto privato, cit., p. 382.

39

Page 40: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

si rende necessaria una trattazione separata della questione della parità

di trattamento con riguardo a ciascuna di esse.

5.1 La parità di trattamento e i limiti all’autonomia individuale.

Le tecniche tradizionali di individualizzazione della retribuzione,

ulteriori rispetto a quelle fissate dagli accordi collettivi, quali

promozioni ed inquadramento da un lato, e superminimi individuali

dall’altro, si possono distinguere dalle forme più recenti ed innovative

costituite dagli incentivi di successo, dai fringe benefits e dagli

incentivi di merito99.

Non si può dubitare che il datore di lavoro possa riconoscere forme

retributive incentivanti volte a premiare particolari capacità del

lavoratore. Ciò non può ritenersi escluso dall’art. 36 Cost. ed appare

evidente dall’art. 41 Cost. che fonda la libertà dell’imprenditore di

retribuire maggiormente chi renda una prestazione quantitativamente e

qualitativamente migliore, senza che nessuna lesione della dignità dei

lavoratori possa ritenersi realizzata. Ed anzi, retribuire ugualmente

prestazioni diverse potrebbe integrare tale lesione. Inoltre molti altri

sono i fondamenti che militano a favore dell’ammissibilità della

differenziazione oggettivamente giustificabile delle retribuzioni, quale

criterio di valorizzazione della personalità del lavoratore. Il problema

99 C. Zoli, Parità di trattamento e retribuzione, in AA.VV., La retribuzione. Struttura e regime giuridico, a cura di B. Caruso, C. Zoli, L. Zoppoli, Napoli, 1994, p. 179.

40

Page 41: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

è semmai capire se le scelte del datore di lavoro sono assolutamente

discrezionali100.

La risposta al quesito impone la valutazione della posizione

giuridica del prestatore di lavoro per determinare se questi vanti un

interesse meritevole di tutela e capace pertanto di imporsi quale

criterio di valutazione della legittimità delle condotte datoriali.

Le tradizionali argomentazioni circa l’inammissibilità di

differenziazione non sono utilizzabili se l’interesse del prestatore di

lavoro si identifica tout court con la parità retributiva rispetto ai

lavoratori che svolgano le medesime mansioni. Non vi è dubbio infatti

che il datore di lavoro abbia diritto a organizzare liberamente la

propria attività per ottenere il massimo rendimento. Pertanto la

differenziazione del trattamento a favore dei migliori si configura

come un uso legittimo delle libertà riconosciute dalla Costituzione

all’iniziativa privata. Ed anzi, come rilevato, esse si possono ritenere

necessarie alla realizzazione della personalità del lavoratore più

meritevole101.

Se l’interesse del prestatore sia costituito (non dalla pari

retribuzione ma) dal beneficiare di pari opportunità di rendere la

prestazione che consente di ottenere la migliore retribuzione, è

evidente che la dignità del prestatore viene lesa dalla circostanza che il

datore di lavoro riconosca un superminimo solo ad alcuni lavoratori

addetti ad una mansione, senza consentire agli altri di accedervi: la

dignità non è lesa se la retribuzione è diversa, ma è lesa se

irragionevolmente diverse sono le condizioni di accesso al miglior

trattamento. Infatti non vi è dubbio che la dignità morale di un

100 L. Galantino, Sui trattamenti retributivi, cit., p. 164.101 L. Galantino, Sui trattamenti individuali, cit., p. 169.

41

Page 42: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

lavoratore risulta svilita se egli deve fare di più e meglio di un altro

per ottenere il medesimo trattamento economico o, peggio, se il

miglior trattamento gli sia precluso a prescindere dall’impegno

profuso.

Così inteso l’interesse del prestatore di lavoro non può essere

ignorato dal datore di lavoro nell’adempimento del proprio dovere di

solidarietà sociale ex art. 2 Cost. o del proprio dovere di svolgere

l’attività economica senza pregiudizio alla dignità umana ex art. 41

Cost., quando abbia deciso di concedere un miglior trattamento

economico ad alcuni dei suoi dipendenti. Pertanto se ciò abbia fatto

senza concedere le medesime possibilità a tutti i soggetti che svolgano

le stesse mansioni di quelli premiati, la condotta andrebbe ritenuta

quale violazione dell’obbligo di buona fede102. Ciò altro non è che

l’adattamento alla fattispecie del riconoscimento dei superminimi

individuali di quanto la Cassazione già effettua con riguardo ai casi di

concorsi e promozioni deducendo un principio di civiltà giuridica

dalle clausole generali103.

In definitiva non può essere oggetto di contestazione che sul datore

gravi l’obbligo di porre tutti i lavoratori nelle (stesse) condizioni di

adempiere la propria obbligazione, in ragione dell’obbligo di

102 Cfr. M. D’Antona, Appunti sulle fonti di determinazione della retribuzione, in Riv. giur. dir. lav. rel. ind., 1986, I, p. 19: “Se la Corte abbandonasse la posizione di preconcetto rifiuto potrebbe agevolmente far leva sui canoni di buona fede, correttezza e non discriminazione per depurare il principio di parità retributiva a parità di lavoro dalle sue implicazioni più eversive, distinguendo tra differenziazioni salariali motivate – in base a criteri di convenienza aziendale di per sé non sindacabili purché non illecite – e differenziazioni non motivate o del tutto arbitrarie”103 Cfr. C. Zoli, Parità di trattamento e retribuzione, cit., p. 185, ove si legge che “fino a quando la Corte costituzionale non generalizzerà la soluzione adottata con la sentenza n. 103 del 1989, al di fuori dell’ipotesi da quest’ultima esaminata il principio di parità potrà piuttosto fondarsi sulle clausole generali di correttezza e buona fede”.

42

Page 43: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

conformare le proprie condotte a buona fede. Pertanto se il datore di

lavoro dovesse retribuire diversamente i lavoratori, senza porre quelli

retribuiti meno in condizione di ottenere il differenziale offrendo una

maggiore o migliore prestazione, la condotta dovrebbe esser

qualificata come un abuso del diritto (di differenziare i trattamenti).

Si potrebbe obiettare che il problema non è risolto se in esito alla

condotta incontestabilmente corretta del datore di lavoro le prestazioni

dovessero risultare di egual pregio e il datore di lavoro volesse

ugualmente retribuire diversamente i lavoratori. In tal caso infatti si

ritornerebbe nella situazione iniziale di dover negare il diritto del

datore di lavoro di dirigere l’attività di impresa liberamente. A tali

contestazioni si potrebbe rispondere che si verifica comunque una

violazione della clausola generale di correttezza e buona fede in

quanto non corrisponderebbe a realtà la circostanza che il datore ha

messo i lavoratori nelle condizioni di svolgere la prestazione in modo

da ottenerne il massimo risultato in quanto se così fosse dovrebbe

riconoscere a tutti i lavoratori parimenti diligenti la medesima

retribuzione.

Il lavoratore non ha dunque il diritto di ottenere la stessa

retribuzione dei colleghi, ma il diritto di render la prestazione nel

migliore modo per ottenere il miglior risultato, ossia una retribuzione

pari a quella massima corrisposta al lavoratore che svolga la

medesima attività, sanzionabile in caso di violazione per il tramite

dell’art. 1375 c.c. quale violazione dell’obbligo di buona fede.

Pertanto al brocardo eguale retribuzione per eguale lavoro potrebbe

essere sostituito quello di eguale possibilità di accedere alla migliore

retribuzione.

43

Page 44: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Preme sottolineare che il sindacato del giudice sul giudizio di

ragionevolezza e sulla buona fede delle scelte effettuate, non

comporterebbe un controllo di opportunità e dunque una valutazione

politica. Naturalmente l’obbligo del datore di lavoro dovrebbe

concretizzarsi nella valutazione delle prestazioni rese dai lavoratori. In

altri termini, per la ragionevolezza delle scelte nell’attribuzione delle

maggiorazioni retributive, sarebbe sufficiente che il datore di lavoro

valutasse i risultati ottenuti tramite la prestazione resa dai lavoratori e

attribuisse i premi ai più meritevoli.

Come si è osservato in passato104 appaiono evidenti le difficoltà

legate alle suddette stime, tanto che si è ritenuto che per tali motivi la

differenziazione non può che essere praticata nella aziende di piccole

dimensioni, nell’artigianato e nel commercio con esclusione della

grande industria fatto salvo il caso dell’alta specializzazione e della

dirigenza.

Altro problema è quello costituito dall’onere probatorio.

Assumendo la regola dell’obbligo di parità, con la possibilità di una

differenziazione retributiva se fondata su criteri oggettivamente

riscontrabili, l’onere di provare la sussistenza delle condizioni di

legittimità verrebbe posto a carico del datore di lavoro. Vero è che

limitare l’onere processuale del lavoratore alla allegazione del

differenziale, equivale a gravare il datore di datore di lavoro

dell’obbligo di precostituirsi la prova ogni volta che voglia premiare

un dipendente. Altrettanto vero è che, se l’apporto offerto da un

lavoratore giustifica una maggiorazione retributiva, tanto più

giustificherà il sacrificio di documentare il vantaggio che ne trae

l’impresa.

104 Cfr. A. Antignani, Riflessioni su retribuzione, cit., p.289 e ss.

44

Page 45: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

La proposta in altri termini è quella di ritenere illegittima la

condotta che abbia attribuito livelli retributivi diversi a soggetti che

svolgano le stesse mansioni con i medesimi risultati, e di promuovere

una presunzione di parità, salva la possibilità del datore di remunerare

il maggior apporto di un prestatore, a condizione di essere in grado di

sostenerne la prova in giudizio.

Naturalmente quando l’onere probatorio dovesse ritenersi

particolarmente difficile, come nei casi in cui investa aspetti

qualitativi e non quantitativi con difficoltà di misurazione del maggior

beneficio goduto dall’imprenditore, o ancora quando attenga l’intuitus

personae, in tutti questi casi sarebbe ipotizzabile ammetterne

un’attenuazione. Si potrebbe ritenere infatti soddisfatto quando il

datore porti in giudizio un inizio di prova che valga a giustificare le

proprie scelte105. Se non sia assolutamente giustificabile la scelta sotto

il profilo della ragionevolezza si dovrebbe concludere per la

105Assolutamente infondata è l’argomentazione di cui al paragrafo d.5) della sent. n. 6030 del 1993 delle S.U. sul punto della illogicità di sistema che deriverebbe dal porre a carico del datore di lavoro l’onere di provare la ragionevolezza delle scelte di differenziazione retributiva confrontato con l’onere probatorio su presunte discriminazioni che a norma degli artt. 15 e 16 st. lav. ricade sul lavoratore (Cfr. Cass. S.U., sent. 29 maggio 1993, n. 6030, in Riv. it. dir. lav., cit. p. 671). L’argomentazione poggia su tre punti: inammissibilità che a violazione più grave corrisponda onere probatorio più intenso e a violazione meno grave onere probatorio di più facile osservanza; rischio di imposizione di obiettiva giustificazione di qualsiasi atto del datore di lavoro; rischio di trasformazione della motivazione in clausole di stile. Tutti e tre i punti sono evidentemente infondati. Anzitutto è ovvio che la prova sul trattamento discriminatorio gravi sul lavoratore essendo impossibile e giuridicamente inammissibile che si onerasse il datore di lavoro della prova di un fatto negativo (come potrebbe il datore provare di non aver discriminato?) mentre è del tutto ragionevole che si ponga a suo carico l’onere di fornire la prova di aver effettuato scelte oggettivamente dimostrabili. Circa l’imposizione di una giustificazione di ogni atto datoriale, tale generica affermazione è imprecisa i quanto ciò che si chiede è solo la giustificazione delle scelte potenzialmente discriminatorie. Infine è evidente che la prova in giudizio non può essere fondata sulla mera formula di stile dovendosi dimostrare una effettiva valutazione dei meriti che si intende premiare.

45

Page 46: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

esclusione della legittimità del diverso trattamento in quanto, non

essendo possibile mettere in condizione i lavoratori di svolgere la

propria prestazione in modo da ottenere una maggiorazione retributiva

in conseguenza del miglior risultato, ove si voglia premiare i

lavoratori occorrerebbe farlo in misura indifferenziata.

Non rientrerebbe tra gli oneri di allegazione gravanti sul datore di

lavoro la comunicazione al prestatore dei criteri di scelta e delle

motivazioni delle decisioni. Ancora una volta mutuando la disciplina

elaborata dalla giurisprudenza in materia di concorsi e promozioni, si

dovrebbe affermare la rispettiva rilevanza solo sul piano probatorio106.

Resta da chiarire quali possano essere le conseguenze di una

violazione dell’obbligo di buona fede conseguente al diverso

trattamento retributivo irragionevole.

La conseguenza di siffatta violazione non può che essere la

condanna al risarcimento del danno. Le tradizionali diffidenze rispetto

alla tutela risarcitoria cedono di fronte alla indubbia portata dissuasiva

ottenibile con tale rimedio.

Ad altra soluzione si potrebbe addivenire ove si fondasse

diversamente l’azione rispetto alla violazione dell’obbligo di buona

fede. In alcuni casi la giurisprudenza ha infatti sostenuto

l’ammissibilità di un potere di integrazione contrattuale ex art. 1374

c.c. Tale ultima soluzione è stata tuttavia criticata dalla dottrina che ha

ritenuto che il presupposto di tale potere consistesse in una lacuna del

regolamento negoziale. Altra via ritenuta percorribile è costituita

dall’estensione degli usi aziendali. Essa tuttavia presuppone

l’accoglimento del principio di parità e comporta un giudizio

comparatistico volto a determinare la diffusione del trattamento

106 Cfr. C. Zoli, Parità di trattamento e retribuzione, cit., p. 187.

46

Page 47: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

retributivo migliorativo tra i lavoratori addetti ad una determinata

mansione o a un gruppo di mansioni107.

5.2. La parità di trattamento e i limiti all’autonomia collettiva.

La contrattazione collettiva in alcuni frangenti ha mostrato di voler

perseguire un intento egualitario108. Ciò è quanto avvenuto nei primi

anni settanta quando lo sventagliamento delle qualifiche e tecniche di

job evaluation fuori controllo, soprattutto a favore di alcune categorie

privilegiate di lavoratori, hanno determinato gap retributivi spesso

ingiustificabili, colmati tramite l’inquadramento unico109.

Il problema è che non sempre l’attenzione dell’autonomia collettiva

è concentrata sulla perequazione salariale ed in ogni caso l’obiettivo è

condizionato da difficoltà contingenti110.

Occorre dunque capire se il dato costituito dalla negoziazione a

livello collettivo, renda legittimi gli eventuali trattamenti salariali

ingiustificatamente differenziati. Una parte della dottrina, timorosa

che un sindacato giurisdizionale sul contratto collettivo potesse

depotenziare l’autonomia collettiva, ha ritenuto che la negoziazione

107 Cfr. C. Zoli, Parità di trattamento e retribuzione, cit., p. 189.108 E. Ghera, Retribuzione, professionalità e costo del lavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1981, 11, p. 432.109 A. Garilli, Le categorie, cit., p. 131: “lo sventagliamento salariale fra le categorie, prima dell’inquadramento unico, era così accentuato da porre il nostro Paese in una posizione anomala rispetto al mercato occidentale: colmare quel divario rispondeva quindi ad ineludibili esigenze socio-economiche; colmarlo nella parte in cui ancora le retribuzioni più basse erano attribuite agli operai in quanto tali era inoltre un significativo passo avanti nella realizzazione del principio di eguaglianza sostanziale”.110 M. D’Antona, Appunti sulle fonti, cit., p. 19.

47

Page 48: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

collettiva sottragga a qualsiasi controllo da parte del giudice eventuali

clausole che introducono differenziazioni retributive.

Altri hanno ritenuto ammissibile un intervento giudiziale in alcuni

casi: quello delle clausole c.d. di riconoscimento formale, che

sostanzialmente rinviano per l’inquadramento e l’attribuzione dei

trattamenti all’arbitrio del datore di lavoro, quello dei trattamenti

retributivi o di classificazione del tutto arbitrari ed infine quello delle

previsioni palesemente viziate da errori o da grave contraddittorietà ed

incoerenza111.

L’alternativa tra l’ammissibilità dell’intervento giurisdizionale e la

legittimità ontologia delle clausole retributive negoziate a livello

collettivo pone il problema della conciliabilità dell’esigenza di tutela

dell’autonomia collettiva con quella di garanzia della parità di

trattamento dei lavoratori.

Per affrontare correttamente la questione occorre tenere distinto il

piano della scelta dei parametri per la determinazione dei trattamenti

ulteriori rispetto a quelli minimi di categoria determinati a livello

nazionale, da quello delle modalità di attribuzione. Se le prime

costituiscono l’esercizio dell’autonomia collettiva e dunque secondo

una parte della dottrina sono insuscettibili di formare oggetto di un

sindacato giurisdizionale, le seconde possono essere valutate dal

giudice chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della condotta

datoriale nell’erogazione degli emolumenti. Ed in effetti, seppure rari,

esistono precedenti in cui si è sostenuta ad esempio la necessità di un

corretto adempimento del dovere di informazione da parte datoriale,

dello svolgimento delle procedure di valutazione e dell’ assegnazione

degli obiettivi al cui raggiungimento è legata l’erogazione della parte

111 Cfr. C. Zoli, Parità di trattamento e retribuzione, cit., p. 169.

48

Page 49: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

variabile della retribuzione112. Pertanto si può ritenere che le

erogazioni effettuate dal datore di lavoro solo ad una parte dei

prestatori, pur previste dal contratto collettivo, ma effettuate in

assenza dei requisiti di legittimità della condotta, possano integrare

una violazione dell’obbligo di parità di trattamento ed essere dunque

sanzionate dal giudice secondo le prescrizioni e con le modalità già

proposte.

Occorre dare atto anche dell’orientamento di quella parte della

dottrina113 per cui anche la scelta dei parametri per l’erogazione dei

trattamenti incentivanti di gruppo può essere soggetta a sindacato

giurisdizionale se essi facciano riferimento non solo a indici

qualitativi o quantitativi relativi alla prestazione ma anche di qualità,

efficacia ed efficienza, individuati diversamente nelle varie unità

produttive. Secondo il suddetto orientamento, dovrebbe essere

dichiarata l’illegittimità delle erogazioni quando siano realizzate

soluzioni direttamente o indirettamente discriminatorie.

La questione della parità di trattamento con riguardo all’autonomia

collettiva impone un cenno agli usi aziendali.

Gli usi aziendali costituiscono una categoria di elaborazione

giurisprudenziale cui sono ricondotte tutte le elargizioni che abbiano

perso la caratteristica di liberalità per le modalità con cui sono

predisposte, creando un affidamento sulla stabilità e vincolatività.

Esse divengono pertanto un obbligo a carico del datore di lavoro

capace di imporsi sul contratto individuale a condizione che esso

modifichi in melius la regolamentazione collettiva114.

112 Cfr. T. Treu, Le forme retributive incentivanti, cit., p. 671.113 Cfr. C. Zoli, Parità di trattamento e retribuzione, cit., p. 170.114 S. Liebman, Individuale e collettivo nel rapporto di lavoro: il problema degli usi aziendali, in Dir. rel. ind., 1991, 1, p. 60.

49

Page 50: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Secondo un orientamento giurisprudenziale questa capacità di

imporsi al regolamento negoziale del rapporto di lavoro deriverebbe

dalla natura interindividuale, assimilabile a quella di un contratto

collettivo con la conseguenza che l’uso aziendale comporta ha

efficacia soggettiva più estesa della cerchia di soggetti cui era

originariamente destinata l’erogazione. L’uso aziendale si

configurerebbe quale proposta nei confronti della generalità dei

lavoratori anche non direttamente destinatari, tale da integrare un

contratto collettivo tacito. Anche nella diversa impostazione dell’uso

aziendale quale fonte sociale, sostenuta da coloro che ne ritengono la

qualificazione in termini di contratto collettivo tacito un pericolosa

finzione115, esso conserva la caratteristica di un’efficacia estesa anche

oltre la cerchia degli originari destinatari della liberalità.

Tale caratteristica ha indotto una parte della dottrina ad attribuire

all’uso aziendale un effetto paritario ispirato a principi di uguaglianza.

Secondo un diverso orientamento, non è l’uso aziendale che produce

la parità, ma che la contrario è il principio di parità che consente una

generalizzazione dell’efficacia dell’uso116.

5.3. L’attualità della questione della parità di trattamento.

Nonostante possa sembrare che le priorità siano altre, in particolare

la conservazione dei livelli di occupazione117, dai recenti sviluppi della

115 T. Treu, Le forme retributive, cit., p. 677.116 Cfr. C. Zoli, Parità di trattamento e retribuzione, cit., p. 181.117U. Romagnoli, Per ricordare Gino Giugni, in Riv. it. dir. lav., I, 2010, p. 633: “Mai come adesso l’aspirazione all’eguaglianza di trattamento è apparsa un lusso; adesso che la sera ti addormenti con la paura che al risveglio qualcuno ti dica che il tuo posto di lavoro lo hanno portato in terre lontane per assegnarlo a poveracci

50

Page 51: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

negoziazione delle regole sugli assetti contrattuali, giungono

suggerimenti per riconsiderare l’attualità della questione della parità di

trattamento retributivo.

Il Protocollo sulla politica dei redditi del 23 luglio 1993 prevedeva

la possibilità per la contrattazione aziendale di prevedere erogazioni

salariali correlate a “incrementi di produttività, di qualità ed altri

elementi di produttività”.

Con il successivo Accordo quadro di riforma degli assetti

contrattuali del 22 gennaio 2009, viene riservata al contratto nazionale

di categoria la funzione di garanzia dei trattamenti economici comuni

per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio

nazionale e affermata la necessità di incentivare la contrattazione di

secondo livello. A quest’ultimae si attribuisce la funzione di collegare

gli incentivi economici al raggiungimento di obiettivi di produttività,

redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri elementi rilevanti ai

fini del miglioramento della competitività.

Lo scopo dei suddetti accordi è quello di diffondere, in funzione

redistributiva, la negoziazione dei premi di risultato già previsti nei

contratti già a partire dagli anni ’60. La previsione per cui

l’erogazione deve essere vincolata al raggiungimento di obiettivi cela

la volontà di prevenire la prassi della erogazione in cifra fissa ed in

funzione di recupero della capacità di acquisto dei salari reali118.

La determinazione dei parametri di redditività, qualità efficienza,

efficacia che danno accesso ai premi è rimessa alla contrattazione di

secondo livello.

come te, ma che stanno peggio di te e difatti si accontentano di un trattamento inferiore al tuo e dunque più vantaggioso per l’impresa che ha de localizzato l’impianto produttivo”.118 T. Treu, Le forme retributive, cit., p. 645.

51

Page 52: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Nell’eventualità in cui non si concluda alcun contratto integrativo

sui premi, secondo quanto previsto dall’Accordo interconfederale del

15 aprile 2009 per l’attuazione dell’Accordo quadro sulla riforma

degli assetti contrattuali del 22 gennaio, ai dipendenti di aziende

private è dovuto un importo a titolo di elemento di garanzia

retributiva, la cui misura è stabilita nella contrattazione nazionale.

L’elemento di garanzia è previsto nell’Accordo interconfederale a

sostegno della diffusione della contrattazione di secondo livello e

pertanto nelle intenzioni dei sottoscrittori la sua misura dovrebbe

essere determinata ad un livello tale da rendere conveniente la

sottoscrizione di un contratto integrativo.

La condizione per l’erogazione dell’emolumento non è unicamente

l’assenza di un contratto di tal di secondo livello, in quanto il

prestatore di lavoro non deve risultare percettore di ulteriori

trattamenti economici individuali o collettivi oltre quanto spettante

per contratto collettivo nazionale di categoria.

In altri termini l’elemento di garanzia può entrare in competizione

con le retribuzioni incentivanti previste al livello contrattuale

decentrato119 ma anche con premi individuali. Infatti è rimessa al

datore di lavoro l’alternativa tra l’aprire un confronto a livello

aziendale sui premi con l’obiettivo di innescare un circolo virtuoso tra

aumenti salariali e produttività, ovvero rinunciare alla stipulazione di

un contratto integrativo e corrispondere una somma a titolo di

elemento di garanzia ovvero, ancora, attribuire premi individuali in

modo da retribuire i lavoratori in misura maggiore rispetto a quanto

previsto dal contratto collettivo nazionale. In quest’ultimo caso si

ripresenta la questione della parità di trattamento a livello di

119 T. Treu, Le forme retributive, cit., p. 643.

52

Page 53: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

autonomia individuale la quale pertanto è destinata a conservare un

evidente carattere di attualità.

La documenta bassa litigiosità in tema di procedure di erogazione di

premi non può costituire un argomento a favore della tesi della scarsa

rilevanza della questione in quanto essa dipende probabilmente dalla

modesta dinamicità dei premi e dall’andamento stabile nel tempo che

agevolano una sostanziale condivisione120. Pertanto è legittimo

aspettarsi che se crescesse la rilevanza dei premi sul totale della

retribuzione, con essa crescerebbe proporzionalmente anche

l’incidenza del numero di controversie.

Inoltre si suggerisce che un ruolo fondamentale di composizione del

dissenso, e dunque di limitazione dei ricorsi giurisdizionali, possano

avere avuto anche le procedure conciliative previste in sede

contrattuale. Per tale motivo si è ritenuto che quello dei premi possa

diventare campo di applicazione privilegiata della procedura

conciliativa facoltativa di cui al nuovo articolo 150 del codice di

procedura civile come modificato dalla l. 4 novembre 2010, n. 183

(c.d. collegato lavoro). Ciò in quanto la questione verterebbe

essenzialmente sull’interpretazione di norme di contratto collettivo

costituendo terreno d’elezione delle procedure arbitrali.

6. Il procedimento di adeguamento.

Il procedimento seguito dalla giurisprudenza per giungere alla

pronuncia di condanna al pagamento delle differenze retributive per

violazione dell’art. 36 Cost. è ben noto. Anzitutto secondo un

120 T. Treu, Le forme retributive, cit., p. 670.

53

Page 54: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

orientamento di legittimità, occorre che il petitum desumibile dalla

domanda, sia formulata con il richiamo al contratto collettivo sia

avanzata adducendo l’insufficienza della stessa senza alcun

riferimento alla norma collettiva, consista nell’adeguamento della

retribuzione in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato,

anche in assenza di richiamo espresso all’art. 36 Cost.

Inoltre sempre secondo il predetto orientamento è necessario che la

doglianza del ricorrente riguardi l’insufficienza di quanto

complessivamente percepito, non essendo ammissibile la richiesta di

adeguamento di una singola voce della retribuzione.

Tale onere di allegazione è la conseguenza del fatto che il criterio

della sufficienza di cui all’art. 36 Cost. deve essere valutato in

relazione al trattamento economico complessivo e non alle singole

voci121.

Il secondo termine di valutazione nel giudizio comparativo di

sufficienza è costituito, secondo l’orientamento prevalente, dal

contratto collettivo di riferimento.

Il giudice non è vincolato dalle statuizioni del contratto collettivo,

dalle quali può discostarsi, adeguando il trattamento minimo

complessivo riconosciuto ai lavoratori di ogni singolo livello o area

professionale con esclusione dei trattamenti accessori122. Per

trattamento minimo deve considerasi la paga base cui va aggiunta

esclusivamente l’indennità di contingenza, se ancora computata

separatamente nelle tabelle contrattuali, e la tredicesima mensilità

previste dal contratto collettivo di riferimento.

121 Corte Cass., 18 settembre 1995, n. 9868, in Foro pad., 1996, I, p. 30. 122 Corte Cass., 28 marzo 2000, n. 3749, in Foro it., 2000, I, p. 2538.

54

Page 55: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Per inciso va ricordato anche che le parti sono libere di disciplinare

il rapporto di lavoro secondo le condizioni prevista da un contratto

collettivo stipulato per un settore diverso da quello in cui il datore di

lavoro svolge la propria attività123. La scelta non preclude al lavoratore

la possibilità di richiamare il minimo tabellare di un altro contratto

collettivo, eventualmente anche quello del settore in cui opera il

datore di lavoro, quale criterio di determinazione della retribuzione

sufficiente di cui all’art. 36 Cost.124 In altri termini il giudice può

valutare le condizioni economiche previste da contratti stipulati per

settori affini come avviene nel caso in cui non sia stato stipulato alcun

contratto per il settore in cui il datore svolge la propria attività di

impresa.

La statuizione giudiziale sulla domanda di adeguamento della

retribuzione passa per la dichiarazione di nullità della clausola

convenuta a livello individuale. In assenza di una valida pattuizione

sul compenso, la decisione deve essere assunta dal giudice ex art.

2099 c.c.125.

123 Corte Cass., S.U., 26 marzo 1997, n. 2665 in Mass. giur. lav., 1997, p. 537.124 In passato la richiesta si applicazione di un contratto collettivo diverso è stata accolta quando vi fosse una consistente differenza retributiva nei due contratti collettivi. E’ quanto avvenuto in relazione ai lavoratori di istituti non statali ai quali è stato spesso riconosciuta quale retribuzione sufficiente quella prevista dal contratto collettivo stipulato per gli insegnanti delle scuole pubbliche argomentando a partire dalla scarsa rappresentatività dei sindacati dei lavoratori delle scuole non statali. Cfr. Cass. agosto 1997, n. 7885, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 668 con nota di Angelini.125 Cfr. M. Marinelli, Il diritto alla retribuzione, cit., p. 90.Una parte della dottrina ha fatto osservare che l’immediata precettività dell’art. 36 Cost. legittima il diretto intervento del giudice senza che esso debba essere preceduto dalla dichiarazione di nullità e perciò ha ritenuto che il ricorso all’art. 2099 c.c. sia superfluo. Sul punto Cfr. T. Treu, Onerosità e corrispettività, cit., p. 161.

55

Page 56: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

7. La natura della decisione.

La natura della decisione del giudice sulla richiesta di adeguamento

retributivo, in passato ha posto alcuni problemi di inquadramento

sistematico.

Una parte della dottrina aveva suggerito che la decisione resa ex art.

2009 c.c. in seguito alla declaratoria di nullità della clausola contenete

la determinazione del trattamento fosse ritenuta espressione di un

potere equitativo. Ciò avrebbe anche consentito di porsi al riparo da

possibili addebiti di violazione dell’art. 39 Cost., consistenti in una

illegittima estensione del contratto collettivo di diritto comune126.

In senso contrario si è fatto osservare che la valutazione equitativa

di cui all’art. 432 c.p.c. è ammissibile solo quando l’esistenza del

diritto sia certa ma risulti indeterminabile il quantum debeatur.

Nel caso invece della retribuzione sufficiente, il diritto è certo ed

anche la somma è determinabile in quanto l’art. 36 Cost. offre gli

strumenti costituiti dai criteri di proporzionalità e sufficienza.

Inoltre l’art. 2099 c.c. letto in combinato disposto con l’art. 36 Cost.

fornisce anche l’indicazione dei parametri oggettivi da utilizzare per la

determinazione costituiti dai minimi tabellari di cui al contratto

collettivo. In questi termini evidentemente l’operazione

giurisprudenziale di applicazione dell’art. 36 Cost. non può definirsi

di illegittima estensione dell’efficacia in violazione dell’ art. 39 Cost.

126 Cfr. M. L. De Cristofaro, La giusta retribuzione, cit. p. 109; recentemente ripresa da I. Piccinini, Retribuzione ed equità, in ADL, 1995, 2, p. 227.

56

Page 57: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

La determinazione dell’equa retribuzione mediante applicazione dei

minimi tabellari di cui al contratto costituisce semplicemente il

sistema di quantificazione del diritto di credito alla retribuzione

sufficiente vantato dal prestatore. Pertanto, secondo questa

impostazione, essendo certo il diritto e determinabile la somma dovuta

attraverso i criteri indicati dalle norme, il giudizio di accertamento di

cui all’art. 2099 non si dovrebbe ritenere quale esercizio di un potere

equitativo127.

Tuttavia, l’equità accompagnata alla porta dalla lettura combinata

dell’art. 36 Cost. e 2099 c.c., rientra dalla finestra attraverso la facoltà

di adeguamento dei livelli tabellari che la giurisprudenza si riserva.

Infatti qualora il giudice ritenga il salario fissato dall’autonomia

collettiva inadeguato alle esigenze dei lavoratori o alle condizioni del

mercato, è solito utilizzare lo strumento residuale ed integrativo

dell’equità nella rimodulazione del salario tabellare al principio di

sufficienza.

8. I criteri di determinazione giudiziale della retribuzione

sufficiente: le condizioni economiche e territoriali e la

dimensione dell’impresa.

Secondo un consolidato orientamento di legittimità, nel

procedimento di determinazione della giusta retribuzione il

riferimento al contratto collettivo è imposto dallo stesso art. 2099 c.c.

127 S. Bellomo, Sub 2099, in Diritto del lavoro, a cura di G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, Milano, 2009, p. 872.

57

Page 58: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

tuttavia i livelli salariali di cui al contratto collettivo non sono

vincolanti per il giudice che può discostarsene.

Tra le condizioni che legittimano un adeguamento del trattamento

tabellare, occorre subito precisare che il carico familiare non ha avuto

accoglimento128 se non in funzione di adattamento al ribasso in

assenza di familiari a carico. Si è ritenuto infatti che non è

ammissibile la diversa remunerazione di una medesima prestazione in

ragione della situazione familiare di un lavoratore129.

Pertanto si può affermare che nonostante il richiamo di cui all’art.

36 cost. alla esistenza libera e dignitosa della famiglia, il c.d. salario

familiare130, nella sua più risalente eccezione di equo salario

comprensivo delle risorse necessarie a far fronte alle esigenze della

vita familiare, non ha mai ottenuto riconoscimento quale criterio di

determinazione della retribuzione sufficiente.

Si è ritenuto che tale orientamento, in cui la funzione di sostegno

della famiglia è delegata alle misure previdenziali ed assistenziali, in

particolare agli assegni familiari, è fondato su una precisa scelta di

politica giudiziaria volta a prevenire discriminazioni che potrebbero

derivare da una diversa e maggiore retribuzione dei lavoratori con

carichi familiari131.

128 Corte App. Bologna, 23 luglio 1959, in Riv. it. dir. lav., 1959, II, p. 477; Corte app. Bologna, 22 aprile 1960, in Riv. it. dir. lav., 1960, II, p. 377; Corte app. Napoli, 2 marzo 1964, in Orient. giur. lav., 1964, p. 360; Corte Cass. 14 febbraio 1983, n. 1148, in Mass. giur. it., 1983.129 Corte Cass., 12 dicembre 1983, n. 7324, in Giust. Civ. mass., 1983, p. 2497;Corte Cass., 26 novembre 1977, n. 5167, in Giust. Civ. mass., 1977, p. 2071.130 Per una definizione di salario familiare cfr. già L. Riva Sanseverino, Salario minimo e salario corporativo, cit., p. 12; Sul concetto di salario familiare nel dibattito costituente Cfr. De Cristofaro M., La Giusta retribuzione, cit., p. 35 e ss.131 L. Zoppoli, L’art. 36 della Costituzione e l’obbligazione retributiva,cit., p. 116.

58

Page 59: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Se il criterio del carico familiare non ha avuto accoglimento in

giurisprudenza, altri criteri sono invece stati utilizzati di frequente

modo non sempre coerente.

In particolare hanno trovato accoglimento nella giurisprudenza di

merito, e conferme in quella di legittimità, il criterio della dimensione

dell’impresa e quello delle condizioni economiche e territoriali.

Quest’ultimo in particolare ha attraversato fortune alterne.

In passato si è infatti ritenuto ammissibile una riduzione della

retribuzione indicata dal contratto collettivo in considerazione della

circostanza che la prestazione fosse resa in una zona economicamente

depressa con potere di acquisto della moneta accertato come superiore

alla media nazionale132. La giurisprudenza di legittimità poneva

tuttavia alcune condizioni alla decurtazione. Anzitutto il divieto di

scienza privata del giudice, per cui la decisione sulla superiore

capacità di acquisto del salario dovrebbe essere fondata su dati

statistici ufficiali o generalmente riconosciuti come attendibili, rilevati

ed elaborati da istituti di ricerca preferibilmente pubblici. Inoltre si

dovrebbe tenere conto dell’effetto riduttivo determinato dalla

selezione di voci riconducibili al minimo costituzionale salvo il limite

costituito dalla misura dell’indennità che era riconosciuta fino al 1991,

oltre il quale non si potrebbe scendere nell’adegumaneto al ribasso dei

minimi tabellari.

A questo orientamento se ne oppone altro133 che esclude la

legittimità di un adeguamento dei parametri tabellari, ai fini della

132 Corte Cass., 26 luglio 2001, n. 10260, in Riv. it. dir. lav., 2002, II, 299 con nota di Stolfa.133 Cfr. da ultimo Corte Cass., 15 novembre 2001, n. 14211, in ADL, 2003, 1, p.379 con nota di Stolfa; Corte Cass., 25 febbraio 1994, n. 1903, in RGL, 1994, II, p. 408, con nota di Marchis; in Riv. it. dir. lav., 1995, II, p. 101 con nota di Milianti.

59

Page 60: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

determinazione della giusta retribuzione, fondato sulle condizioni

ambientali e territoriali depresse. Ciò in quanto lo stesso art. 36 Cost.

è rivolto ad impedire ogni forma di sfruttamento del lavoratore e

quindi anche quella che si realizzasse per il tramite dell’abbattimento

del minimo sindacale per ragioni legate alla situazione socio-

economica del mercato del lavoro. Secondo tale orientamento dunque

l’adeguamento al ribasso dei minimi sarebbe ammissibile solo con

riferimento a situazioni oggettive inerenti la prestazione di lavoro.

Quest’ultimo sembra l’orientamento più rispettoso delle intenzioni

del legislatore costituente ove si consideri che nel sistema fondato

sull’erga omnes del contratto collettivo, se si fosse data attuazione

all’art. 39 Cost., confinato dunque l’art. 36 tra le affermazioni di

principio prive di reale incidenza134 le uniche legittime

differenziazioni retributive fondate sulle condizioni di mercato

sarebbero state quale contemplate dall’autonomia collettiva. Pertanto

il giudice ad esse soltanto, ove previste, dovrebbe fare riferimento

qualora fosse richiesto un suo intervento per la statuizione della

retribuzione sufficiente ex art. 36 Cost.

Sulla rilevanza delle condizioni di mercato nella determinazione

dell’equo salario non vi è dunque una uniformità di orientamenti di

legittimità.

Lo stesso orientamento che esclude il riferimento alle condizioni di

depressione del mercato del lavoro quale criterio di abbattimento della

retribuzione fissata dal contratto collettivo, ammette l’operazione in

considerazione delle modeste dimensioni dell’impresa135.

134 L. Zoppoli, L’art. 36 della Costituzione, cit., p. 95.135 Cfr. Corte Cass., 15 novembre 2001, n. 14211, in ADL, 2003, 1, p. 379 con nota di Stolfa.

60

Page 61: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

CAPITOLO II

Retribuzione ed assetto della contrattazione

Sommario: 1. Retribuzione e assetto della contrattazione. – 2. La riforma degli assetti contrattuali: il ruolo del contratto nazionale e la funzione di garanzia della certezza dei trattamenti economici. – 3. La contrattazione di secondo livello. La contrattazione aziendale e il premio variabile. – 4. La riforma degli assetti contrattuali: i rapporti tra diversi livelli e il fenomeno della contrattazione aziendale separata. – 5. La riforma degli assetti contrattuali: L’elemento di garanzia retributiva.

1. Retribuzione e assetto della contrattazione.

La regolamentazione della retribuzione ha uno stretto legame con la

contrattazione collettiva tanto che, secondo risalenti testimonianze136,

la stessa nascita delle Trade unions è legata alla organizzazione di

gruppi spontanei di pressione per il miglioramento delle condizioni

(anche economiche) dei salariati. Nella risalente dottrina nazionale, si

è osservato che la nascita della negoziazione collettiva si è verificata

per ottenere un miglior corrispettivo nella cessione di manodopera,

giungendo alla conclusione dei primi concordati di tariffa137.

Dalla stretta connessione tra contrattazione collettiva e retribuzione,

appare evidente la funzione economica del contratto collettivo 136 Cfr S. Webb, B. Webb, Industrial democracy, Edimburgo, 1897.137 Cfr G. Messina, I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, in Riv. dir. comm., 1904, I, p. 458 e ss.

61

Page 62: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

nell’individuazione del punto di equilibrio dei livelli salariali. Essa è

rimasta sostanzialmente invariata nel tempo, con un’unica parentesi

nel periodo corporativo, in cui il contratto collettivo rappresenta l’

espressione “della solidarietà fra i vari fattori di produzione

nell’interesse supremo della Nazione”138 e la sua funzione economica

è quella di determinare il livello salariale che garantisce la massima

intensità di produzione: come si legge nella IV Dichiarazione della

Carta del Lavoro, gli opposti interessi dei datori di lavoro e dei

lavoratori sono subordinati agli interessi superiori della produzione.

Secondo le convinzioni del legislatore fascista in tal modo il criterio

della giustizia retributiva sarebbe compenetrato con quello

dell’organizzazione produttiva”139.

Mentre la funzione economica è rimasta sostanzialmente invariata,

con l’unica transitoria eccezione del periodo corporativo, nel tempo è

intervenuto il riconoscimento del contratto collettivo quale fonte

giuridica formale (inderogabile in pejus) di disciplina del rapporto

individuale.

Per giungere a tale risultato si è partiti dalle teorie fondate su

modelli privatistici di obbligatorietà del contratto collettivo, declinate

in diverse ipotesi di responsabilità civile, accomunate dal timore di

una deriva autoritativa del riconoscimento per legge dell’efficacia

obbligatoria140. Preparato dall’ “etero-comando” di carneluttiana

memoria141, il passo successivo fu l’obbligo per le associazioni

professionali di regolare i rapporti di lavoro mediante contratti

collettivi stipulati dal sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto 138 Cfr. Ordine del giorno del 6 gennaio 1927.139 Cfr. G. Bottai, La Carta del Lavoro, Roma, 1927, p. 9.140 Cfr B. Veneziani, G. Vardaro, La rivista di diritto commerciale e la dottrina giuslavoristica delle origini, in Quad. fior., 1987, 16, p. 454 e ss.141 Cfr. F. Carnelutti, Contratto collettivo, in Dir. lav., 1928, I, p. 184 e ss.

62

Page 63: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

al controllo dello Stato. Nel sistema corporativo il rapporto tra

contratto e retribuzione è sancito dalla XII dichiarazione della Carta

del Lavoro, ove si legge che la determinazione del salario è sottratta a

qualsiasi norma generale e rimessa all’accordo delle parti nel contratto

collettivo.

Anche a seguito dell’intervento della Costituzione repubblicana non

si dubita del ruolo fondamentale della contrattazione collettiva nella

disciplina del rapporto individuale di lavoro142.

Esso risulta in tutta evidenza proprio dal meccanismo predisposto

dal legislatore costituente per attuare il precetto della giusta

retribuzione attraverso la contrattazione collettiva143 e si traduce nella

individuazione nel contratto collettivo dello strumento naturale per la

determinazione dei trattamenti retributivi.

Lo storico rapporto che intercorre tra contrattazione collettiva e

rivendicazioni salariali, unitamente all’attuale rilevanza delle

statuizioni dell’autonomia collettiva nel procedimento di

determinazione della giusta retribuzione, sia pure per il tramite

giurisdizionale, basterebbe a motivare l’interesse per il tema,

recentemente tornato d’attualità dopo quasi un ventennio di torpore,

delle regole della contrattazione, modificate a seguito del rinnovo

degli assetti realizzato con l’Accordo Quadro del 22 gennaio 2009 cui

è seguito il relativo Accordo Interconfederale di attuazione del 15

aprile 2009144.

142 Cfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Milano, 2006, p. 239 e ss.143 Cfr G. Ferraro, Retribuzione e assetto della contrattazione collettiva, in Riv. it. dir. lav., 2010, I, p. 694.144 Sul punto Cfr. M. Ricci, L’accordo quadro e l’accordo interconfederale del 2009: contenuti, criticità e modelli di relazioni industriali, in Riv. it dir. lav., 2009, I, p. 353 e ss.; V. Ferrante L’accordo interconfederale dell’aprile del 2009 di riforma del sistema della contrattazione collettiva: brevi note, in ADL, 2009, 4-

63

Page 64: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

A ciò si aggiunga che successivamente alle suddette modifiche, si

sono verificate alcune condizioni che potrebbero avere riflessi sulla

rilevanza del ccnl nella determinazione dei trattamenti retributivi.

Da un lato infatti Federmeccanica, Fim-Cisl e Uil-Uilm senza

l’adesione della Fiom-Cgil, il 15 ottobre del 2009 hanno sottoscritto il

ccnl per il settore metalmeccanico. Dunque occorre interrogarsi sulla

efficacia soggettiva degli accordi separati e sulle conseguenze in tema

di centralità del livello nazionale nel processo di determinazione dei

livelli retributivi.

Inoltre ulteriori spunti di riflessione giungono dagli esiti della

negoziazione del contratto collettivo per lo stabilimento Fiat di

Pomigliano d’Arco. Come noto, il timore che la sottoscrizione

separata del contratto aziendale potesse ingenerare un lungo

contenzioso giudiziale sull’applicabilità dello stesso ai lavoratori non

aderenti alle sigle firmatarie, nonostante il positivo esito del

referendum, ha condotto alla creazione di una società, denominata

Fabbrica Italia Pomigliano, interamente di proprietà della Fiat stessa,

cui è stato ceduto lo stabilimento. La suddetta società non aderisce al

sistema di Confindustria pertanto il contratto da essa sottoscritto il 29

dicembre 2010 insieme a Fim-Cisl, Uilm-Uil, Fismic, Ugl

Metalmeccanici e l’Associazione Quadri e Capi Fiat, si configura

come un contratto di primo livello.

Prima ancora della circostanza che si sia arrivati ad un contratto

alternativo a quello nazionale tramite l’uscita di FIAT da

Confindustria e conseguente disapplicazione del ccnl del 15 ottobre

5, p. 1021 e ss.; M. Magnani, I nodi attuali del sistema di relazioni industriali e l’accordo quadro del 22 gennaio 2009, in ADL, 2009, 6, p. 1278 e ss.; A. Lassandari, Le nuove regole sulla contrattazione collettiva:problemi giuridici e di efficacia, in Riv. giur. lav. prev. soc., 2010, 1, p. 66 e ss.

64

Page 65: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

2009, il metodo della negoziazione145 ha indotto ad una riflessione

sulla possibilità che il nuovo equilibrio di forze, sbilanciato a favore

datoriale dalla facoltà di delocalizzare la produzione, possa indurre i

lavoratori, astretti dalla alternativa di perdere l’occupazione,

all’accettazione di condizioni economiche sempre più basse146.

Poiché la vicenda di Pomigliano, oltre il ripetersi a livello aziendale

come si sta verificando nello stabilimento di Mirafiori, è possibile che

diventi un modello per il futuro147, occorrerà interrogarsi sull’attualità

del contratto nazionale di lavoro quale strumento parametrico di

determinazione della retribuzione.

In altri termini, quello che non è stato compiuto da tutti gli

interventi legislativi che hanno puntato sulla contrattazione territoriale

o aziendale a vari fini (emersione del sommerso o illegale,

adeguamento degli standards individuali al contratto collettivo,

145 Cfr. G. P. Cella, Dopo Pomigliano, in Il Mulino, 2010, 5, p. 742.146 S. Rodotà, La regola del più forte, La Repubblica, 11 gennaio 2011, “Nel mondo del lavoro, in troppi casi, non v’è più negoziazione “all’ombra della legge”, perché sempre più spesso si chiede a sindacati e lavoratori di prendere o lasciare un testo predisposto unilateralmente dalla parte più forte. Contratto collettivo e sindacato, i due strumenti che dall’800 hanno cercato di colmare il dislivello di potere tra datore di lavoro e lavoratori, vengono variamente svuotati. La soggettività del lavoratore si perde, e con essa la dignità del lavoro. Se l’efficienza è l’unica bussola, rischiamo di tornare alla “gestione industriale degli uomini”. E la retribuzione non è più ciò che deve assicurare al lavoratore e alla sua famiglia “una esistenza libera e dignitosa”, come vuole l’art. 36 della Costituzione, ma il prezzo minimo che si spunta sul mercato per vendere un lavoro di nuovo ridotto a pura merce. Dall’esistenza libera e dignitosa si tende a passare ad una sorta di “grado zero” dell’esistenza, alla retribuzione come mera soglia di sopravvivenza, come garanzia solo del “salario minimo biologico”, del “minimo vitale”.147 Cfr. V. Bavaro, Contrattazione collettiva e relazioni industriali nell’archetipo Fiat di Pomigliano d’Arco, dattiloscritto in corso di pubblicazione su Quad. rass. sind., Adapt,boll. spec. 2011, 44.Cfr. anche T. Treu, su La Stampa, 14 gennaio 2011, per il quale “Sergio Marchionne è uscito da un sistema di relazioni sindacali – quello confindustriale – e se ne sta costruendo un altro”, “In Italia chi potrà seguirà Marchionne. Il ruolo di Confindustria, come quello del sindacato, è messo in crisi”.

65

Page 66: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

aumento della produttività e flessibilizzazione delle condizioni di

lavoro)148 in alcuni casi anche a rischio della centralità del contratto

nazionale149, potrebbe essere realizzato dalla diffusione di contratti

aziendali di primo livello negoziati sotto la minaccia di una

delocalizzazione della produzione.

I rischi sul piano del trattamento retributivo, che la diffusione di tale

assetto negoziale su un unico livello comporterebbe sono evidenti.

Per disegnare i possibili scenari futuri, si potrebbe tentare una

comparazione con gli ordinamenti, come quello tedesco, in cui la

negoziazione collettiva ha condotto a contratti del tipo di quello di

Pomigliano.

Tuttavia una operazione di tal genere è preclusa dalle differenti

condizioni in cui si verifica il negoziato. In Germania le

rappresentanze dei lavoratori hanno migliori possibilità di condurre le

trattative, dettate dalla partecipazione ai processi decisionali che li

pone in condizione di conoscere i piani industriali e dunque di

compiere scelte consapevoli150.

Qualora i rapporti tra i datori di lavoro e i rappresentanti aziendali

(ove si sia costituita una rappresentanza) siano tali che i primi

contrastano l’operato dei secondi omettendo di informarli delle scelte

strategiche, e questi ultimi sono privi di adeguati strumenti per

valutare i piani aziendali151, non sussistono le condizioni per una equa

negoziazione a livello decentrato.

148 Cfr. G. Ferraro, Retribuzione e assetto, cit., p. 695.149 Cf. A. Bellavista, I contratti di riallineamento retributivo, in Le nuove leggi civili commentate, a cura di M. Napoli, 1998, 5-6, p. 1401.150 Cfr. G. P. Cella, Dopo Pomigliano, cit. 744.151 Cfr. C. Dell’Aringa, T. Treu, Introduzione, in Le riforme che mancano, a cura di C. Dell’Aringa e T. Treu, Roma, 2009, p. 69.

66

Page 67: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Si potrebbe essere indotti a pensare che la questione della diffusione

della negoziazione a livello unico decentrato, non interessi il tema

della retribuzione in quanto la manodopera incide in misura

infinitesimale sul costo di produzione e la grande industria ha

l’obiettivo primario la saturazione degli impianti di produzione nei

momenti di maggior richiesta di beni da parte del mercato, piuttosto

che quello della riduzione delle retribuzioni152. Pertanto le condizioni

peggiorative dovrebbero riguardare esclusivamente i diritti e i ritmi di

produzione, senza interessamento dei livelli salariali che rimarrebbero

invariati rispetto a quelli fissati nei contratti nazionali. Tuttavia,

nell’ottica della contrattazione aziendale o d’impresa, non si può

escludere a priori che la capacità di pressione derivante dalla

possibilità di spostare altrove la produzione, possa indurre i datori di

lavoro a pretendere, in periodi di contrazione della domanda, una

minore incidenza del costo della manodopera.

Ferme restando le precedenti considerazioni, occorre fare alcune

precisazioni.

Anzitutto quanto finora detto deve essere riferito esclusivamente a

quelle imprese che, in ragione della globalizzazione dei mercati, sono

in condizione di imporre pratiche di open shop sotto la minaccia della

delocalizzazione dell’impresa.

Inoltre non è detto che le istanze di rinuncia al contratto nazionale,

che possono derivare quale conseguenza emulativa del modello

Pomigliano, siano in grado di incidere a carattere definitivo sulla

struttura della contrattazione collettiva153. Pertanto tutte le

considerazioni sulla incidenza delle modifiche al sistema di relazioni 152 Cfr. R. De Luca Tamajo, Accordo di Pomigliano e criticità del sistema di relazioni industriali italiane, in Riv. it. dir. lav.,2010, I, p. 797 e ss.153 Cfr. G. P. Cella, Dopo Pomigliano, cit. 739.

67

Page 68: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

industriali sulla retribuzione, al pari di ogni proposta legislativa del

sistema contrattuale e di rappresentanza, devono essere rimandate al

momento in cui tali modifiche dovessero essere confermate. Su tale

necessità concorda anche chi ritiene che la portata innovativa

dell’accordo di Pomigliano possa essere in grado di innescare processi

che producano modifiche definitive nell’assetto delle relazioni

industriali154. Nonostante l’urgenza con cui quella parte del mondo

sindacale, da sempre formalmente favorevole, preme per l’avvio di un

dibattito parlamentare su una legge di applicazione dell’art. 39

Cost.155, possa far apparire prossime nuove evoluzioni del sistema di

relazioni industriali, è necessaria molta prudenza ed è opportuno

rinviare ogni considerazione al momento in cui si dovessero

realizzare.

Altra aggressione alla centralità del contratto nazionale giunge nella

forma dei contratti separati, in conseguenza della mancanza di unità

sindacale.

Come già ricordato infatti il 15 ottobre del 2009 vi è stata la

conclusione dell’accordo di rinnovo del ccnl per il settore

metalmeccanico senza la sottoscrizione di una parte rilevante del

mondo sindacale.

Secondo alcuni il rischio della perdita di centralità della parte

economica è limitato. Infatti ancorché non sottoscritto da tutte le

rappresentanze dei lavoratori, esso mantiene efficacia normativa per

l’intera categoria156.

154 Cfr. M. Magnani, Dopo Mirafiori, cosa?, in Boll. ord. ADAPT, 17 gennaio 2011.155 E’ del 17 gennaio 2011 la notizia che il direttivo nazionale della Cgil ha approvato, con 112 sì, 14 astenuti e nessun voto contrario, un documento sulla democrazia e rappresentanza sindacale.156 Cfr. G. Ferraro, Retribuzione e assetto, cit., p. 713.

68

Page 69: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Inoltre, nel valutare il grado di diffusione occorre tenere presente

che al contratto separato per i metalmeccanici sono seguiti contratti

sottoscritti da tutti i sindacati di categoria confederati nelle centrali

maggiormente rappresentative (comparto alimentare settore industria

22 settembre 2009, telecomunicazioni 23 ottobre 2009 e comparto

chimici 18 dicembre 2009) a loro volta seguiti da altri contratti

separati (orafi ed argentieri 24 settembre 2010).

Secondo una certa interpretazione del fenomeno, esso mostrerebbe

il carattere fluido del nuovo modello contrattuale introdotto con la

riforma del 2009 (per la cui analisi si rinvia al paragrafo successivo)

che ne consente una applicazione a geometria variabile e che

costituisce un apprezzabile passo avanti rispetto all’assetto dettato dal

Protocollo del 1993157.

Non si può tuttavia escludere che il carattere ondivago della

composizione sindacale del fronte dei sottoscrittori, costituisca

semplicemente un riflesso della mancanza di unitarietà dell’azione a

livello confederale.

La centralità del livello nazionale, soggetta alla corrosione delle sue

fondamenta dal fenomeno della contrattazione separata e, in

prospettiva futura, dal fenomeno della contrattazione aziendale di

primo livello, sembra invece sostenuta dall’accordo quadro sulla

riforma degli assetti contrattuali sottoscritto il 22 gennaio 2009 dalle

principali centrali sindacali con l’esclusione della sola CGIL.

2. La riforma degli assetti contrattuali: il ruolo del contratto

nazionale e la funzione di garanzia della certezza dei

trattamenti economici.

157 Cfr. C. Dell’Aringa, Le nuove relazioni industriali, la partecipazione e la sicurezza sul lavoro, in Review of Economic Conditions in Italy, 2010, 1, p. 124.

69

Page 70: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

L’Accordo interconfederale conferma la centralità del contratto

nazionale di categoria nell’impianto introdotto dall’art. 2 del

Protocollo del 1993.

Si conferma dunque l’attualità dell’opinione che il modello su due

livelli conferisce al sistema un equilibrio tra le esigenze di controllo

centrale delle retribuzioni e la necessità di flessibilità e di

decentramento158.

La centralità del contratto nazionale di categoria è esplicitata al

punto 1 dell’A.Q., ove si legge che “l’assetto della contrattazione è

confermato su due livelli”, ribadita nella premessa e al punto 2.3

dell’A.I. con cui le parti convengono che “la contrattazione collettiva

nazionale di categoria o confederale regola il sistema di relazioni

industriali a livello nazionale, territoriale e aziendale o di pubblica

amministrazione”.

Ma soprattutto l’assetto centralista dettato dall’A.I. si desume dalla

clausola che limita la competenza della contrattazione di secondo

livello alle materie delegate.

Interessante è la comparazione tra la formulazione del Protocollo

del 1993 e quella dell’A.I. del 2009, riguardo al rapporto tra il

contratto nazionale e il contratto di secondo livello.

Nel primo infatti si legge che “la contrattazione aziendale o

territoriale è prevista secondo le modalità e negli ambiti di

applicazione che saranno definiti dal contratto nazionale di categoria”.

158 Cfr. T. Treu, Costo del lavoro e sistema retributivo in Italia, La retribuzione. Struttura e regime giuridico, a cura di B. Caruso, C. Zoli, L. Zoppoli, Napoli, 1994, p. 17.

70

Page 71: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Da ciò si potrebbe ritenere che, quando il contratto di categoria non

determina gli ambiti entro i quali debba limitarsi il contratto di

secondo livello, questo possa avere la più ampia estensione.

Al contrario l’A.I., che pure contiene una clausola dal contenuto

assimilabile a quello di cui al Protocollo del 1993 (“Il contratto

nazionale di categoria definisce le modalità e gli ambiti di

applicazione della contrattazione di secondo livello”), prevede

espressamente che “la contrattazione collettiva di secondo livello si

esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto

collettivo nazionale di lavoro di categoria”.

Dalla ambigua formulazione utilizzata dalle parti nell’A.I. del 2009,

si può dedurre che la contrattazione di secondo livello deve essere

esercitata solo per le materie espressamente delegate. In effetti una

parte della dottrina ha ritenuto che nel passaggio dalla

regolamentazione degli assetti contrattuali dettata nel 1993 a quella

del A.I. del 2009 vi sia stata una riduzione dello spazio della

contrattazione di secondo livello159, anche se questo contrasterebbe

con la volontà dichiarata di incentivarne la diffusione.

La funzione del contratto nazionale è quella di “garantire la certezza

dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del

settore ovunque impiegati nel territorio nazionale”.

Ciò comporta la fissazione nel contratto nazionale dei minimi

tabellari, dell’indennità di anzianità e di ogni altra indennità spettante

ai lavoratori.

Ai fini della determinazione del trattamento economico in sede di

rinnovo e del recupero del potere di acquisto dei salari reali, l’A.I.

indica quale strumento il nuovo indice previsionale costruito sulla

159 Cfr. G. Ferraro, Retribuzione e assetto, cit., p. 704

71

Page 72: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

base dell’IPCA (indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito

europeo).

Il mutamento rispetto al Protocollo del 1993 può sembrare di poco

momento, in quanto si è semplicemente sostituito l’indice IPCA ai

tassi di inflazione programmata.

In realtà la novità è rilevante e, a parere di alcuni, costituisce la resa

ad una modalità di contrattazione fondata sui meri rapporti di forza160.

Ciò in quanto si sostituisce alla concertazione sugli obiettivi comuni,

che avrebbero dovuto portare alla determinazione del tasso di

inflazione programmata, la delega ad un “soggetto terzo di

riconosciuta autorevolezza ed affidabilità161 sulla base di una specifica

lettera di incarico”, della funzione di determinazione dell’indicatore.

Se da un lato si tenta di oggettivizzare la valutazione sul tasso di

inflazione162, dall’altro si accantona il sistema concertativo a favore

della libera negoziazione. Si è così sancito il passaggio, già avvenuto

nei fatti, da una contrattazione collettiva virtuosa ad una portata avanti

coi muscoli.

L’indice IPCA costituisce la base di calcolo di due operazioni:

quella di adeguamento dei salari in occasione dei rinnovi e quella di

recupero del potere di acquisto dei salari reali in caso di scostamento

significativo tra l’inflazione prevista e quella effettivamente osservata, 160 Cfr. F. Carinci, Se quarant’anni vi sembran pochi: dallo Statuto dei lavoratori all’Accordo di Pomigliano, in ADL, 2010, 3, p. 581 e ss.161 Individuato nell’ISAE ente di diritto pubblico istituito con D.P.R. n. 374/98, nell'ambito del processo di riorganizzazione e unificazione dei Ministeri del Tesoro e del Bilancio e della Programmazione Economica operate dalla Legge n. 94/1997, allo scopo di svolgere principalmente analisi e studi a supporto delle decisioni di politica economica e sociale del Governo, del Parlamento e delle Pubbliche Amministrazioni.162 Con ciò sembra darsi seguito alla richiesta di modifica in tal senso espressa dalla Commissione Giugni nella relazione finale. Cfr. Commissione per la verifica del Protocollo del 23 luglio 1993. Relazione finale, in Econ. Lav., 1998, 3, p. 99 e ss.

72

Page 73: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

attraverso la modifica dei minimi, piuttosto che con una autonoma

voce come avveniva in passato.

Quest’ultima verifica si rende necessaria a causa della durata

triennale del contratto collettivo, sia per la parte normativa sia

economica senza previsione di rinnovo di quest’ultima, a differenza di

quanto avveniva in forza del Protocollo del 1993 dove era previsto che

il ccnl avesse durata di quattro anni con rinnovo biennale della parte

economica.

La scelta di rivedere il termine di efficacia del ccnl è coerente con

le indicazione della Commissione Giugni per la verifica del

Protocollo163. Nella relazione finale è stata suggerita l’opportunità del

superamento dello sdoppiamento delle scadenze del ccnl

(quadriennale per la parte normativa e biennale per la parte

economica) e la conseguente sovrapposizione dei cicli negoziali. Le

soluzioni proposte erano due: da un lato l’abolizione del rinnovo

biennale e la sostituzione con un adeguamento annuale o con una

durata quadriennale dell’intero ccnl. La prima soluzione avrebbe

avuto il vantaggio di permetter un migliore assorbimento degli shock

inflazionistici ma lo svantaggio di comportare alti costi di

negoziazione e soprattutto di portare al blocco della contrattazione

decentrata. L’allungamento della durata dell’intero contratto aveva

invece il vantaggio di risolvere il problema della maggiore difficoltà

della distribuzione della produttività in assenza di una idonea

diffusione della contrattazione aziendale e dell’assenza di un

meccanismo di tutela in caso di scostamenti rilevanti tra l’inflazione

programmata e quella registrata. La scelta delle parti è caduta su

quest’ultima possibilità sia pure con una durata triennale degli accordi,

163 Cfr. Commissione per la verifica del Protocollo, cit., p. 99 e ss.

73

Page 74: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

e non quadriennale come suggerito dalla Commissione. I due problemi

sono stati risolti attraverso misure promozionali della contrattazione di

secondo livello e, per quanto riguarda gli scostamenti rilevanti,

attraverso il monitoraggio dell’andamento dei prezzi al consumo da

parte del soggetto preposto alla elaborazione dell’indice previsionale.

Tale soggetto si limita a verificare eventuali scostamenti tra

l’inflazione prevista e quella osservata, il cui recupero, in termini di

aumento dei minimi, è previsto solo in caso di significatività della

differenza.

Il soggetto cui L’A.I. rimette la valutazione della significatività

dello scostamento è un Comitato paritetico costituito a livello

interconfederale.

Non è specificato invece il criterio per stabilire il grado di

significatività dello scostamento, che sembra destinato ad essere

governato dal solito sistema dei rapporti di forza164, cui è rimessa

anche la determinazione dell’altro fattore di calcolo dei salari in

occasione dei rinnovi, ovvero la retribuzione alla quale applicare

l’indice IPCA.

L’A.I. prevede infatti che “le parti stipulanti applicheranno il nuovo

indice previsionale ad un valore retributivo medio assunto quale base

di computo composto dai minimi tabellari, dal valore degli aumenti

periodici di anzianità considerata l’anzianità media di settore e dalle

altre eventuali indennità in cifra fissa stabilite dallo stesso contratto

collettivo nazionale di lavoro di categoria”.

E’ facile prevedere che sul fattore al quale applicare l’indice si

concentreranno gli scontri in occasione dei rinnovi.

164 Cfr. N. Acocella, R. Leoni, La riforma della contrattazione: redistribuzione perversa o produzione di reddito?, in Riv. it. econ., 2010, 2, p. 237 e ss.

74

Page 75: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Sull’indice IPCA si sono appuntate le maggiori polemiche165 ed i

criteri della sua elaborazione hanno costituito uno dei motivi per cui

l’A.Q. non è stato sottoscritto dalla CGIL.

Le critiche mosse sono classificabili in due categorie.

Da una parte quelle metodologiche, in precedenza affrontate, per

cui attraverso il carattere pregnante che esso riveste nella

negoziazione della parte economica del contratto collettivo in

occasione dei rinnovi, si realizzerebbe una sostanziale indicizzazione

di salari.

Dall’altra quelle relative all’inidoneità dell’indicatore basato

sull’indice IPCA “depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni

energetici importati”, a garantire un effettivo mantenimento del potere

di acquisto dei salari reali166.

Da quest’ultimo punto di vista, l’opposizione più intensa si è

concentrata sulla scelta convenzionale di escludere dal calcolo

dell’indice i prezzi dei beni energetici importati. Non sempre tuttavia

essa è apparsa sostenuta da stringenti argomentazioni scientifiche.

Pertanto pare opportuna qualche puntualizzazione in argomento.

Le motivazioni della esclusione dei prezzi energetici dal calcolo

dell’indicatore sul quale parametrare gli adeguamenti retributivi in

occasione dei rinnovi contrattuali e gli adeguamenti dei minimi in

caso di scostamenti significativi tra l’inflazione prevista e quella

osservata, risiedono nella scelta di evitare che la rincorsa dei salari al

costo dei beni del paniere, sia condizionata da fattori estranei alle

scelte di politica economica, quali quelli relativi alla fissazione dei

165 Cfr. G. Ferraro, Retribuzione e assetto, cit., p. 703.166 Cfr. G. Ferraro, Retribuzione e assetto, cit., p. 704.

75

Page 76: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

prezzi dei beni energetici da parte dei paesi produttori che influiscono

sul prezzo finale dei beni di consumo.

In altri termini osservato il picco inflazionistico che si è verificato

nel 2008 e ritenuto che esso fosse stato determinato da ragioni

esogene rispetto alle scelte economiche delle imprese, si è ritenuto di

evitare che shock temporanei, come quello in questione, “si

perpetuino e propaghino l’inflazione attraverso una rincorsa delle

retribuzioni a recuperare il potere d’acquisto perduto a favore non di

altri redditi italiani ma del reddito dei Paesi produttori di beni

energetici. Questa eco inflazionistica si tradurrebbe in dannosa perdita

di competitività, giacché negli altri Paesi tale rincorsa non avverrebbe

e l’inflazione rientrerebbe in fretta, e senza nessun vantaggio reale per

le buste paga ma anzi con una minore occupazione” 167.

167 Cfr. L. Paolazzi, C. Rapacciulo, L. Scapperrotta, Più retribuzioni e più produttività: lo scambio per la crescita. Gli effetti positivi del sistema che decentra la negoziazione, Nota del Centro Studi di Confindustria, n. 08-5 del 29 Gennaio 2009.

76

Page 77: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Si è osservato che in alcuni casi la depurazione del prezzo degli

energetici dal calcolo dell’indicatore usato per l’adeguamento delle

retribuzioni, può addirittura comportare per i lavoratori il beneficio

dell’aumento dei livelli retribuivi con un tasso superiore a quello

effettivo di crescita dei prezzi, quale conseguenza del fenomeno, come

avvenuto nel 2009, della caduta delle quotazioni del petrolio in misura

proporzionalmente superiore al tasso di inflazione168.

Si è ritenuto che il verificarsi di questa eventualità possa essere il

frutto di un errore di valutazione della rappresentanza di parte

datoriale delle conseguenze dell’adozione di un indicatore basato

sull’IPCA depurato, oppure l’oggetto di una concessione169.

Sulla base di alcuni recenti studi170 si potrebbe essere indotti a

pensare che non si tratti né del frutto di un errore di valutazione, né

tantomeno di una concessione bensì di un possibile sacrificio, peraltro

neanche facile a verificarsi nuovamente, che le imprese sono state

disposte a pagare in cambio dei benefici che esse trarranno

dall’adozione dell’indicatore suddetto.

Gli stessi studi lamentano una inadeguatezza dell’indicatore su

base IPCA perché quest’ultimo comprende esclusivamente gli affitti

effettivi, che riguardano solo il 17,2% delle famiglie, e non quelli

figurativi che invece incidono sul patrimonio dei proprietari (o

beneficiari di un diritto reale di godimento) degli immobili adibiti ad

uso abitativo che sono l’82,8%.

Infine l’indicatore utilizzato nell’A.I. del 2009 è contestato perché

le modalità di calcolo escludono dal paniere dell’IPCA beni il cui

168 Cfr. C. Dell’Aringa, Le nuove relazioni industriali, cit., p. 125.169 Cfr. C. Dell’Aringa, Le nuove relazioni industriali, cit., p. 126.170 Cfr. N. Acocella, R. Leoni, La riforma della contrattazione, cit. p. 237 e ss.

77

Page 78: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

costo incide maggiormente sui consumi dei percettori di salari medio-

bassi.

3. La contrattazione di secondo livello. La contrattazione

aziendale e il premio variabile.

L’idea che la competitività del sistema produttivo andasse

perseguita attraverso una politica di adeguamento dei salari

all’inflazione, risale ai primi anni 80’ ed è frutto di una nota scuola

economica post-Keynesiana. In particolare, si riteneva opportuna la

programmazione di un tasso di inflazione sul quale costruire la

politica monetaria e salariale, vincolando gli aumenti delle

retribuzioni oltre la soglia del tasso di inflazione alla condizione di un

aumento della produttività, evitando spirali inflazionistiche e

stimolando lo sviluppo tecnologico.

La tesi fortemente riformista fu quella di ritenere che

l’adeguamento dei salari all’inflazione potesse essere perseguita

attraverso pratiche concertative da attuarsi a livello centrale, in

occasione dei rinnovi dei contratti nazionali, piuttosto che attraverso

sistemi di indicizzazione171.

In quest’ottica il livello nazionale assumeva la funzione di perno

dell’intero sistema della contrattazione del settore privato, mentre alla

contrattazione di secondo livello, ed in particolare al contratto

aziendale, era delegata la funzione di redistribuzione della

produttività.

171 Cfr. E. Tarantelli, Economia Politica del Lavoro, Torino, 1986.

78

Page 79: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Il compito di limitare le spinte inflazionistiche che, secondo le

teorie keynesiane, sono la naturale conseguenza dell’aumento della

domanda aggregata, sarebbe stato del Governo che avrebbe dovuto

realizzarlo attraverso le politiche monetarie, anch’esse concertate con

accordi triangolari per renderle efficaci attraverso il coordinamento

con le politiche salariali.

Il Protocollo del 1993 era evidentemente e dichiaratamente ispirato

a queste teorie. In esso infatti si è cercato di contemperare le esigenze

di controllo centrale delle retribuzioni con le esigenze di flessibilità,

delegando la contrattazione aziendale la determinazione delle

erogazioni retributive legate ai risultati di produttività, attraverso un

sistema di clausole di rinvio e c.d. di specializzazione172.

Il punto di partenza per l’attuazione delle politiche monetarie e

salariali, e dunque per l’azione del governo da un lato e delle parti

sociali dall’altro, sarebbe stata l’inflazione programmata.

Come noto, lo strumento progettato con il Protocollo del 1993 si è

dimostrato efficace a livello macro economico nel contenere la

crescita del tasso di inflazione mantenendo i salari coerenti con i tassi

programmati173.

Tuttavia, a causa di una limitata diffusione della contrattazione di

secondo livello, non si è realizzata la flessibilità del sistema auspicata

dalle parti174.

Pertanto la Commissione Giugni, avendo preso atto e registrato

l’unanime riconoscimento del successo sul piano macro economico,

suggerì ipotesi di modifica del Protocollo del 1993 facendo osservare

172 Cfr. T. Treu, Costo del lavoro, cit., p. 15.173 Cfr. Commissione per la verifica del Protocollo del 23 luglio 1993, cit. p. 99.174 Cfr. V. Ferrante, L’accordo interconfederale, cit. p. 1025; N. Acocella, R.Leoni, La riforma della contrattazione, cit. p. 237 e ss.

79

Page 80: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

che “pur non richiedendo radicali revisioni della sua struttura” tuttavia

necessitasse di “una revisione volta al consolidamento dei risultati

raggiunti”.

In effetti, con la riforma degli assetti del 2009 non si è operata

alcuna modifica sostanziale rispetto all’impostazione del Protocollo175.

L’assetto resta centralistico, solo che alla “politica salariale

d’anticipo” basata sulla concertazione del tasso d’inflazione

programmata, si è sostituito un sistema che non indicizza in modo

adeguato il salario nominale176, in cui la negoziazione è legata ad un

indicatore dalla struttura contestata.

La funzione della contrattazione di secondo livello continua ad

essere quella redistributiva, essendo previsto al punto 3 dell’A.I. che

essa “collega gli aumenti salariali al raggiungimento di obiettivi di

produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri elementi

rilevanti ai fini del miglioramento della competitività, nonché ai

risultati legati all’andamento economico delle imprese”.

Il rapporto tra la contrattazione di primo e secondo livello continua

ad essere regolato attraverso il sistema delle clausole di rinvio e di

specializzazione che devono considerarsi in rapporto alternativo:

quando vi è rinvio del contratto nazionale può intervenire quello di

secondo livello, mentre in assenza di rinvio può riaprirsi la

negoziazione, ma solo su quanto non statuito al livello superiore177.

Quanto stabilito dal contratto nazionale è infatti coperto dal limite del

ne bis in idem, di cui al punto 3.2 dell’A.I.

L’unica eccezione al divieto posto al contratto di secondo livello, di

disciplinare aspetti coperti dal contratto nazionale, è ammissibile solo 175 Cfr. G. Ferraro, Retribuzione e assetto, cit., p. 701.176 Cfr. N. Acocella, R. Leoni, La riforma della contrattazione, cit. p. 237 e ss.177 Cfr. F. Carinci, Se quarant’anni vi sembran pochi, cit., p. 151 e ss.

80

Page 81: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

quando quest’ultimo, a norma del punto 5 dell’A.I., consenta la deroga

delle disposizioni in esso previste, nei casi di crisi aziendali o per

favorire lo sviluppo economico. Ciò, se da un lato può costituire un

incentivo alla contrattazione aziendale, dall’altro rischia di corrodere

la funzione centrale del contratto nazionale178.

Il secondo livello di contrattazione può essere aziendale o

territoriale. Quest’ultimo era risultato sostanzialmente inattuato

essendo stati stipulati un numero irrilevante di contratti regionali o

provinciali rispetto al numero di quelli aziendali179.

Le ragioni di tale limitata diffusione sono da ricercarsi

principalmente in una scarsa sindacalizzazione a livello di unità

produttiva, specie nelle piccole imprese del mezzogiorno.

Nonostante le dichiarazioni programmatiche sulla rilevanza della

diffusione della contrattazione di secondo livello per la crescita della

produttività e delle retribuzioni, nonché sulla necessità di

incrementare le misure volte ad incentivarla, dalla lettura dell’A.I. non

emerge la presenza strumenti idonei a sostenere la contrattazione

regionale e provinciale. Anzi dalla formulazione del punto 1

dell’Accordo, nella parte in cui si dice che la contrattazione territoriale

può considerarsi parte del nuovo modello di assetti “laddove previsto,

secondo l’attuale prassi” sembra possibile desumere la volontà delle

parti di contenere la diffusione di contratti regionali o provinciali nei

limiti di quanto già praticato.

178 Cfr. G. Ferraro, Retribuzione e assetto, cit., p. 711.179 Secondo la ricerca condotta dalla CGIL dal titolo “Analisi della Contrattazione di II° livello e degli andamenti dal 1996 al 2006 sui dati dell’Archivio nazionale CGIL”, http://www.cgil.it/archivio/contrattazione/AnalisiContrattazione2008.pdf, i contratti territoriali costituiscono complessivamente il 6,5% del totale di contratti di secondo livello a fronte del 93,5% costituito dai contratti aziendali.

81

Page 82: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Una parte della dottrina180 inoltre fa osservare come le parti hanno

perso l’opportunità di valorizzare nell’ A.Q. le esperienze accumulate

in tema di contrattazione territoriale con gli accordi di programma.

Anche se risulta molto più diffusa di quella territoriale, la

contrattazione aziendale tuttavia soffre di un notevole ritardo rispetto

a quanto avviene in altri paesi. Le ragioni della difficoltà ad imporsi

sono da ricercarsi nella scarsa sindacalizzazione dovuta all’ostracismo

dei piccoli imprenditori che si oppongono alla diffusione del sindacato

in azienda e alla resistenza di una parte del mondo sindacale che

tradizionalmente vede, non senza ragione, sotto cattiva luce il

decentramento della contrattazione per i rischi che essa comporta nel

senso di un peggioramento delle condizioni retributive181.

Per espressa previsione del punto 3.3 dell’A.I. lo strumento

attraverso cui la contrattazione aziendale dovrebbe svolgere la

funzione redistributiva è costituito dai premi variabili.

4. La riforma degli assetti contrattuali: i rapporti tra diversi livelli

e il fenomeno della contrattazione aziendale separata.

In precedenza si è accennato al fenomeno della contrattazione

nazionale separata, riportando l’esempio del ccnl per il settore

metalmeccanico del 2009 e quello per i dipendenti orafi e argentieri

delle imprese artigiane del 2010.

Il fenomeno non si limita al solo livello nazionale infatti si è

verificata anche la sottoscrizione separata di contratti aziendali.

180 Cfr. G. Ferraro, Retribuzione e assetto, cit., p. 708.181 Cfr. C. Dell’Aringa, T. Treu, Introduzione, cit., p. 69.

82

Page 83: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Quando un contratto aziendale non sia sottoscritto da tutte le

organizzazioni sindacali firmatarie a livello nazionale, per

determinarne la efficacia soggettiva occorre distinguere tra fattispecie

migliorative e peggiorative.

Il caso di scuola rappresentato da un contratto aziendale dal

contenuto migliorativo rispetto al contratto nazionale e non

sottoscritto da tutti i rappresentanti dei sindacati maggiormente

rappresentativi di comparto, non pone particolari problemi.

Infatti, con risultati alterni, si è sostenuto da parte di dottrina e

giurisprudenza, sulla base di ragionamenti che prendono avvio da

caratteristiche intrinseche del contratto (il fatto di riguardare una certa

realtà produttiva) o da meccanismi eteronomi rispetto alle dinamiche

di conclusione del contratto (referendum di approvazione da parte dei

lavoratori), che il contratto aziendale sottoscritto dal datore di lavoro,

lo vincola quale parte negoziale, all’applicazione nei confronti di tutti

i lavoratori182.

Il fondamento di tale effetto è fatto discendere dalla teoria della

indivisibilità degli interessi collettivi a livello aziendale che comporta

la sostanziale efficacia erga omnes del contratto aziendale

migliorativo183.

Interessante è l’osservazione di quella dottrina che ritiene che

l’estensione dell’efficacia del contratto aziendale a tutti dipendenti sia

iscritti alle organizzazioni firmatarie, sia a tutti gli altri, non comporta

182 Per una completa rassegna dei precedenti giurisprudenziali cfr. P. Bellocchi, Sub art. 39 Cost., in Diritto del lavoro, a cura di G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, Milano, 2009, p. 347.183 Cfr Corte Cass., 2 maggio 1990, n. 3607, in Mass. giur. lav., 1990, p. 384, con nota di E. Lucifredi.

83

Page 84: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

la violazione dell’art. 39 Cost. in quanto il contratto collettivo cui

esso si riferisce è esclusivamente quello di livello nazionale184.

Il problema si pone invece rispetto ai contratti aziendali separati che

hanno un contenuto peggiorativo rispetto ai precedenti contratti

nazionali.

In tal caso, quando le condizioni peggiorative non siano compensate

da vantaggi, la giurisprudenza ha ritenuto in più occasioni i lavoratori

non iscritti alla organizzazioni sindacali firmatarie del contratto

aziendale, non vincolati da esso185.

Pertanto se un contratto aziendale prevedesse condizioni

economiche peggiorative rispetto a quelle contenute nel contratto

nazionale di riferimento, queste ultime e non le prime dovrebbero

essere applicate ai lavoratori non aderenti ad alcun sindacato o

aderenti ad un sindacato non firmatario del contratto aziendale186.

A fronte di molteplici argomentazioni, quelle utilizzate dalla

giurisprudenza sono prevalentemente fondate sulla inefficacia del

contratto aziendale, non solo nei confronti dei lavoratori non iscritti ai

sindacati firmatari, ma addirittura anche nei confronti del lavorati che

abbiano espresso il proprio dissenso individuale aderendo a questi

ultimi successivamente alla stipula dell’aziendale: unico limite il

contratto gestionale che la cui efficacia è ritenuta estesa oltre il limite

del dissenso individuale187.

184 Cfr. A. Lassandari, Il contratto collettivo aziendale e decentrato, Milano, 2001, p. 304 e ss.185 Cfr. Corte Cass. 5 febbraio, 1993, n. 1438, in Riv. it. dir. lav., 1994, II, p. 61 e ss. con nota di L. Nogler.186 Cfr. Corte App. Brescia, 7 marzo 2009, in Riv. giur. dir. lav. prev. soc., 2010, II, p. 188 con nota di F. Aiello.187 Cfr. A. Lassandari, Le nuove regole sulla contrattazione, cit. p. 66 e ss.

84

Page 85: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

5. La riforma degli assetti contrattuali: L’elemento di garanzia

retributiva.

La riforma degli assetti contrattuali del 2009 si muove

dichiaratamente nella direzione dell’incentivazione della

contrattazione di secondo livello, ed in effetti alle enunciazioni

programmatiche, di cui all’art. 3 del Accordo interconfederale del 15

aprile del 2009 di attuazione dell’Accordo quadro, segue la

introduzione del c.d. elemento di garanzia retributiva.

Tale trattamento accessorio dovrebbe compensare la minor

consistenza salariale dei lavoratori che non beneficiano della

contrattazione aziendale e che non percepiscono altri trattamenti

economici individuali o collettivi, oltre a quanto spettante per

contratto collettivo nazionale di categoria. Pertanto, se adeguatamente

commisurato potrebbe costituire una misura incentivante per la

diffusione della contrattazione di secondo livello.

In realtà un elemento perequativo simile era già previsto in molti

dei contratti nazionali di categoria stipulati in precedenza, con la

differenza che, secondo quanto previsto dell’A.I., nella attuale

formulazione beneficia coloro che non hanno altro in busta paga oltre

i minimi tabellari ma anche chi non ha ottenuto aumenti nell’ultimo

quadriennio188.

La conseguenza di ciò sarebbe la sua valorizzazione rispetto a

quanto previsto fino all’Accordo interconfederale in funzione 188 Cfr. C. Dell’Aringa, Le nuove relazioni industriali, cit., p. 111 e ss.: “In definitiva, il nuovo istituto non garantisce più e solo un “livello” minimo delle retribuzioni di fatto (come era nella prima formulazione, quella delle “linee guida”), ma garantisce anche un “aumento minimo” in aggiunta agli aumenti dei minimi tabellari”.

85

Page 86: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

sanzionatoria nei confronti di quei datori di lavoro che decidessero di

concederlo in sostituzione dell’apertura di un negoziato aziendale.

L’effettiva utilità dell’elemento di garanzia è tuttavia rimessa

interamente alla contrattazione collettiva nazionale di categoria cui

l’Accordo interconfederale rinvia per determinarne la misura.

Quindi, anzitutto, l’applicazione dell’elemento è subordinato alla

sua adozione da parte del contratto collettivo, ed in ogni caso

l’effettiva funzione promozionale della contrattazione di secondo

livello è subordinata alla determinazione in misura idonea a costituire

una sanzione civile privata, adeguata a spingere il singolo datore di

lavoro a giungere alla conclusione di un accordo.

In effetti nelle ultime tornate contrattuali si è introdotto l’elemento

di garanzia in quasi tutti gli accordi ad eccezione di quello per

l’energia elettrica e quello per il petrolifero.

Nel rispetto della previsione di cui all’art. 4 dell’Accordo

interconfederale è previsto in tutti i casi che l’erogazione è dovuta ai

dipendenti di imprese private prive di contrattazione di secondo livello

a condizione che non siano dovuti trattamenti economici ulteriori

rispetto a quanto spettante in forza del contratto nazionale. In due soli

casi (chimica; gomma e plastica) è previsto l’ulteriore requisito

dimensionale dell’impresa, per cui la voce retributiva è dovuta

unicamente al superamento in azienda dei 70 e 100 dipendenti.

Merita menzione la previsione di cui al ccnl del turismo per cui

l’erogazione è dovuta solo a condizione che sia stata presentata una

piattaforma senza il raggiungimento dell’accordo.

Da ultimo occorre ricordare che L’Accordo Interconfederale ha

disposto che la erogazione prevista dai contratti nazionali di lavoro

avvenisse “nella misura ed alle condizioni concordate nei medesimi

86

Page 87: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

contratti con particolare riguardo per le situazioni di difficoltà

economico-produttiva”. La possibilità prevista dall’A.I. per cui è

consentito che i contratti nazionali di categoria prendano in

considerazione una situazione di difficoltà dell’impresa quale causa di

esclusione dell’obbligo di corrispondere l’erogazione, è stata tradotta

in soli tre casi in una clausola di uscita a favore del datore di lavoro il

quale, sussistendo le condizioni previste, può sottrarsi alla

corresponsione del trattamento. Tale clausola è stata introdotta nei soli

ccnl del settore telecomunicazioni, del settore cemento, calce e gesso e

nel settore del turismo. Le parti, ponendosi il problema

dell’accertamento della sussistenza della condizione sospensiva

dell’obbligo di corrispondere l’elemento di garanzia, hanno scelto il

parametro costituito dal ricorso agli ammortizzatori sociali.

Preme sottolineare che in molti casi il beneficio dell’elemento di

garanzia retributiva è stato limitato ai soli lavoratori a tempo

indeterminato. Nei casi, come quello del settore delle

telecomunicazioni, in cui ciò avvenga e la percentuale di lavoratori a

termine è più elevata, l’esclusione di questi può costituire un limite

alla diffusione della contrattazione di secondo livello quando il datore

di lavoro preferisca sopportare il costo economico dell’erogazione

dell’elemento di garanzia per i pochi dipendenti a tempo

indeterminato, in proporzione al totale degli occupati, piuttosto che

aprire un negoziato aziendale.

In ordine alla misura dell’importo occorre sottolineare come essa

sia stata compresa dai contratti nazionali di categoria tra un minimo di

72 euro e un massimo di 455 per il settore metalmeccanico.

87

Page 88: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Solo i dati sulla diffusione della contrattazione aziendale nei

prossimi anni potranno permettere di giudicare l’idoneità della misura

fissata nei contratti collettivi nazionali.

Da ultimo deve farsi osservare che l’idoneità dell’elemento di

garanzia retributiva a costituire un incentivo alla diffusione della

contrattazione di secondo livello è notevolmente depotenziato dalla

previsione al punto 4 dell’A.I. di una condizione necessaria al sorgere

della obbligazione di corrispondere la relativa somma: l’elemento sarà

infatti dovuto in assenza di contrattazione aziendale, solo se i

lavoratori non siano percettori di “altri trattamenti economici

individuali”. Da ciò risulta evidente il rischio che i datori di lavoro

preferiscano contrattare singolarmente erogazioni individuali piuttosto

che avviare una negoziazione collettiva189.

189 Cfr. C. Dell’Aringa, C. Vignocchi, La definizione del nuovo modello contrattuale: la flessibilità dei salari sul territorio, in Le riforme che mancano, a cura di C. Dell’Aringa, T. Treu, Roma, 2009, p. 417.

88

Page 89: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

CAPITOLO III

I sistemi retributivi

Sommario: . – 1. La retribuzione ad economia. – 2. Sistemi retributivi incentivanti: il

cottimo. – 3. Sistemi retributivi incentivanti:cenni sui premi di produzione. – 4. Sistemi

retributivi incentivanti: la retribuzione variabile e i premi di risultato. – 5. Meriti e premi

nel pubblico impiego: cenni.

1. La retribuzione ad economia.

Il primo ed il terzo comma dell’art. 2099 c.c. delineano i sistemi di

retribuzione. Il lavoratore può essere retribuito a tempo o a cottimo

ovvero, in tutto o in parte, con partecipazione agli utili o ai prodotti.

La retribuzione a tempo, comunemente denominata anche “ad

economia”, è quella determinata in misura proporzionale alle unità di

tempo in cui la prestazione è stata resa o messa a disposizione del

datore di lavoro.

89

Page 90: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

La retribuzione a tempo è la più diffusa e le altre forme

costituiscono normalmente compensi parziali o elementi accessori di

un sistema complesso, in cui il lavoratore conserva in ogni caso una

parte fissa determinata ad economia. Ciò rappresenta evidentemente il

risultato di una scelta di politica retributiva effettuata in sede di

contrattazione collettiva, ma anche un obbligo giuridico. Si ritiene

infatti che sistemi retributivi totalmente aleatori, in cui anche l’an

dell’obbligazione non sia certo, sono da considerasi contrari al

precetto costituzionale di cui all’art. 36, in forza del quale deve essere

garantita la sufficienza, a prescindere dalla qualità e quantità

dell’impegno profuso190.

Il tempo dell’obbligazione retributiva ad economia viene

normalmente determinato a cadenza fissa, per cui si parla

comunemente di c.d. postnumerazione. A seguito del processo avviato

nel 1973 con cui si è operato il riavvicinamento delle categorie degli

operai e degli impiegati, il periodo di riferimento di maturazione

dell’obbligazione e di commisurazione della retribuzione è

normalmente costituito dal mese. La diffusa mensilizzazione della

retribuzione non ha influito sulla comune definizione della

retribuzione in termini di salario per gli operai e di stipendio per gli

impiegati: la differente denominazione continua a conservare una

efficacia descrittiva della diversa modalità di computo della

prestazione.

Infatti, per gli operai la retribuzione è tradizionalmente calcolata

sulla base delle ore di lavoro effettivamente rese: in tal modo il datore

190 Cfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Diritto del Lavoro., cit., p. 251.

90

Page 91: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

non si assume il rischio della mancata prestazione non derivante da

inadempimento191.

Per gli impiegati manca, invece, un rapporto tra le ore di lavoro

effettivamente prestato e la retribuzione, pertanto compete al datore

l’utilizzazione della prestazione nel modo più funzionale: il lavoratore

è esonerato da ogni responsabilità quando abbia diligentemente messo

a disposizione le proprie energie psico-fisiche e conserva il diritto alla

controprestazione anche se il datore non se ne è avvalso. In tal caso

infatti si configura una ipotesi di mora del creditore le cui cause di

esclusione sono costituite dalla forza maggiore o dalla condotta altrui,

tempestivamente comunicate al prestatore192.

Il calcolo della retribuzione su base mensile non comporta

necessariamente la corresponsione con eguale cadenza, che avviene

solo per la c.d. retribuzione diretta.

Vi sono elementi che pur calcolati secondo il medesimo criterio,

vengono corrisposti solo a fine anno o al termine del rapporto di

lavoro: nella prima categoria rientrano la tredicesima e

quattordicesima mensilità mentre nella seconda il trattamento di fine

rapporto193 che potrebbe essere definito come una retribuzione

accantonata a corresponsione differita194.

Accanto all’obbligo di corrispondere la retribuzione secondo le

modalità convenute, sul datore grava anche quello di consegnare al

prestatore il prospetto paga, secondo quanto previsto dalla legge 5

gennaio 1953, n. 4.

191 Cfr. Angiello L., La retribuzione, Milano, 1990, p. 113.192 Cfr. F. Mortillaro, Retribuzione. 1) Rapporto di lavoro privato, in Enc. Giur. Treccani, XXVII, 1991, p. 8.193 Cfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Diritto del Lavoro, cit., p. 256.194 Cfr. A. Garilli, I trattamenti economici di fine rapporto, cit., p. 250 e ss.

91

Page 92: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Il prospetto deve contenere il nome, il cognome e la qualifica

professionale del prestatore, nonché il periodo cui la retribuzione si

riferisce e tutti gli altri elementi che, comunque, compongono

detta retribuzione, in modo da consentire al destinatario di verificare

la correttezza dei calcoli sulle erogazioni.

Con l’introduzione del libro unico del lavoro ad opera del d.l. 112

del 2008 convertito con la l. 133 del 2009, a norma dell’art. 49 comma

quinto, l’obbligo di consegna del prospetto può essere adempiuto

anche mediante consegna di copia di un estratto dal suddetto libro.

2. Sistemi retributivi incentivanti: il cottimo.

L’altro sistema previsto dall’art. 2099 c.c. accanto alla retribuzione

a tempo, è costituito dal cottimo.

Il cottimo è una forma retributiva di tipo incentivante, diretta a

stimolare la maggiore produttività del prestatore di lavoro195.

Il cottimo viene utilizzato nella remunerazione del prestatore di

lavoro subordinato mutuando il sistema di corrispettivo del lavoro

autonomo196.

Soprattutto nel settore manifatturiero la diffusione del cottimo

precede la rivoluzione industriale, ma è solo con l’affermarsi di

sistemi produttivi di tipo tayloristico che esso diventa metodo tipico di

remunerazione della manodopera operaia197.

Il cottimo si diffuse particolarmente nell’industria automobilistica

in conseguenza dell’elaborazione di sistemi di misurazione dei tempi

195 Cfr. M. Roccella, Manuale di diritto del lavoro, cit., p. 363.196 Cfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Diritto del Lavoro, cit., p. 251.197 Cfr. F. Santoro-Passarelli, Cottimo, in Novissimo Digesto italiano, Torino, 1957, p. 1075.

92

Page 93: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

necessari a compiere determinate operazioni del ciclo produttivo198. In

questi sistemi, il premio consistente nella maggiorazione retributiva

che il prestatore può ottenere attraverso la riduzione dei tempi ovvero

nel compimento di un maggior numero di operazioni nel medesimo

tempo, costituisce la quota di retribuzione corrisposta a cottimo199.

Una prima regolamentazione giuridica del cottimo viene introdotta

nel periodo corporativo con la Carta del lavoro, ove alla Dichiarazione

XIV si dice che “le tariffe di cottimo devono essere determinate in

modo che all’operaio laborioso, di normale capacità lavorativa sia

consentito di conseguire una guadagno minimo oltre la paga base”.

L’interessamento del legislatore fascista è finalizzato

all’ottimizzazione della capacità produttiva dell’apparato industriale,

con il solito fine costituito dall’interesse superiore della produzione

nazionale riducendo al contempo il rischio di un uso estorsivo del

cottimo per ottenere “pluslavoro”200.

La derivazione del cottimo da lavoro autonomo ha probabilmente

generato la tradizionale lettura secondo cui il tratto caratterizzante di

tale sistema retributivo sarebbe dato dal risultato dell’attività

lavorativa201.

In particolare, secondo alcune risalenti opinioni, quando sia stabilita

la retribuzione a cottimo, il risultato entra nella causa del contratto202.

198 Cfr. A. Alaimo, Sistemi partecipativi e incentivanti di retribuzione: l’evoluzione storica in Italia, in Dir. rel. ind., 1991, 1, p. 18.199 G. Giugni, Organizzazione dell’impresa ed evoluzione dei rapporti giuridici. La retribuzione a cottimo, in Riv. dir. lav., 1986, I, p. 11.200 Cfr. M . Dell’Olio, La retribuzione, in Trattato di diritto privato. Impresa e lavoro, diretto da P. Recigno, Torino, 1986, p. 486; cfr. anche A Alaimo, Sistemi partecipativi, cit., p. 19.201 Cfr. M. Roccella, Manuale, cit., p. 363.202 Cfr. F. Santoro-Passarelli, Cottimo, cit., p. 1075.

93

Page 94: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Nel “contratto accessorio” con cui si stabilisce tale sistema di

retribuzione, inserito nel contratto individuale di lavoro, il lavoratore

si assumerebbe l’obbligo di un rendimento più elevato.

Sulla base di queste premesse si ravvisa un inadempimento nella

condotta del lavoratore che mantenga un rendimento sistematicamente

pari a quello ad economia203.

In tempi più recenti si è preferito sostituire il criterio del rendimento

a quello del risultato quale sistema di commisurazione della

retribuzione, per cui resta fermo il diritto alla retribuzione anche

quando, per fatto non imputabile al prestatore, il risultato non

corrisponda al lavoro svolto204.

La remunerazione a cottimo, che a norma dell’art. 2099 c.c.

costituisce una scelta alternativa rimessa alla libertà delle parti rispetto

a quella ad economia, in alcuni casi rappresenta il sistema obbligatorio

di retribuzione. Ciò avviene in due casi: l’uno rappresentato dalla

fattispecie a struttura aperta di cui all’art. 2100 c.c. e l’altro dalla

fattispecie tipica di cui all’art. 8 della l. 18 dicembre 1973, n. 877.

Quest’ultima prescrive infatti la corresponsione della retribuzione

dei lavoratori che eseguono lavoro a domicilio, sulla base di tariffe di

cottimo pieno risultanti dai contratti collettivi della categoria. La

scelta del legislatore è vincolata dalla circostanza contingente per cui

non è possibile controllare la durata della prestazione lavorativa e

dunque non è praticabile la remunerazione a tempo. Il cottimo pieno

di cui al suddetto articolo, obbligatorio ex art. 8 della l. 18 dicembre

1973, n. 877 per la remunerazione del lavoro a domicilio, costituisce il

sistema in cui l’intera retribuzione è stabilita sulla base del rendimento 203 Cfr. F. Mortillaro, Retribuzione, cit., p. 8.204 Cfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Diritto del Lavoro, cit., p. 252.

94

Page 95: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

del prestatore. Oltre al cottimo pieno esistono forme di cottimo a

tempo (o cottimo misto) in cui una parte della retribuzione è

determinata ad economia.

L’art. 2100 c.c. prescrive invece la retribuzione a cottimo quando la

prestazione sia vincolata ai ritmi produttivi imposti

dall’organizzazione del lavoro e quando la valutazione della

prestazione si basi sui risultati conseguiti nell’unità di tempo. In

passato erano le norme corporative a definire i casi rientranti nella

fattispecie astratta descritta all’art. 2100 c.c. Venuto meno

l’ordinamento corporativo, solo di rado si è posto il problema della

qualificazione giurisprudenziale della verifica di tali condizioni, ed in

alcuni risalenti pronunce è stato ritenuto sussistente l’obbligo quando

la natura della prestazione avesse richiesto “sforzi superiori al

normale”205.

Infine, per completezza occorre segnalare che l’art. 2101 c.c.

impone a carico del datore di lavoro l’obbligo di comunicare

preventivamente al prestatore le condizioni di cui alla tariffa di

cottimo, le lavorazioni da eseguire ed il relativo compenso unitario.

Inoltre le sostituzioni o modificazioni delle condizioni di cui alla

tariffa di cottimo sono legittime solo se intervengono mutamenti nelle

condizioni di esecuzione del lavoro ed in ogni caso sono efficaci

decorso il “periodo di esperimento” previsto nei contratti collettivi.

Appare evidente in tali previsioni la volontà di tutelare il cottimista

dalle modificazioni unilaterali ad opera del datore di lavoro volte ad

aumentare il guadagno marginale, sfruttando le capacità acquisite nel

tempo dal prestatore206.205 S. Bellomo, La retribuzione, in Diritto del lavoro, a cura di G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, Milano, 2009, p. 885.206 F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Diritto del Lavoro, cit., p. 253.

95

Page 96: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

La retribuzione a cottimo, che per lungo tempo è stato un sistema

molto diffuso di remunerazione della manodopera operaia, attraversa

una fase di crisi di utilizzazione le cui ragioni più evidenti sono

costituite dalla modifica dei sistemi di produzione207.

L’applicabilità del cottimo è infatti vincolata alla organizzazione

del lavoro di tipo taylorista, caratterizzata dalla specializzazione e

ripetitività dei compiti. Mutato il contesto organizzativo delle imprese,

esso trova spazi di applicazione limitatamente a quei settori dove

ancora esiste una struttura organizzativa assimilabile a quella suddetta,

come l’industria tessile e quella meccanica.

Esiste anche un’altra ragione del declino del sistema di retribuzione

a cottimo, ed è essenzialmente di tipo “ideologico-sindacale208”: da un

lato a partire dagli anni 60 si è diffusa una aperta ostilità verso il c.d.

“super-sfruttamento” conseguenza dell’applicazione del cottimo,

dall’altro si è registrata una spinta egualitaria per il livellamento delle

retribuzioni.

I mutamenti dei contesti produttivi hanno comportato il declino del

cottimo e la diffusione di nuovi sistemi retributivi incentivanti che

hanno aperto la strada alla c.d. retribuzione variabile (v. par. 5).

3. Sistemi retributivi incentivanti: i premi di produzione.

A partire dagli anni ’50, soprattutto grazie alla spinta delle

Commissioni interne, si diffonde nella contrattazione aziendale un

nuovo strumento di incentivazione salariale costituito dal premio di

207 Cfr. M. Roccella, Manuale, cit., p. 364.208 Cfr. A. Alaimo, Sistemi partecipativi, cit., p. 24.

96

Page 97: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

produzione, con il quale il cottimo convivrà e dividerà la fase di

declino209.

Quale forma retributiva incentivante, il premio nasce per aumentare

la produttività del lavoro con la promessa di una partecipazione ai

risultati aziendali in termini di aumento del salario percepito210.

L’atteggiamento delle parti negoziali rispetto ai premi di

produzione è molto diverso a seconda del livello in cui esse operano:

la Confindustria e la Cgil non li gradivano temendo la diffusione di

trattamenti economici differenziati la prima, e la proliferazione di

tendenze corporative la seconda, mentre la Cisl era più possibilista

sulla opportunità di prevedere nel contratto nazionale il

riconoscimento della facoltà di negoziare i premi a livello aziendale;

contrariamente, a livello decentrato, le organizzazioni dei lavoratori in

fabbrica e le grandi imprese, ostili all’accentramento delle politiche

salariali, trattavano sempre più spesso le condizioni per l’erogazione

dei suddetti premi211.

Con la diffusione estesa dei premi di produzione nei contratti

aziendali degli anni ’70 si è verificato un mutamento di fatto della

funzione dell’istituto, che venne sempre più utilizzato al fine di

recuperare la capacità di acquisto dei salari ed erogato a prescindere

da aumenti della produttività e come compenso fisso in cifra identica

per tutti i lavoratori212.

Dopo il periodo di forte diffusione negli anni ’70, nel decennio

successivo si è aperta la fase di declino dei sistemi incentivanti di tipo

tradizionale, successivamente certificata nel Protocollo del 1993, e

209 Cfr. A. Alaimo, Sistemi partecipativi, cit., p. 21.210 F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Diritto del Lavoro, cit., p. 258.211 Cfr. A. Alaimo, Sistemi partecipativi, cit., p. 22.212 F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Diritto del Lavoro, cit., p. 259.

97

Page 98: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

determinata dall’introduzione di erogazioni effettivamente legate a

parametri misurabili di produttività e redditività aziendale calcolata

sulla base di indicatori tecnico-economici come il fatturato, la qualità

del prodotto, il margine operativo lordo, ed attribuita solo al verificarsi

della condizione del raggiungimento degli obiettivi programmati213.

L’impegno delle parti sociali e del Governo, sancito nel Protocollo

del 1993, per una politica dei redditi concertata a livello centrale e

coordinata a politiche monetarie sostenibili allo scopo di mantenere i

salari adeguati al costo della vita, non lasciava spazio a miglioramenti

retributivi stabiliti a livello aziendale che non fossero legati ad

aumenti di produttività, in modo che si evitassero spirali

inflazionistiche e si consentisse la partecipazione dei lavoratori ai

risultati dell’impresa rendendo effettiva la funzione incentivante.

Pertanto il sistema di relazioni industriali sembrava muoversi verso

sistemi retributivi incentivanti di tipo partecipativo, basati sulla

redditività aziendale214, anche se inizialmente, pur apprezzandosi la

novità, si osservava come l’entità delle voci retributive legate ad indici

variabili fosse contenuta215.

4. Sistemi retributivi incentivanti: la retribuzione variabile e i

premi di risultato.

213 M. Roccella, Manuale, cit., p. 364.214 Cfr. A. Alaimo, Sistemi partecipativi, cit., p. 23.215 M. D’Antona, R. De Luca Tamajo, La retribuzione ad incentivi: introduzione, in Dir. rel. ind., 1991, 1, p. 5.

98

Page 99: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Per retribuzione variabile si intende la quota, sul corrispettivo totale

percepito dal prestatore, calcolata sulla base di indici estrinseci al

lavoro come la produttività o redditività dell’impresa216.

L’affermazione dei premi di produttività e di redditività quale

principale forma retributiva incentivante è conseguenza della esigenza

di partecipazione ai risultati d’impresa e di flessibilità dell’industria

post-fordista.

In particolare la funzione incentivante dei premi di produttività, con

cui si consente al lavoratore di partecipare ai risultati di impresa

determinati da prestazioni virtuose, risulta evidente dagli indicatori

utilizzati (qualità e quantità del prodotto, percentuale degli scarti,

risparmio dei costi) che ricadono nella “sfera di dominio e controllo

dei lavoratori”; mentre è evidente la funzione di flessibilizzazione nei

premi di redditività dagli indici (fatturato, rapporto tra costo del lavoro

e valore della produzione, risultato di gestione, margine operativo

lordo, utile di gestione) in cui il risultato prescinde da condotte del

lavoratore e dipende da scelte strategiche e condizioni di mercato sulle

quali non può agire217.

In entrambi i casi può sembrare che il sistema retributivo variabile

si sottragga alla regola della corrispettività: per i premi di redditività

ciò risulta evidente dalla circostanza che gli indicatori sfuggono al

controllo del lavoratore e dunque la retribuzione variabile è sciolta

dalla prestazione. Mentre per i premi di produttività, la percezione

dell’aumento salariale è incerta nell’an e nel quantum perché non

dipende dall’utilità della prestazione del lavoratore, come evidente per

i premi collettivi, in cui la produttività è valutata con riguardo alla 216 M. Roccella, Manuale, cit., p. 364.217 Cfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Diritto del Lavoro, cit., p. 260.

99

Page 100: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

prestazione di tutti i lavoratori dell’impresa o di una parte ben

identificata di essa.

In realtà il carattere della corrispettività non viene meno ma per

verificarne la ricorrenza occorre rimodulare gli indici tradizionali.

Infatti i premi di produttività remunerano l’utilità della prestazione

in relazione al risultato ottenuto mentre i premi di redditività non

determinano un aumento della retribuzione svincolato dalla

prestazione ma rivalutano la remunerazione della prestazione in

relazione ai risultati dell’impresa218.

In altri termini, analizzando con approccio relativistico gli incentivi

di redditività219, e dunque prendendo in considerazione esclusivamente

la parte variabile della retribuzione, poiché manca ogni relazione tra il

facere e l’obbligazione retributiva, potrebbe ritenersi violato il

principio costituzionale della proporzionalità. Tuttavia, l’obbligazione

retributiva deve essere considerata complessivamente come

comprendente tanto la retribuzione variabile quanto quella fissa.

Perciò fintanto che la componente variabile non assuma rilievo

preponderante potrà ritenersi sussistente una corrispettività tra

l’obbligazione del prestatore e del datore di lavoro, nonché rispettato

il principio della proporzionalità220.

Superata la questione di una possibile violazione del canone della

proporzionalità alla condizione che mantenga una posizione centrale

la natura corrispettiva dell’obbligazione retributiva, resta da capire se

l’eventuale compressione della retribuzione in esito ad eventi che

sfuggono al controllo del lavoratore possa determinare una violazione 218 Cfr. M. D’Antona, R. De Luca Tamajo, La retribuzione ad incentivi, cit., p. 7.219 Cfr. L. Zoppoli, Nozione giuridica di retribuzione, incentivazione e salario variabile, in Dir. rel. ind., 1991, 1, p. 32.220 Cfr. E. Gragnoli, Retribuzione ad incentivo e principi costituzionali, in ADL, 1995, 2, p. 224.

100

Page 101: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

del principio di irriducibilità della retribuzione desumibile dall’art. 36

Cost.

In realtà si fa osservare che tale principio riguarda esclusivamente il

criterio della sufficienza e pertanto finché permane una relazione

corrispettiva tra prestazione e retribuzione, determinata nella sua

quota fissa in misura sufficiente, non può ipotizzarsi alcuna rilevanza

della questione221.

Pertanto, finché sussistono le condizioni esposte, possono ritenersi

superate le questioni di costituzionalità dei premi variabili, anche nella

forma degli incentivi di redditività.

Superati i problemi di legittimità costituzionale, con il Protocollo

del 1993 sembra aperta la strada ad una reale diffusione della

contrattazione decentrata, in particolare di quella aziendale, e dei

premi, che ne costituiscono l’oggetto principale. Tuttavia le ricerche

hanno dimostrato la limitata diffusione della retribuzione

incentivante222.

Le ragioni di una scarsa diffusione sono molteplici (cfr. Cap. II, par.

4), alcune anche legate alla particolare congiuntura economica che ha

determinato la scarsezza delle risorse da destinare alla redistribuzione

attraverso gli incentivi. Tuttavia tra essi non si può ignorare il dato

della “convergenza fra le preferenze delle imprese e dei lavoratori” ed

in particolare la resistenza di questi ultimi ad accettare la possibilità di

221 Cfr. E. Gragnoli, Retribuzione ad incentivo, cit., p. 224.222 Cfr. P. Casadio, Contrattazione aziendale integrativa e differenziali salariali territoriali: informazioni dall’indagine sulle imprese della Banca d’Italia, in Mezzogiorno e politiche regionali, Roma, 2009, p. 93, in particolare “si è registrata una scarsa diffusione dei contratti aziendali, specie tra le piccole imprese e nel mezzogiorno. I premi di risultato variabili con le performance, adottati in gran parte dalle aziende già coperte da contrattazione aziendale, sono stati pagati in modo discontinuo e per importi ridotti, limitando la distribuzione dei peraltro limitati guadagni di produttività”.

101

Page 102: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

una riduzione dei livelli retributivi nei periodi di crisi della

produttività. Ciò, tanto più nel caso di incentivi di redditività i cui

indicatori sfuggono al potere di controllo del prestatore223.

Si può ipotizzare inoltre che la resistenza alla diffusione degli

incentivi alla produttività derivi anche dalla percezione tra tutti i

soggetti, individuali e collettivi, della difficoltà di equilibrare, nel

sistema di indicatori, l’esigenza di semplicità necessarie a dare

certezza agli obiettivi da raggiungere (e consentire un semplice

controllo ex post) con l’esigenza di tenere conto di tutte le variabili

che influenzano i comportamenti personali e organizzativi224.

Sulla base di queste premesse si può legittimamente dubitare della

riuscita del tentativo di rilanciare la contrattazione di secondo livello e

dunque dei premi di risultato che dovrebbero perseguire la finalità

redistributiva che le è propria.

Da ultimo deve essere data la necessaria rilevanza al fatto che, nella

maggior parte dei casi in cui vi la contrattazione aziendale abbia

previsto l’erogazione di premi, sono negoziate misure incentivanti di

tipo collettivo.

Ai premi collettivi la giurisprudenza prevalente equipara il caso di

concessioni unilaterali di compensi legati alla produttività a tutti o ad

una parte dei dipendenti. Queste concessioni, se presentano

determinate caratteristiche quali la ripetitività o l’assenza di riserve di

revocabilità, vengono qualificate come usi aziendali e, innescando nei

prestatori di lavoro l’affidamento sulla stabilità, sono ritenute idonee a

223 Cfr. T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Riv. it. dir. lav., 2010, I, p 648.224 Cfr. T. Treu, Le forme retributive incentivanti, cit., p 657.

102

Page 103: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

rappresentare un fatto concludente con cui il datore si assume l’

obbligo giuridico di non interromperle225.

La giurisprudenza più recente ha mutato orientamento e

abbandonato l’idea che il datore si assumesse obblighi singolarmente

con ciascuno dei percettori delle irrogazioni: secondo il nuovo corso

gli usi aziendali fanno sorgere un obbligo unilaterale a carattere

collettivo che agisce sui rapporti individuali alla stessa stregua di un

contratto collettivo226.

Negli stessi precedenti di legittimità viene anche prospettata

l’alternativa, sul piano della qualificazione giuridica, di considerare gli

usi aziendali come “fonte sociale”.

5. Meriti e premi nel pubblico impiego: cenni.

A norma dell’art. 2 comma 3, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nel

pubblico impiego i trattamenti economici possono essere attribuiti

“esclusivamente mediante contratti collettivi, o alle condizioni

previste, mediante contratti individuali”. Inoltre, a conferma della

rilevanza attribuita all’autonomia collettiva nella transizione alla

privatizzazione, il successivo capoverso prevede che “le disposizioni

di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono

incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere

efficacia a far data dall’entrata in vigore del relativo rinnovo

contrattuale”. Peraltro è previsto il riassorbimento dei trattamenti

economici più favorevoli con le modalità previste nei contratti 225 Cfr. T. Treu, Le forme retributive incentivanti, cit., p 674.226 Da ultimo v. Cass., S.U., 13 dicembre 2007, n. 26107, in Riv. it. dir. lav., 2008, II, p. 53, con nota di G. Quadri.

103

Page 104: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

collettivi, e i risparmi di spesa incrementano le risorse disponibili per

la contrattazione collettiva.

Il suddetto terzo comma pone contiene una norma generale, in forza

della quale la retribuzione è stabilita nel pubblico impiego dal

contratto collettivo, ed una norma speciale per cui, quando la legge lo

consente il trattamento economico può essere stabilito dal contratto

individuale.

Rientra in quest’ultima previsione la fattispecie di cui al comma 2

dell’art. 19 del d.lgs. 165/2001: il contratto individuale che accede al

provvedimento di conferimento dell’incarico, deve prevedere il

corrispondente trattamento economico fissato nei limiti di cui al

successivo art. 24 e può essere integrato da una indennità commisurata

alla specifica qualificazione professionale.

Inoltre le disposizioni di cui agli articoli 40 e 47-bis, come

modificati dal d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, che si collocano nel

solco della “riduzione dell’autonomia della contrattazione nella

regolazione delle retribuzioni” perseguita dalla riforma227, possono

essere considerate norme speciali rispetto all’art. 2, giusta la

previsione di cui all’art. 45228. L’art. 40 comma 3-ter ammette la

erogazione unilaterale in via provvisoria e fino alla successiva

sottoscrizione, di trattamenti economici da parte dell’amministrazione

in caso di mancato accordo sul contratto integrativo. Mentre l’art. 47-

bis prevede che, decorso un termine di sessanta giorni dalla entrata in

vigore della legge finanziaria che dispone in materia di rinnovi dei

contratti collettivi, gli incrementi previsti per il trattamento stipendiale

possano essere erogati in via provvisoria ad alcune condizioni

227 Cfr. T. Treu, Le forme retributive incentivanti, cit., p 677.228 Cfr. L. Galantino, Diritto del lavoro pubblico, Torino, 2010, p. 113.

104

Page 105: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

(deliberazione dei comitati di settore e sentite le organizzazioni

sindacali), salvo conguaglio all’atto della stipulazione dei contratti

collettivi nazionali di lavoro.

A norma dell’art. 45, spetta ai contratti collettivi definire, nei limiti

di spesa determinati a norma dell’art. 48 e inseriti con apposita norma

nella legge finanziaria, non solo i trattamenti economici principali, ma

anche quelli accessori che devono essere collegati alla performance

individuale, alla performance organizzativa con riferimento

all'amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o

aree di responsabilità in cui si articola l'amministrazione, all'effettivo

svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero pericolose o

dannose per la salute.

Il comma 2-bis prevede inoltre che le risorse che possono essere

destinate a premiare il merito ed il miglioramento delle performance,

sono solo quelle determinate dai contratti collettivi nazionali di lavoro,

nei limiti compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica. La

conseguenza della disposizione di cui al comma 2-bis è che le

amministrazioni pubbliche non possono sottoscrivere contratti

integrativi in contrasto con le previsioni del contratto nazionale, ed in

ogni caso, giusto il controllo a valle disposto dal titolo V del d.lgs.

165/2001, che comportino oneri maggiori a quelli concessi dagli

strumenti di programmazione di ciascuna amministrazione229.

La contrattazione collettiva resta dunque la fonte della disciplina

del trattamento economico dei dipendenti della p.a., pur con una

229 R. Santucci, P. Monda, Valorizzazione del merito e metodi di incentivazione della produttività e della qualità della prestazione lavorativa, in Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, a cura di L. Zoppoli, Napoli, 2009, p. 291.

105

Page 106: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

rilevante limitazione dell’autonomia a seguito della riforma del 2009

dovuta ad un aumento del tasso di regolamentazione legislativa230.

Inoltre il d.lgs. opera da un lato la centralizzazione delle regole

contrattuali relative alla retribuzione accessoria, sottoponendola ad un

sistema di valutazione delle performance stringente, e dall’altro la

funzionalizzazione della contrattazione integrativa alla efficienza e

produttività a norma dell’art. 45. Comma 2231.

Per quanto concerne la retribuzione accessoria, la riforma, che pone

al centro del processo di ottimizzazione della produttività e della

efficienza il sistema di valutazione del personale, sembra muoversi

verso una riduzione o esclusione del trattamento per quei soggetti che

vengono collocati più in basso nella graduatoria di cui all’art. 19 della

l. 150/2009232. Questa possibilità, palesata da una interpretazione

letterale dell’art. 19, viene tuttavia smentita nei fatti dalle intenzioni

manifestate dalle parti con l’Intesa tra Governo e organizzazioni

sindacali del 4 febbraio 2011 ove si legge che “le parti convengono

che le retribuzioni complessive, comprensive della parte accessoria,

conseguite dai lavoratori nel corso del 2010, non devono diminuire

per effetto dell’applicazione dell’art. 19 del d.lgs. 150 del 2009”.

L’efficacia sanzionatoria dell’art. 19, che si sarebbe concretizzata in

una diminuzione delle retribuzioni accessorie per i lavoratori con

valutazioni negative, viene posta nel nulla: dalla classificazione dei

lavoratori in base alle performance, ossessivamente sbandierata, si

230 Cfr. A. Garilli, A. Bellavista, Riregolazione legale e decontrattualizzazione: la neo ibridazione normativa del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in Lav. pub.amm., 2010, 1, p. 1 e ss.; 231 Cfr. A. Alaimo, La contrattazione collettiva nel settore pubblico tra vincoli, controlli e blocchi: dalla riforma brunetta alla manovra finanziaria 2010, in Lav. pub. amm., 2010, 2, p. 287 e ss.232 R. Santucci, P. Monda, Valorizzazione del merito, cit., p. 299.

106

Page 107: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

passa all’azzeramento di qualsiasi differenziazione retributiva. Viene

così portato a compimento il processo di smantellamento della riforma

iniziato con il blocco della contrattazione integrativa conseguente alla

manovra finanziaria del maggio del 2010.

Secondo l’accordo del 4 febbraio, le risorse destinate alla

retribuzione accessoria e soggette al criterio di distribuzione previste

al comma II del medesimo art. 19, sono quelle derivanti dal c.d.

dividendo dell’efficienza, di cui al comma 17 dell’art. 61 del d.l. 25

giugno 2008, n. 112 convertito con l. 133/2008. Vale la pena

soffermarsi ad osservare che le medesime risorse, derivanti dai

risparmi di spesa, avrebbero dovuto alimentare l’erogazione del

premio di efficienza di cui al successivo art. 27 del d.lgs. 150/2009

destinato al personale coinvolto in processi di ristrutturazione,

riorganizzazione e innovazione, dai quali siano derivati risparmi sui

costi di funzionamento delle amministrazioni, oltre che la

contrattazione integrativa233.

Per quanto concerne i premi di risultato, essi formano l’oggetto

principale della negoziazione decentrata. Quest’ultima risulta

notevolmente più diffusa di quanto avviene nel privato234 poiché

costituisce un obbligo per l’amministrazione (salva la facoltà di

determinazione unilaterale in via provvisoria del trattamento a norma

del comma 3-ter, art. 40, d.lgs. 150/2009)235.

Pur non potendosi stimare l’incidenza dei premi di risultato sulle

retribuzioni individuali236, si può ritenere che l’ampia diffusione degli

233 Cfr. U. Gargiulo, La promozione della meritocrazia, in Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, a cura di L. Zoppoli, Napoli, 2009, p. 371.234 Cfr. A. Golino, P. Minicucci, L. Tronti, Le retribuzioni dei dipendenti pubblici. Tendenze e confronti con il settore privato, in Econ.lav., 2008, 2, p. 187 e ss.235 Cfr. T. Treu, Le forme retributive incentivanti, cit., p 679.236 Cfr. T. Treu, Le forme retributive incentivanti, cit., p 680.

107

Page 108: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

stessi abbia contribuito alla crescita delle retribuzioni globali dei

dipendenti del p.i., registrata nel periodo compreso tra il 2001 e il

2006237. Tuttavia dall’analisi dei risultati delle ricerche, le quali

rilevano prassi prevalenti di appiattimento delle forme retributive

definite a livello locale unitamente alla distribuzione dei premi in

misura automatica, in modo generalizzato o al più collegato a

parametri rudimentali come la presenza sul luogo di lavoro, si può

concludere che l’istituto sia stato utilizzato esclusivamente per il

recupero dalla capacità di acquisto dei salari reali alla stregua di

quanto avvenuto nel privato.

Al fine di realizzare lo scopo primario della riforma, ovvero il

miglioramento dell’ efficienza e produttività, il d. lgs. n. 150 ha

vietato la distribuzione a pioggia dei premi e assoggettato l’erogazione

degli stessi al “ciclo di gestione della performance”, perseguendo un

obiettivo apprezzabile con strumenti di cui non si è mancato di

rilevare ambiguità e possibili inadeguatezze238.

Si deve osservare, tuttavia, come la verifica della funzionalità della

riforma, prima ancora che la sua utilità possa essere dimostrata, rischia

di essere compromessa, o quantomeno rinviata, per effetto del blocco

della contrattazione integrativa determinato dalla manovra finanziaria

varata nel maggio del 2010. Infatti l’art. 9 del d.l. 31 maggio 2010, n.

78, convertito con l. 30 luglio 2010, n. 122, in funzione di

contenimento della spesa pubblica, dispone che “per gli anni 2011,

2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli

237 Cfr. A. Golino, P. Minicucci, L. Tronti, Le retribuzioni dei dipendenti pubblici, cit. p. 197.238 Cfr. S. Battini, B. Cimino, La valutazione delle performance nella riforma Brunetta, in Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, a cura di L. Zoppoli, Napoli, 2009, p. 255 e ss.; B. Giorgio Mattarella, Incentivi e sanzioni nel pubblico impiego, in Riv. trim. dir. pubbl., 2009, 4, p. 939 ess.

108

Page 109: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il

trattamento accessorio” “non può superare, in ogni caso, il trattamento

in godimento nell'anno 2010”.

Bibliografia

109

Page 110: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

AA.VV., Commissione per la verifica del Protocollo del 23 luglio

1993. Relazione finale, in Econ. Lav., 1998, 3, p. 99 e ss;

AA.VV., Il problema dei c.d. “automatismi retributivi”: questioni

giuridiche e orientamenti sindacali, in Riv. giur. lav. prev. soc., 1977,

6, parte I, p. 495;

AA.VV., La disdetta della scala mobile: quali problemi giuridici?, in

Riv. giur. lav. prev. soc., 1982, I, p. 527;

AA.VV., La retribuzione. Struttura e regime giuridico, a cura di B.

Caruso, C. Zoli, L. Zoppoli, Napoli, 1994;

AA.VV., Le riforme che mancano, a cura di C. Dell’Aringa e T. Treu,

Roma, 2009;

AA.VV., Retribuzione, costo del lavoro, livelli della contrattazione, a

cura di R. Brunetta, Milano, 1992;

AA.VV.,Valorizzazione del merito e metodi di incentivazione della

produttività e della qualità della prestazione lavorativa, in Ideologia e

tecnica nella riforma del lavoro pubblico, a cura di L. Zoppoli,

Napoli, 2009;

Acocella N., Leoni R., La riforma della contrattazione:

redistribuzione perversa o produzione di reddito?, in Riv. it. econ.,

2010, 2, p. 237;

Alaimo A., Gli incentivi retributivi nell’industria, in Retribuzione

incentivante e rapporti di lavoro, ricerca diretta da L. Zoppoli,

Milano, 1994;

Alaimo A., La contrattazione collettiva nel settore pubblico tra

vincoli, controlli e blocchi: dalla riforma brunetta alla manovra

finanziaria 2010, in Lav. pub. amm., 2010, 2, p. 287;

Alaimo A., Sistemi partecipativi e incentivanti di retribuzione:

l’evoluzione storica in Italia, in Dir. rel. ind., 1991, 1, p. 18;

110

Page 111: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Albi P., La contrattazione sindacale nella programmazione negoziata

per lo sviluppo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2001, 91, p. 453;

Alleva P., Il tramonto degli automatismi salariali, in Pol. dir., 1982,

3, p. 423;

Alleva p., L’accordo del 23 luglio 1993: un’analisi critica, Riv. giur.

lav. prev. soc., 1993, I, p.243;

Alleva P., La questione della scala mobile, in Riv. giur. lav. prev.

soc.,1992, I, p. 1;

Alleva P., voce automatismi salariali, in Dig. IV, disc. priv. sez.

comm., II, Torino, 1987, p. 1;

Angiello L., La retribuzione, Milano, 1990;

Antignani A., Riflessioni su retribuzione, parità di trattamento,

automatismi e art. 36, 1° comma della costituzione, in Riv. giur. lav.

prev. soc., 1981, I, p.277;

Barassi L. Il diritto del lavoro, Milano, 1949;

Bavaro V., Contrattazione collettiva e relazioni industriali

nell’archetipo Fiat di Pomigliano d’Arco, dattiloscritto in corso di

pubblicazione su Quad. rass. sind., Adapt, boll. spec. 2011, 44;

Bellavista A., I contratti di riallineamento retributivo e l’emersione

del lavoro sommerso, in Riv. giur. dir. lav. prev. soc., 1998, I, p. 93;

Bellavista A., I contratti di riallineamento retributivo,sub art. 23 l. 24

giugno 1997, n. 196, in Le nuove leggi civili commentate, a cura di M.

Napoli, Padova, 1998;

Bellocchi P., Sub art. 39 Cost., in Diritto del lavoro, a cura di G.

Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, Milano, 2009, p. 347;

Bellomo S., Retribuzione sufficiente e autonomia collettiva, Torino,

2002;

111

Page 112: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Bellomo S., Sub art. 36 Cost., 2099, 2100, 2101, 2102 c.c., in Diritto

del lavoro, a cura di G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, Milano,

2009;

Bianchi D’Urso, Spunti critici in tema di onnicomprensività e

continuità della retribuzione, in Riv. it. dir. lav., 1983, I, p. 393,

Bonaretti L., L’equa retribuzione nella costituzione e nella

giurisprudenza, Milano, 1994;

Bottai G., La Carta del Lavoro, Roma, 1927;

Carinci F., De Luca Tamajo R., Tosi P., Treu T., Il rapporto di lavoro

subordinato, Torino, 2006;

Carinci F., Scala mobile, si o no (Storia tormentata senza eredità), in

Giur. it., 1993, IV, p.193;

Carinci F., Se quarant’anni vi sembran pochi: dallo Statuto dei

lavoratori all’Accordo di Pomigliano, in ADL, 2010, 3, p. 581;

Carnelutti F., Contratto collettivo, in Dir. lav., 1928, I, p. 184 e ss;

Casadio P., Contrattazione aziendale integrativa e differenziali

salariali territoriali: informazioni dall’indagine sulle imprese della

Banca d’Italia, in Mezzogiorno e politiche regionali, Roma, 2009;

Cassì V., La retribuzione nel contratto di lavoro, Milano, 1951;

Castro M., Partecipazione, contrattazione, remunerazione: il caso

Zanussi, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1996, 3, p.609;

Cella G. P., Dopo Pomigliano, in Il Mulino, 2010, 5, p.

Cella G.P. – Treu T., Le nuove relazioni industriali, Bologna, 1998;

Cella G.P., Determinanti e effetti sociali della struttura salariale, in

Quaderni dir. lav. rel. ind., 1998;

Cessari A., L’invalidità del contratto di lavoro per violazione dell’art.

36 Cost., in Dir. lav., 1951, II, p.200;

112

Page 113: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Ciucciovino S., Autonomia collettiva e funzioni della retribuzione, in

ADL, 1995, 2, p. 207;

Ciucciovino S., Il premio di risultato nel contratto collettivo dei

metalmeccanici, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1996, 3, p.551;

D’Antona M., Appunti sulle fonti di determinazione della

retribuzione, in Riv. giur. dir. lav. rel. ind., 1986, I, p. 393;

D’Antona M., Il protocollo sul costo del lavoro e l’”autunno freddo”

dell’occupazione, in Riv. it. dir. lav., 1993, I, p.411;

D’Antona M., Le nozioni giuridiche della retribuzione, in Giorn. dir.

lav. rel. ind., 1984, 22, p. 269;

D’Antona M., R. De Luca Tamajo, La retribuzione ad incentivi:

introduzione, in Dir. rel. ind., 1991, 1, p. 5;

De Cristofaro M. L., La giusta retribuzione, Bologna, 1971;

De Luca M., Clausole generali e rapporto di lavoro, in Dir. lav.,

1994, I, p. 25;

De Luca Tamajo R., Accordo di Pomigliano e criticità del sistema di

relazioni industriali italiane, in Riv. it. dir. lav.,2010, I, p. 797 e ss.;

De Luca Tamajo R., Per un controllo sindacale della retribuzione, in

Pol. dir., 1982, 3, p. 347;

Del Punta R., L’economia e le ragioni del diritto del lavoro, in Giorn.

dir. lav. rel. ind., 2001, 1, p. 3;

Dell’Aringa C., Le nuove relazioni industriali, la partecipazione e la

sicurezza sul lavoro, in Review of Economic Conditions in Italy, 2010,

1, p. 124.

Dell’Olio M., La retribuzione, in Trattato di diritto privato diretto da

P. Rescigno, Torino, 1986;

Dell’Olio M., Retribuzione, quantità e qualità di lavoro, in ADL,

1995, 2, p. 1;

113

Page 114: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Di Majo A., Aspetti civilistici della obbligazione retributiva, in Riv.

giur. lav. prev. soc., I, 1982, p. 393;

F. Santoro-Passarelli, Cottimo, in Novissimo Digesto italiano, Torino,

1957;

Ferrante V., L’accordo interconfederale dell’aprile del 2009 di

riforma del sistema della contrattazione collettiva: brevi note, in ADL,

2009, 4-5, p. 1020;

Ferraro G., Poteri imprenditoriali e clausole generali, in Dir. rel. ind.,

1991, 1, p. 159;

Ferraro G., Retribuzione e assetto della contrattazione collettiva, in

Riv. it. dir. lav., 2010, I, p. 694;

Fiorillo L., La nuova struttura della retribuzione nel lavoro pubblico,

in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1996, 3, p.483;

Galantino L., Diritto del lavoro pubblico, Torino, 2010;

Galantino L., Sui trattamenti retributivi individuali più favorevoli, in

Riv. it. dir. lav., 1980, I, p. 153;

Garilli A., Bellavista A., Riregolazione legale e

decontrattualizzazione: la neo ibridazione normativa del lavoro nelle

pubbliche amministrazioni, in Lav. pub.amm., 2010, 1, p. 1;

Garilli A., Il lavoro nel sud, Torino, 1997;

Garilli A., Le categorie dei prestatori di lavoro, Napoli, 1988;

Ghera E., Retribuzione, professionalità e costo del lavoro, in Giorn.

dir. lav. rel. ind., 1981, 11, p. 401;

Giugni G., Introduzione, in M. De Cristofaro, La Giusta retribuzione,

Bologna, 1971, p. 9.

Giugni G., Organizzazione dell’impresa ed evoluzione dei rapporti

giuridici. La retribuzione a cottimo, in Riv. it. dir. lav., 1968, I, p.3;

114

Page 115: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Golino A., Minicucci P., Tronti L., Le retribuzioni dei dipendenti

pubblici. Tendenze e confronti con il settore privato, in Econ.lav.,

2008, 2, p. 187 e ss;

Gragnoli E., Retribuzione ad incentivo e principi costituzionali, in

ADL, 1995, 2, p. 221;

Grandi M., Osservazioni critiche sulla prestazione gratuita di lavoro

subordinato, in ADL, 2000, 1, p. 439;

Guidotti F., La retribuzione nel rapporto di lavoro, Milano, 1956;

Hernandez S., I principi costituzionali in tema di retribuzioni, in Dir.

lav., 1997, I, p.153;

Ichino P., Il contratto di lavoro, II, in Trattato di diritto civile e

commerciale diretto da A. Cicu, F. Messineo, continuato da L.

Mengoni, Milano, 2003;

Ichino P., La nozione di “giusta retribuzione” nell’art. 36 della

costituzione, in Riv. it. dir. lav., I, 2010, p. 717;

Lambertucci P., Determinazione giudiziale della retribuzione, minimi

sindacali e condizioni territoriali, in ADL, 1995, 1, p. 201;

Lassandari A., Il contratto collettivo aziendale e decentrato, Milano,

2001;

Lassandari A., Le nuove regole sulla contrattazione collettiva:

problemi giuridici e di efficacia, in Riv. giur. lav. prev. soc., 2010, 1,

p. 45;

Liebman S., Individuale e collettivo nel rapporto di lavoro: il

problema degli usi aziendali, in Dir. rel. ind., 1991, 1, p. 60;

Magnani M., Dopo Mirafiori, cosa?, in Boll. ord. ADAPT, 17 gennaio

2011;

Magnani M., I nodi attuali del sistema di relazioni industriali e

l’accordo quadro del 22 gennaio 2009, in ADL, 2009, 6, p. 1279;

115

Page 116: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Marinelli M., Il diritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente:

problemi e prospettive, in Arg. Dir. lav., 2010, I, p. 86;

Mengoni L., L’argomentazione nel diritto costituzionale, in

Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996;

Mengoni L., Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. crit.

dir. priv., 1986, 1, p.5;

Messina G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del

lavoro, in Riv. dir. comm., 1904, I, p. 458;

Mortillaro F., voce Retribuzione. 1) Rapporto di lavoro privato, in

Enc. Giur., Roma, 1991;

Napoletano D., Natura ed efficacia della norma di cui all’art. 36, co.

1 Cost. e sua rilevanza, in Mass. giur. lav., 1951;

Natoli U., Ancora sull’art. 36 della Costituzione e sulla sua pratica

applicazione, in Riv. giur. lav., 1952, II;

Paolazzi L., Rapacciulo C., Scapperrotta L., Più retribuzioni e più

produttività: lo scambio per la crescita. Gli effetti positivi del sistema

che decentra la negoziazione, Nota del Centro Studi di Confindustria,

n. 08-5 del 29 Gennaio 2009;

Pasetti G., Parita di trattamento, , in Enc. Giur., Roma, 1991;

Pera G., La giusta retribuzione dell’art. 36 della Cost., in Dir. lav.,

1953, I, p. 99, ripubblicato in Scritti di Giuseppe Pera, Milano, 2007,

Vol. I;

Perone G., Retribuzione, in Enc. dir.,Milano, 1989, vol. XL;

Persiani M., I nuovi problemi della retribuzione, Padova, 1982;

Pessi R., Retribuzione. 3) Nuove forme, in Enc. Giur. Treccani,

XXVII, 1991;

Piccinini I., Retribuzione ed equità, in ADL, 1995, 2, p. 227;

116

Page 117: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Pugliatti S., La retribuzione sufficiente e le norme della Costituzione,

in Riv. Giur. Lav., 1950, I, p. 189;

Ricci M., Il protocollo del 23 luglio 1993 sul costo del lavoro: verso

l’istituzionalizzazione delle relazioni industriali?, in Riv. giur. lav.

prev. soc., 1993, I, p. 279;

Ricci M., L’accordo quadro e l’accordo interconfederale del 2009:

contenuti, criticità e modelli di relazioni industriali, in Riv. it. dir.

lav., 2009, I, p. 353;

Ricci M., Le forme di incentivazione del lavoro nella contrattazione

aziendale (1968-1974), in Riv. giur. lav. prev. soc., 1975, I, p.665;

Ricciardi M., Politiche retributive e relazioni industriali negli anni

‘90, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1996, 3, p.397;

Riva Sanseverino L., Commento sub art. 2099, in Commentario del

codice civile a cura di A. Scialoja, G. Branca, Bologna-Roma, 1986;

Riva Sanseverino L., Salario minimo e salario corporativo, Roma,

1931;

Roccella M, Azione sindacale e politica dei redditi: appunti

sull’accordo triangolare del 23 luglio 1993, in Riv. giur. lav. prev.

soc., 1993, I, p.263;

Roccella M., I salari, Bologna, 1986;

Roccella M., Manuale di diritto del lavoro, Torino, 2010;

Roccella M., Oltre l’indicizzazione dei salari. Una risposta a

Piergiovanni Alleva, in Lav. Dir., 1993, 3, p.425;

Roccella M., Politiche retributive e livelli della contrattazione

collettiva, in Quaderni dir. lav. rel. ind., 1998;

Romagnoli U., Per ricordare Gino Giugni, in Riv. it. dir. lav., I, 2010,

p. 627;

117

Page 118: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Santoro-Passarelli G., Efficacia soggettiva del contratto collettivo:

accordi separati, dissenso individuale e clausola di rinvio, in Riv. it.

dir. lav., 2010, 3, p. 487;

Santucci R., L’art. 36 della costituzione, la parità retributiva e

l’autonomia negoziale, in ADL, 1995, 2, p. 241;

Santucci R., Le retribuzioni incentivanti nel pubblico impiego, in

Giorn. dir. lav. rel. ind., 1996, 3, p.501;

Scarpelli F., Retribuzione e vicende di trasformazione dell’impresa:

problemi e limiti di disponibilità dei livelli retributivi in sede

sindacale, in ADL, 1995, 2, p. 247;

Scognamiglio R, Sull’applicabilità dell’art. 36 della Costituzione in

tema di retribuzione del lavoratore, in Foro civ., 1951 ripubblicato in

Scritti giuridici, Napoli 1996, pagg. 1033;

Tarantelli E., Economia politica del lavoro, Torino, 1986;

Treu T., Commento sub art. 36, in Commentario della Costituzione, a

cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1979, p. 72;

Treu T., L’accordo del 23 luglio 1993: assetto contrattuale e struttura

della retribuzione, in Riv. giur. lav. prev. soc., 1993, I, p.215;

Treu T., La retribuzione: il quadro istituzionale, in Quaderni dir. lav.

rel. ind., 1998;

Treu T., Le forme retributive incentivanti, in Riv. it. dir. lav., I, 2010,

p. 637;

Treu T., Onerosità e corrispettività nel rapporto di lavoro, Milano,

1968;

Treu T., Problemi giuridici della retribuzione, in Giorn. dir. lav. rel.

Ind., 1980, 5, p. 1;

118

Page 119: iris.unipa.it · Web viewCfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2006, p. 246.. Infatti tutte le volte che si renda necessario

Tronti L., La nuova regolazione della retribuzione: aspetti economici

ed effetti sulle relazioni industriali, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1996,

3, p.429;

Veneziani B., Vardaro G., La rivista di diritto commerciale e la

dottrina giuslavoristica delle origini, in Quad. fior., 1987, 16, p. 454 e

ss.;

Villani G., La questione retributiva: problemi di merito, in Quaderni

dir. lav. rel. ind., 1998;

Webb S., Webb B., Industrial democracy, Edimburgo, 1897

Zoli C., La giurisprudenza sui concorsi privati tra logiche

pubblicistiche e strumenti civilistici: oscillazioni e aggiustamenti, in

Riv. it. dir. lav., 1992, I, p. 11;

Zoli C., Retribuzione (impiego privato) in Dig. disc. priv. sez. comm.,

XIII, Torino, 1996, p. 430;

Zoppoli L., Accordi sindacali sul salario variabile nell’industria e

rapporti di lavoro, in Retribuzione incentivante e rapporti di lavoro,

ricerca diretta da L. Zoppoli, Milano, 1994;

Zoppoli L., Nozione giuridica di retribuzione, incentivazione e salario

variabile, in Dir. rel. ind., 1991, 1, p. 32;

Zoppoli L., Retribuzione, politiche dei redditi e tecniche regolative, in

Giorn. dir. lav. rel. ind., 1996, 3, p.357;

Zoppoli l., Spunti per un dibattito, in ADL, 1995, 2, p. 187.

119