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Ischiacity n°29

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Magazine di moda e stili di vita

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- D I R E C T O R

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NATO QUASI AD ISCHIA

Molti mi chiedono perché mi spenda tanto per quest’isola: ve lo spiego, ma per farlo devo raccontarvi una storia. Di molti anni fa.Agosto 1962, l’anno dell’apertura del Concilio Vaticano II, della morte di Marilyn Monroe e del presidente dell’ENI Enrico Mattei, dell’elezione di Segni alla presidenza della Repubblica, dell’Oscar a Sophia Loren per La Ciociara.Ischia, un’isola parecchio diversa da quella che è oggi. Poche linee telefoniche (pochissime, in verità), minori collegamenti con la terraferma, poche barche di stazza nel porto. Alla riva destra, esattamente di fronte a dove si trova ancora adesso, dopo tanti anni, il ristorante di Gennaro Rumore, c’era una bitta, ad essa era ormeggiato l’Euris, uno yacht di 16 metri in mogano, due motori da 500 cavalli ciascuno.Il proprietario, Eugenio (l’acronimo “Euris” era ricavato dalle lettere iniziali di Eugenio, Rita, Simona) si trovava a Napoli: Rita era sua moglie, era in sala parto, in una clinica di Posillipo, per partorire il maschio desiderato, Riccardo. Simona, la figlioletta, era rimasta ad Ischia, in-sieme al resto della famiglia. Eugenio è al settimo cielo, ama infinitamente Rita, ama la sua famiglia, ama il suo lavoro, ama la vita. Rita partorisce un bel maschietto, il parto fila liscio, Eugenio è felice: prende il primo aliscafo per tornare ad Ischia, raccogliere Simona che ha due anni e riportarla con sé a Napoli per salutare il nuovo arrivato. Il tempo di prendere l’aliscafo e di fare la traversata… Ma la vita non ha regole e il copione della storia d’amore può trasformarsi in una cupa tragedia nel tempo del battito d’ali d’una farfalla.

All’epoca non esistevano i cellulari: avvisare tempestiva-mente non era così facile, no, proprio non lo era! Eugenio prende con sé Simona, sale a bordo dell’Euris e salpa per Napoli, per ritrovarsi con Rita e Riccardo.A Napoli qualcuno si accorge di una grande macchia ros-sa sul lenzuolo di Rita, un’emorragia inarrestabile. E’ pieno agosto, la città è semideserta: corsa per le farmacie e i pronto soccorso a cercare sacche di plasma. Niente da fare. Rita capisce che sta morendo: si addormenta lenta-mente, sfinita dal dissanguamento, la vita di Riccardo le è costata la sua. Chiuderà gli occhi senza rivedere Eugenio, Simona, null’altro…Quando l’Euris attracca a Mergellina è primo pomeriggio: Eugenio va in taxi alla clinica, percorrendo il corridoio che lo separa dalla stanza di Rita incontra gli infermieri ed i medici che lo guardano prima incuriositi, poi chinano il capo. Capisce. Quel giorno morì Rita ma morì anche Eugenio, le sopravvisse diciotto anni, ma furono anni di lacerante dolore intimo. L’Euris non ormeggiò mai più alla bitta di fronte al ristorante Gennaro: fu venduto perché ritenuto non sufficientemente veloce. Chissà, se Eugenio fosse arrivato prima magari avrebbe potuto fare qualcosa, perlomeno baciarla un’ultima volta!Riccardo fu condotto ad Ischia insieme a Simona e lì vis-se i suoi primi mesi, per poi essere affidato a dei parenti romani.Sono nato nel 1962, ed il mio nome lo conoscete, questa era la storia dei miei primi istanti di vita: già allora Ischia mi protesse e mi accolse, allontanandomi dalla città tra-gica. E’ per questo che amo Ischia: è sempre stata il mio nido protettivo.

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retemobile 347.6197874

direttoreresponsabile

riccardosepevisconti

N°29, anno 2011

registrazione tribunale di

napoli, n°5 del 5 febbraio

2005

stampa

tipografia tipolito epomeo,

via torrione, 40 forio

- SUMMARY

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>FASHION09 Valeriya Troyatska

>EVENT16 L’isola delle star87 Ischia in festival

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09 67 58 18 34 53

>STORY18 Un grande amore

nato ad Ischia

>CULTURE26 Marco De Marco81 Tra canne e salici

>COVER37 Romina Di Costanzo

>ART67 Gli affreschi disvelati76 Il “cascione” di Franco

>SPECIAL58 Nel bene e nel male

>FOOD78 Le emozioni di Nino

>POLITICS34 L’assessore non convenzionale

80 Sapori genuini

>MUSIC89 Valerio Sgarra

>WINE42 Piccoli vigneti, grandi tesori

>LIFE88 Il bivio interiore

106 Igor Monti

>HISTORY70 Garibaldi a Casamicciola

53 Nicoletta Del Prete

>TOURISM30 Credo nei tedeschi32 La roulette russa

>BOYS & GIRLS90 Under 18

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General Coordination: Riccardo Sepe ViscontiPhoto & AD: Enzo RandoModel: Valeriya TroyatskaMake Up: Nancy Tortora per Aglaia, IschiaHair: Cristian Sirabella per Le donne di Picasso, IschiaDress & Shoes: La Caprese Più Donna, IschiaJewelry: Maja Gioielli, Ischia PonteAssistant: Raffaella IaconoLocation: Zaro, ForioSpecial Thanks: Gianni Polverino

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Pic_ Abito corto con bustier Blumarine; collana a fiori in quarzo citrino, perle, rubini e diamanti Luise, bracciale e orecchini in oro, ambra e perle Idea Coral.

\Pic_ In apertura: tuta Roberto Cavalli; collana in agata verde ed onice nero Luise, orecchini in onice nero, giada ed oro e anello in argento e pietre dure Idea Coral.

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Pic_ \ Abito in pizzo nero Dolce & Gabbana, scarpe Gucci; collana e orecchini in ametista e perle barocche, anello in onice, ametista e diamanti Luise; anello in argento dorato e quarzo idrotermale Raso.

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Pic_ Camicia e shorts Blumarine, zocco-letti Dolce & Gabbana; orecchi in argento dorato Raso, orologio Guess, bracciali in oro Urigold.

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Pochi giorni dopo l’intervista a Pascal Vicedomini, fonda-tore e produttore dell’Ischia Global Film & Music Fest, non appena sono stato nominato assessore a Turismo, Cultura, Spettacolo e Comunicazione per il comune di Casamiccio-la Terme, ho presentato come mia prima delibera in giunta il protocollo di partenariato con il Global Fest, poiché de-sidero a tutti i costi che Casamicciola partecipi a questo evento così importante per l’immagine dell’isola.

Quali novità ci riserva la nona edizione dell’Ischia Global Fest? Lavoriamo per consolidare i rapporti con le parti più qua-lificate dell’isola, infatti il successo avuto da Ischia presso i grandi opinion makers internazionali che sono arrivati in occasione del Global Festival, ha fatto crescere di anno in anno l’interesse per l’isola che pian piano ha dimostrato di apprezzare il mondo del cinema che per una settimana si riunisce qui. Noi, come media, ci impegniamo costan-temente per farla conoscere. Devo dire che è sempre più sorprendente la capacità che ha Ischia di attrarre e legare a sé i grandi personaggi internazionali. L’attività di Pascal Vicedomini quanto giova all’immagine di Ischia nel mondo?Non sta a me dirlo. Io so solo che basta andare a con-frontarsi con la comunità ischitana che c’è in California e chiedere quello che abbiamo fatto, basta vedere il nu-mero di personalità che annualmente si ritrovano qui per capire il tipo di successo che abbiamo ottenuto. Il Global Fest per una settimana rende Ischia alternativa a Saint Tropez - il massimo che si possa desiderare in fatto di vacanze - visto che molti personaggi famosi raggiungono la località francese prima o dopo il nostro evento. Il lavoro che facciamo con i Sindaci ha grande importanza e ha riqualificato l’isola: nel 2003, quando iniziammo, aveva un’immagine molto offuscata, era considerata meta per vecchi o di persone non esattamente raccomandabili. Ora, invece, è l’isola delle star: è sufficiente andare sul sito dell’Ischia Global Festival e vedere le gallery delle di-

verse edizioni e ci si rende conto di chi è passato nell’isola in otto anni. Possiamo dire, senza mezzi termini, che il Global Film Festival è una delle feste del cinema più im-portanti che si fa al mondo?Certo e consideriamo, poi, che non paghiamo gli artisti e abbiamo mezzi limitati che gestiamo nel migliore dei modi, tanto che ormai il festival mi dà serenità. Un tempo ero costantemente preoccupato; ora non è così, anche nel momento più difficile, come fu il 2009 quando la crisi si è fatta sentire parecchio, c’è stata una partecipazione notevole di giovani artisti, un fermento, un successo con-tinuo. Nove anni fa ospitammo Jerry Batler che nessuno conosceva, adesso ha un’immagine più forte, addirittura, di quella di George Clooney. Lo scorso anno è stato qui Jeremy Renner e leggo oggi sul Corriere della Sera che sostituirà Matt Damon in “The Born Legacy”. Ci piace invitare giovani attori in ascesa così che sia significati-va la loro presenza, ma anche tutti i più grandi registi di Hollywood da Oliver Stone a Steven Frears, Bill Jordan, Alan Parker, Taylor Hudford, Joel Schumacher, Liv Da-niels, hanno parlato con grande entusiasmo del festival e vorrebbero tornare. Quest’anno Trudie Styler, dopo essere stata al Global Fest anche col marito Sting, sarà il nostro presidente: è una donna molto impegnata nel sociale, di grande carisma. Vogliamo puntare molto sulla promozione dell’isola presso gli inglesi e Trudie mi sembra la persona ideale per il ruolo di portavoce. L’idea forte che ha fatto sì che il festival si diffondesse nel mondo è proprio aver coinvolto come protagonisti nella squadra i grandi perso-naggi. Ovunque vada a chiedere sostegno a grandi artisti, magari già venuti, accettano subito. Questo lo si deve non solo alla straordinaria ospitalità che riservano realtà come l’Albergo della Regina Isabella, ma anche al fascino intrin-seco dell’isola. C’è grande consapevolezza del fatto che il livello qualitativo si sta alzando, c’è orgoglio. Se l’isola riuscisse ulteriormente ad autodisciplinarsi, sarebbe una meta ambitissima: Ischia, infatti, ha una marcia in più, una ricchezza costituita da luoghi bellissimi e da strutture

accoglienti e curate. Ischia va a 100 all’ora, tu a 110. La politica regio-nale, invece...In realtà, Ischia va molto più veloce di me. La politica, invece, cambia e nel cambiamento deve vederci chiaro sul passato. Nel frattempo, accade che anche gli eventi consolidati subiscano una battuta d’arresto nella consi-derazione dei politici, ed è un peccato perché chi più ne risente è Ischia. L’Ischia Global Fest non è in discussione, è diventato così forte che non ha bisogno dei finanzia-menti regionali, ma siamo ben coscienti che grazie ad essi si può ampliare l’eco mondiale. Tutti i finanziamenti, infatti, sono destinati alla tv e all’advertising sui giornali internazionali. Ma ci vorrebbe un ufficio di comunicazione trasversale per la Campania, che non dipenda dall’una o dall’altra parte politica e che si occupi davvero della pro-mozione dell’evento. Il Bando regionale per l’attribuzione dei finanzia-menti si esprime chiaramente a favore di tutte le manifestazioni che riescono a trasmettere un’immagine diversa rispetto a quella che è sta-ta data dai media, per note vicende che hanno riguardato la Campania. Trovo incredibile che ogni volta si stia a rinegoziare l’importanza del tuo festival. Possibile che cambia la politica e dobbiamo spiegare ogni volta ciò che si sta fa-cendo per Ischia? Molto spesso, purtroppo, la politica non dà peso al merito, è una vecchia mentalità sbagliatissima che appartiene a chi ci governa. Per fortuna, lo ripeto, non è in discussione che si faccia il festival, visto il consenso che ha, anche da parte degli imprenditori. Ma, in questo modo, viene penalizzata l’eco positiva di cui l’isola avrebbe bisogno. Quanta gente, nel mondo, vede le immagini di Ischia e del Global?E’ un calcolo che non si può fare. Ciò che conta non è l’audience, ma la capacità di raggiungere il pubblico e, soprattutto, la mia serenità nel sapere che, pur non aven-do ancora organizzato molto, comunque andrà bene. Non avendo ancora certezze economiche, infatti, non mi sco-pro molto, per non correre il rischio di investire tutti i mez-zi che ho invitando persone che sono meno funzionali di altre alla riuscita dell’evento e alla sua ricaduta mediatica. Non invito i miei ospiti per simpatia o antipatia, è chiaro, tutto quello che faccio è finalizzato alla strategia del fe-stival. Recentemente, un mio grande amico, Pupi Avati, ha scritto un pezzo nel quale ha ammesso una iniziale titubanza nei miei confronti come organizzatore, scopren-dosi invece, successivamente, un mio grande fan. Sai, quando non sei conosciuto e vedono che trasmetti tutto questo entusiasmo, la gente è perplessa: nel momento in cui, però, si rendono conto della qualità del pensiero che comunichi, prevale quello. Secondo me il merito è l’unico metro in base al quale si può andare avanti nel tempo: la mia non è una sfida sui 100 metri, lavoro su tempi lunghi, investendo negli anni. Siamo oggi alla 15esima edizione di Capri-Hollywood, alla nona dell’Ischia Global Festival, alla sesta di Los Angeles-Italia. Sono attività che hanno una loro continuità e questo in barba a chi pensa che tu sia simpatico o meno giudicandoti, magari, da un sorriso dato o non dato. Quello che conta è fare le cose bene. Se alla fine, oggettivamente, fai un buon lavoro, potranno giudicarti in qualsiasi modo ma non potranno negare che sei bravo.Hai mai pensato di fare qui, d’inverno, una ribat-tuta del festival di Capri?E’ la Regione che dovrebbe pensarci, ma purtroppo ha una politica turistica molto confusionaria e, a complicare le cose, ci si mettono i tempi molto stretti con cui operano i politici. E’ un peccato che le eccellenze non vengano sal-vaguardate. Ischia, Capri, Napoli, e così molte altre mete campane, avrebbero la possibilità di vivere di turismo tut-to l’anno: la gente, però, ha erroneamente interpretato le potenzialità che ha questa Regione nel settore turistico. Quando vedo i ristoranti e gli chalet sorti sul lungomare di Napoli, da Piazza Vittoria fino all’albergo Excelsior, sono felicissimo: questa è la vocazione della città, un ristoranti-no accanto all’altro e non negozi di divani e di auto, come era in quella zona fino a un po’ di anni fa. È questo ciò a cui dobbiamo tendere e sono convinto che, pian piano, la

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Interview: Riccardo Sepe ViscontiPhoto: Archivio Ischiacity

L’ISOLA DELLE STAR

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gente si riapproprierà di idee imprenditoriali che mirano al miglioramento del territorio avendo a cuore la salva-guardia delle sue peculiarità. In questa direzione, ha dato un grandissimo esempio Diego Della Valle, che costante-mente sostiene il festival Capri-Hollywood, sta investendo 25 milioni di euro sul Colosseo e si è detto disponibile a farlo anche su Pompei. E’ una lezione che dà a tutti gli imprenditori campani che hanno paura di impegnare del denaro su attività turistico-culturali nella Regione per non “esporsi troppo”. Come dimostra Della Valle, investire sul Colosseo paga, investire su Pompei potrebbe pagare, investire su Ischia pagherebbe sicuramente.

Pic_ Nelle immagini, alcuni protagonisti dell’Ischia Global Fest e il produttore Angelo Rizzoli con Charlie Chaplin a Ischia nel 1957, quando fu proiettato in anteprima mondiale il suo film “Un re a New York”. A Chaplin l’edizione 2011 del Festival dedica un omaggio.

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Text: Lucia Elena VuosoPhoto: Archivio Garbaccio

UN GRANDE AMORE NATOA ISCHIA

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Fotografie. Ricordi di momenti lontani, di emozioni dimenticate che riaffiorano, di luoghi familiari eppure cambiati dal tempo trascorso. Impressioni di volti e di attimi, incisi sulla pellicola e lasciati in un cassetto. Fotografie, che ci si ritrova tra le mani quando si sta cer-cando di mettere ordine qua e là e ci si perde dentro di esse, annusando profumi, gustando sensazioni, rivivendo episodi. Per caso, per coincidenza, per un segno del destino si materializzano davanti ai nostri occhi ritratti di persone che non ci sono più, immagini così ben definite da rendere tangibile la bellezza dei soggetti e la precisione della tecnica, così reali da suscitare un’immensa curiosità in chi le guarda, cercando di catturare all’interno di esse particolari, momenti di vita e retroscena… E questo è esattamente quello che è accaduto qualche settimana fa all’intera redazione di Ischiacity, quando si sono rivelate le figure di Liz Taylor e Richard Burton, di Cleopatra e Marco Antonio e di una storica battaglia combattuta su un enorme set cinematografico ai piedi del Castello Aragonese. E dopo essere stati rapiti da atmosfere d’altri tempi, ritorniamo al presente, cercando di carpire il maggior numero di informazioni possibile dagli abitanti di Ischia Ponte e Cartaromana, dal-le numerose comparse provenienti da tutta l’isola e dai semplici curiosi che hanno vissuto le riprese in prima persona. Scopriamo così che le foto appartengono a Franco Garbaccio, che ha vissuto nella casa che attualmente ospita la redazione di Ischiacity e che ha parte-cipato alla produzione dello spettacolare lungometraggio americano del 1962, ricevendo in regalo le meravigliose immagini di backstage. Grazie ai flashback di Francesco Buono, Ciro Carcaterra, Roberto Ielasi, Katia Massaro e Rosalia Taliercio ci ritroviamo catapultati in quella torrida estate degli anni ’60, quando Ischia è stata teatro non solo del secondo kolossal più costoso al mondo, la cui realizzazione da 44 milioni di dollari mandò quasi in fallimento la 20th Century Fox Production, ma anche e soprattutto il set di una delle storie d’amore più romantiche e allo stesso tempo tormentate di tutti i tempi.Liz Taylor e Richard Burton si conobbero, infatti, proprio durante le riprese di “Cleopatra” e ci piace pensare che sia stata la magia dell’isola a farli innamorare. Di sicuro, le tante bellezze mediterranee sono state motivo di aspra gelosia per la diva dagli occhi viola che spesso e volentieri ha deliziato con scenate e teatrini sia turisti che ischitani. E’ capitato, infatti, che in preda ad un attacco d’ira abbia lanciato dalla finestra della sua camera nell’Albergo della Regina Isabella a Lacco Ameno, dove erano alloggiati attori e produzione, tutti gli indumenti di Richard, colpevole solo di aver fatto gli occhi dolci a qualche indigena e che gli abiti venissero poi recuperati in mare e sulla spiaggia dai pescatori increduli del Rione Ortola, come ci ha raccontato Rosalia Taliercio che lavorava nell’albergo. Ma questo non è che un episodio legato alla possessività della Taylor. Il signor Ciro Carcaterra, inse-gnante di sci nautico ingaggiato come driver per i due divi hollywoodiani, racconta: “Un giorno in cui solo Liz era impegnata con le riprese, Richard mi chiese di accompagnarlo con il motoscafo agli scogli di Cartaromana, per fare un bagno e rinfrescarsi un po’. Io lo facevo sempre volentieri, sia perché l’interprete di Antonio era davvero simpatico, sia

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perché elargiva laute mance. Mi riempiva di buoni-benzina che la produzione gli forniva e con quelli, poi, sono riuscito a lavorare per altri due anni! Giunti nello specchio d’acqua di fronte al Castello, Burton notò due belle ragazze che prendevano il sole e le invitò sul motoscafo. La Taylor, appena seppe dell’accaduto, lasciò il set e si fece accompagnare subito nella baia da un altro scafista. Coltolo sul fatto, iniziò a inveire furiosamente contro Burton, ma l’attore, dando prova del proverbiale self control britannico le sussurrò solo: “Liz, be quiet!” (“Liz, stai calma!”), non facendo che accrescere la sua rabbia. Liz, per tutta risposta gli girò le spalle e andò via, continuando ad urlare ed insultare il fedifrago fidanzato”. Eppure, la passione e il profondo sentimento che li legava erano talmente forti che i due sono stati sposati dieci anni, si sono separati e risposati nuovamente, e anche se hanno divorziato per la seconda volta, entrambi, poco prima della morte di lui, hanno dichiarato di volersi ricongiungere per la terza volta. Amanti e compagni di scorribande nella “dolce vita isolana”, spesso facevano le ore piccole ubriacandosi, e più di una volta le riprese sono state sospese per degli insoliti malori mattutini di Elizabeth, nonostante comparse in sfavillanti costumi di scena e operatori pronti dall’alba stessero attendendo,

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invano, solo l’arrivo di Antonio e Cleopatra.Sul set ne succedevano davvero di tutti i colori, si vedevano orde di ragazzi lanciarsi in mare e dare prova della loro abilità di nuotatori, sperando così di essere scritturati come comparse per le scene della famosa battaglia navale e, come racconta Katia Massaro, che allora frequentava il liceo classico, girava spesso per le classi un reclutatore di ragazze che facessero le ancelle. Dovevano essere carine e saper nuotare bene, ma il requisito fondamentale per recitare al fianco della grande attrice hollywoodiana era di non essere alte, in modo da rendere impercettibile l’unico difetto della Taylor: la bassa statura. Tutti cercavano di comparire nel kolossal americano, anche Roberto Ielasi, al tempo ventenne, poiché la paga era davvero buona: soprattutto per le scene girate di notte lo stipendio era esattamente il doppio del diurno. Katia Massaro ricorda ancora il dolore procuratole dai sandali alla schiava, bellissimi e scintillanti ma per nulla comodi, e gli enormi e pesanti cesti di frutta da portare sul capo, ma può affermare con orgoglio di essere riuscita a regalare alla mamma una delle prime lavatrici in commercio all’epoca, grazie agli stipendi elargiti dalla produzione. Nei due lunghi mesi di riprese ischitane c’è stato anche qualche

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episodio spiacevole come quello che ricorda il signor Francesco Buono, proprietario del ristorante “da Ciccio” a Ischia Ponte: una mattina si sentì un enorme boato che distrusse i vetri di tutte le abitazioni del piccolo borgo e addirittura fece crollare il tetto di una casa. Sul set era scoppiata una bombola del gas ma le persone, oramai abituate alla presenza della troupe cinematografica, erano indaffarate nei loro mestieri quotidiani e non rendendosi conto di ciò che era accaduto si spaventarono tantissimo e addirittura una donna in dolce attesa abortì, tanto forti erano stati il rumore e la paura.Quasi cinquant’anni sono passati da quando i retroscena inediti che proponiamo in queste pagine sono stati immortalati su pellicola e viene spontaneo chiedersi se le fotografie non siano saltate fuori pochi giorni prima della scomparsa dell’attrice per qualche motivo misterioso, forse l’ultimo vezzo di Liz Taylor per far parlare ancora di sé, magari per far rivivere a chi c’era quell’atmosfera sfumata, conservata solo nei ricordi, di sicuro per per-mettere a tutti di conoscere ed assaporare una tappa della sua strepitosa carriera e il suo passaggio sull’Isola Verde.

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Alle soglie del federalismo fiscale, sul ciglio di un certo dissolvimento del senso unitario della Repubblica Italiana e, soprattutto, a cavallo fra il tramonto dell’era bassoliniana e l’avvio del governatorato di Stefano Caldoro, Marco De Marco, direttore del Corriere del Mezzogiorno - costola par-tenopea del più grande quotidiano italiano, Il Corriere della Sera - che si è imposto come il più autorevole laboratorio di analisi e progettazione politica nel Meridione, si offre alle nostre domande. De Marco è il fondatore e da sempre il direttore della testata, il che fa di lui uno degli interpreti principali del giornalismo italiano, ma anche uno dei più ascoltati esperti della politica del Sud Italia. Il Direttore ci ha risposto in veste di commentatore ma anche di scena-rista, spingendosi a proporre delle ipotesi percorribili per ridisegnare un Mezzogiorno capace di recuperare i deficit e rimettersi nuovamente in linea per competere nella mo-dernità.

E’ uscito da poco il tuo libro “Terronismo”, con il quale entri nella spinosa querelle sulle respon-sabilità storiche della difficile situazione che at-

traversa il sud Italia. Quale posizione hai scelto di prendere?Il mio libro è una risposta a Pino Aprile che con il suo “Terroni” sostiene la tesi della rapina da parte del Nord sul Sud e parla di una ‘piemontesizzazione’ del Mezzogiorno, come del resto fanno anche i neoborbonici. Questa tesi ha un suo fondamento ma è esagerata, e per riparare ad un danno si è finito per provocarne un altro. È proprio per questo che ho scritto “Terronismo”, per evidenziare come gli atteggiamenti molto localistici, sia nordisti che sudisti, hanno in comune più di quanto si creda e fanno male al Paese. In linea di massima, si pensa che i leghisti siano lontani dai neoborbonici mentre, a ben vedere, spesso prendono posizioni simili, nel senso che preferiscono un’Italia pre-risorgimentale, divisa in sette Stati (tra i quali il Regno delle due Sicilie) piuttosto che unita. Gli uni e gli altri, inoltre, professano una retorica dell’epopea del bri-gantaggio in quanto, poiché i briganti erano contro i pie-montesi e quindi contro l’unità del Paese, sono funzionali anche alle tesi leghiste. I fautori del primato Nord come del Sud sono talmente all’opposto che alla fine quasi si

toccano, hanno dei punti di contatto ed il “terronismo” non è altro che questo, l’estremizzazione dei localismi.A partire da un certo momento, è apparso evi-dente come intorno all’Amministrazione di An-tonio Bassolino si sia costituita una “corte”, regolata da un sistema di potere e clientele che ha fatto molto male alla Campania. Si potrebbe quasi cogliere aspetti di contiguità con la vicen-da borbonica: i funzionari corrotti popolavano l’apparato borbonico e pare che Garibaldi abbia vinto non solo per l’audacia delle sue truppe, ma anche per un esercito nemico guidato da genera-li che si sono subito venduti ai Savoia. C’è molta differenza con i “generali” di Bassolino?La metafora funziona, non c’è differenza. Il Regno bor-bonico è imploso in pochi mesi e non si capisce quale fu la ragione primaria, se non quella di un male che lo aveva colpito in ognuno dei suoi settori; ed anche il ‘re-gno’ bassoliniano, dopo circa sedici anni e più di succes-si, improvvisamente è scoppiato. Per tempo ho fatto una lettura critica di questo fenomeno. Dopo, invece, ho scelto

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MARCODE MARCOInterview: Riccardo Sepe ViscontiPhoto: Riccardo Sepe Visconti

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di insistere meno su questo punto, non perché abbia cam-biato idea ma, semplicemente, perché l’hanno cambiata gli altri. Fino a circa cinque anni fa, infatti, era difficile attaccare il sistema bassoliniano e quando il Corriere del Mezzogiorno lo ha fatto è stato considerato un ‘marziano’. Poi, le cose si sono capovolte, non ce n’era più nemmeno uno che non lo criticasse: è allora che mi sono fermato, perché è diventato un luogo fin troppo comune, e il ri-schio che corriamo adesso è di identificare con Bassolino l’unico male campano. Il sistema di governo bassoliniano è stato fallimentare, ma non si è analizzato con serietà perché sia andata così ed in mancanza di un’analisi, che oggi molti preferiscono non fare, il fantasma dell’ex Presi-dente viene agitato più come alibi che come spiegazione. Sono convinto che la sinistra avrebbe dovuto fare un’anali-si compiuta del periodo bassoliniano e quindi emettere un giudizio che fosse di condanna o di assoluzione.Pensi che adesso si sia realmente voltato pagi-na?No, non abbiamo ancora voltato pagina, proprio perché non c’è stata questa lettura critica, se non da parte di al-cuni, e forse il Corriere del Mezzogiorno è fra questi. Il PD, però, il partito di Bassolino, non si è mai fermato a capire cosa in quel sistema non andasse ed il problema del rap-porto con il suo leader campano non è stato mai risolto. Perché il PD non riesce a elaborare questo giudi-zio su Bassolino? Mancano le persone in grado di compiere un tale passo?Non riesce a farlo perché è una fase politicamente molto complicata per tutti, ma in modo particolare per la sini-stra, soprattutto quella meridionale. Sono finiti, infatti, i grandi partiti del ‘900 e sono finite anche le esperienze dei grandi leader della Seconda Repubblica, quelli che fu-rono i primi sindaci d’Italia scelti con il sistema di elezione diretta, per esempio lo stesso Bassolino, Leoluca Orlando. Loro, come anche i governatori delle Regioni, hanno fallito nel solo compito che dovevano portare a termine: unire il Paese dal punto di vista socio-economico. Non ci sono riusciti e, nonostante i notevoli fondi europei, la distanza Nord-Sud non è stata colmata. Quello che poteva salvarci era l’alternanza, cioè il fatto che nuovi leader sostituissero quanti avevano fallito, ma i nuovi leader frutto dell’alter-nanza non sembrano avere una strategia completamente diversa dai loro predecessori e la necessaria robustezza di analisi: insomma, non mi danno l’idea di aver ben chia-ro cosa vogliono fare. L’attuale presidente della regione Campania, Stefano Caldoro è uno di quelli che incarna di più l’alternanza, ma allo stato attuale quale sia il suo progetto per il Mezzogiorno è difficile dirlo, ed è passato un anno da quando è stato eletto. Forse è caratterialmente troppo debole…

Probabilmente Caldoro dà l’immagine di un leader debole perché ha alle spalle un piccolissimo partito, quello so-cialista, perché la sua candidatura è stata il frutto di un compromesso tra grandi elettori del centro-destra, per-ché non è stato scelto con molta convinzione e così via, ma ci sono situazioni in cui, una volta ‘al fronte’, si deve crescere rapidamente. Non credo, quindi, nella debolezza di Caldoro. Credo che, fino a questo momento, si stia im-pegnando in un risanamento dei conti pubblici, che era un atto meritorio ma inevitabile, un ‘vicolo stretto’ nel quale doveva necessariamente entrare: lo ha fatto ed ora sta cercando di uscirne. Capisco anche che tenti di occupare quanti più posti di comando è possibile, perché la politica è anche questo, tuttavia manca il passaggio successivo, la strategia, che ha a che fare con la scelta e, al momen-to, da parte sua non la vedo. Risanare i conti, occupare l’occupabile… ma per fare cosa? Non si riesce a capire. Prendiamo la sfera di cristallo in mano: che fine farà Nicola Cosentino, il potente coordinatore re-gionale del PDL? Tu credi che i suoi artigli siano ancora ben aggrappati alla spalla di Caldoro?Se parlassi di ‘artigli’ accetterei una visione di Cosentino che non è propriamente la mia. Non credo sia il male: è molto discusso, ma politicamente è una persona di indub-bia bravura perché è l’unico che sia riuscito a sconfigge-re Bassolino. C’è, poi, un’altra faccia di Cosentino che è quella giudiziaria, che lo sospetta di essere colluso con la camorra, si sta svolgendo un processo e ci sono molti lati oscuri. Aspetto il processo e non lo dico solo formal-mente: fino ad ora ho letto dichiarazioni molto inquietanti di pentiti, ma avere la dichiarazione di uno di loro non è di per sé una prova e il fatto che sia accusato da molti pentiti e che questi rimandino ad altri pentiti ancora, non mi fa maturare la convinzione di una condanna. Bisogna cercare le prove e spero che escano durante la fase di-battimentale.Non si rischia così di peccare di eccesso di ga-rantismo? In un momento di grande sbandamen-to, in particolare del Meridione, non avremmo bi-sogno di una classe dirigente che sia perlomeno libera dai sospetti?Politicamente, possiamo operare questa scelta attraverso il voto. Si può votare o non votare Cosentino, ma quello che non mi convince è la creazione di alibi attraverso la creazione di mostri, sui quali concentrare tutti i mali di questa Regione. Ci siamo già passati: Bassolino governa-va lamentandosi delle bocche fameliche dei democristiani e dei socialisti, per esempio Pomicino, Di Donato, Gava che allora, in realtà, erano già tutti fuori gioco. A questo proposito, ricordo che lui, di solito molto corretto nel les-sico, rilasciò un’intervista a La Repubblica e poiché Gava,

che di lì a poco sarebbe morto, l’aveva criticato, autorizzò il giornalista D’Avanzo a “mandarlo a fare in culo”, e così fu scritto nell’intervista. Gava ha governato un secolo fa politicamente, e paventare i fantasmi del passato mentre si hanno in mano gli strumenti del governo a me dà fasti-dio. E lo stesso meccanismo si può innescare nuovamen-te: Cosentino avrà delle colpe, ma non credo che lui sia il male e che, una volta estirpato, qui ci sarà il paradiso.Il Mattino, uno dei quotidiani storici di Napoli, sembra aver abdicato al ruolo di foglio che par-la alla classe dirigente e alla società civile della città. Sei d’accordo? E che funzione ha scelto di darsi la testata che dirigi?Per me è un po’ difficile parlare criticamente de Il Mat-tino, non per una questione di bon ton, quanto piuttosto perché ne capisco i problemi: è il più grande giornale del Mezzogiorno (anche se è essenzialmente campano), ha una lunghissima storia alle spalle che ne fa un’istituzio-ne ma deve anche stare sul mercato, deve parlare a tutti perché è un generalista ed ha una responsabilità che le testate più piccole, come la nostra, non hanno. Per noi, è molto più facile assumere posizioni provocatorie, rivolgersi all’élite e stimolarla, siamo come una scialuppa rispetto all’ammiraglia che va più lenta.Il Mattino è stato coinvolto nella crisi più genera-le che abbraccia tutto il Mezzogiorno?Sì, ma ci siamo dentro tutti. Se questo Mezzogiorno non ha voce, se ha perso la capacità di interloquire con il Nord e non riesce più a produrre una classe dirigente, come faceva fino a qualche tempo fa, è un problema che riguar-da tutti, anche noi che abbiamo avuto un atteggiamen-to critico. Essere stati critici, per esempio su Bassolino, non ci salva dal fatto che avremmo potuto fare molto di più. Come Corriere del Mezzogiorno abbiamo tanti meriti, credo. Uno di questi è aver aperto “L’osservatorio sulla camorra e l’illegalità”, cui ha partecipato tra i primi Ro-berto Saviano e che gli ha consentito, come giornalista ed opinionista, di uscire da un ambito di nicchia in cui si era mosso fino a quel momento, scrivendo per riviste on line e per Il Manifesto. Tuttavia, è dovuto arrivare il libro scritto da Saviano, “Gomorra”, per far aprire gli occhi sulla camorra: noi che eravamo già qui, in primo piano, con un giornale, non ci siamo riusciti. Significa che ab-biamo avuto un difetto di comunicazione, non siamo stati capaci di farci sentire. E quando non ci si fa sentire, è soprattutto colpa di chi parla: probabilmente non abbiamo parlato abbastanza chiaro. Non direi che non si è parlato abbastanza forte perché, anzi, il Sud è abituato a gridare, urlare, protestare in maniera clamorosa, ma è mancata la qualità della protesta, ed abbiamo sbagliato noi giornalisti, intellettuali, opinion maker, avremmo dovuto capire che

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era tempo di scegliere un linguaggio più diretto.Tu hai una grandissima responsabilità, sei sul ponte di comando di uno dei giornali che vuole contribuire a tracciare la rotta. Se siete usciti fuori rotta o non avete navigato nella direzione giusta, ora come pensi che si possa riparare?Non penso di essere uscito fuori rotta. Un giornale che ha capito con grande anticipo sugli altri che l’epopea basso-liniana era destinata al fallimento, è un giornale che non ha sbagliato, che era sulla rotta giusta. Penso, piuttosto, che la velocità, la quantità e la qualità di informazioni non sia stata adeguata ai tempi. Stiamo, comunque, parlando di un giornale locale, ma le cose sono un po’ cambiate da quando abbiamo il sito web che ci ha consentito di guadagnare una platea più ampia. Il problema, ora, non è nell’analisi delle condizioni del Mezzogiorno, perché su questo grosso modo siamo d’accordo, la questione è: che fare? Ho sempre pensato che un giornale deve stare addosso a chi comanda, essere molto critico, non solo con chi governa politicamente ma anche con chi governa l’opinione pubblica. Questa, però, non è una regola assoluta. Attual-mente, sei critico con chi governa, ma in passa-to Il Corriere della Sera con il vecchio direttore Paolo Mieli ha scelto di appoggiare apertamente Prodi ed il suo governo. Attenzione! Ciò che ha fatto Mieli non è stato capito fi no in fondo. La sua presa di posizione non era semplicemente una scelta di campo in favore di Prodi, ma la scelta di una trasparenza di tipo britannico, come è normale in tutti i giornali politici seri in Europa (in particolare quelli inglesi) dove, prima del voto, il direttore dichiara cosa voterà. Ma, in quel sistema di informazione, lo stesso giornale che pa-lesa la propria posizione è il medesimo che, poi, criticherà di più chi governa. Mieli mentre si dichiarava per Prodi, dava anche una garanzia ai lettori sul fatto che Il Corriere sarebbe stato il primo e più severo controllore. Questa se-conda parte del ragionamento di Mieli non è stata capita, in primis da Berlusconi e dai suoi. Comunque, alla luce di quell’esperienza del mio direttore, ho preso atto che non è ancora tempo di fare degli “endorsement”, non è prudente. Durante l’anno che precede il voto, però, le mie opinioni sono abbastanza esplicite e, comunque, la nostra posizione è chiara: il giornale deve innanzitutto criticare chi governa. Oggi, governa Caldoro e non è un caso che le prime osservazioni, anche negative, al sistema Caldoro siano venute da qui, nonostante io per primo avessi au-spicato l’alternanza. Ma, non appena l’alternanza si è rea-lizzata, ho cominciato a guardare alla qualità della stessa, sono quello che osserva con più attenzione l’attuale go-verno regionale, per sottolinearne le positività come ciò che non funziona. Altra cosa cui tengo molto è il fatto che non possiamo porci solo il problema della pura informa-zione, perché il Sud ha bisogno di strumenti di autogover-no, di organizzazione e il giornale deve essere uno di essi. Quali sono gli altri strumenti cui è necessario fare riferimento? Il mercato, i partiti, le istituzioni. Da questo punto di vista il Mezzogiorno fa acqua da tutte le parti. Le nostre istitu-

zioni culturali sono messe male, le Università non brilla-no per qualità, il mercato è condizionato dalla presenza criminale, gli imprenditori non investono con serenità, le istituzioni hanno una strana concezione di se stesse, cre-dono di dover produrre assistenza e non progettualità, il che m’inquieta. Allora, chi seleziona la classe dirigente in un si-stema ridotto in queste condizioni? In un sistema normale la classe dirigente è selezionata dall’Università, dal mercato, dalla concorrenza, ma tutto questo al Sud manca. Anche i partiti selezionano la classe dirigente, sono uno degli strumenti che la società si dà. E voglio fare l’esempio della Lega Nord. Nella Lega chi è ar-rivato a governare nei Comuni e nelle Regioni? Forse quelli che agitavano il cappio in Parlamento, i più sboccati, i più radicali? Credo di no. Sono andati a governare i migliori, perché li ha selezionati quel partito, parliamo ovviamente non dei partiti ‘personali’, creati ad hoc intorno alla fi gura di un leader, ma di quelli che difendono il territorio. Mi parli con ammirazione della Lega. Mi chiedo se questa simpatia non abbia origine nella tua passata militanza nel PCI, nel quale l’attività delle sezioni e lo strettissimo rap-porto con i gruppi di base erano elementi fondanti nella vita del partito. Oggi, la sinistra anche da questo punto di vista è cambiata, ma forse ritrovi nella Lega il medesimo forte collegamento col territorio che fu della sinistra?Non so se ci possa essere questa spiegazione di tipo psicologico. Non sono un elettore della Lega, ma rifuggo dall’idea che i mali attuali dell’Italia li abbia provocati la stessa Lega. E, infatti, ho scritto un libro per dimostrare che l’antimeridionalismo razzista è nato prima della Lega ed è nato a sinistra e nel Mezzogiorno, non al Nord e non nel mondo culturale della Lega. Affonda nei secoli passa-ti, intorno al ‘200-‘300, allora si parlava del Mezzogiorno

come di un “paradiso popolato da diavoli”, intendendo che il Sud era sì bello ma abitato da individui assolutamen-te all’opposto. All’inizio del ‘900, queste visioni piene di pregiudizio si concretizzano in un vero e proprio atteggia-mento razzista nei confronti del Sud attraverso il pensiero di Cesare Lombroso, il sociologo criminale che elabora una teoria secondo la quale in Italia esistono più razze. Lombroso è un settentrionale e arriva nel Sud con l’eser-cito piemontese, ma i lombrosiani sono tutti meridionali e tutti socialisti! Diventano razzisti quando, a quarant’anni dalla liberazione dai Borbone, si rendono conto che la loro terra è ancora con le ‘pezze al fondo della schiena’. Non si spiegano come il Piemonte vada a gonfi e vele mentre loro sono ancora al palo e, invece di confrontarsi con la pro-pria realtà e darsi una spiegazione razionale, addossano la colpa di questa situazione non alla classe dirigente ma al popolo napoletano e meridionale, un popolo di barbari, incolto, plebeo. I leghisti arrivano molto dopo, ma questo nessuno lo dice.Allora, che giudizio dai del grande successo del-la Lega?Io vedo la Lega come un partito che funziona e che riesce a selezionare classi dirigenti. In fondo, a cosa serve un partito? A decidere chi debba governare - un Comune, per esempio - e tra i suoi sceglie il migliore. Possiamo dire tutto contro la Lega, tranne che non abbia selezionato un’ottima classe dirigente, locale e nazionale. Maroni, le-ghista, è considerato da tutti forse il miglior ministro degli Interni di tutti i tempi e stiamo parlando di un Ministero che è stato retto da fi gure di altissima qualità. Molti Co-muni del Nord sono bene amministrati e lo affermano gli stessi cittadini. Si provi a chiedere ad un napoletano se è contento di come è gestita la sua città: non se ne troverà uno che dica di sì. In verità, i comunisti credevano che il partito fosse l’esclusivo strumento di governo della società e in ciò sono un post-comunista, perché non concordo con questa posizione. Credo, infatti, che ci siano altre for-me di selezione, come un’università qualifi cata, ma anche un mercato in cui c’è concorrenza seleziona classe diri-gente, perché consente che emerga l’imprenditore miglio-re: e, ripeto, nel Mezzogiorno nessuno di questi sistemi è all’altezza. Non sono, quindi, affascinato dalla Lega in sé. Ugualmente, mi affascinano il mercato, la concorren-za, ma è un fatto che la Lega da più di vent’anni decide l’agenda politica di questo Paese ed ha prodotto l’unica proposta di ‘ingegneria’ statale degli ultimi tempi: il fe-deralismo, la devolution, la regionalizzazione dei Ministeri sono tutte idee innovative venute dal Nord, non dal Sud. Il fatto che la Lega sia un partito che non vuole rappresentare la totalità degli italiani, ma solo una fetta di popolazione ben defi nita, rende forse il compito un po’ più semplice. Seguendo questo ragionamento, allora al Sud dovremmo creare il partito meridionalista?Chi ce lo vieta? Una discussione vera sul ‘partito Meridio-nale’ non è mai stata fatta: qui si stabilisce ciò che bene e ciò che male, e si decide che un partito meridionale sarebbe il male. Sicuramente, non ho una concezione neo-borbonica, ma penso che si possa fare una discus-sione. Invece, in questo Paese si decide che ci sono cose delle quali non si può neanche parlare e l’idea di un simile partito fa venire l’orticaria a tanti. I modi per poter fare un partito Meridionale sono vari: per esempio, si potrebbe ri-chiamarsi a un’esperienza come quella del partito Radica-le, che selezionava classe dirigente prevedendo la doppia tessera, potevi essere comunista e radicale, socialista e radicale. Perché allora non prevedere un sistema in cui c’è un partito Meridionale con la doppia tessera, permettendo di far parte di questo e di un altro partito? Parlare di parti-to Meridionale rievoca solo l’MPA di Lombardo e l’UDEUR Popolari per il Sud di Mastella. Mentre nessuno vede che nel Sud si sta realizzando la più grande rivoluzione civile dell’Italia repubblicana - e di questo parlo nel mio libro - vale a dire il fatto che, ogni anno, centinaia di migliaia di giovani lasciano la loro terra, non perché in condizione di miseria, ma perché non ne possono più di un paese dove non c’è mercato, non c’è concorrenza, dove i padri devono coltivare le clientele per i fi gli, dove per vincere un concorso devi essere ‘fi glio di’. Questi ragazzi sono il segno che nel Mezzogiorno c’è una forza viva che decide

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di esprimere il proprio dissenso in modo civile, non vanno via, come era successo ai loro nonni, per disperazione, ma perché rifiutano un sistema che non funziona: è una vera e propria rivoluzione silenziosa di cui non si parla. Un partito Meridionale da formare non dovrebbe essere chiuso in un localismo asfittico, potrebbe avvalersi del-la grande esperienza di questi giovani con l’obiettivo di portare il Mezzogiorno fuori dalle secche in cui è finito. Penso al “concretismo” di Gaetano Salvemini che, dopo aver studiato l’esperienza americana e come quella socie-tà si organizzava, una volta tornato in Italia sosteneva che i partiti avrebbero dovuto formarsi espressamente con l’obiettivo di risolvere problemi concreti. Ora, uno dei più grandi problemi che abbiamo qui non è tanto la questione meridionale, ma quella napoletana: un partito che si pre-figga di trovare una soluzione è, secondo me, un partito nobilissimo e degno di provare ad esistere. Quali sono le tre priorità che daresti a questo partito? Quali sarebbero i primi nodi da scioglie-re?Una è sicuramente la lotta alla criminalità, dando una mano a chi ha questo compito: sarebbe un bel modo di dare corpo allo slogan “siamo tutti Saviano”. Facciamo sì che la battaglia per la legalità non la porti avanti un solo eroe ma tutti, facendo funzionare le procure, il sistema giudiziario, non battendo la strada della pura retorica e del sospetto. Fondamentale è anche lo studio del fenome-no criminale: per dieci anni, nel periodo bassoliniano fino alla faida di Scampia, non è stata prodotta alcuna ricerca sociologica sulla camorra. Eravamo convinti che, visto che governava la sinistra, ciò era sufficiente! Possibile che l’unico studioso del fenomeno criminale in Campania sia Saviano? Questo è un compito delle università, degli economisti. Le altre priorità che individuo sono liberare il mercato e il lavoro, dando una possibilità ai giovani di trovare uno sbocco qui, se vogliono. Come hai detto, Roberto Saviano ha scritto sulle colonne del Corriere del Mezzogiorno. Eppure, è accaduto che il vostro giornale abbia preso po-sizione contro di lui, per esempio nella polemica che ha avuto con la nipote di Croce, a proposito di un aneddoto, in verità privo di riscontri cer-ti, secondo cui il padre del filosofo, quando era sepolto sotto le macerie del terremoto di Casa-micciola, avrebbe consigliato al giovanissimo Benedetto di pagare una cifra spropositata per comprare l’aiuto dei liberatori. Ebbene, Saviano ha letto in quest’episodio un incitamento alla corruzione, un voler ricorrere ad ogni mezzo pur di superare gli ostacoli, indicandolo come un malcostume del Sud diffuso e fortemente radicato da secoli, anche nelle classi più evolu-te. Non sono d’accordo con Saviano su questa

lettura della mentalità meridionale, e tuttavia lo scrittore è un simbolo della lotta alla camorra e all’illegalità diffusa: per questa ragione, non è preferibile evitare simili polemiche contro di lui?È sbagliato delegare tutto a Saviano, dargli questo ruolo mistico di esclusivo eroe civile. Una società che ha biso-gno di eroi è una società messa male, perché l’eroismo sottintende la delega: se devo denunciare qualcosa ci penso, però compro il libro di Saviano e mi sento l’anima in pace, ma questo meccanismo non è utile. Saviano non va trattato come un mito, ma preso per quello che è: uno scrittore che, attraverso ciò che dice, mobilita le coscien-ze. Il problema è che Saviano tende talvolta ad incarnare la verità e questo credo che nessuno possa farlo. Chi ha fede pensa che Dio sia la verità, chi non ha fede non può pensare che Saviano sia la verità. Nonostante da me e dal Corriere del Mezzogiorno sia partito l’Osservatorio sulla camorra per far scrivere Saviano che aveva bisogno di molto spazio, non si può far finta di nulla quando com-mette degli errori. Questi errori possono essere marginali, ma cos’è che li fa diventare importanti? Il fatto che lui li neghi. Nel caso specifico, dice sempre di anelare ad una vita normale. “Chiedere scusa” è una cosa normalissima che non ha a che fare con lo stato di privazione di libertà in cui si trova: perché non ha chiesto scusa a Marta Her-ling, la nipote di Croce? Perché ha cercato di difendere l’indifendibile? Perché bisogna dargli ragione, quando ci si accorge che sta prendendo una strada che conduce al fanatismo? Non capisco tutto questo. Io faccio parte di una generazione che ha criticato, sbagliando, anche Gio-vanni Falcone. Ero all’Unità quando si candidò alla Pro-cura Antimafia e ricordo che in quegli anni il mio giornale lo attaccò, quando era già stato oggetto di un attentato, era minacciato dalla mattina alla sera, viveva sotto scorta. Ciò nonostante, in quell’Italia lì era ancora possibile fare una battaglia politica trasparente tra chi voleva Falcone e chi voleva Cordova alla testa della Superprocura. L’Italia si schierò con Cordova sbagliando, ma si schierò e non per questo Falcone andò in tv a parlare delle riserve che gli venivano mosse: accettò la battaglia. A breve, l’isola d’Ischia voterà con un referen-dum consultivo per esprimersi a favore o contro il Comune Unico: cosa ne pensi?Credo che, se i sei Comuni in cui l’isola è attualmente divisa non hanno prodotto il risultato sperato, continua-re così sia una stupidaggine. Sono portato a dire, quindi, che una concentrazione delle forze è la soluzione migliore. Non necessariamente, però, si deve arrivare al Comune Unico. Un’organizzazione più omogenea si può fare anche prima della riforma istituzionale: adesso ognuno pensa per sé e quando è così è evidente che nessuno pensa per tutti. Spesso lo sviluppo anche economico non dipende da risorse finanziarie, persino il processo che ha portato

all’Unità d’Italia non è nato su interessi economici forti ma su un’idea, l’idea di “Italia”, un’idea avuta prima dai letterati e poi dai politici. Ad Ischia manca un’idea. Che cosa vogliamo fare? Cosa dev’essere Ischia? Il giardino a mare d’Europa? Potrebbe esserlo, il verde di Ischia è meraviglioso. La grande beauty farm d’Europa? Può es-serlo, tutto sta ad avere una grande idea. Ognuno, invece, si limita a gestire il suo alberghetto, ognuna pensa a fare concorrenza all’altro ed intanto l’isola è in declino.

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Crescenzio Cautiero, nella sua doppia veste di tour ope-rator fra i principali dell’isola e di albergatore, traccia un quadro del turismo ischitano, soffermandosi in particola-re sulla necessità di riconquistare un ospitalità di qualità e ribadendo l’importanza che ancora potrebbero rivestire i flussi dalla Germania per l’economia turistica dell’isola.

Lei è uno degli imprenditori del turismo che an-cora crede nella necessità di puntare sul turismo tedesco nonostante quest’ultimo negli ultimi anni abbia, indubbiamente, preferito ad Ischia altre mete.Siamo in pochi a credere ancora in questo mercato, in particolare Franco Di Costanzo ed io, eppure Ischia deve il grado di benessere raggiunto proprio alla Germania. Fino al 2000, all’incirca 200mila clienti tedeschi ci sceglieva-no per la loro vacanza e, con la media di dieci giorni di permanenza ciascuno, arrivavamo a circa due milioni di presenze; oggi si sono ridotti ad un terzo, lo scorso anno abbiamo toccato come picco massimo 70-80mila arrivi.Come pensa che sia possibile recuperare questa fetta di clientela?Sono convinto che dobbiamo essere uniti, creare un si-stema, eliminando le tante associazioni per dare vita ad un’unica grande società di albergatori che dovrebbe di-fendere gli interessi di affiliati e non, e allo stesso modo, coinvolgere tutti gli altri professionisti del settore (tassisti, termalisti, ristoratori). Da un punto di vista strettamente tecnico, è fondamentale la presenza della Regione alle fie-re; quest’anno, invece, la Campania era assente a quella di Monaco di Baviera, benché la città sia collegata benis-simo con noi da varie compagnie aeree. Per quanto ri-guarda la tipologia di clientela, credo che si debba puntare sulla fascia dei 35-40enni, non su quella dei più giovani che non ha ancora a disposizione i mezzi economici per potersi permettere questo tipo di vacanza. D’altra parte, Ischia non è più identificata come “l’isola dei vecchi”, i turisti riconoscono e apprezzano la scelta fatta da tante strutture di investire sul wellness, sommando ai benefi-ci apportati dalle acque e dalle cure termali, i vantaggi e

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CREDO NEI TEDESCHIInterview: Lilia LombardoPhoto: Ischiacity

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piaceri che vengono dai trattamenti dedicati all’estetica e al fitness. Ma per riportare sull’isola i turisti tedeschi che abbiamo perso, è necessario pubblicizzarla al meglio servendosi di cinque elementi: sole, mare, terme, cultura e benessere, uniti in un unico prodotto al quale aggiun-gere il fattore “simpatia”. Anzi, sarebbe necessaria una vera e propria ‘filiera della simpatia’ per accompagnare con attenzioni e cortesia gli ospiti fin dall’arrivo e per tutto il soggiorno, coinvolgendo tutte le categorie con cui essi entrano in contatto. Purtroppo, invece, da questo punto di vista siamo spesso manchevoli, ci sono categorie che non si comportano bene con i turisti e in tal modo penalizzano tutti. Inoltre, sempre più spesso ci viene chiesto: perché non ci sono parchi per i bambini? Perché mancano le aree dedicate ai ciclisti? Perché le montagne sono piene di ri-fiuti? Gli aerei che congiungono Napoli alla Germania tendono a essere sempre meno, inoltre sono scomparsi i charter. Quali sono le ragioni di que-ste scelte?Da quando sono nati i voli low-coast, i charter sono quasi del tutto scomparsi; in generale, quello del collegamento tra i paesi di provenienza dei turisti e gli alberghi dove soggiorneranno è un problema serio cui bisogna far fron-te. Dobbiamo prendere esempio da altre località, come Pantelleria, dove gli albergatori hanno creato un consorzio con i tour operator: la metà delle camere che l’agenzia di viaggio può bloccare in ogni singolo albergo deve preve-dere necessariamente, compreso nel prezzo, anche il volo per raggiungere la struttura, quindi, per esempio, su dieci camere prenotate, cinque devono essere abbinate al volo predisposto dall’agenzia, mentre per le altre cinque, può essere organizzato anche privatamente.Cosa pensa del fatto che da qualche anno impor-tanti imprenditori ischitani del turismo abbiano scelto di puntare sul turismo italiano di fascia più economica, il low cost?Puntare solo sulla migliore offerta economica non può es-sere la risposta più giusta ad una crisi: riducendo i prezzi al di sotto di un certo limite, infatti, si abbassa necessaria-mente la qualità, ed è lo stesso cliente a non apprezzare questa politica. In un panorama di offerte più che conve-nienti, egli si pone delle domande a cui, spesso, trova da solo le risposte: prezzo basso sta per offerta scadente e quindi finisce per non sceglierla. Vendere turismo è un’ar-te, ed in quanto tale non è alla portata di tutti. La cattiva promozione dell’isola è da imputare ad alcuni “venditori ambulanti” di soggiorni, vale a dire tutti quegli alberga-tori che attraverso internet, in collaborazione con agen-zie o pseudo-agenzie, evidenziano come primo elemento la convenienza del prezzo, finendo spesso per regalare

il prodotto, addirittura andando contro le normative che regolamentano la cessione dei pacchetti turistici e le mo-dalità di applicazione dell’IVA.Crede che si possa destrutturare questo siste-ma? Non si corre il pericolo di dare il via ad una crisi economica ancora più grave?Sì, credo che sia possibile modificare l’attuale modo di fare turismo a Ischia e sono convinto che ne verrebbe di conseguenza una rivalutazione dell’isola. Sarebbe neces-sario in primo luogo un generale rispetto delle regole, che interessi tutto il settore, fino agli albergatori che dovreb-bero impegnarsi a conservare il numero di stanze previste dalla licenza, per evitare che una quantità sproporzionata comporti la necessità di venderle a un prezzo troppo bas-so ed una conseguente svalutazione del prodotto Ischia.Che opinione ha del piccolo exploit registrato da

Ischia come meta per le vacanze presso il mer-cato russo? Il cliente russo, a differenza di tedeschi, svizzeri e anche degli stessi italiani, non ritorna, per cui non credo più di tanto nell’ex Unione Sovietica come una soluzione, seppur parziale, all’emorragia di turisti tedeschi. Personalmente poi, non ritengo accettabile che venga loro venduto, come spesso accade, ad un prezzo molto alto lo stesso prodotto che a viaggiatori di altre nazionalità è, invece, offerto a cifre molto inferiori, solo perché hanno capacità di spesa più elevate.

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Nell’ultimo decennio, il turismo ad Ischia si è profonda-mente modificato, in particolare è stato registrato un calo nella presenza dei viaggiatori stranieri, principalmente quelli di lingua tedesca (passati da 1milione e 500mila circa a 400mila presenze) che, invece, un tempo costitu-ivano gli ospiti per eccellenza, essendo stati per circa 40 anni, fra il ’60 e il 2000, assidui frequentatori dell’isola, di cui si dicevano davvero innamorati. Il cambio favorevole marco-lira (che rendeva economico il soggiorno, ma anche meno care le tasse autostradali e le spese per la benzina) costituiva un forte incentivo a scegliere l’Italia come meta di vacanze. Ischia, inoltre, grazie alle sue acque termali, era particolarmente ricercata, in quanto il sistema sanitario tedesco riservava ai propri cittadini un rimborso per usufru-ire dei trattamenti termali a loro più congeniali anche fuori dal proprio paese. Successivamente, la Sanità pubblica ha ridotto l’erogazione gratuita delle cure effettuate all’este-ro, limitandola ad una volta ogni tre anni e ciò, insieme al passaggio alla moneta unica, ha comportato, un calo fortissimo della presenza dei tedeschi. Ischia ha risentito in maniera drammatica di questa perdita, in quanto dalla Germania giungeva l’85% degli ospiti stranieri: quando sono venuti meno, un intero sistema produttivo (alberghi, ristoranti, negozi), sviluppato sulla base di questo tipo di clientela e delle sue esigenze, è entrato in crisi. Negli ultimi anni, a fronte della riduzione dei viaggiatori teutonici sono, tuttavia, cresciuti quelli provenienti dall’ex Unione Sovietica: secondo le statistiche le 60mila presen-ze registrate nel 2006 sono diventate 80mila nel 2010. Non raggiungono, certo, le cifre esponenziali dei flussi dalla Germania, ma rappresentano sicuramente un movi-mento positivo, che va conosciuto meglio, nell’idea che, ormai, non ci si può più rivolgere ad un unico mercato, ma è necessario diversificare l’offerta per attirare altri pa-esi, adeguando il prodotto-Ischia a una domanda sempre più eterogenea, oltre che esigente. L’ospite russo esigente lo è sicuramente, ama infatti il comfort e le comodità, si rivolge a strutture di alta qualità, adora lo shopping e la moda italiana, al punto che sarebbe disposto a spostarsi

anche soltanto per fare acquisti, non si tira mai indietro di fronte ad un ottimo bicchiere di vino né, tanto meno, ad un pesce prelibato servito nei più esclusivi ristoranti isolani. Insomma, è inconfutabile un dato: sono i russi che stanno tendenzialmente spendendo di più, al punto da sostituire americani e giapponesi nell’immaginario collettivo di alber-gatori, ristoratori, commercianti. Gli operatori del turismo ischitano, infatti, si sono trovati, nel giro di pochissimi anni, in presenza di due modi differenti di intendere la vacanza: i “new entry” rappresentano un target di mercato e di spesa di alto livello, i tedeschi di livello medio-basso. Mentre, poi, con i clienti “storici” era più semplice interagire, in quanto già si conoscevano le loro richieste ed si era organizzati al meglio per poterle soddisfare, di fronte ai russi l’isola si è mostrata piuttosto “impreparata”. Ci siamo chiesti perché e quali sono state le cause di questo fenomeno, ma soprat-tutto come gli imprenditori isolani hanno affrontato questo cambiamento, avvalendoci della collaborazione dell’ing. Mario Rispoli, responsabile dell’analisi dei flussi turistici dell’azienda Soggiorno e Turismo delle isole di Ischia e Procida.

Perché i russi scelgono Ischia e come mai ab-biamo registrato da qualche anno un successo

dell’isola su questo mercato?La presenza dei viaggiatori provenienti dalla Russia è cre-sciuta, a partire dal 2003-2004, ad un ritmo vertiginoso, aumentando del 7% medio annuo, con un incremento complessivo fino a oggi del 30-35%; un unico momento di crisi si è registrato nel 2009 a causa di una congiun-tura economica non particolarmente favorevole in Russia. Se parte dei viaggiatori dell’ex Unione Sovietica si rivolge all’Italia, è perché il nostro paese si è imposto sullo sce-nario internazionale grazie al proprio patrimonio storico ed artistico e tutto ciò che ha reso grande l’Italia ha funziona-to, in qualche modo, anche per Ischia. Da indagini condot-te dall’ENIT (Ente Nazionale del Turismo Italiano), in testa alle preferenze di questi nuovi clienti al momento della scelta della meta per le vacanze troviamo mare e terme: Ischia è in grado di offrire sicuramente queste due opzioni. Che tipo di turista è quello russo?Purtroppo non lo sappiamo con assoluta certezza perché non sono mai state condotte indagini specifiche; sicura-mente ha una buona capacità di spesa, basta considerare che il 65-70% di quanti giungono ad Ischia pernotta in alberghi a 4 e 5 stelle. Questa inclinazione a spendere è un fattore certamente molto interessante perché contri-buisce a mettere in moto l’intero indotto dell’isola, vale

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Interview: Lilia Lombardo

LAROULETTERUSSA

Intervista a Mario Rispoli

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a dire il complesso di attività commerciali cui il turista ri-volge particolare attenzione: ristoranti, bar, locali notturni, boutiques, parchi termali, spiagge. Ci sono state iniziative da parte della Regione e degli Enti locali per incentivare e, quindi, incre-mentare il turismo russo verso l’isola?Ischia partecipa tutti gli anni alla Bit di Milano (Borsa In-ternazionale del Turismo), ma questa presenza si riduce ad una sorta di rituale. Non ha, infatti, nessun fondamento di tipo scientifico, perché a monte non esiste uno studio delle caratteristiche della domanda russa, studio che sa-rebbe necessario per rispondere con un’offerta che riesca a soddisfarla pienamente.E’ possibile sapere con anticipo che ad Ischia ci sarà un incremento delle quote dei turisti russi?No. Una volta, l’entità di un flusso turistico poteva essere misurata sulla base delle prenotazioni, che venivano effet-tuate molto tempo prima: i tedeschi, per esempio, preno-tavano la vacanza con circa un anno di anticipo e quindi gli albergatori avevano la possibilità di capire l’andamento delle richieste. Si effettuava, infatti, un’estrapolazione dei dati stimando che, laddove si fosse verificato un in-cremento, ci sarebbe stato un conseguente aumento dei turisti. Oggi, è davvero complicato fare questo tipo di pre-visione perché sempre più persone pianificano le proprie vacanze usando internet e, in tal modo, la prenotazione arriva solo pochi giorni prima della vacanza stessa.In generale, quanti fra quelli che vengono in Campania scelgono Ischia come meta delle pro-prie vacanze?Chi sceglie la nostra Regione, guarda allo stesso modo ad Ischia, Capri, alla Penisola Sorrentina, alla Costiera Amal-fitana. Sicuramente, qui ad Ischia registriamo più presen-ze rispetto ad altre mete turistiche perché abbiamo un patrimonio ricettivo molto consistente: contiamo 22mila posti letto in totale, oltre il 35% delle strutture alberghiere dell’intera provincia di Napoli. Certo è che, rispetto agli anni scorsi, abbiamo perso molto, e l’esempio più ecla-tante è rappresentato proprio dal calo dei turisti tedeschi:

mentre prima ne contavamo 1.500.000, oggi, andando a sommare i consensi dell’intero mercato internazionale registrati sull’isola, non raggiungiamo certo quella cifra! Cosa è auspicabile fare per incrementare i flussi di una de-terminata Nazione e per indirizzarli verso l’isola d’Ischia?E’ fondamentale formulare un’offerta interessante, quindi bisogna avere grande attenzione per il territorio, per capi-re quali sono gli attrattori che rispondono maggiormente alla domanda (per esempio, per i russi, abbiamo parlato del mare e delle terme) e lavorare su questo aspetto, pub-blicizzandolo al meglio. E quando questi turisti sono qui, è necessario che receptionist, camerieri, animatori siano in grado di comunicare con loro, quindi il personale deve ap-prenderne la lingua per quanto è utile a stabilire una buo-na relazione con il cliente, uno dei fattori che contribuisce a elevare la qualità dei servizi. Non a caso, il tedesco, la lingua dei nostri migliori ospiti (almeno fino a poco tempo fa), è ancora diffuso fra gli addetti al comparto turistico.

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Il necessario antefatto a questa intervista è il racconto di come un’alchimia di circostanze e persone, che si sono

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L’ASSESSORENON CONVENZIONALE

Un “esperimento”ineditoText: Riccardo Sepe Visconti

incontrate nel momento e nel luogo giusto, ha consentito la realizzazione di un esperimento davvero nuovo, che io farò di tutto perché sia anche positivo nei suoi esiti.In seguito alle dimissioni dell’assessore con delega al Turismo, il sindaco di Casamicciola Vincenzo D’Ambro-sio decide di reggere ‘ad interim’ la delega. Senonchè, io stesso gli suggerisco di affidarla, in qualità di tecnico, a me - notoriamente impermeabile alla politica.Dopo alcuni giorni di riflessione D’Ambrosio accoglie la mia proposta; intanto, però, il dottor Roberto Monti, au-torevole membro dell’UDC locale, ufficializza la propria candidatura per ricoprire la medesima carica. Quando il

Sindaco accetta l’entrata in giunta di Monti, accade un fatto straordinario: l’assessore Leonardo Miragliuolo offre le dimissioni per permettere al sottoscritto una staffetta. Convinto dell’importanza di avere una figura che posseg-ga le giuste competenze tecniche in un settore altamente strategico, durante la stagione estiva, come quello del tu-rismo e dimostrando, con questa scelta, grande coerenza con una visione della politica intesa esclusivamente come servizio reso alla cittadinanza. Il Sindaco, grazie a queste dimissioni, si è trovato di nuovo un seggio di assessore vacante che ha affidato a me senza indugio.

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Interview: Romina Di Costanzo

Il 9 Maggio 2011 sei stato nominato assessore a Turismo, Cultura, Spettacolo e Comunicazione del comune di Casamicciola Terme: come pensi di svolgere il tuo mandato?Rispondendo con quello che è il mio carattere, quindi sicu-ramente con originalità e creatività: queste deleghe sono state affidate a me proprio perché io, da questo punto di vista, rappresento una garanzia. Casamicciola ha sempre dedicato al settore del turismo e cultura un budget molto limitato; inoltre, i miei predecessori, essendo di nomina politica, hanno interpretato il ruolo di assessore al turismo come un mandato politico, cosa che finisce per indurre a prendere le decisioni non perché siano la risposta migliore nel momento migliore, ma in funzione del proprio elettora-to. Un tecnico, invece, può permettersi di agire in maniera completamente diversa: si pone degli obiettivi e cerca di lavorare esclusivamente per il loro raggiungimento e non per portare vantaggi a questa o a quella parte.Il sindaco Vincenzo D’Ambrosio ti ha scelto per le tue competenze tecniche e per le capacità che hai dimostrato, come ideatore e editore del magazine Ischiacity, di valorizzare gli aspetti migliori di quest’isola; tuttavia l’incarico di as-sessore non ha inevitabilmente anche un risvolto politico? Il tecnico viene chiamato per risolvere dei problemi, il politico deve rispondere all’elettorato: le due cose poten-zialmente potrebbero coincidere, ma sappiamo che non necessariamente è così. Il tecnico ha il vantaggio di dover rispondere unicamente al Sindaco: io collaborerò lealmen-te con la Giunta di cui faccio parte e sono disposto anche a prendere decisioni che la gente magari non si “spellerà le mani ad applaudire”, ma che potrebbero rappresenta-re le scelte più opportune per il futuro del settore di cui mi occupo a Casamicciola. In questo senso, l’iniziativa di D’Ambrosio è stata coraggiosa, originale e intelligen-te. Il mio lavoro di giornalista mi ha permesso di farmi conoscere, per cui i miei interlocutori e ‘colleghi’ politici sanno di avere a che fare con una persona che, pur aven-do coscientemente scelto di non voler fare politica intesa come pratica elettoralista, fa politica sul piano - e spero di non abusare di questo termine - culturale. A me interessa l’azione politica solo come cittadino e come persona che vorrebbe attraverso il proprio lavoro, che è quello dell’edi-tore, concorrere a modificare l’impegno con cui Ischia lavora per conseguire alcuni obiettivi strategici per la sua esistenza di località turistica: io considero obiettivi primari preservare l’ambiente e migliorare al massimo la qualità della vita di chi ci vive e di chi la sceglie per trascorrervi le vacanze, e si tratta di traguardi che da un po’ di tempo

sono stati trascurati. Come intendi rapportarti con i politici e gli ammi-nistratori con i quali dovrai collaborare?Casamicciola credo sia l’unico Comune che ha preso con estrema dignità una decisione importante, in controten-denza con l’Italia e con l’esempio che ci viene dal governo centrale, dove assistiamo ad una spartizione sistematica degli incarichi ministeriali e di quelli destinati ai vicemini-stri (e penso che si tratti di una pratica indegna). Ebbene, per quanto a me sia noto che il Sindaco ha avuto molte pressioni per accontentare questo o quel gruppo politico, tuttavia ha dimostrato una sua autonomia, una sua for-za e ha scelto di creare assessore una persona che ha il curriculum giusto - penso di poterlo dire - per rispondere alla pressante necessità di dare una scossa ad un settore vitale come quello del turismo. Io nasco come assessore esterno e probabilmente ‘morirò’ come tale, non è richie-sto a Riccardo Sepe Visconti di appartenere al tessuto politico casamicciolese, mentre è richiesto che agisca e porti avanti dei progetti e dei programmi. Da me si vogliono delle soluzioni: chiaramente il tempo che ho a disposizione è pochissimo e quindi dobbiamo lavorare con intensità e impegno e anche con molta ve-locità, sapendo che quello che posso fare è quello che può fare una persona animata da tanta buona volontà e forse da certe capacità, ma che ha davanti a sé poco più di tre mesi.Quali sono i punti di forza di Casamicciola, dai quali partire per valorizzare turisticamente la cittadina?Casamicciola è una realtà composita e quindi i suoi punti di forza sono diversi. La sua posizione al centro della lito-ranea fra Ischia e Forio, gli dà grande visibilità, in quanto chiunque voglia andare da una parte all’altra dell’isola deve attraversarla e bisogna dire che il precedente sinda-co Giosi Ferrandino ha fatto un ottimo lavoro, riuscendo a dare in poco tempo un magnifico aspetto e un’ottima fun-zionalità a questa bretella e creando un bel corso pedo-nale, con l’eccezione del Capricho di Calise, il cui gestore non si è mai interessato di portare alcun beneficio al ter-ritorio, poiché il fatto che un locale del genere sia chiuso nel periodo autunno-inverno è una ferita gravissima per il tessuto economico e per il volto turistico del paese. Altro tassello strategico è il porto: negli anni scorsi era la ‘cene-rentola’ degli approdi turistici isolani, adesso è diventato il miglior porto dell’isola e questo è un fatto. Ma non basta creare queste realtà, bisogna dar loro vita e conservarle al meglio attraverso una manutenzione che è anche am-ministrativa, bisogna fare in modo che gli esercenti della zona collaborino a mantenere puliti e con decoro i luoghi, è necessario che ci siano vigili urbani che controllano. E poi splende una stella su Casamicciola: Nino Di Costanzo con le sue due stelle Michelin, lo considero un genio e gli au-

guro di averne altre due! Penso che sono assessore anche grazie a lui, nel senso che quando in un territorio nascono tali eccellenze, il lavoro è più agevole, si può collaborare per cercare di organizzare un “sistema di eccellenza” che possa promuovere il più possibile il concetto di qualità. Fra i tuoi progetti connessi all’assessorato al tu-rismo c’è la realizzazione di un numero di Ischia-city tutto dedicato a Casamicciola, che vuoi chiamare “Casamicciolacity”: qual è la finalità di un’iniziativa del genere?Come assessore avrò solo la possibilità di fare degli “im-pegni di spesa” per una certa quantità di denaro sul ca-pitolo dell’assessorato al turismo, ma il problema è che le casse del Comune sono al lumicino. Quindi, in pratica, mi è stata data la possibilità di contare su del denaro che non verrà pagato in tempi brevi e questo rende molto difficile l’attuazione dei miei progetti. Bisogna, perciò, riuscire a raccogliere una somma di denaro da dedicare esclusiva-mente all’attività dell’assessorato e per farlo occorre esse-re creativi e puntare ad avere sponsorizzazioni private. La mia idea è, perciò, di mettere in piedi un numero speciale dedicato a Casamicciola, appunto “Casamicciolacity”, e tutto il ricavato della pubblicità che si riuscirà ad inserirvi e delle vendite verrà utilizzato per il raggiungimento degli obiettivi funzionali ai progetti dell’assessorato. Un’iniziati-va del genere non consente di raccogliere cifre altissime, ma spero di ricavare dai 7.000 ai 12.000 euro con i quali realizzare diversi piccoli eventi di buona qualità. In questo mi ispiro all’esperienza dell’Estate Romana ideata dall’as-sessore alla cultura della città di Roma Renato Nicolini - quando era sindaco Giulio Carlo Argan, famoso storico dell’arte - che nel 1977 allestì in spazi aperti della Capitale eventi che andavano dal cinema al balletto, al teatro di strada, all’insegna della convivenza di spettacoli popolari con altri di notevole spessore culturale. Le “Estati dell’ef-fimero”, come sono anche ricordate, riuscirono a dare vita a una città vuota, colmando un bisogno sentito di vivere appieno gli spazi urbani e aprendo la strada a un modo di proporre l’intrattenimento e la cultura che ha fatto epoca. Tornando all’idea di un numero speciale del mio magazi-ne dedicato tutto a Casamicciola, sono consapevole che potrebbe essere oggetto di sospetti e di calunnie: ebbene, sono del tutto ingiustificati, visto che l’unico motivo che mi spinge a farlo è quello di dare un sostegno economico a iniziative che portino giovamento a questa cittadina. Il mio ‘guadagno’ personale non è quantificabile in denaro, investe, infatti, la sfera delle soddisfazioni personali e pro-fessionali e di un riconoscimento duraturo.In quanto esterno all’ambiente politico e, al tempo stesso, tecnico della comunicazione co-nosciuto dall’imprenditoria ischitana grazie all’attività di editore di Ischiacity, pensi di poter svolgere anche un ruolo di anello di congiunzio-

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ne tra le esigenze delle aziende e l’Amministra-zione di Casamicciola? Mi piace pensare che il sindaco D’Ambrosio abbia scel-to me anche per questo. Faccio un esempio concreto: quando grazie agli intensi rapporti che come editore di un magazine patinato ho con Nino Di Costanzo e con la pro-prietà dell’albergo Manzi, ho ricevuto un invito al ristorante Il Mosaico, ho subito pensato che questa era l’occasione giusta per far conoscere lo chef stellato e il suo straordi-nario talento al Sindaco, al Vicesindaco e al Presidente del consiglio comunale che non erano mai stati a cena al Manzi. Chi ha preso parte alla cena è andato via lette-ralmente entusiasta, e l’Amministrazione ha potuto toc-care con mano l’enorme risorsa costituita dalla presenza di un fuoriclasse come Nino Di Costanzo a Casamicciola. Questo è un ottimo esempio di un collegamento realizzato con successo fra realtà diverse del territorio che devono assolutamente comunicare fra loro. Ed è grazie a incontri come quello che si può pensare, in accordo con realtà imprenditoriali di altissima qualità come Il Mosaico ed il Terme Manzi, di dare vita proprio a Casamicciola a proget-ti come la Biennale del Gusto (con cui vorrei che il Comune partecipasse ai finanziamenti regionali per i grandi eventi), che immagino come un evento di portata internazionale e che, al tempo stesso, sia fortemente legato a ciò che il territorio esprime. Ricordiamo, infatti, che Ischia conta alcune realtà della ristorazione importanti, per esempio lo chef Pasquale Palamara che guida il ristorante Indaco dell’albergo della Regina Isabella, o Crescenzo Scotti che si sta formando molto bene al Visconti, ristorante gourmet del Regina Palace. Il dialogo fra realtà imprenditoriali e amministrative è fondamentale, perché ogni volta che i politici fanno delle scelte devono essere coscienti delle necessità di quanti investono il loro denaro sul territorio che essi governano. D’altra parte, gli imprenditori devono essere consapevoli che le loro scelte inevitabilmente por-teranno con sé ricadute su tutta la collettività. Se la mia carica può servire da cerniera in questo delicato sistema - e in effetti credo che sia così - tutti potrebbero trarne dei

vantaggi e io lo farei molto volentieri.Come assessore al turismo che rapporti pensi che avrai con i tuoi ‘colleghi di delega’ negli altri Comuni dell’isola?La forza di Ischiacity è quella di essere una rete, e non è una casualità. Sono anni, infatti, che cerco di trasformare in una realtà tangibile questo concetto, ossia la necessità di organizzare una struttura di rapporti molto vasta che ha un unico obiettivo: migliorare l’immagine dell’isola d’Ischia e portarla nel mondo, lavorando affinché ciò che offriamo sia davvero di qualità e facendo una buona promozione del prodotto “Ischia”. Ischiacity lavora tantissimo per cercare di mettere in collegamento le persone, e moltissima gente si conosce e interseca i propri interessi grazie a questo magazine. Questo che considero un importante valore aggiunto della mia rivista può portare grandi vantaggi nel momento in cui ho un ruolo istituzionale, perché mi con-sente di raggiungere facilmente figure strategiche per gli obiettivi dell’assessorato e di farle comunicare fra loro - pur se appartenenti ad ambiti diversi - e cercherò sempre di creare una rete anche tra i miei colleghi assessori, là dove troverò accoglienza.

Pic_ Nella pag. precedente: Riccardo Sepe Visconti con il consigliere Leonardo Miragliuolo ed il sindaco di Casamicciola Terme Vincenzo D’Ambrosio. In questa pag., sopra: 1985, prove generali di una sfilata alle Rampe Brancaccio a Napoli, quando era direttore artistico e amministratore della Moditalia, all’epoca una delle più importanti agenzie di moda ed eventi del sud Italia. A sin., con i sindaci di Ischia e Casamicciola Giosi Ferrandino e D’Ambrosio.

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ROMINADI COSTANZO

Pic_ Abito a balze Toy Girl; anello, orec-chini e collana in oro bianco Chantecler.

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Pic_ Camicia Please, pantaloncini Liu Jo; orologio in oro rosa Roger Dubuis, pendente in oro rosa Chopard, solitario Crivelli.

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General Coordination: Riccardo Sepe ViscontiPhoto & AD: Gino Di MeglioModel: Romina Di CostanzoMake Up: Nancy Tortora per Aglaia, IschiaHair: Peppe Cirino per Parrucchiere Ciro, IschiaDress & Shoes: Liu Jo, IschiaJewelry: La Perla Gioielli, IschiaAssistant: Raffaella IaconoLocation: Castello Aragonese, Ischia PonteSpecial Thanks: Nicola e Cristina Mattera

Pic_ Tuta Toy Girl e scarpe Paula Mendez; collana, orecchini e bracciale con campa-nelle Chantecler.

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Backstage: Enzo Rando

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Pic_ Spolverino Imperial; orologio in oro rosa Roger Dubuis, pendente in oro rosa Chopard.

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Text: Silvia BuchnerPhoto: Enzo Rando

PICCOLI VIGNETI GRANDI TESORI

“Senza un paesaggio da ammirare non traggo alcun piacere dal bere”. Questa frase - attribuita dal poliedrico scrittore Norman Douglas (che a Ischia ha dedicato un racconto molto bello, “L’isola di Tifeo”) ad un compagno di viaggio incontrato qui agli inizi del ‘900, e che era amante in egual modo del vino e dei bei panorami - continua ad essere di grande attualità. Allora, come adesso, chi sceglie Ischia lo fa anche per la bellez-za dei luoghi, che la campagna, e in particolare il vigneto, da tempo immemorabile connota in maniera peculiare. Ma basta guardare in alto, soprattutto in comuni come Barano, Serrara Fontana, Forio - per quanto il fenomeno abbia colpito tutta l’isola - per incontrare i fianchi di intere colline scanditi da terrazzamenti completamente ricoperti da felci o canne. Siate sicuri che lì, fino a qualche anno fa, c’era un bel vigneto. E se, certo, non si torna in-dietro a lavorare la terra, è pur vero che la cultura contadina, ed in particolare quella legata al vino ed alle cantine, appartiene a quest’isola (al punto da far dire sempre a Douglas che “il vino è l’acqua d’Ischia”) e ne ha segnato il volto. E per quanto, negli ultimi decenni, oltre 2000 ettari di vigneto sono stati sostituiti da strade, case, alberghi o comunque abban-donati, tuttavia i 36 chilometri quadrati dell’isola racchiudono in sé cinque denominazioni di origine controllata, due vitigni principali, Forastera e Biancolella (cui se ne aggiungono

altri minori) autoctoni e coltivati praticamente solo a Ischia, una potenzialità produttiva di 5 milioni di bottiglie all’anno. La maggior parte dei 400 ettari attualmente consacrati alla vite si colloca nelle zone di collina o montuose, perché in quelle prossime alla costa essa ha lasciato spazio alle strut-ture turistiche e abitative. Ma ciò, paradossalmente, costituisce un vantaggio, perché dai vigneti posti in alto si ricava uva di qualità più elevata: e la grande qualità, unita alla capacità di valorizzare e quindi ‘vendere’ insieme al vino anche il territorio e la sua storia, costituiscono gli strumenti più validi per dare carattere e di conseguenza competitività alla nostra viticoltura. E questo Andrea D’Ambra lo ha capito molto bene: stando a capo di un’azienda che produce 500mila bottiglie annue, grazie ai 130 conferitori che da tutta l’isola vendono l’uva alla sua azienda (oltre naturalmente a quella proveniente dalle proprie vigne), ha potuto, infatti, mettere a fuoco i punti di forza e quelli di debolezza del pianeta-vino a Ischia. Il risultato di questa conoscenza profonda della realtà locale è un progetto che possa coinvolgere Casa D’Ambra stessa, i proprietari o fittavoli che non intendono abbandonare le loro vigne o che vorrebbero riprendere a coltivarle, ma soprattutto i giovani ischitani che sono alla ricerca di un’alternativa occupazionale al classico posto stagionale

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in albergo, i Comuni. Gli obiettivi sono molteplici e concatenati fra loro: in primo luogo, far sì che il vigneto possa essere coltivato non perdendoci, e grazie ad un raccolto ottenuto con metodi tecnicamente ineccepibili, si può, come vedremo, ripagare le spese di gestio-ne, con la certezza di non rimetterci un centesimo. Solo così, infatti, s’incoraggeranno gli attuali vignaioli ad andare avanti e i giovani a impiantare nuovi vigneti, il che potrebbe significare una ricaduta positiva in termini occupazionali e, insieme, migliorare il paesaggio dell’isola. Anche nella prospettiva di aprirla seriamente all’enoturismo che, se pure settore di nicchia, raggiunge un target di clienti giovane, che ha buone capacità di spesa e che intende la vacanza come ricerca di esperienze diverse e appaganti. Andrea D’Ambra ci ha esposto molto chiaramente i problemi che vanno affrontati e le relative soluzioni: le nostre vigne sono spesso vecchi impianti, molto parcellizzati e condotti con criteri tradizionali che vanno superati, perché troppo costosi. In passato, infatti, si realizzava la vigna con la finalità di produrre più uva possibile, a discapito di una coltivazione più razionale che consente la meccanizzazione del lavoro, oggi assolutamente necessaria per abbattere i costi (per fare un esempio, da noi si impiegano circa 1600 ore annue di lavoro per ettaro a fronte delle 300 del Beneventano!) e l’innalzamento del valore del raccolto. Tanto più se consideriamo che la distribuzione delle vigne su terrazzi collinari, se giova alla qualità

dell’uva prodotta, chiaramente comporta difficoltà logistiche che, ancora una volta, aggra-vano la voce delle uscite. Sull’altro piatto della bilancia abbiamo a nostro vantaggio il fatto che l’isola costituisce ancora un importante mercato turistico, attraverso il quale si può fare una forte comunicazione verso l’esterno, e la presenza di una realtà imprenditoriale come Casa D’Ambra, i cui impianti hanno una capacità di produzione che è decisamente maggiore dell’attuale, potendo spingersi a pieno regime fino a due milioni e mezzo di bot-tiglie. Mentre altre tipologie di vino anche campano sono in crisi, lo spazio sul mercato per i vini ischitani - un mercato di nicchia, qual è quello in cui si muovono l’isola e Casa D’Am-bra - c’è, grazie alla loro delicatezza, alla gradazione non troppo alta e alla bevibilità che avvantaggiano i nostri bianchi e rossi giovani. “Riusciamo a vendere tutte le bottiglie, circa mezzo milione appunto, perché la quantità di uva che posso lavorare mi consente questo obiettivo; ma devo calibrare la produzione fra i miei rappresentanti in Italia e all’estero e se ne avessi un numero maggiore potrei pensare di avvicinare nuovi mercati”. E la cosa è tan-to più interessante, in quanto a Ischia D’Ambra Vini (come del resto le altre aziende vinicole isolane) l’uva la paga bene ai conferitori, anche 80-90 centesimi al chilo (!!!), mentre in terraferma, la produzione è così elevata che il viticoltore pur di vendere accetta cifre molto basse (quest’anno in Puglia, per esempio, anche 20 centesimi al chilo).

PICCOLI VIGNETI GRANDI TESORI

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Naturalmente, gli ostacoli a diventare conferitori ci sono: l’elevato costo di produzione, di cui abbiamo visto le cause, è quello fondamentale e per superare questo problema la soluzione ottimale - ci spiega ancora D’Ambra - è reimpiantare nuove viti, in modo da razionalizzare il lavoro e ridurne al minimo le spese di conduzione. Ma l’impianto di una vigna che possa rendere o quantomeno ripagarsi le spese, va fatto da professionisti che a Ischia attualmente non ci sono. “L’idea è, quindi, di individuare un certo numero di produttori di uva o proprietari di vigneti che non vogliono abbandonare il loro terreno o vogliono recuperarlo: noi possiamo metterli in contatto con aziende che realizzano vigneti ‘in conto terzi’, vale a dire si occupano di tutti i passaggi necessari a creare una vigna moderna: dalle analisi del terreno per scegliere i vitigni più giusti, alla cura dell’eventuale pratica burocratica necessaria fino alla realizzazione dell’impianto (volendo possono anche seguirne la gestione). Io stesso ho già sperimentato il contoterzismo, un’azienda toscana ha realizzato per me il vigneto del Calitto e quello di un mio conferitore. In tal modo, si possono organizzare nuove vigne che dal terzo anno in poi, cioè da quando iniziano a produrre, costano al massimo settemila euro annui. Da parte mia, come D’Ambra Vini, es-sendo sicuro delle modalità di coltivazione e quindi della qualità del prodotto, mi impegno ad acquistare l’uva anche ad un euro/kg e se un ettaro produce 70-80 quintali, si riesce a rientrare nelle spese e a tenere in vita il podere senza rimetterci. Addirittura, se si decide di piantare un ettaro ‘a rosso’, naturalmente nelle zone che consentono di ottenere maggiore gradazione e aromi particolari, e con una lavorazione corretta della vigna, nella mia veste di Casa D’Ambra garantisco fin da ora il contratto di acquisto di tutta l’uva anche per dieci anni, e poiché abbiamo un’alta richiesta di rossi DOC a fronte di scarsa produzione, si può arrivare anche a punte di 1,30 euro/kg”. Ma il progetto non di ferma qui: “Con il tempo, infatti, vorremmo riuscire a impiegare personale specializzato ischitano, si possono istituire dei corsi e se, in un primo tempo, i lavoratori locali dovranno essere coordinati da esperti che vengono da fuori, il mio obiet-tivo finale è avere tutto il gruppo di professionisti del posto, dall’agronomo al cantiniere, al caposquadra ai piantatori e potatori, e col tempo potrebbe non essere più necessario rivolgersi ad aziende del continente per impiantare i nuovi vigneti. Penso sia una strada da sperimentare, tanto più che ricevo un numero sempre maggiore di richieste di impiego da parte di ischitani e la nostra idea potrebbe costituire uno sbocco interessante”. Durante i tre anni necessari a rendere attivi i nuovi vigneti, inoltre, si lavorerebbe per ampliare la rete commerciale, aumentare il personale in cantina, assumere nuovi professionisti, insomma ci sarebbe un indotto che se ne avvantaggerebbe.Qui entra in gioco, ed è strategico, come ci ha illustrato il consulente Salvatore Mazzella, il ruolo dei Comuni, ma anche di Provincia e Regione. I Comuni dovrebbero essere i promo-tori del progetto attraverso l’assessorato all’agricoltura, da una parte favorendo l’unione in cooperative dei giovani che vogliano formarsi per lavorare in questo settore e, dall’al-tra, individuando attraverso bandi pubblici, i proprietari di vigneti interessati a riconvertire le loro vigne o a reimpiantarle: naturalmente, infatti, se l’azienda contoterzista opera su estensioni di terreno di una certa consistenza, il servizio che vende diventa economica-mente più conveniente. Ma i Comuni, ha sottolineato Mazzella, “dovrebbero anche fare da supporto nella richiesta agli Enti superiori di agevolazioni e finanziamenti per una serie di operazioni necessarie alla realizzazione dei nuovi vigneti e che rientrano nelle attività di ripristino del territorio, per esempio la ricostruzione dei muri a secco. Non dimentichiamo, infatti, che la valorizzazione del territorio come l’incentivazione dell’occupazione giovanile sono punti cardine per un’Amministrazione”. “In base alle mie indagini - conclude D’Am-bra - 40 ettari di vigneto si potrebbero rimettere in funzione subito, perché le richieste dei proprietari ci sono: d’altra parte, è evidente che il viticoltore a Ischia se vuole andare avanti deve essere aperto alle innovazioni e deve saper cogliere le occasioni. E pensiamo che il nostro progetto lo sia”.

Il turismo, più degli altri comparti, utilizza le risorse ambientali come “materia prima” del proprio ciclo produttivo, questa materia è rappresentata, infatti, dal territorio con le sue emergenze naturalistiche, culturali, storiche, sociali. Quello che caratterizza il territorio è la sua non riproducibilità: è una risorsa che va fruita sul posto. Per questo motivo (e altri ampiamente dibattuti dai documenti comunitari) la tu-tela del territorio è un imperativo economico oltre che etico. Soprattutto nelle piccole isole.Da parte della domanda, la sensibilità ambientale delle popolazioni è in crescita e influen-zerà sempre più la scelta della destinazione turistica, quindi ogni strategia di sviluppo locale per Ischia deve partire dalla tutela dell’ambiente. Ambiente purtroppo in parte com-promesso.Ma i vigneti ci sono ancora e rappresentano la quintessenza della nostra gente. Un proget-

TERRA E TURISMO: Un’occasione da non perdereText: Mario Rispoli

to che recuperi parte delle aree coltivabili a vigneto rappresenta una vero e proprio “restau-ro conservativo” del nostro paesaggio e un innalzamento dei livelli di qualità della vita della popolazione. L’agricoltura - con i dovuti interventi - può diventare redditizia, soprattutto per le nuove generazioni le cui possibilità occupazionali si riducono sempre più. Senza contare il suo ruolo di contrasto alle spinte speculative della “cementificazione a tutti i costi”.In questa linea, s’inseriscono i sostegni comunitari previsti dal Piano di Sviluppo Regionale (PSR), che in un ambito come quello dell’isola d’Ischia possono cofinanziare numerosi settori: dall’ammodernamento delle aziende agricole alla formazione di nuovi addetti, alla consulenza, al supporto a contadini e imprese che entrano nei sistemi di qualità alimen-tari, fino agli interventi diretti sui terreni (le informazioni sono su www.agricoltura.regione.campania.it). Sarebbe, dunque, auspicabile da parte delle Istituzioni una comunicazione più incisiva circa le opportunità offerte dall’Unione Europea. Così come è interessante l’idea di Andrea D’Ambra di guardare all’esperienza della Toscana: da secoli maestra nella vinificazione. Migliorare la qualità, razionalizzare i metodi di coltivazione, abbattere i costi di produzione, incentivare il consumo del prodotto locale sono iniziative molto interessanti anche sul piano turistico. Inoltre, il vino con le sue sfumature descrive la composizione dei terreni, i colori, il sole: è una guida turistica per l’esplorazione dei luoghi. Come diceva il mio amico Corrado D’Ambra, della storica famiglia di vignaioli ischitani: “Il vino racconta il territorio”.

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Sorseggiare tisane, infusi e granite rigorosamente a base di erbe, passeggiando nel sentiero degli aromi che co-steggia la sorgente delle Ninfe a Nitrodi, per scoprire i miti e le leggende legati alle piante aromatiche e alle acque della bellezza e della salute. Vivere in sintonia con il fascino misterioso di questa terra è la filosofia imperante per chi cerca l’armonia della vita e nel parco idroaromaterapico della sorgente di Nitrodi, a Barano d’Ischia, tutto è orientato alla natura. Questo angolo di paradiso ha vissuto la storia degli antichi popoli del Mediterraneo, dai greci ai romani, che già allora sco-prirono e sfruttarono le virtù di quell’acqua che ancora oggi sorprende per le sue incredibili possibilità terapeu-tiche e, quindi, le attribuirono direttamente al dio Apollo e alle Ninfe. Molte leggende sono nate anche attorno a piante benefiche come Alloro, Mirto, Limone, Lentisco, Rosmarino e alle tante essenze mediterranee alle quali si attribuivano proprietà soprannaturali. La leggenda conti-nua nella storia, il mito sfocia nei riti di oggi e le proprietà di queste piante sono alla base della nostra salute e del nostro benessere.L’insieme delle conoscenze che consentono di impiega-re i vegetali a scopo terapeutico è antico quanto l’uomo: rinvenimenti preistorici confermano l’uso di piante o parti di esse per curare diversi malanni; nel Medioevo furono i monaci a recuperare le conoscenze e le tradizioni fitote-rapiche che le antiche civiltà, dagli egizi, ai Greci e ai Ro-mani, avevano sviluppato. La regola conventuale, infatti,

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Text: Giuseppe SollinoPhoto: Ischiacity

LE TISANEDELLABELLEZZA

imponeva la cura e l’assistenza agli ammalati: i monasteri diventarono così veri e propri centri di cultura medica e di ricerca scientifica, che avevano negli Orti dei Semplici le piante officinali da cui estrarre rimedi che, ancora ades-so, sono considerati validi per combattere le più diverse malattie. Nel nuovo millennio, l’impiego delle piante me-dicinali è passato da una fase empirica e “popolare” a quella in cui predominano la ricerca e la sperimentazione scientifica: si è così passati dall’isolamento dei più impor-tanti principi attivi, impiegati come i farmaci di sintesi, alla “scoperta” del fitocomplesso, cioè l’insieme di sostanze conosciute o anche sconosciute che sinergicamente tra loro concorrono al raggiungimento del successo terapeu-tico. Così oli essenziali, tinture madri, macerati glicerici costituiscono un nuovo campo di indagine di interessante potenzialità curativa. Nel contempo, si stanno recuperando le tradizionali tisa-ne e decotti a base di piante: nel “Giardino degli aromi e dell’acqua” nel parco delle Ninfe di Nitrodi sono state prescelte erbe che da tempo immemorabile arricchiscono la natura mediterranea dell’isola per preparare appunto, unite all’acqua di Nitrodi, queste salutari bevande e fre-sche granite ideali d’estate che i clienti del parco potranno gustare in esclusiva. Le piante impiegate sono coltivate esclusivamente sul posto e raccolte nel “momento balsa-mico” delle diverse specie, cioè quello di massima con-centrazione di sostanze aromatiche, che varia durante la giornata. Così il nobile Alloro in infuso combatte con le sue notevoli capacità antinfiammatorie e calmanti gastral-gie e i problemi al sistema respiratorio. Il decotto di Mirto rigenera e depura l’intero organismo. Il profumatissimo Rosmarino è, invece, tonico oltre che depurante. La Vite rossa riattiva la microcircolazione con evidente beneficio alle gambe affaticate. Il Limone in decotto dalle notevoli capacità antisettiche assicura forza e vigore. Infine, l’Aloe dalle portentose capacità terapeutiche, al punto da esse-re definita “omniamorba”, cioè capace di guarire tutte le malattie.

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Text: Annamaria Antonella Della Rocca Sica Photo: Enzo Rando

IL GIARDINO DI ISIDE

Innumerevoli i giardini in cui ci si imbatte girando per Ischia, da quelli che abbelliscono con ridente semplicità le più piccole case isolane, ai molti imponenti, ma al tempo stesso forse un po’ scontati, di parchi, alberghi e ville; su un piano totalmente diverso, si collocano veri e propri te-sori botanici, proprietà di privati che nell’isola verde hanno trovato clima e terreno ideali per coltivare, è proprio il caso di dire, la propria passione per specie spesso assai rare. Tra questi paradisi del verde, un posto a parte spetta senza dubbio al “giardino di Iside”.Difficile descriverlo, tanto questo luogo appare originale e diverso: qui, non ci sono geometrie di siepi ad inquadrare le piante limitandole in monotone simmetrie, né prospetti-ve “a effetto”, costruite con un preciso fine coreografico: qui, apparentemente regna il caos. Ovunque, una sorta di disordine primordiale che spiazza ed incuriosisce e, come se tutto fosse ribaltato, la stessa casa, che pure è acco-gliente e curata, ha un ruolo subalterno, quasi accessorio rispetto a piante e a fiori .La supremazia di questo verde debordante, ”anarchico”, determina il curioso effetto di farci sentire all’interno di un gigantesco caleidoscopio che offre allo sguardo una serie infinita di fantasmagoriche immagini di rose: la Crimson Glory, rossa e sensuale, la Abraham Darby, con le sue

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sfumature “apricot“ e giallo e la Aloha di un caldo rosa porcellana, accanto alle quali spiccano il candore della Sombreuil ed i colori tenui, come sbiaditi dal tempo della Gloire de Dijon e della Duchesse d’Angoulême.E mano a mano che ci s’inoltra in questo tripudio di colori, accade una cosa inattesa: a quell’impressione iniziale di disordine, caos, anarchia, si sostituisce la certezza che questo giardino ha una sua grazia, una sua armonia che nasce dal desiderio del proprietario di restare defilato, la-sciando la scena alle sue viziate e meravigliose creature che portano con garbo leggiadro ora nomi di “illustri sco-nosciuti”, ora nomi altisonanti come President Herbert Hoover, Baroness de Rothschild, Anna Pavlova, Königin von Dänemark… Questi fiori bellissimi sono il risultato della dedizione amorevole del “padre” di questo giardino che, solo se sollecitato dagli ospiti, con una punta di le-gittimo orgoglio racconta che la sua splendida collezione consta di ben 180 varietà, da quelle più comuni, a quelle ottenute con un impegno lungo e paziente e non si può non restare impressionati quando confida come abbia avuto l’ispirazione per la ricerca di preziose e rare piante, dopo averle viste in alcuni antichi dipinti. Come in un percorso sensoriale, si continua passo dopo passo avvolti dal respiro profumato del gelsomino e di

altri olezzanti fiori e solo poco prima di andar via, in un an-golo quasi nascosto, si rivela ai nostri occhi il posto dove dimorano il giacinto d’acqua e il fior di loto e si può ammi-rare lo splendore translucente delle ninfee che, vanitose ed altere, si specchiano nell’acqua. Dopo quest’ultimo incanto che ricorda la poesia ipnotica di un quadro di Monet, gli ospiti si avviano all’uscita, grati per quanto hanno avuto modo di vedere e quasi rimpian-gendo di dover lasciare questo luogo di profumate mera-viglie. Ed è proprio durante i saluti che lo schivo anfitrione racconta della splendida rosa pendente dal ramo, lì al cancello, giusto sopra le loro teste, una certa “marescial-la” (Maréchal de Niel) citata da Proust nel suo immortale capolavoro e dal Poeta sicuramente amata.

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Risparmiare notevolmente sui costi per i consumi energe-tici, dicendo addio alle famigerate bollette per l’elettricità, i cui importi sono in costante aumento a causa della con-giuntura internazionale negativa che ha portato alle stelle il prezzo dei combustibili tradizionali.Un’aspirazione per moltissime famiglie, un obiettivo raggiungibile per chi vive in un luogo con un clima de-cisamente mediterraneo e quindi molto soleggiato come Ischia. Le tecnologie a disposizione, infatti, sono mature per prendere in seria considerazione di soddisfare il fab-bisogno domestico di energia, sia per il riscaldamento e il condizionamento che per la corrente elettrica, attraverso l’installazione di un impianto che sfrutti le energie alterna-tive e, in particolare, quella che a Ischia è davvero abbon-dante, appunto il calore del sole. Lo Stato, inoltre, offre incentivi assai interessanti, sia sotto forma di sgravi fiscali che di denaro versato a chi produce e consuma energia proveniente da impianti basati sulle fonti rinnovabili: ap-pare chiaro, quindi, che è arrivato il momento di prendere in seria considerazione di convertire il vecchio impianto di casa. Per ottenere risultati concreti, che meritino il necessa-rio investimento, è indispensabile, però, di realizzare un sistema che sia fortemente personalizzato su chi dovrà servirsene. Bisogna, perciò, valutare innanzitutto i con-sumi abituali della famiglia, la posizione in cui l’edificio si trova e gli spazi a disposizione. E’ solo avendo ben chiare tali variabili che la personalizzazione dell’impianto sarà davvero efficace e i risultati, in termini di taglio dei costi, si potranno vedere. Esattamente questa è la filo-sofia che guida l’azienda Enertech, come ci spiega il suo direttore commerciale Gaetano Mazzella. “Capire a fondo le esigenze individuali e le potenzialità dei luoghi in cui dobbiamo installare il nuovo impianto è indispensabile per proporre ai nostri clienti la soluzione ottimale”. Se, infatti, l’obiettivo è sempre avvicinarsi al ‘costo zero’, cioè realizzare un sistema di produzione e consumo dell’energia che si autofinanzi, i modi per arrivare a con-seguirlo variano da una realtà all’altra. Quando ci sono le condizioni giuste per installare un impianto integrato, si combinano solare termico e fotovoltaico. Il primo consente di produrre acqua calda sanitaria, mentre il fotovoltaico trasforma il calore del sole in energia elettrica che sod-disfa tutte le altre necessità della casa, sia per gli elet-trodomestici e la luce che per il riscaldamento in inverno e la refrigerazione d’estate. Questo è possibile grazie ad un macchinario che si chiama pompa di calore e che, in buona sostanza, sostituisce la tradizionale caldaia a gpl o gasolio ed è alimentato, appunto, con l’energia prodotta dai pannelli fotovoltaici. Per installare pannelli solari termi-ci e fotovoltaici è necessario avere una superficie (per lo più si usa il tetto) dove porli nel numero proporzionato alla richiesta di energia, e che la casa abbia un’esposizione sufficiente al sole. Ecco, quindi, la necessità di valutare dove sorge la casa, quante ore di insolazione riceve e così via, in modo che l’impianto sia realmente produttivo. Infatti, chi copre il proprio fabbisogno elettrico e di cli-matizzazione con un impianto fotovoltaico, riceve per 20

anni dallo Stato (attraverso il Gestore dei Servizi Energe-tici, GSE) una somma prestabilita per ogni kwh generato dall’impianto a energia rinnovabile (quantificata in circa 36 centesimi per kwh), cui si aggiunge un ulteriore gua-dagno, se quell’energia prodotta viene tutta consumata (pari a circa 0.16 centesimi per kwh). In tal modo, le fami-glie possono fare l’investimento necessario a dotarsi di un sistema a energia rinnovabile anche attraverso un mutuo,

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Text: redazione Ischiacity

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perché avranno la certezza di poterlo ripagare con gli in-centivi economici. In tal modo, nel giro di 7-8 anni il costo dell’impianto verrà ammortizzato e negli anni successivi il guadagno sarà netto. E se teniamo conto del fatto che un impianto fotovoltaico è molto longevo (al punto che i più moderni hanno una garanzia di 25 anni e durano molto di più), è evidente il beneficio economico a lungo tempo che se ne può ricavare.

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Text: redazione Ischiacity

ISOLE DI TECNOLOGIA

Se possedete un iPhone, un palmare o un blackberry e vi trovate nelle isole del golfo di Napoli, l’Alilauro vi fornisce un servizio davvero utile e gratuito. Dalla homepage del sito www.alilauro.it è possibile sca-ricare senza alcuna spesa l’applicazione iSole, realizzata in collaborazione con Forth crs, società greca leader in applicazioni e servizi per l’e-tourism, in particolare nel settore del trasporto marittimo.L’applicazione è attualmente disponibile solo per i prodotti Machintosh, quindi iPhone, appunto, iPod touch e iPad dotati di sistema operativo iOS 3.0 e successivi; ma le versioni aggiornate in imminente uscita saranno utilizzabili anche su supporti che si servono di android e blackberry. Dopo aver installato l’app, si potranno ricevere gli orari (comprese eventuali modifiche e ritardi) dei mezzi veloci che collegano le isole del Golfo, in particolare Ischia con i porti napoletani e quelli delle corse effettuate dalla Ca-pitan Morgan. Selezionando, infatti, il porto di partenza e quello di ar-rivo e indicando data e orario prescelti, iSole individuerà tutte le corse disponibili; inoltre le nuove versioni dell’app

consentiranno anche di prenotare e acquistare i biglietti.Il progetto iSole fa parte di un sistema più ampio pensa-to da Alilauro per garantire ai propri clienti, sia ischitani che turisti, servizi di prenotazione ed acquisto dei bigliet-ti sempre più efficienti, tutti finalizzati a ridurre i tempi di attesa agli imbarchi, le file e l’eventualità di rimanere senza biglietto. Infatti, verranno attivate in breve tempo biglietterie self service in prossimità delle biglietterie tra-dizionali dove poter comprare il proprio titolo di viaggio a qualsiasi ora, mentre è già possibile farlo attraverso il sito e con l’uso dell’Arcipelago Card che, una volta acquistata e caricata, si utilizza per comprare in tutta comodità e sicurezza il posto sull’aliscafo, guadagnando inoltre, uno sconto sugli acquisti successivi.

Scarica l’applicazione su www.alilauro.it

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ISOLE DI TECNOLOGIA

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NICOLETTA DEL PRETE

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Pic_ Abito nero Seventy; sandali e borsa Vic Matié; orecchini, bracciale ed anello Rebecca.

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Pic_ Abito floreale Seventy; orecchini Bellini, collana Zoccai, anello Campagnolo.

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Pic_ Soprabito blu e pants Weekend Max Mara; stivaletto Vic Matié; collana e orecchini Re-becca.

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Photo & AD: Riccardo Sepe ViscontiModel: Nicoletta Del PreteMake Up: Nancy Tortora per Aglaia, IschiaHair: Peppe Cirino per Parrucchiere Ciro, IschiaDress: Mon Amour Boutique, IschiaShoes: Judith, IschiaJewelry: Bottiglieri Gioielleria, Ischia Assistant: Raffaella IaconoLocation: Ischia, BuonopaneSpecial Thanks: Elena Ferrandino

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Interview: Silvia BuchnerPhoto: Archivio Ischiacity, archivio Il Golfo

NEL BENEENEL MALE

Raccontare Domenico Di Meglio vuol dire rivivere l’avventura, terribilmente intensa e affascinantissima, della testata giornalistica che egli fondò, Il Golfo, il quotidiano dell’isola d’Ischia. Ripercorriamo la sua storia attraverso un racconto corale, fatto di più voci, talvolta molto dissimili fra loro nei giudizi, sicuramente identiche nell’esprimere la passione con la quale hanno vissuto il rapporto con Domenico Di Meglio. Siamo consapevoli che ognuno dei nostri interlocutori non può che consegnarci la “sua verità”, verità che non sempre condividiamo ma che pubblichiamo integralmente, perché il ruolo che abbiamo scelto non è quello di piegare le idee degli altri alle nostre, ma di contribuire a comporre un mosaico dove ciascuno ha posato la propria tessera. Infatti, come fu detto pochi istanti dopo la sua morte, “Domenico è di tutti”: noi vorremmo che così restasse.

PREMESSA di Riccardo Sepe Visconti

Chi sono i grandi personaggi? Figure che, quando entrano in contatto con noi, ci cambiano la giornata, un periodo della vita, in alcuni casi tutta l'esistenza. Domenico Di Meglio, fondatore e direttore de Il Golfo, il piu' piccolo ma anche il piu' letto quotidiano d'Europa, era uno di quelli che modificano la traiettoria.

Peppino Brandi. Storico interprete della politica ischi-tana, è stato a lungo consigliere comunale per la DC e sindaco di Ischia per il centrodestra dal 2002 al 2007.Ciro Cenatiempo. Giornalista, scrive dal 1979 per Il Mattino e si interessa in particolare di di gastronomia, turismo, viaggi; attualmente è responsabile per la co-municazione e l’informazione della direzione cultura alla Provincia di Napoli. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni dedicate a Ischia.Agostino Iovene. Ordinato sacerdote nel 1970, can-celliere vescovile, è parroco della chiesa di S. Pietro, al

centro di Ischia; ha sempre osservato da vicino, quando non dall’interno, la politica locale.Antonio Pinto. Imprenditore, amico personale e da sempre sostenitore di Domenico Di Meglio, del quale ha finanziato le iniziative editoriali, tuttora è l’editore de Il Golfo. Inoltre, è assessore al comune di Ischia per l’UDC. Francesco Rispoli. Ingegnere e docente universitario, spesso animatore di dibattiti culturali, è stato consigliere comunale per il PSI dal 1980 al 1990; è autore di studi sull’abusivismo edilizio a Ischia.Luigi Telese. Avvocato, protagonista della politica ischi-

tana nel centrosinistra, è stato consigliere comunale a partire dal 1994 e sindaco di Ischia; attualmente anima l’opposizione.Ida Trofa. Giornalista, pungente commentatrice interes-sata soprattutto alla politica locale, è stata una stretta col-laboratrice di Domenico Di Meglio e ha scritto per Il Golfo dal 1999 fino alla morte del suo direttore.

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PERCORSI GIOVANILI: POLITICA E CARTA STAMPATALei, professor Rispoli, ha condiviso un pezzo del-la sua adolescenza e percorsi politici giovanili con Domenico Di Meglio.RISPOLI: Domenico era un mio vicino di casa, a via Quercia, a Ischia, eravamo coetanei e abbiamo avuto una lunga amicizia: ricordo che aveva il diploma da geometra e quando mi iscrissi a ingegne-ria gli chiesi di insegnarmi a disegnare. Fu proprio intorno ai nostri 18 anni che certe tensioni e il desiderio di partecipare più attivamente alla vita politica ini-ziarono a manifestarsi. Eravamo un gruppo che nasceva intorno ad un ambiguo liberalismo virato a destra: il termine “am-biguo” non si riferisce a Domenico che si professava fa-scista, punto e basta. Altri, invece, inclinavano moltissimo verso la destra storica e altri ancora, come me, capirono presto che si muovevano in un ambiente che non gli era congeniale. Peppino Di Costanzo, da parte sua, era il mo-tore del gruppo che raccoglieva quelli che poi sarebbero stati l’espressione del partito liberale a Ischia (Enrico e Luca Scotti, i Postiglione): promossero anche un giornale per il quale scrivemmo sia io che Di Meglio. Il rapporto fra noi tre - Di Costanzo, Domenico ed io - era molto buono, ma anche anomalo, se si pensa che dopo pochi anni ci ritrovammo in consiglio comunale ciascuno in un partito diverso, rispettivamente Liberale, Movimento Sociale e Socialista. A questo proposito, Domenico mi diceva sem-pre che se fossimo stati meno ideologizzati, avremmo po-tuto contrastare meglio il comune avversario, la DC.Giovanissimo, Domenico Di Meglio fu un attivista politico fortemente schierato a destra. TELESE: Nel 1975 era uno dei giovani più promettenti del MSI che cercò di diventare maggioranza nel paese: non dimentichiamo che la metà degli anni ’70 fu il periodo d’oro del Movimento Sociale, a livello sia nazionale che locale, e ricordo la chiusura della campagna elettorale con un comizio molto infuocato a piazza Croce. Tuttavia, i risultati non furono brillanti, elessero alcuni consiglieri d’opposizione ma la DC ischitana assorbì il colpo molto bene, per quanto venisse da una spaccatura interna. Pro-prio quell’anno, infatti, 15 esponenti del partito scelsero di andare con Enzo Mazzella mentre altri 15 rimasero con Umberto Di Meglio: insomma, si divisero fra quelli che seguivano il giovane leader che si andava affermando - Mazzella - e quelli fedeli al sindaco uscente. Com’è avvenuto il passaggio di Domenico dalla politica attiva al giornalismo?RISPOLI: La sua prima testata fu lo Sport Isolano che usciva settimanalmente ed era tutto dedicato alle squa-dre del calcio locale, per lo più amatoriali. Se si riflette su quanti sono i calciatori di ciascuna squadra, le loro

famiglie, i loro tifosi, ci si rende subito conto dell’impatto di pubblico che ebbe il nuovo giornale. Ora, all’interno del periodico sportivo inserì alcune pagine dedicate alla poli-tica. Poi, la svolta, il giornale si ribalta, lo sport va all’in-terno e lo spazio maggiore lo prese la politica: nasceva il Settimanale d’Ischia. In tal modo, usando lo sport come

un cavallo di Troia, Domenico è riuscito a portare il suo giornale in tantissime famiglie ischitane; quando l’operazione si è radi-cata grazie allo sport, è entrato nelle medesime case per par-lare - questa volta - di politica. In verità, Domenico non ha solo

lasciato la politica per fare il suo giornale, ma si è spin-to a perdere addirittura il lavoro. Era tecnico comunale a Serrara Fontana e quando durante gli anni ’80 si rese conto che Il Golfo stava assumendo un suo rilievo, che riusciva a fare il quotidiano, abbandonò il ‘certo per l’incerto’: quella del Golfo è stata un’espe-rienza molto interessante, al limi-te della genialità.CENATIEMPO: Me lo ricordo fin da quando scriveva con le macchine elettriche, era un ‘pasionario’, con una vulcanicità decuplicata rispetto all’ultimo Domenico che abbiamo conosciuto. Aveva individuato il modo giusto per riunire le persone intorno a un progetto di comunicazio-

ne, raccontando tutti i protagonisti di tutti gli sport. In tal modo, dava agli atleti un’identità della quale essi stessi, fino a quel momento, non avevano avuto la percezione. Già da allora realizzava un tipo di giornale costruito per la gran parte dagli stessi lettori, che gli portavano i testi scritti a mano, spesso in un italiano storpiato, o si sedeva-no accanto a lui e dettavano: tutto pur di essere presenti su questo nuovo strumento. Fino al 1983-84 quest’isola è stata molto produttiva nel settore della comunicazione attraverso le radio (Radio Ischia, Radio Isola Verde, Radio Ischia International) e i fogli stampati, ma lui in questo mondo così variegato si è distinto subito, perché riusciva ad aggregare sul serio, garantendo la continuità tempora-le del prodotto di comunicazione. Il fenomeno Domenico Di Meglio va inserito all’interno del percorso di crescita

economica e politica di Ischia negli anni ’80, quando era il “Giardino d’Europa” (secondo lo slogan coniato dal più importan-te sindaco di quel periodo, Enzo Mazzella), in pieno boom come meta turistica, crescevano gli alberghi, avevamo uno dei redditi pro capite più alti d’Italia, l’isola ‘produceva’ politici importanti

come Mazzella, appunto, e Franco Iacono, europarlamen-tare socialista. In quest’atmosfera, Domenico, con la sua passione, il suo entusiasmo, le sue capacità ma anche la sua popolarità, aveva capito che poteva acquistare un ruolo che, fra tanti passi falsi e contraddizioni, è comun-

Domenico Di Meglio era una porta spalancata sull’isola e per l’isola. Non a caso la porta che materialmente separa-va dal mondo esterno la sua tolda di comando, lo spoglio ufficio al Golfo, era sempre aperta. Per essere a dispo-sizione di chiunque volesse parlare con lui e, attraverso lui, con l’isola d’Ischia. In un reciproco scambio che ha alimentato per decenni le pagine del giornale, riempiendo-le di discussioni, polemiche tal-volta assai sanguinose, attacchi ai politici e a chi gestiva la cosa pubblica, ma anche a categorie strategiche come certa impren-ditoria. Il fatto è, come ha sottolineato più di uno dei nostri intervistati, che Il Golfo viveva di tutto questo, ingoiava ogni giorno fatti e storie, spesso dati pure in forma di pet-tegolezzi, insinuazioni, informazioni anonime. Il giornale e Domenico ne avevano bisogno per andare in edicola tutti i giorni, la gente voleva il palcoscenico del Golfo, per sapere e soprattutto per parlare a sua volta. Di cose importanti, di proteste sacrosante, di denunce necessarie ma in mez-zo, inevitabilmente, ci finivano anche persone e situazioni

che non meritavano di essere messi sotto i riflettori o alla gogna. Questo era, probabilmente, il limite maggiore del giornale ideato e diretto per vent’anni da Domenico Di Me-glio e, quindi, il limite di Domenico Di Meglio. Il quotidiano di Ischia, infatti, era espressione delle sue passioni, con-vinzioni, idiosincrasie, nella linea editorial-politica percor-sa di volta in volta, nello spazio da assegnare a questo o a

quel tema, nel taglio e tono con cui le notizie erano pubblicate ma spesso anche create, non a caso sembra che gli piacesse dire “Se un giorno non avessi

niente da pubblicare mi sparerei in una gamba”! Aver dato a quest’isola un foglio quotidiano, facendo entrare la parola scritta nelle case di migliaia di ischitani, aver spa-lancato (ancora una volta!) la porta su mondi altrimenti di fatto chiusi, quali le aule dei consigli comunali e le co-siddette “stanze del potere”, insomma aver puntato i suoi personalissimi riflettori sulla politica locale mettendone in chiaro parte dei meccanismi è un merito che a Domenico Di Meglio nessuno potrà togliere, pur con tutte le riserve

Il suo spazio esistenziale erano i Sussurri e Grida (piu'grida che sussurri, in verita'!), ma l'editoriale era anche lo spazio esistenziale del Golfo stesso.

Noi giornalisti dobbiamo chiederci se vorremmo che si scrivesse su di noi una notizia che non fosse corretta, approfondita: Domenico questi ragionamenti non li faceva, reagiva decidendo di fregarsene.

sul modo in cui, talora, lo ha fatto. Populismo aggressivo e facile demagogia hanno colorato spesso i suoi “Sus-surri e Grida”, le sue chiose pungenti, ma sicuramente la politica ha sentito il suo occhio e la sua penna su di sé e noi lettori abbiamo trovato nei suoi editoriali numerose occasioni di riflessione: con la sua scomparsa, due anni fa, sono venuti meno gli uni e le altre. Ciò che, invece, è mancato a Domenico Di Meglio è, forse, la capacità di incidere sulla società isolana cui si rivolgeva e alla quale ha dato la parola. Il Golfo, infatti, ha finito per essere lo specchio in cui Ischia ha visto riflesse, spesso in maniera plateale, le sue profonde contraddizioni, in cui gli ischitani hanno potuto guardare bene in faccia il proprio presente, la propria identità sociale, i propri limiti, non però per met-terli in discussione e magari superarli ma, piuttosto, talora addirittura per compiacersene. Mentre questo avrebbe potuto e dovuto essere uno dei ruoli assolti dal giornale in una comunità piccola ma articolata come la nostra, e in ciò Il Golfo e Domenico sono venuti meno: forse non era fra i suoi obiettivi, ma è un’occasione perduta di crescita civile che non sappiamo se si ripresenterà.

Domenico non riusciva a stare sei giorni zitto! Era un'energia che doveva esprimersi, gridare.

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que riuscito a mantenere.Com’è nato il vostro sodalizio?PINTO: Ero un ammiratore delle battaglie che Domenico faceva da quando aveva 15 anni, era un fascista fasci-sta, ma mi piacevano la forza e il modo sanguigno di essere che lo connotavano già allora. Quan-do ero in V ragioneria e lui al III geometri, facemmo insieme il primo giornale stampato (a Na-poli, a via Mezzocannone), si chiamava Tempi di Scuola e con noi collaborava anche Peppino Mazzella. Dopo il diploma, lui continuò con L’Isolano, un giornale di chiara impronta di destra, realizzato con il ciclostile. Poi, insieme lo trasformammo nello Sport Isolano, dato che Domenico era anche un attivista della curva, aggiungendo l’inserto di attualità. In seguito, ribaltammo il peso dei contenuti del giornale: più attualità e meno sport con il Settimanale d’Ischia. Infine, ci siamo affacciati al quotidiano: da un punto di vista aziendale non ero d’accordo, ma lui non riusciva a stare sei giorni zitto! Era un’energia che doveva esprimersi, gridare.

Che rapporto aveva lei, sacerdote fra i più attivi e conosciuti nel paese, con il direttore Di Meglio?IOVENE: Ci siamo conosciuti quando lui era consigliere comunale e io uno spettatore molto interessato alle attivi-

tà del Consiglio, successivamen-te, circa 25 anni fa, siamo entrati in conflitto. Accadde quando divenni sacerdote della chiesa di San Pietro (Ndr. Una delle parroc-chie più importanti del Comune) e

mi attaccò sul Golfo perché ero amico del sindaco Enzo Mazzella, che lui combatteva aspramente, allora ancora attraverso le pagine del Settimanale d’Ischia. Io gli rispon-devo che doveva finirla di farmi tanta pubblicità, e alla fine tutto assumeva un tono scherzoso. Ma, a parte questa parentesi polemica, mi è stato sempre vicino in tutte le mie iniziative. Al punto che, intorno agli anni ’90, fummo rinviati a giudizio prima io e poi lui per abusivismo edilizio: accadde che, avendo l’autorizzazione del Comune ma non quella della Sovrintendenza, feci realizzare un varco per gli handicappati all’ingresso della mia chiesa e Domenico mi sostenne fortemente, anche con azioni simboliche come

IL GOLFO: FIGLIO PREDILETTO Con che spirito era realizzato Il Golfo? RISPOLI: Era un giornale che attraversava i partiti, ma ‘le carte le serviva’ Domenico; dava voce a tutti, ma i “Sus-surri” e le “Grida” (Ndr. Questo era il titolo della rubrica quotidiana del direttore) erano i suoi. Aveva uno slancio impetuoso verso il popolo ischitano del quale si sentiva totalmente parte. L’isola è una realtà variegata ma da strapaese, è un mondo aggressivo, incapace a darsi uno scopo, percorso da un moto caotico che si perde senza riuscire a orientarsi, a farsi società civile: ecco, Domenico riusciva a sentire con la pancia questo organismo com-plesso, ne recepiva le pulsioni, Il Golfo di Domenico pre-meva su questa realtà ed essa sul Golfo, ma lui era anche convinto di poterla orientare attraverso il suo giornale.Ma allora Di Meglio faceva politica con il suo fo-glio? cercava di incidere sulla società isolana?RISPOLI: Sì, credeva che da questa mescolanza, da

questi movimenti fatti anche di spintoni, potesse sorgere qualche cosa. Anche se appariva arrabbiato, Domenico non aveva uno sguardo pessimista, semmai il contrario. Incitava e tirava le briglie, tuttavia credeva che alla fine i tasselli potessero andare al loro posto, che questo popo-lo di isolani arruffone, disgraziato, geniale si riscattasse, altrimenti non si spiega il ruolo di giornalista così come lo intendeva per se stesso. Concependo il popolo come organismo coeso, era convinto che dovesse approdare a qualcosa di positivo, era una necessità interiore per lui: strillava perché voleva trovare chi lo ascoltasse, convinto che ciò, prima o poi, sarebbe accaduto. E, naturalmente, è passato di delusione in delusione, senza però perdere la speranza.Che ruolo si era dato, che giornalista era?RISPOLI: La politica gli piaceva, ma ciò che amava di più era fare l’opinionista, il suo spazio esistenziale era-no i Sussurri e Grida (più grida che sussurri, in verità!); ma l’editoriale era anche lo spazio esistenziale del Golfo stesso, proprio in quanto il giornale era identificato com-pletamente con il suo direttore il quale, quando lo rite-neva, emetteva valutazione chiare e decise. Da quando, invece, è gestito da persone che non hanno saputo tenere lo stesso atteggiamento, che non prendono posizione e non manifestano un orientamento preciso sulle vicende e i loro protagonisti, Il Golfo ha cessato di avere motivo di esistere.PINTO: Lo considero senz’altro un giornalista atipico, ma

la formula scelta da Domenico Di Meglio gli consentì di allontanarsi dallo schema caratteristico del giornale loca-le, che di solito nasceva per l’uomo del momento, l’uo-mo politico, l’uomo di interesse - anche economico - che avrebbe poi dovuto raccoglierne indirettamente il risultato (Ndr. In termini di visibilità, di riscontro positivo, se il caso anche nella forma del consenso politico), mentre il gior-nale locale non deve essere finalizzato a chi comanda. Come direttore Di Meglio era capace di svilup-pare strategie, progetti o piuttosto si faceva guidare dall’istinto, come farebbe pensare il suo temperamento irruento?PINTO: Spinto dall’istinto e dalla passione che erano le-gati al suo modo di interpretare le istituzioni nella funzione di ‘governo del popolo’, Domenico è stato lucidissimo in tutte le battaglie, ma anche nella fase imprenditoriale. Non ho timore a dire che forse è stato più imprenditore di

me, perché la sua intuizione era più netta della mia ragio-ne. Per esempio, l’idea di creare un quotidiano a Ischia e la certezza che ce la potessimo fare era sua, come pure quella del ‘panino’, vale a dire abbinare Il Golfo ad un quo-tidiano di tiratura nazionale, Il Tempo (e fu il primo espe-rimento del genere in Italia) e successivamente Il Roma. Era convinto che ci fosse un movimento reale cui Il Golfo dava voce, quindi la sua idea di giornale doveva essere per forza vincente.

Talvolta, però, appariva decisamente superfi-ciale: iniziava una battaglia contro una perso-na senza porsi molte domande… D’altra parte, quando di battaglie se ne fanno così tante, prima o poi si imbrocca quella giusta!CENATIEMPO: Sono d’accordo. Quando scrivi un pezzo, quelle parole, quei giudizi rimangono come pietre. Ora, lui sapeva di correre questo rischio ma sapeva anche di essere solo, di non avere il tempo di approfondire tutto. Noi giornalisti dobbiamo chiederci se vorremmo che si scrivesse su di noi una notizia che non fosse corretta, ap-profondita: lui questi ragionamenti non li faceva, reagiva decidendo di fregarsene. E’ emblematico, in questo sen-so, ciò che ha pubblicato contro componenti della propria famiglia, per un eccesso di tensione positiva verso i lettori, verso la sua terra. Il suo quotidiano possiamo accostar-lo ad un grande contenitore, un enorme albero di Natale che tutti contribuivano ad addobbare, mentre Domenico metteva solo il puntale e accendeva la corrente per illu-minarlo. Allo stesso tempo, credo fosse diventato un po’ vittima di ciò che aveva creato, era convinto che l’ultima parola dovesse sempre e comunque averla lui, non si po-neva limiti perché il fatto di essere l’artefice massimo del giornale gli dava una libertà che non esitava a prendersi, salvo poi sbattere la faccia e crearsi molti nemici. Ma lo faceva sempre aspirando ad essere in sintonia con le parti più indifese della nostra società, era davvero il ‘compare’ (Ndr. Nel sud Italia per ‘compare’ si intende una figura che in concomitanza con eventi di particolare pregnanza nella vita di una persona - battesimo, matrimonio - con la sua ricchezza e/o potenza fa da garante, può essere un amico o parente che paga parte delle spese e la cui sola presen-za conferisce autorità e prestigio all’evento) dell’umanità un po’ dispersa e senza identità che popola quest’isola.

Non si poneva limiti: essere l'artefice massimo del giornale gli dava una liberta'che non esitava a prendersi.

Era capace di parlare sul Golfo di Dio e delle puttane dedicando loro lo stesso spazio e la mescolanza che realizzava era gradita al pubblico.

Domenico esprimeva continuamente giudizi di valore, e spesso con approssimazione: se facevi muro contro muro ti schiacciava, ma bastava saperlo prendere...

la violazione simbolica dei sigilli, per cui entrambi rice-vemmo una denuncia.

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Come riuscì Domenico Di Meglio a creare e, quin-di, a far vivere un quotidiano?RISPOLI: Le dirò, senza mezzi termini, che a Ischia spa-zio per quotidiani non ce n’è e quando tentò l’avventura del Golfo, benché lo conoscessimo come testardo, tena-ce, un ‘mulo’, comunque non ci avremmo scommesso una lira. E invece ce la fece. Il Golfo era simbioticamente lega-to alla figura di Domenico: in quel ‘brodo primordiale’ che egli stesso creava ogni giorno sapeva muoversi perché aveva un rapporto con la società molto aperto, era amico di calciatori, teatranti, di ceti bassi e alti, era capace di parlare sul giornale di Dio e delle puttane dedicando loro lo stesso spazio e la mescolanza che realizzava era gradi-ta al pubblico. Domenico oscillava: un giorno decideva che attraverso il giornale si doveva elevare il dibattito politico isolano, il giorno dopo dedicava spazio alla questione: “Le donne che prendono l’aliscafo delle nove meno dieci, chis-sà dove vanno…” (Ndr. Sottintendendo che andassero a Napoli per prostituirsi)! E quando gli domandavo il perché di questo altalenare, rispondeva che con questo genere di titoli vendeva più copie. Quindi, lo scopo ultimo erano le vendite?RISPOLI: Sì, non per incassare denaro però, ma perché costituiva la sua legittimazione sociale. Era anche una for-ma di potere e so che non sempre l’ha usato in maniera corretta; tuttavia questo è un affare della coscienza di

I POLITICI: GRANDI ANTAGONISTIDomenico Di Meglio come direttore del Golfo aveva un atteggiamento di ostilità verso gli am-ministratori: era sempre stata questa la sua vi-sione della politica?RISPOLI: No, quando partecipava attivamente alla politi-ca, lo faceva con entusiasmo, soffrendo per la posizione di emarginazione del suo partito, l’MSI, che era tenuto fuori dall’arco costituzionale (Ndr. Il partito che era espressio-ne della destra in Italia non fu tra quelli che, dopo la Seconda guerra mondiale, parteciparono alla ste-sura della Costituzione dell’Italia Repubblicana), anzi la sua carica vitale non si spiegherebbe senza una passione politica nella quale prendeva corpo. Che lettura dà della posizione negativa, che ta-lora appariva anche pregiudiziale, che Di Meglio teneva nei confronti dei politici che gestivano il potere, quelli in carica, per capirci?TELESE: Sono convinto che gli veniva dalla sua cultura fascista. Ricordiamoci che il fascismo nasce contro la po-litica storica, quella espressa da liberali e socialisti, e lui è stato il campione di questa cultura fascista, e sottolineo fascista e non di destra, perché la destra è altro. CENATIEMPO: Il politico, in quanto uomo forte, era qual-cosa da circumnavigare, salvo poi abbracciarlo completa-mente quando esplodevano gli innamoramenti totali. La sua posizione verso i politici era questa, “Se fate cose buone, perché non devo parlarne sul giornale?”. La veri-tà è che se facevi ‘muro contro muro’ ti schiacciava, ma

bastava saperlo prendere. Domenico esprimeva continua-mente giudizi di valore, e spesso con approssimazione: estremizzando un po’, possiamo dire che ci è apparso forse come un moralista (benché dicesse di non esserlo), in quanto aveva un’etica popolare che pensava di dover difendere. TELESE: Gli riconoscevo una straordinaria onestà e una straordinaria ingenuità e questo è un tratto molto impor-

tante, perché un ingenuo si riesce a portarlo dalla propria parte fa-cilmente. Ecco, una volta che lui aveva deciso di essere amico di qualcuno, si sbilanciava moltissi-mo, si esponeva a favore di que-

ste persone. E c’è sempre stato chi ha sfruttato questo suo modo di essere e si è servito del rapporto di simpa-tia personale che per lui era così importante (al punto di anteporlo al ragionamento argomentato), per arrivare ad avere il palcoscenico formidabile che era costituito dal suo Golfo. Salvo poi scaricarlo quando non gli era più utile…Che rapporto avevate instaurato, lei da politico e lui da giornalista?TELESE: Lui tendeva a costruire dei personaggi, positivi o negativi, e lo faceva in primo luogo, naturalmente, con i politici. Avemmo un rapporto molto fecondo quando ero all’oppo-sizione che divenne, invece, rugginoso quando fui eletto sindaco. Questo si spiega col fatto che, nella prima fase, ero ‘funzionale’ alla sua linea politica e fece di me l’an-

tagonista del sindaco allora in carica, Gianni Buono. La verità è che, in quel momento, i nostri interessi coinci-devano: io lo osteggiavo in quanto ero consigliere di mi-noranza di centrosinistra e lui perché Buono era visto nel centrodestra locale come l’alternativa a Salvatore Lauro (Ndr. Importante imprenditore dei trasporti eletto senatore di Forza Italia in due legislature, nel 1996 e nel 2001), al quale Domenico era allora molto vicino. Per capire la si-tuazione che si creò, si deve considerare che Lauro, come parlamentare e leader del centrodestra nell’isola, faceva sentire molto la sua presenza sul territorio e nel collegio e lavorò sia per portare un proprio candidato a fare il sin-daco di Ischia che, giustamente dal suo punto di vista, per creare una polarizzazione della politica, centrodestra contro centrosinistra. Non a caso, quando si arrivò alle Comunali del 1998, il centrodestra non mi contrappose il naturale candidato, il sindaco uscente Gianni Buono ap-punto, che fu scalzato per lasciare il posto a Franco Scotto D’Abusco, fortemente sostenuto da Lauro. A quel punto, Il Golfo, che aveva seguito in maniera molto positiva la mia attività, sia come oppositore che nella prima parte

della campagna elettorale, nella fase finale di questa e soprattutto durante la mia sindacatura, mi attaccò molto. In quanto sindaco di Ischia ero l’espo-nente di punta dello schieramento di centrosinistra e quindi il giornale

di Domenico, che aveva fatto una scelta di campo, era contro di me, era come se si sentisse in dovere di rap-presentare attraverso Il Golfo una destra di opposizione

Conosceva uomini e cose: se Domenico non andava da loro, uomini e cose venivano da lui.

Gli riconoscevo una straordinaria onesta' e una straordinaria ingenuita' e questo e'un tratto molto importante, perche' un ingenuo si riesce a portarlo dalla propria parte facilmente.

Avere informazioni sugli altri, conoscerne i segreti, da'un potere incredibile.

Domenico, gli ho voluto bene e mi sembrerebbe di fare un torto all’amico interpretando questo modo di intendere il giornale come la strumentalizzazione di un potere og-gettivo. Domenico Di Meglio costruiva i personaggi (in positivo come in negativo), le notizie, i suoi at-tacchi perché doveva vendere il giornale, prima e più ancora che per dare le notizie?TELESE: Prima ancora che vendere, doveva andare in edi-cola ogni giorno. Era come se ogni giorno dovesse alimentare una fornace, quindi aveva biso-gno di una certa quantità di le-gna, pena il fatto che la fiamma non sarebbe stata abbastanza forte, e doveva procurarsela in qualunque modo: a un certo punto, egli è diventato schia-vo di questo meccanismo, nel senso che ne condizionava le scelte e gli atteggiamenti.Come viveva il rapporto con Il Golfo, che atteg-giamento aveva verso la sua creazione?RISPOLI: Credo che la passione per il giornale a Dome-nico sia costata la vita, gli dedicava una quantità di tempo sterminato, gli potevi parlare male dei suoi familiari ma non della sua creatura.

TELESE: Era un feticcio e come tale gli ha sacrificato tut-to, a partire dalla famiglia. E non so se questo fosse un bene: finiva, infatti, per apparire vittima del personaggio del ‘Direttore’ che aveva costruito e della sua ‘creatura’, e non dimentichiamo che le due cose si identificavano as-solutamente. Che significava essere l’editore di Domenico Di Meglio?

PINTO: Dargli la libertà di par-lare, cioè non caricare su di lui il peso del costo economico, dovevo centellinare il denaro ma vivevo i suoi stessi ideali, condividevo il suo modo di pen-sare, se lui non prendeva i con-tributi non li prendevo neppure io. Rappresentavo quello che

pagava in proprio i ‘peccati’ di Domenico. Da parte sua, era votato al peggio, anzi ha vissuto nel peggio: per un periodo abitava in una casa praticamente sotto il monte Epomeo, perché solo lì aveva trovato un affitto abbastanza modico da poterselo permettere. Il riscontro dell’efficacia e dell’autonomia del nostro agire lo abbiamo avuto quando a un certo momento Il Golfo ha sovrastato tutte le istitu-zioni, non solo quelle comunali intendo, e venne aperta una megainchiesta contro di noi, con lo scopo preciso di chiuderci. Ci sono stati momenti in cui Il Golfo se l’è vista male economicamente?PINTO: Sì, il giornale ma anche Domenico, che per la sua generosità distribuiva lo stipendio a chi gli vendeva qual-che notizia, a qualche drogato che gli si metteva affianco, mi sono anche trovato con un mazzo di cambiali che aveva firmato per conto di altri e non sapevamo come pagarle! In cosa si trovava in disaccordo con lui?PINTO: Vista egoisticamente, avrei voluto un po’ di equili-brio in più, per me a volte il peso era enorme.Non vi è mai capitato di litigare fino ‘a mandarvi a quel paese’, come lui che aveva un tempera-mento sanguigno, ha fatto con tanti?PINTO: No, perché ciascuno di noi due era libero di oc-cupare il proprio posto, lui ne avrebbe trovati altri cento di finanziatori come me, c’era la volontà di entrambi di stare insieme, ci completavamo.

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rispetto alla mia giunta di centrosinistra. Io questa cosa gliela dissi con chiarezza e lui si offese molto, scrisse e affermò più volte che il suo non era un giornale di parte e che era aperto a tutti i contributi. Negò di essere l’alfiere del centrodestra a Ischia e di dare spazio solo a quella parte politica. Quel che è certo è che dopo la fine della mia esperienza come sindaco (Ndr. La giunta Telese fu fatta cadere dopo un paio d’anni), mi disse che eravamo stati una buona amministrazione, ma naturalmente a noi il riconoscimento sarebbe servito prima! E’ oggettivo che Il Golfo ‘firmato Domenico Di Meglio’ desse molto spazio alla politica, ma pen-sa che egli sia riuscito ad influire con il suo la-voro di giornalista sulla politica e sulle decisioni prese dalle amministrazioni?TELESE: Purtroppo no: dico “purtroppo” perché questo va rubricato come un fallimento. Le sue battaglie, per esempio contro Enzo Mazzella (e figure politiche a lui vi-cine come Gigino Castagna che chiamavano ‘Il Viceré’ e il ‘re’, naturalmente, era il sindaco Mazzella), non hanno tolto consensi elettorali a queste persone. Più in generale, chi ha resistito ha sempre vinto con Domenico, la politica e i suoi esponenti sono riusciti a difendersi e lui non ne ha scalfito il potere. PINTO: No, non ha cambiato le cose, ma ha dato una coscienza critica a chi era preposto a cambiarle, cioè ai politici stessi, che operavano tenendo conto anche di quello che gli veniva dalla piazza, sicuramente a lungo rappresentata da Domenico.Era un moralizzatore?PINTO: Era un provocatore. Domenico non si è mai sen-tito l’uomo della verità assoluta, il valore assoluto che lui vendeva non era la verità ma la passione. Certe scelte della politica lui le condivideva anche, ma le contestava in quanto si era ritagliato il ruolo di voce critica, voleva vestire i panni della minoranza, perché era convinto che questo fosse il compito di un giornale. Non ha avuto paura di parlare e di criticare un sistema di potere costituito, dalla Chiesa alla magistratura, dalla politica all’Arma, ha criticato la lobby annidata nel sistema.Non è un atteggiamento qualunquista, questo?PINTO: Non doveva essere Domenico a garantire dal qua-lunquismo, ma chi faceva la politica; lui rivestiva il ruolo dell’oppositore che sta in piazza, e come tale leggeva i fatti, come uno che non ha la responsabilità di fare, di agire, responsabilità che appartiene ad altri. Chi erano i suoi nemici?TELESE: Poiché era una voce fuori dal coro, spesso una voce contro, sempre sopra le righe, incisiva anche se direi non profetica, sicuramente Di Meglio osteggiava la politica vista come apparato. Questo atteggiamento di sostanzia-le libertà dava fastidio e molto alla politica, e quindi tutti tentavano di ‘saponificare’ il personaggio per renderlo inoffensivo, ma non ci sono riusciti.

IL RETTORE…Text: Peppino Brandi

Il Rettore… della libera Università di giornalismo di Serra-ra Fontana era Domenico Di Meglio.Gli avevo affibbiato questo epiteto per via di una torma di giornalisti-pubblicisti che, nell’arco di pochi anni, era riuscito a sfornare con il suo “Golfo”. Ma non se ne doleva Domenico, anzi, esibiva con malcelato orgoglio la patacca che gli avevo rifilato. Che carattere il tuo! Capace di esse-re rivoluzionario ma anche pigro pantofolaio, barricadiero ma anche uomo d’ordine, contestatore ma anche gover-nista. Volevi cambiare il mondo mantenendo intatta la tua ‘vis pugnandi’. Impegnato in ugual misura nel mondo dello sport, nella politica, nella società civile, e su tutto nel gior-nalismo a cui hai dedicato la vita. “Non mi toccate i nipoti ed il giornale” era il tuo credo. Come è dolce il tuo ricordo anche perché abbiamo incrociato spesso il fioretto della dialettica, in verità lotta impari era la nostra perché il fio-retto era la mia arma ma tu davi sotto di scimitarra. Ti eri fatta la fama di uomo rude e dalle maniere spicce, come quando a telefono rispondevi al tuo interlocutore non con il

consueto ‘pronto chi parla’ ma piuttosto con un perentorio ed ultimativo ‘chi si?’. Tanto che per te avevo coniato il neologismo ‘bruscale’ che essendo la sintesi di brusco e brutale voleva delineare il tuo carattere di superficie. Sì, perché solo chi ti conosceva bene ed a fondo sapeva che dietro quegli occhiali dalla spessa montatura nera ti guar-davano gli occhi buoni. Così mansueti e languidi. Ti ricordo giovanissimo, non ancora diciottenne, e ma-grissimo, non ancora…, balzare come un grillo dalla sede gialloblù in via Buonocore, per annunciare ad una pattu-glia di tifosi che l’Ischia, al terzo incontro con l’Angri ed al 120° con una rete di testa di Illiano, era stata promossa in quarta serie. Si parlava già di te in quei primi anni Ses-santa come di un giovane pieno di risorse e di voglia di vivere. Ti attendeva l’impegno politico e quello della carta stampata. Ci incontrammo all’inizio del ’75 in Consiglio Comunale, io capogruppo della maggioranza e tu dell’op-posizione di destra. Altro che incontro, fu un memorabile scontro, quando nel mio intervento affermai ‘emarginata la destra neofascista’ e nel tuo intervento la sottolineatura che vi erano più ‘neofascisti nella DC che nel MSI’. Ma la politica da militante, ben presto, cedette il passo alla più grande passione della tua vita: il giornalismo. Anzi, la direzione di un settimanale prima e di un quotidiano poi. Da quella cattedra potevi toccare tutte le problematiche che una società multiforme ed in dinamica mutevolezza presentava. Eri su tutti i problemi, a volte li anticipavi con una visione lungimirante, pronto a trattarli con asciuttezza di linguaggio e profondità di analisi. Non facevi sconti a nessuno, nemmeno ai tuoi famigli. La notizia per te era sacra, salvo trattarla con i guanti o con l’accetta. Eri un cardiaco sognatore e ti compenetravi nel ruolo che ti eri dato come coscienza critica della società in evoluzione. Sognatore, sì sognatore, capace di imbarcarti con tanti al-tri amici in avventure verso l’ignoto, come quando coinvol-gesti amanti di Diana e non nell’acquisto di quella grande tenuta in Toscana che doveva diventare riserva di caccia, agriturismo e tante altre cose. Avevi una grande capacità di coinvolgimento e facevi partecipare gli altri ai tuoi so-gni. Peccato che questi e quelli si dileguassero con i primi chiarori dell’alba. Eri paladino dei deboli, degli ultimi, dei diseredati, come quando ospitasti a lungo in una roulotte davanti alla sede del tuo giornale uno che non aveva rice-vuto alcunché dalla società, ed a cui perfino la dignità era stata tolta. Eri titolare dei due binari della vita: passione civile e sensibilità sociale. Era piacevole frequentarti e ci siamo donati momenti di serena amicizia proprio quando le avanguardie crepusco-lari della vita si intravedevano ai nostri orizzonti. Come erano piacevoli e saporiti gli spaghetti consumati alle pen-dici dell’Epomeo. Era stato Mizar (Ndr. Giovan Giuseppe Mazzella), forte della sua capacità di ‘mezzano’, a volere quell’incontro che, con cadenza settimanale, svolgevamo nella sua casetta abbarbicata sui nervosi dossi serraresi. Ero io a preparare in cucina gli spaghetti con quella salsa da te prediletta. Pomodori freschi nella stagione giusta e di ‘boccaccio’ in inverno, tirati con peperoncino, basilico e vino rosso, e poi mantecati con parmigiano grattugiato al momento. Mezzo chilo in tre. Avevi una punta di dia-bete mellito, ma una volta alla settimana si poteva fare. E dopo, tu a schiacciare un pisolino stravaccato su di un prendisole, Mizar ai piatti (era addetto alla ‘plonge’ e svolgeva questo ruolo con umiltà), ed io ad interrogare il futuro attraverso il solitario ‘Napoleone’, (mi sentivo tanto Macbeth che interrogava le streghe ‘evocatele pur, se del futuro mi possono chiarir l’enigma oscuro’), poi una volata giù a Fiaiano per un simpatico caffè e la ripresa del tuo lavoro. Certo a vedere i personaggi che calcano il palco-scenico della politica, (tu li chiamavi ‘personacci’), non saresti stato contento e ricordo quando mi confidasti che mai avresti voluto, alla fine di una vita spesa per elevare la cifra politica degli ischitani, amaramente ammettere di ‘aver figliato dei servi’. Non ci sei proprio ora che sta per nascere ‘il bambino’ del Comune Unico. Avresti ricondotto il dibattito sul tuo quotidiano nell’ambito delle proposte e delle analisi, aborrendo l’orrido cicaleccio che oggi avvol-ge questa grande novità. Scusami se in questo tuo ricordo mi sono abbandonato ai toni crepuscolari ma, sai, sono partito dalle utopie giovanili per ritrovarmi soffocato nel cinismo delle delusioni. Forse, se tu fossi ancora qui…

Pic_ \ Nelle pag. precedenti: Domenico Di Meglio con Giovan Giuseppe Mazzella Mizar e Domenico Savio, storici collaboratori de Il Golfo e con Mimmo Falco; nella pag. accanto serve a tavola come volontario all’isti-tuto don Orione di Casamicciola. Nella pag. successiva, foto di gruppo della maggioranza al comune di Ischia nel 1985: da sin. Michele D’Arco, Carmine Bernardo, Antonio Pinto, Giovanni Trani, Peppe Zabatta, Giovangiuseppe Spignese, Pasquale Migliaccio, Peppino Brandi, Pierino De Angelis, Rino Cenatiempo, Antonio Pagano, Augusto Muro, Luigi Castagna. Seduti: Gianni Balestrieri, Gabriele Trani, Giovanni Sorrentino, Enzo Mazzella, Antonio di Iorio, Salvatore Mazzella, Paolo Ferrandino, Luigi Cesareo.

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L’ISOLA: “QUESTA E’ LA MIA GENTE”Quanto pensa che il Golfo abbia cambiato la so-cietà civile isolana?PINTO: Profondamente, per il modo in cui Domenico ha fatto il giornale. Lui è stato un attivista in tutto ciò che lo ha interessato come cittadino. Era un attivista come ultrà della tifoseria calcistica, era un attivista come com-ponente del MSI, era un attivista di piazza quando c’era da rivendicare qualcosa, come consigliere comunale. In una società che si trasformava, non avendo più presa sulla piazza attraverso la politica, ha continuato a gridare attra-verso la ‘piazza’ rappresentata dal giornale. TELESE: Penso che il periodo d’oro del Golfo, quando il giornale ha giocato un ruolo determinante e quindi Di Meglio ha costruito il suo potere, sia andato dal 1985 e al 1995, quando il suo quotidiano era l’unica voce a dispo-sizione di chi avesse una dimensione pubblica o ambisse ad averla. Questo tipo di potere, secondo me, termina con la sindacatura di Gianni Buo-no (Ndr. Sindaco dal 1994 al 1998), cui Domenico con la sua continua azione di opposizione giornalistica riuscì a dare una forte spallata. Che rapporto aveva con l’isola? La conosceva bene?RISPOLI: Conosceva uomini e cose: se Domenico non andava da loro, uomini e cose venivano da lui. Essendo Il Golfo la camera di decantazione degli scontri locali, in primo luogo quelli politici, era diventato un crocevia, una grande piazza mediatica, di cui lui era il proprietario, ma anche il capopolo. Aveva un fortissimo senso di appartenenza all’isola, amplificato dalla convinzione di dover essere la cassa di risonanza della sua gente. Questo era il limite suo e della sua creazione e insieme la loro ragion d’essere, ma perché un limite divenga una carta vincente, è necessario che ci sia un personaggio che viva il limite con densità, come una ricchezza, e Domenico ci riusciva. CENATIEMPO: Il mondo di oggi non consente la cono-scenza profonda e credo che si sentisse sempre un po’ solo. Era un carnale, si faceva coinvolgere, affascinare da una tavolata, da una gita, un incontro, un dibattito, ma da lì a conoscere davvero gli altri… sapeva che era impossi-bile. Tuttavia, avere informazioni sugli altri, conoscerne i segreti dà un potere incredibile.La gente lo amava davvero?PINTO: Lui rappresentava l’inconscio della gente, ma non i loro interessi. Nel periodo in cui Domenico costruiva

con forza la propria identità di giornalista, a partire dalla fine degli anni ’70, nell’isola la ricchezza diffusa cresceva esponenzialmente, il paese si trasformava, l’abusivismo

era dilagante. La gente si poneva criticamente verso questi cam-biamenti tumultuosi e approvava le sue battaglie; salvo che poi, quando arrivava il momento di votare, sceglieva chi consentiva e avallava certe cose. Questo, però, per lui non costituiva un problema. Intraprendeva tante battaglie sapendo già che sareb-

bero state perse, ma era pressante la necessità di avere risposte o, quanto meno, di mettere i problemi sul tappe-to. Ricordo che Il Golfo vendeva moltissimo e durante una campagna elettorale fece una battaglia contro il sindaco Enzo Mazzella fino a metterlo nudo sul giornale e, tuttavia, la DC vinse con un margine molto alto: ciò significa che Domenico non ha inciso su quel voto, anzi il fenomeno così come l’ho descritto era fotografato con precisione da quel voto, nel senso che gli ischitani dicevano: “Tu hai ragione, ma preferisco il peccato!”. Le sue lotte non erano finalizzate ad interessi personali, e questo lo garantisco io, perché abbiamo rifiutato assegni in bianco che ci ar-rivavano. Prima del Golfo, l’isola aveva avuto l’esperienza di un altro giornale, professionalmente ben fatto, ma re-alizzato per poter sostenere Enzo Mazzella (Ndr. Pinto si riferisce al Giornale d’Ischia, fondato e diretto prima da Franco Conte e poi da Peppino Mazzella, socialisti, e mol-to vicino politicamente a Enzo Mazzella e al suo progetto amministrativo, che il giornale supportò). Noi nascevamo anche in contrapposizione a questo modo di fare notizia.Era un persona potente? E se sì, ha esercitato

Con una campagna di stampa "ti levava la pelle di dosso", era capace di scrivere decine di editoriali uno dietro l'altro per raggiungere il suo obiettivo: aveva una grande capacita'di incidere e lo sapeva.

questo potere?CENATIEMPO: Più che essere potente, Domenico poteva esercitare un’influenza e questa è già una forma di potere, anche se meno schiacciante dell’idea comune che abbia-mo di potere, come di qualcosa che si esercita dall’alto, da parte di un’entità costituita. Era cosciente di avere la forza di influire sui destini delle persone e ha spesso cercato di orientare il timone nella direzione di aiutare gli altri, nel senso di quelli che a suo insindacabile giudizio avevano bisogno di essere sostenuti e aiutati. Il limite è questo: quante volte il suo giudizio è stato fallace?TELESE: Domenico con una campagna di stampa ‘ti le-vava la pelle di dosso’, era capace di scrivere decine di editoriali uno dietro l’altro per raggiungere il suo obiet-tivo: aveva una grande capacità di incidere e lo sapeva. Naturalmente, in questo senso era avvantaggiato dalla mentalità tipica del paese, dove si compra il giornale per sapere ‘quali guai ha passato’ il conoscente, l’assessore, il vicino di casa.

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Domenico Di Meglio è davvero morto?CENATIEMPO: In quanto uomo-quotidiano, sì, è morto.Non ha lasciato nulla? Ha portato tutto via con sé?CENATIEMPO: Ha lasciato il vuoto. Era, nel bene e nel male, un punto di riferimento importante che è venuto meno in una realtà ‘tanto paesana quanto spaesata’, qual è Ischia. Ho sentito subito, nell’immediatezza della sua scomparsa, che finiva tutto con lui, ci ha lasciato il fatto di non esserci più, un vuoto non colmabile, il massimo che si può lasciare.PINTO: Quando è morto Domenico ho detto subito (e c’è chi questo discorso lo ha accettato e chi no) che avremmo fatto un giornale con delle regole imprenditoriali e profes-sionali e niente di più, perché non individuavo chi potesse assumere un ruolo, non dico uguale a quello di Domenico ma che ci potesse garantire un risultato come quello con-seguito da lui. Quindi, ho deciso di andare avanti con Il Golfo assumendomi tutti i rischi e pericoli prevedibili e che avevo previsto. Infatti, c’è stata una grande anarchia all’interno del giornale, che si è riflessa nel tipo di informazione che si è data; i principali protagonisti del quotidiano, i politici, sono rimasti spiazzati dalla scomparsa im-provvisa di Domenico, c’è stato chi si è buttato a capofitto per farsi raccontare, ma anche chi ha scelto di non parlare. Insomma, nel dopo-Domenico c’è stata una fase non dico negativa, ma senza valore, proprio nel momento in cui l’isola è di nuovo presente politicamente nei posti che contano ed è necessaria una voce forte nella società civile per dare stimoli a chi ci rappresenta nei palazzi. Questo non è stato capito, la stampa locale ha fatto solo gossip, si è parlato del nulla, hanno proliferato i giornali gratis, finalizzati alle carriere personali e a meschinerie di ogni genere.TELESE: Un Domenico Di Meglio oggi manca, perché c’è sempre bisogno di una voce come la sua e c’è sempre spazio per questo tipo di figura, anzi lui lo spazio se lo rubava, non aveva bisogno che qualcuno glielo desse. Com’è cambiato Il Golfo dopo la morte di Dome-nico Di Meglio?

E DOPO DOMENICO?

RISPOLI: Un tempo, otto volte su dieci, nella ‘piazza’ semovente che è l’aliscafo carico di pendolari, i titoli del Golfo innescavano la discussione. Oggi, dieci volte su die-ci non fanno parlare di sé, la gente si limita a sfogliarlo, perché durante il viaggio si deve far trascorrere il tempo

in qualche modo: ecco, questa differenza non è poco! Il figlio di Domenico Di Meglio, Gaetano, durante “Tutti per Domenico”, la serata che Ischiacity e Riccardo Sepe Visconti dedicarono al di-rettore del Golfo appena morto disse “Nuie ‘u Golf sapimm fa”! Questo non è vero, il Golfo

sapeva farlo Domenico e non è facile fare il Golfo sen-za Domenico, può diventare altro, anche interessante, ma comunque è cosa diversa. Manca la penetrazione dell’isola che lui aveva, la conoscenza del territorio, quella sorta di ubiquità, di sguardo che andava ovunque: per lui tutto ciò era un atteggia-mento di vita. Adesso, realizzare a Ischia il quotidiano stando sul filo del rasoio fra distacco e partecipazione, è difficile, a meno che non si crei un progetto editoriale originale, che giustifichi il fatto che questa ‘cosa’ continui ad andare in edicola tutti i giorni. CENATIEMPO: Domenico contava sulle proprie forze, era il punto di riferimento di se stesso, ha sempre fatto tutto

da solo: era il suo limite ma anche il suo grande vantaggio. Non a caso, quando è morto dissi subito “adesso bisogna fare il giornale”, secondo una gerarchia e una gerenza di cui lui non ha avuto bisogno: certo, distribuiva incarichi, ma il prodotto finale era dato da quello che lui, il ‘mega-direttore galattico’, un ‘supereroe’ decideva che dovesse avere dignità di pubblicazione. Domenico Di Meglio è riuscito a formare dei gior-nalisti, ha lasciato sul territorio un’eredità in ter-mini di professionisti?CENATIEMPO: Domenico ha aiutato tanti a prendere il tesserino da giornalista pubblicista perché voleva che le persone si affrancassero, fossero libere, si migliorassero, ma non ha fatto scuola, perché accentrava tutto, era il direttore di se stesso e non concepiva di dover insegnare. TELESE: Il ruolo di padre-padrone del giornale, l’impo-

stazione così personale che gli aveva dato hanno impedito la crescita di altre figure, e anche quando alcune persone sono emerse, a un certo punto lo hanno tradito nelle sue aspet-tative e abbandonato. Quando Domenico Di Meglio è morto,

faceva tutto da solo e, dopo la sua morte, tutti quelli che avevano ruotato attorno al Golfo non c’erano a prendere il testimone. Per cui, oggi, Il Golfo è cosa completamente diversa da quello che aveva creato, mantenuto in vita da persone completamente diverse da quelle che lo realizza-vano quando lui era il direttore.

Ha lasciato il vuoto. Era, nel bene e nel male, un punto di riferimento importante che e' venuto meno in una realta' "tanto paesana quanto spaesata", qual e'Ischia.

Un tempo, 8 volte su 10, nella "piazza" semovente che e' l'aliscafo carico di pendolari, i titoli del Golfo innescavano la discussione; oggi, 10 volte su 10 non fanno parlare di se'.

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IL “DIRE”Text: Ida Trofa

“Muore lentamente chi evita le passioni, chi non rischia le sue sicurezze per l’insicurezza di un sogno”, così mi scrisse un giorno in un biglietto fattomi recapitare a casa. E così credo che Domenico, il “Dire” per me, intendesse la vita, intendesse il suo sogno di giornalista. Il suo era uno stile di vita, più che un lavoro, quello stile di vita che adoravo tanto e che per lungo tempo ho inseguito senza sapere bene cosa stessi inseguendo, prima di incontrare qualcuno che viveva come avrei voluto io, che pensava quel che pensavo io e che mi com-prendesse nel mio modo di vedere le cose. Quell’uomo che come me era passato dalle squadrette alla tastiera. La sua grandezza, per quel poco che ne possa capire una come me, è stata la semplicità, la totale assenza di schemi e di regole, se non una regola: il giornale prima di tutto! Non c’era ostacolo che tenesse, non c’era vincolo o difficoltà che lo abbattesse. Ad ogni vicolo cieco, era subito pronto a trovare una nuova via, un nuovo modo per cominciare perché Domenico Di Meglio ha dedicato tutto se stesso ad un sogno, ha dedicato la sua vita alla passione per il giornalismo senza sosta, senza ferie, senza pause. Riusciva a sopperire l’assenza di agenzie di stampa, l’incertezza nel verificare una notizia, con l’istinto, con una magistrale e capillare rete d’informatori costituita dai suoi collabo-ratori - certo - ma soprattutto dai suoi lettori perché il giornale di Domenico Di Meglio, in ultimo il suo “Il Golfo”, è sempre e solo stato il giornale di tutti, senza tabù, senza cesura. Tra l’altro non credo che Domenico si soffermasse a leggere i pezzi che gli venivano inviati, almeno non in maniera approfondita. Si è sempre fidato. Gli bastava l’indizio telefonico… poi diceva: “Fai! Fai!”. Ricordo che c’erano persone che ad ogni incidente, ad ogni fatto, ad ogni sopruso lascia-vano un messaggio in segreteria, nel caso non lo trovassero in linea, prima di rivolgersi alle autorità competenti o magari prima di chiamare il 118. E’sempre stata una cosa che credo sconvolgesse gli operatori stessi! Ovviamente questa sua forza, questo suo spirito non gli hanno evitato le amarezze e le delusioni, ma queste sono le regole del gioco e lo scotto che deve pagare un uomo buono come lui.Perché Il Golfo aveva tanto successo? Perché era il giornale di tutti, era il giornale per tutti, era una speranza ed una certezza perché è sempre stato un giornale d’impegno sociale, di denuncia e di sostegno a quanti l’hanno chiesto, a quanti non avevano voce e con Dome-nico Di Meglio ne hanno trovata una, che continua a fare eco e provoca rimpianto ancora

adesso. “Il Golfo” era Domenico Di Meglio e Domenico Di Meglio era “Il Golfo”, il giornale-l’uomo della gente per la gente. Lavorare per lui è stata un’esperienza importante, al punto da farmi capire che non ci sarebbe stato nessun altro posto al mondo dove poter esprimere liberamente i propri pensieri, scrivere i propri articoli, senza censura, senza comunicati come si è abituati in gran parte dei giornali. Io volevo essere semplicemente la corrispon-dente de “Il Golfo” di Domenico Di Meglio… Che litigate! Era così bello ed incredibile da far spavento! Non c’era carenza istituzionale e vessazione che tenesse, bastava un cenno che Il Golfo cadeva giù come una mannaia, colpiva senza distinzione fino ad ottenere il risultato desiderato, sempre e solo per amore della giustizia e della verità.Così quando il Dire cominciò a non stare bene ebbi paura, tanta da isolarmi. Ancor di più mi spaventava il fatto che aveva lavorato con tenacia ed abnegazione al suo libro, la sua autobiografia, come se già sapesse tutto. Ho avuto l’onore di leggere qualche passo du-rante la stesura ed ogni volta gli ripetevo: “Ma perché vai così di fretta, perché stai scriven-do questa cosa così di corsa, mi dà l’impressione di un testamento!”. Percepivo che da un momento all’altro sarebbe finito tutto, avrei perso quel vocione con cui ridevo al telefono, mentre raccontavo le mille peripezie, le avventure e le disavventure per raggiungere una notizia. Avrei perso chi capiva ciò che dicevo e scrivevo, avrei perso chi m’ha consentito di sognare e scoprire come volevo vivere. Ma lui faceva spallucce e rideva soddisfatto, perché in fondo aveva avuto tutto ciò che desiderava, ogni traguardo che s’era imposto (tranne uno forse: quello della “parabola del negro e del suo sessantesimo compleanno”).Domenico Di Meglio era capace di trasmettere valori e professionalità con una carica umana come solo i burberi buoni sanno fare. L’avvocato Nino D’Ambra dice che Domenico è un costruttore di giornali e credo che il ruolo avuto nell´isola sia lui stesso a spiegarlo nel suo libro “Sussurri e grida” quando scrive: “E’ stato il mio sogno, l’ho perseguito con tenacia, ne ho fatto un lavoro per me e per tanti giovani che vi hanno creduto. Il giornalista, se interpreta correttamente il proprio lavoro, è una sorta di missionario laico in una società che è dominata dalle notizie. Un missionario a cui è demandato il compito di raccontare e spiegare quel che accade nel mondo nel modo più onesto e veritiero possibile. Per farlo il giornalista dovrebbe evitare di predicare bene e razzolare male, perché l’ipocrisia è la peggior nemica della verità e della credibilità. Ho cercato sempre di interpretare questo

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ruolo nel modo più onesto e coerente possibile, non nascondendo mai la mia idea sui singoli eventi, facendo dei miei giornali luoghi d’incontro di idee ed avamposti di difesa dei più deboli e di assalto per la tutela dei diritti, specie di quelli di chi non aveva e non ha altro modo per garantirsi”. È per questo che in molte case, dove altrimenti non si sarebbe letto alcun giornale, si acquistava Il Golfo, per sapere cosa accadeva a casa nostra, per leggere

un po’ di politica, un po’ di sport, un po’ di gossip ‘al sugo di coniglio’. Ha avuto un ruolo, ha aperto la mente e dato spunti di lettura tra il serio ed il faceto che per tanta gente è difficile ancora adesso ammettere. La politica e l’impegno in tal senso hanno avuto sempre un ruolo fondamentale. D’altronde, la Politica è lo strumento che comanda ed opera nella direzione delle vessazioni, delle ingiustizie, che incide in maniera determinante nei rapporti tra i ceti dominati ed il popolo. Il Direttore non ha mai negato la sua militanza, cui dava il merito di avergli conferito una certa capacità di analisi. Una politica che ha prima condizionato (come dice lui stesso nei suoi “Sussurri e Grida”) il suo percorso giornalistico, ma si è rivelata, poi, fondamentale nel suo lavoro e fondamentale nel renderlo un apolide della politica moderna, capace di non accettare bavagli, di fare le scelte che più si adattano alla propria mentalità ed intelligenza. Come nella politica anche nel lavoro giornalistico, tranne rare eccezioni motivate, non accettava strumentalizzazioni da parte di chi pensava di “fottere” il prossimo in nome di valori cui teneva solo in apparenza. Per questo il Direttore aveva sempre un rapporto diret-to e schietto con i politici, sapeva sempre da che parte prenderli… molto spesso erano i testicoli! Di quel lavoro, di quell’uomo resta il rimpianto e l’amarezza. Resta il vuoto, totale, assoluto, aberrante… obliquo e penetrante, nel constatare che esiste gente che gode del suo sacrificio, permettendosi il lusso di dire: “Non fare mai il giornale di Domenico Di Meglio” e parlo di godere del suo sacrificio a più livelli, da chi s’è fatto giornalista, a chi ha assunto a vario titolo un ruolo in questa società e così via. Tra un po’ avranno anche il coraggio di cancellare dalla testata del giornale la scritta: “Fondato da Domenico Di Meglio”! Ma puoi uccidere l’uomo, non l’anima e lo spirito. È forse per questo che io non potrei mai scrivere per chi solo pensa questa cosa, per me è inconcepibile negare il valore di chi t’ha dato un’occasione. E pensare che per il Dire ho cominciato scrivendo ricette. La cosa che adoravo di più erano i racconti in notturna. Spesso nelle feste, Natale, Pasqua eravamo soli all’opera (dicevo io). Io lo sapevo alla tastiera, lui mi sapeva a casa pronta a rispondere alle sue richieste, incidenti, primi nati, botti di Capodanno, casi eclatanti. Così a fine lavoro, non so perché, finivamo sempre per parlare di cosa sarebbe accaduto se non avesse più diretto Il Golfo. Di cosa avrebbero fatto senza di lui. E lui sempre sarcastico diceva: “E che m’importa ne ho già pronto un altro. Poi se non ci sarò più, che mi frega di quel che accade, io ho gettato le basi, l’impianto è solido”. Eppure, in quelle sue brevi affermazioni v’era la con-traddizione. Se prima aveva ammesso che la gente avrebbe seguito lui in qualunque modo si fosse chiamato il Suo giornale, subito dopo faceva della sua creazione una macchina perfetta capace di andare avanti oltre Domenico Di Meglio. Forse i dati delle vendite mi smentiranno, ma quel che conta sono le vendite, pare. Il Golfo di Domenico Di Meglio era un’altra cosa, era coraggio, sacrificio, rabbia, strilli, bestemmie, liti furibonde, errori, lotta, contraddittorio, amore, era il giornale della gente ora è Il Golfo “di chi non lo farà mai come Domenico Di Meglio”. Tutto qua! Quel che più mi ha colpito ripensando ai dialoghi con il Direttore è che lui parlava sempre di vita, impegno, lavoro; della morte, poco. Una frase scritta in merito mi affligge, ora, ripensando a tutto quanto accaduto e a quanto continua ad accadere: «La vita oltre la morte continua nelle opere e nel ricordo». Sarà vero?

Pic_ \ Nella pag. precedente, il direttore de Il Golfo con l’allora sindaco Peppino Brandi e Luigi Telese: in questa pag. con la moglie Rita.

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Text: Silvia BuchnerPhoto: Enzo Rando

GLI AFFRESCHIDISVELATI

Di fronte al Castello per antonomasia, quello del signo-re, di Alfonso d’Aragona, una delle famiglie spagnole che avevano combattuto al suo fianco durante la conquista del regno di Napoli, realizza il proprio regno, di delizie, di cultura, di piacere, coniugando una serie di elementi che fossero l’espressione della propria ricchezza ma anche della raffinatezza intellettuale ed artistica del mondo cui apparteneva. Siamo in pieno Rinascimento e l’eccezionale fermento culturale che in quel periodo attraversa l’Italia sbarca anche ad Ischia e prende corpo in una casa. Sì, perché la torre costruita dalla famiglia de Guevara proprio al di sopra degli scogli di Cartaromana, fra la fine del XV

e il XVI secolo, racchiude una complessa stratificazione di richiami e riferimenti, molti non ancora esplorati, che riflette con compiutezza la civiltà cui si richiamava l’alta società di quei tempi. La forma prescelta richiama le tante torri, circolari e quadrate (come quella dei Guevara), che proprio Alfonso d’Aragona fece innalzare in più punti lungo le coste dell’isola per proteggerla dagli assalti saraceni. Ma, per quanto quella dei Guevara avesse l’aspetto di un edificio destinato alla difesa, protetto da muri e alti ter-razzamenti, si trattava di un’abitazione a tutti gli effetti, destinata probabilmente a trascorrervi la bella stagione. Intorno, la Natura, incarnata in uno spettacolare giardi-

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no che si estendeva fino all’attuale stradina di Soronzano (quindi comprendendo la collina di Cartaromana in tutta la sua estensione), mentre si allungava verso il mare e gli scogli (oggi detti di S. Anna) con una serie di terraz-ze poste su imponenti terrapieni di cui qualche traccia è ancora visibile.La casa di campagna, nella sua idilliaca atmosfera, fron-teggia la città, incarnata nel Castello in quanto sede dei poteri politico e religioso, e si rapporta simbolicamente con essa. I Guevara sottolineano con forza il legame con quel potere che li legittima e ne fa membri di un’elite pre-stigiosa, dedicando ampi spazi della loro casa a un ciclo di pitture articolato e ricco di evocazioni. Le volte e le pareti dell’ingresso, delle scale e degli ambienti del primo piano, infatti, erano fittamente decorati, e il soffitto di una del-le sale del piano nobile restituisce il ‘ritratto’ fedele della zona e degli edifici più emblematici che la connotano - la baia di Cartaromana, il Castello, la Torre, il paese con un campanile. L’eccezionale dipinto offre la possibilità di ve-dere (e non solo immaginare) come apparivano il maniero e le zone circostanti circa 500 anni fa, nel periodo del loro massimo splendore. Ma la celebrazione del prestigio della famiglia Guevara è solo una delle fonti di ispirazione delle pitture: “La ricchezza e complessità di elementi inseriti negli affreschi che al momento possiamo leggere meglio fanno pensare che siano stati concepiti da un erudito umanista”, così ha commentato il professor Thomas Dan-zl, docente della Facoltà di conservazione e restauro delle pitture murali e superfici architettoniche dell’Università di

Dresda, fra le più prestigiose in questo settore, durante la visita che abbiamo compiuto insieme all’interno della tor-re. Grazie, infatti, ad un accordo nato su impulso del cir-colo culturale Georges Sadoul e della sua presidentessa, l’architetto Ilia Delizia, e stipulato fra il comune di Ischia, la direzione regionale dei beni culturali e l’università tedesca, nei prossimi quattro anni, quest’ultima terrà campagne di restauro degli affreschi che decorano la torre. In queste pagine, presentiamo i risultati delle prime quattro settima-ne di lavoro che hanno visti impegnati tredici ricercatori, coordinati dalla dottoressa Monica Martelli Castaldi della Soprintendenza per i Beni Architettonici di Napoli, che nella torre ha già eseguito una prima campagna di lavori lo scorso anno, e dallo stesso professor Danzl: risultati straordinari, perché sono venute alla luce nuove pitture davvero eccezionali per il loro contenuto.Se, infatti, per un caso fortunato si sono preservati gran parte dei dipinti di uno dei saloni (molto probabilmente protetti da un controsoffitto, realizzato dopo l’abbandono definitivo della torre da parte dei suoi proprietari, agli inizi dell’800), tutti gli altri sono stati molto danneggiati.In verità, da un certo numero di anni la torre non è più usata come deposito per attrezzi e ricovero per animali e non è più alla mercé di vandali che hanno deturpato con firme, graffiti e messaggi insulsi le pareti. Dopo l’acquisi-zione da parte del comune di Ischia, infatti, in seguito ad un restauro (che ha voluto l’attuale intonacatura bianca delle pareti esterne, criticata perché ha alterato l’origina-rio rapporto tra le parti in pietra e le mura della torre), la

struttura si è collocata fra gli edifici storici più interessanti dell’isola. Tuttavia, finora scarsa attenzione è stata de-dicata agli affreschi, cosa che appare paradossale, vista l’unicità assoluta di un ciclo di pitture del genere in un posto come Ischia, dove le manifestazioni pittoriche sono rare. Addirittura, durante i lavori necessari per adeguare l’edificio alla destinazione di centro per mostre, gli im-pianti elettrici sono stati installati anche sopra gli affreschi stessi, attraversandoli con canaline e viti!Finalmente, tuttavia, sembra che si sia compresa l’ur-genza di dedicarsi a quest’opera, prima con un lavoro di recupero e consolidamento e poi con uno studio serio e complessivo del significato delle immagini che coprono metri e metri quadrati di pareti e che risalgono al tardo Cinquecento. Il lavoro degli esperti consiste nella pulizia delle pitture, che procede molto cautamente e richiede infinita pazienza, eliminando i livelli di intonaco (tecnica-mente, scialbature: ne sono stati contati anche 22!) che hanno ricoperto completamente l’antica pittura nel corso dei secoli. I successivi interventi mirano a rendere più sta-bili le pitture riportate alla luce e a studiare le tecniche impiegate dagli artisti che le eseguirono. Sarà un lavoro lungo e complesso, ma l’intervento compiuto nel 2010 ha già rimosso strati e strati di sporcizia (aggravata al pian-

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terreno dal fatto che, dopo l’abbandono, alcuni ambienti furono usati per affumicare il maiale), ridando una parzia-le leggibilità ai dipinti delle scale. E’ apparso, al di sotto del nerofumo, un mondo fantastico di piccole, delicate figure finemente disegnate e intreccia-te fra loro: si alternano uomini, donne, animali (in partico-lare, insetti e uccelli), fiori, piccoli scorci di paesaggio, og-getti, mascheroni, personaggi fantastici anche ispirati dal mito classico (per es. il supplizio di Prometeo, con l’aquila che gli divora il fegato), e non mancano le commistioni coeve (si intende cinquecentesche, naturalmente), il tutto inquadrato all’interno di una ‘cornice di pura decorazione’: si tratta di un modulo pittorico chiaramente ispirato dal-le grottesche. Le grottesche consistono, infatti, in minuti disegni su fondo bianco che riproducono festoni, collane, tralci, cornici, intrecci geometrici all’interno dei quali si collocano silhouette esili ed estrose, e che erano di gran moda nel Rinascimento, dopo la scoperta degli affreschi della Domus Aurea di Nerone a Roma. Quando i primi cu-riosi scesero, nel 1480, dentro i vastissimi ambienti della dimora del celebre imperatore (che essendo posti al di sotto del colle Oppio apparivano come delle grotte, da cui il nome dato ai dipinti presenti all’interno), si trovarono, infatti, di fronte a questo tipo di immagini. La meraviglia e

l’ammirazione fu grande: in tanti le riprodussero e diven-nero rapidamente note ai grandi artisti dell’epoca; basti pensare che Raffaello vi si ispirò per le pitture degli ap-partamenti del Vaticano. La presenza massiccia di questi motivi classici, ‘pagani’, è evidente nelle pitture della torre Guevara, a riprova del fatto, ci ha detto il professor Danzl, che anche a Napoli erano giunti tali influssi, anche se le maestranze locali non erano brave come quelle romane.Ma è nei saloni del primo piano che si comprende appieno il senso di ciò che la nobile committenza aveva richie-sto. Uno degli ambienti è stato l’oggetto dell’intervento più consistente eseguito dall’università di Dresda, ed ha consentito di acquisire le nuove pitture, prima del tutto nascoste, su una delle quattro pareti (le altre verranno ‘esplorate’ il prossimo anno). Fra tanti dettagli pittorici da scoprire, spicca la scena di corte ambientata sullo sfondo di una città fantastica, apparsa sull’arco della porta d’in-gresso. Uomini e donne elegantemente vestiti secondo la moda dei tempi di Filippo II di Spagna (che regnò nella seconda metà del ‘500), passeggiano sulle rive del mare, alle loro spalle edifici maestosi tratteggiati in ogni dettaglio e un obelisco, che su un lato lasciano spazio ad un bosco, presso il quale si muovono un cacciatore con il suo cane.

Al di sopra, troneggia in buono stato di conservazione lo stemma della famiglia de Guevara, sicuramente realizzato contemporaneamente all’intera decorazione dell’ambien-te, come ha tenuto ha sottolineare Danzl, infatti il fregio decorativo che corre sulla parete termina per far spazio allo stemma, che ad esso non si sovrappone. Questo ele-mento supporta in maniera incontrovertibile il fatto che la torre venne costruita dalla famiglia Guevara, ed è tanto più prezioso in quanto quello in pietra che sormontava esternamente il portone d’ingresso è stato rubato durante l’abbandono della torre. Le volte della sala est, quella che guarda direttamente il Castello (e forse non a caso), sono - come già detto - quasi integre e contengono un ricchissimo repertorio di figure che combina il continuo riecheggiamento della cul-tura antica ad elementi contemporanei alla realizzazione delle pitture. Figure mitologiche come le impressionanti sfingi che troneggiano su di un lato (va sottolineato che ogni porzione di soffitto reca immagini differenti e se ne conservano tre su quattro) convivono con le doppie aqui-le coronate, simbolo araldico della casata degli Asburgo cui apparteneva Carlo V, che, molto probabilmente, era imperatore all’epoca in cui gli affreschi furono commissio-nati; un’armatura da guerriero completa emerge su uno sfondo animato da cani, cervi, agnelli ma anche una deli-cata colomba, da oggetti simbolici delle arti della pittura e dell’architettura, da elementi vegetali. All’interno di cartigli rettangolari, tre eccezionali paesaggi: di fronte a quello già raccontato che ritrae la Torre e il Castello Aragonese, vi sono i ruderi di Tivoli (riconoscibilissimi per gli studiosi grazie al tempietto circolare), ulteriore riprova del voluto, costante riferimento al mondo della classicità; l’ultimo contiene un paesaggio agreste probabilmente di fantasia, realizzato con un tratto molto fine e accurato. E’ assolutamente prematuro - hanno sottolineato Thomas Danzl e Monica Martelli - cercare di fare attribuzioni a un

pittore o ad una scuola: più mani potrebbero aver lavora-to alla torre Guevara. Rafforza questa ipotesi il fatto che, oltre alla tecnica dell’affresco, ne è state impiegate altre due (una punta acuminata per tracciare disegni prepara-tori, ben visibili nelle scale, e una matita di colore rosso, appannaggio del maestro più esperto che l’ha utilizzata per i contorni delle immagini principali), ed è possibile che si possano distinguere influssi artistici provenienti addi-rittura dal nord Europa - il professor Danzl ipotizza dalle Fiandre. Un sincretismo culturale e artistico calato in un paesaggio di rara armonia, qual è quello che i Guevara (e noi oggi) ammiravano dalla loro torre e che va assoluta-mente conosciuto, custodito e valorizzato.

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Esattamente per un mese, fra il 19 giugno e il 19 luglio 1864, Casamicciola fu il centro del neonato Regno d’Ita-lia, e ad essa guardò con grande interesse anche l’Euro-pa, stando almeno alle tante corrispondenze giornalistiche dall’isola apparse in quei giorni sui giornali stranieri, ingle-si in particolare. Una simile affermazione potrà apparire espressione di un campanilismo fuori luogo. Ma la ‘vacan-za’ di Giuseppe Garibaldi finì per proiettare sul proscenio della cronaca nazionale Casamicciola e, con essa, l’isola d’Ischia: infatti, seguire le tracce del soggiorno del Gene-rale nella cittadina termale, consente di calarsi in una fase delicata e fondamentale della storia del nostro Paese che - se pure aveva raggiunto la sua unità - non annoverava ancora fra i suoi territori Roma e il Veneto. Fu una nave inglese, proprietà del duca di Sutherland, suo grande amico e ammiratore, a condurre Garibaldi a Ischia; dalla marina di Casamicciola salì poi a dorso di un mulo (probabilmente la strada, che altro non era che un passaggio scavato nelle pareti della collina dall’acqua, non consentiva l’uso di carrozze) fino a piazza Bagni, ‘seduta’ sulla celebre fonte del Gurgitello, le cui acque avrebbero dovuto curargli la ferita che lo faceva soffrire ormai da circa due anni. Da quando cioè - per una di quelle alchimie della politica che i comuni mortali fatica-no a capire - egli, rischiando la vita, rimediò una brutta ferita al malleolo della gamba destra per le fucilate non dei borbonici, dei papalini o dell’esercito austriaco, ma dei bersaglieri che rappresentavano il regio Stato italiano! A mandarglieli contro, sull’Aspromonte, era stato, infatti, il capo del governo, Urbano Rattazzi. Scopo della missio-

ne: fermare il “Padre della Patria” nella sua marcia verso Roma, la cui liberazione pure tutti parevano, con ardore non minore di Garibaldi, volere. In realtà, in quel momento il grido di “Roma o morte!”, che egli aveva fatto suo, non poteva essere - almeno alla luce del sole - condiviso e sostenuto dalle istituzioni, a cominciare dalla monarchia. Il rischio era di provocare un grave incidente diplomatico con la Francia di Napoleone III, che si era posto a strenuo difensore dell’indipendenza dello Stato pontificio. Di qui derivò la decisione inevitabile, ma pur sempre ambigua, di mandare l’esercito contro le camicie rosse - insomma, italiani contro italiani - che risalivano la penisola, dirette alla conquista della Città-simbolo. Con l’ingloriosa – e non certo per colpa di Garibaldi – conclusione della vicenda dell’Aspromonte, ha inizio un lungo periodo (la breccia di Porta Pia è infatti solamente del 1870) durante il quale intorno alla ‘questione romana’ i maggiori protagonisti degli eventi politici del tempo, il re Vittorio Emanuele II, l’imperatore francese Napoleone III, il papa Pio IX, Mazzini (non però il geniale artefice dell’unità, il conte di Cavour, morto nel 1861), giocaro-no una complessa partita diplomatica fatta di accordi firmati con mille riserve mentali, di compromessi che con disinvoltura non vennero osservati, di intese segrete che, portate allo scoperto, furono immediatamente segui-te da smentite ufficiali. E Garibaldi non era a suo agio in una situazione del genere: fosse stato per lui, la cosa si sarebbe risolta in quattro e quattr’otto, possibilmente replicando anche per lo Stato pontificio l’audace impre-sa dei Mille, che aveva in un baleno liberato dal Borbone

prima la Sicilia e poi Napoli. Ma i nodi della storia non sempre si possono tagliare con la spada e quindi non ci si sorprenda del fatto che, mentre sceglieva di dedicare qualche settimana alle cure termali a Casamicciola nella speranza di alleviare i dolori alla gamba, Garibaldi avviò contemporaneamente una fitta agenda di incontri politici e di strategia, con abboccamenti e contatti. L’intento era di rilanciare un’azione decisa, fuori dagli schemi imbalsa-mati della politica di palazzo, per arrivare prima a Roma e poi, magari, a conquistare il Veneto. Egli credeva che la ‘vacanza casamicciolese’ potesse offrire ai suoi disegni quella necessaria copertura da occhi indiscreti che altrove non avrebbe avuto. Già, perché il Generale era un sorve-gliato speciale delle autorità costituite ed egli s’illuse che, stando in un luogo comunque più appartato, gli venissero per una volta risparmiati i consueti occhiuti controlli. In realtà, la polizia italiana (che all’epoca era sabauda) non lo perse mai di vista e sui suoi movimenti venivano redatti dettagliati rapporti, da cui gli storici hanno ricavato infor-mazioni interessanti sul soggiorno. Senza dimenticare che ai movimenti di Garibaldi erano interessati naturalmente anche i filo borbonici, ansiosi di fargliela pagare e quindi in costante ricerca di notizie con cui alimentare l’attività di propaganda contro di lui. Garibaldi abitò in un primo tempo proprio presso l’albergo di Luigi Manzi, cittadino illustre di Casamicciola. Proprie-tario delle terme omonime (oggi, dopo un attento recupero sono un albergo a cinque stelle, e all’interno si conserva la vasca in pietra che si dice fu usata per le abluzioni del Ge-nerale), era un personaggio interessante, un patriota che

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Text: Silvia Buchner

GARIBALDIACASAMICCIOLA

La ricostruzione dei giorni casamicciolesi di Giuseppe Ga-ribaldi deve moltissimo all’avvocato Nino D’Ambra che da anni si dedica allo studio di questo tema e che mi ha rac-contato con grande efficacia le vicende, i risultati delle sue ultime scoperte e mi ha illustrato i documenti che conserva in copia e in originale presso il Centro di Ricerche Storiche D’Ambra, a Forio, in via S. Vito, 56. Il Centro e l’esposizione dedicata all’Eroe dei due Mondi è visitabile su prenotazio-ne (tel. 081.997117).

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aveva contribuito economicamente alla causa mazziniana e garibaldina e un imprenditore pieno di idee. A lui è attri-buita l’invenzione della sambuca, il famoso liquore a base di anice e, in una lettera che scrisse alla moglie, si legge che naturalmente la fece assaggiare al Generale, dopo il caffè, ed egli la gradì molto. Al punto, sempre secondo il racconto di Manzi, da acquistarne per sé delle casse. Per una coincidenza quanto meno spiacevole il fratello di Manzi, Raffaele, era uno dei funzionari incaricati di sorve-gliare Garibaldi. Presto, però, questi decise di trasferirsi in un luogo molto più tranquillo, lasciando l’albergo di Manzi e piazza dei Bagni. Le ragioni non sono del tutto chiare. Sicuramente, dall’animatissima piazza provenivano infer-nali rumori che disturbavano il suo sonno: infatti, vi si ra-dunavano giorno e notte gruppi di sostenitori intenzionati a incontrarlo a tutti i costi e a fargli giungere in ogni modo il loro entusiasmo; per di più, la banda di Forio suonava in continuazione l’inno a lui dedicato. Ma una ricostruzione alternativa attribuisce questa decisione al fatto che Gari-baldi scoprì di essere ‘spiato’ dal fratello del suo ospite, Raffaele Manzi appunto, e che si sia naturalmente molto dispiaciuto di ciò. Quale che sia la causa del cambio di residenza, la scelta cadde sulla bellissima, panoramica e appartata Villa Zavota, che era un albergo con il nome di Hotel Bellevue (oggi è Villa Parodi Delfino) in località Sen-tinella. Qui – dove soggiornò come un ospite qualunque (tanto che si conserva il conto di 78 franchi che fu pagato per 23 giorni di permanenza!) – Garibaldi, tra una cura termale e l’altra, passò il tempo alternando agli incontri politici (in uno di questi fu addirittura costretto a fare da paciere fra i suoi stessi sostenitori che, in disaccordo sulla linea d’azione da adottare, stavano quasi per venire alle mani) passeggiate in carrozzella, durante le quali pare che un giovanotto locale gli portasse ogni giorno del latte di capra fresco per la colazione.E fra i molti incontri di rilievo che Garibaldi tenne a Villa Zavota, vi furono sicuramente quello del 2 luglio 1864, quando convocò le logge massoniche italiane che spera-va di vedere unite in nome del comune obiettivo (ma non ci riuscirà, tanto che poco tempo dopo mandò le proprie dimissioni alle due logge di cui era membro) e quello con il colonnello Salvatore Porcelli, inviato direttamente dal re. Un documento, venuto alla luce solo pochi anni or sono e proveniente dal fondo Savoia, prova inoppugnabilmen-te che l’ufficiale era stato mandato a Casamicciola per portare l’appoggio di Vittorio Emanuele II alla causa di Garibaldi. Si conserva, infatti, il mandato del Generale in persona a Porcelli per l’acquisto di una nave da impegnare in successive azioni militari e, naturalmente, il denaro ne-cessario all’operazione veniva dalla casa reale.Da quanto si è detto, si potrebbe trarre l’impressione che la storia della ferita fosse solo una trovata per camuffare la sua attività politica. E invece così non era, essa esiste-va davvero e non lo lasciava in pace, tanto che Garibaldi si sottopose docilmente ai trattamenti a base di acqua termale delle fonti del Gurgitello e dell’Occhio, frequentò le stufe a S. Lorenzo (nella vicina Lacco Ameno), bev-ve l’acqua di Castiglione. Tuttavia, la cura fu travagliata e i risultati assai meno brillanti delle previsioni. La tera-pia la stabilirono i suoi medici personali, coadiuvati però dal dottor Antonio Mennella, casamicciolese ed esperto termalista, ma le modalità furono sbagliate, tanto che a un certo punto Mennella entrò in disaccordo con i col-leghi, i dolori alla gamba ferita addirittura aumentarono e Garibaldi interruppe il trattamento. Non prima, però, di rischiare la vita. A raccontarlo, l’episodio fa sorridere, ma allora per poco non volse in tragedia: durante una delle sedute alle stufe, i medici, rapiti dalla bellezza del pa-norama, dimenticarono il Generale all’interno della stufa stessa, dove, chiuso in uno scafandro che ne impediva

i movimenti, si sottoponeva alle sedute a base di vapori caldi. Solo la prontezza di una vecchia inserviente che si accorse che il Nostro era sigillato da troppo tempo dentro lo stanzino, riuscì a sottrarlo a quella morte di cui, in mille battaglie e scontri in giro per il pianeta, era sempre riusci-to a farsi beffa. Infatti, lo tirarono fuori esanime, si faticò non poco a rianimarlo e i dottori decisero una ‘congiura del silenzio’, stabilendo di tenere nascosto l’increscioso episodio. Tuttavia, avevano dimenticato la vecchia donna, che naturalmente si vantò di come aveva salvato Garibaldi con il suo medico di fiducia, Tommaso Cigliano (foriano, ebbe la cattedra di omeopatia all’università di Napoli; era proprietario dell’originale palazzetto al centro del suo pa-ese che reca il motto dell’omeopatia “similia similibus”). E il dottore, a sua volta, non riuscì a tacere la clamorosa rivelazione e spiattellò tutto ad un giornale inglese!Se Garibaldi sospese le cure, continuò, tuttavia, il soggior-

no casamicciolese che, anzi, proseguì in un crescendo di entusiasmo intorno alla sua persona. Oltre agli importanti incontri politici, una grande quantità di lettere, telegram-mi, dispacci, documenti ufficiali gli vennero inviati e rac-contano dei tanti, tantissimi cittadini, associazioni, logge massoniche, sindaci e amministrazioni che portarono sa-luti ed auguri all’illustre degente. E la folla che intendeva accorrere ad Ischia per omaggiarlo era tale che l’isola ri-cevette l’appellativo di “nuovo santuario di libertà”, proprio per l’ospitalità offerta all’Eroe. Tra le curiosità che si con-servano, vi è l’annuncio di una compagnia di navigazione che comunica le corse speciali per Ischia destinate a chi voleva rendere visita “al nostro eroico liberatore Giuseppe Garibaldi” viaggiando “con un vapore che offre ogni agio, comodità e sicurezza”.E venne, infine, il giorno della partenza. All’alba del 19 lu-glio, Garibaldi s’imbarcò sul piroscafo che lo porterà defi-nitivamente via da Ischia, ma nel lasciare l’isola, portò con sé qualcosa, o meglio qualcuno, che gliela ricorderà per sempre: ad accompagnarlo vi era, infatti, un contadino del posto che doveva aiutarlo a coltivare il suo orto-giardino di Caprera.

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Cartoonist: Maria RiccioStory: Romina di Costanzo, Raffaella Iacono

Il 19 Giugno 1864 Giuseppe Garibaldi approda a Casamicciola, per curare la famosa ferita d’Aspromonte e alla ricerca di un luogo tranquillo per progettare la conquista di Roma… Ma sarà davvero al sicuro da sguardi indiscreti???!!!

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Un baccano infernale disturba il sospirato riposo all’albergo Manzi...

I medici litigano alla ricerca della cura adatta…

E arrivano a dimenticarlo all’interno della sauna...!!!

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Solo per caso una vecchia inserviente lo salva da morte certa…

Luigi Manzi offre al suo ospite un liquore inventato da lui, la Sambuca…

Ma la vecchia spiffera tutto...

… e la notizia approda sui giornali di tutta Europa!!!

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Per giunta, il Generale alla fine del soggiorno riceve anche un bel conto da pagare…

…ma almeno torna a casa carico di Sambuca…!!!

… i bersaglieri entreranno ATTRAVERSO LA BRECCIA DI PORTAPIA e CONQUISTERANNO Roma...

... Garibaldi avrebbe risolto quella situazione a modo suo e a noi piace credere che la carica giusta a lui e ai suoi uomini l’avrebbe data proprio LA SAMBUCA del signor Manzi!!!

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Text: Enzo RandoPhoto: Franco Pilato

IL “CASCIONE”DI FRANCO

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Sapevo già che entrando in quella tabaccheria ‘ngopp’ a’ chiazza’ a Forio, gestita da Franco Pilato fino al 2000, non ne sarei uscito prima della chiusura serale, quando quel suono di saracinesca abbassata rappresentava l’in-terruzione di conversazioni - tra un cliente e l’altro - fatte di parole che a sentirle oggi, assetati di digitali, sembre-rebbero astratte: “Hai provato la nuova tmax? ‘Progresso’ ne parla benissimo! No... io resto fedele alla FP4 svilup-pata in ID11, anche se la triX resta insuperabile specie in Rodinal 1:25, sì... ma si ossida in fretta... però vuoi mettere la grana netta e secca che ti dà... lo usa Mimmo e guarda che risultati” e così via per ore. Eravamo ossessio-nati non tanto dallo scatto, dalla ripresa ma da quello che sarebbe accaduto dopo, dalla “camera oscura”, l’attuale Photoshop. La ‘Bibbia’ erano i volumi di tecnica fotogra-fica di Ansel Adams, ed in tema di sacralità seguivano le preghiere di qualsiasi culto recitate puntualmente ad ogni apertura della tank di sviluppo. Le prime curiosità verso il mondo della fotografia per Pilato sono sonore anziché visive, a soli 10 anni azionava il pulsante di autoscatto, con il suo inconfondibile suono, della fotocamera del pa-dre Luigi che, ignaro della incustodita Leica poggiata sulla mensola, si assentava per allestire mostre d’arte con Re-nato Bacarelli alla piccola galleria “Il Centro” al Corso di Ischia (successivamente trasformata nel night ‘La mela’). Ma quelle stesse dita, non molti anni dopo, avrebbero toc-cato la Sinar Norma, banco ottico, goduria per gli occhi e per la mente, sogno dei fotoamatori. L’acquisto della Sinar, presso un venditore napoletano, è amore a prima vista, proprio quella corteggiata anche dal maestro Ga-briele Mattera che Franco aveva accompagnato in qualità di consulente.I volumi e le mostre dei grandi paesaggisti americani come Minor White, Ansel Adams, Edward Weston sono ottimi compagni di viaggio per la conoscenza della luce e della composizione fotografica. Tra gli italiani Mimmo Jodice, Augusto De Luca, Gabriele Basilico e Tazio Sec-chiaroli (reso celebre dalle memorabili immagini delle notti di Via Veneto e della Dolce Vita di Fellini e che forse più di altri ha esportato una certa italianità all’estero).Le sperimentazioni sul ‘fotogramma’, per lo più in bianco e nero, hanno inizio sfruttando gli scorci più tipici dell’iso-la d’Ischia, dettagli di architetture, paesaggi di silenziosa intensità, feste popolari, persone colte con distaccata fi-sicità e inserite in un più ampio paesaggio in cui vivono la propria quotidianità, quasi a voler superare il limite della cornice fotografica. Immagini semplici, mai banali, impre-ziosite diffondendo ombre, a volte elargendo luce. Fram-menti suggestivi e discreti, mai celebrativi perché “dietro le foto veramente buone si scorge sempre l’occhio umile” (Wim Wenders).

Franco sceglie la fotografia come filtro tra sé e il suo mon-do esterno, sceglie la fotografia anche quando non scatta foto, ironicamente si definisce “pigro e colto dalla sindro-me di Lumière, morbo che si contrae a tutte le età, che può avere lunghi periodi di remissione dai sintomi - cioè non si scattano più fotografie - ma prima o poi comincia un certo prurito all’indice, questo vuol dire che c’è un’acu-zie della malattia e a quel punto si ricomincia a scattare”. Ed ecco colmarsi di nuovo i cassetti o meglio il ‘cascione’ di fotografie.L’occasione per riaprire il “Cascione... vecchie foto b/n, vecchie assaje...”, già destinate al mercatino dei fantasmi, viene suggerita dai social network. Questo archivio “dei pittori mancati” riacquista visibilità, come parole mute in cerca di orecchie pronte ad ascoltare e l’esempio vie-ne proprio da una foto intitolata “Ischia Ponte ‘74” dove passeggia un signore su una quinta murale di manifesti e scritte politiche, ed immediatamente commentata:Pilato: “Ischia Ponte ‘74: par condicio ante-litteram”Visitatore di turno: “Ma è Biagio (u cafon)...!”Pilato: “Ad Ischia l’anagrafe è sostituita dai soprannomi!”La seduzione del ‘cascione’ non è solo legata al ricordo come scansione di una realtà temporale, ma come svilup-po e successione di eventi che il fotografo ha incrociato con lo sguardo, delimitando uno spazio a volte ricono-scibile, a volte astraendolo, ma capace sempre di quello ‘stupore’ che stimola le sonnecchianti facoltà delle nostre percezioni.

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Nino Di Costanzo stupisce sempre. Con la sua creatività, con la disponibilità a raccontare gli spazi che sta esplo-rando nella ricerca di nuove emozioni da trasmettere a chi si siede alla sua tavola, alla tavola de Il Mosaico, all’interno del cinque stelle Terme Manzi, a Casamiccio-la. Venti coperti, in un ristorante affacciato sulla quiete di un suggestivo patio di atmosfera moresca, che offrono la possibilità di un’esperienza che abbraccia tutti i sensi. Lo chef che si fregia delle due stelle Michelin e che è entrato nella ristretta rosa dei Grand Chef selezionati dall’asso-ciazione che riunisce alberghi di lusso Relais & Chateaux, intriga, sorprende, coinvolge, trasportando i suoi ospiti in un mondo popolato da creazioni culinarie e non solo, frut-to di esplorazione, fantasia, passione. C’è sempre spazio per ingredienti che vengono da continenti lontani, per tecniche di cottura e lavorazione che sconfinano spesso nell’ingegnosità: tutto per conferire ai piatti l’armonia e i contrasti cercati. Una cena al Mosaico è fatta di profumi e accostamenti che sbalordiscono, di consistenze inedite per proporre sa-pori della tradizione napoletana, di combinazioni cromati-che che preparano quelle del gusto, della mescolanza di italianità e aromi esotici fusi in nome di creatività e senso della misura, rigore e curiosità. Ma queste sono, in realtà, le prerogative dello chef Nino Di Costanzo, prima ancora che dei piatti che realizza. Lui fa pensare ad un funam-bolo, in continuo movimento su un filo sottilissimo, che si concreta nell’equilibrio dei piatti che realizza, sorretto da professionalità estrema e cura maniacale di ogni det-taglio. Un nuovo piatto significa dare corpo a un’idea che può essere ispirata da mille cose, dal ricordo di un cibo dell’infanzia, il pane e pomodoro, il coniglio, piatto tipico di Ischia, dove è nato, la pasta e patate, condimenti di povertà assoluta come ‘aglio, olio e peperoncino’, da cui Nino parte per compiere viaggi nei sapori che nel rispetto di una tradizione da lui molto amata, esplorano differenti

abbinamenti e modalità di cottura. Ma l’ispirazione arriva anche dal desiderio di valorizzare materie prime di altissi-ma qualità, dal pescato locale (per esempio il Gran Crudo con sei diversi tipi di pesce o la Variazione di Alici, dal crudo al cotto, o ancora il caviale di uova di merluzzo e branzino, in vece dello storione), alla carne e formaggi di bufala, al maiale casertano, ai prodotti di nicchia che va a scoprire in giro per la Regione. Tutto viene filtrato da un’inventiva imprevedibile che, per quanto sorretta dal dominio tecnico, non è mai fredda:

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Text: Silvia BuchnerPhoto: Archivio Manzi

LEEMOZIONIDI NINO

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nel piatto si sente sempre prevalere l’emozione, in primo luogo la sua nel selezionare gli ingredienti, e poi quella che vuole provocare in chi mangia. A cominciare dalle impres-sioni tattili e visive, prima ancora di quelle che nasceranno quando il piatto sarà gustato. Per farlo, lo chef disegna anche le forme dei piatti ed i supporti su cui i cibi verranno serviti. Materiali lussuosi e rustici - porcellana, cristallo, vetri di Murano, legno intarsiato, corno, ceramica dipinta a mano, rame - ma pure realizzazioni contemporanee in resina che attraverso la maestria di ottimi artigiani diven-tano oggetti unici, talora veri pezzi di design. Dall’assag-gio dei 19 oli selezionati (uno per ogni regione italiana, eccetto la Valle d’Aosta) con cui si apre la cena a uno dei tanti dessert, passano sulla tavola sculture in vetro, colorati rettangoli, delicatissimi oggetti le cui forme sono ispirate da foglie, fiori, rocce, animali ma tutti funzionali. Vivono indissolubilmente legati al loro contenuto, spesso pensati insieme: per accogliere sapori, combinare colori, enfatizzare linee. Così l’insalata di mare è ospitata da sot-tilissimi contenitori in porcellana di Limoges che riprendo-no la forma dei ciottoli levigati dalle onde e addirittura dei gusci del riccio di mare; in equilibrio su ampolle in vetro o terracotta dipinta vengono serviti i predessert fatti di una delicata sfera di zucchero o cioccolato con un ripieno

liquido. Una volta presa con le mani e messa in bocca, l’equilibrio - questa volta del piatto - verrà raggiunto, quando si fonderanno dolce e fresco, croccante e liquido. Invece, caffettiere, bricchi, pentole in miniatura guidano attraverso i sapori di piatti tipici napoletani rivisitati come la minestra maritata o la parmigiana di melanzane, pane e pomodoro, caprese, gattò di patate, che compongono gli assaggini di benvenuto. Piccoli oggetti dal tono quasi giocoso per far vivere gusti antichi in consistenze nuove, oppure per rompere la tradizione con accostamenti sor-prendenti: da Nino Di Costanzo bisogna farsi prendere per mano, lui sa dove portarvi.

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Nella vecchia cantina di famiglia batte il cuore della azienda familiare Ischia Salumi di Giuseppe Di Costanzo, a Buonopane, caratteristico borgo antico nel comune di Barano. L’intenzione di Giuseppe era di riproporre l’arte della produzione artigianale dei salumi, e così, quella vecchia pietra scavata, utilizzata quasi cent’anni fa per la conservazioni di alimenti vari, è stata resa operativa a tutti gli effetti e in questa cella naturale mi hanno condotto quando ho voluto curiosare dietro le quinte di quella che potrebbe sembrare a prima vista una normalissima macelleria. Mi fanno ‘da cicerone’ anche i suoi figli Raffaele e Francesco che sembrano, nonostante la loro giovane età, aver preso in mano le redini di un’attività che si alimenta di un passato che non hanno mai vissuto, ma che sperimentano attraverso i racconti del padre. All’interno della cantina, i salumi preparati e confezionati con le carni ancora crude in una rete di corda, trascorrono i loro primi otto giorni, in seguito verranno affumicati. I fumi sprigionati dalla combustione dei “penicielli” (ramoscelli di vite, faggio, castagno e foglie di alloro) profumano le carni e completano l’aromatizzazione dei salumi iniziata durante l’impasto, quando vengono mischiati insieme al composto vari tipi di pepe e vino bianco della zona. Per evitare che i salumi subiscano alterazioni della tempe-ratura, ai piedi della parete è stata praticata un’apertura dalla quale passa il combustibile costantemente; in un angolo, accanto alla parete annerita negli anni, si nota una grossa casseruola di rame dove viene fatta riscaldare dell’acqua, utile a ricreare, nei giorni in cui manca, l’umidità fondamentale per non accelerare il processo di “asciugatura” dei com-posti appesi, rendendoli troppo secchi. Trascorsa questa prima settimana, i giovani salumi vengono trasferiti in una stanza dove, se la temperatura naturale è favorevole, completano la stagionatura nei tempi previsti, e sono pronti per essere venduti e soprattutto per es-sere gustati. Naturalmente, non tutti i prodotti hanno lo stesso tempo di stagionatura, che dipende dalla quantità di grasso presente al loro interno, dal taglio di carne utilizzato, ma

anche dalle dimensioni che se maggiori richiedono più tempo. E’ importante che soppres-sate, salsicce, prosciutti ischitani rispettino il tempo di stagionatura, inoltre un salume locale doc deve essere rigorosamente affumicato: la qualità di questi prodotti è garantita dal fatto che se ne preparano in numero limitato per cui il “maestro salumaio” può seguire ogni pezzo dal principio alla fine. Tra i silenzi e i rimandi ai segreti della vecchia ricetta, Giuseppe sottolinea come quest’ul-tima ricalchi quella di suo padre e mi svela il racconto dei giorni in cui si uccideva il maiale e la festa alla quale quest’evento dava vita. Lui, ancora bambino, scrutava con leggera soddisfazione la preparazione che precedeva il colpo che tutti aspettavano, lo sgozzamen-to avveniva con un’incisione ad arte sotto la gola dell’animale, gli uomini lo tenevano dai lati e, in fondo, la povera bestia sapeva dal principio che quel giorno sarebbe stato quello del proprio sacrificio. Tutto iniziava prima del sorgere del sole, alle quattro del mattino si irrompeva nella porcilaia da dove l’animale veniva tratto e trasportato nel posto dove i suoi giorni sarebbero terminati. Leggendo le parole che Nino Caparossa in “Merecoppe Storie di miseria e di grazia nelle terre di Ischia” dedica a Malandrino, un maiale che era sfuggito, tra le urla e le risate di chi gli stava intorno, al colpo di grazia, sembra di rivivere il racconto del mio interlocutore. Il maiale in passato era segno di ricchezza, avere avuto la possibilità di acquistarne uno non era da tutti, visto l’elevato costo, ben centomila lire! Chi lo allevava si sentiva rassicurato in quanto rappresentava un’ ottima fonte di nutrimento per la propria famiglia. Non si buttava nulla, dalle zampe alle orecchie e persino le ossa venivano messe sotto sale e servivano ad insaporire fumanti piatti caldi come la pasta e fagioli o le minestre di verza. Ancora oggi, la moglie di Giuseppe Di Costanzo conserva le fettine di maiale sotto aceto dopo averle soffritte con olio e aglio e messe a marinare con peperoni e profumate con origano. Una vera prelibatezza per chi come loro se ne intende di carne.

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SAPORIGENUINIText: Romina Di CostanzoPhoto: Enzo Rando

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TRA CANNEE SALICIText: Romina Di CostanzoPhoto: Enzo Rando

Intrecciare le canne e i salici, con mani maestre e sicure, è un lavoro che Gennaro Di Meglio, ha imparato per “disgrazia ricevuta”. Quando per un periodo la suocera si ammalò, fu proprio lei ad introdurlo a quest’arte povera. La lucidità e la resistenza delle canne, combinata con la flessibilità dei salici bianchi e rossi ed il profumo della mortella, si uni-scono alla sapienza di chi questo lavoro lo ha iniziato per necessità, lo ha portato avanti come alternativa e ancora oggi lo pratica con passione. Non è la prima volta che visito il laboratorio in cui opera, a Buonopane, frazione del comune di Barano, e appena entro mi sembra di tornare indietro nel tempo. L’allegria dei cestini che s’intravedono accumulati sugli scaffali, i raggi del sole che filtrano attraverso il finestrone, illuminandoli di un giallo paglierino, mettono subito di buon umore. Gennaro mi parla delle “fascine”, dei “naselli” delle “cnocchie”, i suoni che escono quando pronuncia queste parole sanno di antico, di genuino, di buono. I fasci di salici occupano il grande tavolo di legno al centro della stanza, le risate a bocca piena, di chi ha vissuto anche di questo lavoro, traboccano nelle vecchie foto appese alle pareti, ci accolgono e vogliono raccontare quel mondo, fatto di lunghe stagioni invernali durante le quali il freddo ti confinava in casa e si producevano i cestini tra una chiacchiera e l’altra. Le ceste duravano tanto tempo e accompagnavano quasi ogni faccenda domestica, servivano a contenere i prodotti della terra: le mani contadine, infatti, affidavano i frutti del loro duro lavoro a questi “cofani” che li proteggevano dagli eventuali urti, affinché non si sciupassero durante il ritorno a casa. Le “fascine” erano realizzate accuratamente a forma di cono, così da poter posizionare i frutti maturi in superficie e quelli acerbi nella parte sottostante. I “naselli” vengono utilizzati tutt’ora per disporvi i pomodori e i fichi e farli maturare al sole fino all’essiccazione. Durante la vinificazione, invece, il mosto si filtrava attraverso le strisce tese del salice, questo oggetto particolare si chiamava “cnocchia”. Il canestro viene tuttora associato ad uno scrigno che racchiude le cose più preziose che si

portavano con sé da casa, nei campi, dove si restava a lavorare l’intera giornata: formaggi, il “buttiglione” di vino bianco, le “tiane” con il pasto principale, il pane casareccio, il tutto scrupolosamente coperto da un canovaccio, perché a quei tempi non si volevano mostrare i tesori che si possedevano, per paura di destare invidie ed essere oggetto del “mal’occhio” di chi si incontrava lungo il tragitto. La resistenza delle canne sembrava proteggere ciò che contenevano anche da questo tipo di “pericoli”, mentre la cornucopia - una cesta a forma di corno nella quale venivano messi fasci di grano e ramoscelli di ulivo, benedetti durante la cerimonia della domenica delle Palme - veniva appesa all’ingresso di ogni abitazione per attrarre fortuna e prosperità. Il “cufaniello”, invece, fatto con rami di mirto e ulivo, si utilizzava come filtro durante la vinificazione in tutte le cantine isolane. Tra le mensole della cucina di casa Di Meglio, troviamo anche un piccolo cofanetto largo circa 10 cm. e alto 8: vi si poneva il caglio con il latte appena munto, fino a che non si com-pletava la stagionatura e i liquidi in eccesso non erano fuoriusciti, lasciando il formaggio: la suocera di Gennaro lo utilizzava per preparare le ricotte fresche di latte di capra desti-nate alla nipotina Brigida, intollerante al latte di mucca. Ma Gennaro, con l’inventiva tipica dell’artigiano, ha creato anche un altro contenitore molto utile e bello a vedersi, il “funga-rolo”, un grande canestro di forma rotondeggiante con un coperchio, retto lateralmente da una tracolla in tessuto, perfetto per contenere i funghi raccolti nel bosco. Consente, infatti, di mantenere le mani libere durante le salite tortuose per i sentieri che vengono battuti alla ricerca del gustoso vegetale e, al tempo stesso, attraverso le fessure dell’intreccio del vimini ricadono a terra le spore dei funghi, assicurandone la ricrescita. Gennaro Di Meglio, con tutte le sue ceste, lo incontriamo alle più importanti feste patronali estive, da S. Restituta a Lacco Ameno a S. Vito a Forio e sicuramente il 24 giugno, festa del patrono di Buonopane, S. Giovanni, come segno tangibile di una cultura antica ancora assai amata.

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Text: Piaggio centerPhoto: Piaggio.it

PIAGGIOMP3YOURBAN

Lanciato nel 2006, Piaggio Mp3 ha stupito il mondo con la tecnologia delle due ruote anteriori indipendenti e ba-sculanti: un progetto assolutamente innovativo che ha ridefinito il concetto stesso di stabilità dinamica. Una for-mula vincente, come testimoniano gli oltre 80.000 Mp3 venduti in tutto il mondo. Con Mp3 Yourban il Gruppo Piaggio amplia la sua offerta, portando tutti i vantaggi della tecnologia di Mp3 su uno scooter compatto e dalle linee leggere, agile e maneggevole, ideale per districarsi nel traffico. Proposto nelle cilindrate 125 e 300 cc, en-trambe ad iniezione elettronica, Mp3 Yourban si distingue per dotazioni e finiture al top della categoria. Sul nuovo Mp3 Yourban la riduzione di peso e la sensazione di mag-gior agilità sono immediatamente percepibili, già dopo i primi metri in sella. Mp3 Yourban ha un’immagine decisa-mente tecnologica: ogni componente è studiato nel det-taglio sia esteticamente sia dal punto di vista costruttivo. La vista frontale, resa unica dalla doppia ruota anteriore, è dominata dal manubrio, che integra il potente gruppo ottico a doppia parabola, con luci di posizione a led, e gli indicatori di direzione, ed è sormontato da un efficace cupolino fumé. In evidenza, al centro dello scudo, cam-peggia la caratteristica “cravatta” satinata, finitura che riprende quella dei cerchi ruota in lega e del paracalore della marmitta. A snellire la vista anteriore contribuisce la forma avvolgente e protettiva dei parafanghi, in tinta con il colore della carrozzeria (nella versione ERL). Al grintoso frontale corrisponde una coda slanciata e filan-te, che integra con eleganza due comode maniglie per il

passeggero e termina col moderno e curato fanalino po-steriore, caratterizzato da luci di posizione e stop a led. La bicromia della carrozzeria, che alterna parti colorate a inserti verniciati color alluminio, si unisce al pacchetto coordinato della sella e degli interni. L’innovativo elemento centrale dall’aspetto metallico lega e tende le forme, sot-tolineandone la muscolatura e il dinamismo. I dettagli del manubrio, del retro scudo e del tunnel centrale, sotto il quale si cela il tappo serbatoio, completano l’estetica del veicolo. Dal punto di vista tecnico/dinamico, la riduzione di peso (ben 15 kg in meno rispetto alla versione 300cc di Mp3 attuale) è facilmente percepibile sia nelle mano-vre da fermo (il veicolo è più semplice da spostare) sia in movimento (il veicolo risulta molto più agile e reattivo). In piega ed in curva il veicolo si riallinea naturalmente, con un’immediatezza vicina a quella di uno scooter tradiziona-le a 2 ruote (con il plus della grandissima aderenza offerta dalla doppia gomma anteriore). La guidabilità pertanto è migliorata: il veicolo, più svelto anche nei cambi rapidi di direzione, diventa l’ideale per gli slalom nel traffico urba-no. In curva lo Yourban scende più rapidamente in pie-ga e rimane stabile per tutta la percorrenza anche a gas spalancato. La posizione di guida è decisamente ottimale: la pedana all’apparenza più compatta risulta addirittura più ospitale. Inoltre, essendo sistemata più in basso (20 mm meno rispetto ad Mp3 standard), offre più spazio alle gambe del pilota mentre per il passeggero sono state pre-disposte due pedane estraibili che ripiegate si integrano perfettamente nella carena. Nella guida l’avantreno risulta più preciso ed ancora più comunicativo. Il miglioramento è tangibile fin dai primi metri: quasi ci si dimentica di ave-re due ruote anteriori e viene naturale guidarlo come un normale scooter.

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ISCHIA INFESTIVALText: Angela MatteraPhoto: Archivio Ischia Film Festival

Luoghi che raccontano l’emozione di un film e divengono essi stessi un’emozione irripetibi-le: selezionare e premiare i film e le fiction che propongono ambienti particolari, ponendoli al centro del racconto è l’obiettivo dell’Ischia Film Festival e del suo direttore artistico Michelangelo Messina, che abbiamo raggiunto per farci raccontare l’evoluzione e le pro-spettive di un progetto ambizioso che finora ha raccolto grandi consensi. La scelta, infatti, di creare un evento che si occupi degli ambienti utili per le produzioni di cinema e tv è unica in Italia nel suo genere, e finora ha ripagato ampiamente gli sforzi profusi per realizzarla. Il progetto di Messina investe moltissimo nella scelta di produzioni italiane e straniere che calano la narrazione del film nella vita di un posto. A tal proposito, non possiamo non citare alcuni film proiettati nell’ultima edizione come “New York, I love you”, “Tzar”, “Basilicata coast to coast”, premiati perché pienamente in linea con l’idea alla base del festival, a volte persino a partire dal titolo: portare in luce la località, accedere ad un nuovo livello della narrazione che fa del posto un elemento imprescindibile per raccontare efficacemente la storia. Anche Ischia, nel suo passato più o meno recente, è stata set di film di successo come “Il corsaro dell’isola verde” con Burt Lancaster, il premio Oscar “Cleopatra” con Ri-chard Burton e la famosissima Liz Taylor, scomparsa recentemente, “Delitto in pieno sole”, successo del 1953 interpretato da Alain Delon ed il suo remake del 1998, “Il talento di Mr. Ripley”, con Matt Damon e Gwyneth Paltrow, “Il paradiso all’improvviso” di Pieraccioni, ol-tre che fiction di successo come “I delitti del cuoco” con Bud Spencer. Va ricordata anche una serie di commedie brillanti girate ad Ischia e prodotte da Angelo Rizzoli negli anni ’50 e ’60 e che costituirono un formidabile strumento di promozione per l’isola e contribuirono a farne uno dei miti del turismo nazionale.Notevoli anche le personalità che ormai da nove anni si avvicendano sul palco dell’Ischia Film Festival nella splendida cornice del Castello Aragonese: Mariagrazia Cucinotta, Gior-gio Pasotti, Sir Ken Adam, sceneggiatore premiato con l’Oscar per alcune celebri pellicole di Stanley Kubrik, e Cinzia Th Torrini, regista della famosissima fiction campione d’ascolti “Elisa di Rivombrosa”, che ha reso popolare il castello piemontese di Agliè in cui lo sce-neggiato fu girato e che ha visto lievitare i visitatori da 9000 a ben 23000 presenze annue.Ma questo festival accende i riflettori su un fenomeno ben più ampio e complesso, con-nesso all’economia e al marketing. I luoghi scelti per girare le pellicole, infatti, riscontrano

immediate e positive ricadute sull’economia e, in prospettiva, si creano promettenti van-taggi per l’industria turistica di quelle località. Ma quali sono i meccanismi che stanno die-tro la scelta della location (come oggi si chiamano le ambientazioni, prendendo in prestito il termine dagli addetti ai lavori statunitensi) dove ambientare un film? Strategiche sono le Film Commission, enti pubblici regionali istituiti appositamente per mettere in collega-mento le produzioni con i territori potenzialmente adatti a essere trasformati in location e valorizzare e ‘vendere’ i luoghi da utilizzare per le riprese. La scelta di una località invece di un’altra, è dettata, infatti, da molti fattori, e quello economico può rivestire un notevole peso: avere sul posto dove si dovrà girare il film una disponibilità di strutture e servizi tale da poter contenere i costi, per esempio, è molto importante. Da parte sua, la comunità dove giunge una troupe cinematografica riceve un vantaggio immediato, costituito dal fatto che le produzioni preferiscono assumere sul posto parte del personale necessario alla realizzazione del progetto (comparse, sarti, driver, assistenti di scena). Quando la pellicola o la fiction sarà sugli schermi, poi, quella città, paese, borgo riceverà un’ottima pubblicità, non solo per la diffusione capillare della sua immagine, ma perché potrà essere una meta da inserire nei circuiti del cineturismo. Sempre più spesso, infatti, un’interessante quota di viaggiatori sceglie di visitare i posti in cui sono stati ambientati i loro film preferiti per rivivere ancora le emozioni provate davanti allo schermo, e su questo devono puntare le strategie di marketing del territorio. In tale ottica, l’Ischia Film Festival dedica uno spazio apposito al cineturismo, istituendo dei workshop durante la settimana di proiezioni per agevolare il più possibile la comunicazione e l’incontro tra l’industria cinematografica, le Film Commission e l’industria turistica. Nonostante la problematica, tutta italiana, legata al reperimento dei diritti sulle immagini dei film e la crisi economica degli ultimi anni che ha penalizzato anche la promozione della cultura, il progetto di Messina non si è mai piegato davanti agli ostacoli e, anzi, è andato potenziandosi anche grazie a convegni e giornate di studio sul tema come l’International Film Festival Summit di Berlino e la conferenza internazionale del cineturismo di Londra, appuntamenti che hanno riconosciuto all’evento isolano la capacità di individuare e potenziare un tema specifico ed innovativo fra le tante tematiche legate alla cinematografia.

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Il Bene e il Male. Due concetti contrari, inequivocabili, inavvicinabili. Il Bene: tutto ciò che dev’essere fatto. Il Male: tutto ciò che non va fatto. Ma siamo davvero sicuri che sia così? Esiste un vero bene? E un male assoluto? E noi giovani, intendiamo cosa voglia dire bene o male?Sono del parere che esista un bene assoluto o un male assoluto, celato però dalle contaminazioni della cultura, e quindi i concetti di bene e di male sono spesso relativi a secondo dell’epoca e dell’educazione ricevuta.Ciò che in una determinata cultura può apparire bene, da un’altra può essere visto come male, a noi può sembrare strano che una donna si copra interamente con il Burqa o addirittura sbagliato, ma nella cultura araba è un fatto nor-male e, spesso, accettato, se non anche voluto dalle don-ne stesse, quindi com’è possibile che un concetto come il male sia conoscibile se è così facilmente mutabile? La nostra conoscenza del male o del bene dipende dal freno morale, che impedisce ad ogni uomo di compiere deter-minate azioni delle quali risentirà interiormente: a questo freno è spesso dato il nome di coscienza. Penso che ogni uomo, indipendentemente dalla cultura o dall’epoca in cui vive, creda che far del male ad una persona che ha fat-to del bene sia qualcosa di sbagliato, tradire un amico o far soffrire chi ci ama, ogni uomo considera questo male, quindi il male ed il bene assoluto esistono. La cosa difficile è comprenderli e distaccarli da ogni contagio della cultura.Ma è possibile che gli stessi concetti entrino i simbiosi tra di loro e il male sia una causa necessaria per giungere al bene o che il bene arrechi del male? Questo proble-ma riguarda soprattutto noi giovani, per esempio rispetto all’uso di droga: ho sentito più e più volte dotti psicologi attribuire il problema della droga all’insicurezza dei ragazzi o alle famiglie, oppure alla società, ma non ho mai sentito nessuno di loro parlare del piacere che questa può dare. Nessuno si drogherebbe se quest’atto producesse solo sensazioni negative e danni fisici, tranne un masochista o un autolesionista. La droga dà piacere, ed è assoda-to questo; eppure fa del male, rovina il corpo, rovina la mente, rende asociali, apatici, in poche parole: distrugge l’anima somministrandole dosi troppo alte di piacere. Questo ci dimostra come il piacere, cioè il bene, possa essere anche causa di sofferenza e di distruzione del cor-po; ma non solo, per giungere ad un piacere intenso come quello dato dalle droghe, è necessario intaccare irrime-diabilmente il corpo ed il cervello e quindi passare per il male - lo ripeto, è una fase necessaria per raggiungere il

bene, ovvero il piacere. Il male può anche portare al bene.Anche il bene può portare al male, ma solo nel caso in cui questo sia un bene egoistico, un bene finalizzato so-lamente al proprio benessere, e quindi nocivo per gli altri, ai quali abbiamo dovuto causare del dolore per trarne del bene. La stessa azione, infatti, può risultare benefica per me e dannosa per un altro.Bene e Male hanno lo stesso padre, ma due diverse nu-trici.Noi giovani spesso non conosciamo il male ed il bene, per il semplice motivo che non c’interroghiamo spesso su questi, accettiamo passivamente ciò che ci viene proposto dalla cultura senza aprire la mente e quindi diventiamo egoisti ed intolleranti. Di conseguenza, il male che noi gio-vani, o che qualunque essere umano può arrecare, non è dovuto solo alla volontà, ma spesso anche all’ignoranza. Come diceva Socrate: non si può fare il male se si è a conoscenza del bene. Ma Socrate ha ragione solo a metà, poiché non considera la volontà. La volontà è lo strumento più potente che abbiamo, può sottomettere anche il freno morale: basti pensare ad Hitler ed ai nazisti. Hitler grazie al suo carisma è riuscito a far fare ad un popolo intero cose che ogni uomo giudicherebbe follie orripilanti, quindi le SS e i nazisti in generale, seguendo la volontà del Füh-rer, hanno sottomesso il loro freno morale.In definitiva, la conoscenza del bene e del male costituisce un freno morale, che a sua volta è qualcosa d’instabile, come ho appena dimostrato, se ne conclude che per conoscere questi due concetti è necessario conservare il freno morale. Senza questa conoscenza non saremmo altro che bestie.

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Text: Marco Migliaccio

IL BIVIO INTERIOREQuando il diaframma tra bene e male è così sottile e a volte indistinguibile...

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VALERIO SGARRAInterview: Angela MatteraPhoto: Ischiacity

Per parlare di Valerio Sgarra è necessario, sia pure per un attimo (ma che sia “diVino”!), parlare di Raimondo Triolo. Ha un ristorantino situato verso la terminazione estrema della Rive Droite, al porto di Ischia: un luogo intimo e accogliente le cui pareti sono disseminate di bottiglie di vino e opere d’arte di scultori e pittori isolani. Raimondo, siciliano, chef creativo ed originale, ha creato un ambiente decisamente inconsueto per l’isola d’Ischia: presso il suo locale che si chiama, appunto, “Un attimo diVino”, la gente si ritrova per mangiar bene, bere bene e soprattutto trascorrere del tempo chiacchierando accompagnata da un piace-volissimo repertorio di musica dal vivo il cui interprete è il nostro eroe: Valerio.Istrionico, poliedrico, irriverente, acuto e totalmente anarchico, Valerio si esibisce accompa-gnandosi con un vecchio pianoforte verticale (la cui tastiera, offesa dalle ingiurie del tempo e provata dalle tante esibizioni, ha perso nella sua lunga carriera qualche tasto qua e là), oppure appollaiandosi su di un alto sgabello e abbracciando la fedele chitarra.Eclettico, dall’aria un po’ bohemienne, sicuramente molto autoironico, cantautore e, come vedremo fra poco, “cantattore”. Una personalità particolare, che ama la musica ma soprat-tutto la teatralità che ad essa può legarsi. E proprio come su un palcoscenico Valerio si pre-senta con simpatia e garbo, raccontandosi con dovizia di particolari e facendo trasparire la passione per quella che è diventata la sua professione ed il motore delle sue scelte di vita.Qual è il tuo rapporto con la musica?Mi definisco uno che si occupa di canzoni, lo faccio in modo trasversale essendo sia interprete che autore. E se il legame con la parola di tipo più letterario è forte, non amo gli intellettualismi. Anche se talora posso dare l’impressione di essere colto, infatti, mi definirei piuttosto una persona sveglia. Quello che faccio è cantare e suonare canzoni mie, canzoni di altri, canzoni che amo in cui il testo ha un ruolo importante.Quando nasce il tuo incontro con la musica e perché?C’è da dire che mio padre, con il quale però non ho mai vissuto, è un musicista, cantante classico di pianobar, in attività da più di quarant’anni. Anche se mio padre non era mai in casa, la musica aleggiava comunque. Ma il mio primo vero incontro con la musica è stato durante il servizio militare, forse per noia. Ho visto qualcuno accordare una chitarra ed ho pensato “perché non farlo anch’io?”. Penso sia stato un incontro casuale: non credo che le persone nascano per fare qualcosa ma che la trovino durante il loro percorso. Ad ogni modo non mi piace definirmi musicista, a volte per vezzo, a volte forse per rispetto nei confronti di quei musicisti che realmente hanno una certa conoscenza della musica, dello strumento. A me interessa tutta una miscela di cose che ruotano intorno alla musica, alla parola.Però questa è diventata la tua professione...Dopo il primo approccio, a 21 anni sono andato a vivere da solo e ho conosciuto un gruppo di musicisti girovaghi, da loro ho appreso il contatto con la strada, con la gente, quando non è lei a cercare te ma sei tu a cercarla. Questa mia esperienza è durata circa cinque anni ed è proprio in quel periodo che ho iniziato a scrivere le mie prime canzoni che ho sempre tenuto da parte fino a quando, nel 2005, ho iniziato a proporle assieme ad una band in uno spettacolo teatrale. Chiamai questo spettacolo Gritist Hitz (Ndr. L’inglese è vo-lutamente scritto in maniera errata). Sentivo di poterlo chiamare così perché erano ormai più di dieci anni che componevo. In mezzo c’è stato tutto un periodo fatto di esperienze teatrali e tutto ciò è diventato, pur facendo salti mortali e non accettando compromessi

nemmeno per piccole cose, una professione.Quali sono gli autori che ti ispirano maggiormente?Pur essendo napoletano, mi ispiro sicuramente alla scuola cantautorale francese e ge-novese che si rifaceva, a sua volta, alla ‘chanson’ francese piuttosto che al ‘neapolitan power’ degli anni ‘80 che conosciamo. Quindi, inevitabilmente Paoli, Tenco, De Andrè. Poi, ad un certo punto, ho sviluppato un approccio molto più teatrale, sia che si trattasse di fare spettacoli in un piccolo club, un’osteria, a casa di amici o in un teatro, per cui mi sono trovato coinvolto spesso in situazioni teatrali nella veste di “cantattore”. La parola è al centro, ma c’è di più: la mimica, il vivere la canzone attraverso la gestualità. In Italia il riferimento principale, padre di tutti, è Gaber il quale a sua volta aveva avuto i suoi maestri, come Jacques Brel. Un fenomeno che ha, però, anche una sua forte napoletanità, se pensiamo a tutto il periodo della macchietta napoletana di Pisano Cioffi ed ancor prima di Armando Gill.La tua musica nel teatro. Come hai vissuto questa esperienza?Il teatro secondo me, a qualsiasi livello venga fatto, dà un grosso senso di disciplina - che manca nell’ambito della musica leggera - e mi ha aiutato per tutto quello che concerneva i miei spettacoli.Come nasce il sodalizio con il gruppo “Le conseguenze del bancone”?Il complice fondamentale è un fisarmonicista, compositore, pianista e arrangiatore, Giulio Fazio, con il quale avevo già lavorato in duo e si era creato un ottimo feeling. A turno, ci sono altri tre o quattro musicisti che ci accompagnano con mille sacrifici visti tutti gli altri impegni di ciascuno. Pensi che Ischia sia sensibile a questa musica così improntata sulla teatra-lità e sulla parola?Inizialmente, ho percepito qualche difficoltà in un ambiente che sicuramente non ha l’offer-ta della grande città, ma dove per circa quarant’anni c’è stata comunque una forte presen-za della musica, forse ancora troppo legata a quella napoletana che, non dimentichiamolo però, è sempre canzone d’autore. Una barriera, questa, che può ad ogni modo essere scardinata. Attualmente, sto collaborando con il locale Alchemie: mi sono occupato della selezione di quattro situazioni cantautorali napoletane molto simili al mio essere e sarà un test molto utile. Potrò vedere dall’esterno, stando tra la gente, qual è la reazione del pub-blico ad una rassegna musicale di persone che arrivano lì col proprio bagaglio di canzoni e non hanno avuto i passaggi mass mediatici ai quali siamo abituati. Potremo capire così se si tratta di qualcosa che può essere portato avanti come è già accaduto col jazz qui ad Ischia. Nonostante io non sia un jazzofilo, ho notato che c’è stata una buona risposta negli anni e, se questo genere ha riscontrato notevoli consensi, potrebbe radicarsi anche una forma di teatro-canzone come quella che io porto avanti.

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01 TIPI DA FACEBOOKMaria Riccio

La creazione di Zuckerberg ci ha cambiato la vita: strumento del gossip, di privacy violata, di persone ritrovate... ma Facebook è solo questo? E’ anche un portale digitale con un potere nascosto immenso che, utilizzato con una certa

furbizia, può aprire porte che altrimenti sarebbero rimaste chiuse. Con i suoi circa 500 milioni d’iscritti, “FB” si è guadagnato il titolo di “terza nazione” al mondo per popolazione, il che potrebbe sembrare incredi-bile, dato che corrisponderebbe a circa metà della popolazione cinese. Nella rete del social network più famoso navigano milioni e milioni di per-sone appartenenti alle più svariate fasce d’età, religione, orientamento politico. Facebook può essere anche una vetrina tanto efficace quanto gratuita, come ci hanno dimostrato persone del calibro di Barack Obama che lo ha utilizzato per diffondere il suo programma politico. E’ diventato un vero e proprio strumento della globalizzazione, riuscendo a collegare un mondo intero senza costi, senza attese, senza distinzioni. Potremmo dire che è il “luogo” più democratico del web, in cui circola liberamente il pensiero e la parola, l’arte e la moda, la passione e la tristezza di ogni

singola persona che sceglie di stare nella rete. E’ qui che è entrata in gioco Ischiacity, “spulciando” nei profili degli utenti fb ischitani più divertenti e curiosi, per selezionare alcuni “tipi” che si sono fatti notare per le più svariate motivazioni: c’è chi ha la passione per la fotografia, chi per la musica, chi per la moda, chi per l’arte in genere o chi è semplicemente strano e fuori dal comune, tutti sono riusciti a guadagnarsi un posto tra i TIPI DA FACEBOOK.

Pietro Di Meglio

Classe 1988, Pietro si è distinto per la sua eclettici-tà nella musica. Nato con la passione per la musica ed il disegno, svilupperà quest’ultimo in arte del tatuaggio “tappezzando” i corpi di amici e paren-ti, la musica, invece, diventerà oggetto di studio e lavoro. Laureato presso il Conservatorio di Napoli S. Pietro a Majella, Pietro si specializza nell’utiliz-zo delle percussioni studiando all’Accademia del Suono di Milano. Oramai è capace di suonare circa dieci strumenti a percussione ed entra a far parte della band dai suoni californiani “Out Body Expe-rience” in cui, oltre che ad essere il batterista, è anche compositore.

Alla domanda “come nasce la tua passione per il canto?” Carolina risponde “ E’ nata con me”. E’ questa forte voglia di esprimere se stessa che mo-tiva Carolina la quale coltiva il suo dono studiando prima a Napoli all’Accademia Caliendo di Gianfran-co Caliendo, componente del gruppo “Il Giardino dei Semplici”, e poi mettendosi alla prova nelle varie manifestazioni isolane come il Karaoke di Barano o La Corrida di Cartaromana.

Anna Maria Marna

“I see a red door and I want it painted black, no colors anymore I want them to turn black”: così cantavano i Rolling Stones negli anni ‘70 e a questi versi si ispira Anna Maria per creare il suo album di foto (decisamente artistiche) “PaintItBlack”, infatti la prima immagine dell’album - molto ironica - è proprio un uomo che vernicia di bianco la parete di casa sua. Tra i suoi album, ne ho trovato anche uno intitolato “Disegni”, in cui c’è tutta l’arte e la bravura di Anna Maria nell’impiego del connubio matita-carboncino, sua tecnica preferita. Nono-stante l’utilizzo di trame così cupe sia nelle foto che nei disegni, Anna Maria è una ragazza esplosiva che adora i colori e che si scatena quando suona la batteria per il suo gruppo, i “Twist Of Fate”.

Carolina Palma

02 Schede

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Emanuela Lagerfeld

Emanuela si guadagna un posto tra i TIPI DA FACE-BOOK grazie ai due album che ho trovato nel suo profilo tutto moda ed arte. Il primo è intitolato “Una passione sfrenata x l’arte è un cancro che divora ogni cosa” ed è ricco delle opere più svariate, da Masaccio a Delacroix, da Jacques-Louis David a Edgar Degas. Il secondo album è invece consacrato alla moda, “noi non viviamo secondo la ragione, ma secondo la moda!”, in cui la definizione “Fashion Victim” diventa chiara perché c’è di tutto e di più su oggetti firmati, di grande glam e molto chic.

Boston George

Arriviamo al personaggio più discusso del Liceo Scotti-Einstein. Avvolto nell’ombra, il nome, Boston George, è palesemente ispirato al protagonista del film “Blow” interpretato da Johnny Depp. Il contat-to nasce proprio dalla visione smisurata del film ed il suo proprietario (tutt’ora sconosciuto) non si aspettava il successo che ha avuto. Molti lo con-tattavano, convinti che fosse una persona reale e gli chiedevano appuntamenti... tanto che alla fine George acconsente. La ragazza era davvero lì che lo aspettava; a quel punto il sig. Boston si rende conto che la cosa stava diventando molto interes-sante, qualcuno cercava di scoprire chi fosse cre-ando altri contatti falsi. Allora, George, per aiutare i suoi “inseguitori” e rendere tutto più divertente, ha cominciato a mandare lettere anonime ai diretti interessati, correndo rischi non indifferenti e re-gistrando tutto su video in cui si vede una mano, ovviamente guantata, che infila la busta nella buca delle lettere delle sue “vittime”. Riusciremo mai a scoprire chi è? Lascio l’ardua ricerca ai posteri e, come chiude George le sue lettere... OCIO!

Alessandro Demycost

“Demycost” è così che si firma Alessandro D’Ami-co, aspirante fotografo di grande talento. Ma da dove parte? Il nome sintetizza i cognomi dei geni-tori: Demy che sarebbe D’Amico e Cost abbreviato da Costa. Tutto nasce circa 7 mesi fa per caso, per gioco, ma il gioco è diventato qualcosa di più dopo la prima Nikon. Alessandro forse ha trovato la sua strada, che percorre con passione ponendosi gran-di obiettivi, cercando di aggiornarsi ed accrescendo il talento che già possiede. Ha iniziato fotografando amici e parenti, la voce poi si è sparsa e la passio-ne comincia ora a fruttare, con richieste di book fotografici anche da parte di esterni: insomma sta diventando un lavoro vero.

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Vania Matarese 03 L’anima rock di Ischia

Il Rock sembra, ormai, aver conquistato anche quel pubblico nostrano alquanto incline ai pregiu-dizi. Grazie al lavoro di Mauro Cozzolino, fondatore dell’associazione culturale L’ultima Casa Accoglien-te, e dei suoi collaboratori, la realtà musicale isola-na dedita a questo genere sta emergendo a passo spedito. Basti pensare al successo dei numerosi live e delle manifestazioni che si sono svolte nel corso del 2010 e che di sicuro non mancheranno in questo 2011. Una novità per Ischia, ambiente in cui, fino a pochi anni fa, i tanti gruppi e talenti locali potevano dar sfogo alla loro passione solo in poche serate dal vivo, o semplicemente relegandosi in un seminterrato insonorizzato. Ma i seguaci del plettro si stanno diffondendo sempre più, coinvolgendo con i loro riff distorti e gli stacchi di batteria, moltissimi ragazzi desiderosi di trasformare anche l’isola verde in uno spazio dove far dialogare le loro chitarre e “rockeggiare” insieme. L’Ultima Casa Accogliente si è fatta promotrice di questo movimento dimo-strando, per l’ennesima volta, che la musica VERA, quella fatta con passione, entusiasmo e soprattutto strumenti reali, non è morta! Anzi! In una socie-tà dove la moda e il conformismo sembrano esser diventati gli unici valori perseguibili, una piccola fiamma di speranza è ancora accesa e nella realtà odierna, seppur la gran parte dei giovani preferisce trascorrere i fine settimana in locali e discoteche dove viene proposta unicamente la dance music e l’house, è possibile percepire attraverso uno squar-cio, i cui contorni sono ancora frammentari, il calore di questo fuoco. Non si tratta di “sballarsi”, né di mandar giù pasticche con bicchieri di birra! Ciò che accomuna questo gruppo alternativo è il desiderio di abbattere, con colpi ritmati e veloci, il muro di preconcetti e false definizioni che è stato costruito negli anni intorno alle rock band e agli adepti della sei corde. La libertà, l’ambizione e l’indipendenza diventano i veri ideali, e l’essere se stessi, espri-mendo con una serie di note le proprie emozioni e i propri stati d’animo, è il modo migliore per affer-marli. Il Rock scalpita, sempre pronto a rivendicare il proprio posto nell’ambito del panorama musicale ischitano, il Rock...È VIVO!

Lucia Verde04 Strani Tipi Talentuosi

Primavera 2007. Cinque cani sciolti, sconosciuti l’uno all’altro, si incontrano casualmente ad Ischia Ponte. Tra una chiacchiera ed una birra al Kiwi, i protagonisti di questa vicenda scoprono d’avere non poco in comune, un inconscio legame tra loro emerge durante quella monotona serata ischitana, che renderà però molto meno monotone le loro vite. Questa passione, divenuta con gli anni Amore, è la recitazione. L’insieme di giovani talentuosi non aspira però alla comune arte di inscenare la nota

commedia napoletana, bensì ad intraprendere una via meno convenzionale, quella del match d’improv-visazione. Il gruppo, figlio del caso, che nasce quasi per scherzo, sin dall’inizio non scherza a sprecar tempo, poiché in quello stesso anno, il 5 settembre 2007, va in scena il primo spettacolo degli “Strani Tipici”. Gli artisti stessi si son denominati in tal ma-niera, affermando di essere dei “Prodotti tipici stra-namente confezionati”, per riferirsi al nuovo modo di offrire all’isola d’Ischia lo spettacolo teatrale, por-

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gendo al pubblico un’arte del tutto sconosciuta che è per l’appunto quella dell’improvvisazione.La curiosità è tale da chiedere all’intervistato Pie-tro Di Meglio, capitano del team degli Strani Tipici, quali doti bisogna avere per improvvisare: “In un match d’improvvisazione, protagonista è il pubbli-co, ed esso stesso decreta la traccia, ovvero i temi che gli artisti devono rappresentare. Quindi, l’arti-sta d’improvvisazione necessita, in primo luogo, di un’estrema bravura nel trasformare l’idea proposta dagli spettatori, portandola così in scena, in soli 20 secondi. Non sono ammessi temporeggiamenti, dal momento che i presenti sono lì, dinnanzi il palco, ad attendere lo spettacolo. Occorre, poi, avere di-mestichezza con il proprio corpo: attraverso il mo-vimento, infatti, la struttura corporea trasmette a pieno e con immediatezza l’oggetto o la situazione che si vuole comunicare; in seguito entra in gioco la parola. E quando si tratta di parola non s’intende un linguaggio comune e colloquiale, si deve possede-re una rigorosa dizione”. Gli Strani Tipici godono di queste valide ed ineffabili capacità. Il talento di que-sti giovani artisti è accresciuto dalla loro continua voglia di conoscere nuove tecniche per migliorarsi e per crescere professionalmente. Con un passo indietro è doveroso esporre, in bre-ve, cosa realmente è il Match d’improvvisazione, che nasce in Canada alla fine degli anni ’70 per iniziativa di due attori registi, Robert Gravel e Yvon Leduc. Per dare originalità allo “scontro teatrale”, ricrearono un ibrido tra un’improvvisazione teatrale e un match sportivo, prendendo d’esempio lo sport nazionale canadese, l’hockey su ghiaccio. Padrone della scena sono due squadre, composte da 3 fino a 5 giocatori. Non può di certo mancare l’arbitro, che ha il ruolo e il dovere di richiamare, fischian-do, i “falli” che le squadre potrebbero commettere durante lo svolgimento del match: vi è, quindi, un ferreo regolamento cui i giocatori devono attener-si. Dopo il fischio dell’arbitro la sfida comincia; ai competitori vengono offerti 20 secondi affinché si concerti una strategia. Questo particolare genere di teatro, che congiunge lo spettacolo improvvisato con un tema sportivo, dagli anni ’70 ad oggi, divie-ne lo spettacolo teatrale più interpretato al mondo. Molti illustri attori hanno esordito perseguendo la forma dell’improvvisazione, per esempio il celebre ed affermato attore americano Robin Williams, che prima d’essere attore cinematografico è stato un comico burlesco.Pietro Di Meglio sottolinea che nei match d’improv-visazione non vi è spazio solo per la comicità; è presente, in alcune tracce inscenate, una parente-si seria in cui l’attore deve mettere in pratica una tecnica non semplice, anzi alquanto accademica. Lo scopo è calarsi nel personaggio e per far sì che questo avvenga in modo impeccabile si impiega il “metodo d’isolamento”. Seppure il pubblico è coin-volto a pieno nell’improvvisazione, prima di creare il legame spettatore-attore, l’artista deve annulla-re tutti gli elementi che lo circondano. Elaborando questa tecnica si arriva a personificare persino un oggetto, e proprio in questo punto della conversa-zione il simpatico Pietro ci mostra una sua fedelis-sima interpretazione di una teiera ( regalando riso

Diego Scordino05NICOLAS & MITCHCosa si prova ad entrare in una classe nuova, in un paese nuovo, dove compagni e professori non capiscono né, a volte, cercano di capire una parola di quanto stai dicendo?Cosa significa vedere tante facce curiose e divertite che osservano interessate la tua aria un po’ spae-sata ed ingenua?Non devono essere state molto diverse da queste le domande che si sono posti Nicolas e Mitch, appe-na qualche secondo prima di varcare la soglia delle rispettive aule. Singolare come fatto: il primo viene dal Sud-America, il secondo, dall’Australia. Due ra-gazzi arrivati da paesi che si collocano esattamente agli estremi in quei mappamondi appesi in qualche aula fortunata, riuniti qui, ad Ischia, lontani anni luce da tutto quello che prima consideravano casa.Eppure a guardarli, sorridenti e tranquilli, in giro per le classi, viene da pensare quanto, nonostante la lontananza, ci somigliamo gli uni con gli altri.Permettere ad un ragazzo di visitare posti fantastici.Permettere ad un ragazzo di conoscere persone nuove.Permettere ad un ragazzo, che a fatica capisce quello che gli si dice, di divertirsi e vivere un’espe-rienza stupenda che probabilmente lo formerà per sempre…Viene da pensare: questo significa intercultura…

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alla redazione!).Dal nuovo continente il match d’improvvisazio-ne tocca lo “stivale” nel 1988 grazie a Francesco Burroni, il quale si trova in vacanza a Toronto; casualmente assiste ad un match canadese e ne rimane estremamente affascinato, portandosi come souvenir dal suo viaggio i diritti del match d’improvvisazione, che si diffonde in primo luogo il Toscana ed è forse per questo che le squadre più forti provengono da questa Regione, per esempio Firenze e Siena. Partendo da Roma e proseguendo verso il settentrione i match si sono ben affermati come spettacoli, mentre occorre dire che dal centro Italia fino a tutta l’area meridionale, le compagnie teatrali sono completamente digiune di quest’arte. Eccezion fatta per gli Strani Tipici! Sono proprio loro che hanno donato quest’innovativa arte al Sud. In particolar modo all’isola d’Ischia, scenario in cui i talentuosi artisti hanno mosso i primi passi, isola cui viene offerta la grande opportunità di assistere a elaborazioni teatrali che escono fuori dagli schemi convenzionali. L’associazione LAP (LaboratoriAr-tistiPrecari) ho collaborato per realizzare a Ischia un match d’improvvisazione: per tutto il mese di marzo, ogni settimana l’Auditorium del museo del Termalismo in via Morgioni, sala semplice e nuda di arricchimenti scenici - unico elemento scenico le divise appartenenti alle squadre, che richiama-no, come vuole la regola, le larghe t-shirt indossate dai giocatori di hockey su ghiaccio - ha ospitato la squadra isolana che si è scontrata con quattro com-pagini venute da altre Regioni. In questi appuntamenti gli Strani Tipici hanno dimo-strato di avere un’immensa volontà di trasmettere la loro attitudine e di comunicare lo spirito della loro arte. Inoltre, hanno ceduto entusiasmo al pubblico che li ha seguiti durante questo loro percorso pri-maverile, ottenendo così anche la soddisfazione di avere 20 abbonati per i loro spettacoli (l’intervistato Pietro, a questa constatazione, è davvero soddisfat-to!). Pietro chiosa “Noi ci divertiamo quando siamo in scena e durante le continue, indispensabili prove. Il pubblico ischitano ci ammira ed è ormai affezio-nato alla nostra arte. Di questo divertimento faremo il nostro lavoro, contiamo infatti di aprire una scuola d’improvvisazione teatrale ad Andria,in collabora-zione con quella di Roma!”

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Cosa si deve fare per partecipare all’inter-cultura?NICOLAS: Bisogna prima iscriversi, poi vi è un concorso che comprende varie selezioni. Ad esem-pio, si deve sostenere un esame, perché l’intercul-tura permette di saltare un anno di scuola; poi, in un colloquio, gli esaminatori devono verificare se si vuole davvero partecipare, per evitare che il tutto diventi una vacanza. Una volta passate queste sele-zioni, bisogna pagare, nel mio caso, diecimila euro e poi si sceglie una delle città disponibili. C’erano praticamente tutte quelle italiane. Ma Ischia mi at-tirava molto. Mia sorella, inoltre, ha GIà partecipato all’intercultura quindi la mia famiglia già aveva avuto un’esperienza del genere.MITCH: Eh, non è facile. Ho dovuto iscrivermi al progetto. Ho deciso, insieme alla mia famiglia, che la destinazione sarebbe stata l’Italia e per due mesi ho studiato l’italiano. Poi è fondamentale anda-re bene a scuola e per verificare ciò devi fare un esame. Una volta passato, bisogna pagare : per un anno il costo è stato di diecimila euro.C’erano diverse città disponibili: Roma, Milano, To-rino… Io ho scelto Napoli e poi Ischia.Com’è il sistema scolastico nel vostro pa-ese?NICOLAS: Allora… innanzitutto sono diversi gli anni. Noi facciamo sei anni di elementari, tre di me-die e tre di superiori, quindi facciamo un anno in meno e un esame solo alla fine di tutto. Poi mentre qui i voti vanno dall’1 al 10, a noi vanno dall’1 al 5.MITCH: E’ un po’ diverso. Gli anni cambiano mol-to rispetto a qui. Le nostre elementari durano sei anni, così come le superiori. Inoltre, non esistono le scuole medie. La valutazione non è da 1 a 10, bensì da 10 a 100.Ti interessano le lezioni ?NICOLAS: Sinceramente in classe seguo poco. Dopo poco tempo diventa difficile seguire tutto anche se si parla piano. Alcuni professori, però, mi danno comunque qualche compito che spesso svolgo.MITCH: Non molto. Sono noiose e molto spesso non riesco a mantenere alta l’attenzione, anche perché il mio italiano ancora non è perfetto.Quanto differiscono dal tuo paese?NICOLAS: Qui le lezioni sono troppo teoriche. In Paraguay ogni scuola ha dei laboratori e si lavora moltissimo lì. La vera lezione, da noi, è l’esperimen-to.MITCH: Sono molto diverse. Come ho detto pri-ma sono molto noiose. Si parla tanto, troppo. In Australia la base di una lezione è il lavoro pratico, l’esperimento. Ed intorno ai risultati si costruisce poi la lezione. Ovviamente, mi riferisco alle materie scientifiche.Ti sei integrato con la famiglia che ti ospi-ta?NICOLAS: Guarda, è stato strano. Con i “nuovi” genitori è stato molto facile. Con Antonio (Ndr. Il figlio) è stato leggermente più difficile. A casa mia dormivo da solo e quindi condividere la stanza è stato un po’... particolare. Dopo poco tempo, però, tutto si è risolto, non abbiamo mai litigato per certe questioni. MITCH: Beh, all’inizio è stato ovviamente difficile. I miei “nuovi” genitori mi hanno, però, accolto molto bene, facendomi sentire subito a casa. Da lì in poi è stato facile integrarsi e con il tempo tutto si è risolto. Inoltre, abito a Barano che è un posto bellissimo.Sei rimasto in contatto con i tuoi vecchi amici ?NICOLAS: Sì, li sento spesso, a volte mi manca-no. Sono molto curiosi di sapere quello che faccio, come mi trovo, chi frequento.MITCH: Certo. Ringrazio di cuore chi ha inventato Skype perché è grazie a lui che posso rimanere in contatto con loro. Pensa che molti hanno messo

come immagine personale le due bandiere, italia-na e australiana, vicine. Sento la loro mancanza. In particolare, quella del mio migliore amico, George. Io sono figlio unico e quindi lui con il tempo è diven-tato praticamente un fratello per me.Che ne pensi della cucina ischitana ?NICOLAS: I cibi sono un po’ diversi. Noi mangiamo molta più carne, in particolare quella argentina che è vicina. Però qui si mangia comunque bene. Le cose migliori sono il pesce e soprattutto la pizza. Ci sono diverse pizzerie ad Asunciòn (Ndr. Capitale del Paraguay), però nessuna le fa bene come qui.MITCH: Il cibo migliore si mangia indubbiamente qui. In Australia sì, abbiamo dei buoni ristoranti, an-che italiani, ma quello che mangio qui non credo lo mangerò mai da altre parti.Come ti sei rapportato con il dialetto locale ?NICOLAS: All’inizio non capivo niente. Ricordo che le prime volte in cui giocai a calcio, avevo molte dif-ficoltà. Poi anche qui, pian piano, ho iniziato a co-

gliere qualcosa. A casa si parla sia napoletano che italiano, ed ora non faccio più tanta fatica a capire quello che sento. E poi il napoletano è bellissimo, mi piace molto.MITCH: Guarda, molto sinceramente, non capisco neanche una parola. Però, devo ammettere che, pur sentendone solo il suono, è divertentissimo. Alcuni miei compagni di classe mi hanno fatto ascoltare dei video su YouTube dove si parla napoletano. Ho riso tantissimo anche senza capire…Hai mai avuto voglia di tornare a casa?NICOLAS: All’inizio sì. Mi capitava spesso di pen-sarci. E’ difficile stare in un posto dove non conosci nessuno e in pochi ti capiscono quando parli. In classe, però, mi sono ambientato e mi piace molto. Mi hanno proposto di cambiarla, ho rifiutato...MITCH: Sinceramente non l’ho ancora capito. A volte sento la mancanza del mio paese, ma qui mi diverto comunque tantissimo. Vedremo cosa prove-rò quando sarà l’ora di tornare.

Davide Cipolletta e Roberto Scotto Pagliara05 COSA FARO’ DOPO... ?

Anno scolastico quasi al termine, esami di Stato... e poi?Da una chattata un po’ seria un po’ a cazzeggio su FB--Davideoh ci sei?Robertowe sì dav dimmiDavidetutto ok?Robertonon c’è male, te?Davidetutto okti volevo chiedere se oggi potevo venire da te a caz-zeggiare un po xD mi annoio a casaRobertoeh no scusami magari domani

Davideno?? xkèè?Robertodevo studiare… xDDavide=Ostudiare? ahahaRobertoho il compito di fisica domanimi copio perlomeno qualche formula da infilare nel-la calcolatrice xDDavidee a cosa pensi ti servano se non hai mai aperto il libro per fare un esercizio? ho capito ja sto venendo ahahaRobertoe dai scè sono serionn lo so a che mi servono ma spero che anto mi passi il compito

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Davidemmh...fino ad oggi ti è andata bene... ma se domani il prof ti becca? Un compito bianco o peggio copiato ad Aprile non è una gran cosaRobertoeh vabbè oh io ci provopoi se mi sgama o nn faccio niente consegno in bianco e amenDavideamen che? ti fai boccià per una stronzata? non c’andare prp a fare il compito..Robertose non ci vado che cambia? prima o poi lo devo fà xDcmq pure se mi bocciano... poco male, almeno ho più tempo x chiarirmi le idee su cosa fare dopo xDDavideMah ._.perdere un anno così prp nn lo capisco...ankio sto andando abb male…...ma almeno in questi ultimi due mesi faccio vede ke faccio qlksRobertomha io nn lo soè quasi il contrario... più vado avanti meno sono motivato il fatto è che pure se mo prendo il diploma, nn lo perdo comunque un anno? a scuola perlome-no sono qualcuno, fuori non valgo nienteDavideahahaha 483 voti (Ndr. Roberto Scotto Pagliara è stato eletto rappresentante di istituto) ... record storico... certo una bella gratificazione, ma poi? poi basta robè un ruolo del cavolo che porta solo noieRobertointanto il ruolo del cavolo mi fa sentire utile a qual-cosa e cmq in un modo o nell’altro mi tiene impe-gnato ma vabbè in ogni caso ultimamente nn è che mi prenda più di tanto, è un periodo abbastanza incasinatoin compenso x quest’estate forse ho trovato qual-cosa ^^DavideNon è una giustificazione... trovato qualcosa? O.o Robertosisiun lavoro non ho capito manco io precisamente cosa, ma mi fanno sapere in settimana xD sarebbe tipo in un ristoranteDavideahhahaha forse ti mettono a pulire i bagni...Roberto-.-vabbè, pure se fosse mi servono soldima cmq penso sia un posto da cameriereDavideCameriere? E quando inizieresti?Robertometà giugno, qualcosa del genereforse luglioDavideinvece di concentrarti sul lavoro (che mi sembra proprio l’ultima cosa), pensa che hai un esame... e che quel pezzo di carta ti vale più di tutti i soldi che riusciresti a mettere da parteRobertoinsomma eh a parte che su questo ho dei dubbima cmq sarebbe dopo l’esamex accumulare soldi che possono tornarmi utili più in là nel caso in cui eventualmente mi venga voglia di fare qualcosaDavidenon hai proprio nulla in mente?Robertoun’accademia teatrale a romama non ho soldi x andarci adessoquindi magari tra qualche annetto dopo aver messo

da parte qualcosaDavideti accorgi vero che è una prospettiva futura alquanto incerta? Se non riesci ad entrare...Robertocontinuo a lavorare, qual è il problema?Davidein estate il lavoro lo trovi, ma d’inverno c’è poco o nulla ... e (ok forse sto guardando troppo in la) con un mestiere come il cameriere, una famiglia non la porti avantiRobertoe chi ti ha detto che mi voglia fare una famiglia? io penso a me stessoahahahhahahae da questo punto di vista fare il cameriere mi va più che beneDavideok certo, nemmeno io ci penso, però dopo aver fatto un liceo... non lo so... il cameriere mi sembra una così bassa aspirazione xDRobertodà, diciamoci la veritànoi facciamo uno scientificonon puoi fare il ricercatore a ischia xDDavidein Italia aggiungerei... xDperò non lo so.. :/ Robertodà, queste sono le opportunitàbisogna pure essere realisti a un certo puntoDaviderealisti non significa seguire per forza la “strada” del cameriere eh Robertono eh? e cos’altro?DavideTe ne ho parlato mi pare qualche mesetto fa...dopo essermi preso il diploma vorrei provare ad en-trare nell’ accademia militare a Roma...Robertoah sì, wowcerto che se la mia era una prospettiva incerta la tua la puoi abbandonare già da adesso Davide-.-simpaticocmq davvero..se riuscissi ad entrare sarebbe un colpacciodopo i primi 2 anni (di cui mi pagano vitto e alloggio) divento allievo ufficiale e incominciano a pagarmi (sempre con vitto e alloggio)in pratica mi sono messo apposto

non credi?Robertomahsono abbastanza scetticomi tengo il posto di cameriere e vado avanti xDDavideahahhaahahhaNo vabbè devi sapere che ho una mezza conoscen-za per entrare......oppure non ci proverei nemmeno xDùRobertoviva l’italiama tu ti ci vedi veramente, tra trent’anni, al semafo-ro con la paletta in mano? aaushuahsuhasDavideE tu ti ci vedi a servire a un fighetto di questi?magari che abbia l’eta di tuo figlio......ah no, aspè, tu non vuoi avere figli xDRobertoma che c’entra xDja, seriamente, ma a te piacerebbe quel lavoro?DavideA dirtela tutta… no... sai che mi piacerebbe iscri-vermi a psicologia... ma le prospettive sono limita-te... almeno così, con qst lavoro, mi assicuro una paga.E poi la divisa mi starebbe divinamente *_*Roberto-.- continua a sognarevabbè cmq io devo veramente scappare che se non mi scrivo nemmeno le formule x domani la mia co-scienza non me lo perdonerà xDciao dav, a domani o a stasera se finisco in tempoDavideahahah coscienza xDciao rob

Roberto è offline.

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01GELATI CHE PASSIONE!Photo: Rosa Elia

L’IPSAAR Telese di Ischia ha ospitato una giornata dedicata al gelato di grande qualità e alle più innovative tecnologie per prepararlo. Organizzata da Johnny Masucci, con la colla-borazione della Tecno Arredo di Luciano De Maio, l’iniziativa ha portato a Ischia l’azienda PreGel per l’unico evento programmato in Campania per quest’anno. Si tratta di un’impresa leader nel settore dei semilavorati per preparare, farcire e decorare gelati, torte gelato e semifreddi ma anche prodotti di pasticceria classica che ha riunito pasticcieri, gelatieri, chef isolani per illustrare loro tecniche di lavorazione all’avanguardia e nuove preparazioni. “Quello dei semilavorati per gelateria è un ambito in cui l’Italia primeggia a livello mondiale, infatti il gelato di qualità viene identificato in tutto il mondo con il nostro Paese e l’ideazione di nuovi prodotti da parte delle aziende, come la crescita professionale degli addetti al set-tore sono sempre fra gli obiettivi principali di chi opera in questo ambito” ci spiega Masucci, distributore esclusivo per l’isola di PreGel. Oggi, il cliente ha gusti sempre più precisi: vuole la varietà e ama le consistenze morbide. Realtà come la PreGel lavorano per soddisfare queste esigenze e proporre nuove idee: per esempio, il gelato sullo stecco e nei bicchierini monoporzione, o le torte semifredde con invitanti glassature a specchio, ma anche per avvantaggiare gelatai e pasticcieri, proponendo, fra l’altro, preparazioni e semilavorati che consentono di accorciare i tempi e che lasciano molto spazio alla personalizzazione attra-verso una accurata decorazione del prodotto che viene fatta direttamente dai bar e dalle pasticcerie che venderanno il prodotto finito.

02 ISCHIA SI RINNOVA Photo: Redazione Ischiacity

Il comune di Ischia ha scelto di investire sulle energie rinnovabili, vale a dire di sfruttare fonti energetiche non inquinanti, che abbiamo già a disposizione in abbondanza grazie alla conformazione geologica dell’isola, per riscaldare in inverno e condizionare d’estate un gruppo di edifici pubblici molto frequentati dai cittadini di tutta l’isola. Infatti, l’assessorato alle Fonti ed Energie Rinnovabili, guidato dall’assessore Ottorino Mattera, ha partecipato ad un bando del Ministero per lo sviluppo economico con un progetto dell’Ufficio Tecnico Comunale: è stato battezzato “Talete” e la divisione pubblicità di Ischiacity ne curerà la comunicazione. Il complesso interessato è quello che comprende la piscina comunale, la scuola media G. Scotti e il Tribunale: quando si realizzerà il nuovo impianto, diverranno autonomi dal punto di vista della climatizzazione e non produrranno inquinamento grazie ad un sistema che sfrutta l’energia geotermica, quella ricavata, cioè, dall’acqua calda (a 60° e 90°) che sgorga da due pozzi presenti nella zona. La nuova installazione, che funzionerà con una serie di pompe di calore coordinate attraverso un software, sarà tecnologicamente all’avanguardia, per cui i costi di manutenzione saranno molto bassi, a fronte di una grande efficienza e di un notevole risparmio dei consumi.

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03Chic & More inaugura

Come non pensare al mare con la stagione estiva alle porte, ma soprattutto come fare a meno del super accessoriato Chic&More, dotato di tutto ciò che riguarda l’abbigliamento mare, per uomo, donna e bambino? Siamo in uno dei punti nevral-gici del centro di Ischia, a via Alfredo De Luca, e sarà quindi facile imbattersi in questo graziosissimo negozio. E’ impossibile non incuriosirsi alla vista delle sue vetrine che pulsano di miriadi di colori: costumi e copricostume, ciabattine, borse e tanto altro in una linea davvero accattivante, Aqua Mare, una ditta italiana che si è affacciata da poco nel mercato ma che conquista con temi floreali e tinte che richiamano l’Oriente. La titolare Daniela Di Iorio è riuscita a proporre una linea mare che rispetta le tendenze moda, per non abbandonare il gusto di vestire anche in spiaggia senza rinunciare alla praticità e alla convenienza.

04A.M. MotoriA.M. Motori, concessionaria con sede principale in via Michele Mazzella a Ischia, nasce nel 1949 come primo punto vendita di automobili dell’isola. Gestita, sin dalla sua nascita, dalla famiglia Polverino, ha aperto altre sedi, nel Comune capoluogo e a Forio, dedicate alla vendita di auto nuove che dell’usato di qualità, km 0 ed aziendali ed all’assistenza. Il cliente, infatti, è a casa, coccolato e seguito in ogni sua esigenza. È proprio questo uno dei vanti di A.M. Motori, che ha come filosofia quella di immedesimarsi nel possibile acquirente, ascoltando le sue reali necessità e con-sigliandolo per il meglio. Volkswagen, Citroen, Opel: l’offerta è ampia per garantire il miglior servizio possibile. A.M. è un’azienda che spende tutte le sue energie nel miglioramento costante e riesce a vivere serenamente e con professionalità il lavoro che svolge, tanto da vantare collaborazioni ultra ventennali con i suoi dipendenti.

05Divin@ EventiDivin@ è da anni sinonimo di grandi eventi, mostre d’arte, concerti e di One Night nelle quali si sono esibiti alcuni fra i migliori dj’s della scena mondiale, tra cui Claudio Cocco-luto. Oggi Divin@ è una realtà giovane e dinamica che collabora a diversi progetti che ruotano a 360° intorno alle più varie forme d’arte e di comunicazione, e ha la direzione artistica del prestigioso Premio Sant’Angelo, kermesse dal forte riscontro mediatico che ha visto la partecipazione fra gli altri di Renzo Arbore, Milo Manara, Malika Ayane, Giusy Ferreri. Divin@ è uno stile di vita.

Sant’Angelo d’Ischiamobile: +39 3331160468 phone/fax: +39 081 [email protected]

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06 Rando espone aL FRIENdS

07 IL PRESIDENTE DISSEN(ZIENTE)

I potenti mezzi di Ischiacity sono andati in soccorso dell’amato presidente del Con-siglio Comunale di Casamicciola, Salvatore Sirabella, costretto a presiedere una vitale seduta del suddetto Consiglio nonostante una notte insonne, trascorsa a combattere con i disdicevoli problemi causati da una cena a base di cozze non proprio fresche. Eccolo, mentre riceve il perfetto kit “Salva Presidente”, allestito per l’occasione e completo di farmaci vari, tè, limone e dei nostri più calorosi auguri di pronto ristabilimento!

“Lo stupore dello specchio” è stato il tema dell’esposizione del foto-grafo Enzo Rando al cocktail bar Alchemie: il singolo fotogramma è stato riprodotto più volte, per poi specchiarsi in una nuova veste e identità e la ripetizione di una sin-gola immagine si trasforma in for-me e colori, che tendono all’astra-zione e a nuovi rimandi figurativi.

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Cosa c’è di meglio che rimanere sempre in contatto con i nostri amici ed avere a dispo-sizione, anche lontani da casa ed in qualsiasi momento, le informazioni di cui abbiamo bisogno?Tutto questo, in maniera gratuita, è finalmente possibile anche ad Ischia. Un notevole passo in avanti per il Comune che, attraverso l’iniziativa legata al collegamento wi-fi libero, assottiglia realmente la distanza rispetto ad altre località turistiche già servite da servizi informatici di ultima generazione. Abbiamo incontrato il responsabile dell’eroga-zione dei servizi informatici per il comune di Ischia Michele Mancusi, per avere deluci-dazioni su questa importante innovazione che, di fatto, rappresenta un traguardo degno di nota. Tre gli hot spot per ora disponibili: zona portuale, Piazzale Aragonese a Ischia Ponte e piazzetta San Girolamo, luoghi di forte affluenza turistica che quindi necessi-tano più di altri di un simile servizio. Semplici anche le modalità di fruizione: basterà mandare un sms al numero 331.8978759 con scritto “navigamare” per ricevere im-mediatamente dal sistema automatico, sul proprio cellulare, username e password che resteranno le stesse anche per gli accessi successivi. Attualmente, però, la navigazione è limitata ad un’ora al giorno per singolo utente, escamotage pensato per evitare che la rete venga sovraccaricata da parte di internauti che sfruttano la connessione per molte ore al giorno quotidianamente. Garantita anche la privacy poiché l’operatore che eroga il servizio wi-fi non potrà, in nessun modo, risalire all’identità dell’intestatario della sim dalla quale è stato inviato l’sms per le credenziali di accesso. Un’iniziativa utile che ha ottenuto ottimi consensi soprattutto tra i più giovani che, come sappiamo, amano particolarmente i social network sui quali interagiscono ed utilizzano le più svariate applicazioni. E a breve il servizio sarà ampliato per fornire un ventaglio di offerte com-pleto anche ai turisti. È l’assessore all’innovazione tecnologica Pasquale Scannapieco a spiegare questo ulteriore aspetto. Oltre all’estensione del numero di hot spot presenti sul territorio di Ischia, verrà infatti creato un infopoint interattivo che permetterà di ot-tenere sui propri dispositivi (cellulari di ultima generazione, tablet, notebook e netbook) anche approfondimenti sui monumenti ed i siti di maggiore interesse storico e culturale del comune di Ischia. monte.

08 WI - FI a ISCHIA 09 Lacco Ameno:

apre La Caprese Piu’ù

Da oggi, fare shopping ad Ischia sarà ancora più piacevole. Anche su Lacco Ameno si accendono le luci delle firme prestigiose della moda. La splendida cornice di piazza Santa Restituta, infatti, saluta l’arrivo della stagione estiva alle porte con l’apertura di un nuovo punto vendita “La Caprese più”, che accoglierà i clienti più esigenti offrendo il meglio del pret-a-porter che da sempre caratterizza l’azienda di Ernesto Federico, presente nell’isola d’Ischia con otto boutiques. Luci soffuse, vetrine ricche di novità, ambienti ben arredati e personale pronto a soddisfare anche i gusti più sofisticati: la nuova boutique ospiterà un’ampia gamma di griffe, dal cachemire di Loro Piana, agli abiti di Roberto Cavalli e Gucci, con un’attenzione particolare all’uomo moderno, sem-pre impegnato, che vuole mantenere impeccabile il suo stile, e dedicando alla donna una selezione di vestiti e accessori raffinata e curata nei particolari.Un negozio che nasce vicino all’Albergo della Regina Isabella, fra i cinque stelle più celebri dell’isola, e punta, su tutte, alla clientela russa che, finora, veniva spesso di-rottata a Capri per l’acquisto di capi griffati. Con questa nuova boutique dedicata ai grandi marchi, Ischia potrà rafforzare ulteriormente la propria offerta anche nel settore dell’abbigliamento di prestigio e, quindi, lavorare con successo per far sì che questa potenziale notevole ricchezza non venga spesa altrove.La moda di lusso, insomma, esiste anche ad Ischia e “La Caprese”, tra i 500 negozi più importanti d’Italia, ne è una chiara testimonianza dal 1957. Il nuovo punto vendita, in una località suggestiva come Lacco Ameno, avrà il compito di renderlo chiaro a tutti coloro che scelgono quest’isola per la propria estate. Perché la moda non va mai in vacanza.

Text: Angela Mattera

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10ISCHIA A PIEDI

Ischia ha un cuore verde, fatto di boschi freschi e silenziosi, colline ricoper-te di lussureggiante e profumata macchia mediterranea da cui si godono splendidi panorami, pinete, sentieri da esplorare rigorosamente a piedi, scorci nascosti di grande bellezza. Per conoscerli, ma è più giusto dire sco-prirli, in completa sicurezza, è necessario affidarsi ad una guida che cono-sca alla perfezione i luoghi e li possa raccontare nel modo migliore. Assunta Calise è l’unica guida escursionistica con diploma che opera ad Ischia (è anche membro dell’Associazione Italiana Guida Ambientale Escursionisti-ca) che organizza escursioni di differente difficoltà, per cui si può trovare sempre l’itinerario adatto alla propria forma fisica e voglia di camminare. I percorsi sono tracciati, inoltre, per consentire di conoscere località dell’isola molto differenti fra loro: si va dal percorso classico che culmina nei 787m. dell’Epomeo alla dolce campagna della zona di Piano Liguori a Ischia, alle pinete di Casamicciola Terme, alle spettacolari case di pietra all’interno del bosco della Falanga a Forio. E questi sono solo alcuni esempi. Durante ogni escursione Assunta Calise illustrerà la flora e la vegetazione locale, si visi-teranno antiche cantine che costellano i vigneti ischitani e si potrà gustare dell’ottimo pane e pomodoro.

Per informazioni e prenotazioni: Assunta CaliseTel: 081.908018 (solo la sera), 081.908024 e 329.5355723; Email: [email protected]

11Commercialisti e consulenti del lavoro a cena

A due anni e più dalla nascita dell’Unione dei Commercialisti e Consulenti del lavoro dell’isola d’Ischia, non mancano occasioni d’incontro per i profes-sionisti contabili. Qui “sorpresi” nel corso di un momento “conviviale”, i commercialisti isolani, guidati dal Presidente Piero D’Ambra, stanno portando avanti un proprio programma di formazione continua, diretto alla specializzazione degli oltre settanta iscritti, consapevoli che il loro ruolo professionale rappresenta il vero collante del sistema Ischia nonché la chiave di volta per indirizzare quanti, nel mondo imprenditoriale e del lavoro, compiono quo-tidianamente sforzi tesi allo sviluppo sociale della comunità affinché essa non arretri, anzi progredisca. Eccoli, deposte penna e calcolatrice, alle prese con pizze e entreés al Ristorante “La Luna Rossa” di Ischia. Da sin.: Arnaldo Ferrandino, Antonio Esposi-to, Maria Rosaria Di Iorio, Antonio Ciccone, Giovan Giuseppe Di Meglio, Pasqualino Migliaccio, Pasquale Saurino, Felicia Anna Di Meglio, Renato Borsò, Vincenzo Scala, Piero D’Ambra, Paolo Mancusi, Enrico Iovene, Vittorio Di Meglio, Giovan Giuseppe Iodice, Mauro Di Costanzo.

Photo: Ischiacity

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12ALL’IPSSAR TELESE “LA FABBRICA DEL BELLO”

Nell’ambito dei laboratori PON che si sono tenuti presso l’istituto Alberghiero Telese a Ischia, sotto la direzione della preside Giuliana D’Avino e la supervisione delle tutor Luisella Santucci e Tiziana Morrone, si è svolto il corso denominato “La fabbrica del bello”, curato dallo staff di Ischiacity. Alle lezioni si sono al-ternati Riccardo Sepe Visconti, Enzo Rando, Romolo Tavani e lo chef stellato Nino Di Costanzo. Durante le sessioni di lavoro, i ragazzi del I anno del corso di grafica commer-ciale sono stati coinvolti in lezioni di fotografia, fotoritocco, composizio-ne, allestimento di un set fotogra-fico, fotografia di still life e presen-tazione di cibi.

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13III Trofeo Lions“Old Rugby CittA’à di Ischia”

La mattina di sabato 21 maggio 2011 è stata dedicata al III Trofeo Lions “Old Rugby Città di Ischia”, organizzato dall’Associazione Lions International con il patrocinio del Comune di Ischia, che ospita l’evento allo Stadio Comunale Mazzella. I protago-nisti sono ex giocatori con una passione ancora viva per questo sport, che vogliono continuare a divertirsi attraverso lo spirito e le regole del rugby. Da tre anni arrivano nell’isola da città come Napoli, Roma, Frascati, L’Aquila insieme alle loro famiglie, che durante le performance non fanno mai mancare ai propri cari il sostegno. Par-lando con il Presidente del Lions Club isola d’Ischia, Gerardo Sorrentino, abbiamo scoperto che queste partite fra ex rugbisti ancora innamorati del loro sport compren-dono sempre, dopo i due set in cui le squadre si sfidano in maniera agonistica, una cena in cui vincitori e vinti si riuniscono per scambiarsi opinioni e commenti sulla partita appena conclusa.

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14I MARTEDI’ DELL’ALCHEMIE

15INCONTRO AL MOSAICO

16DE MITA: UN’AMICIZIA SOLIDA E IMPORTANTE

Primavera all’insegna dello spettacolo e del divertimento all’Alche-mie Friends Club. Con la creatività che li contraddistingue, i fratelli De Georgio hanno portato nel loro dinamico cocktail bar del centro di Ischia un ricco calendario di ap-puntamenti con l’arte, la musica, il varietà. Fra gli altri, hanno esposto Enzo Ran-do, Luigi De Angelis, Marco Bizzarro, Marco Albanelli, Alessandra Deep Massa, Giu-seppe Greco; si sono esibiti il cantattore Valerio Sgarra con il suo gruppo musicale e le maliziose e coin-volgenti ballerine di Burlesque.

L’Amministrazione di Casamicciola si incontra con Il Mosaico, il ristorante stellato dell’albergo Terme Manzi. A tavola, ospiti di Maria Polito: il sindaco Vincenzo D’Am-brosio, il vicesindaco Peppe Silvitelli, il presidente del Consiglio Comunale Salvatore Sirabella e, ultimo ma non ultimo, il neoassessore Riccardo Sepe Visconti.

L’avvocato Gino Di Meglio, commissario isolano dell’UDC, ospita l’onorevole Giu-seppe De Mita, assessore regionale al turismo: questa amicizia è certamente un privilegio per tutta l’isola.

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Photo: Oliver Cervera | Retouching: Romolo Tavani

CITY NIGHT

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CITY NIGHT

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Incontro Igor Monti al Baraonda Cocktail Bar, il locale della Riva Destra dove ‘passa i dischi’ tutte le sere. Nel variopin-to panorama musicale dell’intrattenimento notturno isola-no, Igor rappresenta una particolare e piacevole eccezione sia per la scelta delle proposte musicali che per essere un dj davvero ‘sui generis’.Com’è nata la tua passione per la musica?All’età di 13 anni andavo alle feste dei miei amici, la mu-sica erano le ‘cassettine’ e ricordo che chi le portava a quelle feste godeva sempre di un’attenzione particolare da parte delle ragazze... All’epoca non ero a conoscenza dell’esistenza di qualcosa di simile ad un mixer audio, la mia idea quindi era quella di provare a mixare le casset-tine con due mangianastri o qualcosa di simile... In bre-ve tempo, però, mi resi conto che per raggiungere il mio scopo avrei dovuto acquistare una consolle. Avvicinarsi a questo fantastico mondo da subito fu possibile grazie alla conoscenza di un grande dj del tempo: Pierre Di Meglio. La sua disponibilità mi consentì di apprendere le tecniche basi di missaggio, tecniche che in seguito ho sviluppato e migliorato con l’amicizia del dj Marco Conte. Fu allora che cominciò il vostro sodalizio?Esatto, di lì a poco Marco ed io approdammo al Mister X, a Forio. L’esperienza durò fino a quando mi spostai al Dolce Vita per le serate del sabato: mi avvicendavo alla consolle con Marco e con Ivano Veccia. In seguito, ci spostammo al Jane. Nell’estate del 2005 ho avuto la mia prima esperienza da dj resident al Baraonda Cocktail

Bar, sulla Riva Destra, tornando in inverno al Jane... In seguito, ebbi l’occasione di suonare il venerdì nel più rinomato locale dell’isola, il Valentino. Nell’estate 2008 lavorai al Life Night Bar, sempre alla Riva Destra, dove grazie all’opportunità offertami dal direttore Egidio Pinto ho definitivamente cominciato a suonare la “mia musica” ed a crearmi una cerchia di sostenitori, cominciando pian piano a superare la mia innata introversione.L’archetipo del dj non prescinde dall’avere una grossa dose di comunicatività ed empatia, quin-

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IGORMONTIInterview: Riccardo FiorettiPhoto: Enzo Rando

di un carattere come il tuo non aiuta in questo mestiere. Come hai vissuto e come vivi il rap-porto tra te ed il pubblico che sta dall’altra parte della consolle?Non c’è dubbio che la gavetta che ho alle spalle sia servita a farmi conoscere al pubblico giovane che, devo dire, oggi è molto più esigente che in passato in materia musicale. Credo che le difficoltà maggiori che ho incontrato in pas-sato nel rapportarmi con il pubblico, però, siano da ascri-vere al mio carattere: inizialmente ero molto introverso, ma durante i miei “set” mi capitava di percepire un feeling particolare, sopratutto quando mi rapportavo con persone più grandi. Per scelta personale sono sempre rimasto un po’ fuori dal filone della musica minimal e tech House, prediligendo la musica revival anni ‘70/’80/’90. A Ischia il dj è costretto a seguire le mode, non è riconosciuto per la “sua” personale selezione musicale Questo è un grave limite, sono convinto che la normalità dovrebbe essere il contrario: la gente che viene nei locali ad ascoltare le pro-poste musicali del dj, lasciarsi accompagnare dalla sua musica attraverso un’esperienza sensoriale sempre nuo-va, a prescindere dalle tendenze del momento.Credi che la mancanza di una buona cultura mu-sicale sia da attribuire esclusivamente ai giova-ni?Anzi! Grazie ad internet e ai social network, i ragazzi di oggi sono molto più informati: lo scambio di files multime-diali e musicali tramite piattaforme come twitter, beatport ecc creano catene di interesse attorno a brani, produttori e dj, permettendo una diffusione rapida e capillare della loro musica... Le possibilità di ricerca sono molto più sem-plici: oggi se pubblico su facebook un link di un brano che mi piace do la possibilità ai miei contatti di commentarlo, posso a mia volta esprimere un parere ed approfondirne la conoscenza linkandomi alle pagine youtube di origine e trovando immediatamente artisti e generi simili. Molto spesso, però, questa “conoscenza” può rivelarsi un’arma a doppio taglio perché i ragazzi sono molto più esigenti e quando si è in consolle bisogna stare molto attenti a non deluderli.Restando in tema di tecnologia, come hai vissuto il passaggio alla musica digitale? Sei un nostal-gico o ami l’innovazione?Ho avuto grossi problemi con l’avvento della musica digi-tale e con le nuove soluzioni messe a disposizione dei dj: pensa che non ho neppure il pc a casa! A tutti i miei col-leghi che preferiscono affidarsi a tecnologie di missaggio digitale, dico che forse dovrebbero ragionare bene sulla loro effettiva affidabilità: quando comincio una serata ho sempre con me qualche puntina di riserva per i giradischi, suonando con un mixer digitale o con un pc portatile avrei sempre la preoccupazione che possa capitarmi un incon-veniente tecnico e a quel punto non saprei proprio come fare. Piuttosto che nostalgico mi definirei prudente.