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Istituto comprensivo Serravalle Scrivia scuola media - PRIMA A

Istituto comprensivo Serravalle Scrivia scuola media - PRIMA A · 5 PREFAZIONE Questa racccolta di favole classiche è nata nel corso delle lezioni di informatica previste dal Piano

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I s t i t u t o c o m p r e n s i v o S e r r a v a l l e S c r i v i a

scuola media - PRIMA A

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Istituto comprensivo di scuola materna - elementare - media “Martiri della Benedicta” Via San Rocco, 1 Serravalle Scrivia (Al) tel. 0143.65332 – fax 0143.633262 www.istitutocomprensivo.serravalle-scrivia.al.it [email protected] a. s. 2002/2003

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LA PRIMA - A

Cristina Acquafredda Shaira Basile Rino Camillon Asmae Echamby Simone Figus Alex Lagazio Matteo Mele Annalisa Melillo Valentina Moncalvo Nabil Naime Riccardo Orlandi Roberta Ricci Fabio Riga Serena Rocca Graziana Santamorena Erika Scanu Rosario Sestito Matteo Sobrero Alessandra Spagnuolo Carmen Stancu

Dedichiamo questa raccolta di favole ai nostri fratelli, sorelle e amici più piccoli, affinchè trovino occasione di leggere, di divertirsi e di imparare attraverso la ricerca e la scrittura al computer, come anche noi abbiamo tentato di fare. Però, sopra ogni cosa, vogliamo ricordare i bambini che i libri non li hanno, e nemmeno i computer, per tanti motivi: magari perché li hanno persi nel terremoto, o nella guerra... oppure non li hanno mai posseduti, a causa della povertà in cui vivono. Noi ci riteniamo fortunati perché viviamo in un Paese abbastanza ricco, dove anche numerose famiglie possiedono un computer. Pensiamo che questo strumento, se usato bene, possa diventare un mezzo per il progresso della conoscenza, della ricerca, della civiltà.

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PREFAZIONE Questa racccolta di favole classiche è nata nel corso delle lezioni di informatica previste dal Piano dell’offerta formativa di questo Istituto. Il percorso didattico ha seguito due direzioni convergenti: l’apprendimento di un software di scrittura (Microsoft Word nel nostro caso, con tutte le possibili componenti); la ricerca e l’eleborazione dei contenuti (le favole appunto), con gli opportuni approfondimenti e le conseguenti riflessioni. “Imparare per costruire qualcosa insieme” è stato pertanto l’obiettivo del nostro percorso.

Le insegnanti Lidia Zerbo Silvana Montecucco

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INDICE

Che cos’è la favola 9

Origini e storia della favola 11

Fedro 13

Esopo 14

Lev Tolstoj 15

L’asino e il cavallo 39 L’aquila e lo scarafaggio 17 L’asino, la volpe e il leone 40 La volpe e la cicogna 18 Il lupo e l’agnello 41

Il pipistrello, il rovo e il gabbiano 19 Il topo e il leone 43

Il bruco e la lumaca 21 La formica e l’elefante 44

Il corvo e la volpe 22 La volpe, il lupo e i prosciutti 45

L’anitra e la luna 23 L’agnello infurbito 46

La bertuccia e gli occhiali 24 L’asino e il sale 47

La cicala e le formiche 25 L’abete e il rovo 48

Le lepri e le rane 26 L’asino che derise il cinghiale 49

Nella buca della chiave 27 Il cavallo e il cinghiale 50

Il leone, la volpe, il corvo 28 Il lupo sazio e la pecora 51

Il topo e la rana 30 Il pollastro e la perla 52

La formica e la colomba 31 La mosca e la mucca 53

La rana e il bue 32 Il nibbio e le colombe 54

La volpe e il rovo 33 Il cervo alla fonte 55

Il corvo e il gatto 35 La donnola e il gallo 56

Il leone medico 37 I due cani e l’asino morto 57

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La favola è un racconto breve, in prosa o in versi, che ha lo scopo di insegnare qualcosa, cioè di fare la morale. È un genere antichissimo, ma che continua con fortuna ancora

oggi. Ha per protagonista quasi sempre animali, raramente uomini o vegetali. I personaggi sono umanizzati, cioè parlano, ma non hanno dei caratteri molto complessi, perché devono simboleggiare i comportamenti degli uomini, i loro vizi e le loro virtù, che si vogliono condannare o consigliare.

Per questo di ciascun animale viene messa in risalto di volta in volta solo una particolare caratteristica, quella che è più tipica.

La morale può essere scritta nel testo, ma a volte è il lettore stesso che la deve ricavare.

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Nelle favole vi è quasisempre un solo episodio, unsolo avvenimento che deverestare bene impresso nellamente del lettore.

Nelle favole non viene maiindicata una data, il tempo èindeterminato; a volte siaccenna a un momento delgiorno o ad una stagione dell’anno. Anche il luogo èindeterminato, perché ciò cheinteressa non è l’ ambiente, mala morale.

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In Occidente nell’età greco-romana esistevano la fiaba, che aveva un carattere essenzialmente fantastico, e la favola ,o apologo, che è a sfondo spiccatamente morale. Mentre la

favola greco-romana costituì un genere autonomo tenuto in grande considerazione, la favola fu, invece, poco apprezzata. Uno dei più antichi autori di favole fu ESOPO, il quale si servì dei caratteri degli animali per arrivare alle sue conclusioni morali. Elementi favolistici si trovano in Omero, Erodoto e altri autori greci; scrissero favole anche Babrio, Massimo di Tiro e Luciano. Tra i maggiori favolisti romani sono da ricordare FEDRO (che supererò la fama dello stesso Esopo, dal quale attinse) e Avviano. È stata riscontrata una certa analogia tra la favola greco-romana e quella dell’Egitto e dell’India. Le ragioni di questa analogia sarebbero dovute, più che all’unità primordiale della cultura indeuropea, a relazioni, influenze e scambi storici più recenti, nonché all’ellenizzazione dell’Oriente. Il Medioevo riprese il genere introdotto da Esopo e rielaborato liberamente da Fedro e attinse a piene mani alle parafrasi e ai rifacimenti di quel Romulus a cui la tradizione aveva affidato i componimenti, adespoti e non, con i caratteri dell’Apologo caro a Fedro, rielaborando molto liberamente il materiale favolistico e inserendovi con disinvoltura elementi orientali e favolose vicende contemporanee, specialmente nella Francia settentrionale, fin verso il 1300.

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Il Medioevo presenta anche un tipo originale di favola animalesca basata su due classici animali: la volpe ed il lupo. Centri di diffusione di questo tipo di favola furono la Lorena, il territorio basso-francone e quello basso-sassone. Produzione molto nota di questa epopea è il Roman de Renard attribuito a vari autori francesi. Nel cinquecento i favolisti francesi ed alcuni spagnoli continuarono la tradizione di Esopo e di Fedro mentre in Germania, durante la Riforma, Hans Sachs ed Erasmus Alberus scrissero favole a carattere didattico e satirico-polemico, raccomandate nelle scuole dal Zelantone. L’ epoca barocca curò poco la favola. In Francia, nella seconda metà del secolo XVIII, il LA FONTAINE cominciò la pubblicazione delle sue Fables, riprendendo la vecchia materia favolistica con una grazia altamente poetica. Egli fece scuola e per un secolo le favole rifiorirono in Francia, in Germania, in Inghilterra, in Italia e in Russia. Accanto alla corrente del La Fontaine, nelle cui favole l’ammaestramento morale passava in seconda linea, sorse quella del LESSING, il quale si uniformò strettamente ai fini educativi della favola.

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F edro conosceva bene tutti i bambini e scriveva favole proprio per loro. Di professione faceva il maestro. La sua vita si svolse nell’antica Roma, alla corte di Augusto, tra il I sec. a.C. e il I secolo d.C. Ma Fedro non era originario di

Roma: fu portato qui come schiavo dalla Macedonia, una regione confinante con la Grecia. Dopo un po’ di tempo riuscì a conquistare la libertà e da schiavo divenne liberto, come venivano chiamati gli schiavi affrancati. Purtroppo però, non ebbe molta fortuna a corte, perché a causa di alcune sue favole dal significato offensivo nei confronti dei potenti fu allontanato e costretto a vivere nella miseria per molti anni.

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Esopo secondo gli studiosi visse tra il -VII e il -VI secolo. Di lui non sappiamo con certezza nulla. Esiste una tradizione, condensata nel "Romanzo di Esopo", un libro popolare del

-V secolo (che Herodotos aveva letto) secondo la quale sarebbe stato uno schiavo frigio fuggito: dopo varie avventure e peregrinazioni in Oriente fu condannato a morte a Delfi, sotto la falsa accusa di furto sacrilego. Secondo la leggenda, fu Apollo che volle vendicarne la morte diffondendone la fama. Quello che sappiamo è che già alla fine del -V secolo si attribuiva a Esopo un corpus di favole, la cui popolarità è attestata da Aristofanes e da Plato. All'epoca le favole di Esopo costituivano una delle prime letture scolastiche. In seguito queste favole furono continuamente variate e arricchite. A noi ne è giunta una raccolta di circa 500 favole, frutto di redazioni diverse tra il +I secolo e il +XIV secolo, derivanti anche da raccolte antiche. La struttura della favola esopica è semplice: protagonisti sono gli animali, la narrazione è breve, lo stile semplice e chiaro, il fine l'insegnamento morale. Ogni animale incarna una qualità morale (negativa o positiva): questa tipologia rimarrà praticamente inalterata attraverso le rielaborazioni nei secoli. Accanto agli animali emergono figure e aspetti "umani" della vita quotidiana. La morale delle favole esopiche è semplice, pratica, diretta, ferma nel respingere prepotenza e arbitri, e nel difendere una forma elementare di giustizia.

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Lev Tolstoj (1828-1910) è uno dei più importanti scrittori russi. Scrisse molti romanzi, fra cui Guerra epace e Anna Karenina.

Nato da una nobile famiglia, perse giovanissimo igenitori: si arruolò nell’esercito e poi viaggiò in Europa.Visse a lungo nella sua tenuta di campagna in Russia, aJasnaja Poljana.

Nel 1859 Tolstoj fondò una scuola per i figli dei contadinidelle sue terre. Per abituarli alla lettura scrisse I quattro libri di lettura. Questa raccolta contiene fiabe e favole russe, indiane edeuropee, ma anche racconti di vita reale.

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U

n’asapsolsup

quila inseguiva una lepre per catturarla. Questa non eva come trovare aiuto; così, visto uno scarafaggio, il

o essere in cui il caso la fece imbattere, si diede a plicarlo. Lo scarafaggio la rassicurò e, appena l’aquila

gli si avvicinò, prese a scongiurarla perché non gli portasse via la povera lepre. Ma l’aquila non si curò di quel piccolo insetto nero e divorò la lepre proprio sotto i suoi occhi. Memore1 dell’offesa, lo scarafaggio, da allora, prese a seguire l’aquila con costanza: osservava i luoghi dove quella faceva il nido, si posava sulle uova e le faceva rotolare provocandone la rottura.

Cacciata da tutti i luoghi, l’aquila un giorno si rivolse a Giove2 e lo pregò di procurarle un luogo sicuro, dove poter fare le sue covate. Giove le permise di deporre le uova nel proprio grembo. Ma lo scarafaggio ideò uno stratagemma: fece una pallottola di sterco3, volò sopra il grembo di Giove e ve lo lasciò cadere.

Il dio, per liberarsi da quella sporcizia, si alzò in piedi con uno scatto e, senza rendersene conto fece cadere le uova. Da quel tempo, si dice che nella stagione in cui appaiono gli scarafaggi le aquile non facciano il nido. 1. Memore: che non dimentica. 2. Giove: il padre degli dei. 3. Sterco: escrementi.

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L

a volpe e la cicogna erano buone amiche. Un tempo si vedevano spesso, e un giorno la volpe invitò a pranzo la cicogna; per farle uno scherzo, le servì della minestra in

una scodella poco profonda: la volpe leccava facilmente, ma la cicogna riusciva soltanto a bagnare la punta del lungo becco e dopo pranzo era più affamata di prima. - Mi dispiace – disse la volpe – La minestra non è di tuo gradimento? - Oh, non ti preoccupare: spero anzi che vorrai restituirmi la visita e che verrai presto a pranzo da me – rispose la cicogna. Così fu stabilito il giorno in cui la volpe sarebbe andata a trovare la cicogna. Sedettero a tavola, ma i cibi erano preparati in vasi dal collo lungo e stretto nei quali la volpe non riusciva ad infilare il muso: tutto ciò che poté fare fu leccare l’esterno del vaso, mentre la cicogna tuffava il becco nel brodo e ne tirava fuori saporitissime rane. - Non ti piace, cara, ciò che ho preparato? – Fu così che la volpe burlona fu a sua volta presa in giro dalla cicogna.

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Molto tempo fa, un pipistrello, un rovo e un gabbiano si riunirono in un isolotto per formare una strana società commerciale fondata sulla vendita di stoffe e di rame. Il

rovo possedeva una buona quantità di lana, seta e cotone procurate grazie al duro lavoro dei suoi antenati. Egli aveva conservato i suo averi nell’attesa di una buona occasione per poterli rivendere. Il pipistrello, essendo il più abile dei tre negli affari, si prodigò per procurare il denaro necessario per l’acquisto di una buona imbarcazione sulla quale trasportare il materiale fino al continente. Per riuscirvi fece parecchi debiti con degli strozzini ai quali avrebbe dovuto restituire il doppio dei soldi prestati. Comunque, con il discreto gruzzoletto che ebbe a disposizione egli comprò una piccola barca a remi. Il gabbiano invece aveva adocchiato un buon quantitativo di rame abbandonato da qualche mercante. Munitosi di pazienza recuperò tutto quel tesoro che sarebbe servito per la loro società. Giunse infine il gran giorno. I tre avevano caricato ogni cosa sulla barchetta ed erano ormai pronti per partire. “Speriamo che questa barca sia abbastanza robusta!” Disse il gabbiano preoccupato. “Se il tempo si manterrà calmo andrà tutto benissimo”. Rispose il pipistrello. Finalmente gli amici si imbarcarono e partirono. Ma durante la sera, un terribile temporale fece ribollire le acqua del mare le cui onde gigantesche inghiottirono senza pietà la piccola barca. I tre compagni fortunatamente si salvarono perdendo però ogni cosa.

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Dal quel giorno il pipistrello incapace di ripagare i debiti uscì solo di notte per evitare di incontrare gli strozzini che volevano indietro il loro denaro; il gabbiano imparò a rimanere appollaiato sopra scogli marini nella speranza che le acque gli restituissero il suo rame; infine, il rovo aguzzò le sue spine strappando i vestiti dei passanti nell’attesa di ricostruire, con i brandelli procurati, il suo prezioso patrimonio di stoffe ormai perdute.

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Vivevano nello stesso giardino un bruco e una lumaca. I due animaletti strinsero grande amicizia. Erano sempre insieme, strisciavano a passeggio insieme, insieme

rodevano le foglie tenere e dolci. Vita povera, ma lieta e cordiale. Un bel giorno il bruco si fece lento, perdette i bei colori, si irrigidì, stette freddo, immobile, incartapecorito. La lumaca fedele gli smaniò intorno, si disperò, lo vegliò a lungo. E un altro giorno, dalla spoglia del bruco uscì una lucida variopinta farfalla che, non appena le si furono spiegate le stesse ali, cominciò a volare tra i fiori e le erbe, vanitosa. La lumaca, che aveva assistito al prodigioso mutamento, colto un istante in cui la sua amica stava posata su una margherita, le si avvicinò e cominciò a parlarle lietamente: -Come ti sei fatta bella! Sono proprio contenta. Se tu sapessi come mi sono spaventata quando ti ho vista… -Chi sei tu?- L’interruppe altezzosa la farfalla –Quando ci siamo conosciute? Io vivo nell’aria e tra i fiori, tu strisci e sbavi nel fango e tra i vermi. Oh, se il giardiniere purgasse il mio giardino da certe sudice bestie!- La lumaca ci rimase male; e disse: -Va bene, va bene: non ci siamo mai viste… Però ricordati che ti ho conosciuta quando eri un bruco-.

Da Fernando Palazzi, L’enciclopedia della fiaba, Principiando.

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U

n corvo aveva rubato un pezzo di carne ed era andato a posarsi su un albero. Lo vide la volpe e, desiderosa di impadronirsi della carne, si piantò là sotto e cominciò a

tessere le lodi della perfezione e bellezza del corvo: nessuno era più adatto di lui, sostenne, a essere il re degli uccelli, e lo sarebbe diventato senz’altro se avesse avuto una bella voce. Il corvo allora, deciso a mostrare che neanche questa gli mancava, lasciata cadere la carne, si mise a gracchiare a perdifiato . La volpe si precipitò ad afferrare il bottino, dicendo: -O corvo, se avessi anche un po’ di cervello, davvero non ti mancherebbe nulla per diventare il re degli uccelli-

(da Esopo, Le più belle fiabe di Esopo.)

Devo riuscire a

rubargli quella carne!

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U n’anitra nuotava in un fiume, cercando pesci: in tutto il giorno non ne aveva trovato nemmeno uno. Non appena venne notte, l’anitra vide la luna nell’acqua; credette fosse

un pesce che brillasse e s’immerse per pigliare la luna. Altre anitre la videro e si burlarono di lei.

Da quel giorno l’anitra fu così vergognosa e timida che non tentò nemmeno più di pigliare i pesci veri che vedeva nell’acqua e morì di fame.

Tolstoj, I quattro libri di lettura.

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U na bertuccia, divenuta vecchia, ebbe la vista indebolita; però aveva sentito dire dagli uomini che la vista debole non è un gran male: basta procurarsi gli occhiali.

Essa si procura perciò una mezza dozzina di occhiali. Li gira e rigira di qua e di là: ora se li mette al collo, ora li afferra per la coda, ora li annusa , ora li lecca. Gli occhiali non funzionano per niente!

-Accidenti!- essa dice - é proprio uno stupido chi ascolta tutte le fandonie degli uomini; non han fatto che ingannarmi a proposito degli occhiali: non c’ è un briciolo d’utilità in essi.

Allora la bertuccia, per la stizza e il dolore, li batte contro una pietra in modo tale che rimangano soltanto i frammenti a luccicare.

Sfortunatamente, la stessa cosa accade fra gli uomini: per utile sia una cosa, poiché non ne conosce il valore, l’ignorante inclina sempre a dare un giudizio negativo e se poi l’ignorante è più altolocato, la cosa la getta addirittura via.

(daKrylov-Tolstoj, Parlano gli animali)

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In una giornata d’inverno le formiche stavano facendo asciugare il grano che s’era bagnato. Una cicala affamata venne a chiedere loro un po’ di cibo. Le risposero le formiche:

-Perché durante l’estate non hai raccolto anche tu le provviste?

- Non avevo tempo - rispose la cicala - dovevo cantare melodiosamente.

Quelle allora le risero in faccia. - Ebbene – le dissero – se d’estate hai cantato, adesso che è inverno balla!

La favola mostra che in qualsivoglia situazione chi vuole evitare pene e rischi non deve essere negligente.

(Da Esopo, Le più belle fiabe di Esopo)

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Le lepri si riunirono un giorno e cominciarono a lagnarsi1 della loro vita: “Gli uomini, i cani, le aquile”, dicevano, “sono la nostra rovina: senza parlare delle altre bestie feroci! È meglio finirla piuttosto che vivere sempre torturate dalla

paura. Andiamo ad annegarci”. E si diressero al lago per affogarsi. Le rane le udirono arrivare, e si precipitarono spaventate nell’acqua. Allora una delle lepri disse: “Fermatevi, figlie mie! Aspettate un poco ad annegarvi. Certo, la vita delle rane deve essere ancora peggiore della nostra, poiché esse hanno paura di tutto, perfino di noi!”

Da Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura, trad. di N. Odanov, Longanesi. 1. lagnarsi: lamentarsi.

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U n ragno, dopo avere esplorato tutta la casa, di fuori e dietro, pensò di rintanarsi1 nel buco della serratura. Che rifugio ideale! Chi lo avrebbe mai scoperto, lì dietro?

Lui, invece, affacciandosi sull’orlo della toppa2, avrebbe potuto guardare dappertutto senza correre nessun rischio. Lassù diceva fra sé, sbirciando la soglia di pietra tenderò una rete per le mosche; quaggiù, aggiungeva scrutando lo scalino, ne tenderò un’altra per i bruchi; qui, vicino al battere dell’uscio, farò una piccola trappola per le zanzare. Il ragno gongolava3. Il buco della serratura gli dava una sicurezza nuova, straordinaria; così stretto, buio, foderato di ferro, gli sembrava più inattaccabile di una fortezza, più sicuro di qualsiasi armatura. In questi pensieri, gli giunse all’orecchio un rumore di passi: allora, prudente, si ritirò in fondo al suo rifugio. Qualcuno stava per entrare in casa; una chiave tintinnò, s’infilò nel buco della serratura e lo schiacciò.

(da Leonardo da Vinci, Favole e leggende, traduzione di B. Nardini, Firenze, Giunti-Nardini, 1972).

1. rintanarsi: rifugiarsi, nascondersi. 2. toppa: buco della serratura. 3. gongolava: era visibilmente soddisfatto.

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I

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l leone, Re della foresta, era gravemente ammalato. Data la sua avanzata età egli non aveva più le forze per uscire dalla sua caverna e procurarsi il cibo necessario per la guarigione. r questo fu costretto a ricorrere all’aiuto di una volpe da

sempre sua grande amica. Chiamandola al proprio capezzale, il leone le disse: “Mia cara compagna, esiste una sola medicina per il mio male. Si tratta di un brodo fatto con le corna di un cervo. Devi procurarmelo subito!” Commossa per la sua richiesta, la volpe si mise subito all’opera e, scovato l’animale tanto desiderato dal grande malato, cercò, con un inganno, di convincerlo a seguirlo, dicendogli: ”Mi manda il leone con l’incarico di portarti da lui prima che tiri l’ultimo respiro. Andando per eliminazione ha deciso che tu sei il più adatto fra tutti gli animali per essere il suo successore al trono dopo la sua morte!” Il cervo, lusingato da questa insperata proposta, accettò subito e seguì la volpe fino alla caverna del leone, ma non fece neppure in tempo a varcare la soglia che si sentì aggredire dal feroce animale. Fortunatamente riuscì a divincolarsi e a fuggire. Il leone, deluso e arrabbiatissimo, scongiurò ancora la sua amica di ritentare la prova usando la sua proverbiale furbizia.

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Questa, dopo lunghe ricerche, riuscì a trovare il cervo nel suo nascondiglio, ma, appena si presentò davanti a lui, dovette sentirsi le sue irate proteste. “Ascoltami,” si scusò la volpe “ti sei spaventato per niente. Il morente voleva solo darti la sua benedizione. Torna da lui prima che cambi idea!” Il cervo, anche questa volta, affascinato dall’idea di diventare Re, si ripresentò al leone. Ma questi, afferratolo, gli rubò le sue bellissime corna per farvi un bel brodo caldo. Lasciandolo poi libero di scappare.

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U

n topo per poter attraversare più facilmente un fiume, chiese aiuto alla rana. La rana con un filo legò ad una delle sue zampe di dietro uno dei piedi del topo. Quando a

nuoto furono arrivati a metà del fiume, la rana, tradendo la parola data, si tuffò sott’acqua e si trascinò via il sorcio. Morto, il sorcio venne a galla e ondeggiava sui flutti. Il nibbio che volava adocchiò la preda: strappò il topo e insieme portò via la rana che era con esso legata. La perfida, che col tradimento aveva attentato la vita dell’altro, trovò insieme la rovina anche lei e fu distrutta.

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U

na formica scendeva verso il ruscello1 perché aveva voglia di bere. Sopraggiunse2 un’onda che la sommerse e per poco non annegò. Una colomba che portava un ramoscello nel becco vide la formica in pericolo e le gettò

il ramoscello. La formica vi si appoggiò e fu salva. Qualche tempo dopo, un cacciatore stava per catturare con una rete la colomba. La formica si arrampicò verso di lui e gli morse il piede. Il cacciatore trasalì3 e lasciò cadere la rete. La colomba battè le ali e volò via.

(da L.Tolstoj, I quattro libri della lettura, Napoli, Liguori, 1981)

1. ruscello: piccolo corso d’ acqua. 2. sopraggiunse: arrivò all’ improvviso e inaspettatamente. 3. trasalì: sobbalzò forte e improvvisamente.

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U

na volta una rana vide un bue in un prato. Presa dall’invidia1 per quella mole, prese a gonfiare la sua pelle rugosa2. Chiese poi ai suoi piccoli se era diventata più grande del bue. Essi risposero no. Subito riprese a

gonfiare con maggiore sforzo e di nuovo chiese chi fosse più grande. Quelli risposero “il bue”. Sdegnata3, volendo gonfiarsi sempre di più, scoppiò e morì. Quando gli uomini piccoli vogliono imitare i grandi, finiscono male.

1. invidia: sentimento di astio per un bene di cui altri godono. 2. rugosa: piena di rughe, grinzosa.

3. sdegnata : irritata, indignata.

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C’ era una volta una graziosa volpe dal manto marrone e lucente che viveva in una piccola casetta in mezzo al bosco. Un bel mattino di primavera l’animale uscì dalla

propria abitazione con l’intenzione di procurarsi una preda1 per il mezzogiorno. Vagando per la brughiera2 fischiettando allegramente, la volpe attirò l’attenzione di un ingenuo leprottino il quale, incuriosito, le si avvicinò per osservarla meglio. L’astuta volpe non si lasciò sfuggire l’occasione e sorridendo al cucciolotto gli disse: «Buongiorno a te mio piccolo amico. Cosa fai tutto solo in questi boschi?» Il leprotto divenne improvvisamente diffidente3 di fronte a tutto quell’interessamento e, indietreggiando piano, rispose: «Oh, niente, proprio niente. Anzi, adesso che ci penso, devo tornare a casa.» Ma la volpe non aveva nessuna intenzione di lasciarsi scappare un bocconcino così prelibato. Quindi, con un abile balzo si gettò sull’animaletto per afferrarlo. Fortunatamente il piccolino, risvegliato dall’improvviso attacco riuscì a schivare l’aggressione con un veloce salto indietro, precipitandosi in una folle fuga verso il limitare del bosco. La volpe lo seguì fino a quando non si trovò sull’orlo di una grossa buca.

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Favolando…

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Per evitare di cadere nel vuoto l’animale si aggrappò ad una specie di Rovo graffiandosi con le sue spine. Abbandonando l’inseguimento la povera volpe rimase seduta di fronte al Rovo leccandosi le ferite da questo provocate. “Che stupida sono stata!” si disse fra sé “Mi sono aggrappata alla prima cosa che ho trovato per non cadere in una buca e mi sono procurata solo graffi e punture. Tanto valeva proseguire l’inseguimento e tuffarmi nella fossa”. Ma per quel giorno ormai non poteva più far niente e camminando piano per il male, se ne tornò a casa sconsolata.

1. Preda: atto del predare: le aquile, i falchi, i nibbi sono uccelli da preda. Tutto ciò che si prende con la forza.

2. Brughiera: landa, steppa. 3. Diffidente: una persona che non si fida di

un’altra persona o animale.

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U

n corvo e un gatto selvatico avevano stretto amicizia e mentre un giorno stavano insieme sotto un albero videro avvicinarsi una pantera. Il corvo volò subito sopra alla

pianta, e il gatto, rimasto solo a terra spaurito, gli disse: “Amico mio, potresti trovare la maniera di salvarmi, cosa che da te è sperabile?”. Rispose il corvo: “Per l’appunto al momento del bisogno si ricorre agli amici. Quanto è bello il detto del poeta: Il vero amico è colui che ti sta a fianco, e nuoce anche a se stesso pur di giovarti. È colui che se ti colpisce il fato infido, sacrifica la sua pace per procurarti la tua”. In prossimità di quell’albero c’erano alcuni pastori che avevano dei cani; il corvo andò in quella direzione fino a urtare il terreno con le ali, gracchiò e gridò, poi si avvicinò ai cani battendo con l’ala sulla faccia di uno di essi e si sollevò un poco dal suolo; allora i cani si dettero ad inseguirlo correndo sulle sue tracce; anche il pastore, alzando la testa e vedendo un uccello che volava vicinissimo al suolo e prossimo a cadere, si pose a

CHI L’HA SCRITTA Questa favola è tratta da Le mille e una notte, una raccolta di molte decine di racconti arabi scritti dal XIV al XVII secolo. Questi racconti sono anonimi.

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Favolando…

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seguirlo; il corvo volava, ad arte, per quel tanto necessario ad evitare che i cani lo afferrassero, ma in maniera da renderli avidi di sbranarlo, poi si alzò un poco e i cani lo seguirono ancora fino a che giunsero presso l’albero sotto cui stava la pantera, scorsero questa e le si avventarono contro mettendola in fuga, laddove essa credeva invece di poter divorare il gatto selvatico, così questo fu salvo grazie all’astuzia del suo amico corvo.

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Quelli che non conoscono l’arte1, si tradiscono: lo dimostra una favoletta di Esopo. Il leone animoso2 vide il cavallo che pascolava in un prato. Come lo vide, si avviò verso di lui con intenzioni subdole3 e, da amico, ma con sussiego4

professandosi5 medico, gli si accostò. Il cavallo capì l’insidia6, non rifiutò tuttavia i suoi servizi, ma aguzzò opportunamente il cervello contro la macchinazione7 [del leone]. Finse di aver calpestato un ceppo8 d’ albero e, alzato il piede, disse: «Fratello, aiutami! Mi rallegro che tu sia qui. Ho calpestato un ceppo d’albero: guariscimi!» Il leone si accostò con cura, dissimulando9 la sua frode10, ma il cavallo in un lampo gli sferrò11 una gragnuola12 di calci e il leone stramazzò13 e restò steso a lungo a terra. Quando tornò in sé, non vide il cavallo e s’accorse che aveva la testa, il viso e tutto il corpo pestato. Si racconta che allora così disse: «Ben mi sta: sono stato sempre macellaio e nemico di ogni bestia e ora ho voluto farmi loro amico e avvicinarmi ad esse come medico».

Perciò chiunque tu sia che ascolti questa favola, sii quel che sei e non mentire.

Da Fedro, Favole, trad.di A. Richelmy, Einaudi

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Favolando…

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1.

2. 3. 4.

5. 6. 7. 8.

9. 10111213

non conoscono l’ arte: non hanno competenze in un settore. animoso: coraggioso. subdole: false. sussiego: atteggiamento molto serio, un po’ superbo professandosi: dichiarandosi insidia: inganno macchinazione: trucco. ceppo: parte inferiore del tronco di un albero. dissimulando: nascondendo.

. frode: inganno.

. sferrò: tirò con forza.

. gragnuola: fitta serie.

. stramazzò: cadde a terra.

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U n giorno un cavallo, ricco d’ornamenti, venne incontro a un asino che, stanco e carico com’era, tardò a dargli la via. “Avrei una gran voglia – disse – di fracassarti a calci”.

L’asino non rispose e con un gemito1 chiamò testimoni gli dei. Passò qualche tempo. Il cavallo, durante una corsa, si azzoppò e fu mandato a servire in campagna. Appena l’asino lo vide tutto carico di letame: “Ricordi – domandò – che boria2 e che pompa3? Eh? E che ne hai avuto? Eccoti ridotto alla miseria che prima spregiavi4”. I felici che disprezzano l’umile, sanno essi quale sarà il proprio domani?

Fedro

1. Gemito: suono inarticolato emesso da chi si lamenta o piange 2. Boria: ostentazione vana 3. Pompa: esibizione, sfoggia 4. Spregiavi: disprezzavi

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Favolando…

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U n asino ed una volpe fecero amicizia e insieme se ne andarono a caccia. Incontrarono un leone dall’aria minacciosa1. La volpe intuì2 il pericolo che stava correndo,

gli si avvicinò e cominciò a parlargli: si impegnava a consegnargli l’asino, in cambio della sua salvezza. Il leone le promise la libertà: così la volpe condusse l’asino verso una trappola e ce lo lasciò cadere. II leone, appena vide che l’asino era nell’impossibilità di fuggire, assalì per primo la volpe e poi, con calma, ritornò ad occuparsi dell’animale che era caduto nella trappola. 1. Minacciosa: che incute timore. 2. intuì: capì prontamente.

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U n lupo ed un agnello, spinti dalla sete, erano giunti allo stesso ruscello. Più in alto si fermò il lupo, molto più in basso si mise l’agnello. Allora quel furfante, spinto dalla

sua sfrenata golosità, cercò un pretesto di litigio.

-Perché –disse– intorbidi l’acqua che sto bevendo?- Pieno di timore l’agnello rispose: -Scusa, come posso fare ciò che tu mi rimproveri? Io bevo l’acqua che passa prima da te-. E quello, sconfitto dall’evidenza del fatto, disse: -Sei mesi fa hai parlato male di me-. E l’agnello ribattè: -Ma se ancora non ero nato!- -Per Ercole, fu tuo padre, a parlar male di me- Disse il lupo. E subito gli saltò addosso e lo sbranò fino ad ucciderlo ingiustamente. Questa favola è scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con falsi pretesti.

(da Fedro, Animali nelle favole)

Lungo la sponda di un rivo1 sono venute a bere due bestie: il lupo più in alto e, molto più in basso, l’agnello: pasto eccellente per quello scannatore2 vorace3. Il lupo vuol fare l’offeso. “Perché mi hai intorbidata4 l’acqua mentre bevo?”

e l’altro tutto timoroso: “Ma, scusami tanto, in che modo, se l’acqua che mi abbevera5 scorre giù da te?” La cosa è troppo evidente. “Sei mesi fa,” riprende, “hai detto male di me.” “Veramente non ero nato allora.” “Perdinci, fu tuo padre il maldicente6.” E lo afferra e lo sbrana. Chi è più forte vuole aver tutto, anche la ragione.

(da Favole esopiche, trad. di C. Marchesi, Formiggini)

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Favolando…

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1. rivo: ruscello 2. scannatore: chi uccide tagliando la gola, in questo caso il lupo 3. vorace: insaziabile 4. intorbidata: fatta diventare torbida, sporca 5. abbevera: fa bere 6. maldicente: colui che ha parlato male di me

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M

entre il leone dormiva nella selva1, due topi di campagna giocavano lì vicino. Uno di essi, senza volerlo, passò sul leone. Il leone, svegliatosi, afferrò con una

zampata svelta il povero topo; il topo lo pregò di perdonargli perché non l’aveva fatto apposta. Il leone pensava: se lo ammazzava, era un motivo d’accusa, non una gloria. Gli perdonò e lo lasciò andare. Pochi giorni dopo il leone cascò in una fossa.

Restato prigioniero, cominciò a ruggire. Il topo, come lo sentì, accorse2. Appena riconobbe il prigioniero, disse: “Non ho dimenticato il tuo beneficio”3. Allora

prese ad esaminare i lacci, a tagliare le corde, ad allentare la trappola ingegnosamente

escogitata4. Così il topo restituì libero alle sue selve il leone prigioniero. Nessuno si proponga di danneggiare i piccini.

(Da Fedro, Favole, trad. di A. Richelmy, Einaudi)

1. selva: bosco. 2. accorse: corse in aiuto. 3. beneficio: azione generosa. 4. escogitata: inventata.

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Favolando…

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C’era una volta un formicaio1 composto da cento formiche che un giorno si misero a costruire la loro casa. Il giorno successivo udirono dei passi molto forti: era l’elefante2

che si stava avvicinando. Essendo molto alto, non vide il formicaio e lo distrusse. Per ribellarsi le formiche di notte riunirono alcuni animali della foresta.

Il giorno dopo seguirono l’Elefante fino alla sua grotta e videro che abitava proprio sotto una montagna che aveva sopra un grande masso3. Essi spinsero il masso giù dalla montagna, il quale cadde proprio all’entrata della grotta4. Le formiche scesero dalla montagna e fecero un patto con l’Elefante: gli dissero che se non avesse più distrutto le loro abitazioni lo avrebbero liberato. MORALE: Gli animali, ma anche gli uomini, non dovrebbero distruggere le abitazioni degli altri!

1. 2.

3.

4.

Formicaio: insieme di formiche.Elefante: animale che vive in Africa Masso: grande blocco roccioso immerso profondamente nella terra Grotta: cavità che si apre sul fianco di un monte

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La volpe era stata a caccia tutto il giorno e non aveva acchiappato nulla. Era affamata… A sera andò a trovare il lupo, suo amico, e gli chiese un boccone. Mentre mangiava,

adocchiò tre bei prosciutti appesi al soffitto. Subito pensò come impadronirsene e disse al lupo: “Che bei prosciutti! Non hai paura che te li rubino? O che qualcuno te ne chieda in dono?” “Chi vuoi che osi venire a rubare qui?” rispose il lupo. “Ci siamo io, mia moglie e i miei figli. E, quanto al donare, lascerei morire mio padre prima di dargliene una fetta”.

“Non si sa mai” replicò la volpe. “se fossi in te li nasconderei ben bene e poi spargerei la voce che te li hanno rubati. Così sarei sicuro di potermeli mangiare a comodo. Ma, del resto, è affar tuo. Grazie della cena e buonanotte a te e a tutti”. Uscì, ma stette rimpiattata là vicino. Quando fu notte alta, che tutti dormivano, si arrampicò sulla capanna del lupo, fece un grande buco nel tetto, che era di paglia, rubò i tre prosciutti e andò a mangiarseli a casa con la sua famiglia. La mattina dopo si recò a trovare il lupo. Lupo, lupa, lupacchiotti ululavano disperati. “Che cosa è capitato?” domandò fresca fresca la volpe. “Mi hanno rubato i prosciutti!” gemette il lupo. “Mi hanno rubato i prosciutti!”. “Bravo!” disse la volpe. “hai seguito il mio consiglio. Cosa devi fare. Grida forte che tutti sentano”. “Ma no! Li hanno rubati davvero!”

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Favolando…

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U

n Lupo che beveva in un ruscello vidde, dall’antra1 parte de la riva, l’immancabbile2 Agnello.

er semi

«Perché nun venghi3 qui?» je4 chiese er Lupo «L’acqua, in quel punto, è torbida e cattiva e un porco ce fa spesso cupo5. Da me, che nun ce bàzzica6 er bestiame, er

ruscelletto è limpido e pulito…» L’ Agnello disse: «Accetterò l’invito quando avrò sete e tu nun avrai fame»

Da Trilussa, Libro muto, A. Mondadori.

1. antra: altra 2. immancabbile: immancabile; nel senso che spesso nelle fiabe antiche dove c’è il

lupo c’è anche l’ agnello 3. nun venghi: non vieni 4. je: gli 5. semicupo:bagno 6. bàzzica: frequenta

CHI L’HA SCRITTA Questa moderna favola in versi è stata scritta nel 1931 da Carlo Alberto Salustri (1871-1950), un poeta più notocon lo pseudonimo di TRILUSSA (uno pseudonimo è unnome inventato o anagrammato come questo). Trilussa è autore di numerose raccolte di poesie scritte indialetto romanesco.

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U na volta un asino viaggiava carico di due grossi sacchi di sale. Per abbreviare la strada, il suo padrone gli fece attraversare un fiumicello. L’asino a un tratto inciampò sui

ciottoli e scivolò nell’acqua. Mentre cercava di rialzarsi, l’acqua penetrò nei sacchi e cominciò a sciogliere tutto il sale. Così, quando l’asino riprese il viaggio, si accorse di essere diventato leggero leggero. Poco tempo dopo, lo stesso asino rifece la stessa strada.

Questa volta portava un carico di spugne, ma per l’asino era la stessa cosa, perché, delle cose che portava, conosceva solo il peso.

Così quando fu nel fiumicello, fece finta di inciampare nei ciottoli, e anche questa volta cadde nell’acqua. Ma, mentre l’altra volta il sale si era sciolto, questa volta le spugne si gonfiarono d’acqua. Così l’asino, invece di ritrovarsi più leggero, si sentì addosso un peso molto più grande e, per di più, il suo padrone si arrabbiò e lo bastonò. Questa favola ci insegna che, prima di ripetere un’azione che ha dato un buon risultato, dobbiamo sempre chiederci se le circostanze sono le stesse o se sono cambiate.

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Favolando…

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C

'era una volta un abete e un rovo che non sapevano fare altro che "beccarsi" quotidianamente.

piccoloL'abete, alto e imponente, era molto presuntuoso; il rovo, e spinoso, cercava di contrastarlo come poteva.

"Sono bello, grande e utile, gli uomini si servono della mia corteccia per costruire i tetti delle case, le navi, i mobili e gli strumenti musicali, inoltre addobbo le case durante il natale" amava vantarsi l'abete, "… e tu, piccolo e brutto sgorbio, hai il coraggio di confrontarti con me.... Qual è la tua funzione? A chi giovi? Non ti si può avvicinare che subito pungi e i tuoi frutti, le more, sono buoni solo per gli uccelli.". A così tanta veemenza il povero rovo rispose: "Caro abete, se tu ti rammentassi delle scuri e delle seghe che ti spaccano, forse preferiresti essere un piccolo rovo anche tu !!”

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o’ somarello che vagabondava nella campagna alla ricerca di un po’ di cibo e di qualche animale da prendere

di

on le orecchie tese disse: “Tu

a tuttavia represse il suo istinto e replicò: ”Sarebbe cile per me la vendetta, ma non voglio sporcarmi col sangue di a nullità”.

Lo stolto che strapazza gli altri con offese grossolane e gratuite deve ben guardarsi dal giorno in cui la pagherà per tutte

le malefatte.

’era una volta un asinello burlone molto grigio ed anche un pC

in giro. Un giorno, quasi verso sera, in una delle sue solite passeggiate si trovò di fronte un cinghiale e non potendo fare a menoderiderlo disse: “Salve, fratello”. Il cinghiale un po’ indignato, respinse il saluto e chiese all’asino il motivo di tale paragone. L’asino, allora, scodinzolante e cdici che io non ti assomiglio; beh certo, ma le mie orecchie assomigliano tanto al tuo muso”. Il cinghiale che voleva attaccarlo era fumante di rabbia per il paragone, mfaun

Morale:

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Favolando…

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U n cavallo era solito calmare la propria sete presso un abbeveratoio, che impunemente, un cinghiale aveva reso molto torbido con le sue inutili sguazzate…

Un giorno il cavallo perse la pazienza e la giurò all’impavido selvatico. Corse allora parecchie miglia prima di incontrare e chiedere l’aiuto di un uomo. Dopo averlo sollevato e caricato sul suo dorso, il cavallo con il proprio “cavaliere”, tornò di gran carriera verso il nemico “selvatico”. Raggiunto l’abbeveratoio, il cavaliere, con un preciso colpo di freccia stese il povero cinghiale e rivolgendosi al cavallo, gli disse: ”Oggi sono molto contento per averti dato retta e aver assecondato le tue preghiere; in un solo colpo infatti ho catturato un preda prelibata e mi sono reso conto quanto tu sia utile ...”. Fu così che il cavaliere costrinse il cavallo a dover sopportare il “freno”. Assai amareggiato ed intristito pare che il cavallo abbia detto: “Per una sciocchezza avevo cercato vendetta ed adesso ho trovato la schiavitù….”

Morale: un consiglio per gli iracondi: meglio essere offesi impunemente

che doversi poi affidare alla discrezione di un altro.

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C’era una volta un lupo che dopo aver mangiato a crepapelle vide in lontananza una pecorella lunga distesa per terra.

Man mano che si avvicinava alla pecora, il lupo si accorse che questa era svenuta, o aveva fatto finta, perché aveva paura di lui.

Il lupo allora, cercando di rassicurarla, soprattutto perché aveva già mangiato a sazietà, le fece coraggio promettendole che se avesse fatto immediatamente tre affermazioni sincere, l’avrebbe lasciata libera. Questa senza lasciarsi pregare due volte cominciò così ad esternare: "Prima di tutto, caro lupo, non ti avrei mai voluto incontrare; secondo, se proprio avessi dovuto incontrarti avrei preferito tu fossi stato almeno cieco; terzo, auguro a tutti voi lupi malvagi la più straziante delle morti, perché, pur senza subire torti da parte nostra, ci continuate a fare la guerra. A queste parole così sincere, il lupo, lasciò libera la povera pecorella.

Morale:

A volte la verità può imporsi anche sui nemici.

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Favolando…

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U n giorno, in un letamaio, un pollastro stava cercando qualcosa da poter beccare....Finalmente e con somma sorpresa trovò una perla.

"Tu" disse il pollastro "così bella e preziosa sei qui abbandonata in un luogo così indegno e puzzolente!!"

Se qualche avido ti avesse notato prima di me, tu saresti già tornata, da un pezzo, al tuo vecchio splendore.... Ora, siccome e purtroppo per te, ti ho scoperto io... tieni presente, disse il pollastro, che avrei preferito di gran lunga qualcosa da mangiare e così questo incontro non è servito nè a te nè a me. Irato e indispettito il pollastro diede un calcio alla povera perla e si rimise a razzolare per cercare qualcosa da mangiare.....

Morale: Le cose belle, per chi non le apprezza, non hanno alcun valore.

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C’era una volta una mosca che andava ronzando qua e là senza una meta ben precisa. Un pomeriggio scorse una mucca intenta a tirare un carro

e subito si diresse verso di lei posandosi sul timone dello stesso carro… sussurrandole: “Come sei lenta!!” Nonostante quelle parole, la mucca, in apparenza, per nulla intimidita continuò a mantenere la stessa andatura. Irritata dalla mancata risposta, la mosca, continuò a sollecitare la mucca con la stessa domanda… “E’ mai possibile che tu non possa andare più in fretta….stai attenta che non ti punzecchi il collo con il mio stiletto, per bacco…”

La povera mucca, allora, stanca ed esausta per la giornata lavorativa, ma anche per le continue domande, abbozzò una simile risposta: “Senti bella fannullona, non mi lascio certo intimidire dalle tue parole, piuttosto ho invece paura, non certo di te, ma di questo qua dietro che seduto su un seggiolone governa il mio giogo con una frusta e doma la mia bocca con un piccolo morsetto. Lascia perdere la tua inutile arroganza, non ho certo bisogno di essere sollecitata da una come te, lo so io quando è ora di correre e quando è ora di battere la fiacca!”

Morale: Purtroppo, oltre che di arroganti veri, il mondo è anche pieno di

arroganti fasulli…a noi l’arduo compito di smascherarli e di contrastarli entrambi.

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Favolando…

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C

'era una volta un gruppo di colombe molto veloci e molto furbe che avevano più volte rischiato la propria vita sfuggendo al loro acerrimo nemico, il nibbio.

Ormai vecchio e stanco delle peripezie delle colombe, il nibbio cambiò il proprio metodo di caccia, ricorrendo, come spesso capita anche agli uomini, all'inganno e all'ipocrisia.

Radunate le colombe fece loro un discorso: "Non sarebbe meglio, se invece di angosciarvi per la mia caccia, mi eleggeste vostro Re in modo tale da non temermi più?".

Le povere colombe, accettando il patto scellerato, si consegnarono al nibbio il quale una dopo l'altra le divorò. Una delle superstiti allora disse: "Ben ci sta se siamo state duramente punite!”

Morale: guai affidarti alla protezione di un malvagio quando cerchi aiuto,

perchè purtroppo troverai solo guai.

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C'era una volta un cervo che si vergognava delle sue gambe sottili e si compiaceva delle ramose corna che gli davano un'aria nobile ed aristocratica.

Tutte le volte che si abbeverava ad una fonte, specchiandosi, si fermava, per parecchio tempo, ad adorare le proprie corna e si soffermava, pochi istanti, sulle esili zampe, che non si addicevano alla sua regale bellezza. Un giorno, però, il cervo, mentre riposava nella verde campagna, udite le grida dei cacciatori, iniziò a correre per sfuggire alle bramose bocche dei cani e con salti magistrali riuscì ad eludere la loro caccia. Più tardi, entrato nella fitta boscaglia per nascondersi, rimase impigliato tra i rami degli alberi a causa delle sue lunghe corna, ed ahimè, fu raggiunto dai voraci cani che non gli lasciarono scampo.

Morale:

le cose che riteniamo inutili, a volte, si rivelano più utili di ciò che abbiamo elogiato.

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Favolando…

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U na donnola, dopo aver catturato un gallo, pensava ad un pretesto per poterlo mangiare. Iniziò ad accusarlo di molestare gli uomini, poiché con il

canto gli impediva il sonno... ma il gallo, quasi per discolparsi, replicò: "Li sveglio nel loro interesse, perché devono lavorare."

La donnola, allora, spiazzata dalle affermazioni del gallo, si inventò una nuova accusa: "Perché, violi le leggi naturali accoppiandoti con tua madre e le tue sorelle (le galline)". Non faccio nulla di male -disse il gallo- anzi lavoro per il mio padrone e così facendo le galline producono un'enorme quantità di uova. La donnola, allora, stanca delle risposte del gallo e della sua arguzia, decise di farla finita con le domande e se lo mangiò.

Morale: così gli animali, come le persone di natura malvagia, quando decidono di fare un torto a qualcuno, se non sono in grado di trovare un pretesto ragionevole, commettono il loro crimine

ingiustamente.

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I vizi son fra lor buoni fratelli, e quando uno si siede nel nostro cor, si vede

che siedono anche quelli van con per via, a meno che la trista1 compagnia per ira non si pigli pei capelli. Non così le virtù. Raro si mira dei grandi affetti in un sol uom lo zelo temperato con nobile armonia. L’uno è valente, sì, ma pronto all’ira, l’altro è saggio, ma l’anima è di gelo. Fin tra le bestie spesso vedi accader lo stesso. Il più fido2 animal che mai ci sia, il cane io dico, mostrasi talvolta anch’esso bestia stolta e piena d’un’ingorda ghiottornia3. Due Cani in lontananza un giorno videro in mezzo al fiume galleggiare un Asino, che, sospinto dal vento, se ne giva4 discostandosi sempre dalla riva. -Amico, - disse l’un, -che l’occhio hai limpido e più acuto del mio, guarda sul liquido

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Favolando…

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specchio dell’onda. E’ un bove od un cavallo? E l’altro: E’ un buon boccone senza fallo. Ma pigliarlo, barbin, questo è il difficile! Lunga è la tratta e incontro il vento soffia. Non ti senti riarso e sitibondo? Proviamo a ber quest’acqua fino in fondo, finchè in secco vedremo della bestia (superba provvigion) il corpo ghiotto. Bevono i Cani e bevi e bevi… bevvero Tanto che… punf… scoppiarono di botto. Tal è l’uomo. Se in lui fissa è l’idea, non c’è cosa impossibile e fallace5. Castelli in aria crea, e per amor di vane6 ombre e di gloria in desideri perde la sua pace. -Oh, potessi riempire di ducati questi miei scrigni! Oh, s’io sapessi almeno la chimica, la storia, la medicina, l’arabo, l’armeno! O arrotondar potessi questi Stati!- Questo è bevere il mar. Ai sovrumani concetti d’uno spirito vanerello non bastan quattro corpi ed otto mani. Se non si resta a mezzo sul più bello, a compier ciò che logico non è non bastan quattro vite di Noè.

Da Favole di La Fontaine

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Tristo: cattivo, malvagio. Fido: fedele. Ghiottornia: cibo ghiotto, golosità. Giva: andava Fallace: ingannevole, falsa. Vane: inutili, inconsistenti.

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Serravalle Scrivia, 3 giugno 2003